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riassunto introduzione storia bizantina ravegnani, Schemi e mappe concettuali di Storia

riassunto introduzione storia bizantina ravegnani

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 05/07/2022

pipis977
pipis977 🇮🇹

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Scarica riassunto introduzione storia bizantina ravegnani e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! INTRODUZIONE ALLA STORIA BIZANTINA LA NOZIONE DI STORIA BIZANTINA Con la nozione di storia bizantina si indicano gli avvenimenti della parte orientale dell'impero romano avente come capitale la città di Bisanzio, rinominata Costantinopoli a partire dal secolo IV. I cittadini dell'impero sono comunemente definiti bizantini, tuttavia una buona parte della storiografia ha più recentemente posto l'accento sul termine Rhomaioi. Il termine Bizantini in riferimento agli abitanti dell'Impero è difatti di origine moderna e non trova riscontri nelle fonti se non in riferimento ai cittadini della sola capitale. I bizantini difatti, si autopercepivano come Romani e così si definirono per tutto il corso della loro storia: è una nozione che si riscontra nelle fonti nel secolo IV, anche straniere, nelle quali veniva indicata con Rhomania la << la terra dei romani >>, l'insieme dei territori governati dall'Impero. L'idea di romanità costitui la base del sistema politico dei Bizantini. L'impero si considerava la diretta continuazione di Roma, avente il diritto alla sovranità dei territori appartenuti ad essa. LA PERIODIZZAZIONE Nel corso dei suoi undici secoli di Storia l'impero bizantino conobbe numerose trasformazioni. E' possibile individuare dei periodi con cambiamenti significativi rappresentanti momenti di cesura tra un prima e un dopo 1. Il primo periodo bizantino o protobizantino--->sec. IV-VII Dalla fondazione della città o dall'inizio del regno di Costantino I sino al regno di Eraclio I. 2. Il medio periodo--->sec.VII-XI/XII/XIII Dall'espansione dell'Islam nei territori imperiali ad oriente alla conquista araba dell'Anatolia(1070) o la presa di Costantinopoli durante la Quarta Crociata(1204) 3. Il tardo periodo--->Dal 1080/1204 al 1453 Stabilire il termine dell'esperienza statale bizantina risulta più semplice di individuarne l'inizio. La conquista di Costantinopoli e la morte dell'ultimo Imperatore nel 1453 durante l'assedio rappresentano l'epilogo dell'Impero Bizantino, mentre la scelta di una data d'inizio è oggetto di dibattito storiografico. E' possibile individuare diverse date associabili a cambiamenti di grande significato e importanza, quali il 324, anno in cui il governo di Costantino I iniziò, o il 330, data di inaugurazione della città di Costantinopoli. Altre date significative da prendere in esame sono il 395, quando dopo la morte dell'imperatore Teodosio l'impero fu diviso in 2 parti e il 476, anno della deposizione dell'ultimo imperatore romano d'Occidente. Con l'inizio del regno di Eraclio nel 610 si misero in moto un insieme di cambiamenti destinati a modificare la struttura dell'Impero e qualche decennio dopo cominciò l'esplosiva espansione del Califatto musulmano, il quale conquistò regioni che da secoli erano state parte del dominio romano quali l'Egitto, la Siria e l'Esarcato d'Africa. L'impero Bizantino cominciò quindi a diventare una potenza regionale avente come capisaldi la penisola anatolica, la Grecia e la Tracia, conoscendo fasi alterne di successi e rovina. Anche il 717 è una data significativa, simboleggiante l'avvio avvio dell'epoca iconoclastica e del compimento delle trasformazioni iniziate con Eraclio. Elementi significativi e caratterizzanti la fisionomia dell'Impero di Costantinopoli furono la struttura statale romana, la cultura greca e la religione cristiana. PREMESSE L'assetto politico-amministrativo dell'Impero Bizantino del primo periodo trae la sua origine dalle riforme di Diocleziano, che cercarono di arrestare il decadimento imperiale concentrandosi su cinque punti: il potere assoluto del sovrano la centralizzazione dell'apparato amministrativo la riforma della tassazione riforma dell'esercito riforma della successione al trono. Se l'imperatore era precedentemente considerato come Primo tra i Pari, da quel momento divenne un dominus, con i connotati di un monarca orientale e venendo considerato al pari di una divinità, Dominus et Deus. Con il progressivo affermarsi del cristianesimo, quest'uso venne tramutato nella figura di un imperatore eletto da Dio. L'imperatore di Costantinopoli per secoli si considerò scelto da Dio e pertanto i suoi poteri erano assoluti: era il comandante dell'esercito, unico legislatore e protettore della Chiesa. Dal punto di vista amministrativo, le autonomie delle regioni periferiche vennero limitate e il potere del senato ridotto. Il numero di province fu incrementato, raggiungendo durante il regno di Diocleziano il numero di 100. Più province erano dunque accorpate sotto le diocesi, unità amministrative più ampie, e a partire da Costantino, multiple diocesi divennero parti di 2 prefetture. Complessivamente si assistete dunque ad una stratificazione dell'apparato amministrativo, un sistema che si stabilizzò alla fine del secolo IV. La prefettura di Oriente era costituita da 5 diocesi(Egitto, Oriente, Ponto, Asia e Tracia), la prefettura di Illirico dalla diocesi di Dacia e Macedonia, quest'ultima comprendente la Grecia. A capo di ogni prefettura vi era il prefetto, uno dei più alti funzionari imperiali, mentre le diocesi erano rette da vicari e a capo delle province vi erano funzionari di vario genere. A livello cittadino i funzionari municipali e i consigli, composti dai cittadini più benestanti, erano le entità a guidare il governo dei centri urbani. Le diocesi e il sistema delle prefetture vennero meno, in favore dell'introduzione del sistema dei themi a partire dal secolo VII. Per quanto riguarda la riforma della tassazione, fu attuata con l'introduzione dell'annona, un'imposta fondiaria da pagare in natura che sostituì il tributo in denaro a causa del deprezzamento della moneta nel secolo III. Ma già alla fine del secolo IV, con l'introduzione del solido, l'economia monetaria riprese il sopravvento. Invece per quanto concerne la riforma militare, il principio essenziale consistette nella separazione dell'autorità militare da quella civile, con l'eccezione di alcune province di frontiera. Costantino volle suddividere l'esercito in un gruppo dedicato al sorvegliamento delle frontiere, i limitanei, ed un esercito di manovra di stanza nell'interno, i comitatenses o palatini. Un cambiamento rispetto al sistema precedentente, che prevedeva di posizionare tutti gli eserciti ai confini. L'altro grande intervento di rilievo fu l'introduzione della tretrarchia per regolamentare la successione al trono. Secondo questo sistema, ai due imperatori anziani, gli augusti, dovenano succedere i due cesari da lori scelti, che avrebbero nominato due nuovi cesari per assicurare la continuità del sistema. Tuttavia una volta venuta meno la guida di Diocleziano, questo meccanismo si rivelò un fallimento e venne abbandonato. Dopo la tetrarchia, il trono fu spesso conteso con la forza da diversi pretendenti e non fu fatti nessun tentativo convincente per stabilire una regola di successione. Una pratica che si fece strada fu quella della successione diretta. Il sovrano in carica si associava ad uno o più colleghi, dando origine a dinastie, alcune durature, già a partire dall'epoca di Costantino I. COSTANTINO I(306-337†) La crisi del sistema tetrarchico fu evidente precocemente, quando nel 307 sei augusti si contesero il trono dando vita ad una serie di lunghe guerre civili, terminate nel 324 con la vittoria di Costantino. Egli era stato proclamato cesare in Occidente nel 306 dal padre Costanzo Cloro; nel 312 vinse la battaglia di Ponte Milvio contro il contendente Massezzio e nel febbraio del 313 promulgò a Milano un editto che aprì alla tolleranza del culto cristiano nell'Impero. Nel 324 sconfisse l'ultimo dei suoi rivali in Oriente, Licinio, e divenne alfine l'unico imperatore. Progettò dunque la costruzione di una nuova capitale, scegliendo come sito l'antica città di Bisanzio, posta sulla sponda occidentale del Bosforo, rinominata Costantinopoli ed inaugurata nel 330. La città era posizionata in una località strategica, che consentiva di sorvegliare i Balcani e le ricche regioni dell'Asia Minore. Inoltre dava la DA MARCIANO(450-457†) AD ANASTASIO I(491-518†) Teodosio II morì nel 450 senza lasciare eredi e la scelta del successere venne intrapresa dal senato, che elesse Marciano, un tribuno militare ritiratosi dal servizio. Egli sposò la sorella di Teodosio II, Pulcheria, legandosi in qualche modo alla dinastia teodosiana. La scelta ricaduta su Marciano fu condizionata fortemente dal magister militum Aspar, un alano di fede ariana che non poteva aspirare al trono ma che mantenne per un ventennio un ruolo politico di primo piano, intervenendo anche nella nomina del successore di Marciano nel 457. Marciano dal punto di vista della politica religiosa nel 451 decise di rivedere le decisioni fatte ad Efeso convocando un nuovo concilio a Calcedonia, il quarto concilio ecumenico, nel quale il monofisismo venne condannato come eresia. Allo stesso tempo nel concilio venne stabilita l'equiparazione fra le sedi vescovili di Roma e Costantinopoli, evento da quale ebbe origini la rivalità tra le due sedi vescovili. Nonostante le decisioni del concilio il monofisismo continuò a far presa nelle aree più orientali e meridionali dell'Impero, radicandosi in Siria ed Egitto. La figura di Aspar si dimostrò influente, intervenendo anche nella nomina del successore di Marciano; il magister pilitum fece pressione sul senato affinchè venisse eletto Leone(457-474†), un ufficiale che lo aveva servito come amministratore. Leone tuttavvia cerco di distaccarsi dall'influenza di Aspar e nel tentativo di limitarne il potere si appoggiò agli Isauri, un popolo dell'Asia minore. Un ufficiale isauro, Tarasicodissa, gli svelò gli intrighi del figlio di Aspar, offrendo a Leone I la possibilità di destituirlo diminuendo la pressione che il magister militum alano esercitava sul trono. l'ufficiale isauro prese il nome di Zenone, prendendo in sposa la figlia di Leone Ariadne e venenedo nominato magister militum della Tracia. La lotta per il potere negli anni successivi di inasprì: la fazione di Leone finì per prevalere. Leone I prima di morire associò il nipote Leone II al trono, che tuttavia morì poco. Zenone dunque gli subentrò nella carica. Zenone dovette combattere una lunga serie di ribellione, una delle quali lo costrinse a fuggire da Costantinopoli a causa dell'usurpazione di Basilisco, durata 18 mesi. In questo contesto di crisi L'impero d'Occidente vide il generale Odoacre deporre l'ultimo imperatore d'occidente Romolo Augustolo, facendo di Costantinopoli l'unica sede legale del governo romano. Zenone rifiutò la richiesta di Odoacre di vedersi riconosciuta la carica di patrizio e l'amministrazione dell'Italia e si rivolse a Teodorico della dinastia degli Amali, comandate ostrogoto, affinchè effettuasse una spedizione in Italia e cacciasse Odoacre. La spedizione di Teodorico si concluse con un successo, sancendo l'inizio del dominio ostrogo in Italia, destinato a prolungarsi sino all'età di Giustiniano. Anche il regno di Zenone fu attraversato dai dissidi religiosi. Egli cerco di risolvere le tensioni tra monofisiti e credo niceno, pubblicò un editto di unione vente come obiettivo la conciliazione delle due dottrine. Tuttavia l'editto non entrava nel merito delle decisioni prese a Calcedonia nel 451, deludendo ambo le parti; in più papa Felice III scomunicò il patriarca Acacio, che si oppose al potere papale. Alla morte senza eredi di Zenone nuovamente il senato si ritrovò l’onere di scegliere un successore. Essendo ancora in vita la vedova imperiale Ariadne, il senato propose a lei di prendere una decisione, e l’imperatrice designò come erede al trono un anziano funzionario di corte, che lei stessa avrebbe poi sposato, Anastasio. Anastasio(491-518) salito al potere, si prodigò per sanare il disastro finanziario lasciato dal predecessore, e vi riuscì nonostante la lunga serie di guerre sostenute dal suo impero durante il suo regno, colpito dalle invasioni bulgare nei balcani e dalla riapertura del conflitto con i persiani. Dopo la morte di Anastasio I, senza eredi, venne eletto imperatore Giustino I(518-527) un anziano militare illirico. Egli era un calcedoniano convinto che depose i vescovi monofisiti e ripristinò i buoni rapporti con Roma. Non avendo alcun figlio decise di ricercare un successore al trono itra i nipoti, scegliendo Pietro Sabbazio, che prese il nome di Giustiniano. Giustiniano durante il regno dello zio fu un ufficiale della guardia palatina e partecipò attivamente al governo dello Stato, spesso in sostituzione dello Zio. Poco prima di morire Giustino lo associò al trono e nel 527, alla sua morte, Giustiniano divenne ufficialmente imperatore. Giustiniano rinnovò profondamente l'impero: la sua età viene considerata