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Riassunto integrato Come leggere Jane Eyre di Francesco Marroni, Sintesi del corso di Letteratura Inglese

Riassunto Come Leggere Jane Eyre integrato con appunti. Argomenti trattati: -trama -mito brontiano -successo Charlotte Bronte -analisi dettagliata Jane Eyre -temi affrontati

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 03/05/2023

alessia-umy
alessia-umy 🇮🇹

4.5

(2)

14 documenti

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Scarica Riassunto integrato Come leggere Jane Eyre di Francesco Marroni e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Jan Eye - Chat Broë TRAMA Jane Eyre è una bambina orfana che viene accolta presso i parenti dopo la morte dei genitori. In questa sua nuova famiglia Jane è resa oggetto di continui maltrattamenti da parte di una fredda zia e anche da parte degli altri bambini della casa, suoi cugini. L'unica persona che l'amava, lo zio materno, è morto anni prima e sua zia si trova costretta ad accudire la fanciulla perché tale era l'ultima promessa strappatale da suo marito prima di morire. Ma Jane Eyre è una ragazzina dal carattere forte e deciso e lo dimostra dapprima quando, all'inizio del libro, si ribella al bullismo dei cugini, e poi quando viene affidata ad una scuola di carità, dove il sacrificio ed il pesante lavoro sono la regola del giorno per le fanciulle senza famiglia. La forza di carattere di Jane si palesa anche prima che ella parta per la scuola, quando protesta contro la zia che ha parlato malissimo di Jane al rettore della scuola. Nonostante la durissima disciplina e la prematura morte della sua migliore amica, deceduta per tubercolosi con altre compagne, morte invece di tifo addominale a causa delle pessime condizioni in cui è tenuta la struttura in cui risiedono, Jane prosegue gli studi, che ultima con successo, e successivamente opera all'interno dello stesso istituto come stimata insegnante. Questa professione la rende una donna libera ed indipendente, permettendole di coltivare i suoi interessi, e trovare un'occupazione presso la dimora di Thornfield Hall, appartenuta da sempre alla nobile famiglia dei Rochester. Qui diviene istitutrice di Adele, la figlia del padrone di casa, il misterioso Mr Rochester che l'ha avuta da una relazione con una ballerina francese. Questo periodo da istitutrice trascorre serenamente fino al giorno dell'improvviso arrivo di Mr Rochester, un uomo imponente e sarcastico, che è subito colpito dalla vivida intelligenza e dall'indipendenza di spirito di Jane. Il rapporto tra i due attraversa varie traversie, tra cui l'annunciato e poi disdetto matrimonio di Mr Rochester con Blanche Ingram, una donna bellissima che vuole sposarlo soltanto per interesse. Infine Mr Rochester scopre che l'amore che sin dal primo momento aveva riposto in Jane è ben corrisposto, e perciò le chiede la mano. Ma un terribile segreto è racchiuso tra le mura di Thornfield Hall e viene fortuitamente rivelato il giorno stesso delle nozze tra Jane e Rochester: l'uomo è già sposato con Bertha Mason, una donna completamente pazza e tenuta segregata nella soffitta di Thornfield. Rochester nutre per Bertha un sentimento di rabbia ma anche di pietà, che non gli ha mai permesso di abbandonarla al suo difficile destino. Jane, combattuta tra le insormontabili regole religiose e morali e il sincero amore per Rochester, lascia precipitosamente Thornfield. Sull'orlo della morte per stenti, viene accolta in casa di un ecclesiastico, St. John Rivers, e delle sue due sorelle. Poco dopo, trova lavoro come maestra in una scuola rurale. Nel frattempo approfondisce la conoscenza con il giovane, bello e idealista St. John e, quando le arriva la notizia improvvisa di una ricca eredità e del fatto che St. John e le sorelle sono suoi parenti prossimi, divide l'eredità con loro. St. John le propone di sposarlo e di andare in missione in India con lui, ma Jane rifiuta e decide di ritornare da Rochester. Scopre però che in seguito a un incendio, provocato dalla stessa moglie Bertha che nel rogo è morta, è rimasto vedovo, cieco da un occhio e mutilato (ha perso sia l'altro occhio sia una mano). Jane e Mr Rochester possono ora convolare a nozze e Adele torna a vivere con loro ritornando dal collegio dove era stata mandata. Alla fine del libro, Mr Rochester riacquista parzialmente la vista. In questo modo potrà vedere insieme a Jane il loro primogenito. 1 BRONTE MYTH Molteplici sono le componenti che hanno costituito nel tempo ilmito brontiano, ovvero quel velo di straordinarietà che è stato tessuto intorno alle figure delle sorelle Bronte, alla loro personalità e, non a caso, intorno al romanzo di Jane Eyre: in un continuo susseguirsi di trasposizioni, interpretazioni, sollecitazioni intertestuali sono derivate altre storie, discorsi e percorsi finzionali di una infinita riproposizione di Jane Eyre. L’ingresso di Charlotte, Emily e Anne Bronte sulla scena letteraria ottocentesca produsse un effetto “esplosivo”: romanzi come Jane Eyre e Wuthering Heights fecero cadere le recinzioni protettivo-istituzionali attorno al genere e, in pari tempo, mostrarono allo sguardo delle nuove generazioni territori ancora inesplorati, tematiche e dialoghi ancora da inventare. 1) Al rapido consolidarsi del mito all’indomani della morte delle sorelle contribuì, in modo decisivo, la celebrata Life of Charlotte Bronte di Gaskell che mirava ad offrire un’immagine marcatamente morale della vita e delle opere dell’autrice. La biografia gaskelliana dà ampio spazio al ritratto di una donna che, in condizioni di estrema difficoltà, riesce ad affrontare le più terribili sofferenze con pia sopportazione, con una forza d’animo che solo una solida e radicata religiosità avrebbe potuto giustificare. La Charlotte che emerge dalle pagine di Elizabeth Gaskell diviene un modello che parrebbe iscriversi nell’agiografia vittoriana. La vita raccontata da Gaskell lascia parecchi punti di opacità interpretativa e velature censorie. Vero è che la Life era stata commissionata dal padre di Charlotte, il reverendo Patrick Bronte poco più di due mesi dopo la morte di Charlotte per onorare la memoria della figlia. Il ritratto della Life era del tutto edificante, in linea con la strategia gaskelliana mirante a omettere tutto ciò che potesse scalfire o macchiare l’integrità morale di Charlotte Bronte. L’immagine che emerge dalla biografia, quella di una Charlotte mai capace di trasgressione o di qualsiasi forma di ribellione rispetto ai codici comportamentali e all’ortodossia sociale, stride non poco con l’immagine di donna che i lettori riescono a derivare dai suoi romanzi, quella di una Charlotte Bronte scrittrice che si avventura nei pericolosi meandri della psiche femminile per cercare di capirne desideri, tensioni erotiche e frustrazioni. 