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Riassunto Itinerari di pedagogia dell'infanzia-Pedagogia della famiglia, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto dei libri: "ITINERARI DI PEDAGOGIA DELL'INFANZIA"(M. Amadini- A. Bobbio- A. Bondioli-E. Musi) "PEDAGOGIA DELLA FAMIGLIA"(L. Pati)

Cosa imparerai

  • Che teorie di sviluppo infantile vengono criticate nella nuova sociologia dell'infanzia?
  • Come viene descritta la continuità tra il nido, la scuola dell'infanzia e la scuola primaria?
  • Come viene descritta la partecipazione della famiglia nella definizione degli obiettivi educativi?
  • Come aiuta il caregiver i bambini a sopportare le frustrazioni?
  • Come viene descritta la legge 107/65 e i suoi principi fondamentali?

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 16/04/2023

Ga1100
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Scarica Riassunto Itinerari di pedagogia dell'infanzia-Pedagogia della famiglia e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! RIASSUNTI PEDAGOGIA DELL’INFANZIA ITINERARI DI PEDAGOGIA DELL’INFANZIA M. Amadini – A. Bobbio - A. Bondioli – E. Musi (1) Prima Parte. Capitolo secondo – Suggestioni a partire da contributi di altre scienze: psicoanalisi, psicologia dell’età evolutiva, sociologia (Anna Bondioli) 1. IL CONTRIBUTO DELLA PSICOANALISI ALL’EDUCAZIONE INFANTILE Tre sono state le rivoluzioni culturali: Una è stata quella di Charles Darwin, il quale con la sua teoria sull'evoluzionismo sottolineò il ruolo che ha il legame che c'è tra individuo e ambiente, di come il processo evolutivo sia un processo legato all’adattamento dell'essere umano all'ambiente e come appunto la natura ha contribuito al processo evolutivo. L'idea dell'essere umano come uno dei tanti esseri viventi presenti sulla terra significa quindi non essere al centro dell'universo ma l'uomo e la donna sono esseri viventi come gli altri. La loro sopravvivenza è data da un continuo processo di adattamento e la natura ha fatto la sua selezione. Questa selezione ha portato l’individuo alla sopravvivenza, ma anche rispondere agli ostacoli dell'ambiente. La seconda rivoluzione scientifica è stata quella invece di Charles Taylor. È stato il primo antropologo ad affermare che tutti i popoli sono uguali e che non ci sono differenze dal punto di vista qualitativo, ma le differenze esistono tra le culture dei popoli che sono date dal luogo in cui è presente quel popolo e dalla risposta che quel popolo ha dato all'ambiente. Questo per dire che rispetto a determinati stimoli provenienti dall'ambiente l'individuo ha risposto in un certo modo (processo di adattamento) e questo ha portato alla costruzione della cultura. Poi, successivamente dice Levi-Strauss che ci sono degli elementi i quali accomunano tutti i popoli. Affermare che i popoli erano tutti uguali era un'affermazione rivoluzionaria. Quindi la loro differenza era che ciascun popolo aveva risposto, nel processo di adattamento all'ambiente, in maniera differente. La terza rivoluzione è stata invece avviata da Sigmund Freud. Freud, che era uno psicoanalista, grazie ad un nuovo trattamento che aveva come focus la parola, trovando il bambino nel paziente ricostruisce per tappe le caratteristiche dell’età infantile del tutto diverse da quelle della tradizione. Si riscopre il bambino come essere pulsionale, ossia che ha dei desideri, delle emozioni, dalla voglia di esplorare. Tutto ciò Freud lo ritroverò anche nel suo nipotino Ernst. Quindi grazie a Freud e a sua figlia Anna, l’infanzia diventa il motivo conduttore, Il filo rosso, degli studi di psicoanalisi e ci sarà proprio un filone che riguarda la psicoanalisi infantile che affianca gli studi sull’educazione, perché la psicoanalisi infantile fa riferimento alle esperienze vissute dal bambino e dalla bambina. Ora vediamo che oltre che a Freud ci sarà anche Melanie Klein con la teoria delle relazioni oggettuali. Questa teoria pone in primo piano lo sviluppo infantile e le sue relazioni. La dimensione affettiva, dice Klein, si crea con la relazione con le figure di attaccamento primario e secondario ritenute importanti per la vita del bambino a partire dalla nascita, tutto ciò è importante per la formazione dell’identità dell’individuo. 1.1 FUNZIONI MATERNE E OGGETTI TRANSIZIONALI Winnicot riprende l'importanza della relazione che c'è tra bambino e adulto e in particolar modo la relazione il bambino e la madre (o il care giver, colui che si prende cura in maniera continuativa del bambino che è una figura anche indispensabile). Questa figura è indispensabile perché il bambino nasce come un individuo che ha dei limiti, limiti dati dalla sua incompiutezza perché sin da piccolo il bambino ha bisogno dell'altro, di qualcuno che lo aiuti per poter sopravvivere, anche perché ci sono delle caratteristiche fisiche che richiedono bisogno, tra cui cibarsi, la protezione dalle intemperie, il bisogno di una casa. Winnicot non parla dei bisogni di natura soltanto fisica ma sottolinea il ruolo che ha il care giver nel soddisfare i bisogni invece legati alla cura e alla relazione “il bambino senza madre non esiste”. A Winnicot si addice la frase: non di solo pane vive il piccolo, ma ha bisogno della relazione. Quindi, Winnicott ritiene che il care giver è la prima persona che aiuta il bambino con la sua cura e l’affetto a sopportare le frustrazioni che sono proprie del bambino della bambina nel momento in cui si rapporta con l'ambiente. È un atteggiamento generalmente spontaneo quello del care giver, ossia riuscire a mettersi in sintonia empatica con il proprio figlio e quindi riconoscere i bisogni per poi intervenire e soddisfarli. Quindi il care giver riesce a capire quando il bambino vuole essere preso in braccio, quando invece il bambino deve essere lasciato da solo ecc. ecc. perché c'è questa sintonia emotiva. Winnicot chiama questo intervento preoccupazione materna primaria che si sviluppa in alcune funzioni: Holding = Tenere in braccio, il sostegno non è solo fisico ma è anche psichico, la madre e il padre prendendo in braccio il bambino trasferisce dei legami alfa o beta (a seconda che si è tranquilli o meno) che permettono di calmare il piccolo. I genitori quindi si fanno carico di un bisogno del bambino e quindi madre-bambino si sentono un’unità (se non ci fosse questa unità il bambino sarebbe preso dall'angoscia dovuta al sentimento di solitudine). L’Handling = Manipolazione, ossia l’azione di cura si specifica in cure fisiche, cure corporee, carezze, i baci… L’Handling permette di sentire corpo e psiche come tutt’uno. L'object presenting = Indica il modo con cui la madre presenta il mondo e sé stessa. Tutto questo avviene in ordine progressivo. Quindi quella presenza che c'è e che interviene in caso di bisogno, la madre cura il bambino e la bambina in un accudimento che è quasi perfetto. Quindi c'è un legame ed un intervento nel momento di bisogno. Quindi si lascia l’autonomia al bambino, si lascia fare, e si interviene soltanto quando è assolutamente necessario. Il piccolo ha quindi l'illusione di essere autonomo e che la madre in che viene soltanto nel momento di necessità. Grazia a queste funzioni il bambino passa dalla dipendenza assoluta alla dipendenza relativa (da 6 mesi circa fino ai 2 anni) e infine all’indipendenza. Questo è ovviamente un processo graduale che avviene in un percorso, secondo l’autrice, che si sviluppa in due tappe: Nella prima tappa è il periodo iniziale del bambino, dove la madre fa credere al bambino di essere autonomo e autosufficiente, quindi lo lascia in autonomia e interviene solo nel caso in cui c'è la necessità. Quindi il bambino percepisce essere capace di fare della cose, ha la sensazione di essere autonomo, di vivere Il secondo periodo c’è una riduzione progressiva del sostegno materno. Questo dipende fortemente dalle esperienze che il bambino ha vissuto nella relazione con le figure di attaccamento. L'attesa fiduciosa, come la descrive Margaret Mahler, contraddistingue il bambino che ha ricevuto cure e affetti regolari e coerenti. Winnicot chiama questo momento “svezzamento”. Lo svezzamento è un periodo delicato perché permette di capire che esiste l’altro, ossia il riconoscimento dell’esistenza del non-me. Quindi, fino a quando si è un tutt'uno con la madre non si ha questa percezione di sé come altro, ma nel momento in cui c'è questo affievolimento del sostegno (in cui la madre si allontana in periodi di più lunghi, per cui fa in modo al bambino di fare da solo) la frustrazione che può derivare dal fatto di non riuscire a raggiungere l'obiettivo fa su che si senta come altro da sé, ma poi anche il fatto di 1.4.3. IL GIOCO E I PROCESSI SIMBOLICI Sia Winnicot che Bettheleim sottolineano il ruolo che ha il gioco e l’importanza dell'attività simbolica nello sviluppo psichico e la costruzione della personalità del bambino. La Bondioli sottolinea come l’obiettivo del gioco è quello di mettere in forma, di elaborare le informazioni e le esperienze, di organizzarle durante il gioco: grazie alla rappresentazione simbolica le pulsioni e gli affetti vengono regolati e cambiati. Il gioco secondo Winnicott, permette una “ricostruzione del mondo” veritiera. Secondo Bettheleim il gioco è il modo in cui il bambino affronta i problemi della sua crescita, ed è rafforzato dalle fiabe e altre attività come il disegno, la danza ecc... Sia Winnicot che Bettheleim sottolineano l'importanza dell'adulto nel momento del gioco e l’importanza della condivisione dell'entusiasmo e della fantasia. Occorre valorizzare il gioco di immaginazione nella scuola dell'infanzia. Possiamo individuare alcuni punti: Valorizzare: Nel senso di riconoscere e accogliere la curiosità del bambino. Sostenere: Nel senso di fare in modo di organizzare l'ambiente in modo tale da permettere al bambino di giocare, ma non solo un ambiente sicuro ma anche stimolante nell’organizzazione dell'ambiente e nelle attività che vengono proposte ai bambini nel corso della giornata. Insomma fare in modo che l’attività ludica sia presente nella giornata al nido e nella scuola dell'infanzia. Partecipare al gioco dei bambini: Senza modificare la funzione principale del gioco dei bambini, cioè quello di liberarsi dalle paure e di stimolare la creatività, di immaginare e di poter controllare anche la realtà e di poterla trasformare. Ma questo significa per l'adulto significa avere pazienza, mettersi in una situazione di empatia, mettersi in sintonia con il bambino e con la bambina. Quindi tutte queste sono doti che chiaramente non sono innate ma possono essere coltivate con un lavoro che si fa con sé stessi e anche un recupero del proprio modo di vedere l'infanzia. In questo modo si crea quella base sicura per cui il bambino si sente libero di giocare come è giusto che sia che faccia durante l'attività ludica. 2. Dal costruttivismo al socio-costruttivismo. Piaget, Vygotskij, Bruner. 