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Riassunto Introduzione a Beowulf (Koch), Appunti di Filologia Germanica

Riassunto dell'Introduzione a Beowulf, a cura di Ludovica Koch.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 25/09/2022

Lav324
Lav324 🇮🇹

4.3

(9)

30 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Introduzione a Beowulf (Koch) e più Appunti in PDF di Filologia Germanica solo su Docsity! Beowulf (A cura di Ludovica Koch). Il Beowulf è forse il solo poema al mondo interamente dedicato a uno dei temi mitici più antichi e universali: la lotta vittoriosa di un eroe umano con un Mostro assassino e devastatore. Il tema, che nel poema si ripete per tre volte (nel racconto dei combattimenti successivi di Bèowulf con due orchi > Grendel + sua madre e con un drago), è probabilmente la figurazione esemplare del lavoro delle culture: il controllo del Caos, l'imposizione di un centro e di un ordine all’esperienza >>> Beowulf con le sue abilità riesce a fermare Grendel, che è visto come portavoce del Caos. E questa è la vicenda primaria che fonda il ciclo di Gilgames come quello di Ulisse; che, nel mito greco, si ripete nelle storie di Apollo e Pitone, di Ercole e dell’idra, di Cadmo e del drago, di Perseo e del mostro marino > sono tutti esempi di eroi mitici che lottano contro un mostro. La versione occidentale più celebre di questo archetipo è la leggenda cristiana di San Giorgio, rinarrata per esteso da Jacopo da Varagine nella Legenda aurea > fondamentale tema iconografico. INTRODUZIONE di Ludovica Koch. Questo poema racconta una storia semplice e significativa, e almeno un’altra complicata e nascosta. 1. La storia semplice è una vicenda di mostri, di paura fisica e di controllo della paura. Un ragazzo straordinariamente forte si mette per mare con l’idea di andare a sbarazzare la reggia di un altro paese da un Orco devastatore e assassino. È poi costretto a combattere pericolosamente anche la madre dell’Orco. Lo stesso ragazzo, diventato vecchio e re, parte molto più tardi (ugualmente da solo) per affrontare un drago di fuoco e strappargli un prodigioso tesoro. Tanto lui che il drago muoiono nell’impresa, e il tesoro finisce per non servire a nessuno. Alla sua vicenda di mostri, il Beowulf deve non solo l’invenzione, ma l’unità e la sopravvivenza. Lo schema elementare del combattimento tiene infatti insieme, ripetuto per tre volte, l’intero racconto. È un unico codice del decimo secolo, concepito come una minuscola biblioteca di meraviglie o come un’enciclopedia delle difformità - comperato da un antiquario secentesco, bruciacchiato da un incendio settecentesco (Cotton Library) -, ha conservato fino a noi il poema. Il manoscritto (Cotton Vitellius A. xv.) raccoglie:  la Vita di un San Cristoforo cinocefalo,  le Meraviglie d'Oriente,  le Lettere di Alessandro ad Aristotele,  il Beowulf,  il poema di argomento biblico: Giuditta. È assai difficile parlare ordinatamente del Beowulf per la sua antichità, il suo isolamento, il nulla che sappiamo delle sue motivazioni e del suo metodo di composizione, per le sue doppiezze, oscurità, stridori. Portano a congetture. È difficile parlarne proprio per l’ingannevole semplicità della sua storia, e per la grandiosità dei suoi temi. La vicenda procede per continue catastrofi, «rovesciamenti» traumatici, benché annunciati in anticipo. Le sorti collettive e private passano da abissi di orrore a vertici di sollievo, e di nuovo sprofondano nella desolazione. A differenza dei romanzi cortesi, il Beowulf non attenua la sensazione di disastro. La storia usa e collega simboli primari, vicende archetipiche, ma anche mostri, discese agli inferi, smembramenti, tesori e meravigliosi edifici. >>> ne mette in risalto la portata collettiva e senza tempo, dilatando gli effetti visivi e sonori, profondendo segnali di eccezione, indulgendo alle iperboli (il fiore delle feste, la perla delle spade, la collana più fulgida). Il Beowulf ha una reale complessità intellettuale. I suoi strumenti di rappresentazione sono raffinati e sensibili. Le sue abitudini mentali sono anche relativistiche e ironiche. È un testo insolitamente diretto e non ce ne sono molti, di