il periodo migliore della prima fase di storia bizantina; lo stato venne rafforzato con una serie di riforme, riguardanti le categorie del diritto privato e pubblico. Inoltre, raggiunto un accordo di pace perpetua con i persiani venne intrapresa una fase di espansione verso occidente, atta a ricostituire l'unità del bacino mediterraneo. Sotto la guida del generale Belisario venne riconquistata l'Africa romana sotto il controllo dei Vandali nel 554 e venne occupata anche la parte sud orientale della penisola iberica, strappandola ai Visigoti. Il conflitto più lungo e cruento durante il regno di Giustiniano fu la guerra gotica, che nel corso di un ventennio portò alla riconquista dell'Italia. Anche in questa campagna le operazioni vennero iniziate dal generale Belisario, che sbarco in Sicilia nel 535 con un contingente, al quale segui la veloce capitolazione dell'isola. Ne 536 l'esercito imperiale cominciò la risalita della penisola, saccheggiando Napoli e conquistando Roma. Il re ostrogo Vitige provò a riconquistare la città, fallendo e venendo inseguito da Belisario che nel 540 prese possesso di Ravenna e catturando Vitige. Si aprì una fase di tregua che sembrasse avesse portato il conflito a concludersi, ma un gruppo di Goti più a nord, sotto la guida di Totila, mise in atto una controffensiva che Belisario non riuscì a risolvere. Si ebbe una svolta soltanto nel 552 quando il generale Narsete prese il comando, sconfiggendo Totila e il successore Teia. La sconfitta e la morte di quest'ultimo in battaglia segnò la fine dell'esperienza ostrogota in Italia. Tuttavia, nonostante la vittoria, confliti a bassa intensità continuarono ad avere luogo in particolar modo per roccaforti ancora in mano nemica e per territori a nord che erano stati invasi o sottomessi dai Franchi e dagli Alemanni a Nord. La conquista ritornò interamente sotto il controllo imperiale nel 562, ma già nel 554 Giustiniano, con l'emanazione della Prammatica Sanzione, aveva ristabilito legalmente il dominio imperiali in Italia. Il lungo conflitto greco gotico, finì per avere effetti catastrofici per una società già in decadenza come quella della penisola. L'Italia, anche per via di importanti cambiamenti climatici ed epidemie, fu colpita da un forte regresso demografico . L'amministrazione civile in Italia durante il governo bizantino fu caratterizzate dalla presenza di un prefetto del pretorio nella penisola, mentre la Sicilia veniva retta da un pretore unico. Corsica e Sardegna passarono invece sotto la giurisdizione di Roma. Narsete rimase sul territorio anche dopo il conflitto ad esercitare il potere militare e vennero istituiti dei ducati alle frontiere alpine per difendere i confini. Complessivamente se le campagne d'occidentali si conclusero con un successo, i costi economici e umani erano stati grandi. In più ad Oriente ripresero le ostilità con i Persiani, che attaccarono nel 540 mentre l'impero era impegnato in Occidente. I persiani, di fronte ad una debole resistenza, penetrarono in profondità, prendendo Antiochia in Siria. Un accordo di pace definito fu raggiunto solo nel 561, il quale avrebbe stabilito una pace di 50 anni, in cambio di un ingente tributo annuo da versare nelle casse dei Persiani. Allo stesso tempo i Balcani venivano saccheggiati a pià riprese da nomadi provenienti da Nord. Più popoli transitarono e interagirono con i bizantini nell'Area, sia provenienti dalle steppe come Bulgari e Unni, così come i Longobardi. I Bulgari furono gli avversari più temibile per L'impero e finirono per stanziarsi stabilmente all'interno delle frontiere. I Longobardi conclusero un trattato di alleanza con l'Impero, ricevendo il lasciappassare per stabilirsi in Pannonia, prima che migrassero in Italia. Gli Slavi, un gruppo eterogeneo di popoli e tribù, esercitò una grande pressione sui confini. Un altro popolo delle steppe, gli Avari, sottomettè nella seconda metà del 500 i popoli nell'area Danubiana e rappresentò una spina nel fianco dell'Impero con i loro raid e le richieste di tributi. Per quanto concerne la politica interna, l'inasprimento fiscale e l'assolutismo di Giustiniano causarono il malcontento popolare, che esplose nella rivolta di Nika a Costantinopoli(532). I rivoltosi, riuniti in partiti e provenienti dagli ambienti dell'ippodromo, si coalizzarono e durante la ribellione misero a fuoco la prefettura, il vestibolo del palazzo reale e la chiesa di Santa Sofia. Fu fondamentale l'intervento di Belisario, che rientrato a Costantinopoli fece una strage dei rivoltosi. In merito alle riforme legislative, esse costituirono uno dei punti chiavi nel consolidamento del suo potere e dell'apparato statale. Giustiniano nominò una commissione al fine di costituire il Corpus Iuris Civilis, un compendio di tutta la legislazione in vigore e delle leggi precedenti, costituito di 4 parti: 1. Codex Iustinianus: che raccoglie le leggi imperiali dal II secolo al 534 opportunamente modificate; 2. Institutiones: manuale per lo studio del diritto, concepito come strumento didattico per gli studenti delle università bizantine; 3. Digesto: in cui erano raggruppati i responsi dei maggiori giureconsulti romani: è una raccolta della giurisprudenza necessaria per la risoluzione delle cause nei tribunali 4. Novelle: raccolta di leggi emesse dopo la pubblicazione del Codice. Si tratta della legislazione giustinianea, redatta primariamente in greco, tratto distintivo rispetto al resto del Codex, redatto in latino Anche in materia religiosa Giustiano agì energicamente per raggiungere un'unità che potesse consolidare lo Stato. Inasprì la legislazione contro gli eretici e vennero colpiti i pagani e gli ebrei. Impose inoltre la chiusura della scuola filosofica di Atene, luogo tradizionalmente rifiugio della cultura classica. Nei confronti dei monofisiti, la sua condotta oscillò dalla ricerca di un intesa all'aperta persecuzione. Nel frangente dell’élite ecclesiastica, l’imperatore considerava i vescovi alla pari di tutti gli altri sudditi, e con loro anche il papa. In questo quadro si colloca la deposizione di papa Silverio nel 537, accusato di collusione con gli Ostrogoti, e il trasferimento a Costantinopoli di papa Vigilio nel 545 Nel quarantennio successivo alla morte di Giustiniano, si susseguirono al trono quattro imperatori: GIUSTINO II (565-578), nipote di Giustiniano, che riuscì ad insediarsi al potere nonostante non fosse stato designato come erede; Giustino II si rivelò essere piuttosto instabile, dando evidenti segni di squilibrio mentale a seguito della presa di Dara, città della Mesopotamia, da parte del fronte persiano. Il governo fu così assunto dall’imperatrice Sofia, sua coniuge e nipote di Teodora, che nel 574 lo convinse a nominare cesare il comes excurbitorum Tiberio, che gli subentrerà alla morte come augusto. TIBERIO I (578- 582) morì anch’egli senza eredi, associandosi a sua volta il comes excurbitorum MAURIZIO (582-602), un valente generale cappadociano forte delle brillanti vittorie contro i Persiani, il cui regno fu bruscamente interrotto dalla rivolta militare che porterà sul trono l’ufficiale FOCA (602-610). Il processo di restaurazione dell’impero attuato da Giustiniano si rivelò essere estremamente fallace: Bisanzio entrò infatti, in questi anni, in una crisi profonda, della quale sintomi furono, già dagli ultimo anni del regno giustinianeo, il fallimento delle riforme amministrative e la disgregazione del dispositivo militare; la stessa ripresa dell’Occidente durò poco, in quanto l’espansione territoriale fattualmente indebolì le possibilità di difesa degli stessi territori riconquistati. I successori di Giustiniano, insomma, dovettero avere a che fare con una pesantissima eredità, con - una situazione critica al governo; - finanze disastrate dalle sue folli spese; - diversi fronti di guerra, tanto in Occidente quanto in Oriente, da dover sostenere: in Spagna, dal 569, si ebbe una controffensiva visigota, che respinse l’impero sulla costa, fino a poi espellerlo completamente; l’Africa fu agitata da rivolte indigene e, forse l’evento più clamoroso di tutti, l’Italia venne invasa dai Longobardi, che travolsero e occuparono la maggior parte del territorio conquistato durante la guerra gotica. I Longobardi erano un popolo già noto nell’antichità, entrati a far parte della realtà romana nel I secolo d.C. come uno dei popoli stanziati nella Germania settentrionale. Stabilitisi in Pannonia e raggiunto un accordo con Giustiniano, più di 2500 longobardi avevano militato in Italia durante la guerra gotica sotto il comando di Narsete, ma erano stati rimandati in patria a causa degli eccessi a cui si abbandonavano nei confronti dei civili. L’Italia divenne per loro luogo di conquista poco tempo dopo il richiamo a Costantinopoli di Narsete, a cui era rimasto il comando generale dell’armata alla fine della guerra sul luogo, nel 568, sostituito, secondo gli ordini di Giustino II, dal prefetto Longino. Non si hanno notizie certe riguardo il motivo per cui i Longobardi si rivolsero all’Italia, ma è verosimile considerare la minaccia degli Avari che si stavano espandendo nell'area Danubiana e il rischio di un appoggio dell'Impero ai Gepidi costituissero i principali fattori. Inoltre secondo una leggenda egli sarebbero stati invitati a migrare in Italia da Narsete, come vendetta dal generale per essere stato deposto; è un'ipotesi che tuttavia nella storiografia moderna non ha molto successo. Quel che è certo è che nel 568 i Longobardi attraversarono le Alpi ad Est entranto in Italia, trovando poca resistenza da parte delle guarnigioni imperiali. Il conflitto greco gotico insieme ad un insieme di fattori, aveva causato uno spopolamento della penisola, ed inoltre gli eserciti erano impegnati in altri teatri di guerra. Alboino, re dei Longobardi, prese possesso senza combattere di Cividale del Friuli, Treviso, il cui vescovo si sottomise, e successivamente i maggiori centri dell’Italia settentrionale, quali Vicenza, Verona e Milano. Agli inizi del 570, tutta la regione padana era stata sottomessa, ad eccezione di Pavia, alcune piazzeforti venete e altri centri isolati; la presa di Pavia su l’ultima impresa di Alboino, assassinato nel 572 a seguito di una congiura nei flotta presa di mira Costantinopoli. Eraclio, figlio omonimo dell'eserca, comandò la presa della città, conclusa con successo nel 610. Egli succeddette a Foca, il quale fu catturato e condannato a morte. La sua salita al trono segnerà l'inizio di una nuova dinastia, che eprdurò sino al 711, anno di morte di Giustiniano II. Eraclio, nonostante la drammatica situazione nei Balcani, si concentrò sull'affrontare i Persiani ad oriente, cercando di tener buoni gli Avari tramite il versamento di tributi. Tuttavia l'avanzata di essi nei balcani continuò, ed ebbe una battuta d'arresto solo nel 626, quando un tentativo di conquistare Costantinopoli fallì. Gli Avari con l'aiuto dei persiani appostatisi sul Bosforo, approfittando dell'assenza di Eraclio dalla capitale, cercarono invano di fare il loro ingresso in città, il quale sventato dalla superiorità navale imperiale e dalle imponenti mura Relativamente alla campagna persiana, iniziò in maniera disastrosa per l'impero. Durante i primi anni di regno di Eraclio, i persiani avanzarono da tutti i fronti, occupando l’Armenia, l’Asia Minore e il vicino Oriente: nel 614 conquistarono persino Gerusalemme, impossessandosidella Santa Croce, da lì portata nella capitale dell’impero persiano, Ctesifonte. A seguito di questi eventi, l’impero passò alla controffensiva. Eraclio condusse personalmente le sue truppe, abbandonando la canonica politica militare difensiva per combattere il nemico direttamente nel suo territorio. Nel 622 attaccò l’Armenia persiana, e qui Bisanzio riportò un’importante vittoria; la scia di successi continuò negli anni successivi, conclusasi con il risultato favorevole delle armate bizantine. L’imperatore entrò in Persia nel 627, distruggendo le armate nemiche presso Ninive; nel 628 la Persia capitolò ed Eraclio, stipulato il trattato di pace con il re Sheroe, figlio di Cosroe II, poté trionfalmente rientrare a Costantinopoli, portando con sé la Vera Croce. In questo modo, si chiudeva il secolare scontro fra Persiani e Romani, con la definitiva vittoria di questi ultimi. La magistrale vittoria sui Persiani fu però resa vana dall’espansione del Califatto Islamic solo, pochi anni dopo la conclusione della guerra. Nella penisola araba la nuova religione musulmana predicata da Maometto fornì uno stimolo alla coesione dei diversi clan; dopo la morte di Maometto, gli Arabi, sotto la guida dei califfi, aggredirono sia la Persia che Bisanzio. La guerra di conquista islamica della Persia fu condotta ai territori dell’Iraq persiano, a partire dal 633. A nulla valse la controffensiva persiana, successiva alle ripetute vittorie del fronte arabo: furono sconfitti (636/7) sulle rive dell’Eufrate, a seguito del quale evento gli Arabi superarono le sponde del fiume diretti alla capitale, Ctesifonte, costringendo il re sasanide alla fuga. L’ultimo tentativo di arrestare l’invasione, avvenuto con una battaglia campale nel 