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Riassunto "Introduzione all'archeologia" di Bianchi Bandinelli, Sbobinature di Archeologia

Riassunto del libro "Introduzione all'archeologia" di Bianchii Bandinelli il quale tratta della nascita dell'archeologia e cita l'archeologia greca e romana parlando dell'evoluzione del pensiero archeologico, metodi di studio e fondamentali delle discipline

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 04/03/2024

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Scarica Riassunto "Introduzione all'archeologia" di Bianchi Bandinelli e più Sbobinature in PDF di Archeologia solo su Docsity! RIASSUNTO INTRODUZIONE ALL’ARCHEOLOGIA BIANCHI BANDINELLI CAP. 1-PREMESSA Prima l’archeologia non era intesa come l’archeologia odierna ma ha assunto diversi significati nel tempo fino ad arrivare ad essere una vera e propria disciplina. Nel medioevo si ha una prima ripresa dell’arte classica riproponendo una bellezza non canonizzata ma organica e razionale, vera e imperfetta. Già nel Rinascimento vediamo l’interesse al mondo classico, greco e romano, come l’identificazione di un limite che gli artisti del tempo dovevano superare per esprimere l’arte moderna del loro tempo. I ritrovamenti non avevano un valore storico e oggetto di ricerca, ma semplicemente belli oggetti da collezionare di una civiltà ormai caduta. Si diffonde l’antiquariato che studiava gli usi, costumi e mitologia degli antichi. Presto la figura dell’antiquario divenne frivola e le opere degli antichi furono oggetto di studi epigrafici che andassero a ricostruire norme e leggi vigenti al tempo e di personaggi raffigurati studiando quali cariche amministrative e politiche potessero ricoprire. I monumenti invece sono visti come figure illustrative non solo di usi e costumi ma avvenimenti storici di rilievo, ma non come opere d’arte. L’archeologia si dedica quindi a studiare non più usi o costumi ma gli aspetti artistici delle opere, nello specifico, greche e romane. Questo implica uno studio vero e proprio con processi documentativi, ricostruzioni storico-artistiche delle opere e testi letterari a seguito di scavi. Nella seconda metà del 700, rivoluzione industriale, gli antiquari raccolgono oggetti antichi durante gli scavi collezionandoli ma senza avere dietro nessun interesse di metterle in ordine cronologico o stilistico. Le opere antiche sono ancora ornamento e non opere d’arte. La fioritura dell’archeologia si ebbe durante il classicismo, grazie a Wickelmann, si ha una riorganizzazione storico-artistica delle opere antiche greche e romane. Egli ricerca inoltre la bellezza assoluta o canonica nell’arte classica, soprattutto nell’arte ateniese. La rivalsa dell’arte greca e romana come vere e proprie d’arte è incrementata dalla borghesia che riprende da esse idee di libertà, autonomia e razionalismo. CAP. 2- WICKELMANN Grazie a Wickelmann i monumenti vengono visti come opere d’arte che documentano l’esistenza delle civiltà e culture antiche. Scrisse anche un libro “storia delle arti del disegno presso gli antichi” nel tentativo di gettare le basi per quella che sarà la storia dell’arte. Con lui, attraverso lo studio di statue frammentate (in realtà fatte da copisti dozzinali ateniesi per commercio con Roma), sarcofagi a rilievo, opere letterarie per confronto e qualche pittura emergente collocate principalmente a Roma e qualche città a questa sconnessa, si cercò di ricostruire la storia delle antiche civiltà che vedeva gap di decine di anni se non un secolo. Egli individua quattro stili principali: stile antico, stile sublime del periodo aureo con Fidia e successori, stile bello da Prassitele a Lisippo e periodo ellenistico, periodo della decadenza di età imperiale romana. Grazie a Winckelmann non solo si ha un metodo di studio delle opere d’arte antiche ma ne si coglie l’essenza e il senso. Grazie ai suoi studi nascerà lo stile neoclassico che vede come base l’opera di Wickelmann che arriva alla definizione della bellezza antica. Nell’ottocento, si ebbero i primi veri scavi che porteranno alla luce le originarie opere greche che vedranno come metodo di studio quello di Winckelmann che escludeva l’arte ellenistica e del tardo ellenismo, periodo di decadenza e declino economico legato al regno di Filippo di Macedonia