poemi sui mostri. È più facile che il tema dell’eccessivo e del deforme venga usato staticamente, a fini esemplari e conservativi (come i diavoli negli affreschi del Giudizio), piuttosto che raccontato. I mostri abitano i deserti, le zone di confine, le montagne inaccessibili, le foreste impenetrabili: luoghi dove il viaggio è obbligato ad arrestarsi. Odisseo potrebbe e dovrebbe salvarsi da Polifemo, come lo supplicano di fare i suoi compagni, ma vuole vedere a tutti i costi «il Ciclope in faccia. Il giovane Bèowulf potrebbe godersi «il suo podere in patria», crogiolandosi nella sua già straordinaria e meritata «fama di guerra». Ha ammazzato giganti e serpenti marini. Ha dimostrato di saper nuotare per cinque notti di seguito, e d’inverno.  Che cosa lo spinge dunque a traversare un braccio di mare, laboriosamente (cominciando col farsi costruire una nave), contrastatamente (il re suo zio lo supplica in tutti i modi di togliersi l’idea dalla mente), non richiesto, male accolto (interrogato sospettosamente dalla sentinella, sbeffeggiato alla corte danese), per andare a incontrare in un paese straniero un Orco più straniero ancora, devastatore ormai cronico? C’è un tipo speciale di stupidità, nell’irrequieta e attiva cultura germanica antica, che è il non avere mai visto nulla di chi è rimasto a casa (aisl. heimskr). Il viaggio di Béowulf è soprattutto un’esperienza inevitabile di formazione. Lo spingono il suo «largo» e soccorrevole «cuore», e la sicurezza di una forza fisica senza confronti. Ma lo attira la rischiosa «avventura», la «forza dell’ignoto». Ha voglia di studiare da vicino l’enorme Orco femmina, il corpo a corpo diretto con la madre di Grendel è il solo modo per guardarsi e misurarsi a vicenda. La colluttazione con la madre di Grendel è altamente drammatica, perché si svolge in un bilanciamento assoluto di forze e di sorti. Il Mostro e il suo avversario tendono a mimetizzarsi reciprocamente. Nel momento in cui affrontano il drago, sia Béowulf che Sigemund (l’eroe «più famoso» delle leggende germaniche) diventano «mostri» anche loro. A forza di inseguire orsi e lupi, raccontano le saghe, si diventa per qualche tempo «lupi della sera» e orsi mannari. Ma soprattutto, è possibile cacciare orsi, lupi e serpenti solo se si ha una natura in qualche misura lupesca o serpentina.  Come stupirsi del fatto che i compaesani stessi di Bèowulf, che lo conoscono bene, siano tanto impazienti di liberarsi di lui mandandolo a combattere oltremare? C’è un terribile momento, nell’ultima parte del poema, in cui il drago e Béowulf si guardano in faccia, e si spaventano l’uno dell’altro. E nel finale, l’eliminazione reciproca e contemporanea del re e del drago, accomunati dalla stessa ‘dismisura’, appare dolorosa ma necessaria. > SIMMETRIA. I due avversari sono stesi morti sull’erba uno accanto all’altro. Le molte figure di reciprocità sono legate a gesti di ostilità e di violenza. Un «fratello» ammazza il «fratello», un «guerriero» vivo spoglia un «guerriero» morto. L’aggressione è una relazione come un’altra. Soprattutto è la sola (con le attrazioni d’amore) che può capovolgersi in qualunque momento, a seconda dell’umore e del caso. La semplice storia del Beowulf non è dopotutto tanto semplice, e soprattutto non è chiara. Il potere dell’archetipo del San Giorgio (o di Perseo, o di Apollo e Pitone, o, per restare in area nordica, di Pórr e del Serpe del Mondo) sta nella sospensione e nel bilico almeno quanto nella polarizzazione. Non a caso si presta assai di più all’iconografia che alla narrazione. Se è raccontato, il suo esito non può che apparire arbitrario e improprio. L’approccio troppo diretto del Beowulf allo schema troppo eterno dell’Eroe e del Mostro - la sua imbarazzante «storia da quattro soldi» - è meno diretto di quanto sembri. La cultura germanica ha fondamenti più statistici che logici. La tecnica di racconto è decentrata, reticente, frammentaria che si sofferma sugli accidenti più marginali o più curiosi. Una delle scene più impressionanti del poema, la colluttazione fra Bèowulf e Grendel, è raccontata addirittura dall’esterno della reggia, e solo nelle sue conseguenze o nelle sue manifestazioni estreme. Come