642, a nulla valse; la vittoria araba fu ultimata con la morte dell’ultimo sovrano persiano, nel 651; Nel giro di un ventennio dalla sconfitta contro Eraclio, l’impero sasanide si estinse completamente L'attacco arabo ai territori imperiali iniziò invece nel 633, con l'invasioni delle frontiere della Palestina. Eraclio inviò un esercito consistente in Siria, che si scontrò in battaglia nel 634 ad Agnadain, venendo sconfitto dagli arabi. Da qui gli Arabi riversarono in Siria, occupandone i territori. Nel 635 la totalità di Siria e Palestina erano occupate, fatta eccezione per Gerusalemme, Cesarea e alcune città del litorale. Una nuova controffensiva imperiale fallì e nel 638 la conquista araba si completò con la presa di Gerusalemme. L’avanzata musulmana, da qui, si rivolse verso la Mesopotamia, e l’Armenia; L’attacco proseguì dunque in direzione dell’Egitto, e dopo un'ennesima vittorisugli imperiali, nel 640 fu presa Alessandria. La conquista araba dell’oriente bizantino fu fulminea, tale da poter essendo concentrata in un arco temporale di otto anni, dal 633 al 641. Quest'avanzata straordinaria può essere spiegata da diversi fattori: l'impero dopo il conflitto della Persia era indebolito militarmente ed inoltre nei territori ad oriente l'ostilità delle popolazioni locali monofisite creò un fertile terreno per gli arabi di trovar supporto. La ricerca di una soluzione alla questione religiosa si fece così ancora più pressante. Eraclio allora, seguendo la tendenza dei suoi predecessori, tentò di risolvere il dissidio con i monofisiti, ma ancora una volta i risultati furono deludenti. A tale fine, vennero elaborate due diverse dottrine conciliatorie delle due tesi: Monoenergismo, secondo cui alle due nature del Cristo, umana e divina, corrisponde un’unica forza agente; l’iniziativa fu presa dal patriarca di Costantinopoli Sergio, il quale, nel formulare tale dottrina, accolse la proposta del patriarca Ciro di Alessandria. Questa dottrina, tuttavia, incappò nell’opposizione di papa Onorio I e del patriarca di Gerusalemme Sofronio. Monotelismo, secondo la quale esisterebbero due nature di Cristo, umana e divina, ma un’unica volontà. Questa teoria, ideata per superare l’opposizione al monoenergismo, venne nuovamente formulata dal patriarca Sergio e resa ufficiale con l’Ekthesis, un editto di materia religiosa emesso da Eraclio nel 638. Anche stavolta non si raggiunse il consenso universale: la tesi fu contrapposta tanto dagli ortodossi quanto dai monofisiti, nonché aspramente combattuta anche dal successore di Onorio I al seggio papale, Severino. Eraclio lasciò il trono al primogenito Costantino III (641-641) e ad Eraclona, figlio della seconda moglie Martina Costantino III, tuttavia, morì dopo pochi mesi di regno, e il trono venne congiuntamente condiviso dal giovane Eraclona e Martina sua reggente. Tale regno, tuttavia, fu immediatamente impopolare:il matrimonio di Eraclio con la nipote diretta Martina era stato da sempre malvisto, un atto condannato ed illegale tanto dalle leggi statali quanto da quelle ecclesiastiche. Eraclona e Martina vennero così deposti, mutilati e spediti in esilio perpetuo: si fecero così strada nuove concezioni di diritto penale, la cui soluzione per evitare l'omicidio di un reggente fu trovata nell'atto della mutilazione: secondo la concezione dell’epoca, infatti una persona mutilata non era idonea ad esercitare l’autorità suprema. Per ordine del senato, il trono imperiale fu consegnato al figlio di Costantino III, Costantino, che preso il potere assunse il nome di Costante II (641-668); il neoimperatore aveva però solo undici anni, e il governo venne per Per ordine del senato, il trono imperiale fu consegnato al figlio di Costantino III, che preso il potere assunse il nome di Costante II (641-668); il neoimperatore aveva però solo undici anni, e il governo venne per diversi anni gestito dal senato della capitale, che così si riaffermò come organismo politico rilevante, una tendenza caratteristica del VII secolo, in cui l'influenza del senato rifiorì brevemente, prima di tornare alle funzioni puramente consultive. Costante II salì al potere con la minaccia dell’inarrestabile espansione degli Arabi, contro i quali combatté continuamente. Ciro, patriarca di Alessandria e governatore civile d’Egitto, aprì le trattative e strinse finalmente un trattato di pace con gli arabi, che di fatto concedeva a quest’ultimi la giurisdizione di tutta la provincia, con l’impegno di fare uscire i soldati imperiali da Alessandria entro settembre 642; i patti furono rispettati, e di lì a poco i contingenti armati del generale Amr si impossessarono della città. Come Siria e Palestina, anche l’Egitto accolse favorevolmente gli invasori arabi, a causa anche qui dei dissidi religiosi che intercorrevano fra la provincia e il governo centrale. Così, senza alcuno spargimento di sangue, Bisanzio perse una delle provincie più ricche del suo impero; il disastro fu di proporzioni tali che il governo bizantino intraprese un’ultima, disperata controffensiva: nel 645, una flotta imperiale comparve di fronte ad Alessandria, rioccupando la città. La vittoria fu però di breve durata, in quanto a distanza di pochi mesi, Alessandria capitolò nuovamente per mano araba. L’Egitto fu la prima delle province africane su cui gli Arabi misero le mani: conquistarono la Pentapoli e, spingendosi all’interno della provincia, arrivarono fino a Tripoli. Sul fronte orientale, numerose furono le incursioni ai danni dell’Armenia nel 642-643; gli Arabi penetrarono successivamente in Asia Minore, arrivando a conquistare la città di Cesarea di Cappadocia. Insomma, a partire dagli anni Sessanta, in particolare, le incursioni islamiche in Asia Minore divennero una regolare attività, costituendo per Bisanzio, e Costantinopoli in particolare, cuore dell’impero, un enorme pericolo. A partire dal califfato di Othman inoltre (dal 644) gli Arabi divennero una potenza navale, indirizzando da qui le loro mire espansionistiche sul mare: vennero prese Cipro, Rodi e Coo, e nel 655 la flotta imperiale, guidata dallo stesso Costante II, venne rovinosamente sconfitta al largo della Licia. Ciò segnò l'epilogo della talassocrazia bizantina, nonché l’inizio di un secolo di guerre sul mare. Solo l’assassinio di Othman nel 656 (e la conseguente guerra civile per il potere) permise a Bisanzio di ottenere cinque anni di tregua Più fortuna ebbero le campagne contro gli Slavi, nel corso delle quali, per la prima volta, Costantinopoli attuò una controffensiva efficace nella penisola balcanica, che condusse alla riacquisizione di alcuni territori; Anche Costante II dovette affrontare il problema delle controversie religiose, che continuavano ad opporre ortodossi e monofisiti e a portare disgregamenti interni all’impero: se, da una parte, lo scontento degli ortodossi minava l’unità dei già esigui territori ancora in possesso di Bisanzio in Occidente, dall’altra lo scontento dei monofisiti avrebbe tagliato i ponti a qualsiasi possibilità di riconquista dei territori perduti in Oriente. Nel 647 papa Teodoro I scomunicò il patriarca di Costantinopoli Paolo, difensore del monotelismo (Cristo ha due nature ma una volontà, dottrina risolutiva dei dissidi tra ortodossi e monofisiti), questo mentre già l’Africa era scossa da una violenta campagna contro questa dottrina. Come già era accaduto in passato, le controversie religiose finirono per essere sfruttate anche sul piano politico: così, avvenne che Gregorio, esarca di Cartagine, con l’appoggio del clero locale si ribellò al governo centrale in nome dell’ortodossia. Gregorio morirà nel 647 e la pace verrà velocemente ristabilita, ma il suo tentativo di ribellione rappresentò un campanello d’allarme di una situazione che era ormai impossibile non gestire. Costante II allora, nel 648, tentò di mettere un freno ai sidi emanando un editto religioso, il Typos: con questo, l’imperatore aboliva l'EKTHESIS eracliana e al contempo ogni discussione in materia per motivi di ordine pubblico. Anche questa misura si rivelò inefficace: la chiesa di Roma si oppose e, nel 649, papa Martino I convocò un sinodo conclusosi con la condanna del monotelismo e degli editti imperiali dell’Ekthesis e del Typos. Il decreto del sinodo era stato preceduto dall’intervento di Costante II, che aveva inviato l’esarca Olimpio, affidandogli il compito di stroncare qualsiasi opposizione al Typos e arrestare il papa. Tuttavia Olimpio si era ribellato al sovrano per allearsi con Roma, governando così l’Italia per un paio di anni; Alla sua morte, L’imperatore mandò a Ravenna un nuovo esarca, Teodoro Calliopa, che riportò all’obbedienza le milizie ravennati e con queste marciò su Roma nel 653: Martino I fu arrestato, condotto a Costantinopoli, imprigionato per 93 giorni e infine giudicato colpevole di alto tradimento di fronte al senato: la condanna a morte fu sospesa, tramutata in esilio perpetuo. ltimo atto politico di Costante II di notevole importanza fu il trasferimento della sua corte in Italia per fare fronte al pericolo dei Longobardi e degli Arabi, che dall’Africa settentrionale minacciavano la Sicilia. Così sbarcò a Taranto nel 663, marciando da qui alla volta di Benevento, ponendola in assedio; qui, dopo essere venuto a sapere dell’arrivo dei rinforzi nemici, capitanati dal re longobardo Grimoaldo, ripiegò su Napoli. Da Napoli Costante II raggiunse Roma, entrando in città dalla Via Appia, accolto solennemente dal papa e dai Romani; qui rimase per dodici giorni, recandosi poi a Napoli e da qui a Siracusa, che sarebbe diventata la sua residenza. Fu qui che verrà assassinato nel 668. Con lui si concluse il progetto di riportare l'Occidente al centro della politica imperiale. ll figlio del defunto imperatore Costantino IV (668-685), assunse il governo a Costantinopoli con i fratelli Tiberio ed Eraclio, che egli fece mutilare, sbarazzandosene definitivamente per agevolare più facilmente la salita al potere. Durante il suo regno gli Arabi ripresero l’offensiva in Asia Minore: nel 674, per la prima volta, assediarono Costantinopoli. L’assedio perdurò per quattro anni, concludendosi con la vittoria bizantina, questo soprattutto grazie all’azione del «fuoco greco», un’arma segreta di ignota composizione, formata da una miscela incendiaria capace di bruciare anche sull’acqua, lanciata attraverso un condotto bronzeo sulle navi nemiche non lasciando scampo. Il califfo fu costretto a trattare una pace trentennale, pagando un consistente tributo; Pochi anni dopo, tuttavia, Costantino IV dovette far fronte alla formazione dell’impero bulgaro nel 680 alle foci del Danubio, nel territorio compreso tra il fiume e la catena dei Balcani; qui, in un luogo che fino al VI secolo era stato nelle mani di Bisanzio, si insediarono delle tribù provenienti dal nord, spinte dalla violenta popolazione dei Cazari, della steppa della Russia meridionale, sottomettendo gli Slavi che qui abitavano. Bisanzio cercò inutilmente di impedirlo: Costantino IV attaccò con una flotta, che risalendo dal Mar Nero approdò alle foci del Danubio, e con un esercito di terra, ma la guerriglia del nemico e la malattia dell’imperatore causarono la ritirata Madonna e dei Santi, gli oppositori ivnece ritenavo lecita questa pratica, affermando che non si venerasse l'oggetto in sè ma quel che rappresentasse. contemporanei finirono per esserne profondamente coinvolti dalla diatriba, e la controversia, assunse caratteri politici, con la formazione di schieramenti opposti in nome dei diversi credi religiosi. a partire del 726 nacque la vera e propria contesa, dal momento in cui Leone III si proclamò contrario alla venerazione delle immagini. La spinta a questa presa di posizione sembra essere venuta da un cataclisma con epicentro l’isola di Santorini, interpretato dall’imperatore come un segnale dell’ira divina contro il culto delle immagini. Da una prima fase predicatoria, in cui incitava il suo popolo ad abbandonare tale sconveniente culto, passò ad una seconda fase reazionaria: ordinò, infatti, la rimozione dell’immagine di Cristo visibile sopra la porta del palazzo imperiale di Costantinopoli. Il provvedimento, però, non venne ben accolto, e una folla inferocita uccise l’ufficiale imperiale incaricato di distruggerla. Tale rivolta non fu un episodio isolato: poco dopo, infatti, in contrasto all’imperatore, insorsero il tema dell’Elllade e parti della provincia italiana. I Greci in rivolta nominarono un antimperatore e inviarono una flotta a Costantinopoli, la quale venne però distrutta sotto le mura della città. Nell’Italia già movimentata dal raddoppio delle tasse, si ribellarono le milizie dell’esarcato, della Pentapoli e di Venezia, che elessero dei propri capi indipendenti. Si pensò addirittura di nominare un proprio imperatore, ma papa Gregorio II, al tempo a capo della fazione insurrezionale, riuscì a prevenire l’atto, per evitare una rottura definitiva con Bisanzio. Leone III decise di intraprendere delle trattative con i massimi esponenti del culto cristiano, il papa e il patriarca di Costantinopoli Germano, per spingerli ad accettare l’iconoclastia, ma né l’uno né l’altro