2) L’altro elemento fondamentale è stata la scoperta che le vite dei figli del reverendo Patrick Bronte erano state tutte segnate dall’eccezionalità. Lo stesso Patrick, irlanndese di umili origini, era un uomo di forte determinazione e temperamento, con energia ed ambizione letteraria: qualità che aveva trasmesso ai figli. Dunque ambizione letteraria, desiderio di affermazione, perseguimento del successo letterario, autostima e autopromozione sul palcoscenico delle lettere sembrano essere gli elementi su cui Charlotte costruisce la sua identità, sostenuta da un ambiente familiare in cui rivalità ed emulazione diventano il pane quotidiano. Siamo ben lontani, quindi, dal ritratto gaskelliano delineato nella Life: questo perché Gaskell incarna, in modo più o meno consapevole, il pensiero dominante dell’epoca. Ogni episodio della vita brontiana concorre a definire un ritratto di donna che sembrerebbe esautorare del tutto la voce anticonformista di Charlotte Bronte scrittrice. In breve, è attiva nella scrittura biografica gaskelliana una censura che interviene a distorcere gli eventi narrati ogni qualvolta Gaskell si rende conto che una parola di troppo possa suscitare il risentimento delle nutrite e sempre vigili schiere di lettori vittoriani. 2 Avvicinandosi al byronismo, la Charlotte adolescente cominciava a interrogarsi sul perché la letteratura romantica non avesse voci femminili e, una ventina di anni dopo, rimedierà creando con Jane Eyre un personaggio che ricodificava in chiave femminile l’individualismo romantico, mentre al tempo stesso dava espressione a quelle passioni che al pubblico benpensante sarebbero sembrati disdicevoli e poco in linea con l’immagine di donna propria di una società ancora fortemente fondata sul predominio del maschile. Il byronismo indicava non solo l’estrema esaltazione di sè, la trasgressione come costruzione programmatica della propria leggenda, ma anche un cosmopolitismo che per i Bronte implicava un ampliamento di orizzonte di portata radicale rispetto al loro contesto provinciale. Charlotte inoltre fece delleMille e una notte il suo libro preferito, restando affascinata dalle visioni di paesaggi esotici e favolosi che insieme ai racconti turchi di Byron, svilupparono nell’autrice la passione per l’orientalismo. TENTATIVO DI CONQUISTA DEL SUCCESSO Charlotte era una ragazza decisa a emergere: ambiva a far sentire la sua voce. Così nel 1833 inviò al poeta Robert Southey alcune poesie, aggiungendo esplicitamente che il suo sogno era quello di conquistarsi uno spazio nel panorama delle lettere inglesi. La risposta di Southey tuttavia fu tutt’altro che incoraggiante, in quanto sosteneva che la letteratura non dovesse essere l’occupazione di una donna. La risposta segna una revisione importante nella vita della ragazza, sia dal punto di vista della dignità e autodifesa personale, sia dal punto di vista del nesso gender/poesia. Tuttavia, passato il primo momento di sconforto, la giovane Bronte raccolse la sfida con la certezza che la sua affermazione letteraria sarebbe stata l’affermazione di una donna la cui voce reclama il dritto all’ascolto, il diritto cioè a uno spazio sociale che non sia quello dei riti domestici. Charlotte chiede che, al pari degli uomini, siano riconosciuti il suo ingegno, le sue capacità e ambizioni. Nella risposta Charlotte sottolinea di essere un istitutrice, attività che la colloca immediatamente in una posizione “istituzionale” e che rivaluta la sua persona nell’ottica dell’insegnamento e della disciplina. Inoltre afferma di aver cercato più volte di negare se stessa ma dalla lettera emerge che il suo senso del dovere verso la vocazione non è minore del senso del dovere verso il suo ruolo di istitutrice. Ella afferma che sopprimerà ogni aspirazione e desiderio di vedere il suo nome a stampa, ma in realtà in questo modo ribadisce il suo diritto a dare spazio alle sue voci interiori e mettere a frutto i suoi talenti come poetessa e narratrice. POESIA E ROMANZO Nel 1837 Charlotte intraprende una riflessione sul rapporto tra poesia e romanzo in difesa del romanzo. La tradizione vedeva la produzione poetica un gradino al di sopra della forma romanzesca che, fino ai primi decenni dell’Ottocento, non era ritenuto in grado di rappresentare la realtà: esso, infatti, fondava la sua crescente popolarità su una concezione della realtà in cui, si diceva, il vero era estromesso. Al contrario la poesia, che aveva dalla sua parte una lunga tradizione classica, controllava le passioni umane e ne offriva una versione equilibrata. Charlotte, invece, vede nella forma del romanzo lo strumento più idoneo a interpretare la traiettoria ontologica dell’individuo, nei suoi tormenti psicologici e nelle sue contraddizioni sociali, nel suo divenire esteriore e nelle sue complesse ramificazioni interiori. Né Charlotte individua nella finzione e nella visionarietà un elemento da censurare con fermezza, esattamente perché è convinta che l’invenzione sia parte della realtà non meno della “dura verità” della vita quotidiana. 5 SUCCESSO E SCANDALO DI JANE EYRE Il periodo che separa la ragazza che scrive a Robert Southey dalla romanziera che pubblica Jane Eyre contrassegna gli anni dell’esperienza e di una più ampia e complessa immersione nella materia tragica della canonica di Haworth. Jane Eyre è il risultato di una consapevole meditazione sul romanzo: ogni parola ha una sua ragione di essere semiotico-strutturale. Le prime copie del romanzo uscirono il 19 ottobre 1847 con il nome di Currer Bell, uno pseudonimo che non lasciava trapelare il sesso dell’autore. In poche settimane il romanzo divenne l’argomento del giorno dei salotti letterari, riscosse grande successo ma anche molte critiche incentrate sull’aspetto non rispettoso della morale comune e delle convenzioni sociali (viene definito improper) e sull’idea che fosse un libro senza Dio; effettivamente “Where is God? What is God?” sono molto più di innocue domande rivolte all’amica Helen: sono una provocazione da parte i Charlotte che non si rassegnava all’idea che le donne fossero considerate, anche di fronte a Dio, solo per essere le sacre e pie protagoniste della maternità. Jane Eyre era dedicato a Thackeray e trovò proprio nell’eroe letterario della giovane autrice il primo e più importante sostenitore: dalla lettera che scrisse agli editori emerge soprattutto la curiosità intorno all’identità dell’autore. Questo perché nel 1840 la moglie di Thackeray, non diversamente da Bertha, viveva come una reclusa per via della sua follia. Essendo la storia dello scrittore nota in tutti gli ambienti letterari londinesi, non furono in pochi a ritenere che Jane Eyre fosse stato scritto proprio dall’istitutrice di casa Thackeray. Da parte di George Henry Lewes, il compagno