se il narratore fosse scappato. Si vedono le panche divelte che schizzano via dalla soglia; si sentono il fracasso, le pareti che tremano, il terribile ululato del Mostro. Una serie di aggettivi segnala la possibilità di risalire da indizi minimi a ‘qualità’ personali, innate o acquisite, che non hanno a che fare con la volontà e la consapevolezza di chi le possiede. La vicinanza della morte, la fortuna o la sfortuna, la «dote» della vittoria. Una serie di sostantivi, in parte personificati per influsso classico o cristiano (metod, wyrd, gescipé) delimita invece un oscuro campo semantico, ha a che fare con la «misura», e con la «ventura» dei singoli, e su cui si è molto speculato, cercandovi i fondamenti del famoso fatalismo germanico. A quanto appare dal poema, non si tratta tanto di un disegno organico dell’esistenza, o di un destino positivo: ma piuttosto di una maggiore o minore adeguatezza alle prove dell’esperienza. La «misura» assegnata a ciascuno comporta anche una «natura», una competenza potenziale specifica (w. 1724-34). Si parla di interventi della wyrd, invece, nei casi di sbilanciamenti subitanei. Una bufera può scoppiare o dissolversi. Non si prevedono mai più di due possibilità. E specularci sopra è una perdita di tempo. Bèowulf nomina la wyrd soltanto quando è veramente in dubbio se la battaglia «porterà via» lui o il suo avversario. Fa testamento: e continua filosoficamente per la sua strada. «Il destino va sempre | come gli tocca andare». La sorte, dunque, cade come la pioggia, con indifferenza apparente, e non può essere stornata né anticipata. Assecondata (o contrastata) può essere invece la sorte interna (eorlscipe, «nobiltà» o «rango»). Ma è rappresentato attivamente e lucidamente anche il processo dell’assistere alla propria storia, ed eventualmente al proprio disfacimento. È questo uno degli aspetti più significativi e originali del poema. Si subisce, ma si studia anche quello che si sta vivendo, lo si sperimenta consapevolmente, si «passa», si sta a vedere. Oppure si investe, nel «soffrire», la concentrazione e il dispendio di energie che richiederebbe un’iniziativa. Si «spera», anche, ma augurandosi obiettivi ragionevoli e limitati (willan). Si può pensare che questa cultura puntasse soprattutto a istituire un equilibrio dinamico e socialmente utile fra le spinte attive e le spinte passive, orientandole verso schemi di azione di interesse collettivo: anche a costo di tornare a raccontare storie di trionfi dell’Eroe sul Mostro. L’obiettivo etico inglese consiste in una costanza di ripeness: prontezza e adeguatezza alle imposizioni variabili del mondo esterno. L’autore del Beowulf pare conoscere già la scoperta di William James per cui il corpo risponde automaticamente alle richieste della situazione e solo in un secondo tempo motiva i suoi gesti con le emozioni, voglie e paure. Heremód rompe l’equilibrio lasciandosi invadere dagli impulsi interni («i getti dell’angoscia»), e resta «paralizzato». Diventato così socialmente di peso, viene eliminato. Si tratta, dunque, soprattutto di tenersi «svegli» e «attenti». Chi si addormenta è «finito, condannato», pronto per essere fatto a pezzi dall’Orco (v. 1 241). L’equilibrio fra la propria condizione e la propria disposizione è attivo e mobile. La cultura propone copioni rudimentali d’azione, modelli di comportamento ispirati a virtù sociali come la generosità e la fama (dóm). Si trasferisce su un piano collettivo e più lungimirante il grande ragionare utilitaristico che si fa nel poema, e che senza dubbio è basato non solo su una prassi, ma su una concezione economica dell’esistenza. Ogni azione è innanzitutto un «affare», buono o cattivo che sia; ogni risultato si paga, più o meno caro, i colpi si rendono, i conti si saldano: fino all’ultimo e in contanti. «anelli» che il principe «spezza» fra i suoi vassalli, e che sono poco di più che peso d’oro grezzo. Si tratta, inoltre, di coppe, armi, anfore ereditati da lontane generazioni, e mai dispersi. Le reliquie sono autentici feticci, in età anglosassone. Il poeta è un intenditore e un amatore di gioielli. Deve parlare di tecniche precise. Ha davanti agli occhi forme decorative e disegni: