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Riassunto "Introduzione alla linguistica romanza" Lee-Galano, Carocci editore, Sintesi del corso di Filologia romanza

Introduzione alla linguistica romanza, grammatica storica.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 27/06/2020

a.armando
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Scarica Riassunto "Introduzione alla linguistica romanza" Lee-Galano, Carocci editore e più Sintesi del corso in PDF di Filologia romanza solo su Docsity! INTRODUZIONE ALLA LINGUISTICA ROMANZA INTRODUZIONE. LE LINGUE ROMANZE 1. DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE Con il termine lingue romanze o neolatine ci si riferisce a tutte quelle lingue che sono derivate dal latino a seguito dell'espansione dell’Impero Romano. L'area in cui si parlano viene chiamata Romània. Il termine romanzo deriva dall’avverbio latino ROMANICE che veniva usato per riferirsi al parlare in vernacolo (Romanice loqui), piuttosto che al latino (latine loqui). Da romanice deriva la forma antico – francese romanz, da cui l’italiano romanzo. A rigor di logica, si potrebbe pensare che il numero delle lingue romanze potrebbe corrispondere a tutti i dialetti neolatini parlati sul territorio un tempo occupato dell'Impero Romano e che costituisce ciò che in dialettologia viene chiamato il continuum romanzo. Per semplificare le cose, però, gli studiosi di linguistica romanza usano distinguere per lo più fra nuove lingue: portoghese, spagnolo o castigliano, catalano, occitano o provenzale, francese, sardo, italiano, ladino o romanzo alpino, romeno. A queste lingue si dovrebbe aggiungere la decima, il dulmatico, il cui ultimo parlante è morto del 1898. Le lingue sopracitate sono idiomi misti, in quanto vengono incluse varietà più prestigiose come l’italiano, il romeno, lo spagnolo, il francese e il portoghese che sono lingue nazionali ufficiali, e lingue che non lo sono come il catalano, il provenzale, il sardo, il ladino che sono parlate a livello più ristretto. Uno dei primi filologi romanzi, Friederich Diez, infatti, distingueva solo sei lingue romanze: portoghese, spagnolo, italiano, francese, provenzale o occitano, e romeno (da lui chiamato valacco), escludendo le lingue come il catalano ecc. ecc., che per lui non avevano particolare prestigio politico e culturale, ad eccezione dell’occitano o provenzale che era stato veicolo importante della letteratura del Medioevo. Si usa inoltre raggruppare le lingue romanza in famiglie più ampie, partendo da est a ovest:  Balcanoromanzo  romeno (e dalmatico);  Italoromanzo  italiano (e sardo);  Retoromanzo (romanzo alpino)  friulano, ladino, romancio;  Galloromanzo  francese, francoprovenzale e occitano;  Iberoromanzo  catalano, spagnolo, portoghese 2. DISTRIBUZIONE Prima si è detto che alcune di queste lingue sono nazionali, ovvero sono la lingua ufficiale della propria nazione (Italia  italiano), tuttavia nella maggior parte dei casi i confini politici non coincidono con la reale estensione che le determinate lingue hanno, ad esempio il portoghese si estende fino alla Galizia (in spagna); il francese si estende fino alla Valle d’Aosta, il Belgio e la Svizzera; il romeno è parlato in alcune parti dell’Ucraina e della Moldavia. Dunque, all’interno di un determinato stato vi è la compresenza di più lingue, come il sardo in Italia e il catalano in Spagna. Il romanzo alpino è diviso in tre tronconi, uno in Svizzera (romancio), e due in Italia (ladino e friulano). Lo statuto di famiglia di questi dialetti alpini è stato teorizzato nel 1873 dal linguista italiano Graziadio Isaia Ascoli, ma non è accettato da tutti, infatti secondo alcuni il friulano dovrebbe essere inserito tra i dialetti veneti (dunque nell’italoromanzo). In seguito alla colonizzazione del nuovo e vecchio mondo da parte delle popolazioni di lingua romanza, essa ha trovato una forte diffusione in territori prima non conosciuti, dando vita alla distinzione tra Romania nova (che indicava le nuove terre conquistate  America del sud) e Romania antiqua. Parliamo principalmente dello spagnolo, la lingua romanza più diffusa nel mondo, soprattutto nella maggioranza dei pasi dell’America latina; del portoghese, esportato in Brasile e in alcuni paesi africani; e il francese, parlano in Canada (nel Québec) e in diversi paesi dei Caraibi. Nella maggior parte dei casi, nel tempo, le lingue importate hanno iniziato a subire delle variazioni, differenziandosi dalla lingua “madre”, ovvero quella importata direttamente dai colonizzatori. Queste lingue “modificate” vengono chiamare varietà creole, che di solito nascono in determinate situazioni, come durante il commercio degli schiavi in Africa durante il XV secolo. Il conseguente sradicamento dalla loro patria, e la necessità di comunicare con parlanti di altre lingue, portò allo sviluppo delle cosiddette lingue pidgin, ovvero lingue che non hanno parlanti nativi ma che nascono in determinati contesti comunicativi, come il commercio. E’ possibile che la lingua pidgin possa estendersi fino ad essere utilizzata in tutti i contesti comunicativo, subisce dunque un’evoluzione che prende il nome di creolizzazione, diventando difatti una lingua creola. Lingue creole e pidgin, essendo comunque influenzate dalle lingue di origine dei parlanti (es. lingua africana per gli schiavi, lingua romanza per i padroni), prendono in prestito molti termini, solitamente dalla lingua dei colonizzatori (solitamente si tratta di una lingua romanza) che funge da lessificatore. Oltre al concetto di Romània, abbiamo quello di romani submersa, un’area dove al tempo dell’Impero Romano era parlato il latino, successivamente soppiantato da altre lingue. Tuttavia, questo soppiantamento è stato graduale, infatti il Latino è sempre stata una lingua di forte prestigio, e ha resistito anche in alcune zone, come il nord della Francia, dove, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il germanico aveva iniziato a prevalere. E) TESTI POST-IMPERIALI  Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente il modello linguistico inizia a frammentarsi ed evolversi. Esempi di questo latino ‘evoluto’ sono la Historia Francorum di Gregorio di Tours e molti documenti di cancelleria, gli autori di queste produzioni non erano incolti ma non erano più in grado di rifarsi al latino classico perché l’unitarietà si era oramai perduta con la disfatta dell’Impero. F) GRAMMATICHE  rappresentano una forma indiretta di informazione sullo stato della lingua rispetto alla norma classica, che sono appunto normative o prescrittive: ci informano su quali sono le forme migliori sulla base dell’utilizzo dei diversi termini da parte degli autori considerati come ‘migliori’. Un esempio è l’Appendix probi che registrava una serie di errori ortografici. 