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Riassunto Introduzione e prima parte della critica del giudizio, Sintesi del corso di Estetica

Punti fondamentali riassunti dell`introduzione e prima parte della critica del giudizio di Kant

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 15/02/2023

Filosofia...
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Scarica Riassunto Introduzione e prima parte della critica del giudizio e più Sintesi del corso in PDF di Estetica solo su Docsity! PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE, 1790 Kant presenta la critica del giudizio come completamento del disegno speculativo avviato con la Critica della ragion pura e la Critica della ragion pratica. Si può chiamare ragione pura la facoltà della conoscenza a partire da principi a priori, e critica della ragione pura la ricerca della sua possibilità e dei suoi limiti in generale. Quella critica, dunque, si rivolge unicamente alla nostra facoltà di conoscere cose a priori e perciò si occupa solo della facoltà di conoscere , escludendo il sentimento del piacere e dispiacere e la facoltà di desiderare, e, tra le facoltà conoscitive, si occupa dell’ intelletto secondo i suoi principi a priori, escludendo la Forza di giudizio e la ragione; poiché, procedendo nella ricerca, si trova che nessun’altra facoltà conoscitiva, se non l’intelletto, può fornire principi a priori costitutivi di conoscenza. Ora, sapere se anche la Forza di giudizio, abbia per sé principi a priori; se tali principi siano costitutivi o semplicemente regolativi (e quindi non attestino un proprio dominio); e se essa dia a priori la regola al sentimento del piacere e dispiacere, in quanto termine medio tra la facoltà di conoscere e quella di desiderare. INTRODUZIONE I. DELLA DIVISIONE DELLA FILOSOFIA Si divide la filosofia, in filosofia teoretica e filosofia pratica. Tuttavia, ci sono soltanto due tipi di concetti che ammettono principi altrettanto diversi della possibilità dei loro oggetti: cioè i concetti della natura e il concetto della libertà. Ora, poiché i primi rendono possibile una conoscenza teoretica secondo principi a priori, il secondo invece, riguardo alla conoscenza, comporta già nel suo concetto solo un principio negativo (della semplice opposizione) e stabilisce invece per la determinazione della volontà dei principi estensivi che perciò si dicono pratici. Finora ha però imperato un grande abuso di queste espressioni per la divisione dei diversi principi e con questi anche della filosofia: si è infatti identificato il pratico secondo concetti della natura con il pratico secondo il concetto della libertà e si è così operata, sotto le medesime denominazioni di filosofia teoretica e pratica, una divisione con la quale di fatto non si divideva nulla (dato che entrambe le parti potevano avere gli stessi principi). La volontà, in quanto facoltà di desiderare, è infatti una delle varie cause naturali presenti nel mondo, cioè quella che produce effetti secondo concetti. la volontà sta non solo sotto il concetto della natura, ma anche sotto il concetto della libertà, ed è in riferimento a quest’ultimo che i principi della volontà si chiamano leggi, costituendo, con le loro conseguenze, la seconda parte della filosofia, cioè quella pratica. II. DEL DOMINIO DELLA FILOSOFIA IN GENERALE La legislazione mediante concetti della natura avviene da parte dell’intelletto ed è teoretica. La legislazione mediante il concetto della libertà avviene da parte della ragione ed è semplicemente pratica. Intelletto e ragione hanno dunque due legislazioni diverse su un unico e medesimo territorio dell’esperienza, senza che l’una possa intromettersi nell’altra. Il concetto della natura può sì rendere rappresentabili i suoi oggetti nell’intuizione, non però come cose in sé stesse, bensì come semplici fenomeni, mentre il concetto della libertà può sì rendere rappresentabile nel suo oggetto una cosa in sé