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La Storia dell'Orientalismo in Europa: Un Percorso di Studi attraverso i Secoli, Sintesi del corso di Storia

Storia dell'Arabo e dell'IslamStoria della FilosofiaStoria della scienzaStoria della religione

Questo report book di Ariela Desio esplora la storia degli studi sull'Oriente in Europa attraverso i secoli, partendo dal concetto di Orientalismo come presentato da Edward Said e ripercorrendo la storia dei studiosi che ne hanno fatto parte. Il documento illustra come l'Orientalismo ha assunto varie valenze nel corso dei tempi, dal suo inizio nel XVI secolo con Guillaume Postel fino alle prime cattedre di arabo in Europa nel XVII e XVIII secolo. Il testo illustra come la conoscenza dell'arabo e dell'Islam ha avuto un ruolo importante nella lotta contro le Chiese rivali e come i mecenati ecclesiastici hanno sostenuto gli studi orientali. una ricca panoramica della storia degli studi orientali in Europa.

Cosa imparerai

  • Come l'Orientalismo ha assunto varie valenze nel corso dei secoli?
  • Come i mecenati ecclesiastici hanno sostenuto gli studi orientali?
  • Che ruolo ha giocato la conoscenza dell'arabo e dell'Islam nella lotta contro le Chiese rivali?
  • Quali sono state le prime cattedre di arabo in Europa e a quale università appartenevano?
  • Quando e da chi iniziarono gli studi sull'Oriente in Europa?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 23/08/2021

lila2011
lila2011 🇮🇹

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Scarica La Storia dell'Orientalismo in Europa: Un Percorso di Studi attraverso i Secoli e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! For lust of knowing Robert Irwin Report book by Ariela Desio La premessa principale ruota intorno al concetto di Orientalismo, perché questo così come presentato da Edward Said nell'omonimo saggio, rischia di rimanere ancorato ad una visione immaginaria e poco concreta degli studi sull’Oriente in Europa. L’idea di Said infatti, consistente nel ritenere l’Orientalismo occidentale un discorso egemonico e legittimatorio delle penetrazioni europee in Oriente, non sembra poggiare le sue fondamenta su quello che veramente è stato l’Orientalismo prima del suo saggio, ma su delle rappresentazioni vaghe di matrice europea, come alcune produzioni letterarie ed artistiche. Il termine Orientalismo sembra infatti aver cambiato significato molte volte nel corso dei secoli, assumendo una valenza negativa per non dire dispregiativa solo verso la metà del XX secolo. Nel 1830 in India, orientalisti erano quei studiosi inglesi che lavorando nei contesti amministrativi, auspicavano una comprensione delle istituzioni e delle usanze tradizionali musulmane per favorire un punto di incontro, messi poi a tacere da personaggi come il governatore William Bentinck che optava invece per un’occidentalizzazione completa dell’India. Ma questo è solo uno dei casi mostrati da Irwin che ci parlano di un concetto di Orientalismo un po' diverso da quello presentato da Said. Infatti, lungi dall’essere solo una critica al saggio di Said, quello di Irwin è anche e soprattutto un tentativo di ripercorrere la storia degli studi orientali in Europa attraverso gli studiosi che l’hanno vissuta. Una storia nient’affatto povera di personaggi ed accadimenti. E se anche questo excursus storico inevitabilmente si pone in contrasto con il saggio di Said, un po' per l’affermazione dell’importanza di un discorso storiografico sul tema (Said non ci dice neanche quando sarebbe nato l’Orientalismo e dove), un po' perché ribadisce che se un Orientalismo c’è stato ebbene non è quello saidiano, non manca di spezzare una lancia a favore del biasimato autore: senza Orientalismo di Said forse il suo libro non sarebbe mai esistito. Irwin afferma che nessuno poteva considerarsi un orientalista serio prima di Guillaume Postel (e siamo ad inizio del XVI secolo), ed in ogni caso se non con Postel, non più tardi del XVII secolo quando Jacob Golius ed Edward Pococke pubblicarono le loro ricerche. Ma questo non lo distoglie dall’iniziare il suo discorso dalle tragedie di Eschilo. Irwin racconta di essere cresciuto in un ambiente scolastico con dei programmi didattici alquanto retrogradi per l’epoca e di aver studiato tanto latino, molta religione cattolica