1.4 LA FRAMMENTAZIONE DEL LATINO Le modificazioni del latino avvennero anche a livello regionale, infatti la forte espansione dell’Impero ha accelerato il cambio della lingua in due modi: in primo luogo la conquista ha portato ad uno sconvolgimento, infatti studi sociolinguistici dimostrano che quando una comunità (che condivide la stessa lingua) è fatta disgregare, la lingua cambia più velocemente. Inoltre, un ingente numero di coloni veniva sempre inviato nelle regioni conquistate, dando origine alla necessità di intercambi fra le lingue in termine di prestiti linguistici. Dunque le lingue definite ‘sostrato’ ovvero quelle parlate dai popoli conquistati, non faranno altro che influenzare il latino a livello regionale. Questa influenza si nota soprattutto a livello lessicale, infatti alcune parole celtiche come “c amisia” > it. camicia, fr. chemise, sp. camisa indicava un tipo di abbigliamento sconosciuto ai romani. Nella lingua francese questi prestiti sono più frequenti perché le lingue celtiche come il gallese rappresentano il sostrato dove poi il latino si è innestato. Mentre lingue come lo Spagnolo o il Portoghese è probabile ebbero come sostrato una lingua di origine sconosciuta e non ancora decifrata, spesso caratterizzata dai nessi -rd o -rr- che fornì prestiti importanti come izquierda o esquerre. Più difficile è capire i prestiti di parole preromane nel romeno, poiché si sa pochissimo del tracico, la lingua che fu sostrato del latino nell’attuale Romania, e che probabilmente fu una lingua parlata anche nell’area dell’attutale Albania, dato che romeno e albanese condividono alcuni termini. Un’altra fonte importante di prestiti fu il Greco, lingua con cui il latino si ‘scontrò’ molto, considerata anche come lingua prestigiosa da imitare, infatti quando si parla del rapporto tra latino e greco di fa riferimento non ad un rapporto di sostrato ma di adstrato, ovvero un rapporto di solo contatto. (esempi di prestiti  Camera, platea ecc.ecc.). Un ulteriore apporto esterno al latino fu conseguenza delle invasioni barbariche dal V secolo in poi, che costituirono un altro momento di contatto tra il latino e le lingue barbare, in rapporto di superstrato. Altri contatti furono ovviamente con le lingue di origine germanica, già prima della caduta dell’impero e quando la Romania era ancora unita, tra le parole in prestito, e definite panromanze, poiché presenti in tutta l’area romanza, un esempio è <<saponem>>. It. sapone, fr. savon, sp. jabón, ecc. ecc. e anche il termine <<Blank>> it. bianco, <<Blund>> it. Biondo, <<Werra>> it. Guerra. Le invasioni dei popoli germanici interessarono diversi secoli e diverse regioni, e ciò influì sulla quantità di prestiti in ogni singola varietà regionale. Ad esempio, nell’antica Gallia, le invasioni furono più massicce, soprattutto da parte dei Franchi nel 486 d.C., dunque il franco, diede origine a molti prestiti ancora presenti nel moderno francese. Invece nella Romania dell’est, l’influenza slava è sicuramente più forte, che dal 565 iniziarono ad occupare le rive del Danubio. La Dacia, odierna Romania, fu sotto il controllo romano per soli due secoli troppo pochi per lasciare una Romania completamente romanizzata. Esistono due scuole di pensiero: la prima afferma che la reale discendenza latina sia da ritrovare nell’Illiria romana, dove erano parlati dei dialetti romeni, e l’attuale popolazione latinizzata della Romania provenga da queste regioni. Mentre secondo altri, questa ‘latinizzazione’ della Dacia si è invece verificata perché probabilmente già prima della conquista i Romani erano entrati in contatto con queste terre. L’ultima grande ondata che travolse i territori romani fu quella araba, sbarcati da Gibilterra nel 711 iniziando un processo di conquista della penisola iberica, che terminerà con la loro cacciata solo nel 1492 con la caduta di Granada. In questi sette secoli di dominazione è normale che le lingue iberoromanze subirono forti influenze soprattutto riferiti ad alcuni ambiti lessicali come quelli del cibo azafrán > zafferano, azúcar > zucchero; nell’ambito della costituzione di territori precisi barrio > quartiere, aldea > villaggio, alcalde > sindaco. Inoltre, la superiorità araba in campo scientifico e filosofico ha originato molti prestiti, come alquimia > alchimia, cifra, alcohol. I prestiti arabi sono facilmente riconoscibili dall’iniziale a- oppure al- che è l’articolo determinativo arabo. L’evento più importante che fece accelerare la frammentazione del latino e la conseguente nascita delle lingue romanze fu sicuramente l’ondata di invasioni barbariche, queste lingue romanze, una volta formatesi lentamente apparivano come più o meno evolute rispetto al latino, in linea generale italiano e spagnolo appaiono come meno evolute, mentre francese e romeno come più evolute. 2 . FONETICA La fonetica è il ramo della linguistica che studia i suoni di una lingua e ne studia anche l’evoluzione da un punto di vista storico, in questo caso dal latino alle lingue romanze. I cambi fonetici, ma anche morfosintattici, lessicali ecc. ecc., avvengono a livello dei singoli parlanti, che tramite il cosiddetto processo per analogia, va automaticamente a regolarizzare alcune occorrenze percepite come irregolari, in altre parole cerca di rendere simmetrico ciò che è percepito come asimmetrico, tramite un rapporto di confronto a forme linguistiche affini e percepite come regolari. Esempi di processi per analogia sono visibili nei bambini che tentano di regolarizzare alcuni verbi come *dicete per dite o *facete per fate. Questi processi funzionano molto a livello sintattico e grammaticale, ma anche a livello fonetico, infatti molti cambi fonetici sono stati osservati nel latino, che hanno inevitabilmente portato a cambi nella struttura. 2.1 VOCALISMO I suoni di una lingua vengono prodotti tramite l’espirazione, il flusso d’aria che esce dai polmoni. Nella produzione di un suono vengono considerati diversi parametri come il luogo in cui il suono è articolato e quindi gli organi fonatori interessati (glottide, laringe, naso, bocca, labbra, denti, palato e velo), il modo di articolazione e se è presente vibrazione delle corde vocali. 2.2 VOCALISMO DEL LATINO Il sistema vocalico del latino è formato da 5 vocali, ciascuna poteva essere lunga o breve, e da tre dittonghi AE, OE, AU. Vocali lunghe e brevi erano considerati fonemi distinti. La distinzione tra fono e fonema sta nella semanticità di una parola, il fono rappresenta tutte gli elementi che hanno un suono nella parola (la parola cena ha 4 foni), ma essi possono essere considerati fonemi qualora cambiando il determinato fono cambi anche il significato della parola (cena > cina). In latino dunque la sostituzione di una vocale breve con una lunga poteva originare un cambio di significato (MᾸLUM > il male; MᾹLUM > mela). Il rapporto tra lunghe e brevi nel latino LUM > il male; MᾹLUM > mela). Il rapporto tra lunghe e brevi nel latino LUM > mela). Il rapporto tra lunghe e brevi nel latino era un rapporto di quantità, mentre nelle lingue romanze si evolve a rapporto di qualità o timbro, basato sul grado di apertura delle vocali (distinzione tra <<Pesca>> /pɛska/ [frutta] e <<Pesca>> /peska/ [azione del pescare]) 2.3 VOCALISMO TONICO 2.3.1 