stessa, ma non nell’intuizione; C’è dunque un campo illimitato, ma anche inaccessibile, per la nostra facoltà di conoscere nel suo complesso: è appunto il campo del soprasensibile. Il dominio del concetto della natura, il sensibile, e il dominio del concetto della libertà, il soprasensibile. alle leggi pratiche della libertà. Per la facoltà di conoscere (per la conoscenza teoretica della natura) è l’intelletto la facoltà che contiene i principi costitutiva priori; per il sentimento del piacere e dispiacere è la forza di giudizio; per la facoltà di desiderare è la ragione che è pratica senza la mediazione di un qualsiasi piacere. La seguente tavola può facilitare una visione d’insieme di tutte le facoltà superiori, secondo la loro unità sistematica. Facoltà dell’animo complessive Facoltà Conoscitive Principi a priori Applicazione alla Facoltà di conoscere Intelletto Conformità alla legge Natura Sentimento del piacere e dispiacere Forza di giudizio Conformità al fine Arte Facoltà di desiderare Ragione Fine definitivo Libertà LIBRO PRIMO ANALITICA DEL BELLO PRIMO MOMENTO DEL GIUDIZIO DI GUSTO, SECONDO LA QUALITÀ § 1 IL GIUDIZIO DI GUSTO È ESTETICO Per distinguere se qualcosa è bello o no non riferiamo, mediante l’intelletto, la rappresentazione all’oggetto per la conoscenza, ma la riferiamo, mediante la forza di immaginazione (forse collegata con l’intelletto, essa è una facoltà intermedia fra quelle del senso e dell'intelletto, e collaboratrice alla sintesi di entrambe), al soggetto e al suo sentimento del piacere o dispiacere. Sentimento del piacere e del dispiacere, non designano nulla nell’oggetto, esprimono il modo nel quale il soggetto si sente modificato dalla rappresentazione. Il giudizio di gusto non è pertanto un giudizio di conoscenza; non è quindi un giudizio logico, ma estetico, non può essere altro che soggettivo, possiamo definirlo come: facoltà di giudicare il bello. § 2 IL COMPIACIMENTO CHE DETERMINA IL GIUDIZIO DI GUSTO È SENZA ALCUN INTERESSE Viene detto interesse: il compiacimento che colleghiamo con la rappresentazione dell’esistenza di un oggetto. Quando ci si chiede se qualcosa sia bello, si vuole sapere come la valutiamo quando semplicemente la consideriamo (intuizione o riflessione). Chiunque deve ammettere che quel giudizio sulla bellezza, in cui si mescoli il minimo interesse, è molto parziale e non è un puro giudizio di gusto. Per fare da giudici in questioni di gusto non bisogna essere minimamente presi dall’esistenza della cosa, ma essere invece del tutto indifferenti al proposito. Tuttavia, non possiamo chiarire meglio questa proposizione, che è della massima rilevanza, se non contrapponendo al puro compiacimento disinteressato, che avviene nel giudizio di gusto. Un giudizio su un oggetto del compiacimento può essere del tutto disinteressato e tuttavia essere molto interessante, cioè non si fonda su alcun interesse, ma produce un interesse. § 3 IL COMPIACIMENTO PER IL GRADEVOLE È COLLEGATO CON UN INTERESSE Gradevole è ciò che piace ai sensi nella sensazione. Ogni compiacimento (si dice o si pensa) è anche sensazione (di un piacere). Di conseguenza tutto ciò che piace, proprio perché piace, è gradevole. Quando una determinazione del sentimento del piacere o dispiacere è chiamata sensazione, questa espressione significa qualcosa del tutto diverso rispetto a quando chiamo sensazione la rappresentazione di una cosa. Infatti, in quest’ultimo caso, la rappresentazione è riferita all’oggetto, mentre, nel primo caso, è riferita esclusivamente al soggetto. Vogliamo chiamare con il nome, di sentimento ciò che deve restare sempre semplicemente soggettivo e che non può in alcun modo costituire una rappresentazione di un oggetto. Il colore verde dei prati compete alla sensazione oggettiva in quanto percezione di un oggetto del senso, ma la sua gradevolezza compete alla sensazione soggettiva, con la quale non viene rappresentato alcun oggetto. Il compiacimento