2.1 Il contributo di J. Piaget 2.1.1 La mente del bambino Gli studi di Piaget della prima metà del’900, hanno permesso di capire come il bambino rappresenta e costruisce la realtà. Piaget utilizza il metodo di indagine, che è una combinazione tra osservazione e il colloquio con i bambini per poter capire come avviene lo sviluppo dell’intelligenza nel bambino. L'immagine viene fuori è quella di un bambino che è un esploratore del mondo circostante, che interagisce con l'ambiente e con la sua intelligenza riesce a scoprire il mondo. Il processo che alla base di questa scoperta che viene fatta e che porta lo sviluppo dell'intelligenza è il processo di assimilazione e accomodamento. La modalità di assimilazione è quando il bambino non muta i processi e gli schemi comportamentali, ma gli ripete per il piacere che procura questa assimilazione perché è un modo per reagire alla realtà. Il fatto che ci siano delle situazioni routinarie rassicura e fa sentire il bambino capace di reagire sul mondo; L'accomodamento, invece, avviene quando ci sono nuove conoscenze e quando si cerca di adattare il nuovo a quello che è già noto. Questi processi di assimilazione e accomodamento conducono all’adattamento quando i processi sono in equilibrio [es: quando si dialoga, ciascuno dei due interlocutori interpreta quanto detto dall’altro secondo le proprie categorie mentali (assimilazione) ma, al tempo stesso, si sforza di capire il senso delle parole altrui (accomodamento)]. Una volta raggiunta una certa fase, non è possibile un ritorno all’indietro. Nel corso dello sviluppo Piaget individua delle fasi e con il metodo clinico riesce a individuare per fasce d'età alcuni comportamenti che sono propri di quelle fasce d’età, e quindi individue le fasi di sviluppo: Sviluppo senso motorio 0-2; Il periodo preoperatorio 2-7 anni; Il periodo delle operazioni complete 7-11; Il periodo delle operazioni formali 11-in poi. Ciascuna di queste fasi si caratterizza per dei comportamenti che sono tipici del funzionamento mentale del bambino e della bambina che non possono essere modificati finché il bambino con la sua maturazione non ha riorganizzato il suo modo di vedere il mondo, e quindi sarà in grado di svolgere nuove operazioni mentali. Piaget, quindi, individua queste fasi di sviluppo che però hanno rappresentato anche il limite di Piaget nel senso che sono importanti perché hanno permesso di individuare i comportamenti che sono caratteristici di una fascia d’età però non si tiene conto del ruolo che ha il contesto nello sviluppo del bambino, perché non si può pensare che in maniera deterministica in alcune fasce d'età si manifestino determinati comportamenti e non altri. È come se l'ambiente non avesse alcun ruolo, anche se in realtà l’ambiente può essere così stimolante da manifestare il comportamento prima della fascia individuata. Nel teso “La rappresentazione del mondo del fanciullo” Piaget, grazia agli studi condotti con il metodo clinico, mette in evidenza i processi mentali caratteristici della mente del bambino: Il realismo: Il bambino crede di essere il centro dell’universo e non sa fare la distinzione tra il me e l’altro; L'animismo: Il bambino attribuisce vita agli oggetti sia animati che non animati. Il bambino crede che la luna lo insegua; Il pensiero magico: Il bambino crede che possa far muovere un oggetto o far avvenire evento senza agire di persona. Il bambino pensa di essere lui a far muovere la luna nella sua direzione (telecinesi); L’artificialismo: Il bambino considera l’uomo come essere onnipotente. Il bambino crede che i laghi siano stati scavati. 2.1.2. Lo sviluppo sociale e il gioco Il modello di riferimento di Piaget (pensiero preoperatorio) è un modello che sottolinea un aspetto importante per quanto riguarda la fascia d’età che ci interessa, la fascia dell’egocentrismo e quindi quella fascia d’età in cui il bambino è ancora incapace di assumere il punto di vista degli altri ed è assolutamente centrato su sé stesso, quindi non è in grado di mettersi nei panni degli altri. Quali sono i processi che portano al superamento dell’egocentrismo? In qualche modo la relazione con l’altro permette il superamento di questa fase (fase egocentrica). Quindi Piaget sottolinea nella teoria che egli formula, il rapporto che hanno i pari proprio nel corso dell’attività ludica. Quindi il gioco diventa per Piaget un’attività, che diventa strumento, che aiuta il bambino proprio a relazionarsi all’altro e ad uscire dall’egocentrismo e a superarlo. È un tipo di relazione diversa rispetto a quella che il bambino intrattiene con l’adulto e che è percepita chiaramente una relazione non paritaria, ma nel corso invece del conflitto socio cognitivo che i bambini hanno tra di loro, hanno la possibilità di decentrarsi e quindi anche di appunto riflettere sul proprio punto di vista e superare la fase egocentrica. Il bambino, quando ci sono dei conflitti cerca di arrivare a soluzioni condivise. In questo processo il bambino supera quello che è l’egocentrismo e apprende anche il significato delle regole. 2.2 Il contributo di L.S. Vygotskij 2.2.1. Vygotskij e la teoria sociale della mente Vygotskij, rispetto a Piaget (che comunque considerava importanti i fattori mentali ma riteneva che l’attività principale partisse dal bambino, e quindi concentra la sua attenzione sull’evoluzione dell’intelligenza), propone un approccio socioculturale, ovvero, pur condividendo l’idea che il bambino è un costruttore del suo sapere, ritiene importante che in questo processo costruttivo, un ruolo fondamentale ricoprono le relazioni sociali. Quindi lo sviluppo cognitivo avviene proprio in seguito all’attenzione che hanno gli adulti nei confronti dei bambini, quindi quell’attenzione che si traduce nel dialogo continuo, nell’interazione continua che l’adulto ha con il bambino. Per cui tutte quelle funzioni considerate superiori (come per esempio il linguaggio, la memoria, l’elaborazione dei concetti) sono funzioni mentali che hanno modo di svilupparsi grazie al supporto dell’adulto. In genere Vygotskij fa riferimento alla relazione che il bambino ha con l’adulto nel corso degli scambi dicendo che, in questa relazione, il bambino ha la possibilità di internalizzare i processi cognitivi. Per cui Vygotskij parla del ruolo che ha il linguaggio. Il linguaggio è importante poiché come finalità ha la comunicazione con gli altri, successivamente diventa una funzione intra-psichica ossia uno strumento di organizzazione del pensiero. 2.2.2. Apprendimento e zona prossimale di sviluppo Questa concezione socioculturale dello sviluppo fa da sfondo a quella che viene chiamata zona di sviluppo prossimo, che è quella zona che dà l’idea del ruolo che ha il linguaggio nello sviluppo del pensiero. La zona di sviluppo prossimo è la distanza tra il livello di sviluppo attuale (costituito da ciò che un bambino sa fare da solo) e il livello di sviluppo potenziale (cioè quello che si può raggiungere grazie al supporto di altre persone), quindi quello che si sa fare in un determinato momento, quello che il bambino sa fare da solo, e che gli psicologi valutano attraverso il quoziente di intelligenza quello che potrebbe il bambino fare con il supporto dell’adulto. La zona di sviluppo prossimale è quella zona di sviluppo su cui agisce e interviene l’educatore, e quindi viene definita da Vygotskij come quella: “che definisce quelle funzioni che non sono ancora mature, ma che sono nel processo di maturazione, funzioni che matureranno domani ma sono al momento in uno stato embrionale. Queste funzioni potrebbero essere chiamate i boccioli o i fiori dello sviluppo, piuttosto che i frutti dello sviluppo.” (è una citazione presa da Vygotskij dal libro “Il processo cognitivo”). Quindi questa possibilità di mettere in atto queste potenzialità è data dall’interazione sociale. 2.2.3. Il gioco come area di sviluppo prossimo Afferma Vygotskij che la caratteristica essenziale di ogni gioco è la creazione di situazioni immaginarie, situazioni che consentono di soddisfare immediatamente i bisogni di gratificazione che hanno i bambini. Queste situazioni immaginarie non sono fantasie anarchiche ma seguono una regola che non viene definita in partenza ma che accade durante il gioco. Questa regola è la regola della verosimiglianza, quindi si immagina di essere qualcuno (se una bambina, dice l’autrice, immagina di essere la madre e la bambola è la figlia, il comportamento che avrà nel momento in cui assumerà il ruolo di madre è quello proprio della madre, oppure l’esempio delle sorelle). Quindi alla base di questa regola, che deve essere rispettata, vi è quella della verosimiglianza. È una regola che va applicata anche quando la situazione non fa altro che ripetere ciò che accade nella realtà. Nel gioco non solo è importante la regola ma è importante anche appunto la situazione che viene immaginata. frustrazione, e come? Valorizzando i risultati ottenuti, valorizzando il successo ottenuto, valorizzando gli sforzi che sono stati compiuti, il tutor deve gestire tali situazioni offrendo incoraggiamento. - Modeling. Il modeling invece è una strategia che consiste nel mostrare quello che va fatto. Quindi fa un esempio di come deve essere condotta un’azione. E anche in questo caso dice l’autrice, l’efficacia di questa strategia, cioè quella di modeling, dipende dalla zona di sviluppo attuale cioè, da quello che la bambina e il bambino sanno già fare e su cui è possibile lavorare. 2.3.2 GIOCO E CULTURA Anche Bruner dice che il gioco nel bambino è importante. L’autore pone l'attenzione non tanto sullo sviluppo sociocognitivo quanto sulla capacità che hanno i bambini di costruire un sapere che è alternativo a quello degli adulti. I bambini osservano gli adulti, apprendono e costruiscono un loro sapere. 2.4 RICADUTE EDUCATICE 2.4.1. UN’EDUCAZIONE COSTRUTTIVISTA Piaget aveva affermato che l’educazione costruttivista è un’educazione attiva cioè, vede il bambino partecipare alle attività. È un’educazione che serve per promuovere l’interesse del bambino. De Vries, che riprende il pensiero di Piaget, afferma che proprio perché il bambino e la bambina vanno considerati come soggetti attivi costruttori del loro sapere, non si può pensare di poter fermare lo sviluppo in stadi come abbiamo detto all’inizio. Quindi bisogna, dice De Vries, fare una traduzione libera della teoria degli stadi e immaginarla come una teoria che presuppone una processualità, e quindi la partecipazione attiva della bambina e del bambino. Questa partecipazione attiva che fa sì che non si ritengano questi stadi come fissi. Quindi è il determinismo di Piaget che viene messo in discussione ma la teoria costruttivista ha contribuito a sottolineare il ruolo che ha l’ambiente. L’allestimento dell’ambiente è importante perché i bambini dovranno avere la possibilità di svolgere numerose attività proprio perché c’è questa teoria stadiale che caratterizza ogni fascia d’età. Dice inoltre che ogni fascia d’età è caratterizzata da assunzione di determinati comportamenti, quindi l’ambiente deve essere allestito in modo tale da facilitare la funzione di questi comportamenti (quindi deve facilitare la manipolazione, l’osservazione naturalistica, la danza, l’ascolto e via dicendo). Il bambino poi deve essere anche libero di scegliere le attività che intende svolgere perché la costruzione non facilita l’apprendimento e non motiva all’azione. Vanno esclusi, dice l’autrice, i giochi a tavolino guidati dall’adulto che impone delle regole, oppure delle attività esecutive come, ad esempio, colorare entro i margini un disegno. Invece i bambini devono sentirsi impegnati in attività che sono delle sfide e che presentino anche il carattere della novità. L’educazione costruttivista pone attenzione anche alle modalità con cui il bambino rappresenta il mondo. Nella fase 0-6, il bambino attraversa la fase delle operazioni concrete e quindi noi dobbiamo organizzare un ambiente tale che permetta alla bambina o al bambino di svolgere delle azioni concrete perché solo in questo modo potrà rendersi conto dell’effetto anche delle sue azioni e modulare poi i suoi comportamenti, a partire dalla risposta che ha rispetto a delle azioni che fa sull’ambiente. Ancora, sottolinea l’autrice, il sostegno al pensiero astratto, tipo quello logico-matematico non può avvenire direttamente ma deve mettere il bambino e la bambina in condizioni di elaborare, di andare a cogliere i nuclei fondanti delle discipline, quindi fa parte della matematica risolvere un problema, fa parte della matematica classificare, fa parte della matematica mettere in ordine. Queste sono le operazioni che sono implicate nella matematica e che sono alla base della logica della matematica. Non è che l’obiettivo è imparare a contare ma è quello di introdurre il bambino e la bambina nella logica di una disciplina e quindi di arrivare alla logica che è alla base della matematica, il problem solving è alla base del processo matematico, la classificazione è alla base del processo della matematica. Anche per quanto riguarda invece il mondo fisico De Vries ha individuato dei principii per capire se le attività proposte nei servizi educativi permettono la conoscenza di questo mondo: il bambino deve poter osservare il movimento (es. veder cadere una pallina giù da un piano inclinato) e deve poter produrre movimento (spingere la pallina su un piano inclinato). Il bambino deve comparare i diversi effetti prodotti dai diversi materiali (es. usare palline di diversa grandezza) ed infine la reazione deve essere immediata. Il ruolo dell’adulto in questo caso sarò osservativo e deve cogliere i dubbi del bambino per poi restituirli arricchiti di maggiori suggestioni. L’educazione di tipo costruttivista incoraggia l’autonomia e l’autodeterminazione e quindi proprio per questo bisogna evitare gli atteggiamenti direttivi, direttivi nel senso che proprio stabiliscono degli atteggiamenti che impongono delle regole rigide che impediscono al bambino o alla bambina di esplicitare il proprio desiderio di movimento, di gioco. Bisogna certamente avviare i bambini all’apprendimento delle regole, ma è un processo che deve essere il frutto di una negoziazione, di una riflessione prima sulle motivazioni, sul perché sono importanti le regole. Quindi, è importante, più che imporre, che sia il frutto di un discorso, di un confronto che deve essere fatto tra adulto e bambino. 