L’ACCENTO TONICO IN LATINO La posizione della sillaba era importante poiché determinava la posizione dell’accento tonico, ma per fare uno studio approfondito bisogna fare riferimento alla fonetica acustica che studia la propagazione delle onde sonore prodotte da un suono da cui si Tutti e tre questi fenomeni riguardano la caduta delle vocali atone, che porta alla perdita dell’intera sillaba. L’aferesi è la caduta della vocale (o sillaba) atona in posizione iniziale della parola, come in it. innamorato > nap. namuratə. Questo fenomeno è più presente in italiano e in romeno. La sincope è la caduta di una vocale atona interna alla parola, in posizione pro o post tonica, solitamente causata dall’intensità dell’accento tonico, come in lat. Vir(i)dem > it. sp. port. rom. Verde. Da qui la tendenza di italiano e romeno di conservare molto parole sdrucciole. L’apocope riguarda la caduta delle vocali atone in posizione finale, fenomeno molto più frequente. Infatti nel galloromanzo vediamo la caduta di quasi tutte le vocali atone a fine parola tranne per -/a/, mentre per il francese l’evoluzione di -/a/ sarà più lunga, fino a diventare muta = -a > -e > -ə > - Ø = fr. porte. Invece in spagnolo si perdono tutte tranne -a ed -o, e talvolta -e che diventa alcune volte una vocale d’appoggio necessaria per pronunciare bene la parola lat. duplum es. doble, fr. double. 2.4.2 RIDUZIONE DELLE VOCALI IN IATO Lo iato si verifica quando in una parola abbiamo due vocali vicine che formano però due sillabe diverse (di-o, lu-i-gi). Ciò rappresenta un’infrazione, dato che la tendenza naturale è quella di eliminare lo iato ed unificare la sillaba, e ciò infatti accade quando le vocali hanno un timbro simile e vengono ridotte ad un solo elemento, ad esempio in lat parietem le vocali I ed E, entrambe anteriori, si fondono e abbiamo lat. Paretem > it. parete, sp. pared. Quando le vocali sono diverse, se la prima è una I o una E essa si riduce nella semivocale /j/ come in lat. Vinea > it. vigna, sp. viña, fr. vigne. Se invece il primo elemento è U oppure O essa si riduce in semivocale /w/ come in lat. Coagulare > it. quagliare, sp. cuajar. 2.4.3 ASSIMILAZIONE E DISSIMILAZIONE Si parla di assimilazione e dissimilazione perché le vocali atone risentono dell’influsso delle vocali toniche, nel senso che si possono avvicinare o allontanare al punto di articolazione. Esempi di assimilazione sono lat. Silvaticum > fr. sauvage, sp. salvaje, cat. occ. Salvate. Mentre esempi di dissimilazione sono lat. Vicinum > fr. voisin, sp. vecino, cat. veì. 2.4.5 CHIUSURE IN PROTONIA E POSTONIA IN ITALIANO In posizione protonica la /e/ diventa /i/ come in lat virtutem > vertude it. virtù, mentre la /o/ diventa /u/ come in lat. Occidere > it. uccidere. Questo fenomeno di origine toscana non è però sistematico. 2.4.5 E- PROTETICA In alcune lingue romanze viene introdotta una vocale atona, normalmente la e-, prima dei nessi consonantici iniziali costituiti da s + consonante, ed è definita come vocale protetica come ad esempio in lat. Schola > fr. école, sp. escuela, port. occ. Escola. 2.5 CONSONANTISMO L’articolazione delle consonanti coinvolge maggiormente gli organi fonatori e anche nella loro descrizione si devono prendere in considerazione alcuni parametri come il luogo e il modo di articolazione e la vibrazione delle corde vocali. Così come per le vocali anche per quanto riguarda le consonanti la loro posizione nella parola è importante, infatti le consonanti che si trovano nella radice sono ovviamente più ‘forti’, mentre quelle a fine parola più ‘deboli’, e spesso la modificazione consonantica è conseguente alla modificazione di una vocale. Va notato inoltre che le consonanti vanno incontro di meno a modificazioni rispetto alle vocali. 2.5.1 FONEMI CONSONANTICI DEL LATINO L’inventario dei fonemi consonantici latini è ridotto rispetto a quello delle lingue romanze, infatti mancano le fricative sonore /v/ e /z/ corrispondenti alle sorde /f/ e /s/, mancanza che verrà colmata in vari modi. Assenti anche le affricate /ts/ e /dz/ , le palatali /ʧ/ e /ʤ/, le fricative palatali /ʃ/ /ʒ/ e la palatale nasale /ɲ/ e la palatale laterale /ʎ/ che sono tutte o in parte presenti nelle lingue romanze, d’altra parte il latino aveva delle consonanti che sono scomparse dai sistemi romanzi. 2.5.2 CONSONANTI SCOMPARSE Tra le consonanti scomparse notiamo: - Labiovelari kw e gw, che sono state ridotte al solo elemento velare oppure a velare più semivocale a seconda delle lingue e delle vocali che seguono come in lat. Quomodo > fr. comme, cat. occ. Com, sp. port. com. oppure lat. Quindicem > it. [kw] quindici, fr. port. occ. [k] quinze. - La fricativa laringale sorda /h/ scompare in tutta la Romània già in epoca antica come testimonia lat. Hic > lat. Ic. - Il latino non conosceva la fricativa sonora labiodentale /v/, infatti i grafemi v e u rappresentavano la vocale /u/ o la sua variante semivocalica /w/. Ad esempio lat. Vinum [winum] > /v/ it. vino, fr. occ. rom. Vin ; /b/ - /β̞/ sp. vin. - Generalizzata è anche la situazione del nesso NS > S come in lat. Mensem > it. mese, fr. mois. 2.5.3 CONSONANTI INIZIALI Le consonanti iniziali, nella maggior parte dei casi, rimangono invariate nel passaggio dal latino alle lingue romanze così come nel nesso formato da consonante + R, mentre il nesso S + consonante è spesso preceduto da una e protetica. In spagnolo la F- iniziale passa alla laringale /h/, sebbene fosse ancora presente nel medioevo da lat. Fabulare > fablar > hablar. La F- rimane però intatta nei cultismi come in lat fontem > sp. fuente. Per quanto riguarda le consonanti velari, esse sono interessati da un duplice comportamento: sono forti quando seguite da vocale posteriore come /u/ e /o/ come in lat. Corpus > it. corpo, sp. cuerpo, fr. corps. Tendono invece a palatalizzare con le vocali anteriori /i/ e /e/ come anche /j/ e /j/ + D che si trasforma in /ʤ/ /ʒ/ /j/, come in lat. Iam > it. già, cat. occ. ja, sp. ya. E anche alcuni nessi composti da consonante + L come in lat. Plenum > it. pieno, sp. lleno. oppure come in lat. Clavem > it. chiave, sp. llave. 