animali fantastici, volute, intrecci. Il tema dei gioielli è uno dei più interessanti del poema. Rinvia, sembra, a un'idea di perizia artigiana come controllo e ordinamento ‘manuale* della storia. La natura stessa è vista come intervento e artificio. Il Creatore «decora» di fiori e di foglie «la veste della terra», il sole è la «gemma del cielo». Il passato è rimpianto perché letteralmente d’oro. L’ostentazione degli ori è segno e ragione di prestigio, di potere, di sicurezza. La qualità desiderabile dei gioielli consiste nel puro godimento visivo. I metalli preziosi sono capaci di riflettere la luce mobile delle candele e delle torce, e quasi di illuminare da sé. La letteratura anglosassone, laica o religiosa che sia, è prevalentemente di interni. Ci sono aggettivi di colore che indicano esclusivamente il bagliore diverso di oggetti diversamente metallici al sole. La storia europea e le letterature romanze lodano, per tre secoli e mezzo, l’oreficeria «inglese». La raffinatezza tecnica si accompagna a un gusto «stravagante». Beda racconta di uno stendardo d’oro piantato sulla tomba di un certo re Oswald. L’arazzo di Bayeux, assai più tardo, è lavoro inglese. L ’architettura insegue le stesse qualità espansive e labirintiche della decorazione. Gli edifici sono valutati non tanto per meriti di proporzioni e di armonia spaziale. La meravigliosa reggia di Hródgàr, il Cervo, è rappresentata per impressioni visive e il risultato è uno sfalsamento di piani assai suggestivo: l’effetto di una struttura sospesa più che profonda, elastica e mobile. La percezione delle cose è solo un risultato indiretto della percezione dei fatti: movimenti e azioni. Il lugubre paesaggio montano dove si stende la laguna di Grendel si manifesta per la prima volta quando viene percorso (prima mentalmente, nel discorso di Hródgàr a Béowulf; poi nella realtà del racconto). Anche la Casa per eccellenza, il Cervo, è vista solo attivamente. Prima quando viene ‘fatta’: fabbricata da operai di molte tecniche, dopo un bando dei lavori divulgato ai quattro venti, fino ad apparire «perfetta in ogni giunto». Vola in pezzi, letteralmente, durante la colluttazione fra Béowulf e Grendel. Brucia, finalmente, nell’anticipazione ripetuta della faida fra Hródgàr e Ingeld, suo genero. Ogni casa, ogni città, ogni costruzione diventa naturalmente e subito un modello dell’organizzazione possibile dello spazio, che media tra ordine minimo e ordine massimo: il corpo e il cosmo. Una Casa (il Cervo) che sia stata progettata, come lo saranno le cattedrali gotiche, al limite superiore delle possibilità tecniche, incomparabile a tutte le costruzioni precedenti > cosmo. Sul corpo è modellata invece l’altra costruzione del poema, il Tumulo abitato dal Drago: sul cadavere che contiene. La costruzione del Cervo ‘pesa’ eccessivamente sul Mondo di Mezzo abitato dagli uomini. Provoca uno squilibrio con l’esterno, e quindi un’invasione e un conflitto. La presenza di questa stravagante fabbrica lucente e nuova «dentro le notti nere» è un insulto alla pace precaria dell’universo. Grendel causa il primo dei numerosi «rovesciamenti delle sorti» che costituiscono il più vistoso principio costruttivo del poema. Il tema del rovesciamento, della «svolta» nei due piani dell’invenzione, i ‘materiali’ e la ‘forma’ (gli uni e l’altra tradizionali) e rende conto dei principali procedimenti che li adattano gli uni all’altra. Caedmon, ci dice ancora Beda, «accoglieva tutto quello che sentiva e lo conservava nella memoria: poi, rimasticandolo come un ruminante, lo trasformava in dolcissima poesia». La metamorfosi, il «ruminamento», è un lavoro della forma. Dei generi, innanzitutto: che, a quanto appare dal poema, sono almeno due, l’encomio e la poesia narrativa. È possibile che nella cultura anglosassone precedente al Beowulf e in generale nelle società germaniche antiche, esistessero anche due distinte figure professionali di poeta: un panegirista e un aedo, un tipo di Pindaro e un tipo di Omero o, come forse nell’Islanda del ix e x secolo, uno scaldo e un poeta eddico. Forse, a quanto fa pensare la nomenclatura, era esistito addirittura, nel passato tribale, un terzo specialista: il