2.4.2 L’EDUCAZIONE SOCIO-COSTRUTTIVISTA Mentre Piaget dà importanza agli stadi di sviluppo che hanno una base biologica (che determinano già l’evoluzione del pensiero, quindi è per tappe), Vygotskij e Bruner sottolineano come le culture sono in continua trasformazione e che non può esistere alcuno schema universale di riferimento. Seguendo gli studi di Vygotskij e Bruner si vedono il ruolo dell’adulto e il ruolo dei pari messi in primo piano. Agire nell’area dello sviluppo prossimo: L’educatore deve spostare l’attenzione su quello che il bambino può fare se aiutato dall’insegnante (area di sviluppo prossimale). È in quest’area che bisogna intervenire. Qui ci sono 3 elementi fondamentali: Educazione attiva, interesse come stimolo all’attività e partecipazione sociale. Tutoring dell’adulto: L’adulto ha il compito di agire nell’area di sviluppo del bambino svolgendo un ruolo di scaffolding e usare strategie di tutoring. Prima cosa da fare è rilevare l’area di sviluppo prossimo di ciascun bambino cogliendone gli aspetti specifici. L’osservazione del comportamento spontaneo dei bambini è lo strumento adatto per cogliere l’area di sviluppo prossimo. (esempi da vedere! Pag. 112-113) Porre i bambini in contesti che si ritengono favorevoli, rilevare interessi, sono aspetti importanti dell’attività educativa. Però, dice l’autrice, che l’area di sviluppo prossimo non è rilevabile con sicurezza, è una possibilità. Dice l’autrice, noi possiamo partire dagli interessi, possiamo conoscere i prerequisiti, saper quello che può fare e quindi attivare la zona di sviluppo potenziale. Non è detto che poi questo accada, è importante quindi, affinché accada, la relazione tra educatore e bambino e le strategie di sostegno, di accompagnamento che utilizza l’educatore. L’educatore difficilmente può svolgere queste funzioni con un bambino alla volta, per cui bisogna che si declini la funzione al gruppo. (es: pag. 114/115). Tutoring tra pari: Il tutoring viene anche attivato con i pari, quindi con bambini che hanno la stessa età. Quindi differentemente da come avviene il tutoring tra adulto e bambino che è fatto con la consapevolezza dell’adulto, invece dai bambini più piccoli è più complicato. I bambini più piccoli che fanno da tutoring vengono scelti in base all’obiettivo che si prefigge. Ma soprattutto, quello che dobbiamo prendere in considerazione come educatori, è la capacità collaborativa che hanno i bambini. Quindi, io scelgo come tutor quei bambini che sono più collaborativi. Il contributo nella collaborazione che c’è tra tutor e tutee non è simmetrico perché il bambino più grande fornisce idee, è il più responsabile e comunque è lui che organizza l’attività. Nel tutoring il bambino più grande si mostra attento all’attività del più piccolo, e fa avanzare anche il lavoro attraverso il linguaggio. È importante quindi la scelta del tutor perché è il tutor che deve poi motivare il bambino, deve sottolineare gli aspetti che vanno più valorizzati nell’esecuzione del compito, deve dimostrare con il modeling magari come si fa un’operazione e deve dare aiuto al bambino meno competente. Promuovere il gioco: Secondo Vygotskij, il gioco simbolico è quello che contiene tutte le tendenze dello sviluppo. Il gioco simbolico va sostenuto sia nel nido che nella scuola dell’infanzia e i bambini possono diventare giocatori sempre più esperti se sono sostenuti dagli adulti e avendo tutte le risorse di cui hanno bisogno. Gli adulti giocando con i bambini sollecitano l’area di sviluppo prossimo utilizzando strategie di tutoring. L’adulto, inoltre, può porsi come partner più competente che gioca e sa giocare, proponendo modelli di gioco più evoluti di quelli che i singoli bambini e il gruppo possono svolgere. L’adulto presta attenzione al contributo di ciascun bambino in modo da valorizzarlo, e costruire quindi una trama condivisa (es: pag. 117). Qual è il comportamento che deve avere l’adulto? Scrive l’autrice che l’adulto non si sostituisce ai bambini quanto hai contenuti nel gioco, anzi presta attenzione affinché il contributo di ciascun bambino possa essere valorizzato e pertanto costituire lo spunto per una trama condivisa, riprende la proposta di gioco di ciascun bambino e la rilancia al gruppo, poi quando il tema di gioco ha iniziato a profilarsi, agisce lui stesso in forma ludica empatizzando con le emozioni che sono state suscitate dall’argomento del gioco. 3. LA NUOVA SOCIOLOGIA DELL’INFANZIA 3.1. LE TEORIE CLASSICHE DELLA SOCIALIZZAZIONE La teoria funzionalista: la teoria funzionalista di Durkheim affermava che l’educazione era importante per poter promuovere la socializzazione, però l’interpretazione che viene data da questa teoria del processo educativo è un’interpretazione che è stata contestata anche negli anni 70 perché, con il movimento del ’68, si iniziò ad evidenziare il ruolo delle istituzioni, la famiglia, la scuola e a evidenziare come questo ruolo era finalizzato al reiterare di una cultura fondata sul dominio e non sulla libertà di pensiero, di autonomia, sull’autodeterminazione. La teoria funzionalista (cui il principale esponente è stato Durkheim che è precedente al XX secolo) parte con l’idea che il processo educativo servisse per garantire la riproduzione sociale (poi è stato combattuto negli anni ’70 del XX secolo). Afferma che l’educazione effettivamente è quel processo che è servito per l’inculturazione. Il processo educativo è un processo che si fonda sulla relazione con l’altro, e i primi interlocutori di un bambino e di una bambina sono i genitori. All’interno del contesto familiare (attraverso i genitori e le altre figure come i fratelli o i familiari in generale) il bambino apprende le norme di comportamento, le norme sociali e avviene quel processo di inculturazione, cioè di apprendimento delle norme e dei valori della cultura della comunità di appartenenza. Il bambino è visto come un soggetto del tutto passivo, che deve essere addestrato e uniformarsi e conformarsi. La nuova sociologia, che si afferma alla fine del 1900 mette in luce la debolezza di questa concezione funzionalista, riproduttiva, deterministica e lo fa perché questa concezione non fa altro che sottovalutare le capacità che ha la bambina e il bambino, e le capacità che ha anche l’adulto. Quindi in qualche modo fa passare l’idea che non sia possibile alcuna trasformazione culturale, che i bambini o gli adulti non siano in grado di promuovere alcuna trasformazione culturale ma che la cultura rimane la stessa. Quindi l’idea che passa è che la cultura è sempre la stessa e che attraverso il processo educativo viene tramandata. Quindi rimane stabile, ferma, non è oggetto di trasformazione e di modifica, e soprattutto non prende in considerazione il fatto che i bambini possano essere attori partecipi di questa trasformazione. quanto viene appreso e le esperienze educative che sono vissute dalle bambine dei bambini in questa fascia d'età sono esperienze che poi segnano la crescita. Quindi nella legge 107 si afferma che l'obiettivo generale del sistema di istruzione è quello di promuovere la diffusione dei servizi educativi di età prescolare su tutto il territorio e quindi si valorizza l'esperienza educativa nei primi anni di vita 0-6. Questa scelta, dice Elisabetta Musi, ha ridisegnato il sistema dei servizi e in quanto ha unito i servizi nella fascia 0-3 con i servizi della fascia 3-6 anni. Quindi adesso due fasce d'età vengono accorpate e diventa un unico sistema integrato per cui si Immagina la continuità e si cerca di garantire la continuità in queste due fasce di età. Il sistema integrato definito dalla legge 107 (e successivamente la legge 65) si caratterizza per alcuni principii fondamentali cioè la partecipazione della famiglia nella definizione degli obiettivi educativi che sono poi da raggiunti, il legame che c'è tra azione di cura ma anche educazione e l’importanza di avere un numero di educatori che sia proporzionato anche al numero dei bambini. Un'altra importante novità che riguarda appunto la legge 107, ma che sarà proprio sancita con la legge 65 del Aprile 2017 è la presenza di un personale qualificato. Un altro elemento importante è la funzione della collegialità, quindi il lavoro comune che deve essere svolto tra le diverse figure professionali che sono presenti all'interno del servizio educativo è la presenza del coordinatore pedagogico. Viene sottolineata anche l'importanza della continuità tra nido, la scuola dell'infanzia e scuola primaria e quindi quella continuità essenziale per riuscire a stare al passo con l'evoluzione della bambina e del bambino. Questa continuità è anche garantita fisicamente dalla presenza di poli per l'infanzia, cioè luoghi fisici dove è possibile accorpare i servizi che sono destinati all'infanzia (quindi dal nido fino alla scuola primaria). Sono definiti nella legge 105 e sanciti nella 65 del 2017, i fabbisogni standard dei servizi educativi, si sottolinea il legame che ci deve essere tra lo Stato, le regioni e gli enti anche locali. A garantire la qualità dei servizi educativi ci sono poi tutta una serie di indicazioni a livello regionale. A qualificare i servizi educativi per l'infanzia, ancora di più, è sicuramente l'Unione Europea con delle raccomandazioni che nel corso del tempo sono state diffuse, decisioni che sono servite per rafforzare proprio l'idea del ruolo che hanno i servizi educativi in questa fascia (in età prescolare). Chiaramente l'idea che passa è quella di valorizzare quest'età, una valorizzazione che è funzionale al bambino tant’è che è importante per prevenire forme di povertà educativa. L’idea è quella che investendo adesso noi avremo in futuro donne uomini capaci donne uomini che sapranno integrarsi nella società, un investimento che viene fatto sul capitale, cioè sulle intelligenze delle bambine dei bambini, in funzione del futuro cioè immaginando una società in cui ci siano donne e uomini capaci in grado di inserirsi nel contesto lavorativo e quindi di rendere anche la società in cui vivono una società evoluta, una società soprattutto competitiva. Un altro aspetto importante riguarda la corresponsabilità dell'azione educativa, quindi il lavoro deve essere appunto in continuità con le famiglie e con anche i servizi che ci sono sul territorio e le possibilità che offre. Quindi questo riordino che è stato fatto dei servizi educativi (diciamo che le direttive sono europee e poi a livello nazionale con la 107 e poi la normativa della 65) e questa attenzione per i servizi educativi ci restituisce l'idea di un'infanzia come fascia d’età importante una fascia della vita dell'uomo e della donna su cui investire da cui può anche dipendere il futuro delle donne, quindi un età da non sottovalutare. Questo porta chiaramente alla creazione di un sistema formativo integrato, come si dice nella legge 65, e all’attenzione anche alla presenza di una pluralità di servizi se bisogna porre attenzione all'infanzia per evitare forme di esclusione sociale, ma l’infanzia come età su cui investire, è necessario cercare di offrire servizi educativi che rispondano ai differenti bisogni delle bambine dei bambini e delle loro famiglie. (2) Capitolo terzo, i Nidi d’infanzia (Elisabetta Musi) INTRODUZIONE I primi servizi educativi nascono in Italia all’inizio all’800 durante il periodo dell’industrializzazione, periodo di grandi