2.5.4 CONSONANTI FINALI Le consonanti in posizione finale sono le più deboli e quindi le più propense a cadere spesso per una difficoltà naturale ad articolarle quando seguite da vocale. - M -> è tra le consonanti finali più diffuse in latino ed è scomparsa precocemente. -T -> anch’essa cade precocemente ma rimane in alcuni verbi in terza persona. -L -N – R -> cessano di trovasi a fine parola per la riorganizzazione dei casi grammaticali - S il dileguo di -s incide sulla morfologia perché aveva una funziona grammaticale, in quanto marcava alcune voci verbali nonché il sistema nominale. La caduta di questo suono avveniva già in latino arcaico per un problema di fonosintassi ovvero di una resa dei suoni nel parlato. La funzione di -s fu poi sostituita da vocali -e o -i come in lat. Cantas (2a ind. Presente) > it. canti. Durante l’evoluzione del latino si sono venute a trovare in posizione finale altre consonanti, in seguito alla caduta delle vocali. Tali consonanti sono dette secondarie, per distinguerle da quelle consonanti che si trovavano fine parola in origine (e non hanno subito modificazioni), dette primarie; tuttavia sia primarie che secondarie tendono ugualmente ad indebolirsi, diventando di articolazione debole o del tutto sorde come in lat. Cap(ut) > fr. chef, cat. occ. cap, oppure lat. Ped(em) > fr. pied [pjɛ], sp. piéI, port. pé. 2.5.5 ALTRI CAMBI CONSONANTICI Oltre che la loro posizione, le consonanti possono essere influenzate anche da altri fattori che hanno dato origine a modificazioni importanti, e che hanno reso come sono oggi le lingue derivate dal latino. Abbiamo due tipi di cambiamento importanti: La lenizione : si tratta dell’indebolimento delle consonanti, principalmente le occlusive / p, t, k/ in posizione intervocalica, che passano in un primo stadio da sorde a sonore /b, d, g/, arrivando in un secondo stadio ad un livello fricativo o alla totale scomparsa: come in: Lat. Fatam > Rom. Fată, It. fata, sp. had a, port. fad a, fr. fée [scomparso] Lat. Amicam > Rom. Amică, It. amica, sp. amig a, cat. amig a, fr. amie [scomparso] La lenizione interessa anche in lesso consonante + R, e la -s- che passa foneticamente a /z/. come in: struttura della parola, mediante l’aggiunta di desinenze diverse, ma anche con cambi interni, come lo sono il latino, greco ed arabo. Tenendo presente questa distinzione, si afferma che il passaggio dal latino alle lingue romanze sia stato un passaggio da una lingua sintetica ad una lingua analitica. In realtà il latino non è completamente sintetico, poiché fa uso di preposizioni che sono elementi invariabili, e nemmeno quelle romanze possono essere considerate appieno analitiche poiché fanno uso di desinenze. E’ dunque opportuno vedere il latino e le lingue romanze non come due estremi (latino -> sintetica e romanze -> analitiche), ma piuttosto come degli intermezzi in cui ci sono elementi di ogni categoria. Il latino eredita il sistema flessivo dalle lingue indoeuropee e rappresenta già un grado evolutivo più evoluto, sebbene ogni lingua evolva a modo suo, come il francese, che ha difatti eliminato gran parte delle desinenze verbali (a livello fonologico 1, 2, 3, e 6 si pronunciano molto similmente), con l’introduzione obbligatoria del pronome personale. Altro oggetto di studio è stata sicuramente l’analisi dell’ordine delle parole, infatti una costante osservata nel cambio linguistico è il passaggio da una lingua OV (oggetto – verbo) a una lingua che mette prima il verbo VO. Il latino aveva ordine OV, mentre le lingue romanze hanno prevalentemente ordine VO, a sua volta le lingue VO tendono ad avere alcune costanti, come l’utilizzo di preposizioni invece che posposizioni. In questo caso è importante il processo di modificazione per analogia, che tende a regolarizzare forme che appaiono disarmoniche, un esempio è lat. Posse > possum, potes, potest, forme che verranno poi armonizzate per diventare più simili fra di loro ed eliminare le irregolarita -> poteo, potes, potet. Il sistema morfologico del latino si articola in tre sottoinsiemi: nominle, verbale (ambedue con forme flesse), e una serie di parole invariabili. 3.1 SISTEMA NOMINALE Il sistema nominale latino, come nelle lingue romanze moderne, comprendeva i sostantivi, aggettivi, pronomi e numerali, e queste classi erano declinate, cioè si servivano di desinenze per esprimere il numero, il genere e il caso (se soggetto, oggetto o CO). Il latino aveva sei casi: nominativo -> soggetto; genitivo -> compl. di specificazione; dativo -> compl. di termine; accusativo -> compl. oggetto; vocativo ->ogg/persona a cui ci si riferiva; ablativo -> compl. di mezzo/strumentale. Ogni declinazione aveva delle proprie desinenze sia al singolare che al plurale, mentre oggi sappiamo che in italiano le desinenze esprimono solo il genere e il numero, mentre ancor più radicale appare il francese, che nella sua realizzazione fonetica affida tutto all’articolo, dato che alcune volte non c’è differenza di pronuncia in uno stesso termine al singolare e al plurale es - > la porte / le portes (porte/portes si pronunciano allo stesso modo, sono disambiguate dall’articolo). I sostantivi latini si dividevano in cinque declinazioni, ognuna con i sei casi, e il plurale/ singolare, tuttavia era un sistema fortemente disarmonico, poiché alcune desinenze erano uguali, e le desinenze dei casi cambiavano da declinazione a declinazione. Non a caso nelle lingue moderne non ritroviamo un sistema nominale così complesso, esso si è ridotto per ritrovare un equilibrio. 3.1.1 RIDUZIONE DELLE DECLINAZIONI Le cinque declinazioni si riducono essenzialmente a tre, infatti le parole della quinta declinazione, principalmente femminili, finirono nella prima declinazione, mentre quella della quarta finirono nella seconda. Ciò portò alla formazione di tre classi, la prima formata da femminili, la seconda da maschili e la terza mista. 3.1.2 CAMBI DI GENERE Nelle lingue romanza alcune parole cambiano il genere, tra questi citiamo i nomi di alberi che al latino erano femminili, ma avevano terminazione in -us, dunque per analogia ai sostantivi maschili che terminavano anche in -us sono diventati anch’essi maschili. 3.1.3 PERDITA DEL NEUTRO I generi maschile e femminile reggono molto bene nel loro passaggio alle lingue romanze, si perde invece il neutro, che era diventata una mera categoria grammaticale senza riferimenti esterni, tutta via la sua perdita si protrasse per molto tempo e diede origine a situazioni complesse. Infatti molti plurali neutri, per la loro terminazione in -a ( folium, folia) furono male interpretati, nella maggior parte dei casi come singolari femminili -> folium > il foglio , folia > la foglia, originando anche parole con significati diversi nelle lingue romanze. Per l’italiano possiamo parlare di fossili di neutro latino, in quei plurali in -a che hanno come singolari -o > corno, corna. Invece in romeno il neutro è una categoria ancora viva, costituite da forme che sono maschili al singolare e femminili al plurale come lat. Scamnum > rom. sing. Scaun, rom. pl. Scaune, conservando difatti una desinenza -uri per i plurali neutri che è ancora oggi molto produttiva. 3.1.4 RIDUZIONE DEI CASI Diversi furono i fattori che portarono alla riduzione dei casi, tra queste vi è la caduta di -M che rese identiche alcune voci nella prima e terza declinazione, portando dunque confusione tra le declinazioni. Solo l’accusativo è il caso che sopravvive nelle lingue romanze, e risulta essere la radice nella maggior parte dei sostantivi (lat. Rosa(m), nocte(m)). L’eliminazione dei casi non fu veloce, ma molto lenta e si completò solo intorno al V-VII secolo. 3.1.5. SOPRAVVIVENZA DEI SISTEMI CASUALI In alcuni casi, come quello galloromanzo e retoromanzo alcuni casi sono sopravvissuti, in questi due casi ritroviamo un sistema bicasuale, ridotto a due soli casi. Mentre il retoromanzo li conserva ancora, il galloromanzo li ha mantenuti fino al periodo medievale, perdendoli intorno al 1300 circa. In francese e occitano si parla di caso retto per riferirsi alle forme che derivano dal nominativo e servono da soggetto, e caso obliquo per riferirsi alle forme che derivano dall’accusativo e fungono da complemento oggetto e altre funzioni. 