e di aver percepito personaggi biblici come eroi. Ebbene difficilmente lo avrebbe immaginato, ma tutto questo gli fu poi utile alla comprensione del concetto di Orientalismo. Ed è proprio dalle basi che Irwin sembra voler iniziare, da quelli che furono i primi contatti o come sono stati spesso definiti “scontri” tra civiltà. I greci chiamavano coloro che non erano greci “barbari” ma senza voler intendere una mancanza di cultura. Ad esempio ammiravano la cultura dei vicini persiani. Nella tragedia The Persians di Aeschylus le vittime sono proprio i persiani e l’autore descrive la loro sconfitta con la stessa intensità che avrebbe messo se ad essere le vittime fossero stati i greci. Il tutto è riportato dal punto di vista dei persiani conferendo quindi una sorta di dignità al nemico. Nell’Iliade invece sono i troiani ad essere definiti “barbari”, ma non certo con accezione di inferiorità. Neanche Herodotus of Halicarnassus accenna ad un’inferiorità dei troiani rispetto ai greci, nonostante egli descriva in History le origini dell’antica ostilità tra europei ed asiatici. Ovviamente i greci non erano scevri da pregiudizi razziali, Aristotle lamentava la tirannia degli orientali ed in particolare dell’impero persiano. The Politics è un trattato nel quale Aristotle presenta un ritratto dispotico dell’oriente, egli sottolinea come il clima abbia giovato di più agli europei, popoli volenterosi e forti, che agli asiatici, destinati a rimanere schiavi. Per quanto riguarda gli arabi è testimoniato come prima di Maometto essi fossero largamente partecipi della vita dei romani, Juvenal lamentava la forte predominanza della cultura orientale a Roma e l’imperatore Philip era un arabo. Con l'avvento di Maometto molte cose cambiano. Irwin intitola il capitolo dedicato all’avvento dell’Islam “An Ancient Heresy or a New Paganism”, perché la prima reazione dei Cristiani di fronte a questo fenomeno fu di trattarlo come qualcosa che fosse già familiare e quindi nient’affatto una religione (tutto si aspettavano tranne che nascesse una nuova religione) quanto piuttosto un’antica eresia riesumata. Questa posizione venne rafforzata da alcune leggende riportate distorte dal testo di Ibn Hisham sulla vita del profeta, secondo il quale in gioventù Maometto avrebbe incontrato un monaco nel deserto siriano che lo avrebbe istruito sulle eresie legate al Cristianesimo ed in particolare sull’Arianesimo. Ma come Irwin spiegherà più avanti, il dibattito non si fermò qui. Durante il Medioevo le polemiche si sollevarono da entrambi i fronti. I cristiani accusavano l’Islam di essere un nuovo paganesimo, per la poligamia, per la violenza ma soprattutto per il rifiuto di riconoscere la divinità di Cristo. I musulmani accusavano il cristianesimo di non essere un vero monoteismo. In ambito cristiano l’Islam iniziò ad essere considerato un flagello divino a causa della disunità della Chiesa. Ma in ogni caso si continuò ad ignorare per tutto il Medioevo la presenza sempre più affermata dell’Islam in quanto religione. Ma è da Damasco che arriva il primo interessamento da parte cristiana sulla teologia musulmana. Infatti John of Damascus che conosceva l’arabo e il greco aveva come priorità la lotta all’iconoclastia e nel testo The Fount of Knowledge discute più di cento eresie. Tra queste ne elenca una definita come “The Heresy of the Ishmaelites”. Nonostante John si scagli contro quella che appunto lui ritiene nient'altro che un’eresia, che per di più nega la figura divina di Cristo e che si dà alla poligamia, dal testo emerge una profonda conoscenza del Corano. L’ostilità di John, ci dice Irwin, va comunque compresa nel contesto dell’epoca, laddove i cristiani erano tollerati in area musulmana ma con forti restrizioni. La Spagna fu un caso a parte. La conquista araba aveva fatto si che molti cristiani si convertissero. Ma altrettanti rimasero cristiani nonostante le restrizioni. Molti di loro si interessarono alle questioni religiose dell’Islam e si impegnarono nello studio dell’arabo anche se il tutto aveva più obbiettivi di confutazione che di interesse personale. In ogni caso il Califfato di Cordova fu un regime tollerante ed è per questo che si diffuse lo studio dell’Islam anche da parte cristiana. Toledo divenne il centro nevralgico delle traduzioni cristiane dei testi