fino ad Alessandro, ma vedeva il culmine nell’era aurea, con Fidia ed i suoi successori, anche se di Fidia non si sapeva molto se non che avrebbe creato lo Zeus di Olimpia e Athena Parthenos andate perdute. Schlegel realizzerà che gli studi precedenti non avevano ricostruito la storia delle civiltà antiche ma un mito, che aveva un fondo di verità ma una spiegazione e narrazione non veritiera. Grazie a Schlegel si ebbe il passaggio dal neoclassicismo al romanticismo. Schlegel fu il primo a capire che la teoria di Wickelmann era stata erroneamente fondata sul ritrovamento di statue fatte da copisti greci commerciate a Roma e dintorni dando all’arte greca un’ideologia errata basata su razionalismo, bellezza formale assoluta, mancanza di pathos e prevalenza della forma scultorea su quella pittorica. Una volta che emersero le statue greche originali dal frontone del Partenone queste sembrarono copie dozzinali rispetto al grande operato di Fidia raccontato nelle fonti letterarie e si attribuirono quei ritrovamenti al periodo ellenistico che gli studiosi, seguendo ancora il metodo di Wickelmann, ritenevano essere il periodo di grande declino. Per tre generazioni si è cercato di renderle più movimentate e proporzionate e la soluzione adottata da Policleto nel Doriforo (denominato da lui “canone” o “regola”) è stata poi perseguita dal V secolo a.C. in poi così come nelle statue imperiali come l’Augusto di Prima Porta (il Doriforo rivestito con corazza e gonnellino con un braccio sollevato). Seguendo questo metodo di identificazione delle statue originali greche paradossalmente si passò ad uno studio approfondito delle statue romane rinvenute, finendo per tralasciare quelli che erano gli originali in sé e i rilievi emergenti del Partenone. Furtwaengler, uno dei persecutori di questo metodo, cercò di ricostruire il viso dell’Athena Lemnia unendo il corpo di una statua nel museo di Dresda e la testa Palagi del museo di Bologna. L’archeologia filologica è stata un’arma a doppio taglio perché, sebbene si è riuscito ad identificare una notevole quantità di statue, lo studio delle statue diventa una ricerca alla copia migliore trascurando lo studio dell’originale e sottovalutando il valore e abilità tecnica con cui è stata eseguita rispetto al tempo in cui è stata creata, concentrandosi sull’iconografia. Seguendo questo metodo inoltre le teorie non sempre sono rimaste solide nel tempo come quella del Brunn per le statuette degli Orazi e Curiazi, riconosciute attraverso il Passo di Pausania per la loro unità stilistica volto a rappresentare quattro gruppi di figure, fra miti e fatti storici, ragione contro brutalità, tra cui la gigantomachia, amazzonomachia, la battaglia di Maratona e la vittoria di Attalo sui Galati. Altre teorie invece persero la loro fermezza come quella della Eirene e Ploutos, una donna che regge con il braccio sinistro un bambino. Le teorie furono molte, da essere la statua di Gea risalente all’età di Fidia fino al ritrovamento di una moneta ateniese di età imperiale romana con tale figura descritta in alcuni passi di Pausania, con il ritrovamento della sua copia frammentata nel porto di Pireo e somiglianze nelle decorazione del 2° tempio Artemision di Efeso, dove Brunn confermò la coincidenza decretandola così l’originale della statua di Eirene, dea della pace, che regge nella mano dx una lancia e con il braccio sx un bambino, Ploutos, dio della ricchezza, con una cornucopia nella sua manina. La statua, creata in occasione della pace di Sparta del 375 a.C., fu realizzata dallo scultore Kephisodotos, figlio o fratello maggiore del grande Prassitele. Altri studiosi come Rumpf sostengono invece che la statua si possa attribuire allo stesso Prassitele che creò l’originale in marmo raffigurando però non Eirene ma la dea Tyche con in braccio il dio bambino Bonus Eventus che regge una cornucopia. Di questa teoria vincente però si hanno delle copie prodotte nello stesso periodo esportate non solo a Roma ma anche ad Atene e Megara. Un errore dell’archeologia filologica e quindi quello di prende un esempio statuario e usarlo come riferimento per datare le altre opere greche, in alcuni casi rivelatesi delle copie romane, come per la copia del canone di Policleto erroneamente identificata come il doriforo originale. Questo errore