1) I sostantivi maschili di prima classe derivano dai sostantivi della seconda declinazione latina  lat. Murus > fr. mur 2) I sostantivi maschili della seconda classe derivano dai sostantivi della seconda o terza declinazione in -ER al nominativo singolare.  lat. Pater > fr. pere(s) 3) I sostantivi maschili di terza classe derivano dagli imparisillabi latini con osenza accento mobile. Lat. Comes > fr. cuens. 4) i sostantivi femminili di prima classe derivano dalla prima e terza declinazione che non presentavano una -S al nominativo singolare  Lat. Mater > fr. mère 5) i sostantivi femminili di seconda classe derivano dalla terza declinazione latina e da alcuni imparisillabi regolarizzati  lat. Navis > fr. nes. 6) i sostantivi femminili di terza classe derivano dai restanti imparisillabi latini  lat. Sor > fr. suer. Nella maggior parte dei casi in francese a sopravvivere è il caso obliquo, probabilmente utilizzato più frequentemente come appellativo. Anche il romeno mantiene i casi, soprattutto il genitivo/dativo laddove altre lingue ricorrono a preposizioni. Tale sopravvivenza è con tutta probabilità da attribuirsi al contatto che il romeno ebbe con le lingue slave che non a caso hanno un ricco sistema di casi. Esistono tuttavia casi in cui abbiamo una fossilizzazione di desinenze associate ai casi latini in lingue romanze, come i nomi di luogo francesi di origine celtica, accomunati da una -s finale, i nomi dei giorni della settimana. 3.1.6 AGGETTIVI Per gli aggettivi abbiamo una sorte abbastanza simile, le tre classi originarie si riducono a due, una classe con desinenze diverse tra maschile e femminile; mentre l’altra non ha distinzione di genere. Gradualmente con la perdita del neutro e il passaggio di alcuni aggettivi da una classe all’altra si sono delineati i due gruppi che distinguono tra maschile e femminile  lat. Bonus/bona > it. buono/buona, fr. bon/bonne, sp. bueno/ buena; e quelli che non operano tale distinzione lat. Grandis > it. sp. port. grande. 3.1.7 COMPARATIVI E SUPERLATIVI In latino il comparativo si forma in diversi modi: con l’aggiunta del suffisso -IOR come Lat. Alterus > Lat. Alterior; oppure per alcuni aggettivi terminanti in vocale prima del suffisso -US si ricorreva ad una perifrasi con l’avverbio magis, come in Lat. Arduus > Lat. Magis arduus. Questa perifrasi, nel latino tardo, verrà affiancata anche da plus e Lat. Ecce/accu/iste > It. questo, afr. isti/cist, sp. port. este, cat. aquest, rom. acest(a) Lat. (*accu) Ipse (it. codesto) > sp. ese, port. esse, cat. aqueix Lat. Ecce/*accu /ille > It. quello, afr. (i)cil, sp. aquel, port. aquele, cat. aquell, rom. acel(a). Sono riportate solo le forme maschili, mentre per le lingue romanze che nel medioevo riportavano ancora un sistema bicasuale abbiamo la distinzione tra caso retto e obliquo, nonché la persistenza di forme di casi genitivo-dativo con la funzione di complemento indiretto. 3.3.2 PRONOMI PERSONALI Il latino aveva solo pronomi personali di 1 a e di 2a persona, singolare e plurale che ovviamente erano declinati. Tuttavia, vista la repentina riduzione dei casi, solo alcune forme si sono mantenute, che riguardano per lo più i casi del nominativo e dell’accusativo. Per il complemento, però, si opera la distinzione tra forme atone dette anche clitici e appoggiate dal verbo, e forme toniche, impiegate per lo più con una preposizione. Le forme latine che sono diventate la base delle future forme romanze sono: Le forme romanze derivate saranno Al plurale la dizione tra forme toniche e atone si mantiene solo in italiano e romeno, mentre viene ristabilita una differenza fra il soggetto e il complemento tonico da un lato e il complemento atono dall’altro in spagnolo e catalano con l’aggiunta di lat. Persona 1a 2a 3a 4a Nominativo Ego Tu Nos Vos Accusativo Mē Tē Nos Vos Dativo Mihi Tibi Nobis Vobis Alteri, alteros ‘altri’. Tale aggiunta è possibile anche in francese infatti fr. nous autres e italiano it. noialtri. Inoltre, in latino alcune volte il pronome personale poteva essere unito ad altri elementi come la preposizione lat. Cum insieme all’ablativo: lat. Mecum ‘con me’, nobiscum ‘con noi’, ed è interessante vedere come alcune lingue romanze hanno mantenuto tale costruzione, in particolare lo spagnolo e il portoghese: sp. conmigo, contigo; port. conmigo, connosco e persino il dialetto toscano ait. Meco, teco, nosco. Al latino mancava un pronome di terza persona, per cui utilizzava un pronome riflessivo lat. Se, faceva da soggetto del verbo quando il verbo era alla terza persona ed era privo del nominativo e identico al sing. e plu., e si è mantenuto nelle lingue romanze. Lat. Se > [aton.] it. si, fr. se, sp. port. cat. occ. rom. se; [ton.] it. se, fr. soi, sp. port. cat. si, rom. sine. Come pronome personale di terza persona invece impiegava all’occorrenza il pronome anaforico is, oppure il dimostrativo ille, che diede vita a numerosi esiti nelle lingue romanze, tramite anche il meccanismo dell’analogia, con la conseguenza bipartizione di forme atone e toniche. Le forme toniche mantengono l’accento sulla prima sillaba di ille, mentre quelle atone lo spostano sulla seconda con la conseguente perdita della prima sillaba. Le forme impiegate come soggetto sono sempre toniche. L’italiano egli e il francese il vanno spiegati con l’influenza del relativo qui su ille > illi, che dà -i finale in italiano e innalzamento della i tonica in francese. La stessa influenza spiega come nel caso del dimostrativo le forme del dativo lui > illui (illi + cui) e lei > *illaei, mentre le forme come loro, lor, leur derivano dal genitivo plurale illorum. Il romeno conserva meglio le forme dell’accusativo e del dativo, sviluppando una serie tonica e atona per entrambi i casi, mentre le lingue iberiche eliminano tutte le forme toniche, facendo ricorso alle forme del soggetto. In francese la forma tonica accusativa ha assunto la funzione di complemento diretto o indiretto, tranne per il maschile singolare che deriva dal dativo illui, situazione analoga in italiano, dove la funzione di pronome complemento tonico è ricoperta dal dativo/genitivo illui, illaei, illorum, che hanno in parte soppiantato le forme egli ed ella che risultano antiquate. Inoltre, l’italiano ha anche una serie di forme toniche per il pronome di terza persona derivate da ipse > esso, essa di uso limitato nella lingua standard ma in vigore in alcuni dialetti. Ritroviamo dunque la tendenza delle lingue romanze della sostituzione del pronome soggetto con forme originariamente impiegate per esprimere il complemento, ovvero la sostituzione delle forme in nominativo con quelle in accusativo. Infine, alcuni avverbi acquistano anche funzione pronominale, si tratta di lat. Inde ‘da qui, e di ibi ‘lì’ > it. ne/vi, fr. en/y. In italiano questi avverbi subiscono uno sviluppo particolare; infatti ne < inde e vi < ibi, somigliano ai pronomi plurali atoni, ne < nos e vi < vos. In funzione avverbiale ne tende ad essere sostituito da ci < ecce hic e così, tramite analogia, anche il pronome ne viene sostituito da ci: ci vediamo. 