presuppone non il semplice giudizio sull’oggetto, ma il riferimento della sua esistenza al mio stato, nella misura in cui quest’ultimo è affetto da un tale oggetto. È per questo che del gradevole non si dice soltanto che piace, bensì che soddisfa. § 4 IL COMPIACIMENTO PER IL BUONO È COLLEGATO CON UN INTERESSE Buono è ciò che, per mezzo della ragione, piace per il semplice concetto. Per trovare buono qualcosa devo sempre sapere che cosa deve essere l’oggetto, cioè averne un concetto. Per Kant è buono ciò che, mediante la ragione, piace per il puro e semplice concetto. Ciò è diverso dal buono a qualcosa (utile), quando ci piace solo come mezzo. È vero che in molti casi il gradevole sembra fare tutt’uno con il buono. Ciò che è gradevole in modo duraturo o ciò che è buono sono la medesima cosa. questo è semplicemente un erroneo scambio di parole, poiché i concetti non possono in alcun modo venire scambiati l’uno con l’altro. Il gradevole che, come tale, rappresenta l’oggetto esclusivamente in riferimento al senso deve innanzitutto essere riportato, mediante il concetto di un fine, sotto principi della ragione perché lo si possa chiamare, come oggetto del volere, buono. A proposito del buono, si pone sempre la domanda se esso sia buono solo mediatamente o immediatamente buono (se sia utile o buono in sé); mentre a proposito della gradevole tale domanda non può affatto essere posta, in quanto la parola significa sempre qualcosa che piace immediatamente. (Lo stesso accade anche con ciò che chiamo bello). Il gradevole e il buono, questi due convengono però in ciò: che essi sono sempre collegati con un interesse per il loro oggetto. § 5 CONFRONTO DELLE TRE SPECIE SPECIFICAMENTE DIVERSE DEL COMPIACIMENTO Il gradevole e il buono possiedono entrambi un riferimento alla facoltà di desiderare e comportano pertanto: il primo un compiacimento patologicamente condizionato (da stimoli, stimuli), il secondo un puro compiacimento pratico. Al contrario, il giudizio di gusto è semplicemente contemplativo, cioè si tratta di un giudizio che, indifferente all’esistenza di un oggetto, connette soltanto la costituzione dell’oggetto con il sentimento del piacere e dispiacere. Ma questa stessa contemplazione non è indirizzata a concetti; infatti, il giudizio di gusto non è un giudizio di conoscenza (né teoretico né pratico). Il gradevole, il bello, il buono designano dunque tre diversi rapporti delle rappresentazioni con il sentimento del piacere e dispiacere. Si chiama gradevole a qualcuno ciò che lo soddisfa; bello ciò che semplicemente gli piace; buono ciò che stima, che approva, ossia ciò in cui pone un valore oggettivo. Tra queste tre specie di compiacimento solo ed esclusivamente quello del gusto per il bello è un compiacimento disinteressato e libero. Definizione del bello derivata dal primo momento Gusto è la facoltà di valutare un oggetto o una specie di rappresentazione mediante un compiacimento, o dispiacimento, senza alcun interesse. L’oggetto di un tale compiacimento si chiama bello. SECONDO MOMENTO DEL GIUDIZIO DI GUSTO, CIOÈ SECONDO LA SUA QUANTITÀ TERZO MOMENTO DEI GIUDIZI DI GUSTO, SECONDO LA RELAZIONE DEI FINI CHE VI VIENE PRESA IN CONSIDERAZIONE § 10 DELLA CONFORMITÀ AL FINE IN GENERALE Un fine è l’oggetto di un concetto, in quanto questo concetto è considerato come la causa di quell’oggetto (come fondamento reale della sua possibilità); conformità al fine (forma finalis) = causalità di un concetto in rapporto al proprio oggetto. Si dice conforme al fine un oggetto o uno stato d’animo o anche un’azione, sebbene la loro possibilità non presupponga necessariamente la rappresentazione di un fine. La conformità al fine può dunque essere senza un fine. § 11 IL GIUDIZIO DI GUSTO NON HA A FONDAMENTO NIENT’ALTRO CHE LA FORMA DELLA CONFORMITÀ DI UN OGGETTO (O DELLA SUA SPECIE RAPPRESENTATIVA) AL FINE il giudizio di gusto non può avere a fondamento alcun fine soggettivo. Ma non è nemmeno