di George Eliot, fu avanzata una critica molto pesante alla tecnica narrativa adottata - l’eccessivo uso di melodramma con la conseguente limitazione degli elementi di realismo. Alla dichiarazione di Lewes secondo cui l’esperienza dovrebbe essere l’unica guida di chi scrive, Charlotte ribatte ribadendo il diritto dell’immaginazione ad essere ascoltata, in quanto essa è parte viva della realtà non meno dell’esperienza, e quindi difendendo il lato “melodrammatico” di Jane Eyre. Giova soffermarsi sulle risposte di Charlotte a Lewes perché in esse, per molti aspetti, si manifesta la concezione brontiana dell’arte narrativa. Ad un livello socioculturale, si scontrano due concezioni del mondo: una, quella di Lewes, che sostanzialmente guarda al passato (Fielding e Austen), dove è sicuro di trovare razionalità, chiarezza interpretativa e, soprattutto, il predominio patriarcale; Bronte invece è proiettata nel futuro, parla delle donne e della necessità che esse sappiano difendere la loro voce anche quando la chiusura mentale di una società ingiusta le costringe in un angolo, imponendo il silenzio. Nella sua testualizzazione di un mondo in cui mente e corpo femminili non sono più “proprietà” dell’uomo, Charlotte Bronte pone in Jane Eyre il problema di un cambiamento di mentalità e di una sostanziale rivisitazione del binomio maschio/femmna. Tale radicale mutamento di prospettiva, determina uno spazio di destabilizzazione epistemica, che non potrà non implicare una incisiva revisione del modo di osservare, leggere e interpretare l’universo donna. Tutto questo perché Jane Eyre appresta il terreno a un nuovo modo di intendere il rapporto fra romanzo, ruolo della donna e quadro ideologico della società. ANALISI Jane Eyre fonda la sua forza su una radicale destabilizzazione delle convenzioni e del sapere; destabilizzazione che va dal livello dell’enunciazione (una donna trentenne parla di sé liberamente), al 6 livello sociale (ribaltamento dell’ordine settecentesco), fino al livello della conoscenza (rottura epistemica rispetto alle configurazioni del mondo del passato). In Jane Eyre vi è un narratore omodiegetico, ovvero presente come attore della storia e che narra in prima persona. Scritto in forma autobiografica, il romanzo narra la vita di Jane Eyre, il suo tortuoso percorso formativo ed umano, fino al matrimonio con Edward Rochester, e la modellizzazione del mondo dell’eroina si costruisce su una doppia istanza narrativa (io narrante/ io esperiente). Quindi, nonostante sia la voce narrante a trasmettere al lettore un'atmosfera di verità, l’autobiografia è pur sempre la versione di Jane, con tutte le censure, le omissioni, le verità rettificate e le menzogne che ogni testo autobiografico contiene. Non a caso, all’inizio del capitolo X, la protagonista dichiara che “this is not to be a regular autobiography; I am only bound to invoke memory where I know her responses will possess some degree of interest” (Questa non deve essere un’autobiografia tradizionale; mi sentirò obbligata a ricorrere alla memoria solo quando saprò che le sue risposte possiederanno un qualche grado di interesse). La ricostruzione della sua vita avverrà quindi sulla scorta di un procedimento selettivo in modo da rendere il testo interessante per il lettore. La storia di Jane Eyre, narrata in prima persona, comincia con una bambina che subisce le angherie dei cugini l’ostracismo della zia Reed, che, invece di “adottare” effettivamente la piccola Jane come aveva promesso al marito morente (fratello della madre di Jane), la fa sentire orfana non solo dei genitori, ma anche di ogni forma di affetto e protettiva attenzione. Sin dalla prima pagina del romanzo Jane appare come un’intrusa, discriminata e sola, in uno spazio, Gateshead Hall, privo di simpatia e umana solidarietà. Ed è questo, già, un microcosmo vittoriano, cioè la prima presentazione di un quadro famigliare e di ambiente, fatto di ipocrisia, ingiustizie, promesse non mantenute, bigottismo, piccole e grandi meschinità quotidiane. CONCLUSION L’ultimo capitolo di Jane Eyre si apre con un’affermazione che reca inscritta la formula della felicità e dell’appagamento come risultato dell’evento matrimoniale: Jane Eyre, in qualità di autobiografa, informa il lettore del suo matrimonio con Rochester, che significa il raggiungimento del suo obiettivo socioeconomico e insieme il completamento del suo percorso di donna che ha cercato nell’amore la sua realizzazione (Reader, I married him). Il capitolo che chiude Jane Eyre marca il momento in cui ogni cosa torna a posto, le storie si risolvono e gli itinerari giungono a termine. Inoltre, pronunciate a un paio di pagine dall’explicit, le parole che si scambiano Jane e la domestica Mary puntano a veicolare un’immagine di normalizzazione e di ritorno ad un’ordine che significa, per prima cosa, la quotidianità con i suoi ritmi e le sue piccole faccende da svolgere. Jane è una ragazza non più ospite di Rochester a Ferndean Manor, non più la sua potenziale amante (il ruolo che Rochester avrebbe voluto assegnarle), ora è la moglie legittima. Conseguentemente, sia pure in maniera esplicita, può ben dire a Mary e a John di essere adesso lei la padrona senza impedimento alcuno, senza ambiguità che ne offuschino l’integrità morale. Ora, alla fine del percorso, il contesto è tale da potersi compiere l’incarnazione di un ideologemma ben radicato nella mentalità vittoriana: la maternità. Secondo la mentalità vittoriana, infatti, il vero scopo delle donne era di partorire bambini, di portare avanti la linea maschile. E per essere sicuri che tutto avvenisse senza contaminazione, le donne dovevano essere mantenuto del tutto innocenti e pure prima del matrimonio. Agli uomini è permesso visitare bordelli, fare figli con le loro schiave, o mantenere amanti senza macchia alcuna sul loro onore o pecca sul loro diritto di sposare donne pure e fare figli maschi per tramandare il loro nome. La società vittoriana quindi non poteva scandalizzarsi 7 l’accento sul nesso strutturale tra gli agenti atmosferici e Jane Eyre. Il romanzo infatti introduce una corporeità che reagisce sempre all’azione degli elementi, in coerenza con un recupero della dimensione trasgressiva della fisicità. Non è quindi casuale che i primi pronunciamenti dell’io narrante siano legati proprio alla percezione del freddo che, oltre a possedere una valenza metaforica, è una presenza climatico-paesaggistica i cui rigori, come in una masochistica celebrazione della triade corpo/freddo/sofferenza, sembrano attraversare il romanzo fino al momento del matrimonio di Jane con Rochester. Nel primo capitolo, ad esempio, Jane stabilisce una continuità tra le immagini del libro (le cui distese di ghiaccio delle zone artiche rendono meno duri i rigori invernali di Gateshead e