3.3.3 PRONOMI E AGGETTIVI POSSESSIVI I pronomi e gli aggettivi possessivi latini, come in italiano sono marcati per la person e per il numero e si accordano con l’oggetto posseduto, declinandosi come aggettivi di prima classe (-us, -a, -um) dunque Lat. sing. meus, -a, -um, tuus, suus; pl. Noster -a - um, vester. Suus. Va notato che suus era un riflessivo, impiegato al singolare e al plurale, e che per altri casi di terza persona il latino ricorreva al genitivo dei pronomi anaforici o dimostrativi eius, eorum, illorum. Nel corso del tempo tuttavia suus diventa pronome della terza persona singolare, e si è introdotta una forma basata sul genitivo plurale del dimostrativo illorum > it. loro, fr. leur, cat. llur per la terza persona. Solo le lingue iberiche hanno mantenuto l’uso latino, per cui sp. su, port. seu che si riferiscono a una o più persone e devono fare ricorso ad altri elementi per disambiguare. Sempre per cercare una sorta di riequilibrio in tutta la Romània la forma Vester è stata sostituira con Voster, per allinearsi alla forma noster. L’evoluzione del sistema dei possessivi nelle lingue romanze è alquanto complessa e coinvolge forme che si sono create tramite analogia, e sviluppi tonici e atoni delle forme latine, da cui si sono originate tre serie: A) Rispecchia l’evoluzione toniche delle forme latine: it. mio, tuo, suo, nostro vostro; afr. mien, tuen, suen, nostre, vostre, sp. mio, tuyo, suyo, nuestro, vuestro. B) Rispecchia l’evoluzione tonica ma comprende forme analogiche per i pronomi singolari, modellate su Lat. meum, *teum, *seum: fr. mien, tien, sien, notre, votre, ‘settanta’ ‘ottanta’ ‘novanta’ fr. soixante-dix (sessanta e dieci) sono riprese da un sistema forse celtico. Il cento sopravvive bene dal lat. centem, e così per tutte le centinaia, così anche per il mille che dal lat. mille. 3.4.2 NUMERI ORDINALI Sono meno usati di quelli cardinali, soprattutto quelli superiori a dieci, infatti i primi dieci numeri cardinali si sono mantenuti piuttosto bene dal lat. primum/primarium, secundum, tertium > it. primo, secondo e terzo, sp. primer(o), segun(ndo), tercer(o), port. primeiro, segundo, terceiro. Oltre a primum si diffonde anche la forma primarium, riprenso anche nella penisola iberica e che ha portato alla formazione di tertiarium > tercero. Dal dieci in poi ci sono state diverse evoluzioni che hanno teso ad armonizzare le forme con i numeri cardinali, infatti il francese utilizza il suffisso -ième > dicimum. Mentre l’italiano impiega il suffisso -esimo > lat. vicesimus. Ancora una volta il romeno elimina completamente l’influenza latina, creandone di nuovi con il suffisso - lea, preceduti dall’articolo possessivo al: al doilea. 3.5 IL SISTEMA VERBALE Il sistema verbale latino si conserva meglio rispetto al sistema nominale, e conserva dunque anche la sua complessità e articolazione, sebbene ci siano ugualmente stati processi di cambiamento, che hanno visto l’analogia come fattore principale, che permesso la creazione di nuovi verbi regolari. 3.5.1 IL VERBO LATINO Il verbo latino come quello romanzo è coniugato, ovvero ricorre a desinenze specifiche e talvolta a temi nuovi a cui si aggiungono sempre delle desinenze. Inoltre, sia il verbo latino che romanzo è marcato dalla persona e da numero, poi dal tempo (presente, passato, futuro), dall’aspetto (perfettivo o imperfettivo), dal modo (congiuntivo, indicativo, imperativo) e dalla voce (attiva, passiva, deponente) e si tratta di categorie che più o meno bene si sono mantenute in tutte le lingue romanze. Una categoria che solitamente non è contemplata è l’aspetto, con cui di intende come si concepisce l’azione, se ne rappresenta la durata, la compiutezza e la ripetitività, che spesso è confuso con la categoria tempo. Nel sistema italiano e romeno manca la voce deponente (impiegata quando l’azione del verbo ingloba completamente il soggetto e ricade su di esso es. mi faccio il letto). Il verbo latino ha quattro coniugazioni; I -ARE, II ĒRE, III ĔRE, IV IRE, e ogni verbo ha tre temi principali: imperfettivo, perfettivo e anche supino. Su questi tre temi si formano tutti i tempi e le altre forme non finite (imperativi, infiniti, participi e gerundi) derivate dal verbo, con l’aggiunta di desinenze e, talvolta, di un suffisso o infisso particolare. E’ per questo motivo che nel paradigma latino dei verbi si fornisce non solo l’infinito ma anche la prima persona dell’indicativo presente e perfetto e il supino: lat. do, dedi, datum, dare. 3.5.2 CONIUGAZIONI Apparentemente le quattro coniugazioni del latino si sono conservate in italiano, francese, catalano, occitano e romeno - ARE: cantare > it. cantare, fr. chanter, cat. occ. cantar - ĒRE: habere > it. avere, fr. avoir, rom. a avea - ĔRE vendere > it. vendere, fr. vendre, cat. occ. vendre - IRE dormire > it. dormire, fr. cat. occ. dormir, rom. a dormi In spagnolo e portoghese vi è invece una confusione tra la II e la III coniugazione. Tale constatazione però ha dei problemi, infatti le quattro forme distinte di coniugazioni non corrispondono ad altrettanti tipi di desinenze diverse, e alcune lingue hanno addirittura introdotto altre coniugazioni, come il romeno che ne ha creato una quinta per le uscite in -î. In tutte le lingue le coniugazioni più produttive sono la I e la IV, soprattutto la I che tende ad accogliere verbi nuovi e anche verbi irregolari che vengono regolarizzati. 3.5.3 SOPRAVVIVENZA DI FORME Le forme verbali latine che sopravvivono pur subendo, a seconda delle lingue, regolari cambi fonetici e alcuni cambi analogici sono: l’indicativo presente, il congiuntivo presente, l’indicativo imperfetto, l’indicativo perfetto. A) L’indicativo presente : E’ il tempo verbale che rimane più o meno intatto probabilmente perché nella lingua parlata è quello più impiegato, tuttavia anche questo tempo ha subito modificazioni in quasi tutte le persone soprattutto a livello fonetico, dove solo la 4 e la 5 persona sono accentate sulla desinenza, mentre tutte le altre sono accentate sul tema, creando apofonia, ovvero alternanza vocalica nel tema. B) Il congiuntivo presente : Nei registri stilistici meno formali il modo congiuntivo tende a essere omesso e sostituito dal presente indicativo. Tale tendenza è prevalsa soprattutto in romeno, dove non si distingue tra indicativo e congiuntivo presente tranne che alla terza e sesta persona. Nelle altre lingue il congiuntivo presente si conserva ma si riduce aa due sole serie di desinenze -a ed -e, mentre alcuni verbi inseriscono una vocale anteriore in iato. C) Indicativo imperfetto : L’imperfetto latino si caratterizza per infisso -B- tra vocale tematica e suffisso -abam, -ebam, -ibam. Queste tre forme si conservano nell’italiano