cambiamenti. Se nelle famiglie contadine la crescita delle bambine e dei bambini era della comunità, il trasferimento nella città ha provocato un cambiamento importante poiché sono venuti a mancare quei riferimenti importanti che garantivano la crescita e supporto alle famiglie. Con il processo di industrializzazione è cambiato tutto, le famiglie hanno dovuto avere dei servizi che servissero a custodire le bambine e i bambini. La prima legge “ n. 6972” intitolata “norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza” ebbe come obiettivo garantire l'assistenza pubblica a supporto dell'infanzia. Quindi istituì le sale di custodia per i bambini lattanti e, riprendendo la legge, “slattati” cioè coloro che avevano erano stati svezzati. Queste sale avevano una finalità di tipo assistenzialistico e si cercava di garantire non tanto l’istruzione, quanto l'igiene delle bambine e dei bambini sia all'ingresso che all'uscita per evitare malattie che potevano anche causare la mortalità infantile, quindi erano garantite le norme igieniche. Vengono a fine 800 aperti anche i primi nidi di fabbrica che servivano per evitare o per limitare l'interruzione dal lavoro da parte delle donne. Poi nel 1925 fu istituita dal partito fascista l’OMNI “Opera Nazionale Maternità e Infanzia” un ente che aveva lo scopo di sostenere la maternità, perché il fascismo premiava le donne più prolifiche. Quindi per poter sostenere la maternità doveva necessariamente aiutare le donne nella assistenza e nella crescita dei loro figli. L’OMNI organizzò delle strutture che erano delle enormi stanze che non avevano praticamente nulla (sembravano ospedali), non avevano giochi e il personale aveva una divisa bianca ed era formato nelle scuole da puericoltrici e le giornate erano scandite su alcune attività: entrata, uscita, l'igiene, la pulizia, il sonno, l'alimentazione, ma era assente la cura educativa. Non c'è alcuna attenzione per lo sviluppo né psicologico e affettivo, se si faceva qualcosa in più era per volontà delle puericoltrici ma non perché veniva deciso dall'alto. La legge 2277: - Permette la nascita su tutto il territorio italiano interventi di igiene e protezione per madri e bambini; - Tutela i diritti delle madri lavoratrici e il sostegno alle famiglie disagiate; - Fa si che l’OMNI faccia rispettare le norme che riguardano l’assistenza e la tutela degli illegittimi abbandonati, quindi permette l’assistenza scolastica. Nel 1950 con la legge 860 nascono le camere di allattamento presso le aziende, le imprese, e questo per poter venire incontro alle esigenze delle donne lavoratrici. Queste camere consistevano in stanze destinate alla custodia dei lattanti tra i 2 mesi e l'anno di età dove le madri allattavano massimo due volte al giorno. Successivamente nel 75 abbiamo poi superamento degli asili OMNI. Nel il 1971 il Parlamento istituisce l'asilo nido gestione comunale, cioè enti locali che si mettono al servizio delle famiglie (1971 la legge 1044). In particolare i primi comuni sono quelli dell’Emilia-Romagna in ci fu un accordo tra imprese e sindacati ed enti locali. Quindi questa legge istituisce l'asilo nido in gestione comunale e prevede 3800 asili nido su tutto il territorio nazionale entro i 5 anni (questo obiettivo non è stato mai raggiunto). È una legge che naturalmente nasce in seguito al movimento politico e sociale: Movimento delle donne. Quindi anche questo è segno di una scarsa attenzione verso l'infanzia, verso il diritto delle donne al lavoro ma è anche segnale di una cultura che non ritiene importante offrire alle bambine e ai bambini un servizio educativo. È un fatto culturale, non si ritiene importante per questa fascia d'età si ritiene che la cura dei bambini 0-3 debba essere un problema delle madri e via dicendo. Nel testo l'autrice fa riferimento a tutta una serie di ricerche che sottolineano il valore di un investimento sull'infanzia intesa come capitale umano (Heckman – premio Nobel per l’Economia nel 2000). Investire in questa fascia d'età significa ottenere migliori risultati a livello scolastico, livello affettivo, livello amicale, nelle relazioni sociali, ma anche favorisce l'inserimento nel mondo del lavoro, benessere professionale, personale, minori disuguaglianze tra individui. Un ulteriore documento del 2013 “investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale” sottolinea ancora una volta come per contrastare l'esclusione sociale, le differenze sociali ed economiche, sia importante partire dalla fascia 0-6. Tutto questo per dire che c'è oggi un'attenzione forte sull'infanzia, si rivolge un'attenzione verso questa fascia d’età per una pluralità di motivi che vanno a vantaggio di tutti e i vantaggi sono sia breve termine che a lungo termine. Infine è citata la Legge del 13 luglio 2015 n. 107: che sostenne un miglioramento dei servizi educativi. 1. PRINCIPII ISPIRATORI DI UNA PEDAGOGIA PER LA PRIMA INFANZIA Anna Bondioli e Susanna Mantovani dicono che l’asilo nido pubblico in Italia è nato nel 1971 però colmo di pregiudizi ideologici. Gli educatori e operari vivevano un senso di inadeguatezza e di precarietà. Si cercano quindi teorie per i servizi educativi nelle esperienze straniere. Nei vari studi che si vanno delineando autori e testi si riferiscono alle carenze materne, alla separazione, ai processi di attaccamento ecc... Questi studi però non fanno altro che aumentare il clima di sfiducia nei confronti del nido. 2. L’EFFICACIA DELL’ESPERIENZA E DELLA RICERCA: IDEE-GUIDA DALLA PEDAGOGIA DEL NIDO Tra gli anni 70 e 80 rispetto al nido vengono fatte delle ricerche per permetterli di avere specificità educativa e un’identità del servizio. Un bambino attivo e competente L’autrice Susanna Mantovani dice che tra il 1975 e il 1985 ricerche pedagogiche definiscono il bambino come attivo fin dalla nascita, e non tabula rasa, capace di comunicare (seppur inizialmente in maniera non verbale), è un soggetto competente, interessato al mondo adulto (come descritto anche da Corsaro), agli altri bambini, al gioco e alla “lettura”. L’autrice cita anche Aldo Fortunati, il quale dice che considerare i bambini come soggetti attivi, gli educatori e la partecipazione delle famiglie sono le virtù più importanti che hanno permesso all’asilo nido di diventare un importante strumento educativo. La partecipazione delle famiglie In tutti questi anni ci si è resi conto che il ruolo della famiglia è importante sia nella costruzione del progetto educativo, anche perché la famiglia è il riferimento nella crescita della bambina e del bambino. È importante il coinvolgimento della famiglia sia nella quotidianità sia nelle pratiche educative. Il nido può costituire una risorsa per i genitori, i quali possono confrontarsi con altri genitori o educatori (penso ai giovani genitori che non hanno esperienza e che hanno bisogno di avere per informazioni). Il nido, quindi, è un ponte tra realtà famigliare e istituzionale, ed è questo che può attribuire ai servizi educativi il concetto di luoghi di pratica democratica (Dewey). Es: io non posso dire di non fare determinate azioni al nido se poi a casa vedono i genitori che le fanno. La professionalità del personale Oggi si parla di educatori, quindi cambia completamente rispetto all’assistente all'infanzia, si è educatore anche nel momento in cui si svolge la cura del corpo, anche nel momento in cui soddisfa i bisogni della bambina e del bambino, bisogno che non può risolvere da solo o da sola, svolgendo così una funzione educativa stabilendo un legame. Quindi è importante anche l'utilizzo del termine dalla figura dell'assistente a quella dell'educatore, quindi una figura professionale qualificata e specifica. Tutto questo chiaramente è stato deciso a livello normativo e si è trasformato in un vincolo per tutti quei servizi educativi che hanno dovuto ridisegnare il proprio il personale per motivi normativi. L’autrice lo dice facendo riferimento alla Area Verde = Permettere l’esplorazione e la scoperta; Area Gialla = Valorizzare la comunicazione (verbale e non), il gioco, la lettura (narrazione, racconti) e l’animazione (spettacolo di bolle, burattini); Area blu: Spazio predisposto per favorire la creatività e sperimentare nuove forme di espressione. La Casa degli Orsi La casa degli orsi è un servizio integrativo che ospita bambini dai 18 ai 36 mesi che non frequentano il nido. All’interno di questo servizio l’educatore non deve essere l’elemento centrale che media il rapporto bambino e contesto ma sono i materiali a stimolare la curiosità del bambino e della bambina. Gli educatori sono da supporto ai genitori e li aiutano a capire le competenze del bambino/a Casa degli Orsi e Spazio piccolissimi Lo spazio piccolissimi accoglie bambini dai 0 ai 12 mesi accompagnati dal care giver o da un famigliare stesso. Sono spazi che si offrono per permettere ai bambini di conoscersi, e quindi relazionare, di giocare, e di relazione anche per gli accompagnatori. L’educatore nello spazio piccolissimi deve essere un mediatore in grado di promuovere il dialogo e il rispetto reciproco. Inoltre ci sono cataloghi e articoli specialistici che permettono ai genitori di ampliare la propria conoscenza. I Centri per bambini e genitori I Centri per bambini e genitori sono rivolti a bambini che non frequentano il nido. Si fanno attività che coinvolgono la coppia adulto-bambino. Sono previste diverse attività incentrate sulla relazione adulto bambino, tra bambini e tra adulti. Qui si può sperimentare il primo distacco del genitore dal bambino e permettere anche di giocare e socializzare. Lo Spazio bambini Lo Spazio bambini ha obiettivi simili a quelli del nido e accoglie i bambini dai 12 ai 36 mesi non è previsto però né il riposo né il pasto. IN SINTESI I Servizi integrativi quindi permettono: - Una cultura dell’infanzia; - Prevenire o diminuire il disagio dato dal sentirsi soli; - Costruire reti famigliari (soprattutto per i neogenitori). La legge 107/2015 riconosce i servizi integrativi dicendo che si occupano dell’educazione dei bambini dalla nascita ai 6 anni e li divide in 3 categorie: Spazi Gioco: Accolgono bambini e bambine dai 12 ai 36 mesi con la presenza di educatori specializzati. Inoltre è presente un ambiente con finalità educative. Non c’è la mensa e la frequenza è flessibile; Centri per bambini e famiglie: Accolgono bambini e bambine piccolissimi accompagnanti da un adulto. Si sperimentano esperienze di socializzazione, gioco, apprendimento, comunicazione e incontro (sia tra bambini che tra adulti). Non è previsto il servizio mensa e la frequenza è flessibile; I servizi educativi in contesto domiciliare: Accolgono bambini e bambine da 3 ai 36 mesi e, con l’aiuto delle famiglie, permettano di far vivere ai bambini situazioni educative. Sono spazi che permettono la frequenza di pochi bambini in modo continuativo. (3) Capitolo quarto, Sezioni Primavera e scuole dell’infanzia (Monica Amadini) INTRODUZIONE Oggi i servizi educativi coinvolgono bambini, famiglie ma anche istituzioni ed enti locali. Inoltre, oggi, i servizi tendono a valorizzare questa fascia che è la fascia 0-6. Questo proprio in considerazione del fatto che è importante tutelare i diritti dei bambini e quindi anche valorizzare le loro potenzialità. Si fa un riferimento nel testo al Quality Framework (sono le Indicazioni Europee da seguire nel momento in cui decidiamo di progettare in un servizio educativo) di cui ci riporta una citazione che ci restituisce l’idea di infanzia. Si dovrebbe valorizzare un’immagine d’infanzia che da “voce” al bambino. Ogni bambino è unico e apprende in maniera competente e attiva e deve essere garantito il diritto all’educazione e alla cura. Nei contesti educativi i bambini vivono esperienze necessarie per la formazione dell’identità. La scuola dell’infanzia è una tradizione, in Italia facciamo riferimento alla Casa Dei Bambini della Montessori e poi il periodo dell’attivismo italiano, fino all’arrivo della scuola materna statale 1978. La scuola dell’infanzia italiana ha maturato una sua identità specifica. Quindi, c’è una cultura pedagogica legata a questa fascia d’età che mira alla valorizzazione delle potenzialità delle bambine e dei bambini. Quindi, nell’ottica della continuità educativa la scuola dell’infanzia è importante perché fa da collante, tiene insieme la fascia 0-3 con la scuola primaria dai 6 ai 10 anni. Quindi oggi l’obiettivo è quello di diffondere una cultura della fascia 0-6, perché è una cultura che è stata dimenticata ma che invece è un punto di riferimento importante anche a livello internazionale. 