accettarono. Precluse le vie diplomatiche, Leone III passò comunque all’azione, e nel 730 emanò un editto iconoclasta; Germano, che si rifiutò di sottoscriverlo, venne sostituito dal suo assistente, Anastasio, ben disposto alla nuova politica religiosa. L’iconoclastia diveniva così dottrina ufficiale dello stato e gli adoratori delle immagini vennero perseguitati. Gregorio III, subentrato al trono papale, riunì a Roma un concilio, che condannò la nuova dottrina; l’imperatore, per rappresaglia, sottrasse le proprietà papali in Calabria e Sicilia, nonché molte chiese alla giurisdizione romana. Si approfondiva così la frattura con l’Italia, dove le posizioni bizantine si indeboliranno al punto di provocare la caduta dell’esarcato. Figlio di Leone III, Costantino V, continuò ad accentuare la controversia sulle icone, ed ottenne successi contro le rivolte interne, gli Arabi e i Bulgari. La Siria settentrionale fu riconquistata e diverse vittorie furono conseguite in Mesopotamia e Armenia. Il Califatto arabo stava infatti conoscendo una crisi, essendo la dinastia Ommayade osteggiata dalla rivolta Abbaside, che si concluse con l'instaurazione di una nuova dinastia e il trasferimento della capitale a Baghdad. In Italia la situazione era invece totalmente diversa: nel 751 i Longobardi catturarono Ravenna, evento che costituì l'epilogo dell'esarcato e dellla presenza bizantina in Italia centro-settentrionale. L'Impero continuò a controllare la Sicilia e alcune città costiere del meridione come Napoli e Amalfi, che come Venezia, si renderanno autonomi nel corso del IX secolo. Anche il ducato romano fu perduto, venendo incorporato nei territori controllati dai papi. Costantino V continuò la politica religiosa del padre: nel 754 convocò un concilio a cui presero parte 338 vescovi, al fine di legittimare l’iconoclastia della chiesa. A questa assemble non presero parte né i rappresentanti papali né quelli dei patriarchi orientali; prese parte però lo stesso imperatore, che intervenne attivamente per dare delle line guide, esprimendosi contro il culto delle reliquie e negando il dogma della Vergine e dei Santi. Costantino V si mosse dapprima con cautela nell'attuare questa nuova dottrina, ma a partire dal decennio successivo, iniziò la violenza su vasta scala contro gli oppositori. E' con il suo regno che la lotta iconoclasta raggiunse l'apice, colpendo in particolar modo gli oppositori più irrudicibili, i monaci. Molti monasteri vennero chiusi e i loro possedimenti sequestrati. A Costantinopoli, i monaci furono costretti a sfilare nell’ippodromo sotto gli insulti della folla; in Tracia, furono posti di fronte all’alternativa fra abbandonare l’abito o essere accecati ed esiliati. A succedere Costantino V fu il figlio Leone IV(775-780). Egli abbandonò le ostilità dei monaci e attenuò la ferocia iconoclasta. A succedergli dopo appena 5 anni di regno fu il figlio di 10 anni Costantino VI, la cui reggenza venne assunta dalla madre Irene, la quale si adoperò per promuovere la restaurazione del culto delle immagini. Nel 787 un concilio ecumenico venne riunito a Nicea, comprendente anche i delegati papali e dei patriarchi. Ivi l'iconoclastia fu condattana come dottrica eretica e il culto delle immagini ristabilito. Raggiunta la maggiore età, Costantino VI avrebbe dovuto assumere pieni poteri, ma questo non avvenne: Irene continuò ad amministrare diversi reparti del regno del figlio, cosa che l’imperatore non poteva accettare. I due entrarono in contrasto, e la basilissa fece in modo che il figlio attirasse su di sé una sempre maggiore impopolarità, così da rendere legittima una sua eventuale deposizione. Molti furono gli intrighi di corte in cui Irene fu coinvolta, ma determinante fu il ripudio di Costantino VI della moglie Maria, deciso nel 795 per sposare la sua amante. Il rapporto tra l'ala più radicale del monachesimo e il potere centrale si indebolì. Indebolitasi l'autorità di Costantino VI, una ribellione lo depose; la madre Irene lo accecò e l'imperatore morì per le ferite riportate, consentendo così a Irene di governare indiscussamente fino all'802. La presenza sul trono di una donna era una novità senza precedenti nella storia di Bisanzio. Sotto il regno di Irene la politifica finanzaria fu rovinosa a causa di sgravi fiscali in favore dei monasteri e non fu organizzata una risposta adeguata alle incursioni arabe. Il papa Leone III, vista l'assenza di un uomo, si sentì legittimato a nominare Carlo Magno Imperatore dei Romani nell'800; una ambesceria franca tentò altresì di proporre un matrimonio tra Irene e Carlo Magno per riunificare i due Imperi, ma il colpo di stato subito da Irene impedì la buon riuscita di questo piano. Irene venne deposta e a succedergli fu il logotete delle finanze Nicefero. Con Irene si esistente la dinastia isauriana. Niceforo I Logotete (802-811) si rifiutò sin da subito di trattare con l’impero carolingio, di cui non riconosceva la legittimità. Le ostilità tra le due parti si intensificarono ulteriormente riguardo alla questione del possesso di Venezia, che sotto il suo regno cominciò a delinearsi come entità autonomo a seguito dell’indebolimento dei legami con il centro: nell’VIII secolo si arrivò addirittura ad una scissione interna alla città, divisa fra un partito filofranco e uno filobizantino. Nell’804 finì per prevalere il primo, suscitando la reazione di Niceforo I, che inviò due spedizioni navali (806 e 808) per ricondurre sotto l’egida imperiale la Dalmazia e la stessa Venezia; si trattò semplicemente di un atto dimostrativo che però riuscì ad ottenere il suo effetto. La situazione si complicò quando, fra 809 e 810, Pipino, figlio di Carlo Magno, attaccò e occupò parte degli insediamenti lagunari; solo dopo la sua morte improvvisa si poté passare da operazioni militari ad operazioni diplomatiche, che avrebbero portato ad una trattativa fra Bisanzio e la corte franca. Niceforo I sopperì agli sprechi di Irene attuando una politica fiscale più responsabile, attirandosi così le ire del monachesimo, proseguendo da qui con il progetto di riaffermazione della autorità bizantina nei Balcani occupati dagli Slavi, ottenendo contro di loro importanti vittorie; l’altro grande problema che riguardava il territorio dei Balcani era la presenza dei Bulgari, che furono affrontati da Niceforo con la stessa determinazione, ma con effetti qui disastrosi. A seguito della distruzione del regno avaro per opera di Carlo Magno, infatti, la potenza bulgara era notevolmente cresciuta, e nell’809 il khan Krum attaccò l’impero. Niceforo I reagì attaccando il territorio nemico: riuscì a raggiungere la capitale, Pliska, e a raderla al suolo. Intenzionato a sgominare una volta per tutte il problema bulgaro, rifiutò il trattato di pace offertogli da Krum, pronto a proseguire lo scontro; d’improvviso, però, le sorti cambiarono: nell’811, le armate bizantine guidate dall’imperatore stesso vennero attirate in un’imboscata nelle montagne bulgare e qui annientate. Lo stesso Niceforo I perse la vita; una leggenda vuole che il khan Krum utilizzò il teschio dell’imperatore caduto come coppa. Ancora una volta, Costantinopoli fu assediata, e ancora una volta si salvò grazie alle sue mura impenetrabili, su cui si schiantò la spinta bulgara. Il Figlio Stauracio(811) fu proclamato imperatore, ma il suo regno ebbe vita a breve a causa delle ferite riportate. Un colpo di stato portò il cognato Michele ad ordire una congiura, costrigendo Stauracio all'abdicazione e all'esilio in un convento, dove l'anno successivo morì. Michele I, nei suoi 2 anni di regno, mise in atto un rapporto meno rigido nei confronti dei carolingi. Nel 812 un trattato regolò i rapporti tra le due parti, riconoscendo a Carlo Magno il titolo di Imperatore e il dominio su istra e Dalmazia, con Venezia che sarebbe rimasta nell'orbita bizantina. Anche egli dovette confrontarsi fu l’ascesa della potenza bulgara, che costituiva sempre più una minaccia per il dominio di Bisanzio sui Balcani: Krum, infatti, approfittando del momento di squilibrio, si era qui impossessato di diverse fortezze imperiali. L’imperatore si decise allora per riprendere la guerra, affrontando i Bulgari a Versinikia e venendo lì sconfitto nell’813 a causa del tradimento delle truppe anatoliche sotto lo stratego Leone l’Armeno, che si erano ritirate dal campo di battaglia. Michele I venne così deposto, e il suo posto venne preso dallo stesso Leone, deciso sostenitore dell’iconoclastia. Leone V dovette difendere Costantinopoli dall'assedio bulgaro, che si concluse con un fallimento per quest'ultimi. Nonostante la stipulazione di una pace, le ostilità ripresero a causa di un tentativo di assassioni di Krum: Adrianopoli fu assediata e conquistata. Solo la morte improvvisa di Krum nel 814 scongiurò una continuazione del conflitto, permettendo la stipulazione di una pace di 30 anni da bisanzio e bulgari. Tornata la pace, Leone V si occupò della politica religiosa, riprendendo la linea iconoclasta e sconfessando le decisioni prese durante il settimo concilio di Nicea: esiliò molti monaci dalla capitale e depose il patriarca Niceforo, a lui ostile. Un nuovo sinodo fu convocato in Santa Sofia ristabiliva quanto era stato deciso al concilio di Hieria nel 745, tuttavia l'iconoclastia era un movimento non avente più la popolarità di un tempo. Leone V fu assassinato nel 820 dai seguagi di Michele L'Amoriano, che salì al trono come MICHELE II(820-829). Michele uscì vittorioso da una guerra civile capeggiata da uno slavo dell'Asia Minore appoggiato dagli Arabi. Tommaso fu catturato e ucciso mentre le sue forze cingevano d'assedio Costantinopoli. Frattanto gli Arabi ad Occidente, dalla Tunisia, sbarcarono in Sicilia, conquistandola gradualmente tra IX e X secolo. A Michele II succedette il figlio Teofilo (829-842), sotto il quale si assistette all’ultima fase del movimento iconoclasto. Il nuovo ’imperatore abbellì il palazzo imperiale di Costantinopoli con edifici che emulavano l’architettura araba: egli era un grande ammiratore della civiltà islamica, nonostante dovette con questi scontrarsi diverse volte nel corso del suo regno. Nuove persecuzioni dei monaci e delle immagini sacre furono attuata, ma una strenua resistenza contro l'iconoclastia permise a Teofilo di attuare con successo il suo fanatismo solo nel territorio della capitale. Dopo la sua morte un sinodo proclamò la restaurazione del culto delle immagini, svolta nuovamente avvenuta tramite la direzione della vedova imperiale Teodora, reggente in nome del figlio Michele. L'iconoclasmo scomparve come movimento organizzato, segnando il tramonto delle grandi controversie religiose. L'APOGEO DELL'IMPERO(843-1025) Il periodo compreso fra l’843 e il 1025, principalmente occupato dalla dinastia macedone, può essere considerato come il periodo di maggiore fioritura dell’impero, grazie a: La fine delle grandi lotte religiose; L’assenza di contrasti interni; Solidità economica e politica; Rinnovata potenza militare contrassegnata dalle fortunate guerre con gli Arabi in Oriente e la sottomissione dell’impero bulgaro; La fioritura culturale, espressa nella rinascita dell’istruzione superiore. Alla morte di Leone VI, salirà al trono il co-imperatore e fratello Alessandro (912-913), fratello del suo predecessore, associandosi al trono il giovanissimo nipote Costantino VII, erede di Leone VI Spinto da un profondo rancore nei confronti del fratello, Alessandro rovesciò la politica del suo predecessore, allontanando da corte l’imperatrice madre Zoe e re-insediando sul trono patriarcale Nicola Mistico. La sua morte precoce, a solo un anno dal suo insediamento, provocherà, com’era d’uso a Bisanzio, un periodo di lotte di fazioni per la conquista del trono. Il regno dell’ancora settenne Costantino VII era infatti gestito da un consiglio di reggenza con a capo il patriarca Nicola Mistico; contro di questo, che era avverso al giovane sovrano, si stabilì un gruppo di lealisti a cui faceva capo l’ imperatrice madre Zoe, costretta ad indossare l’abito monacale dal patriarca, nonché un partito ecclesiastico fedele a Eutimio, brutalmente deposto dal trono patriarcale da Alessandro. A queste difficoltà dinastiche si aggiunse, nel 913, il tentativo fallito di usurpazione del domestikos delle scholai Costantino Ducas, nonché l’intervento dello zar di Bulgaria Simeone, che approfittò della debolezza interna dell’impero per arrivare nuovamente sotto la capitale. Le intenzioni di Simeone erano quelle di ottenere grandi vantaggi da questa operazione: nonostante non riuscì a conquistare la città, raggiuns eun accordo che prevedeva il pagamento degli arretrati del tributo che Alessandro aveva smesso di pagare, la promessa di far sposare una delle figlie all'erede Costantino VII e la corona di basileus dei Bulgari. Ciònonostante , l'imperatrice madre Zoe, reggente dal 914, rigettò i termini dell'accordo. Il comandate Romano Lecapeno, divenuto reggente nel 919, respinse i Bulgari che avevano ricominciato ad attaccare i territori bizantini, sventando nuovamente un asseddio bulgaro e il raggiungimento di un'alleanza tra questi e gli arabi d'egitto in chiave