i cui uccelli marini che affrontano le tempeste rimandano al sublime romantico) e il mondo esterno. Al termine del primo paragrafo viene ribadita la dimensione negativa secondo una struttura circolare, ma la conclusione negativa viene espressa in forma positiva (out of the question). Lessia 2 Il secondo paragrafo si apre con l’affermazione positiva dell’io esperiente (I was glad of it): è un io che si pone in contrapposizione agli altri (rimproverata da Mrs. Reed e umiliata dall’inferiorità fisica rispetto ai figli di Mrs. Reed). L’io che si impone è quello che sa recuperare la felicità dalla sua “physical inferiority”; questa posizione di inferiorità le consente di definire in modo netto l’opposizione tra lei e gli altri, non solo sul piano corporeo, ma anche su quello dei rapporti famigliari. Dall’opposizione discende la condizione esistenziale dominante, sola al mondo, senza legami parentali o affettivi di sorta. Sia nella posizione subordinata di allieva, sia nel ruolo di istitutrice, attorno a sé Jane vede solo il vuoto. Ciò che l’intero primo capitolo è deputato a drammatizzare è, appunto, il paradigma della solitudine. In questo senso, appare rilevante l’accusa mossa dalla zia Reed, tesa a giustificare le sue angherie verso la bambina, alla quale chiede di essere più socievole, più disponibile, più sincera. Infatti, nel quadro della concezione vittoriana il più grande peccato di Jane sarebbe la dissimulazione, la capacità di nascondere e mentire, la facilità con cui sa inventare menzogne. Quindi, se si trova sola è per mancanza di un atteggiamento socievole e di un comportamento improntato alla sincerità: tutto questo fa sì che Gateshead Hall divenga per Jane una casa della punizione e della sofferenza, praticamente una non-casa, un anti spazio che mira a privarla di una autodefinizione identitaria. Tuttavia, la solitudine, il locus del dolore e dell'isolamento, diventa per lei il terreno ideale per costruire la sua identità femminile contro il mondo, contro gli altri. Ed è questo un tratto indelebile del personaggio, che non viene meno con la fine dell’infanzia. Quando, dopo il matrimonio fallito, Jane istitutrice decide di fuggire, le parole pronunciate davanti ad Edward Rochester, che ne vorrebbe fare la sua amante, sono in perfetta sintonia con la condizione psicologica della Jane bambina: “I care for myself. The more solitary, the more friendless, the more unsustained I am, the more I will respect myself.” Aver cura di se stessi non vuol dire solipsismo, ma implica aver cura della propria integrità psichica, il proprio essere nel mondo. Lessia 3 Nel terzo paragrafo emerge il conflitto tra l’io e gli altri e vi è quindi un’opposizione evidente tra lo spazio altrui, che prevede inclusione, calore, partecipazione, e quello dell’io improntato all’esclusione, alla separazione, e al freddo. A parlare è la Jane matura ma il punto di vista di esclusione è quello della Jane bambina, le cui colpe sono il carattere ribelle e rustico e gli atteggiamenti malinconici e pensosi. La costruzione del personaggio avviene tramite il punto di vista degli altri. 10 Dalla descrizione di Mrs Reed emerge l'immagine della donna perfetta che assume il compito di moglie e di madre; la voce narrante che guarda la scena dall’esterno è in realtà ironica, dà un giudizio di valore sulla scena. Nella società vittoriana infatti, le donne erano educate per diventare “angel of the house” e Jane deve quindi incarnare il ruolo che la società le predispone. Questo per evitare di diventare una “fallen woman”: appartenevano a questa categoria le donne di basso ceto sociale che non si sposavano e finivano per diventare prostitute; era questo un destino inaccettabile per una società che pone i valori morali sopra a tutto. Lessia 4 Il quarto paragrafo vede lo scambio dialogico tra le due parti in contrasto: da una parte ci sono le parole di Jane che subisce un’emarginazione e afferma il diritto di ricevere una spiegazione (le viene negato), dall’altra c’è l’invito da parte della zia alla immobilità e al silenzio (Jane sceglierà il movimento e la parola). Lo spazio che appartiene alla Jane bambina è quello della liminarità, un punto periferico che sancisce la sua posizione instabile, lo stato di permanente precarietà contro cui l’eroina deve combattere per difendere la sua anima e il suo corpo. Che il piccolo segmento di stanza non voglia e non possa configurare una stanza tutta per sé appare evidente. Ad ogni modo, ancorché provvisorio e sempre revocabile dalla cattiveria degli altri, si tratta pur sempre di qualcosa che Jane costruisce come un locus privato, psicologicamente impermeabile, una stanza in cui la sua personalità può difendersi e difendere le stanze interiori del suo immaginario. Nella dialettica del dentro e del fuori, della prossimità e della lontananza, non può essere sottaciuta l’opposizione fra il tendaggio a destra e la vetrata a sinistra. Alla rigida tenda di damasco rosso (il colore qui è un segno prolettico della “red room”) si oppone la trasparenza del vetro che consente allo sguardo una proiezione fantasmatizzante verso lo spazio esterno. Tale opposizione preannuncia la tensione dell’eroina ad abbandonare quel buio ambiente per la libertà dello spazio aperto: la finestra, per quanto solo immaginativamente, è già un varco verso l’esterno, un varco psicologico che prelude alla fuga fisica da Gateshead Hall. Non a caso, la realtà esterna trova una più sottolineata conferma proprio dai disegni del libro che la piccola Jane sta sfogliando: il mondo in cui si trova immersa si configura come una landa desolata da cui non è possibile desumere nessun segno di redenzione. Ad essere condannato al gelo e alle intemperie non è semplicemente il paesaggio, ma l’umanità intera. Nel libro di Bewick (History of British birds) la bambina pare scoprire un mondo di peccati, punizioni e penitenze dantesche. Dal suo angolo liminare Jane stabilisce una linea di continuità fra le immagini del libro e il mondo esterno, affascinata da nuove cartografie non meno di quanto non lo sia dallo spettacolo degli elementi in lotta in un freddo pomeriggio invernale, riflesso del suo freddo interiore. La History of British Birds si trasforma per la bambina in icona dell’essere, un attracco ontologico che le consente di immaginare altri cieli e altre terre, di proiettare se stessa verso altri mondi e altre visioni di sé, in un processo che innesca in lei un pensiero imperniato sulla relativizzazione di tutte le cose. Così come sono marginali i territori di cui legge, anche lei è al margine del suo mondo. La descrizione ekphrastica del libro continua anche nella pagina successiva con scene che confermano una dominante spettralizzazione dell’ambiente esterno, sotto la spinta di un movimento psicologico che attua