vate o poeta cultuale, lo fryle e lo fruir”. Si può anche ammettere la possibilità di una figura professionale totalmente ricostruita (come del resto il suo datore di lavoro, il re- sacerdote). E evidente, tuttavia, non solo che all’epoca del Beowulf lo fryle non era più che un nome. Devono essere state soprattutto l’invenzione e la disposizione degli argomenti (da quanto lascia capire il nostro poema) a tenere distinte l’epica e la lirica cortese. Ma è possibile che, come fra Edda e la poesia degli scaldi, come fra Omero e Pindaro, differissero anche la qualità della dizione e la frequenza degli artifici. L’allitterazione mette in moto figure che non hanno un nome nell’unico trattato di poetica del Medioevo germanico, quello di Snorri Sturluson, ma che non per questo sono meno conosciute nella pratica. Metafore e metonimie, congerie, enfasi, ossimori, paradossi. Il lavoro del poeta consiste nel «variare le frasi». La variazione è appunto il tratto stilistico più vistoso e più diffuso del Beowulf. È applicata a tutti gli ordini del discorso. Come si noterà leggendo, il poeta eccita la sua sottigliezza analitica per dire cose realmente diverse: per contrapporre, anche ironicamente, punti di vista parziali, emozioni. Lo stesso principio della variazione governa il livello superiore dei significati. Le aggregazioni dei motivi intorno ai grandi temi della Vanità e del Caso, la triplice ripetizione del mythos del Combattimento. Con intenzione, credo, il poeta denota il procedimento tecnico della variazione con la formula dello «scambio di parole» (wordum wrixlan). Bèowulf attraversa il mare tanto per attaccare Grendel che per «scambiare due parole» {wordum wrixlan) con l’antico amico di suo padre, che ha visto da bambino. Può darsi che lo schema del dialogo sia il più adatto, se non a spiegare, almeno a mantenere sospesi gli equilibri interni di questo poema senza nome d’autore, geograficamente e cronologicamente dubbio, né epico né drammatico, cristiano e pagano, orale e scritto, che racconta storie straniere e remote, quando non assolutamente fuori del tempo. Nota al testo. Il Beowulf è il più antico testo poetico lungo in un volgare europeo. È l’unica epica compiuta delle letterature germaniche antiche. È il testo più importante e più ricco della letteratura anglosassone. E uno dei pochi libri al mondo dedicato fondamentalmente al semplice schema archetipico del combattimento fra un uomo e un mostro (trattato, tuttavia, in modo tutt’altro che semplice). In poco più di tremila versi, suddivisi irregolarmente in 43 capitoletti o fitts (non sempre secondo una scansione logica: forse seguendo la numerazione di un manoscritto più antico, forse per le necessità della recitazione) il poema racconta una storia che interseca elementi mitici, favolistici, leggende eroiche, fatti storici documentati e databili. Un fortunato re di Danimarca, Hródgàr, si fa costruire una splendida reggia, il «Cervo», che progetta come luogo di pace sociale e di feste, ma che presto viene infestata da un orco gigantesco proveniente da una misteriosa zona paludosa: Grendel. Dopo dodici anni di impotenza e di stragi, un giovane principe geata (della Svezia meridionale), Bèowulf, viene in aiuto di Hródgàr. È dotato di una forza fisica assolutamente eccezionale, e decide di attaccare Grendel a mani nude. La notte stessa ha luogo un terrificante duello tra Bèowulf e Grendel, che ha la peggio e riesce a scappare solo lasciandosi strappare un braccio, e solo per morire poco più tardi. Bèowulf attacca al tetto del Cervo il braccio dell’orco in segno di vittoria, e viene festeggiato, lodato, ricompensato per il suo coraggio dal re e dalla regina. Ma la liberazione dal terrore è solo provvisoria. Dalla palude arriva alla reggia la madre di Grendel, per vendicare il figlio ucciso. Rapisce e uccide un cortigiano, riuscendo a fuggire. Bèowulf, pregato da Hródgàr di andare a stanare anche il nuovo Mostro nella sua laguna, accetta e si immerge armato. Nella caverna subacquea di Grendel e di sua madre, Bèowulf combatte con la Donna del Lago, senza riuscire ad avere la meglio. Potrà ucciderla solo servendosi di una gigantesca spada magica trovata