standard, e con la perdita di -b- nel romeno. In realtà vi è una tendenza che ha reso le tre uscite solo due, ad esempio il romeno impiega -iam, quando il tema è in vocale, e altre lingue iberiche come il catalano, portoghese e spagnolo sp. cantava, habia, dormia. Più radicale è invece il francese, che ha ridotto le desinenze ad una sola forma che deriva da -ebam > afr. -eie > fr. ais. In tutte le lingue romanze è sopravvissuta l’irregolarità del verbo essere > it. ero, afr. iere, sp. port. cat. occ. era, rom. eram. D) Indicativo perfetto (passato remoto) : In latino il tema del perfetto era caratterizzato dall’infisso -u- (scritto U/V) amo – amavi, o dal raddoppiamento della sillaba iniziale do – dedi. Oppure da desinenze come -i o -si come in facio – feci, mitto -misi. Ciò è in realtà espressione di un’altra divisione, tra verbi forti e deboli. Sono chiamati forti quei perfetti in cui l’accento cade sul tema della prima, terza e sesta persona, e deboli quei perfetti il cui accento cade sempre sul tema. I verbi con l’infissi -u- sono deboli, mentre quelli uscenti in -i, -si, e anche -ui sono forti. La sopravvivenza di queste due categorie nelle lingue romanze ha portato ad una complessa evoluzione dell’indicativo perfetto. -perfetti deboli: Le forme della seconda coniugazione fu compensata in due modi. In primo luogo, nelle lingue occidentali, è stato creato un perfetto debole le cui desinenze si basano sul perfetto con raddoppiamento, come in dare – dedi e i suoi composti come vendere: véndedi > vendédi, e poi reinterpretata come una desinenza di tipo debole vendedi > vendei > it. vendei/vendetti. In francese e spagnolo non vi è tale distinzione tra questo tipo di perfetto e il perfetto in -ivi. -perfetti forti : Dei tre tipi di perfetti forti sono stati più resistenti quelli in -ui e -si, rispetto a quelli in -i, di cui solo quattro si sono conservati Feci, fui, veni vidi. L’evoluzione delle forme in -ui danno risultati diversi a seconda delle aree: infatti lat. sapere – sapui > it. seppi, fr. sui, sp. supe. Port. suobe; lat. habere – habui > it. ebbi, fr. eus, sp. hube. I perfetti forti sopravvivono più o meno numerosi nelle lingue moderne, lat. mittere > misi > it. misi, afr. mist > mit. E) Participio passato : I participi passati sopravvivono e conoscono anche un’estensione delle loro funzioni grazie alla formazione dei nuovi passivi, e dei passati composti. Anche i participi si dividevano in forti e deboli con accento sul tema oppure sulla desinenza: cantare – cantàtus, dicere – dìctus. E come prevedibile sono aumentate le forme deboli a scapito delle forti, stabilendo così un rapporto tra la vocale caratteristica dell’infinito e quella del participio: come in lat. sentire > sensus > sentitus > it. sentito, fr. senti, sp. port. sentido. Parallelamente alla diffusione del perfetto debole in -ui, si è sviluppato un participio passato debole in -utus, diffusosi in romeno e francese, e presente anche in italiano come in lat. habere > habitum > *habutum > it. avuto, fr. eu, cat. hagut. 3.5.4 CAMBIO DI FUNZIONE Altre forme verbali latine sopravvivono ma con un cambio della loro funzione. Ciò in romeno. Altro modo per esprimere l’avverbio era l’utilizzo di una perifrasi formata dal sostantivo modus all’ablativo, accordando l’aggettivo con esso: lento modo ‘in modo lento’, ben preso modo divenne una parte atona, dunque iniziarono ad apparire forme che vedevano le due parole unite lentomodo, che ben presto su sostituita da mente, ablativo di mens, mentis forma che si è mantenuta it. port. sp > lentamente, fr. lentement. Quello degli avverbi è un altro esempio di come le lingue romanze abbiamo creato una forma sintetica, ancora una volta tramite la grammaticalizzazione di parti come mente. 3.6.2 PREPOSIZIONI Le preposizioni sono state importanti per la riduzione dei casi, iniziando infatti ad assumere forti connotazioni semantiche, infatti la preposizione lat. de ‘di, a proposito’ diventa una preposizione che indica l’appartenenza, sostituendo difatti il genitivo. Lat. ad e in sostituiscono le forme dell’ablativo, e così via. 3.6.3 CONGIUNZIONI Molto meno resistenti delle preposizioni sono le congiunzioni. Sopravvive quasi dovunque la preposizione copulative et > it. port. occ. e, sp. y, cat. i. ma in romeno viene preferita l’alternativa lat. sic > şi. La congiunzione negativa si esprime con nec > it. né, fr. cat. occ. sp. ni, port. nem, lat. aut > it. sp. occ. cat. o, lat. magis, it. ma, fr. mais, mentre in alcune lingue prevale lat. per hoc > sp. pero, it. cat. però. La congiunzione di subordinazione più diffusa è *que > it. che, fr. sp. port. cat occ. que, rom. că 4. LA SINTASSI 4.1 GENERALITÀ La sintassi è un sistema molto più aperto rispetto alla fonologia e alla morfologia, dato che vi sono infinite possibilità di ordinare le parti di una frase a seconda dello stile e dell’enfasi desiderati. Ciononostante, vi sono alcune considerazioni che possono essere fatte sui cambiamenti di ordine sintattico che si sono verificati nel passaggio dal latino alle lingue romanze. In latino, grazie al sistema dei casi, l’ordine della frase era piuttosto libero, mentre nelle lingue romanze è piuttosto fisso, un esempio in latino è l’aggettivo, che non per forza si doveva trovare vicino al sostantivo che descriveva, cosa che nelle lingue romanze non è possibile, poiché aggettivo e sostantivo devono essere vicini per rendere esplicito il rapporto. Per quel che concerne la posizione del soggetto e del complemento, la frase latina ammetteva possibili posizioni dato che la desinenza del nominativo era facilmente riconoscibile. Le lingue romanze, invece, preferiscono far precedere il soggetto al complemento. Addirittura, alcune lingue iberiche come lo spagnolo e il portoghese ricorrono a delle preposizioni, più frequentemente che in altre lingue, per riferirsi al complemento come in sp. vi a juan. Il cambiamento più importante nella sintassi latina è probabilmente quello che riguarda la posizione del verbo nella frase. Abbiamo già visto che si è passati da un sistema VO ovvero il verbo che segue il complemento, a un ordine VO dove il verbo precede il complemento, il che porta ad altre modificazioni. In una lingua OV, il sostantivo tende a precedere suffissi e posposizioni, il verbo precede l’ausiliare, nella comparazione l’aggettivo precede il termine di comparazione, e gli aggettivi precedono il sostantivo. Mentre in una lingua VO le preposizioni precedono il verbo principale, gli ausiliari sono più numerosi e precedono il verbo principale, l’elemento comparativo precede il soggetto e gli aggettivi seguono il sostantivo. Si usa parlare, per il primo caso, di ordine sintattico a sinistra, mentre nel secondo caso di ordine sintattico a destra. 