una non-disgiunzione fra il soggetto e il mondo intero, quasi che tutto il mondo si trovasse nella sua stessa condizione e, conseguentemente, lei fosse parte di una scena di portata cosmica, il che 11 investe il suo angolo di un’attesa corrente di felicità. Si tratta di una condizione felice che rafforza sempre di più il paradigma della solitudine. Il libro ha per Jane funzione salvifica: contro tutto ciò che le fa paura il rimedio è la narrazione e il suo comportamento non è solo quello di una bambina ribelle ma anche della narratrice (il libro nel libro ha valenza di riflessione metatestuale). Inoltre gli ornitonimi sono coerenti con la sensibilità romantica espressa da Jane: il canto dell’uccello allude alla poesia, all’arte letteraria. Lessia 8 La scena si costruisce sul paradigma alto-basso dal punto di vista spaziale e sociale. Nascondersi è per Jane una strategia di sopravvivenza e un modo per costruire se stessa e la propria identità: mentre lo sguardo degli altri cela la sua personalità, nascondersi la accresce. Lessia 9 Alla descrizione di John Reed contribuiscono quattro punti di vista: quello di Jane adulta, bambina, madre e maestra; in questo modo il lettore è portato a prendere le parti della protagonista. Evidente è l’influenza delle pseudoscienze, in particolare della fisiognomica e della frenologia. La prima si proponeva di dedurre la personalità di una persona a partire dagli elementi fisici, in particolare i lineamenti e le espressioni del viso. Secondo la frenologia invece è possibile dalla conformazione del cranio risalire allo sviluppo di certe zone del cervello, sedi di particolari funzioni psichiche. John Reed viene presentato come un animale dal punto di vista fisico; è irritabile, collerico, egoista, crudele, esempio di fallimento educativo. Egli esprime lo spazio di una realtà negativa e i disvalori della società. Lessia 11 John Reed rappresenta una realtà dominata dai rapporti di genere: la proprietà passava al figlio maschio e la donna non aveva possibilità di ereditare (all the house belongs to me, or will do in a few years); Jane viene considerata una dipendente e in quanto tale non ha diritto di leggere i libri che sono in casa. Secondo l’ideologia vittoriana la casa era lo spazio femminile per eccellenza, simbolo dei valori borghesi e luogo di calore e protezione rispetto all’esterno: per Jane questo topos è invertito: l’esterno è consolatorio mente l’interno è una realtà negativa che la esclude, la marginalizza e la vittimizza (per questo cerca spazi immaginari dove rifugiarsi). Dal punto di vista del codice delle azioni, la breve parentesi sul libro di ornitologia ha termine nel momento in cui il cugino John scopre il nascondiglio di Jane e, offendendola e lanciandole il libro contro, le procura un taglio alla fronte che innesca una reazione selvaggia, totalmente fuori dal suo controllo. Per aver cercato di difendersi Jane viene rinchiusa nella “red room” in una brusca transizione dallo spazio protettivo della finestra (felicità) a una stanza completamente buia che evoca in lei scene di paurosi fantasmi (infelicità). In preda alla paura, in quello spazio Jane perde i sensi e, come un rito di passaggio, al suo risveglio si renderà conto di essere entrata in un’altra fase della sua vita. Dalla red room Jane uscirà profondamente cambiata, incapace ormai di accettare lo spazio di Gateshead come suo. Per reazione, dopo la crisi della red room, Jane sente di dover affermare la sua personalità, e l’unico modo per farlo è quello di dire a Mrs Reed quello che pensa di lei, del suo modo ingiusto di trattarla, delle umiliazioni che, giorno dopo giorno, ha subito per colpa sua. E, senza porre limiti alle sue parole, Jane esprime il suo disprezzo: la zia legge in tutto questo i segni di una malattia psichica. 12 In questo locus claustrale, che sembrerebbe non differire molto dal mondo che si è lasciata alle spalle, a imporre il suo linguaggio paradigmatico è di nuovo la solitudine, che diviene per Jane l’unico elemento di continuità, il filo esistenziale grazie al quale, nel bene e nel male, tessere la tela dei suoi pensieri. Prigionia, punizione, malattie, contagio e denutrizione: sono questi i vettori negativi dell’istituzione che l’ha accolta. Superato l’impatto iniziale, marcato dalla solitudine che l’ha accolta, Jane stringe amicizia con Helen Burns che, a partire dal primo contatto, assume ai suoi occhi il ruolo di guida spirituale, proprio perché la ragazza incarna quell'abnegazione di sé e quell’autoeliminazione fisica che sono predicate in continuazione dal reverendo Brocklehurst. Helen Burn rappresenta la capacità filosofica di distacco dalle cose mondane, di essere oltre la materialità del vivere quotidiano. Jane inoltre avverte subito una nota di simpatia verso Helen non appena scopre la sua passione per la lettura. Insieme con Helen Burns, assume un ruolo importante anche Miss Temple, che mostra solidarietà verso Jane cercando di rendere più umana la condizione delle ragazze della scuola. La sua tolleranza suscita le ire di Brocklehurst, il quale non manca mai di sottolineare che la funzione primaria di un’educatrice è di soffocare ogni forma di vanità nelle allieve. La voce di Mr. Brocklehurst è la quintessenza di quanto Jane più detesta. Quella del direttore di Lowood School non è semplicemente la parola di quella particolare istituzione, per Jane è la parola che nega la vita, è la parola che porta alla morte. A Mr. Brocklehurst non interessa il contagio di una malattia come il tifo che spesso uccide le allieve più deboli, ma il contagio del vizio che, nella sua ottica ipocrita, è la vera battaglia da compiere nel nome del Signore, in difesa della fede e della morale cristiana. Da un versante positivo, per la prima volta l’eroina conosce la solidarietà di altre persone e capisce che nella vita è possibile stabilire rapporti che vanno in profondità, che lasciano il segno: Miss Temple e Helen Burns diventano figure importanti nella sua formazione, non perché siano assunte a modello da seguire, ma perché da entrambe apprende che sono possibili l’umana comprensione, l’affetto e la condivisione di comuni pensieri e situazioni. Presto, pur sentendo che il legame con Helen diventa sempre più tenace, Jane si rende conto che l’amica accetta punizioni e umiliazioni alle quali la sua indole si ribellerebbe con tutte le energie a disposizione. L’amicizia le unisce, ma la visione del mondo le divide in modo profondo. Mentre Helen proclama la sua distanza dalle passioni umane, Jane non riesce ad essere indifferente alla vita terrena e alle sue promesse. Quando Helen viene punita, Jane si interroga sul comportamento fisico e mentale della ragazza. Eppure la lezione di Helen raggiunge Jane che fa di tutto per imparare, in questa particolare fase della sua vita, che le passioni vanno tenute sotto controllo, che la caparbietà e l’energia interiore vanno messe al servizio dello studio, del proprio progresso, e non al servizio dell’odio e della violenza. La topologia della Lowood School, per quanto angusta e oppressiva, allarga la prospettiva della protagonista in termini di socializzazione, di rinuncia della parte più egoistica della sua personalità a favore di una comprensione degli altri, nei loro pregi e nei loro difetti. Questa fase appare come uno snodo fondamentale che implica la sua apertura agli altri, non più visti soltanto come oppositori, ma finalmente considerati anche come alleati: l’opposizione paradigmatica (io vs. altri) che caratterizza il primo segmento formativo, diviene meno forte e radicata in lei. Potenzialmente, grazie anche a Miss Temple e Helen Burns, Lowood si dà come proiezione verso gli altri (io → altri). 