nell’antro. Risalito portando con sé la testa di Grendel come prova di un trionfo definitivo, Bèowulf viene di nuovo festeggiato con un convito, con regali preziosi, con le canzoni del poeta di corte. Prende quindi commiato da Hródgàr (che lo ammonisce contro il pericolo della superbia) e torna in patria. Al re dei Geati, Hygelàc, regala la sua ricompensa e racconta l’avventura. Cinquant’anni dopo, ritroviamo Bèowulf re dei Geati, vecchio e famoso. Improvvisamente un drago, che dorme dentro a un tumulo funerario sorvegliando il tesoro di un popolo scomparso, si trova derubato di una preziosa coppa. Esce allora a volo, di notte, e devasta con il suo fiato di fuoco l'intero paese e la reggia di Béowulf. Il re si decide allora ad attaccarlo, anche per conquistare alla sua nazione il tesoro. Ma gli si spezza la spada, e il fuoco del drago lo avvolge. Solo con l’aiuto di un giovane nipote, Wìglàf, Béowulf riesce finalmente a uccidere il mostro. Ne resta, però, ferito a morte e avvelenato. Per i Geati la scomparsa del loro difensore significherà il disastro: l’invasione dall’esterno, la prigionia e la scomparsa della nazione. Con lugubri presentimenti si prepara a Béowulf un grandioso funerale: il rogo e, subito dopo, la sepoltura in un tumulo in riva al mare, con tutto il tesoro accanto, «inutile come era sempre stato». Il codice miscellaneo che riporta, unico, il poema (intitolato al suo protagonista solo nell’Ottocento) ha sicuramente dietro di sé una considerevole tradizione scritta, e forse anche orale. La disputa sulla datazione e sulla composizione ha assorbito a lungo la riflessione critica e si è riaccesa recentemente, con strumenti nuovi, dopo alcuni decenni dedicati soprattutto a uno studio sistematico e strutturale del poema. Fin dall’inizio è parso necessario combinare le ragioni interne di datazione (la lingua, le forme, i temi) con le ragioni esterne: la storia, l’archeologia, le altre letterature europee. Alla lingua (un sassone occidentale stilizzato che comprende arcaismi e forme regionali) non si attribuisce oggi più una funzione di indizio storico e geografico. Si tratta infatti evidentemente di una lingua poetica, sintetica, artificiale. La materia del poema è interamente scandinava: sembra quindi presupporre un periodo di interesse per la cultura nordica impensabile dal rx secolo in poi (nel clima di ostilità e di terrore introdotto dalle razzie vichinghe), e una raffinatezza logica e tecnica sviluppatasi almeno con l’età di Beda (vii-viii secolo). Si è fatto tuttavia notare che l’argomento dei pessimi rapporti con i vichinghi è troppo semplice. Già nell’età di Alfredo il Grande (tardo ix secolo), le guerre non impediscono sistematiche relazioni culturali, oltre che politiche, fra Inghilterra e Scandinavia. E forse un poema chiaramente non realistico, come il Beowulf, che tratta della fuggevole gloria dei re danesi, non è fuori posto in quel clima incerto e tempestoso. Se si spinge la datazione ancora oltre, nel x secolo (caduto il pregiudizio sull’antichità come criterio di valore di un testo), la conflittualità attenuata del Danelaw e le relazioni ormai strette con la Scandinavia possono spiegare non solo la derivazione nordica della materia, ma l’influenza della tradizione scaldica sulla dizione e sulle tecniche di invenzione. Il manoscritto del Beowulf è ora conservato al British Museum, il codice Cotton (dall’antiquario secentesco Sir Robert Cotton) Vitellius (dalla sistemazione nella sua biblioteca, sotto il busto dell’imperatore romano Vitellio) a xv risale al x secolo, è stato composto da due scribi che si danno il cambio a metà del nostro poema e raccoglie cinque testi in prosa e in poesia, accomunati forse dal tema del meraviglioso e del mostruoso (la Passione di San Cristoforo - un san Cristoforo cinocefalo - le Meraviglie d’Oriente, le Lettere di Alessandro Magno ad Aristotele, il Beowulf , appunto, e la Judith, frammentaria). Danneggiato da un incendio settecentesco, che ha reso in parte illeggibili gli ultimi fogli del poema, il codice è di fattura corrente, e non sembra far parte di una larga diffusione. Tendono invece a promuovere una datazione precoce argomenti come l’evidente