arabi, spesso incoraggiate da figure esemplari nel mondo della Chiesa, come Peter the Venerable, the riteneva l'ebraico una lingua magica, l’unica vera lingua originaria risalente a Adamo ed Eva. Le opere di Pico vennero considerate eretiche. Due eventi nel corso del XV secolo sembrarono cambiare qualcosa. La conquista di Costantinopoli nel 1453 per mano ottomana e i grandi viaggi d’esplorazione europei. La conquista di Costantinopoli fu un duro colpo per la cristianità, ma il risultato sembrò essere in alcuni ambienti un rinnovato interesse per il mondo islamico che ora aveva un così forte esponente nell’Impero Ottomano. Il nuovo genere in voga nel XVI secolo fu la letteratura di viaggio, Irwin ritiene che in questo periodo destava più interesse la letteratura inerente alle terre islamiche piuttosto che i racconti sulle Americhe. Grazie a Giambattista Ramusio che pubblicò una raccolta di racconti di viaggio intorno al 1550, divennero famosi anche i racconti di Marco Polo e il suo viaggio in Asia. Il pellegrinaggio in Terra Santa iniziò ad essere sostituito dalle letture e dai racconti dei pellegrini. Il XVII secolo fu animato da una crescente attrazione per ciò che era considerato “esotico” e quindi esploratori, avventurieri e curiosi portarono in Europa i più disparati oggetti che andarono a costituire dei gabinetti delle curiosità, Irwin dice, la prima forma di Orientalismo. Una figura interessante in questo periodo è rivestita da Leone l’Africano. Nato a Granada da genitori arabi, si mosse poi in Marocco e operò in alcune missioni diplomatiche . Venne catturato dai corsari e tramite di essi giunse a Roma dove passò sotto la tutela di Leone X. Ebbe un ruolo importante nella cosiddetta “caccia ai manoscritti” perché fornì molte informazioni sulle più importanti opere arabe. Leone scrisse Della descrittione dell’Africa et delle cose notabili che ivi sono, testo che divenne estremamente popolare (a dimostrazione della curiosità che quei luoghi destavano in Occidente), la quale descrizione riguardava soprattutto l’ Africa a nord del Sahara. Ma introduciamo ora la figura di Guillaume Postel, considerato il primo vero orientalista. L'interesse per il mondo arabo di Postel fu grandissimo accompagnato sempre da un forte legame con la sua patria, la Francia. Egli ebbe l’occasione di accompagnare l'ambasciatore francese per conto di Francesco I presso Solimano il Magnifico, in quell’occasione Postel venne incaricato di raccogliere manoscritti orientali. Nel 1539 divenne titolare della prima cattedra di arabo a Parigi presso il Collège de France. Nel 1543 pubblicò la Grammatica Arabica, la prima grammatica di lingua araba circolante e che verrà a lungo usata prima di essere sostituita da quella più accurata di Erpenius. Le prime grammatiche arabe in ogni caso erano in latino e quindi molto spesso influenzate dal latino. Il latino infatti era considerata l’unica lingua insieme al greco adatta alla cultura, dunque chi studiava l’arabo doveva venire dal latino o dal greco. Tra l’altro l’arabo, il cinese e il persiano erano studiate come lingue morte mentre il greco e il latino come lingue vive. Molti dei scritti di Postel introdussero i francesi alla conoscenza del mondo arabo, perché egli amava descrivere i costumi dei turchi ottomani, la storia dell’Islam, quella di Maometto e le loro leggi. Postel mise sempre in luce i pregi del mondo arabo, considerando Maometto un profeta autentico e mettendo in luce le eccellenze arabe dalla vegetazione fino all’artigianato. A quel tempo molti avevano iniziato a tenere in alta considerazione il mondo arabo (il gioielliere francese Jean Chardin a seguito di un’indagine sui mestieri nella Persia Safavide era arrivato a concludere che la Persia era molto più avanzata dell’Europa occidentale). Irwin ritiene però che molto del lavoro di Postel fu motivato dalla paura. A quel tempo la veloce avanzata degli Ottomani nei Balcani faceva presagire il peggio minacciando la sopravvivenza della cristianità. Postel condivideva l’idea di molti secondo il quale l’Islam era stato inviato come flagello divino a causa dei dissidi interni della Chiesa. Ma il testo De orbis Concordia Libri Quatuor sembra invece cercare un terreno comune religioso. Intanto qualcuno aveva azzardato una diffusione più larga del Corano in