15 La morte di Helen Burns, per alcuni versi, implica anche la fine della concezione del mondo di Jane. Le parole con cui la malata muore, abbracciata a Jane e quasi smaterializzando il suo corpo, sanciscono il culmine di un itinerario fatto di negazione di sé, di totale distanza dalla mondanità e dalle umane passioni. Sul capezzale di morte ancora più netto sembra essere il contrasto tra la eterea Helen e la ardente Jane: l’eroina abbraccia Helen mentre, in realtà, ideologicamente se ne separa. La filosofia della rassegnata accettazione della fine, la saggezza fatta di astrazione rispetto al corpo e rispetto agli aspetti più materiali dell’esistenza, lo sguardo rivolto verso un io pronto ad accogliere le anime dei morti per donar loro una nuova vita, sono pensieri che non rientrano nei piani religiosi e nei progetti pratici della protagonista. Jane non riesce a vedere il Dio che Helen morente vede, la sua interrogazione è quella di una personalità ancora fortemente aggrappata al visibile, al dato empirico, incapace di considerare il suo corpo un fardello inutile, un qualcosa che va disgiunto dall’anima. Invece, Hellen colloca lo spirito molto al di sopra del corpo, fino a perdere il contatto fra l’uno e l’altro. Per Jane le cose stanno in modo molto diverso. Dopo l’esperienza dell’ascetismo dell’amica, riflette sulla condizione e conclude che i suoi occhi non guarderanno in alto in cerca di Dio, ma che guarderà avanti. E in cuor suo rimprovera indirettamente a Helen di aver abbandonata se stessa con troppa facilità, di aver trascurato il suo corpo per inseguire la voce di una divinità che, al contrario, Jane non scorge sul suo orizzonte. Con il suo fanatismo che rasenta l’assurdo, Lowood School rappresenta lo spazio dell’immobilità da cui, a conti fatti, la triade corpo/freddo/sofferenza esce confermata e rafforzata, soprattutto dal punto di vista degli esiti diegetici: Jane Difende il suo corpo contro il primato dell’anima; il freddo produce malattie culminanti nella presenza endemica della tisi; la sofferenza si scompone in due versioni: i brividi derivanti dalla persistenza del freddo e i dolori prodotti dalle frequenti punizioni corporali inflitte alle allieve. In breve, non appena Jane raggiunge la maturità necessaria per proporsi come istitutrice, si affretta a lasciare la scuola. Nel suo immaginario, si definisce la natura di una dialettica topologica che vede l’immobilità (gli anni a Gateshead e poi a Lowood) contro il movimento (il tempo futuro e le sue nuove possibilità di realizzazione e di espressione di sé). Mentre si trova ancora a Lowood la sua tensione fantasmatizzante già la sta conducendo altrove, verso nuove mete e questo suo impeto desiderante che dirige il suo sguardo in avanti e non verso l’alto appare come un comportamento antitetico a quello di Helen Burns: se per Helen la libertà consisteva nella liberazione dal fardello del corpo per lasciar correre la sua anima verso Dio, per Jane, al contrario, non può esistere altra scelta che quella di seguire, fra le tante opzioni possibili, la strada della libertà senza condizionamento alcuno. Diversamente da come vorrebbe l’ortodossia vittoriana, nell’accezione di Janee, la condizione di libertà non va riferita semplicemente alla sfera domestica, ma piuttosto alla vita in tutte le sue molteplici declinazioni. Jane dichiara senza timore di non volere nessuna protezione se questo significa rimanere chiusa entro le mura di una scuola per tutta la vita, perché Lowood School è solo negazione della realtà e ipocrisia. THORNFIELD HALL Thornfield Hall nelle sue aspettative dovrebbe essere la casa in cui muoversi in piena libertà. Tuttavia, nel dirigere le sue aspirazioni verso il castello del suo datore di lavoro, la voce narrante dissemina precisi indizi che chiamano in causa, sia pure in modo obliquo, il tema del matrimonio con Rochester e gli ostacoli che ne impediscono la celebrazione. 16 Significativamente, nel proiettare il suo sguardo verso le plaghe della nuova fase della sua vita, l’eroina parla di nuovo di unknown, in una prolettica anticipazione della stanza del piano più alto in cui è rinchiusa Bertha Mason. Non solo, ma quando parla del “porto” da raggiungere e dell’impossibilità di tornare indietro, non casualmente la voce narrante adotta il lessema impediments, che è un indizio che si collega a un’azione molto precisa riguardante il fallito matrimonio. Il termine impediment sembra anticipare al lettore che nel viaggio verso la libertà di Jane istitutrice sia già inscritto il suo contrario: non solo la sua “prigionia” mentale (sin dal primo colloquio a Thornfield sarà affascinata e soggiogata da Rochester), ma anche la prigionia letterale di Bertha Mason che, per molti aspetti, diventa l’incarnazione di quella “regione incognita” verso cui l’eroina ha diretto il suo sguardo. La scoperta di sé passa attraverso la scoperta della sua sessualità, di cui, in questo caso, la matta reclusa configura la rappresentazione corporea estrema, ribelle e selvaggia, proprio come è stata Jane rispetto alle convenzioni e alle regole della società. L’impedimento, quindi, rimanda a Bertha Mason, la moglie di Rochester reclusa nella soffitta. Da questa stanza remota, non molto dopo il suo arrivo a Thornfield Hall, giungono segnali, indizi, depistaggi e falsi avvisi che Jane cerca di decifrare adottando criteri interpretati improntati alla ragione e all’autocontrollo. L’io esperiente non si rende conto che vi è uno spazio invisibile ancora tutto da scoprire. Ad ogni modo, Bertha, la protagonista rimossa di tale invisibile, lancia ben presto i suoi segnali che, prima di raggiungere la superficie ed essere visibili/leggibili, sono solamente udibili: sono le urla della reclusa a squarciare il silenzio delle stanze superiori. Mrs. Fairfax, la governante della casa, mostra una facciata di serenità tanto che Jane, nella sua ingenuità, la