familiarità del pubblico del poema con eroi scandinavi databili al v e al vi secolo (ma è facile invocare l’analogia dell’Edda, dove i riferimenti storici al Sigurdr sono ugualmente stranieri e lontani nel tempo); o la diffusa terminologia biblica e patristica. Nella brillante età di Beda, lo sfondo più adatto sarebbe forse la corte del dotto re Aldfrid di Northumbria, morto nel 705. Pensando invece all’viii secolo, non si può evitare di vedere nel poema un riferimento diretto al re Offa della Mercia: il più importante re dell’Inghilterra del tempo, avversario diretto di Carlo Magno. Uno strumento di datazione particolarmente suggestivo è lo splendido tesoro funerario trovato nel 1939 a Sutton Hoo, nel Suffolk (l’antica Anglia orientale). Nella sepoltura all’interno di una nave interrata, sicuramente regale e datata fra il 625 e il 655, si sono trovati armi e gioielli con caratteristiche sorprendentemente simili a molte descrizioni del Beowulf: «preziosità portate da paesi lontani» (bizantine, celtiche); un elmo con fregi a figure di cinghiale e una cresta intrecciata a un filo d’argento; un liuto; uno scudo con larga borchia centrale; una cotta di maglia. Si sarebbe spinti così a pensare che il racconto dei funerali di Scyld, nel poema, conservasse la memoria della sepoltura di Sutton Hoo. La cultura aristocratica, inoltre, non si limitava alle corti. Il poema avrebbe potuto essere stato composto, invece, in uno dei ricchi e potenti monasteri legati alla nobiltà anglosassone (a partire dal vii secolo) da vincoli molto stretti. I monasteri erano inoltre, come si sa, luoghi di raccolta e di diffusione di una cultura che avrebbe spiegato la molteplicità e la varietà delle letture dell'autore del Beowulf. È probabile che i due piani ideologici del poema, quello eroico e quello cristiano sarebbero apparsi come naturalmente complementari, e i due modelli etici come collegati, tanto a un pubblico di corte che alla popolazione di un’abbazia affidata alla recitazione davanti a piccoli gruppi, forse in più tempi. L’articolazione del poema in tre blocchi tematici di un migliaio di versi l’uno (autonomi perché provvisti ognuno di prologhi, riepiloghi e epiloghi), sembra indicare appunto la destinazione a tre sedute successive di un’ora circa. Se dunque la trasmissione (come sembra) era soprattutto orale, può essere stata orale anche la composizione del poema? Bisogna pensare a un unico autore semiletterato (un uomo che si ponga, cioè, nella tradizione della poesia anglosassone, in una linea ideale di transizione fra Caedmon e Cynewulf), o immaginare che uno o più cantori fossero venuti riprendendo variamente, sull’accompagnamento dell’arpa, un materiale tradizionale? È richiamo iniziale all’ascolto e all’attenzione, i molti interventi d’autore («ho saputo», «mi hanno detto»), l’articolazione convenzionale e fissa tanto della lingua quanto delle tecniche (le anticipazioni, le retrospezioni, i riassunti, le ripetizioni...) e dei temi hanno fatto pensare ripetutamente a una composizione orale-formulaica. Altri critici segnalano invece il carattere letterario e consapevole tanto della dizione formulare che del trattamento tipico della storia. La definizione stessa di formula, all’interno di questo poema specifico, è stata molto discussa. Si sono fatti notare la scarsa economia degli epiteti e dei sinonimi, l’altissima percentuale degli arcaicismi, e di conseguenza la grande innovatività del lessico del poema. Più in generale, il carattere non prevalentemente accumulativo, ma accuratamente bilanciato, sia della sintassi che della narrazione. L’allitterazione è un elemento indispensabile e costitutivo del verso. Ma assume anche importanti funzioni di collegamento semantico: per analogia, per contrasto, per implicazione logica. La gerarchia semantica definita dal verso fra gli elementi della grammatica è anche la base della dizione poetica. Come teorizzerà molto più tardi Snorri Sturluson per la poesia scaldica, il principio della lingua poetica è la «modificazione» nominale. Si tratta, cioè, di sostituire al termine proprio e prosastico uno o più heiti (sinonimi rari e preziosi: arcaismi, neologismi, aggettivi usati per