Europa. La traduzione di Robert Ketton venne stampata da Johann Herbst, poi imprigionato con l’accusa di aver fatto propaganda islamica. Il Corano era considerato un libro maledetto e questo destava ancor di più la curiosità del pubblico, proprio per questo la stampa del testo era considerata un’attività redditizia. Lutero condivideva l’idea che l’Islam fosse un flagello divino e che non andasse ostacolato, anche se con l’assedio di Vienna nel 1529 cambiò idea. Non sembrò mai troppo consapevole della minaccia ideologica costituita da esso, finché non lesse “Confutatio Alcorani” di Ricoldo da Montecroce, dalla quale venne profondamente colpito e che tradusse in tedesco. Per Lutero non era possibile convertire i musulmani, perché il loro cuore era ormai indurito, ma rimaneva dell’idea che la vera corruzione venisse dalla Chiesa di Roma. Con l’invenzione della stampa molti furono i progetti avviati che coinvolsero anche l’ambiente arabo. La Bibbia poliglotta di Anversa del 1569 era un progetto ambizioso che vedeva la traduzione della Bibbia su più colonne in lingue diverse affiancate l’una all’altra. Essa aveva lo scopo di fornire un’alternativa alla Vulgata con l’opportunità di poter confrontare i testi per trovare possibili interpretazioni alternative. Per i passi più oscuri legati alle lingue semite venivano consultati conoscitori di arabo. Inizialmente sembrava impossibile stampare in caratteri arabi, fu papa Giulio II a sponsorizzare le prime stampe in arabo. I primi caratteri non corrispondevano a quelli autentici ed infatti la resa finale era scoraggiante, ma con l’istituzione della stampa orientale medicea le cose cambiarono. Fondata nel 1584 a Roma sotto la direzione di Giovan Battista Raimondi e con il patrocinio di papa Gregorio XII, l'eleganza dei caratteri arabi ora rendeva giustizia all'originale. Il progetto che prevedeva la stampa di molti testi ai fini di conversione venne però abbandonato nel 1595. Quello che Irwin definisce “il proto-orientalismo” e quindi l’orientalismo nella forma embrionale del XVI- XVII sec che faticava ad affermarsi, fu portato avanti da alcuni studiosi coraggiosi da Postel in poi. Uno di questi fu Giulio Cesare Scaligero. Postel fece interessare Scaligero allo studio delle lingue orientali. Scaligero insieme ad altri fu impegnato nella questione cronologica che tanto assillava il mondo occidentale del periodo. Le recenti scoperte e l’allargamento di vedute procedevano sempre di più nel mettere in discussione le cronologie bibliche fino ad allora incontrastate. Queste mal si conciliavano con la cronologia cinese e quella azteca ad esempio, lo sforzo di questi studiosi fu quello di cercare una cronologia unificata della storia che confermasse quella biblica. Scaligero riteneva che fosse necessario staccare lo studio dell’arabo dagli studi ebraici e conferirgli una sua autonomia, sosteneva inoltre la necessità di assemblare più manoscritti arabi. I primi orientalisti come Scaligero, ma anche Casaubon, fecero da apri strada per la generazione più affermata di orientalisti a venire. Gli studi arabi del XVII secolo sopravvissero solo grazie a dei mecenati che ne finanziarono le spese. Dedicarsi a questi studi significava non essere sovvenzionati dalle università in maniera sufficiente e quindi è grazie a figure come l’arcivescovo William Laud, Sir Thomas Bodley o al vescovo Lancelot Andrews che si deve la prosecuzione degli studi arabi in occidente. Come si nota i mecenati erano spesso uomini di Chiesa, perché l’interesse era proprio quello della lotta all’Islam e adesso anche al protestantesimo. Le missioni in oriente erano focalizzate sia sulla conversione dei musulmani ma anche sulla conversione dei cristiani orientali. Tra questi mecenati, alla figura di Lancelot Andrews si deve il primato che l'Inghilterra avrà negli studi orientali dal XVII secolo in poi. I decenni precedenti lo scoppio della guerra civile nel 1642 furono d’oro per gli studi islamici e arabi in Inghilterra. Il vescovo cercò di convincere l’orientalista olandese Erpenius a trasferirsi in Inghilterra e non riuscendo finanziò gli studi di un altro orientalista, William Bedwell. Nel 1602 Sir Thomas Bodley aveva fondato la Bodleian Library, ma Oxford viveva un periodo di torpore. William Laud arcivescovo di Canterbury e in seguito