scambia per la sua datrice di lavoro; con la sua aria tranquillizzante, intrisa di dolcezza e ben dissimulata normalità ambientale, l’anziana donna, vestita di nero e in cuffietta vedovile, le fa un’ottima impressione. Ogni cosa sembra operare nel senso di un approccio positivo della nuova arrivata a Thornfield, il cui toponimo incorpora tuttavia quelle “spine” che fungono da indicatore semiotico non secondario se immaginiamo la funzionalità dei luoghi e dei loro nomi in ogni pagina del romanzo. Non è allora casuale che, subito dopo, nel processo di revisione della geografia locale, Jane non possa fare a meno di notare come il castello di Rochester sia circondato, proprio come Lowood, da una serie di oppressive colline. La percezione della reclusione del posto è anche la percezione della sua reclusione che provoca in Jane il desiderio di valicare i limiti. Nella sua tensione verso prospettive più ampie e variegate, Jane mostra, dal punto di vista del pensiero ortodosso, una pericolosa deriva di mascolinizzazione appartenente alla sua concezione del mondo che sembrerebbe stridere proprio con la missione educativa rivolta una bambina come Adele Varens (la bambina francese “adottata” da Rochester). Il lavoro di istitutrice è una sorta di androgenizzazione di questa figura nello spazio domestico borghese: siccome era come una madre di ceto medio per il lavoro che svolgeva, ma come un operaio o un’operaia per il salario che riceveva, proprio la figura che teoricamente avrebbe dovuto difendere le naturale separazione dei due ambiti minacciava di farne crollare la differenza. D’altra parte anche qui, come era avvenuto a Gateshead e Lowood, la rivolta è anche contro uno spazio che, ora razionalmente, ora intuitivamente, l’eroina sente ostile e conflittuale. Adele sembra essere l’evidenza di una storia passata che nessuno conosce: viene “salvata” in quanto figlia di una ballerina francese finita in disgrazia ma è chiaro che l’autobiografia si ferma dove si ferma il racconto del “salvatore”. Nulla sappiamo, o verremo a sapere in seguito, della storia che invece si cela dietro ciò che è presentato come un gesto di umana carità. Indubbiamente, Thornfield è 17 La scoperta di Bertha Mason apre al discorso sulla femminilità deviata e sul colonialismo (viene dai Caraibi): le donne straniere vengono marginalizzate e la pazzia di Bertha deriva dall’esclusione dell’ambiente (possibile liberazione da questa prigione solo attraverso la morte). Mentre la reazione di Bertha all’imprigionamento è la follia, Jane dall’esclusione arriva all’affermazione di sé. LA BRUGHIERA Dopo essere stata costretta a lasciare Rochester, la voce narrante non è più Jane che racconta la sua vita, ma piuttosto una Jane adulta che osserva la Jane giovane come l’altra parte di sé che, al momento della scrittura, non sa più riconoscere e che mette sotto la sua lente di ingrandimento come fosse oggetto di studio. La morte-in-vita, alla luce dell’episteme romantica, diviene il disegno perseguito della protagonista: in un momento di intensa autodistruttività, Jane sembra volersi abbandonare definitivamente nelle acque del fiume che ogni cosa dissolve, il corpo e l’anima, le sofferenze e le illusioni. Il vuoto più completo, l’assenza di tutto, non disgiunti dall’idea di mortalità, delineano un quadro psichico dominato dal pieno smarrimento dell’io. Almeno in superficie, la protagonista rivela una volontà di vivere ormai ridotta a zero. In un passo Jane cerca di collocarsi nel flusso temporale, ma non riesce a leggere nulla di progettuale rispetto al futuro, mentre le pagine del suo immediato passato, pur essendo le pagine belle del suo soggiorno a Thornfield, stimolano in lei un vettore esistenziale capace solo di rendere tanto più malinconico e privo di senso il presente, che non casualmente è investito di una valenza apocalittica, paragonato ad un’immagine diluviale derivata dal codice biblico. Il tratto caratteristico del passo rimane la non-disgiunzione di sentimenti contrastanti nell’anima di Jane: alle pagine scritte del passato si oppongono le pagine vuote del presente. L’io narrante mostra la sua crescita in consapevolezza ed esperienza, ma ogni volta parrebbe immaginare l’io di allora come una ragazza che continua a disimparare quello che ha imparato. La fase della dissoluzione di sé, dell’abbandono del suo corpo e della sua anima, si configura come uno snodo cruciale ai fini della definizione del suo orientamento alla ricerca di nuovi spazi e nuove possibilità umane, lontano dalle stanza mistificanti di Thornfield Hall e dalle simulazioni depistanti del suo padrone. Ne consegue che, dal momento della fuga verso l’esterno, alla spazializzazione buia e angusta del castello di Rochester, un luogo fortemente semantizzato, si contrappone la brughiera che, nella sua piatta e uniforme rappresentazione, sembrerebbe indicare a Jane la strada verso l’azzeramento di tutto. Ed è nella landa più brulla che si attua la dolorosa separazione dall’uomo che le aveva fatto conoscere il sentimento amoroso. Jane immagina Rochester nella sua stanza mentre osserva il sorgere del sole, immagine di rinascita che, proletticamente, rimanda al momento in cui Rochester e Jane, a coronamento di un incontro telepatico dei loro pensieri, si riuniranno per dare luogo a un nuovo definitivo inizio. Anche qui, mentre l’eroina affronta in solitudine la vasta brughiera mettendo a dura prova la sua resistenza fisica, il suo pensiero ossessivamente oscilla fra il passato recente e un presente proiettato verso un futuro ignoto. Tale incertezza temporale s’intreccia con l’incertezza spaziale, con il passaggio brusco dal castello di Rochester a un riparo provvisorio dietro una siepe. Jane ha due strade davanti a sé: quella dell’autodistruzione, dell’abbandono del suo corpo per una visione di sé come spirito che aspira al mondo che a Lowood le aveva indicato Helen Burns. E 20 un’altra strada di segno contrario: la decisione di vivere e di essere dalla parte della comunità umana che lavora e costruisce di giorno in giorno il suo futuro. Sarà quest’ultima, nonostante le onde di autodistruzione nella brughiera, la scelta fatta da Jane. La bambina della “red room” è sempre presente in Jane con la sua carica di ribellione e il desiderio di affermare il suo spazio e la sua autonomia. Senza meta e senza certezza alcuna, ben presto si ritrova nei panni di una mendicante, ormai psicologicamente indebolita dalle avversità, ridotta allo stremo delle forze. Ma proprio a questo punto, fra i disperati sussulti della notte, la luce di Moore House si accende e per lei si apre un nuovo scenario. MOOR HOUSE Non è casuale che i toponimi per indicare la casa dei Rivers siano due, Moor House oppure Marsh End, quasi che la doppiezza della nominazione preveda e comunque