antibizantina. Romano I fu uno dei tre usurpatori dell'età macedone, caratterizzati dall'avere sempre mantenuto sul trono i legittimi sovrani escludendoli però da qualsiasi potere. Egli era stato stratego di Samo e comandante della imperiale e nel 919 giunse a Costantinopoli imponendosi al palazzo imperiale come protettore di Costantino VII. Diede ad egli in sposa la figlia Elena. Oltre alla pace raggiunta con i Bulgari a seguito della morte dello zar Simeone si risolse la controversia in merito alla questione dei 4 matrimoni di Leone VI: In un sinodo il quarto matrimonio di Leone con Zoe fu reso illecito, mantenedo tuttavia la legittimità di Costantino VII. Durante il regno di Romano fu significativo l’espansionismo russo e il suo contenimento da parte bizantina. I Russi erano comparsi per la prima volta nell’orbita di Bisanzio nell’860, quando fecero incursioni sul Ponto; questi avevano istituito una propria nazione nel IX secolo, attraverso l’integrazione fra i Vichinghi svedesi (i Variaghi) e i slavo-orientali qui già presenti, e istituirono come propria capitale, nella seconda metà del IX secolo, Kiev. Durante il regno di Romano I, quindi, più precisamente nel 941, i Russi comparvero nuovamente nei territori imperiali, arrivando a saccheggiare la parte asiatica del Bosforo; la risposta imperiale fu efficace e raggiunse dei successi anche tramite la diplomazia. Importanti vittorie furono ottenute contro gli Arabi in Armenia, Mesopotamia e in Siria. Importanti riforme vennero applicate anche nel campo della politica agraria: Romano I mise in atto una legislazione per porre un freno allo sviluppo del latifondo, a favore della piccola proprietà terriera, Il processo di perdita della figura del piccolo proprietario terriero, conseguente alla sempre maggiore preminenza di una aristocrazia terriera, rappresentava un serio pericolo per Bisanzio, in quanto la sua forza economico- finanziaria e militare si basava sui contadini liberi e sulle figure dei soldati-coloni: questi pagavano le tasse e mantenevano il possesso del fondo in cambio di una prestazione militare ereditaria, e la loro scomparsa avrebbe determinato la crisi dell’intero potere centrale; la piccola proprietà terriera formava la struttura portante dell’impero a tutti gli effetti. Con la formazione del grande latifondo, per la quale avveniva una ovvia cessione delle terre, si assisteva alla sottrazione di rendite e persone: i contadini liberi passavano al servizio e pagavano i tributi ai latifondisti, che in cambio li proteggevano dagli emissari imperiali; di conseguenza, lo stato perdeva soldati. Romano I intervenne nel 922 con una legge, tramite la quale ristabilì il diritto di preacquisto dei fondi da parte dei vicini in caso di alienazione. Tale norma era sostanzialmente il diritto di prelazione da parte dei vicini del fondo in vendita affinché questo rimanesse nell’ambito della comunità del villaggio. Inoltre cinque categorie di individui avevano un diritto di prelazione, al fine di scongiurare un passaggio di terre dai poveri ai potenti: In primo luogo avevano la precedenza i parenti co-proprietari, poi altri co-propietari, quindi proprietari di alcuni appezzamenti del fondo in questione, quindi i proprietari dei fondi confinanti. La legge si rivelò tuttavia inefficace, in particolar modo a causa della carestia del 927, in quanto gli interessi dei burocrati e dei latifondisti e la debolezza economica dei contadini portarono al fallimento della politica agraria di protezione dei piccoli proprietari. Alla morte di Romano I, i suoi figli provarono a sbarazzarsi di Costantino VII ma la popolazione di Costantinopoli insorse, permettendo ad egli di salire finalmente al trono. Costantino VII Porfirogenito (913-959) deve il suo epiteto («nato dalla porpora»), come lo dovranno anche altri sovrani dopo di lui, all’edificio del complesso palatino dalle pareti rivestite di porfido in cui erano tradizionalmente messi al mondo i principi imperiali, che lo assumevano, quindi, in qualità di individui appartenenti alla dinastia regnante; ciò rappresenta un indizio idel progressivo affermarsi di un senso di legittimità dinastica a Costantinopoli. Il nuovo imperatore non apportò modifiche sostanziali alla politica del suo predecessore: la politica agraria si sviluppò sulla stessa linea e in campo estero fu predominante il conflitto con gli Arabi, che dopo una prima sconfitta procedette incerto fino alle due grandi vittorie campali, sul fronte orientale, ad opera di Niceforo Foca e Giovanni Zimisce: Caratteristica del regno di Costantino VII è anche l’intensa attività diplomatica con le corti estere: una delle più iconiche fra le missioni giunte a Costantinopoli è quella della principessa Olga di Kiev, a seguito della quale si convertì al cristianesimo Protettore delle arti e della cultura, sotto il suo regno avvenne una fioritura della letteruza enciclopedica. Venne scritto dall'Imepratore stesso il Libro delle Cerimonie, un trattato con il quale Costantino VII intendeva fissare un modello di cerimoniale di corte. L’opera divenne una fonte storica indispensabile, tramite la quale gli studiosi furono in grado di ricostruire informazioni di carattere antropologico e culturale della vita di corte (ad esempio, si ricostruì più precisamente, tramite questo trattato, la topografia del palazzo reale). ed è il maggiore rappresentante del genere della letteratura cerimonialistica. Non è però l’unico esponente di questa categoria in nostro possesso: qui rientra anche il Kletorológhion di Filoteo, composto nell’899 e successivamente inserito all’interno dello stesso Libro delle Cerimonie. L’autore era un addetto all’organizzazione dei banchetti di corte, uno dei principali momenti del cerimoniale palatino: in questo scritto vengono fornite informazioni sulla minuziosa etichetta legata alla gerarchia dei posti a tavola, e a come i vari attendenti si dovessero sedere rispetto al sovrano. Nel tempo l’apparato burocratico si era profondamente modificato, facendo sì che nel X secolo i cortigiani si dividessero in due categorie: dignitari di corte senza compiti amministrativi i quali ricevevano una dignità per insegne e dignitari incaricati di assolvere una funzione a tempo indeterminato: quest'ultimi avrebbero ottenuto «dignità a voce» o «per editto», con una semplice nomina verbale. Il Cerimoniale comprende altresì anche una biografia celebrativa di Basilio I Macedone, un trattato storico geografico sulle province imperiali ed un trattato sull'amminsitrazione dell'impero A Costantino VII Porfirogenito succedette il figlio ventunenne Romano II (959-963). Questi, a differenza del padre, fu un sovrano frivolo e poco interessato all’amministrazione di governo; di rilievo dei suoi pochi anni di regno, per il continuo della storia bizantina, fu soprattutto la sua decisione di sposare la figlia di un oste, che una volta al trono avrebbe assunto il nome di Teofano; da questa ebbe due figli, Basilio e Costantino, e alla morte misteriosa di Romano II, sarà lei ad assumere la reggenza per gli ancora giovanissimi discendenti al trono. Alla morte dell’imperatore si creò una situazione instabilit e nelle lotte di potere che si cominciavano a delinearsi, sia Teofano che i principi erano in pericolo. Per consolidare il proprio potere, allora, la basilissa strinse un accordo con l’anziano generale Niceforo Foca, che si impossessò del trono a capo di una sollevazione militare e sposò Teofano. Niceforo II Foca (963-969), così come Romano I Lecapeno, assunse il potere in qualità di tutore dei legittimi imperatori; esponente dell’aristocrazia militare, Niceforo II aveva sulle spalle moltissime vittorie: fra le più importanti, nel 960-961 si era impossessato di Creta. Egli sul fronte della politica agraria favorevole ai «potenti» attraverso l’abolizione del diritto di preacquisto. Contemporaneamente, rafforzò l’organizzazione militare e limitò lo sviluppo delle grandi proprietà ecclesiastiche e monastiche. Nel campo della politica estera, Niceforo II proseguì la politica militare aggressiva dei suoi predecessori, e con lui si riaffermò la potenza di Bisanzio. Comandante in prima persona di molti episodi bellici, Niceforo II fu in grado di conquistare numerosi territori da tempo perduti, ad esempio in Oriente contro gli Arabi, con l’annessione di Cilicia, Cipro e parte della Siria.. La posizione bizantina venne poi ulteriormente rafforzata in Italia meridionale, a seguito del contrasto venutosi a creare con Ottone I di Sassonia. Credendo di essere il legittimo detentore dei territori della penisola italica, Ottone I, nel 966, qui scese con l’intenzione di impadronirsi di Puglia e Calabria. Decise inizialmente di percorrere una via diplomatica, sperando di unificare il territorio attraverso il matrimonio fra il figlio e la sorella di Basilio e Costantino, senza però riuscire nell’intento a causa dell’ostinatezza bizantina, secondo la quale una «nata dalla porpora» non poteva «mescolarsi a gente qualsiasi». Per arrivare ad un accordo, Ottone I inviò a Costantinopoli come ambasciatore Liutprando, ma la sua missione fallì miseramente, costretto in una condizione di semiprigionia; contemporaneamente, Niceforo II aumentò i preparativi militari, pronto ad uno scontro. Senza attendere il ritorno di Liutprando, allora, Ottone I attaccò a fine 968 i possedimenti bizantini, non riuscendo però nell’intento bellico; nello stesso frangente, il suo alleato Landolfo, principe longobardo di Benevento, fu catturato dagli imperiali e condotto prigioniero a Costantinopoli. Nel 969 Ottone I intraprese una seconda campagna, che si concluse con la presa di diverse città pugliesi, ma l’azione bellica non fu risolutiva. Lo stesso anno, la realtà interna di Bisanzio era nuovamente in subbuglio. La politica di Niceforo II aveva infatti sollevato un forte scontento nella popolazione, a causa dell’imposizione fiscale e dei metodi di governo estremamente rigidi; di questo fermento approfittò la basilissa Teofano: ordì un complotto volto a portare sul trono il suo amante, Giovanni Zimisce, generale Niceforo II fu così assassinato nel 969, ma il complotto riuscì per metà: Giovanni Zimisce divenne imperatore, ma non fu possibile il matrimonio con Teofano, soprattutto a causa del fatto che queste sarebbero state le terze nozze per la basilissa, e il patriarca Polieucte si oppose fermamente allo scenario; così, il nuovo imperatore fu costretto ad esiliarla. Giovanni I Zimisce (969-976) fu, come Niceforo II Foca, un valente militare, grazie al quale i confini dell’impero si estesero ulteriormente: sconfisse i Russi, estese le conquiste orientali del predecessore fino in Palestina, risolse la complicata situazione creatasi nell’Italia meridionale. Le campagne contro gli Arabi portarono alla riconquista della Fenicia, della Palestina e la Siria. La campagna contro i Russi fu uno dei maggiori successi militari della storia bizantina. Il principe di Kiev Svjatoslav avendo preso accordi con Nicero Foca, aveva invaso la Bulgaria e deposto lo zar. Tuttavia i Russi occuparono i territori bulgari senza ritarasi. Giovanni I decise di intraprendere le ostilità con loro, ed i Rus dovettero accettare di ritirarsi dai territori bulgari e di fornire supporto militare a Bisanzio Nel sud italia si raggiunse invece una soluzione tramite la diplomazia, con le nozze di Ottone II e Teofano, parente di Giovanni I. L'imperatore morì nel 978 e a succedergli furono Basilio II e Costantino VIII. Fu con Basilio II che l'impero raggiunse una potenza ineguagliata dai tempi di Giustiniano I, un periodo considerato come l'apogeo dell'autorità imperiale bizantina. Salito al potere, Basilio II dovette subito affrontare la I guerra civile del suo regno, suscitata dal generale Barda Sclero in Asia Minore. Basilio II riuscì a prevalere sul cotnendente tramite l'aiuto dello stratega Barda Foca, prevalendo nel 979. Un'altra lotta di potere si scatenò tra Basilio II e l'omonimo prozio reggente, dalla quale il primo ne uscì vittorioso, mandando il secondo in esilio. La crisi militare ebbe come principale e connotativo aspetto la scomparsa dell’armata dei temi, sostituita con le forze mercenarie. L’aristocrazia civile al potere, infatti, si premunì di indebolire intenzionalmente le milizie, così da contenere la rivale aristocrazia militare; in aggiunta, venne ulteriormente indebolito il sistema dei soldati- coloni, già minato dallo sviluppo del latifondo, con l’imposizione di tasse da parte del governo di Costantino IX Monomaco e dalla concessione della possibilità di estinguere l’obbligo del servizio militare dietro pagamento di denaro. Il reclutamento mercenario divenne una necessità, con la contemporanea e conseguente dissoluzione dell’esercito nazionale. Nonostante questo, nei primi anni successivi alla morte di Basilio II continuò ad esserci uno stato di fondamentale equilibrio, con tanto di diversi successi militari come la presa di Edessa agli Arabi nel 1032, la sconfitta dei Russi che nel 1043 assediarono Costantinopoli, la conquista della Sicilia Orientale (in cui la presenza bizantina è testimoniata fino al 1042); Furono però successi