1. LE SEZIONI PRIMAVERA Le sezioni primavera hanno una storia abbastanza recente, nascono con la legge finanziaria 630 del 2006 ed erano un’iniziativa sperimentale ma che poi è diventata una realtà. Si presentano come un servizio per evitare l’anticipo alla scuola dell’infanzia, quindi le sezioni primavera servono per introdurre alla scuola dell’infanzia. Questo servizio è stato regolamentato successivamente con la legge 89 del 2009 e ancora dopo con la legge 107 del 2015. La sezione primavera accoglie i bambini che vanno dai 24 ai 36 mesi. Anche le sezioni primavera hanno l’obiettivo dei servizi educativi, cioè quello di diffondere una cultura che tutela l’infanzia e che valorizza le potenzialità delle bambine e dei bambini. Dal punto di vista pedagogico, le sezioni primavera, si contraddistinguono per un’attenzione all’ambiente educativo, un ambiente che deve essere finalizzato alla cura ma anche all’apprendimento. Quindi è importante il benessere del bambino, (che si traduce nell’avere uno stile accogliente), e bisogna prestare attenzione alla cura anche fisica (del corpo del bambino) ma anche alla promozione del linguaggio e della creatività. Essere un servizio accogliente significa anche accogliere il bambino per quello che è con i suoi bisogni educativi ma anche con le sue potenzialità. I bambini in questa fascia d’età vivono un processo di cambiamento legato alla conquista di una maggiore autonomia perché iniziano a camminare, a deambulare, e quindi c’è il bisogno proprio di spazi (e di materiali ed esperienze) che si offrano alla scoperta, all’esplorazione, spazi che siano anche sicuri e che permettono al bambino e alla bambina di conoscere quello che ci circonda. La sfida di questo servizio è quella di tracciare una propria identità pedagogica, ciò non è semplice poiché le Sezioni Primavera si trovano nella fascia intermedia tra nido e scuola dell’infanzia. Inoltre, le sezioni primavera, accolgono i bambini solo un anno, quindi hanno la caratteristica della “brevità” di permanenza. Il rischio che si può correre è quello di proporre un modello che posso ricalcare quello dell’asilo o del nido perdendo così però la sua azione e finalità specifica, ossia una innovativa congiunzione tra cura e apprendimento e la visione olistica dello sviluppo dei bambini. Questo periodo 24-36 mesi è importante perché è un periodo di passaggio, quindi chi opera all’interno delle sezioni primavera deve essere in grado di porsi in continuità verticale, ossia collaborare con l’educatrice del nido accogliendo quello che è stato fatto, e porsi in continuità con gli operatori della scuola dell’infanzia. 2. LA SCUOLA DELL’INFANZIA La scuola dell’infanzia rappresenta oggi una scuola importante perché, anche se non è obbligatoria, è la prima istituzione con cui si confronta la bambina e il bambino. La scuola dell’infanzia insieme alla famiglia collabora allo sviluppo integrale della bambina e del bambino, quindi lo sviluppo del bambino nella pluralità delle sue dimensioni. Importanti sono gli orientamenti del 1991, che anticipano le Indicazioni Nazionali, poiché sono il primo documento ufficiale in cui si definisce l’infanzia e anche i traguardi formativi che deve raggiungere la scuola dell’infanzia, ossia promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini dai 3 ai 6 anni di età. Quindi successivamente nel 2012, con il Quality framework, si sottolinea come sia importante anche la famiglia, in quanto si dice che i bambini giungono alla scuola dell’infanzia con una storia: in famiglia, al nido che hanno frequentato, la sezione primavera, che sono tutti luoghi che hanno promosso nella bambina e nel bambino un processo di apprendimento, di socializzazione, che già fa parte della loro identità e questo va preso in considerazione. Quindi si sottolinea la dimensione della continuità orizzontale (con la famiglia) e verticale (con il nido e la sezione primavera). La centralità dell’infanzia è ciò che ha caratterizzato la cultura pedagogica italiana. Ma anche, quello che si sottolinea è il ruolo che ha la famiglia, la famiglia intesa come una agenzia educativa che supporta la scuola e quindi c’è continuità, c’è integrazione. Quando si parla di formazione integrale e integrata del bambino facciamo riferimento a: integrale perché bisogna tener conto delle pluralità delle dimensioni del bambino e tutte devono essere sviluppate in modo armonico, integrata: perché l’intervento che fa la scuola dell’infanzia è un intervento che fa tenendo presente i servizi o le agenzie educative che sono presenti sul territorio. Quindi la scuola dell’infanzia si pone come un servizio integrato e la sua azione si pone in un’ottica sistemica, perché collabora con le agenzie presenti sul territorio, ma in modo particolare con la famiglia. L’autrice mette in evidenza come i documenti europei valorizzano il compito dei servizi educativi che devono tutelare l’infanzia sfidando una contemporaneità che è ricca di stimoli e può rappresentare un’occasione di crescita, di apprendimento, ma nello stesso tempo può essere motivo di disorientamento, di confusione. L’autrice, per esempio, fa riferimento alla presenza dei tanti bambini e bambine che appartengono a famiglie emigrate e che possono vivere il sentimento dell’esclusione e dell’isolamento che parte dalle famiglie stesse. Quindi la scuola dell’infanzia ha un ruolo importante che non è soltanto legato alla cura e al benessere dei bambini, ha anche un impegno sociale, e se si può dire anche politico, di attenzione verso le differenze di tutela dell’infanzia. L’intuizione di questa identità pedagogica che caratterizza la scuola dell’infanzia come un’agenzia educativa che deve operare in collaborazione con il territorio ha radici anche lontane da Owen, Aporti, Frobel e quindi anche in questo caso c’è una cultura di riferimento. Excursus normativo Nel testo si fa innanzitutto un Excursus normativo dove si indicano le date più importanti della scuola dell’infanzia, si parte dal 1830 in cui viene fondato il primo asilo italiano da Ferrante Aporti, poi la riforma Gentile del ’23 che introduce il grado preparatorio per i bambini dai 3 ai 6 anni. Successivamente nel 1968 c’è l’istituzione della scuola materna statale (con la legge n.444). Poi abbiamo la legge 107 del 2015 (riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione, dove viene ridimensionato l’assetto del servizio all’interno delle scuole agazziane. Cioè, la cura del giardino, la cura dell’orto è parte integrante dell’attività educativa del servizio, così come sono importanti, sottolineano le sorelle Agazzi, le attività di cooperazione tra i bambini, tra grandi e piccoli. Famoso è il materiale che utilizzano le sorelle Agazzi chiamato le “cianfrusaglie” cioè tutto il possibile materiale. Quando nascono le scuole dell’infanzia agazziane non c’erano giocattoli strutturati ma c’erano le cianfrusaglie, oggetti con bottoni, corde, oggetti che le bambine e i bambini trovavano a casa o per strada e che portavano a scuola e diventavano oggetto di osservazione, di studio e di gioco. Le sorelle Agazzi considerano la complessità dell’esperienza di vita dei bambini nel momento in cui allargano il loro sguardo all’esterno, al mondo che non è soltanto quello che avviene all’interno delle aule, ma anche al giardino, alla natura, ma anche agli oggetti che trovano, approccio olistico. La cosa importante è che loro si soffermano come dice l’autrice, sull’umanità del bambino, la responsabilità, la cura di sé e dell’altro, che quindi diventa centrale nell’azione promossa dalle scuole agazziane. Le scuole dell’infanzia montessoriane Dopo le scuole agazziane nel testo si fa riferimento alle scuole dell’infanzia di Maria Montessori in cui, in breve si fa riferimento al metodo montessoriano che si caratterizza per un ambiente preparato scientificamente per lo sviluppo delle abilità cognitive, sociali e morali del bambino. L’ambiente è organizzato in modo tale da permettere alla bambina e al bambino di poter esprimere il proprio interesse e quindi sono liberi di lavorare e di esercitare la propria creatività. Il materiale montessoriano è finalizzato allo sviluppo del sistema sensoriale e intellettuale, favorendo la concentrazione e l’auto-correzione. La maestra montessoriana è una maestra che non interviene, non disturba il bambino nel momento ma anzi lo lascia fare e costruisce l’ambiente in modo tale da permettere al bambino di operare in autonomia. La presenza della maestra montessoriana è una presenza costante ma non è invasiva, prevede un accompagnamento indiretto e ha anche lo scopo di osservare il comportamento del bambino e della bambina. Bruno Munari Altro autore citato è Bruno Munari (anni 60) un artista che ha dedicato in modo particolare il suo interesse all’infanzia e alla scuola. Ha dato vita al metodo “Giocare con l’arte” il quale permette di usare l’educazione artistica e lo sviluppo del pensiero creativo nella prospettiva di una educazione integrale del bambino. Inoltre parla di laboratorio come luogo di ricerca, sperimentazione e conoscenza, il quale permette la libera espressione della creatività infantile. Loris Malaguzzi Insieme a Bruno Munari c’è Loris Malaguzzi, entrambi sono ricordati nel testo per l’attenzione che hanno avuto nei confronti dell’infanzia e soprattutto per lo spazio che hanno dato alla fantasia, alla creatività delle bambine e dei bambini. L’approccio di Reggio è un metodo che rappresenta un punto di riferimento a livello internazionale. Questo prevede appunto la centralità della creatività della bambina e del bambino. Non è un caso che Gardner cita in forme mentis l’approccio di Reggio come un metodo che valorizza la pluralità dei linguaggi, i “cento linguaggi” di cui parla Loris Malaguzzi quindi la possibilità ai bambini di potersi esprimere utilizzando i linguaggi differenti, e utilizzando anche simultaneamente mani, pensieri, emozioni, attivando quindi una pluralità di aspetti. Nell’approccio utilizzato da Reggio Children i bambini sono coinvolti in attività di fantasia ma anche di finzione e quindi il bambino ha la possibilità di esprimere a pieno i propri interessi, di farlo appunto attraverso la fantasia. Bruno Ciari Un altro importante pedagogista è Bruno Ciari che ha sottolineato il ruolo della promozione dell’educazione democratica e della cooperazione nel corso dell’infanzia. È ricordato non solo perché ha segnato l’identità delle scuole dell’infanzia ma proprio perché ha puntato la sua attenzione su aspetti che non erano stati considerati fino a quel momento, come appunto il ruolo che ha la scuola dell’infanzia nel promuovere il processo di democratizzazione. Ciari, che rappresenta un riferimento importante per le scuole dell’infanzia di Bologna, afferma che nella scuola a tempo pieno è possibile far esprimere le capacità costruttive, espressive, organizzative e ludiche in modo tale che tutti i bambini e le bambine si sentano valorizzati. Le scuole materne FISM Ci sono anche le scuole materne della FISM. Le scuole materne della FISM (Federazione Italiana Scuole Materne) sono più di 8000 scuole cattoliche o cristiane che sono diffuse su tutto il territorio e hanno come obiettivo quello di promuovere lo sviluppo integrale delle bambine e dei bambini, si ispirano chiaramente a valori cristiani. Le scuole Steineriane Abbiamo poi le scuole Steineriane che invece propongono un approccio che focalizza l’attenzione sulla pluralità delle dimensioni artistiche, intellettuali, cognitive del bambino e della bambina. L’offerta formativa dice l’autrice, nelle scuole steineriane è abbastanza ampia proprio perché si cerca di valorizzare la pluralità delle dimensioni dell’individuo (artistiche, cognitive, creative, pratiche ecc.