4.2 ORDINE DELLA FRASE L’esame di alcuni aspetti dell’evoluzione della sintassi latina a quella romanza conferma quello di cui abbiamo appena parlato. A) Verbo e complemento: le lingue romanze sono di ordine VO ‘il ragazzo ama la ragazza’. B) verbo e avverbio: L’avverbio latino precedeva generalmente il verbo > humilter servire, mentre in romanzo > servire umilmente. C) ausiliari: nelle lingue romanze, dove sono presenti più ausiliari, essi vengono anteposti al verbo principale. D) sostantivo e aggettivo : in romanzo l’aggettivo piò precedere il sostantivo, generalmente per dare enfasi, poiché l’ordine normale è quello a destra che vede prima il sostantivo e poi l’aggettivo, ciò contrasta con il latino, dove invece accadeva il contrario. E) frasi relative: In latino la relativa seguiva il determinato, ordine che le lingue romanze hanno rispettato. F) congiunzioni: Nelle lingue OV la congiunzione dovrebbe collocarsi dopo l’elemento congiunto, invece il latino soleva anteporre la congiunzione, elemento che si è mantenuto tale nelle lingue romanze. G) articolo: In latino il dimostrativo poteva precedere o seguito il sostantivo ille lupus o lupus ille. L’articolo però diventa gradualmente un marcatore del sostantivo, soprattutto in lingue che hanno perso i casi, e dunque viene ad occupare quasi la funzione di prefisso. Fa eccezione il romeno, che presenta l’articolo posposto. 4.3 POSIZIONE DEL SOGGETTO Nelle lingue romanze l’ordine normale della frase vede SVO, soggetto-verbo-oggetto, rispetto al latino SOV. Per arrivare a quest’ordine sembra ci sia stato il passaggio attraverso una fase in cui il verbo, quando non occupava la prima posizione nella frase, ne occupava la seconda, e l’elemento che lo precedeva poteva essere il soggetto, l’oggetto, un complemento diretto, un avverbio. Si dice che gli elementi che occupano le prime posizioni sono tematizzati ovvero sono percepiti come i più importanti. La lingua in cui questa regola è diventata ancora più stringente è sicuramente il francese, che ha reso obbligatorio l’esplicitazione di un soggetto, in lingue come l’italiano l’ordine è leggermente più libero 4.4 PRONOMI PERSONALI ATONI In latino il pronome era impiegato per lo più per richiamare qualcosa di già menzionato e perciò si trovava verso l’inizio della frase. Le lingue romanze si distinguono dal latino perché ha sviluppato due classi di pronomi, atoni e tonici. Quelli atoni sono detti clitici perché occupano una posizione fissa nella frase, generalmente nelle vicinanze del verbo al quale sono associato. I clitici si possono comportare in due modi, essere proclitici ovvero precedere il verbo es. lo vedo, oppure enclitici, ovvero seguire il verbo es. compralo. Nelle frasi antiche del romanzo la posizione del clitico era generalmente influenzata dalla posizione del verbo, se questo si trovava in posizione iniziale, allora il clitico era in posizione enclitica, poiché si tendeva a non far iniziare la frase con un pronome atono. In un secondo momento, però, la posizione del verbo non fu più così determinate, e si è arrivati alla fase in cui la proclisi ha prevalso. Il motivo non è chiarissimo, ma sembra da ricercarsi nel fatto che i clitici obliqui stanno diventando degli elementi prefissi del verbo, una situazione più chiara è da osservare nel francese, dove vi è proclisi anche quando il verbo è all’infinito fr. le trouver ‘trovarlo’. 4.5 INTERROGAZIONE E NEGAZIONE In latino l’interrogazione poteva essere espressa con un morfema interrogativo quis? quid? Ubi? oppure con il suffisso -NE, -NONNE. Nelle lingue romanze l’interrogazione viene ancora introdotta da un morfema interrogativo che cosa, quando ecc. ecc. Un’alternativa è sicuramente l’inversione, a cui tutte le lingue ricorrono e in una lingua come il francese, dove è obbligatorio l’uso del soggetto, esso deve seguire il verbo. Le pane ‘con il pane’, ovvero compagno di mensa, con il quale si divide il pane che traduce alla lettera un’espressione gotica ga-hlaiba. Lo spagnolo possiede anche qualche termine di origine latina che ha esteso il proprio significato, un esempio è sp. Infante < lat. Infantem, che da ‘bambino’ diventa ‘figlio di re’. 5.4 CREAZIONE DI PAROLE NUOVE Anche il latino aveva la possibilità di creare parole nuove attraverso l’aggiunta di prefissi o suffissi e parole composte, infatti molti termini nelle lingue romanze sono basati su creazioni nuove di questo tipo, che sfruttano prefissi e suffissi vecchi e nuovi. 5.4.1 PREFISSI I prefissi latini corrispondono per lo più alle preposizioni e aggiungevano alla parola qualcosa del loro significato, anche se a lungo andare questo rapporto si è perso. Tali prefissi includono ad, cum, se, ex, in e re e nei registri meno aulici anche dis. Sono principalmente i verbi a ricevere un prefisso, che sarà poi eventualmente trasmesso agli eventuali sostantivi e aggettivi formati sulla loro base. Un esempio è il verbo latino flare ‘soffiare’, che viene sostituito generalmente dalla forma prefissata subflare > it. soffiare, fr. souffler, sp. soplar, rom. a sufla. Allo stesso verbo però sono stati aggiunti altri prefissi che ne cambiano il significato, come lat. inflare > fr. enfler, sp. hinchar ; lat. cumflare > it. gonfiare, fr. gonfler. L’evoluzione fonetica, come è evidente, nasconde spesso il prefisso originale. Non sempre tutte le aree adottano però tutte lo stesso prefisso come si è visto, è il caso del verbo lat. initiare > it. iniziare, che più spesso appare con un altro prefisso lat. cuminitiare > it. cominciare, fr. commencer, sp. comencer. 5.4.2 SUFFISSI I suffissi possono svolgere due funzioni: creare parole nuove per derivazione oppure indicare affettività, cioè esprimere l’atteggiamento di chi parla. Si hanno infatti suffissi accrescitivi, diminutivi, peggiorativi ecc. Tra i molti suffissi impiegati in latino troviamo -ulus, -culus, -ellus, -cellus che hanno di volta in volta perso il loro significato per creare parole nuove come in lat. auris > auricola > it. orecchia, fr. oreille, sp. oreja. A lungo andare è stato preferito il tipo –(c)ellum a –(c)ulum, perché il primo è un suffisso tonico, mentre il secondo è atono. Così se in latino era diffusa la forma lat. avis > aviculus, nelle lingue romanze si trasmette come avicellum > it. uccello, afr. oisel, cat. ocell. Sono dunque stati preferiti i suffissi tonici, tra cui - atus, -arius, -ensis. 5.4.3 PAROLE COMPOSTE Le parole composte possono essere formate da due sostantivi come: acquedotto, crocevia, da aggettivo più sostantivo: mezzogiorno, da sostantivo più aggettivo: pettirosso, o da verbo più sostantivo: portafoglio. Alcune parole composte hanno una storia continua dal latino alle lingue romanze come d esempio i giorni della settimana, costruiti da due sostantivi, la parole diem e il nome di una divinità al genitivo lat. lunae die > it. lunedi. E si noti come in genere l’ordine proposto dal latino si rispetta nelle lingue romanze. Nelle lingue romanze il tipo di parola composta più frequente è formata da verbo + complemento, oppure da sostantivo e aggettivo. Tutta via per influsso dell’angloamericano si sta diffondendo molto anche il tipo sostantivo + sostantivo, che rispetta l’ordine delle parole inglesi come: cartamoneta < paper money.
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