una rappresentazione di un fine oggettivo. Si tratta di un giudizio estetico, non di conoscenza. § 12 IL GIUDIZIO DI GUSTO SI BASA SU FONDAMENTI A PRIORI È assolutamente impossibile stabilire a priori la connessione del sentimento di un piacere o dispiacere, come effetto, con una qualunque rappresentazione (sensazione o concetto), in quanto sua causa. § 13 IL GIUDIZIO PURO DI GUSTO È INDIPENDENTE DALL’ATTRATTIVA E DALL’EMOZIONE Ogni interesse altera il giudizio di gusto e gli toglie la sua imparzialità specialmente quando esso non fa precedere la conformità al fine al sentimento del piacere, come fa l’interesse della ragione, ma invece la fonda su questo. Un giudizio di gusto non influenzato dall’attrattiva o dall’emozione e il cui motivo determinante è soltanto la finalità della forma, è un giudizio di gusto puro. § 14 ESEMPI ILLUSTRATIVI I giudizi estetici possono essere divisi in giudizi empirici e puri. I primi sono quelli che predicano quale gradevolezza o non gradevolezza, sono giudizi dei sensi (giudizi estetici materiali); esprimono la bellezza di un oggetto o del suo modo di rappresentazione. Questi sono veri giudizi di gusto (in quanto formali). Un giudizio di gusto è dunque puro solamente in quanto nessun compiacimento semplicemente empirico viene a mischiarsi al suo principio di determinazione. Un semplice colore, un semplice suono, vengono dichiarati dai più belli in sé, benché entrambi sembrino avere a fondamento semplicemente la materia delle rappresentazioni, cioè esclusivamente una sensazione, e meriterebbero pertanto di essere chiamati soltanto gradevoli. Solo che allo stesso tempo si osserverà tuttavia che le sensazioni del colore come pure, quelle del suono, si ritiene a buon diritto che valgano come belle soltanto in quanto sono entrambe pure. Se si ammette che i colori siano vibrazioni, così come i suoni lo sono dell’aria che vibra perché smossa, allora colore e suono non sarebbero semplici sensazioni, ma costituirebbero già una determinazione formale dell’unità di un molteplice delle sensazioni e potrebbero allora essere annoverati anche di per sé come bellezze. § 15 IL GIUDIZIO DI GUSTO È TOTALMENTE INDIPENDENTE DAL CONCETTO DELLA PERFEZIONE La finalità oggettiva può essere conosciuta soltanto mediante il riferimento del molteplice a un fine determinato, dunque solo mediante un concetto. La finalità oggettiva è o quella esterna, cioè l’utilità, oppure quella interna, cioè la perfezione dell’oggetto. Una conformità oggettiva interna al fine, cioè la perfezione, si avvicina già di più al predicato della bellezza, ed è stata perciò ritenuta identica alla bellezza. La bellezza si lascia risolvere davvero nel concetto di perfezione? Il giudizio di gusto, che è estetico, è un giudizio che poggia su principi soggettivi, il cui principio determinante non può essere un concetto, quindi neppure uno scopo determinato. Nella bellezza, in quanto finalità soggettiva formale, non viene per nulla pensata una perfezione dell’oggetto come una formale finalità. § 16 IL GIUDIZIO DI GUSTO, CON CUI UN OGGETTO È DICHIARATO BELLO SOTTO LA CONDIZIONE DI UN CONCETTO DETERMINATO, NON È PURO Ci sono due specie di bellezza, la bellezza libera o la bellezza semplicemente aderente: la prima non presuppone alcun concetto di ciò che deve essere l’oggetto Ad esempio i fiori, gli animali. Nella valutazione di una bellezza libera il giudizio di gusto è puro.; la seconda presuppone sia tale concetto che la perfezione dell’oggetto corrispondente. La si attribuisce ad oggetti compresi sotto il concetto di uno scopo particolare. Esempio la bellezza umana. § 17 DELL’IDEALE DELLA BELLEZZA Non può esserci alcuna regola oggettiva del gusto che determini mediante concetti ciò che è bello. Infatti, ogni giudizio derivante da questa fonte è estetico; ossia il suo principio di determinazione è il sentimento del soggetto, e non un concetto di un oggetto. Ora, come perveniamo a un simile ideale