…). Nelle scuole Waldorf (o Steineriane) le attività artistiche e manuali sono fondamentali, come anche il gioco all’aria aperta. Le scuole nel bosco Le scuole nel bosco (Waldkindergarten), nate recentemente in Italia, rispondono ai bisogni del bambino e della bambina di stare in contatto con la natura e con i ritmi delle stagioni. Alcuni asili nel bosco prevedono la presenza di un edificio, altri asili no. Fondamentale è il contatto con la natura e con tutto ciò che si trova in natura (radici, erba, sassi) sia per materiali, sia per sperimentazioni che stimolano le emozioni, la creatività e la maturità dei bambini. Come si è notato è importante la presenza della natura, dell’ambiente naturale, di fatti sia Fröbel che le sorelle Agazzi e la Montessori affermano la necessità di esperienze outdoor (fuori “scuola”) e la presenza di una sensibilità da parte dei bambini nei confronti della natura. È importante questa apertura verso l’esterno non solo per questa attenzione verso l’ambiente ma anche per la relazione che si stabilisce con il territorio. Quindi le nuove scuole per l’infanzia sono appunto scuole che, sollecitate dalle indicazioni nazionali, si caratterizzano per questa apertura verso il sistema che è presente sul territorio. Terza parte: le parole-chiave della pedagogia dell’infanzia (4) Continuità educativa, Andrea Bobbio La continuità educativa è l’aspetto peculiare delle indicazioni nazionali ma deve caratterizzare anche la professionalità degli educatori. Questa continuità fa riferimento alla teoria dell’ecologia dello sviluppo umano di Bronfenbrenner. Questa prospettiva si concentra nello studio tra un essere umano attivo che sta crescendo e le proprietà mutabili dell’ambiente in cui l’individuo vive. Si parte, quindi, dal nucleo della famiglia per arrivare a contesti e ambienti sempre più ampi che hanno un ruolo nello sviluppo umano. Questo approccio ecologico ha in qualche modo condizionato anche l’idea di educazione permanente nel senso che ci si è resi conto che con questo modello non solo la famiglia o la scuola sono i contesti più importanti di riferimento per l’apprendimento ma anche altri contesti. Quindi l’autore attribuisce al modello di Bronfenbrenner, il modello che ha influenzato l’educazione continua e permanente ed ha condizionato a livello formativo il sistema di valutazione, il curricolo. Fa parte sempre di questo modello anche la relazione con le famiglie e come la gestione del servizio educativo deve essere una condotta in autonomia, ma allo stesso tempo ponendosi in ascolto delle famiglie e dei genitori. E questo è dimostrato anche negli studi che sono stati fatti proprio da Anna Bondioli insieme a Monica Ferrari (e prima ancora dalla sua insegnante Egle Becchi) sulla qualità dei servizi educativi. Quindi, questo approccio di tipo sistemico è anche un approccio transattivo perché si parte dal presupposto che la relazione tra soggetti che sono in modo diretto e indiretto interessati all’infanzia può produrre un cambiamento reciproco. Quindi la dimensione della transattività è una dimensione che caratterizza proprio l’idea della continuità. Quindi l’ottica sistemica che parte dall’approccio di Bronfenbrenner ha avuto delle ricadute forti proprio nella organizzazione e nella valutazione della qualità dei servizi educativi, nella organizzazione dei tempi, degli spazi, dell’utilizzo delle metodologie e anche della identità del servizio educativo. Questa è un’identità che si costruisce nella relazione anche con le agenzie educative che sono presenti sul territorio e che insieme al servizio educativo individuano un sistema di valori di riferimento che deve guidare il servizio educativo. Valori che sono condivisi perché il servizio educativo è considerato come un servizio che è collocato all’interno di un contesto. L’approccio ecologico è anche questo, cioè promuovere una continuità educativa orizzontale, vale a dire tra servizio educativo e tutte le agenzie che in quel momento contemporaneamente stanno intervenendo nel rispetto della propria specificità, in funzione dello sviluppo della bambina e del bambino compresi naturalmente i genitori. Quindi c’è una collaborazione, dice l’autore, tra diversi apparati istituzionali prescolastici (scuola primaria, famiglia, comunità) oltre che sulla coordinazione. Nel testo si dice proprio secondo che c’è una continuità tra stili educativi, atteggiamenti, valori di fondo che sono la base dell’azione educativa promossa all’interno di un servizio educativo per l’infanzia. Quindi l’azione educativa è il frutto di un’identità che viene co-costruita a più livelli, però sempre in maniera orizzontale, questi sono: L’accoglienza: Deve essere intesa come capacità di ascolto, di entrare in relazione. Questa interazione è di tipo transattivo tra il servizio educativo e agenzie del territorio. L’accoglienza è alla base della relazione educativa; La comprensione: Ricerca e riconoscimento delle risorse e dei bisogni individuali e collettivi; La negoziazione e il confronto: Ossia la promozione e rinvio delle capacità del bambino; La valorizzazione: Quindi il riconoscimento ma anche il potenziamento delle risorse dell’altro; Tenendo presenti questi elementi, individua gli attori che sono: -La famiglia: La quale deve avere tutte le informazioni importanti prima del momento di inserimento del bambino e della bambina nel servizio educativo (tempi, modalità, finalità e obiettivi perseguiti); -Il bambino: Durante l’inserimento deve essere accompagnato dal care giver o dalla figura di riferimento, la quale deve fare da mediatore tra bambino/a e l’ambiente; -La comunicazione tra famiglia e nido; -Le richieste dei contesti nido e famiglia che sono rivolte al bambino e che devono essere compatibili, quindi non devono essere diverse tra di loro. Devono raggiungere uno scopo comune. Sotto il profilo pedagogico si può parlare della: - Gesti - Tatto - Voce - Silenzi - Postura interiore (accoglienza, ascolto, affetto) L’educatore dal gesto di cura ricava un sapere legato all’educazione e questo sapere lo ricava attraverso: - La riflessività - Il confronto con gli educatori - La scrittura (diario di bordo che dovrebbero utilizzare gli educatori per segnare le loro esperienze che fanno quotidianamente all’interno del nido). (6) Curricolo, Anna Bondioli È da pochi anni che il curricolo viene utilizzato per i percorsi educativi per l’infanzia “zero-sei” ed ha un significato più ampio rispetto a quello tradizionale. Il curricolo nel caso della scuola dell’infanzia cambia perché non ci sono delle discipline ma i campi di esperienza. Dewey, ed anche Bennet, infatti, dicevano che il bambino apprende in maniera olistica, quindi con le esperienze vissute, e non con una divisione in discipline. Il termine curricolo è presente in due documenti: il Quality Framework e le Indicazioni Nazionali del 2012. Nel Quality Framework c’è scritto che i primi anni dell’infanzia vanno visti in funzione del tempo presente e non solo rispetto le prospettive future. Altri due principii sono citati nel testo che sono alla base delle indicazioni nazionali: il curricolo deve essere personalizzato e quindi deve tener conto della specificità del bambino e della bambina, quindi delle sue caratteristiche, delle sue potenzialità, della storia che ha ogni singolo bambino al fine di evitare qualsiasi forma di standardizzazione o di omologazione, e l’altro invece è di considerare il bambino come un soggetto attivo, quindi competente che co-costruisce il suo sapere. Nella letteratura che c’è sull’infanzia, si sottolinea la dimensione ludica e interattiva del curricolo e quindi la possibilità di dare al curricolo una sua impronta ben precisa. Sul testo sono stati citati altri elementi che devono far parte del curricolo 0-6: a) L’INTRECCIO TRA CURA ED EDUCAZIONE Nei nidi e scuole dell’infanzia, cura ed educazione vanno insieme, nel gesto di cura si promuove il processo educativo. È chiaro però, dice l’autrice, che bisogna superare l’idea che sia il nido che la scuola dell’infanzia siano un luogo di custodia. Nel testo si riporta una citazione di Luigina Mortari sul concetto di cura che dice che la cura è una pratica, fatta di gesti e parole che si mette in atto per produrre apprendimento. Cura ed educazione sono due facce della stessa medaglia, cioè io quando mi prendo cura educo anche. Le parole che usa la Bondioli, che caratterizzano la relazione di cura, sono: premura, sollecitudine, e persino devozione. Si ha cura di un’altra persona quando si coglie la sua importanza e il suo valore. Inoltre, nella cura è sempre presente: Un coinvolgimento affettivo positivo, orientato verso il benessere dell’altro. Quindi prendersi cura significa preoccuparsi di qualcuno, avere a cuore qualcuno, e questo coinvolgimento fa sì che noi ci prendiamo anche in carico l’altra persona, e quindi accogliamo la sua complessità, i suoi bisogni, i suoi desideri e lo facciamo con il cuore, con le mani e con la mente. Infatti, la docente Musi parla di “ momento di riflessività”, una riflessività che precede l’azione di cura, che è presente nel momento in cui mi prendo cura e che segue il momento della cura, perché le azioni di cura che metto in atto sono frutto di una consapevolezza. La visione che noi dobbiamo avere del bambino è una visione olistica, sapere che le parole che diciamo, i gesti che facciamo, il tono della voce, sono tutti strumenti attraverso i quali noi interveniamo. Quindi nel concetto di cura vi è: - Un coinvolgimento emotivo verso l’altro; - Un’attenzione all’altro come soggetto con dei bisogni e dei valori; - Una relazione di aiuto dell’altro. Il Quality Framework dice che ogni azione di cura è anche educativa. Quindi non c’è educazione senza la cura. b) UN CURRICOLO OLISTICO Nel testo successivamente si parla del curricolo olistico, e dice innanzitutto che le proposte che devono essere pensate e progettate per il bambino non devono essere settoriali, in ciascuna di queste proposte ci deve essere il coinvolgimento cognitivo, affettivo, relazionale, corporeo, motorio, comunicativo del bambino. Quindi se progettiamo un esperienza dobbiamo chiederci: - Che ricadute ha sul piano motorio; - Che ricadute ha sul piano cognitivo; - Che obiettivi ci permette di raggiungere sul piano relazionale e comunicativo; - Che obiettivi ci permette di raggiungere sul piano affettivo. Ogni situazione della quotidianità deve avere una valenza educativa, esempio il momento del pranzo può essere una situazione nella quale i bambini si relazionano tra di loro, e anche con gli educatori, ma sono momenti, che poi vanno via via approfonditi. Un approccio olistico chiaramente valorizza tutte le dimensioni, la capacità esplorativa, la scoperta, il gioco, l’interazione, la dimensione psicomotoria, corporeo motoria, relazionale, comunicativa, affettiva. c) UN CURRICOLO CHE DÀ VALORE AL GIOCO E ALL’APPRENDIMENTO PER SCOPERTA Nel curricolo uno spazio importante è dedicato al gioco. Nel Quality Framework si dice che il gioco deve essere al centro del mondo dei bambini e delle bambine in età infantile. Il gioco è una caratteristica del bambino, che gli permette di relazionarsi col mondo. È un’occasione di crescita, e l'educatore deve progettarlo in modo da sostenere l'esplorazione. Tutti i momenti devono essere caratterizzati dal gioco. Quindi bisogna lasciare ai bambini la possibilità di scegliere con chi giocare, con cosa anche giocare. Quindi anche le forme di aggregazione, di scambi comunicativi devono essere appunto spontanee, libere. d) UN AMBIENTE SICURO E STIMOLANTE Uno dei compiti dell’educatore e dell’insegnante è quello di incoraggiare il gioco spontaneo, ma perché sia realmente produttivo il gioco spontaneo, è importante che l’ambiente sia organizzato in un certo modo; quindi: - Gli ambienti devono essere sicuri e confortevoli, devono offrire una pluralità di occasioni ludiche e di esplorazione. I materiali devono essere sia strutturati che non strutturati e devono essere messi a disposizione dei bambini. Inoltre quest’ultimi devono essere organizzati in centri di interesse in modo che i bambini li riconoscono immediatamente o comunque riconoscano la funzione che hanno. Devono essere accessibili, e per permettere lo sviluppo delle capacità sensoriali devono essere anche esteticamente fatti in un certo modo. Oltre all’ambiente interno c’è