temporanei, conseguenza dell’enorme potenza che Bisanzio aveva costruito fino al 1025. Sotto Costantino IX, inoltre, fecero la loro comparsa nuovi nemici, fra i più agguerriti della storia di Bisanzio: i Normanni in Italia, i Turchi Selgiuchidi in Oriente, le popolazioni delle steppe (Peceneghie Cumani) a nord. Dunque l'aristocrazia terriera, che in quegli anni era al potere si rafforzò ulteriormente grazie all’esenzione delle imposte e l’immunità giudiziaria.Si andavano così figurando dei grandi domini interni ma separati dal governo centrale, lo stesso che aveva favorito la loro ascesa. La crisi di potere e l'espansione del latifondo vennero ulteriormente accentuati dal sistema della «prónoia»: il sovrano come ricompensa dei servizi prestati avrebbe dato in concessione le terre ai potenti affinchè essi le amministrassero trattenendo le rendite. Una concessione temporanea e che si sarebbe estinta alla morte del beneficiario. Rispetto al passato, si andò configurando un impero sempre più conteso dalle grandi e potenti famiglie createsi in questo modo. In ambito religioso, il regno di Costantino IX fu caratterizzato dallo scisma tra chiesa orientale e di Roma. I punti di dissidio erano molti, quali la presunta supremazia del vescovo di Roma sui patriarcati, la diatriba sulla natura dello Spirito Santo, le mutue rivendicazioni sulla giurisdizione religiosa nei Balcani e nel sud Italia oltre al dibattito legato allo sposalizio dei preti. Nel 1054 giunse a Costantinopoli un'ambasceria guidata dal cardinale Umberto di Silvacandida, che a seguito dei contrasti con il patriarca Michele Cerulario, depose una bolla di scomunica, alla quale il patriarca rispose con un anatema che scomunicava i legati pontifici. A nulla servì il tentativo di Costantino IX di mediare tra le parti: il 1054 rappresenta il punto di rottura tra Chiesa di Roma e Chiesa Bizantina. Alla morte di Costantino la moglie Teodora assunse nuovamente il potere per un anno prima di spirirare. Con lei si estinse la dinastia macedone e lei stessa fu l'ultima donna che governò l'impero bizantino. Seguirono 25 anni di caos interno ed esterno, dovuti sia all'incapacità di un potere centrale di emergere con chiarezza a causa della contesa fra diverse fazioni, sia per i nemici esterni. Michele VI e Isacco I Comneno regnarono brevemente prima di essere deposti, sino a quando una fazione riuscì ad installare sul trono Costantino X Ducas(1059-1067). Sotto il suo regno la situazione si deteriorò e le capacità militari furono diminuite in maniera consistente.Al fine di evitare una rivolta dell esercito, la sua consistenza venne ridotta e si cominciò a far uso di forze mercenarie. I nuovi nemici affermatisi sulla scena, i Normanni ad Ovest e i Turchi selgiuchidi ad est, non poterono essere così affrontati efficacemente. L'Italia meridionale bizantina fu gradualmente ma inesorabilmente conquistata dai Normanni. Nei Balcani Bisanzio dovette subire l'espansione degli ungari, giunti nell'area dalle steppe, mentre in Oriente i Turchi selgiuchidi dilagarono in Persia e smembrarono quel che restava del califfato abbaside. Si spinsero anche più a est, attaccando alcuni territori in Anatolia. Nel 1078 Venne costituito il Sultanato di Rum, il quale occupò le regioni centrali e orientali della penisola anatolica, mentre Bisanzio mantenne il controllo della parte Occidentale. DAI COMNENI AGLI ANGELI (1081-1204) Morto Costantino X Ducas per una malattia, ascesa al potere il figlio Michele, guidato dalla tutrice e madre Eudocia per un anno. Tuttavia la critica situazione ad oriente portò Eudocia a sposare il generale Romano IV Diogene, che prese le redini del comando e si mosse ad Oriente per affrontare i Turchi, con un esercito composto perlopiù da mercenari. Nell'estate del 1071 l'esercito imperiale subì una terribile sconfitta a Manzikert, un evento epocale che rappresenta il progressivo arretramento territoriale dell'Impero. L'Imperatore fu catturato e contemporanemente salì al trono Michele VII Ducas, che accecò il suo predecessore quando questi riuscì a tornare a Costantinopoli. Anche il regno di Michele VII fu connotato da rivolte intestine, che portarono alla sua deposizione nel 1078. Salì al potere Niceforo III Botaniante: anche egli non fu in grado di arrestare la decadenza interna e le lotte intestine: Alessio I Comneno, appartenente all'aristocrazia militare conquistò il trono, aprendo un periodo che va dal 1081 al 1204 nel quale regnò stabilmente la dinastia comnena. I Comneni diedero vita ad una rinascita della potenza imperiale, resa possibile dallo sfruttamento anche spietato delle risorse disponibili e di una pressante tassazione, ma la base sulle quali costruirono il loro potere era fragile: L'Impero fu smembrato nel 1204 dalla Quarta Crociata, segnando l'ingresso negli ultimi secoli di storia dell'Impero, incapace di resistere alle mire espansionistiche delle entità confinanti. Quando Alessio I Comneno (1081- 1118) salì al potere, la situazione dell’impero bizantino era assolutamente disperata: l’Asia Minore era in mano ai Turchi, i Peceneghi avevano occupato i territori a sud del Danubio, i Normanni si accingevano alla conquista del territorio occidentale. Quest’ultimo era senza dubbio il pericolo più immediato: Roberto il Guiscardo, infatti, lo stesso anno dell’insediamento di Alessio I, aveva occupato Corfù e aveva preso d’assedio la città di Durazzo in Albania o. Per contrastare tale pericolo mortale, Alessio I decise di intraprendere misure straordinarie, facendo anche confiscare i beni della chiesa per procurare fondi monetari. Nonostante le forze imperiali furono sconfitte a Durazzo, la minaccia normanna fu sventata e la guerra si concluse a seguito della morte di Roberto Guiscardo nel 1085 e la ritirata delle sue truppe. Fondamentale nel sventurare la sconfitta fu l'intervento di Venezia che intervenne con la flotta navale: Alessio I in cambiò rese a Venezia concessioni commerciali. Ancor prima del termine del conflitto L'imperatore emise un editto nel 1082, il quale garantiva ai veneziani grandi privilegi: I Dogi e il patriarca ottennero titoli nobiliari di carattere ereditario, contrariamente alla prassi bizantina. Un versamento annuale in denaro che i Veneziani avrebbero distribuito nelle loro Chiese. Un quartiere di Costantinopoli sito nel porto venne dato in concessione ai Veneziani I mercanti veneziani inoltre assunsero la facoltà di vendere e acquistare ogni merce senza pagare tasse o subire requisizioni Venezia assunse così una posizione di preminenza sul commercio orientale, a cui conseguirà, tuttavia, una decadenza della capacità economica e politica bizantina. Terminata la minaccia normanna, un nuovo nemico si presentò nel 1087 nei Balcani, invasi dai Peceneghi, ennesima coalizione delle steppe presentatasi nell'area. In un primo momento fu raggiunta una soluzione diplomatica, tuttavia nel 1090 i Peceneghi si allearono con l'emiro turco di Smirne, assediando Costantinopoli. Alessio I strinse un'alleanza con un'altro popolo delle steppe, i Cumani, che intervennero nel conflitto con successo. I Cumani stessi si ribellarono successivamente a Bisanzio, ma sconfitti dalle forze imperiali. Alessio I incominciò dunque i preparativi per riconquistare i territori in Asia Minore finiti in mano ai Turchi, ma i suoi progetti furono sventati dal sopraggiungere della prima crociata. La spedizione della prima crociata ebbe inizio nel 1095, quando papa Urbano I lanciò un appello al concilio di Clermont in difesa della cristianità orientale. L’appello suscitò un grande entusiasmo per l’impresa e il numero dei volontari che ne presero parte fu anche, probabilmente, più di quanto il papa si sarebbe aspettato. Un così grande movimento di persone fu certamente percepito da Bisanzio con stupore e preoccupazione: l’idea occidentale di crociata era quanto mai lontana dalla mentalità di Bisanzio, la quale già da secoli combatteva contro gli infedeli islamici e riteneva questo una prerogativa esclusiva dello stesso impero. Non c’è dunque da stupirsi che un tale movimento di fedeli fu causa di un grande allarme a Bisanzio, dove l’uomo occidentale era sempre visto con sospetto a causa delle sue principali e connotative caratteristiche: l’arroganza, la cupidigia, l’infedeltà e l’impressionante potenza militare. L’indicazione da parte del papa di considerareiCostantinopoli quale punto di incontro per le milizie crociate, scelta presa nella convinzione che il sovrano avrebbe lietamente preso parte alla spedizione, fece sì che i sospetti dell’imperatore si acuissero ancora di più, posto ulteriormente in una condizione in cui non si sarebbe potuto opporre. L’ufficiale spedizione militare, costituita da signori feudali, venne accompagnata da una crociata spontanea di pellegrini, la cosiddetta «crociata popolare», che precedette la prima di diversi mesi; questa venne a formarsi grazie all’azione predicatoria di diversi individui, fra i quali spicca il nome del monaco itinerante Pietro l’Eremita, il quale iniziò a propagandare la crociata in Francia per poi proseguire a Colonia, in Germania, reclutando un numero approssimativo di quindicimila unità di individui; si trattava di una massa eterogenea di persone estremamente appassionata alla causa, ma indisciplinata e sommariamente armata, costituita da contadini, nobili disertati, avventurieri, delinquenti. Nel 1096, la crociata popolare partì da Colonia, con l’intenzione di giungere a Costantinopoli via terra; durante il tragitto un numero consistente di Francesi, guidati da Gualtiero Senza Averi (Gautier Sans-Avoir), si staccò per andare in avanscoperta; i pellegrini superarono il confine con l'impero bizantino, saccheggiando qualsiasi cosa trovassero lungo la loro via, causando danni sul territorio imperiale. Fu dunque disposto alle autorità bizantine di scortarli e fornire il necessario per allogiare fuori Costantinopoli; lo stesso avvenne per il gruppo guidato da Pietro l'Eremita. Tuttavia la situazione degenerò ed il gruppo cattolico provocò disordini nei dintorni della città. Quest'esercito raccogliticcio fu dunque traghettato al di là del Bosforo, nonostante Alessio I avesse consigliato loro di attendere gli eserciti professionisti. La crociata popolare avanzò in maniera disordinata in Asia Minore, finendo per essere massacrata dai Turchi. La crociata dei nobili giunse invece a Costantinopoli a partire dalla fine del 1096, con una forza approssimativa di 100k uomini. La strategia diplomatica di Alessio I Comneno si sviluppò seguendo due direttive: quella di raggiungere un accordo che permettesse ad entrambi di ricavarne vantagg e quella dii e liberarsi al più presto della presenza occidentale a Costantinopoli; così, man mano che arrivavano, i capi latini vennero obbligati a prestare giuramento di fedeltà al sovrano e di restituire tutte le città appartenute all’impero, se riconquistate durante la crociata. Così via via che i contigenti giungevano nella capitale, venivano traghettati in Asia Minore. Alessio I inoltre, prese l'impegno di fornire aiuto logistico e un corpo di truppe ausiliario. Nell’aprile 1097, il grosso delle forze si addentrò in Asia Minore. Tutto sembrò andare per il meglio: l’imperatore appoggiò le truppe occidentali e queste, in cambio, restituirono Nicea e altre città minori, ciò mentre le truppe bizantine si re-impossessavano dell’Anatolia salvaguardando le retrovie delle milizie latine; la collaborazione cominciò a vacillare, però, con la formazione della contea di Edessa, e si ruppe completamente quando non fu restituita all’impero la città di Antiochia. Conquistata dopo otto mesi di assedio, infatti, la città venne data nelle mani di Boemondo d'Altavilla, che vi costituì un proprio principato, nonostante l’imperatore avesse espressamente richiesto la sua restituzione. Lo stesso campo crociato si divise, ma i più appoggiarono le pretese di Boemondo, che abilmente fece serpeggiare il sospetto di un tradimento dell’imperatore; risultato fu che i soldati latini proseguirono la loro marcia verso Gerusalemme, non curandosi più di rispettare i termini contratti con Bisanzio. Alessio I Comneno dovette, in questo caso, reagire con la forza: la presenza di un principato normanno ad Antiochia era un pericolo gravissimo: diede inizio ad una guerra aperta con il normanno, che si trascinerà fino al 1108 con la sconfitta di Boemondo presso Durazzo. Il normanno si dichiarò vassallo dell’imperatore bizantino, ma non per questo il principato di Antiochia venne restituito: infatti, restò in mano di Tancredi, nipote di Boemondo, che ne rifiutò nuovamente la consegna. furono tra le cause della disgregazione dell'apparato statale, che sarebbe culminata con la cattura di Costantinopoli nel 1204 per mano degli occidentali, ai quali seguirà la disgregazione dell'Impero fino alla restaurazione Paleologa. Le conseguenze della campagna fallita in Italia portarono un contrasto insanabile con Federico Barbarossa e alla frattura delle releazioni con Venezia, la quale si era impegnata nel mantenere una situazione di status quo nel conflitto per mantenere la sua posizione di controllo dell'Adriatico. La