della bellezza? A priori o empiricamente? E ancora: quale genere di bello è capace di un ideale? Certamente occorre innanzitutto sottolineare che la bellezza per la quale deve essere cercato un ideale dovrebbe essere non una bellezza vaga, bensì una bellezza fissata mediante un concetto finalità oggettiva, che determini a priori lo scopo sul quale poggia la possibilità interna dell’oggetto. È soltanto ciò che possiede in sé stesso il fine della propria esistenza, l’uomo, che può determinarsi da sé i propri fini con la ragione, questo uomo, tra tutti gli oggetti nel mondo, è dunque il solo che sia capace di un ideale della perfezione, nel quale bisogna distinguere l’ideale del bello che consiste nell’espressione della moralità, senza la quale l’oggetto non piacerebbe in modo universale e positivo. Definizione del bello tratta da questo terzo momento La bellezza è la forma della conformità di un oggetto al fine, in quanto essa vi viene percepita senza rappresentazione di un fine. QUARTO MOMENTO DEL GIUDIZIO DI GUSTO, SECONDO LA MODALITÀ DEL COMPIACIMENTO PER L’OGGETTO § 18 CHE COSA SIA LA MODALITÀ DI UN GIUDIZIO DI GUSTO Di una qualsiasi rappresentazione posso dire che è per lo meno possibile che essa (in quanto conoscenza) sia collegata con un piacere. Di ciò che chiamo gradevole dico che produce realmente piacere in me. Ma del bello si pensa che abbia un riferimento necessario al compiacimento, come necessità che viene pensata in un giudizio estetico, essa può essere detta solo esemplare, cioè si tratta di una necessità del consenso di tutti su un giudizio che viene considerato come esempio di una regola universale che non si può addurre. § 19 LA NECESSITÀ SOGGETTIVA, CHE ATTRIBUIAMO AL GIUDIZIO DI GUSTO, È CONDIZIONATA Il giudizio di gusto esige il consenso di ciascuno; e chi dichiara che qualcosa è bello intende che ciascuno debba dare la sua approvazione all’oggetto considerato e allo stesso modo dichiararlo bello. Si persegue il consenso di ogni altro perché si possiede per questo un fondamento che è comune a tutti. § 20 LA CONDIZIONE DELLA NECESSITÀ, RIVENDICATA DA UN GIUDIZIO DI GUSTO, È L’IDEA DI UN SENSO COMUNE Se i giudizi di gusto (come i giudizi conoscitivi) avessero un principio oggettivo determinato, colui che li formulasse secondo questo principio avanzerebbe la pretesa a una necessità incondizionata del proprio giudizio. Essi devono avere un principio soggettivo che determini solo mediante il sentimento e non mediante concetti, e tuttavia in un modo universalmente valido, ciò che piace o dispiace. Ma un tale principio potrebbe venire considerato soltanto come un senso comune, Il senso comune è condizione necessaria della comunicabilità universale della nostra conoscenza. § 21 SE SI POSSA PRESUPPORRE FONDATAMENTE UN SENSO COMUNE Conoscenze e giudizi, unitamente alla convinzione che li accompagna, si devono poter comunicare universalmente. Si deve poter comunicare universalmente anche lo stato d’animo, cioè la disposizione delle forze conoscitive in vista di una conoscenza in generale, e precisamente quella proporzione che si addice a una rappresentazione (con cui un oggetto ci è dato) per farne una conoscenza. § 22 LA NECESSITÀ DEL CONSENSO UNIVERSALE, CHE È PENSATO IN UN GIUDIZIO DI GUSTO, È UNA NECESSITÀ SOGGETTIVA CHE, SE PRESUPPOSTO UN SENSO COMUNE, VIENE RAPPRESENTATA COME OGGETTIVA In tutti i giudizi con cui dichiariamo qualcosa bello, non permettiamo a nessuno di essere di un’altra opinione, allo stesso tempo senza però fondare il nostro giudizio su concetti, ma soltanto sul nostro sentimento, che dunque poniamo a fondamento non come sentimento privato, ma come un sentimento che abbiamo in comune. Il sentimento su cui ci basiamo i nostri giudizi non è individuale, ma comune (infatti cerchiamo il consenso degli altri). Questo senso comune non può fondarsi sull’esperienza. Questi giudizi contengono
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