anche l’ambiente esterno, quindi il giardino, che deve essere organizzato in modo tale che le attività ludiche siano sicure e favoriscono anche l’apprendimento per l’esplorazione; - I tempi devono essere organizzati in modo tale che ci siano sia momenti della giornata dedicati alla routine (accoglienza, igiene, pranzo, sonno) ma anche situazioni in cui possono stare i bambini e condividere momenti insieme; - L’organizzazione degli spazi deve facilitare l’aggregazione libera tra bambini; - L’ambiente deve promuovere benessere. - Un’ambiente deve essere anche modificato se si ritiene necessario per rispondere agli interessi dei bambini; e) UN APPROCCIO INTERATTIVO DI “PROMOZIONE DALL’INTERNO” L’impianto curricolare si deve caratterizzare per: - L’apertura Il curricolo deve essere flessibile, si stabilisce un percorso ma questo non è un percorso rigido. Se ci rendiamo conto che i bambini chiedono altro e noi vogliamo andare incontro ai loro bisogni, ai loro interessi (perché sappiamo che l’interesse significa motivazione all’apprendimento), dobbiamo modificarlo in maniera tale da riuscire ad avere la loro partecipazione, il loro coinvolgimento. Quindi il curricolo deve essere visto come aperto nel senso che deve essere flessibile, pronto ad essere rivisto. Deve, quindi, essere sempre fatto un monitoraggio continuo del curricolo che permette di ritornare indietro e di ridefinire gli obiettivi e anche le attività; - L’emergenza Il curricolo è centrato sul bambino e quindi sugli interessi, le potenzialità e ai bisogni dei bambini. Il curricolo “si fa mentre si fa”. Quindi si dice curricolo emergente nel caso in cui si pone una situazione che sappiamo che può essere coinvolgente e quindi emerge rispetto a quello che noi avevamo definito; - L’interattività Si basa sull’idea che l’apprendimento, e in generale lo sviluppo, avvengono sempre all'interno di relazioni. Il bambino non è visto come un ricettore e riproduttore della cura adulta, ma come attore sociale che partecipa attivamente alla propria crescita. - Contestualizzazione il curricolo deve essere misurato in relazione alle caratteristiche dei bambini e delle famiglie. - L’Intenzionalità, la ipoteticità, la verificabilità il curricolo aperto ed emergente deve sempre presentare una sua intenzionalità educativa. È quella intenzionalità che poi permette comunque al percorso di essere comunque coerente, anche se ad un certo punto decidiamo di modificare qualcosa. La proposta e l’offerta educativa anche se viene modificata deve comunque rispondere a una intenzionalità cioè, comunque ci deve essere la consapevolezza che gli obiettivi finali devono essere raggiunti. f) GLI ADULTI E IL CURRICOLO Il curricolo quindi deve essere partecipato, cioè per fare un curricolo di questo tipo che si modifica continuamente e che si adatta alle esigenze dei bambini e delle famiglie. (7) Gruppo di lavoro, coordinamento, supervisione, formazione continua 1. IL GRUPPO DI LAVORO Anche nel servizio educativo è necessario che ci sia un gruppo di lavoro. Il gruppo di lavoro presente all’interno dei servizi educativi 0-6 è generalmente formato da figure educative che hanno funzioni diverse nella struttura. È parte costitutiva del servizio perché tutte le attività che si svolgono all’interno del servizio educativo sono pensate, organizzate, gestite e condivise dal gruppo di lavoro e poi implementate. Naturalmente la qualità delle relazioni all’interno del gruppo di lavoro è importante, da questa dipende poi il tipo di gestione che si farà, il successo anche o meno delle esperienze educative che verranno promosse all’interno del servizio. Quindi è importante che ci sia un clima relazionale positivo, che è dato da una pluralità di aspetti, innanzitutto dal expertise di ciascuno e quindi dal vissuto che ciascuno ha rispetto al aspirazioni, i propri desideri. Avere cura di sé è importante perché questo può evitare ogni forma di omologazione. L’omologazione è dannosa per il gruppo perché non permette di essere produttivo. Nel gruppo di lavoro dobbiamo ricordare che ciascuno porta la sua umanità, dice l’autrice, la quale diventa una risorsa per tutti. Quindi non bisogna soltanto fare delle cose, ma dire qual è la mia opinione, qual è il mio stato d’animo rispetto a quello che c’è da fare. È importante, dice l’autrice, con delicatezza e sincerità esprimere la propria opinione, perché è quella che dà valore al gruppo, non è necessario avere una expertise, spesso anche quella expertise va messa in discussione perché si ha a che fare con dei contesti che hanno una specificità. Dice l’autrice che le azioni che si compiono in un gruppo devono diventare oggetto di riflessione rispetto non solo alle ricadute che hanno su l’utenza ma anche su noi stessi, come quelle esperienza noi l’abbiamo vissuta e che cosa può essere conservato, cosa “ci portiamo a casa”, cosa è che può essere riutilizzato e diventare patrimonio del gruppo. Il gruppo è una co-creazione continua in cui ognuno porta la propria storia. È importante che ci sia una continua riflessione su quello che viene fatto da parte dei componenti del gruppo. Il gruppo deve porsi nelle condizioni di riflettere continuamente sull’esperienze che sono fatte da ciascuno dei componenti del gruppo stesso, questo significa fare formazione. La riflessione sull’esperienza è un momento importante di formazione da parte del docente perché nel momento in cui ci si ferma, si riflette sull’esperienza condotta, la si condivide con gli altri quell’esperienza diventa oggetto di lavoro. Il racconto permette di creare dei collegamenti, di trovare i significati che poi aiutano l’educatore nel racconto che fa, aiutano a dare senso a quello che è stato fatto, a trovare una spiegazione all’insuccesso ma anche al successo, a capire quello che va modificato. Ci devono essere quindi, dice l’autrice, occasioni frequenti di ascolto e di accettazione da parte del gruppo, è quello che crea coesione di cui parlava Kurt Lewin. La coesione è un equilibrio tra le forze che tendono ad allontanare i membri del gruppo dal gruppo stesso. Si crea quella coesione necessaria sia al singolo perché si sente riconosciuto sia al gruppo stesso, sia al servizio e all’organizzazione all’interno della quale opera quel gruppo di lavoro. Sono tutte esperienze che sono fatte e che devono essere fatte per la formazione dell’educatore che non è soltanto la formazione che si riceve sul piano metodologico ma rappresenta un momento di autoformazione che avviene all’interno di un gruppo con cui si lavora. Quindi bisogna cercare di utilizzare degli strumenti diversi, il linguaggio filmico, la scrittura collettiva, le esperienze di gioco, il disegno, la narrazione, la visualizzazione e via dicendo. Sono tante le esperienze che si possono fare e che sono rappresentative del nostro modo di fare rappresentazione che punta alla cura dell’educatore. 2. IL COORDINAMENTO PEDAGOGICO Il coordinatore pedagogico non è una figura presente in tutte le strutture ed è quella figura che consente al gruppo di lavorare bene. Opera sugli educatori e fa in modo che ci sia un confronto tra equipe e territorio. Sul libro l’autrice elenca tutti i punti importanti e le competenze che deve avere questa figura: - Collaborare con il personale educativo per supportarlo e monitorarlo; - Promuovere i servizi esterni ed interni (famiglia); - Sollecitare il lavoro di gruppo; - Controllare se i servizi educativi funzionano in maniera adatta; - Promuovere e convocare riunioni; - Promuovere scambi e relazioni con tutto il personale educativo; - Mettere a conoscenza gli educatori di specifici strumenti di osservazione, valutazione e documentazione; Questa figura risponde principalmente a delle domande: 1) Dove voglio portare l’equipe? 2) Cosa voglio che diventi questo servizio educativo? 3) Cosa voglio che faccia questo servizio educativo sul territorio? Deve essere in grado di unire le diverse competenze riguardanti discipline diverse. Il problema è che non è presente in tutti i servizi educativi, principalmente perché sono stati regolarizzati dalle regioni e non c’è stata, tranne la recente legge 65, una legge che ha stabilito regole comuni a tutti e né tanto meno ha dato indicazioni sulle figure professionali. Il coordinatore deve essere minimo laureato alla legge L-19. Ha delle competenze sulla comunicazione, sulla trasferibilità delle conoscenze, valorizzazione del lavoro collegiale e promuove collegamenti tra servizio educativo e servizi sociali e sanitari che sono sul territorio in modo da creare una comunità che crea sostegno nell’infanzia e nella famiglia di questo. Monitora la qualità dei servizi attraverso il monitoraggio degli Spazi-Tempi, partecipazione degli adulti e l’educazione che ricevono i bambini. 3. LA SUPERVISIONE Il supervisore si occupa della formazione degli educatori, è un pedagogista che ha sviluppato delle competenze riflessive e rielaborative, ed aiuta gli educatori a sviluppare queste competenze. Gestisce gli strumenti legati alla comprensione, gestisce l’equipe e cerca di facilitare le interazioni nel gruppo di lavoro grazie alle strategie e dinamiche interpersonali. La supervisione pedagogica garantisce la continua formazione interpersonale per affrontare le criticità e sostenere il gruppo di lavoro e coordinarlo nella progettualità. Il lavoro di supervisione è necessario a: Sostenere il gruppo di lavoro; Monitorare e verificare gli obiettivi del progetto perseguiti con gli strumenti progettuali; Risolvere situazioni “problematiche” attraverso un supporto e sollecitando la riflessione condivisa; Introdurre dei cambiamenti che possano migliorare le criticità osservate. Lavora sul gruppo educativo e sulle sue potenzialità. Lavora sulla metariflessione e sulla continua formazione. Li aiuta a cogliere i contenuti e a condurli verso l’obbiettivo finale con il legame che c’è tra il progetto educativo e l’azione che si sta facendo. È definita una risorsa preziosa di orientamento e riorientamento. Sottolinea la direzione da seguire e per questo l’attività del gruppo viene continuamente monitorata. Il confronto con il gruppo fa emergere ostacoli che portano ad una maggiore cognizione del sé. Il gruppo lo si può considerare uno dei dispositivi della formazione, con confronti che dopo essere stati oggettivati dal racconto dell’esperienza diventa per tutti un motivo di scoperta che segna e forma la nostra storia. La supervisione si dedica al rafforzamento dell’identità individuale. La supervisione contribuisce anche ad intercettare i motivi di stanchezza dell’educatore e quando sono al limite. La supervisione è importante per cogliere nell’educatore un particolare coinvolgimento emotivo, ed evitare inevitabili ripercussioni. Per questo un sistema di supervisione dovrebbe essere indispensabile nella prima infanzia, come il controllo dei confini professionali, affinché siano mantenuti per garantire la qualità del nido e del servizio. Ma anche per avere il diritto di ricevere questa figura professionale. 