rottura dei rapporti con Venezia portò ad accentuare l'isolamento diplomatico dell'Impero. La discordanza tra Veneziani e Bizantini porterà a tutti i cittadini veneziani nell'impero ad essere arrestati e i loro bene ad esseri confiscati. La notizia, giunta nella Repubblica, provocò un grande sconcerto, generando la volontà di intervenire militarmente. I veneziani catturarono Ragusa e l'Eubea, ad est di Atene. Da qui mandarono ambescerie a Costantinopoli per contrattare. Le trattative si prolungarono, mentre l'esercito veneziano venne colpito da una epidemia che causò una riduzione dei suoi ranghi. Il gran numero di perdite portò infine il doge a dover ritirarsi, mentre la fltota veniva inseguita da quella bizantina. La decisione di Manuele I afflisse un colpo gravissimo al commercio veneziano: La Repubblica decise così di agire in altri modi per far pressione sui bizantini, istigando una ribellione serba e stipulando un trattato con il Regno di Sicilia. Manuele I fu spinto a rivedere le sue posizioni, ma le trattative vennero interrotte a causa della sua morte nel 1180. Morto Manuele I, il figlio Alessio II di 10 anni gli succedette. Egli fu tuttavia sostituito dopo 2 anni di regno da una rivolta capeggiata da Andronico I Comneno, cugino di Manuele I. L'ingresso di Andronico I a Costantinopoli fu accompagnato da un eccidio di Latini da parte della folla, mossa da un forte sentimento antioccidentale emerso a seguito del fenomeno delle crociate. Particolarmente colpiti furono i Genovesi e Pisani presenti nella capitale. I Veneziani, non ancora ristabilitisi a Costantinopoli, ne uscirono paradossalmente rafforzati. Poco dopo i mercanti ripresero i rapporti commerciali e poterono ottenere una posizione di monopolio. Nel 1883 Andronico I rilasciò i prigionieri venenziani e allo stesso tempo rinnovò i privilegi precedentemente stabiliti, oltre a dare un risarcimento annuali per i danni causati. Ciò fu per l'imperatore una scelta obbligata, considerato l'isolamento diplomatico dei Bizantini. Andronico I attuò una riforma radicale dello stato e il suo regno fu caratterizzato dalla violenta lotta alla nobiltà e dalla degenerazione dell'apparato amministrativo. Ma complessivamente la sua posizione di potere era molto fragile, evidente considerando gli eventi nei balcani, dove i bizantini furono sconfitti da Ungheresi e Serbi oltre che dai Normanni che nel 1185 si impadronirono di Durazzo e saccheggiarono Tessalonica. La gravità delle disfatte fu tale che Andronico cadde in disgrazia, venendo linciato dalla folla di Costantinopoli. Ciò segnò la fine della dinastia Comnena. Con la caduta di Andronico I, si aprì un periodo di graduale sgretolamento dell’impero bizantino, che collimerà nel 1204 con la presa di Costantinopoli da parte dei crociati. La nobiltà feudale, vittoriosa nel conflitto con il governo centrale, aveva acclamato come imperatore un cugino di Andronico I Comneno, facente parte della dinastia degli Angeli: Isacco II Angelo (1185-1195). Questo riuscì a contrastare l’immediata minaccia dei Normanni, i quali abbandonarono il territorio imperiale, ma Bisanzio subì numerosi altri rovesci e perdite di territori. la Bulgaria, con una rivolta iniziata nel 1185 e conclusa nel 1187 a seguito del sempre più aggressivo fiscalismo nei confronti del territorio, riuscì a riottenere la propria indipendenza e a costruire un secondo impero bulgaro, senza che Isacco II fosse in grado di contrastarlo; La rivolta bulgara fu seguita dall’organizzazione della terza crociata che, come per le precedenti, ebbe disastrose conseguenze per Bisanzio; La nuova spedizione, organizzata nel 1189 a seguito della conquista di Gerusalemme da parte del Saladino, è anche nota come la crociata dei Re, in quanto vide al proprio comando Federico I Barbarossa di Germania, Filippo II Augusto di Francia e Riccardo I Cuor di Leone d’Inghilterra; anch’essa ebbe un esito modesto, nonché una rinnovata avversione nei confronti di Bisanzio. Federico I Barbarossa, infatti, nemico dichiarato dell’impero, attraversò i Balcani e organizzò con Serbi e Bulgari un fronte antibizantino; nella capitale si sparse il panico e, convinto che il sovrano tedesco volesse impossessarsi della città, Isacco II Angelo concluse un trattato di alleanza con il Saladino per impedire il passaggio dei crociati. Il Barbarossa si apprestò ad assalire Costantinopoli,ma la resa di Isacco II nel 1190 di fronte alla minaccia, consentì alle truppe cattoliche il passaggio verso l'Asia Minore e il rifornimento di viveri. Barbarossa morì poco dopo in Cicilia annegando in fiume mentre lo stava guadagando. Complessivamente la terza crociata fallì a causa dell'incapacità dei sovrani di avanzare compattamente verso il teatro di guerra. La politica di Isacco II Angelo proseguì cercando il riavvicinamento con Venezia, al prezzo di ulteriori concessi alla Repubblica: I quartieri a loro dedicati a Costantinopoli furono ampliati, espandendo ulteriormente l'influenza Veneziana nella città. Isacco II fu deposto e accecato dal fratello nel 1195, il quale gli succedette al trono. Alessio III Angelo (1195-1203) subì sin dall’inizio pesanti sconfitte da parte dei Bulgari; dovette poi fronteggiare una nuova minaccia dall’Occidente, rappresentata dal sovrano tedesco Enrico VI, che, sposando Costanza d’Altavilla, aveva ereditato il trono normanno di Sicilia e, con questo, il desiderio di impadronirsi di Bisanzio. Il governo bizantino tentò di dissuaderlo pagando una ingente tassa annuale, la cosiddetta «tassa tedesca». Le risorse finanziarie dell'impero non furono però sufficienti; la minaccia tedesca si fece così sempre più pressante, ma un’azione decisiva fu evitata grazie alla precoce morte di Enrico VI nel 1197. I rapporti con i Veneziani subiro un brusco ed improvviso peggioramento a causa del cambiamento di politica attuato da Alessio III rispetto al suo predecessore: questo, infatti, favorì sistematicamente Genovesi, Pisani e Ragusei ai danni della repubblica, facendo particolarmente leva sull’antagonismo di Pisa, in quegli anni una potenza sempre più crescente. In generale, insomma, Alessio III si mosse cercando di allentare la presa veneziana sull’economia dell’impero. a dispetto degli impegni presi, l’imperatore fece pagare tasse ai Venenziani, sospese il pagamento del risarcimento e aizzò i Pisani contro loro. Venenzia dovette dunque ricorrere ai ripari per difendere i suoi interessi in Levante. Dopo tre negoziati, conclusi nel 1198, riuscirono a sbloccare la situazione: non venne definita la questione dei risarcimenti, centrale nella rivalità fra le due realtà, ma in compenso furono delineati alcuni punti essenziali: Rinnovo della cooperazione militare; Riconferma dei privilegi commerciali; Una serie di provvedimenti sullo stato giuridico dei Veneziani in territorio imperiale L’esenzione da tutte le imposte. L'inizio della fine per il regno di Alessio III Angelo fu determinato non solo dalla precarietà dei rapporti con Venezia quanto dal cambiamento di situazione politica in Occidente. Morto Enrico VI, infatti, l’impero occidentale si era smembrato nella lotta civile, non potendo più muoversi in Italia dove si impose, nel 1198, la forte personalità di papa Innocenzo III; questi riprese con decisione il progetto di crociata abbandonato dopo gli esigui risultati della terza. Conseguenza fu dunque lindizione della quarta crociata, che originariamente diretta verso il Levante si concluse invece con la cattura di costantinopoli e la rapida dissoluzione dell’impero di Bisanzio. LA QUARTA CROCIATA E L'IMPERO LATINO(1204-1261) La quarta crociata venne bandita nel 1198 da papa Innocenzo III. Il suo invito venne man mano accolto dalla nobiltà di diversi paesi (Fiandre, Germania, Francia, Italia settentrionale), ma in questa occasione non presero parte re o imperatori, a differenza della terza, ma nobili di diversa importanza. Obiettivo primario della spedizione era la presa dell’Egitto, per la quale impresa fu deciso di intraprendere un itinerario marittimo; essendo necessaria una flotta, si iniziarono le trattative con la Repubblica di Venezia. Nel 1201, si arrivò ad un accordo, secondo cui Venezia avrebbe offerto le navi e i viveri, in cambio di un consistente pagamento in denaro; a questo si aggiunse un supporto veneziano di cinque galere, in cambio del possesso di metà delle conquiste future. La data del raduno, a Venezia, sarebbe stata il 29 giugno 1202. Al momento della partenza, però, la spedizione non fu in grado di raccogliere la somma di denaro necessaria; il doge Enrico Dandolo allora propose, come pagamento, la conquista della città di Zara per conto del comune, la quale si era posta sotto l’influenza dell’Ungheria per sfuggire alle mire di Venezia. Seppur con perplessità, i crociati acconsentirono, e la flotta di 202 navi prese la volta per l’Oriente: Zara venne conquistata senza fatica, e le truppe qui si fermarono per svernare. Alla notizia dell’anomala conquista della città cristiana, papa Innocenzo III scomunicò la spedizione ma, saputo della costrizione, si limitò a scomunicare i soli Veneziani. Durante la pausa invernale, le truppe crociate furono raggiunte dagli ambasciatori di Alessio Angelo il giovane, figlio del deposto Isacco II: l’ex-imperatore era stato incarcerato insieme al figlio, ma mentre egli era ancora imprigionato, nel 1201 Alessio era riuscito a fuggire, recandosi in Germania dal cognato Filippo di Svevia; grazie ai buoni uffici di questo, egli propose ai crociati di aiutarlo a recuperare il trono, offrendo condizioni vantaggiosissime: Un’enorme somma di denaro; Di rifornire finanziariamente e militarmente la spedizione in Egitto; Mantenere un corpo di cinquecento cavalieri in Terrasanta; La sottomissione della chiesa bizantina a quella romana. Fu rapidamente ottenuta un’intesa e, l’anno successivo, Alessio raggiunse il corpo crociato a Corfù, con cui stipulò il trattato di Zara a conferma di quanto offerto. La flotta, così, partì da Corfù il 25 maggio 1202, alla volta di Costantinopoli. Alessio Angelo non fu però ben accolto dai suoi compatrioti, visto ormai con sospetto per i suoi legami con i crociati e come un traditore per la sua volontà di sottomettere la chiesa bizantina a quella occidentale; insomma, al suo arrivo, le mura della città rimasero chiuse. Nonostante questo, le truppe a difesa della capitale e lo stesso Alessio III Angelo si dimostrarono poco combattivi, mancanti assolutamente l’energia necessaria per confrontarsi col nemico. Qualche giorno dopo il loro arrivo, i crociati entrarono nelle acque del Corno d’Oro, ed attaccarono le mura della città; durante la notte, Alessio III Angelo fuggì in preda al panico. I suoi cortigiani intervennero attivamente: prelevarono Isacco II dal carcere e lo riportarono sul trono: in questo modo, fu evitato l’assedio della città, in quanto i crociati riconobbero il fatto compiuto e, sotto la loro protezione, Isacco II e Alessio IV salirono al trono. Alessio IV Angelo (1203-1204) si trovò immediatamente in difficoltà nel rispettare quanto pattuito dall’accordo; chiese e ottenne una dilazione del pagamento, in virtù della quale i crociati permasero nei dintorni della città fino all’anno successivo. Non mancarono però, da parte di questi, episodi di violenza nei confronti della popolazione, al punto che lo stesso Alessio IV cambiò politica nei loro confronti, desiderando allonarli da Costantinopoli il prima possibile. La situazione cominciò a precipitare e la posizione di Alessio IV diventava sempre più difficile: da una parte aveva i crociati, di cui non riusciva a liberarsi, e dall’altra l’odio dei nazionalisti, che lo vedevano come un traditore. Il contrasto esplose nel gennaio 1204, e Alessio IV fu deposto e sostituito dal nazionalista Alessio V Ducas Murzulfo (1204-1204); Alessio IV e il padre, Isacco II, verranno uccisi nell’arco di pochi giorni. Alessio V tentò di far allontanare i crociati dal territorio bizantino ma, di fronte ad un loro rifiuto, si preparò alla guerra rinforzando le difese della città. I crociati, da parte loro, si organizzarono ad assediare la città; nel marzo 1204, stipularono un trattato, il Partitio Terrarum Imperii Romaniae, con il quale si vincolarono a dare un nuovo assetto all’impero una volta conquistato. Così, si decise che L'imperatore bizantino sarebbe stato sostituito da un sovrano latino Il patriarca sarebbe stato sostituito da uno latino La capitale e la provicia sarebbero state divise tra i vincitori L’epoca dei Paleologi è l’ultima e più duratura fase della storia bizantina; l’impero ricostruito riuscirà a sopravvivere per altri due secoli, sgretolandosi lentamente tanto in termini di estensione quanto in quelli di solidità interna. L’opera di erosione del territorio venne attuata dagli storici nemici di Bisanzio nei Balcani e in Oriente, che approfittarono della intrinseca debolezza dell’impero, nonché dalle azioni delle Repubbliche marinare di Genova e Venezia; il colpo definitivo verrà assestato dai Turchi Ottomani, i quali si affermarono nel secolo XIV come potenza dominante nell'area La crisi politica paleologa ebbe pesanti ripercussioni interne, avvertite