antonomasia), definendo così la cosa o la persona attraverso un’angolatura inusuale, pertinente direttamente o ironicamente al contesto; o una kenning (una perifrasi o un composto perifrastico a carattere metaforico - «getti dell’angoscia», «vasca del gabbiano» - o metonimico - «casa dell’idromele», «collo ad anello» o metaforico e metonimico insieme; o né metaforico né metonimico ma, per esempio, antonomastico: «il figlio di Ecgthéow»). Il Bèowulf usa kenningar dal referente evidentissimo, e spesso addirittura a fianco del termine proprio: con funzioni tipizzanti o, al contrario, individuatrici. Tanto gli heiti che le kenningar sono applicati quasi esclusivamente ad alcuni campi di significato (e quindi «re», «guerriero», «spada» e «nave»; ma anche, e soprattutto, «cielo», «sole», «notte», «corpo»). I principali reticoli semantici del Beowulf passano anche per gli aggettivi e per i verbi. Tuttavia sia gli aggettivi semplici che i verbi, anche se usati figurativamente, sono di uso corrente. Invece oltre la metà del lessico nominale e degli aggettivi composti è costituito da soluzioni uniche, forse invenzione del poeta. Il lessico cristiano, poi, è assai rigido: calchi dal latino o termini d’uso con un'accezione religiosa aggiunta. La variazione, principale artificio stilistico del poema, accumula due o più definizioni parallele, ma diversamente angolate, dello stesso oggetto o della stessa azione. Coinvolge nomi, aggettivi e interi sintagmi. Compie operazioni assai differenti, come prolungamenti di effetti sensoriali o mentali, spostamenti di prospettiva, rapide transizioni retoriche, rallentamenti studiati. Su un piano sintattico superiore, costituisce forse il modello di una speciale tecnica narrativa di questo poema: l’associazione per coaguli e attrazioni di storie diverse intorno a uno stesso motivo. Un’altra diffusa figura è la ripetizione: a distanza (come nel caso delle formule e delle parole chiave) o ravvicinata (come nei caratteristici nessi reciproci: «nemico contro nemico», «un fratello al fratello). Sul piano narrativo, la ripetizione si traduce in ripresa, riassunto, serie di scene tipiche (sempre variate, secondo la pratica orale). La litote lavora per beffarda o stoica riduzione o, al contrario, per impressionante dilatazione degli effetti. Dagli occhi di Grendel sgorga «una luce non bella. Sul piano narrativo, la litote si traduce in ellissi: e non solo nel molto non detto, ma nelle mancate reazioni, nelle mancate risposte. La sintassi non conta più di venticinque tipi di nessi, non è soltanto coordinazione, spesso asindetica, come ci si aspetterebbe in un poema consapevole dei metodi orali di narrazione. E anche ipotassi: periodi lunghi, aggrovigliati, relazioni cronologiche. Trasferita dal piano del periodo al piano del testo, la paratassi diventa montaggio di primi piani e di scene staccate, spesso con grandiosi risultati di contrasto; mentre la subordinazione (che nel periodo ingloba senza assimilarli incisi, proverbi, massime) muove la macchina narrativa allo stesso tempo in avanti e all’indietro: in direzione, cioè, di un torbido futuro o di un passato mitico e vertiginoso. La costruzione (il racconto delle tre grandi battaglie di Bèowulf e le numerose digressioni che lo intersecano) è stata assai diversamente descritta e spiegata. Forse uno schema di addensamento ‘magnetico* degli episodi intorno al personaggio centrale; o una costruzione binaria, a dittico (l’Ascesa e la Caduta dell’eroe) che riprende e ingigantisce il modulo minimo del testo. O ancora, un’articolazione dell’azione in tre momenti ascendenti: una vicenda esemplare di formazione, che va dal guerriero ideale al sovrano ideale. O infine una costruzione a zig-zag, un disegno di continua frustrazione. La presenza nel poema di un vistoso elemento gnomico e didattico, e ancora più la diffusa benché superficiale apologia cristiana, ha tentato fin dall’inizio i critici a vedere una vera allegoria, nei gusti per esempio dell’età di Beda. Alle ipotesi ottocentesche del mito naturalistico e stagionale (la difesa delle terre coltivate dall’infuriato Mare del Nord) si sono sovrapposte
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