venne fatto anche per la pittura classica ricostruita tramite il confronto della pittura pompeiana, una delle poche ad essere arrivata a noi quasi intatta ma non l’unica ad essere prodotta, presente anche in tutte le arre una volta interessate dall’impero. La pittura pompeiana era poi solo una riproduzione, non molto fedele, della pittura greca e quindi non poteva essere usata come punto di riferimento. Secondo Wickelmann, la pittura greca seguiva gli stessi criteri dell’arte magna della scultura, ovvero equilibrio plastico e lineare della forma, quindi tutte le rappresentazioni paesaggistiche nella pittura erano per gli studiosi delle interpretazioni romane. Oggi invece sappiamo che l’arte magna è la pittura contraddistinta da rappresentazioni paesaggistiche. L’archeologia filologica è vero che basava la ricostruzione dell’arte greca attraverso lo studio delle copie romane ma sottovalutava e tralasciava lo studio delle opere romane come arte a sé. Si perdeva inoltre lo studio singolare e stilistico di ogni artista. Brunn però rimediò a quest’errore tant’è che nel suo libro “studio degli artisti greci” studia ogni artista singolarmente scrivendo il testo che sarà poi la base della storia dell’arte. A Furtwaengler dobbiamo la realizzazione di tavole con studi monografici vaso per vaso affiancati della ceramica greca, raccolta diventata fondamentale. Anche se le tavole erano pur sempre delle copie fredde e accademiche degli originali greci e questa visione fredda venne portata erroneamente avanti L’arte greca, studiata attraverso il metodo di Wickelmann, era ormai l’emblema e il culmine della perfezione come arte idealista, che fugge dalla realtà quando invece l’arte greca studia la realtà e il riportare l’energia vitale concentrata nelle forme della nature nelle opere. CAP. 4-LE FONTI LETTERARIE Le fonti letterarie sono state alla base dello studio dell’archeologia filologica poiché hanno reso possibile l’identificazione e ricostruzione di numerose opere citate non solo da fonti dirette, quali quelle dei critici d’arte dell’epoca anche se alquanto tarda, ma anche da fonti indirette, ovvero di opere letterarie che citano monumenti o opere d’arte. Tra gli autori e le fonti più importanti abbiamo “La naturalis historia” di Plino, la “Periegesi della Greci” di Pausania e “Le fonti letterarie antiche per la storia dell’arte greca e romana” di Overbeck, un seguito dell’opera di Brunn, dove raccoglie tutte le fonti letterarie latine e greche che citano o criticano monumenti ed opere. Vitruvio Vitruvio nel libro “de arbitrea” formato da dieci volumi dedicati all’imperatore descrive della vita reale in cui è stato possibile identificare usi e costumi dell’epoca augustea e fa dei confronti sulle abitazioni e sulle diverse tecniche costruttive utilizzate non solo per l’area palaziale ma anche della città. Plino Plino scrisse la “La naturalis historia”, un’opera non solo scientifica, nonostante lui non sia uno studioso di professione, e dialettistica dove mette insieme un grande schedario di notizie e curiosità in un’unica opera. Nella sua raccolta di tutte le informazioni di quello che si sapeva delle arti figurative del suo tempo racconta dei materiali utilizzati quali la natura delle pietre e dei marmi, dei metalli, del bronzo e delle terre colorate, anche se si potevano incontrare delle contraddizioni nei testi del tardo ellenistico da lui tradotti. C’è da tener conto che, come Wickelmann, Plino ha basato la sua ricerca sulle opere scritte nella seconda metà del II secolo a.C. quando nella cultura greca si era diffuso il rimpianto e la nostalgia delle antiche glorie della civiltà greca prima del dominio macedone e romano. Plino parla infatti della “morte dell’arte” avvenuta alla fine del III secolo a.C. (pieno ellenismo) che vedrà la sua rinascita all’inizio del movimento classicista. Pausania Pausania, un autore “periegetico”, scrisse durante il tardo ellenismo viaggiando e visitando santuari e monumenti, vedendo opere d’arte e conoscendo leggende, scrivendo libri di lettura che acculturassero i lettori, descrivendo tutto quello che incontrava incrementando le descrizioni con opere di poeti, storici e mitografi. Grazie a Pausania sono state possibili importanti identificazioni e
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