alluda alla doppiezza di St. John Rivers, il cui temperamento appare essenzialmente ambivalente, ora troppo spirituale per vivere fra gli esseri umani, ora troppo freddo, razionale e calcolatore per essere depositario di una vocazione religiosa. A Moor House, dopo l’erranza e la sofferenza, la protagonista pare ritrovare se stessa e, ancor più, conquistare quell’equilibrio tra il dentro e il fuori, tra l’anima e il corpo che non ha mai provato prima. La descrizione del procedere di Jane verso la casa mette in evidenza l’alto grado di realismo della tecnica brontiana, mostrando come la luce nella notte divenga progressivamente più visibile, fino al momento in cui la fuggitiva non si trova a pochi passi da Moor House. Una volta vicina alla finestra, protetta dal buio, Jane cerca di interpretare i segni offerti dalla scena: un libro e due ragazze in un interno domestico. Jane osserva come le due ragazze abbiano, nella loro stranezza fisiognomica, elementi a lei familiari; i loro lineamenti pallidi e severi sono un’anticipazione della scoperta che sarà fatta non molto tempo dopo: Diana e Mary Rivers sono sue cugine. Un altro segno importante è costituito dal fatto che Diana e Mary siano intente a leggere: per Jane la lettura rimanda all’apertura mentale, all’accoglienza dialogica, alla dimensione culturale e alla convergenza spirituale. Per Jane, vedere le due ragazze con un libro in mano diviene un poderoso veicolo di comunicazione e comunione. Ma la scena delle due sorelle Rivers lancia un preciso avvertimento anche al lettore: il mondo silenzioso e immobile di Moor House non solo si configura come uno spazio della rinascita di Jane e anche della sua individuazione sociale, ma esso assume i tracciati convergenti di un’apparente finale armonia tra la brughiera, la casa e i suoi abitanti. Timorosa di essere scoperta, l’eroina si presenta alla famiglia come Jane Elliot, circondando la sua figura di reticenza e mistero. Rivelerà la sua storia solo quando si convince che Moor House sembra offrirle le risposte a lungo cercate, sia in termini vocazionali (il lavoro come insegnante), sia nella prospettiva di una costruzione identitaria anche sulla base delle sue origini. La casa nella brughiera è la messinscena ideale dei valori che si oppongono alla triade corpo/freddo/sofferenza. Jane trova un ambiente umanamente ricco in cui viene dato il primato al lavoro e all’impegno sociale, senza mai rinunciare all’istanza valoriale dello spirito. A Moor House tutto agisce in direzione della restituzione morale di quanto le avversità hanno tolto a Jane. Se è vero che qui l’eroina trova infine il calore umano e l’affetto, va nondimeno dimenticato che a diciannove anni si rende conto che dentro di sé si agitano ancora sentimenti e ombre che rinviano al suo più recente passato, alla sua passione amorosa e capisce che quella casa non è e non poteva essere la sua vera dimora. 21 Sul piano diegetico, a rompere il raggiunto equilibrio psichico di Jane Entra in scena St John Rivers, il fratello di Diana e Mary, curato di Morton, il quale ben presto si convince di scorgere nella cugina ritrovata la potenziale compagna dei suoi progetti di missionario. Oltre ad apparire come una personalità pressoché impenetrabile, St John Rivers mostra di essere animato da uno zelo calvinista, come risulta dal suo profondo convincimento di essere stato chiamato da Dio alla colonizzazione religiosa e culturale delle popolazioni dell’India. In questa sua voglia di realizzare un imponente progetto di evangelizzazione, St John parrebbe somigliare a Jane, che è mossa anche da ambizioni e desideri che vanno ben oltre lo spazio di Marsh End. St. John chiede a Jane di seguirlo quale moglie legittima, espungendo dal loro legame il corpo e la sessualità. In breve, Jane come moglie pronta al sacrificio per il suo uomo, ma non già come una moglie da amare con passione e desiderio. Jane manifesta una iniziale disponibilità a seguirlo a patto che le sia consentito di rimanere, anche in quei territori lontani, una donna libera e indipendente, impegnata a servire Dio e la causa dell’evangelizzazione su un piede di parità. Ma, dopo essersi resa conto che con il cugino nessuna mediazione era possibile, Jane si sente invasa da un moto di rifiuto radicale. Jane si ritrova in un mondo che non è più quello che aveva immaginato come possibile dimora dei suoi affetti e dei suoi desideri e un nuova fuga dallo spazio appena conquistato diviene l’unica alternativa possibile. Nessun uomo, in definitiva, riesce a dettare a Jane quello che deve o non deve fare: la sua libertà sta nella sua capacità di ribellarsi a ogni forma di dominanza maschile, i cui condizionamenti, innestandosi sulla sua condizione di donna, ne avrebbero ammorbato la linfa vitale, riducendo al grado zero la sua crescita in termini di vocazione e pienezza dell’essere. Senza sapere che Thornfield e Bertha sono stati cancellati da un vasto incendio, Jane sente telepaticamente la voce di Rochester e corre verso di lui. Non è una coincidenza che il romanzo si concluda a Ferndean Manor, la casa assolutamente isolata di Rochester, dove ogni oggetto parla un linguaggio dal quale sono state espunte le parole di rivolta e insubordinazione. CONCLUSIONI Non può meravigliare che l’ultima pagina di Jane Eyre sia su St. John Rivers, del quale la voce narrante racconta la missione evangelizzatrice, culminata nel suo sacrificio. Nel quadro di una strategia narrativa che mira a gratificare il lettore con un finale ritratto positivo di St. John, l’autobiografa conclude il personale percorso attraverso la sua vita, informando il lettore che le cugine Diana e Mary si sono entrambe sposate e, soprattutto, mettendo l’accento sulla fine coraggiosa del cugino, non senza lasciare intendere come la sua morte rientrasse nel progetto di St. John intento a far iscrivere il suo nome fra gli eroi della nazione inglese. Il romanzo si chiude con le parole di una lettera di St. John che dislocano l’autobiografia su un piano in cui il codice biblico si intreccia con un discorso intriso di patriottismo che, quale martire della fede e del colonialismo, colloca il ritratto di St. John in una galleria di figure le cui azioni sono la riaffermazione della grandezza della civiltà britannica. D’altra parte, quando il curato di Morton le aveva confessato i suoi progetti, Jane avea immediatamente letto nelle sue parole la passione per la sua madrepatria di un patriota austero, che rinvia alla più estesa e articolata politica coloniale del governo inglese. La morte di St. John rimane il sostanziale attacco frontale che Bronte porta al calvinismo. Lo fa con questo personaggio che si colloca agli antipodi di Rochester, per il quale la città e le nazioni del 22
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