cancelliere dell’Università di Oxford si impegnò di inaugurare un periodo di innovazione negli studi a Oxford ritenendo ad esempio che lo studio dell’ebraico antico fosse fondamentale per combattere la Chiesa romana. L’arabo per ora era veniva utilizzato solo per chiarire alcuni punti della lingua ebraica. Alcuni tentativi di stabilire cattedre di arabo vennero avanzati anche in questo periodo, Joseph Barbatus, un copto egiziano cristiano che aveva viaggiato per l'Europa insegnando l’arabo e Mattia Pasor erano convinti che l’arabo fosse utile ad una maggiore comprensione delle scritture e che potesse rivelare gli errori del cristianesimo. Ma i loro progetti non attecchirono e si lasciò spazio ad altre lingue come l'ebraico e il siriaco. Ma dagli anni 1620-30 molti si interessarono agli studi arabi, segno che i tentativi precedenti avevano lasciato qualcosa. La cattedra di arabo voluta da William Laud a Oxford nel 1636 fu affidata a Edward Pococke. Pococke oltre a conoscere il latino, il greco e l’ebraico aveva imparato l’arabo servendo la Levant Company come cappellano, la compagnia commerciale che operava tra Europa ed Impero ottomano. L'’ostilità di Pococke nei confronti dell’Islam si può considerare sana, in quanto egli riteneva le accuse e le critiche fatte dai cristiani verso i musulmani del tutto infondate e fatte di sciocchezze e stupidi aneddoti. Piuttosto Pococke era interessato a conoscere a fondo l’Islam per opporvi una critica reale e fondata. Nel periodo del Commonwealth essendo Pococke un monarchico non era ben visto e dovette abbandonare l’insegnamento. Fu però appoggiato da un membro del Parlamento, sir John Selden, soprattutto nei suoi studi su Bar Hebraeus. Bar Hebraeus (Abu I-Farag, Gregorio Barebreo), fu un vescovo della Chiesa ortodossa siriaca vissuto nel XIII secolo. A lui si deve un’opera di conservazione e sistematizzazione di molte opere precedenti e attinse molto alle cronache musulmane per compilare la propria storia della creazione. Pococke nel 1650 pubblicò “Specimen historiae Arabum” nella quale un estratto è una traduzione in latino dall’opera di Bar Hebraeus e che servì per una conoscenza generale della storia della cultura mediorientale per molto tempo. Scritti di interesse scientifico e anch’essi non legati alla polemica cristiano- musulmana, sono quelli di Alexander Russel che tra il 1745 e il 1753 lavorò come medico presso la Levant Company e compose trattati come The Natural History of Aleppo o Particularly of the Plague, with the methods used by the Europeans for their preservation, proprio perché egli era specialista di plague. In questo modo chi fosse stato attratto dal Medio Oriente da un punto vista culturale, poteva trovare nei suoi scritti notizie interessanti. Una figura senza dubbio originale in questo secolo va presentata nella persona di Sir William Jones, detto anche “Oriental Jones”. Jones aveva una attitudine fuori dal comune per le lingue, ne parlava tredici e ne conosceva almeno ventotto. Tra queste l’arabo, lingua che da sempre lo aveva affascinato. Pubblicò una raccolta di odi arabe pre- islamiche, The Moallakat. In particolare trovò affascinante il Persiano ed è per questo che si impegnò per far conoscere la poesia persiana al pubblico europeo, ritenendola di una musicalità e finezza che superava i componimenti classici greci e romani. La sua grande cultura linguistica lo portò nel 1783 a rivestire l’incarico di giudice presso la High Court in Calcutta e da lì si appassionerà allo studio del Sanscrito. Jones fu il primo a teorizzare che Greco, Latino e Sanscrito dovessero avere una radice comune. Nel 1784 Jones fonda la Asiatick Society of Bengal che sarà di ispirazione per le future associazioni orientaliste quali la Societé Asiatique e la Royal Asiatic Society. Jones fece quindi un po' da pioniere per gli studi sull’India, che prenderanno piede a fine XVIII sec. Il francese Abraham Anquetil Duperron che visse a lungo in India, pubblicò un’edizione del testo sacro dello zoroastrismo l’Avesta. Egli fu ostile all’idea di dispotismo asiatico arbitrario e selvaggio presentato da Montesquieu, concezione che secondo Duperron giustificava l’oppressione sui popoli asiatici. Egli fu un anti- imperialista e con la sua risposta a Montesquieu anticipò il tema trattato da Said secoli