nel corso del Trecento con un generale impoverimento della popolazione (ad eccezione dei feudatari), la contrazione delle attività economiche e la perdita del controllo sui mercati, passati nelle mani delle Repubbliche marinare Michele Paleologo apprese con sorpresa la cattura inaspettata di Costantinopoli: subitamente decise di accecare Giovanni IV, il legittimo erede, partendo alla volta della capitale, nella quale fece il suo ingresso trionfale nell'agosto del 1261 e venendo incoronato imperatore a Santa Sofia dal patriarca, dando vita all'ultima e più duratura dinastia imperiale, quella paleologa. L’impero ricostituito presentava un’estensione territoriale di gran lunga inferiore a quella precedente alla quarta crociata: molte isole erano in mano Veneziana, la Grecia era in mano veneziana, francese, la penisola anatolica parzialmente in mano turca e in Tessaglia ed Epiro vi erano regni indipendenti mentre nei Balcani erano il regno di Serbia e Bulgaria a dominare l'area Nonostante la debolezza interna dell’impero e l’aggressività dei nemici, Michele VIII perseguì, nel corso del suo regno, una ambiziosa politica di riconquista. Tale linea politica, nei primi anni di regno, fu coronata con il successo: nel 1261 ottenne la resa del principe di Acaia, il quale promise fedeltà e sottomissione a Costantinopoli in cambio della sua liberazione, nonché la restituzione di diverse roccaforti del Peloponneso; Michele VIII ebbe fortuna anche nelle campagne militari con la Bulgaria, costretta a rinunciare a molti fra i porti più importanti del Mar Nero, e con l’ Epiro, il cui despota Michele II fu costretto a riconoscere la sovranità imperiale. Meno fortunata fu la campagna nel Peloponneso, in cui Michele VIII subì una cocente sconfitta campale. Michele VIII adottò inoltre una politica di equilibrio nei confronti dei rapporti con Genova e Venezia, impedendo il predominio dell’una sull’altra con un concreto vantaggio per Bisanzio. I Si mantenne inizialmente alleato di Genova, escludendo Venezia dai mercati levantini, ma la situazione si ribaltò quando Michele VIII, deluso dall’alleato genovese, ritrattò le sue posizioni per cercare nuovamente un accordo con Venezia: con questa stabilirà un’alleanza, un accordo che, però, non fu ratificato dal governo cittadino. Di conseguenza, nel 1266 tornò all’alleanza con Genova, alla quale ratificò quanto precedentemente accordato aggiungendo la base commerciale di Galata, sul Corno d’Oro. Di fronte ad una tale situazione, la stessa Venezia, per non essere tagliata fuori, si riavvicinò a Bisanzio, mettendo da parte le ostilità: finalmente, nel 1268 le due parti stipularono un trattato in cui si sottoscriveva una tregua quinquennale, in cambio di alcune facilitazioni da parte bizantina. Le mire espansionistiche del Paleologo subirono una brusca frenata a causa del cambiamento della situazione politica in Italia. Nel 1266, infatti, era caduta la sovranità sveva nell’isola di Sicilia, il cui trono fu invece occupato da Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia; il nuovo re ereditò la secolare volontà siciliana di conquistare l’impero di Bisanzio, forte dell’appoggio dell’erede al trono imperiale latino, Filippo di Courtenay: Carlo d’Angiò cercò l’appoggio papale, iniziando contemporaneamente i preparativi per la battaglia. Michele VIII si rese conto dell’impossibilità di confrontare Carlo in uno scontro diretto; unica arma a sua disposizione era la diplomazia: fece leva sull’unione religiosa con Roma, che avrebbe esaurito la spinta propagandistica del re Carlo per l’attacco. La soluzione convinse il re di Francia Luigi IX, che nel 1270 portò con sé il fratello nella crociata di Tunisi; l’anno dopo, iniziarono le trattative con Roma, rese possibili da papa Gregorio X, ostile alla politica angioina. Nel 1274, al concilio di Lione, si proclamò la riunificazione delle due chiese, in cui i dignitari bizantini accettarono la fede occidentale e il primato di Roma; Carlo d’Angiò dovette abbandonare l’offensiva e l’imperatore poté concentrarsi su più fronti. Conseguenza ovvia di tale atto fu l’insorgere di molti contrasti interni, soprattutto derivanti dal clero, dal monachesimo e dalla popolazione, che non accettavano l’unione: Michele VIII fu costretto ad avviare atti di persecuzione. La soluzione del basilèus si rivelò essere temporanea: alla salita al trono papale di Martino IV, infatti, si tornò alla rottura aperta, con la condanna papale di Michele VIII e la ripresa del conflitto da parte di re Carlo: questo, allora, promosse una coalizione antibizantina, formata da Filippo di Courtenay, Tessaglia (indipendente dall’Epiro dal 1271), Venezia, Serbia e Bulgaria. Venezia intervenne in quanto nonostante la tregua Michele VIII aveva riconquistato alcune isole nell'Egeo e l'Eubea. Il conflitto irruppe su più fronti e la situazione sembrò irrecuperabile, ma Bisanzio venne salvata in extremis dall’esplosione della rivolta dei Vespri siciliani nel 1282 Grazie a questa rivolta, la Sicilia si sarebbe liberata della dominazione francese a favore della fazione aragonese; sarà proprio questa ad impedire a Carlo di rientrare in possesso dell’isola e consequenzialmente a mandare in fumo ogni progetto di conquista dell’Oriente. La politica estera di Michele VIII, a scapito dei costi, non aveva avuto molto successo. Il figlio e Successore Andronico II cercò di stabilizzare la condizione interna, ripudiando l'unione religiosa con Roma per tranquillizzare gli oppositori. Cercò di risanare l'economia dell'impero ridimensionamento le spese militari e attuando una politica estera meno aggressiva, affidandosi in particolar modo alla diplomazia. Dando in sposa la figlia allo zar serbo impedì a questo l'invasione di Tessalonica. La potenza di Bisanzio subì così una contrazione, rendendo lo Stato incapace di avere peso specifico in politica estera. Le ricchezze si concentrarono nelle mani dei grandi possidenti terrieri e la moneta andò incontro ad una svalutazione: nei mercati erano le monete d'oro coniate dalle repubbliche italiane ad avere maggiore importanza. Mantenere l'amicizia delle repubbliche mercantili si rivelò estremamente costoso per l'erario imperiale. Bisanzio divenne a tutti gli effetti dipendente dalle città marinare italiane, incapace di difendersi autonomamente. Il controllo imperiale in Asia Minore diminuì ulteriormente, incalzato dall'espansione degli Ottomani, tribà Turca ascesa a seguito della frammentazione del Sultanato di Rum. Gli Ottomani tra 300 e 400 misero in attò un'espansione esplosiva, sottomettendo l'Asia Minore ed i Balcani. Il tentativo di cercare supporto militare dei mercenari Catalani all'inizio del 1300 si rivelò disastroso: le casse imperiali, incapaci di fronteggiare i pagamenti con frequenza, provocarono la rivolta dei mercenari, che devastarono i territori imperiali. Andronico II con l'inganno fece assassinare il comandante catalano peggiorando la situazione, entrando in guerra aperta con loro. Successivamente i catalani si diressero nel ducato franco d'Atene, ponendo fino al loro controllo ed instaurando un principato che perdurò per più di 70 anni. Lo scenario si aggravò ulteriormente con lo scoppio di una guerra civile, combattutto tra Andronico II e il nipote omonimo Andronico, il quale alla morte del padre Michele IX si era visto strappare i diritti alla successione imperiale. Andronico il giovane ottenne presto il supporto dell'aristocrazia bizantina, di cui il maggiore esponente era Giovanni Cantacuzeno; lo scontro perdurò dal 1321 al 1328, concludendosi con la deposizione di Andronico II. Sotto Andronico III (1328-1341) l’impero andò incontro ad un periodo di sostanziale rafforzamento, dovuto soprattutto dalla presenza di Giovanni Cantacuzeno, colui il quale aveva effettivamente le redini dello stato, questo nonostante le sconfitte delle prime spedizioni militari contro i Turchi Ottomani che conquistarono Nicea (1333), con cui furono costretti a siglare un umiliante trattato che riconosceva l’esistenza dell’Impero turco e con cui furono costretti a versare un ingente tributo annuo. La politica con le repubbliche marinare fu completamente ribaltata sotto il suo regno: Andronico III cercò più punti di appoggio con Venezia e si mostrò apertamente ostile a Genova, ai quali contrappose una nuova flotta costruita con fondi statali e con il supporto degli aristocratici che lo sostenevano: nel 1329 sottomise Chio, da tempo in mano di una famiglia aristocratica genovese, ricorrendo al supporto dei Turchi Selgiuchidi e, sulla stessa linea, sottomise la città di Focea (anch’essa sotto il dominio genovese) e impedì una riconquista di Chio, punendo, per l’occasione, i Genovesi di Galata, complici dell’aggressione, facendo smantellare le fortificazioni dell’insediamento commerciale. La minaccia serba fu contenuta con la diplomazia, e sul fronte balcanico vennero conquistate Tessaglia ed Epiro, dove Andronico III si impose sfruttando i conflitti dinastici di entrambi. La vitalità riacquisita nei tredici anni di regno di Andronico III fu completamente cancellata con la salita al potere del figlio Giovanni V Paleologo (1341-1391); l’imperatore essendo in minore età fu osteggiato da una nuova guerra civile accesasi per la reggenza del sovrano. I due fronti creatisi vedevano da una parte il partito aristocratico, guidato dal comandante dell’esercito Giovanni Cantacuzeno, e dall’altra la fazione sostenuta dalla basilissa madre Anna di Savoia, ulteriormente appoggiata dal patriarca e dal comandante della flotta Alessio Apocauco, il quale prese le redini dello scontro dandogli un carattere prettamente popolare, accentuando così l’antagonismo con il rivale fronte aristocratico. Lo scontrò perdurò dal 1341 al 1347 ed attuò uno sconvolgimento di incredibile portata per Bisanzio, la quale non riuscirà mai più a riprendersi; sarà questa guerra civile che causerà, infatti, il tracollo definitivo del potere bizantino. Mai come in questo conflitto le forze straniere furono in una guerra civile così determinanti da divenire arbitri dello scontro: trovatosi alle strette, infatti, Giovanni Cantacuzeno aveva richiesto dapprima l’appoggio dello zar serbo Stefano Dušan,; dopo il suo voltafaccia, si rivolse ai Turchi Selgiuchidi e, quando anche questi abbandonarono lo scontro, si rivolse infine agli Ottomani, il cui appoggio fu determinante per la soluzione del conflitto. Per quanto riguarda l’aspetto sociale dello scontro, sin dall’inizio esso aveva implicitamente assunto i connotati di scontro di classe: la guerra civile fu la perfetta occasione per l’esplosione dei contrasti sociali già preesistenti, determinati soprattutto dall’enorme divario fra il tenore di vita dell’aristocrazia ed il resto della popolazione; lo stesso Alessio Apocauco aizzò le classi popolari contro la popolazione, cosa che porterà, ad esempio, alla formazione di un governo indipendente del partito popolare di zeloti nella città di Tessalonica. Giovanni Cantacuzeno si fece proclamare imperatore, sia pur rispettando il principio di legittimità e i diritti del giovane Paleologo; dalla Tracia, così, iniziò a scontrarsi con gli avversari, di stanza a Costantinopoli. Apocauco morì nel 1345, ma la battaglia continuò per mano di Anna di Savoia: la basilissa, nel 1346, interpellò i Turchi Selgiuchidi (che parteciparono devastando la Bulgaria). l’anno dopo, tuttavia, Anna si arrese, e Giovanni Cantacuzeno ebbe strada libera per entrare a Costantinopoli. Qui si fece nuovamente incoronare imperatore ed ebbe ufficialmente inizio il suo regno, associato a Giovanni V; Bisanzio uscì dalla seconda guerra civile estremamente indebolita, soprattutto sul piano esterno: i Genovesi approfittarono del conflitto per riappropriarsi di Chio, lo zar serbo Dušan si impossessò di Macedonia, Epiro e Tessaglia. Nel 134 dunque, il territorio di Bisanzio comprendeva: Tracia, Isole dell’Egeo settentrionale, la città di Tessalonica e parte del Peloponneso. Sul piano interno, Bisanzio andò incontro ad un tracollo economico e finanziario e a questo, come ulteriore elemento negativo, si aggiunse la diffusione dell’epidemia di peste, che di lì a poco avrebbe coinvolto tutta l’Europa. Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1354) seguì, come durante il regno di Andronico III, una politica fortemente anti-genovese, cercando di contrastarne l’egemonia che questi avevano creato nei mercati levantini. Contemporaneamente, Giovanni VI tentò di rimettere in campo una propria flotta; quest’ultima intenzione, tuttavia, si trasformò in un completo fallimento: i Genovesi privati dei loro privilegi, fecero incursione nel porto di Costantinopoli nel 1348, incendiando tutte le navi all’ancora lì presenti. Pochi anni dopo, nel 1350, Giovanni VI si trovò invischiato in una nuova guerra veneto-genovese, questa volta per il controllo dei commerci del Mar Nero. L’imperatore si alleò con Venezia e Pietro IV d’Aragona; il conflitto ebbe però esito incerto, e ultimamente Venezia abbandonò il campo, costringendo Giovanni VI a trattare la pace con Genova. In risposta alla neo-
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