dopo. Questi personaggi visti però operarono al di fuori delle università, Leiden infatti andava perdendo il suo prestigio di centro degli studi orientali e molte cattedre morivano. L’Ebraico era ancora considerata la lingua prioritaria rispetto all’arabo e l’unica che valesse apprendere e scarse erano le traduzioni dall’arabo alle lingue vernacolari. Intanto si affacciavano nuovi interessi come quello verso la Cina grazie alla mediazione di alcuni missionari come il gesuita Athanasius Kircher. In Russia nel XVIII secolo l’interesse per gli studi orientali invece era appena iniziato. L'esordio lo si deve alla collezione di curiosità di Peter the Great. Egli collezionò i più disparati oggetti, dai denti di elefante fino a manoscritti in lingua esotica. The Cabinet of Curiosities divenne parte del Museo dell’Accademia delle Scienze, poi trasferito nel Museo Asiatico ed infine divenuto parte dell’Istituto of Oriental Studies. Nel 1702 fu istituita una scuola per lo studio delle lingue Orientali, con l’intenzione di governare meglio quella parte caucasica dell’Impero che era prevalentemente musulmana. La Danimarca invece si fece notare in questo campo per le sue spedizioni in Medio Oriente, volute spesso e volentieri da chi era al potere. Il re Federico V fu mecenate delle arti e delle scienze ed incaricò lo studioso di ebraico e arabo, Johann David Michaelis dell’Università di Gottinga, di organizzare una spedizione ai fini della ricerca biblica. Michaelis studiava l’arabo per una migliore comprensione dei testi biblici e quindi la riteneva una lingua subordinata all’ebraico. Questa spedizione fu anche una ricerca di manoscritti e un’indagine topografica e culturale. A questa spedizione sopravvisse solo il cartografo Niebuhr che riportò dettagli sulla vita del posto, sugli usi e i costumi e tracciò mappe del delta del Nilo e parti dell'Arabia. Intanto si andava animando anche l’interesse di mercanti e politici sulla zona medio-orientale vista come in decadenza politica. Nel 1770 il barone francese Francois de Tott venne mandato dal Ministero degli affari esteri francese in missione per spiare i punti di forza e le debolezze ottomane. Il comte de Volney si oppose alle idee di conquista e sottomissione dell’Egitto avanzate da de Tott. Volney scrisse Voyage en Egypte et en Syrie nel 1787 dove si opponeva ad un’invasione dell’Egitto e il suo testo venne letto anche da Napoleone Bonaparte. Volney si batté per stabilire una cattedra di arabo colloquiale in Grancia, ritenendo che l’arabo andasse studiato come lingua viva, in modo da essere utile anche a mercanti e diplomatici. Questa verrà istituita solo nel 1830. L’intenzione del saggio di Volney ovviamente non era provocare la successiva invasione dell’Egitto da parte napoleonica come alluso da Said. Volney intendeva sottolineare che per una conquista dell’Egitto prima si sarebbe dovuti passare per la lotta con i turchi ed infine con i musulmani stessi, cosa che egli riteneva impossibile. Effettivamente la campagna francese in Egitto del 1798 fi un disastro. Per quanto la spedizione francese venne spinta dagli interessi commerciali che volevano contrastare la crescente potenza commerciale inglese, infondo essa si impose come missione civilizzatrice. Bonaparte portò con sé una printing press e stampò un proclama in arabo nel quale annunciava la liberazione dei popoli oppressi dalla tirannide. Nella spedizione di Bonaparte l’interprete principale era Jean Michel Venture de Paradis, figlio di un dragomanno e dragomanno anch'esso per un periodo a Istanbul. Ebbe un ruolo fondamentale in Egitto per la sua conoscenza del posto e fu lo stretto consigliere di Bonaparte per tutte le questioni in materia orientale. Egli morì durante la spedizione lasciando Bonaparte da solo in una terra sconosciuta, gli altri due interpreti infatti non avevano le stesse conoscenze di Venture. La Description de l’Egypte apparsa nel 1809 si poneva come il trionfo culturale e scientifico della spedizione camuffandone così l'epilogo disastroso. La Description poneva attenzione soprattutto agli antichi reperti egiziani faraonici piuttosto che alla cultura islamica. Ebbe in realtà molta risonanza ma poca influenza su quelli che saranno i futuri studi Arabi in Occidente.
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