4. LA FORMAZIONE CONTINUA Pur essendoci le figure professionali del coordinatore e del supervisore, è indispensabile che gli educatori abbiano tempo e modo di fare formazione professionale. L’autrice si impegna in questa distinzione, è indispensabile la life long learning, formazione per tutta la vita, un processo che riguarda tutti in tutti i livelli e contesti. Si parla di una formazione specifica, questo serve per qualificare sempre più gli educatori: il Coordinatore che monitora la qualità dell’offerta formativa e il supervisore cerca di promuovere la riflessione sulle pratiche educative. E poi c’è la formazione continua che serve per riqualificare il personale. Con la legge 107 del 2015 si sancisce che la formazione degli insegnanti è obbligatoria. Si fa riferimento alla formazione che può essere: FORMALE: Che può portare al conseguimento di una qualifica riconosciuta (diploma o laurea); INFORMALE: Che è legata agli apprendimenti che avvengono nell’infanzia; NON FORMALE: Che viene svolta fuori dalle principali strutture d’istruzione. Non si parla della formazione per accedere ai servizi educativi, ma quella formazione che avviene nel corso degli anni. Questi corsi vengono promossi da enti pubblici o privati. La formazione avviene durante tutta la vita, e pur lavorando già da insegnanti c’è bisogno di aggiornarsi e formarsi. Ci sono momenti formativi che ricadono “nell’Addestramento”, che possono ricevere una ricaduta immediata che si fa nell’attività educativa e poi ci sono pratiche che sono maggiormente incentrate sulla riflessione. Sono esperienze di formazione che vanno assieme come ad esempio la formazione per la lettura 0-3, e questo rientra nel bagaglio dell’educatore e nel suo expertise. Ma è anche fondamentale la riflessività che ci porta a far funzionare meglio tutte le nostre conoscenze perché il mondo della vita rientra nel servizio educativo. Ricordo la citazione di Riccardo Massa, il quale disse posso essere un grande esperto nella progettazione, posso essere in grado di utilizzare e implementare tutto, ma poi accade qualcosa che fa saltare tutto, perché il mondo della vita che entra è dato dalle diverse persone con cui sta lavorando. È importante che la formazione avvenga in maniera autoriflessiva e l’autrice parla appunto del sapere ovvero: il sapere, il saper fare e il saper essere. L’intreccio di questi tre aspetti ne convalida una formazione autoriflessiva circa il proprio operato. Questo processo riflessivo sottolinea come l’educatore debba attuare sia pratiche individuali che di gruppo. (8) Professionalità educativa: osservare, progettare, documentare, valutare Osservare, progettare, documentare e valutare sono degli strumenti chiave della professionalità, sono competenze che servono all’educatore creando un ponte tra la pratica ed il mondo della ricerca. Oggi sappiamo dei processi di sviluppo della fascia 0-3 grazie al lavoro delle educatrici e degli educatori di osservazione e di documentazione, che ci fanno arrivare ai modelli teorici dei servizi educativi. 1. OSSERVARE È lo strumento di base dell’educatore. Nel nido tutto quello che si conosce è attraverso l’osservazione perché altrimenti renderebbe meno specifica la progettualità. Le pratiche osservative sono fondamentali anche per vedere la crescita dei bambini conseguenzialmente alla qualità di quello che proponiamo. L’osservazione ha più funzioni: quella descrittiva (anche se non oggettiva), quella formativa (ha delle ricadute sul piano formativo), euristica (perché mi permette di attuare nuove ricerche e nuove piste), valutativa e di verifica ( per il raggiungimento degli obbiettivi previsti). Ci sono una serie di paradigmi in merito all’osservazione in campo analitico, piagetiano, comportamentista e a partire dalle discipline l’approccio cambia. Come ritiene l’Amadini non va pensata l’osservazione come una forma passiva, ma c’è qualcuno che osserva il comportamento di un altro e deve interpretarlo che si deve avvicinare alla neutralità. L’osservazione deve rispondere a delle domande: Cosa osservo? Perché osservo? Chi e quando osservo? (1) Parte Prima – La famiglia nell’odierna temperie socio-culturale, Luigi Pati Nell'introduzione l'autore sottolinea che, vista la complessità oggi del sistema famiglia, non si può non utilizzare un approccio ermeneutico, che è proprio della pedagogia. Quindi un approccio ermeneutico, dunque interpretativo, che deve partire da una serie di aspetti che hanno segnato dal punto di vista sociale, economico e demografico la nostra società e che ha avuto delle ricadute significative anche nella organizzazione della famiglia. Quindi l’approccio che usa l’autore in questo capitolo proprio per sottolineare le trasformazioni vissute dalla famiglia è un approccio ermeneutico che si fonda su tre aspetti: Sulle trasformazioni di tipo morfogenetico che ha subito la famiglia; Le trasformazioni di tipo relazionale; Le trasformazioni di tipo valoriale; Quello che rende difficile oggi affrontare le diverse problematiche è una incapacità non solo dal punto di vista scientifico e culturale ma anche politico. Però la pedagogia e la politica devono collaborare per affrontare il tema della trasformazione della famiglia. 1. LA TRASFORMAZIONE MORFOGENETICA DELLA FAMIGLIA La famiglia ha subito nel corso degli anni 60 e 70 un cambiamento dovuto a mutamenti di ordine culturale e sociale. La famiglia prima era patriarcale, poi la famiglia mononucleare poiché si è iniziato ad emigrare in altri paesi e città per trovare lavoro. Molteplici studi hanno studiato le variazioni nella relazione uomo- donna tra cui l’indagine ISTAT del 2009-2010 dove emergono elementi che meritano attenzione: a) CALO DEI MATRIMONI Si verifica un calo dei matrimoni e un periodo più lungo di fidanzamento e quindi si registra una posticipazione delle nozze. Ci si sposa più tardi, sia gli uomini che le donne, intorno ai 30 anni e le ragioni sono diverse: Vanno dalla ricerca di un lavoro, al desiderio di rimanere nella famiglia di appartenenza e quindi anche per i vantaggi economici che deriva da questo. Riguardo i matrimoni si registra un cambiamento rispetto alla tipologia di matrimonio perché aumenta il matrimonio civile per diversi motivi: 1 Sono aumentati i matrimoni misti; 2 Sono aumentati i secondi matrimoni. b) DIFFUSIONE DELLE CONVIVENZE PREMATRIMONIALI Sempre più coppie decidono la convivenza prima del matrimonio è in rapida diffusione. In Italia la convivenza prematrimoniale è una scelta sempre più frequente, quindi è anche socialmente accettata rispetto a prima. L’autore sottolinea come la convivenza prematrimoniale viene vissuta come un momento di prova e il matrimonio è visto come l’esito di una vita in comune, per questo motivo seguono l’attesa di un figlio, le aspettative dei genitori, l’unione libera e le difficoltà che l’unione libera incontra nella società. Guadagnano terreno anche le convivenze tra coppie dove magari uno dei due è in attesa di divorzio. c) INCLINAZIONE A COSTRUIRE LA FAMIGLIA AL DI FUORI DEL VINCOLO MATRIMONAILE L'incidenza dei bambini nati al di fuori del matrimonio è in continuo aumento. L’indagine connette il cambiamento dei modelli famigliari con l’ingresso della donna nel mondo del lavoro che ha trasformato la famiglia. d) AUMENTO COSTANTE DI SEPARAZIONI, DIVORZI E SECONDI MATRIMONI Nel 2009 quasi il 10% delle nozze almeno uno degli sposi è alla sua seconda esperienza matrimoniale, questo dato è in continuo aumento. e) DIFFUSIONE DEI MATRIMONI MISTI La diffusione dei matrimoni misti rappresenta una novità. I matrimoni misti sono quei matrimoni tra persone che appartengono a Paesi diversi, quindi uno dei due è di cittadinanza straniera. È un fenomeno, in continua crescita ed i matrimoni misti solitamente sono secondi matrimoni celebrati con solo il rito civile. Per quanto riguarda le coppie in genere hanno un livello socioculturale più o meno alla pari, ma nel caso dei matrimoni misti invece si riscontra una certa differenza sia per l’età che per il titolo di studio. Per quanto riguarda l'età, la sposa italiana solitamente ha più di 10 anni dello sposo straniero (e lo sposo italiano ha 10 anni in più della sposa straniera. Le spose italiane che scelgono un marito straniero mostrano una preferenza per un titolo di studio più elevato di loro. 2. LE TRASFORMAZIONI RELAZIONALI DELLA FAMIGLIA Ci sono altre trasformazioni, legate anche all'aspetto relazionale. Si parla di nuovi genitori che è una definizione che viene adoperata per esprimere il passaggio da un modo tradizionale di considerare la funzione parentale ed uno invece rinnovato, che è quello appunto che vivono molte coppie di genitori. Oggi quando si parla di nuovi genitori l'autore utilizza un termine per definire lo stato di queste coppie che è lo spaesamento. Il termine spaesamento indica un senso di smarrimento di estraneità, è quello che prova chi vive o si trova in un ambiente che è a lui sconosciuto. L’autore dice che le coppie di oggi vivono un senso di spaesamento, di smarrimento, di disorientamento, non sapere quale direzione prendere, qual è il ruolo che hanno, quindi trovarsi in un posto che non si conosce, perché tanti sono stati i cambiamenti che riguardano i genitori. Se in passato la famiglia aveva ruoli ben definiti: quelli del padre e quelli della madre, il padre era quello che con il suo lavoro manteneva economicamente la famiglia. Invece per la donna il ruolo era la cura che aveva per i neonati, per gli anziani, o per i disabili della famiglia. Adesso invece la situazione è cambiata. L’autore dice che l’uomo e la donna con la nascita di un figlio, si trovano coinvolti in un processo di trasformazione, cambiano le priorità anche nella coppia, cambiano le esigenze, cambiano le attenzioni. Si rivolge l'attenzione non più magari all’partner, ma al nuovo nato. Quindi si può dire che la nascita di un figlio rappresenta la prima causa primaria di una situazione di spaesamento coniugale, una sorta di disorientamento. Lo spaesamento oggi è dovuto anche ad altri motivi, è dovuto anche allo spartiacque culturale che sono stati gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Sino agli anni Sessanta, dai coniugi lo spaesamento relazionale era superato dall'idea della continuità (mio padre e mia madre facevano in questo modo, i modelli erano quelli, e quindi anche i comportamenti erano gli stessi). Questi modelli, dice l’autore, sono rassicuranti perché in fondo appartenevano alla tradizione e quindi se erano modelli che avevano funzionato in passato perché non ripeterli. Uno sguardo critico sul sistema famiglia viene fatto proprio nel corso degli anni Sessanta e Settanta e abbiamo una vera e propria rottura dal punto di vista culturale e valoriale. Sono messi in crisi i valori alla base della famiglia e questa crisi però non risponde a una riflessione, seria su nuovi modelli di genitorialità. I nuovi genitori degli anni 70 cercarono orientamenti nuovi rispetto al ruolo dei padri: Si incomincia a ritenere la sessualità e il legame all’interno della famiglia come due cose diverse, la sessualità è legata alla libertà non viene rilegata necessariamente al matrimonio; Questo movimento culturale rifiuta anche la relazione asimmetrica tra uomo donna, e invece afferma la parità tra i sessi; Ed infine il rifiuto soprattutto dell'autorità rispetto ai figli.(Prima nell’educazione dei figli l'ultima parola era del padre, invece adesso si rivendita una partecipazione alla pari nell'educazione dei figli). A questo cambiamento culturale seguì anche un cambiamento di tipo legislativo. Abbiamo: l'introduzione del divorzio nel 70, poi nel 1975 la legge 151 riguardante il diritto di famiglia che istituì la parità tra i coniugi. Nel 1978 la legge sull'aborto. Queste leggi fecero sconvolgere completamente le relazioni all'interno della famiglia, non è un cambiamento che riguarda il mondo esterno ma cambia la relazione all'interno della famiglia. Quello che si pensava che fosse un legame indissolubile, diventa invece un contratto che può essere sciolto. Nel corso degli anni 40-50 chi aveva deciso di diventare genitore, aveva intrapreso la via al confronto con i loro genitori al fine di far diventare realtà i nuovi orientamenti riguardanti il legame nella coppia e nella educazione familiare. Quei giovani che partecipavano al movimento del 68 in qualche modo volevano innovare il passato, cercare di trovare delle nuove forme di genitorialità. Sono quei giovani che poi hanno messo in discussione i valori tradizionali. Però è successo che questo senso di spaesamento iniziale, dovuto alla mancanza di riferimenti, non si è accompagnata alla maturazione di nuovi riferimenti, cioè un nuovo stile genitoriale. Con lo spaesamento, dovuto al fatto che non ci sono più vincoli forti, non c'è più neanche un attenzione, da un lato bisogna trovare una mediazione ma dall'altro ci si sente liberi, quindi non ci sono più delle costrizioni, c’è una libertà che porta a interpretare il sentimento amoroso come un sentimento legato alla passione. Per cui alla fine accade che finita la passione si decide, rispetto al passato, di poter terminare la relazione. (Baumann l’ha già detto quando parla di amore liquido): La cultura massmediale in qualche modo, attraverso soprattutto gli strumenti di comunicazione di massa, ci propone un modo di vivere, sentimenti e relazioni che possono essere facilmente sciogliere (es: temptetion Island). Tutto questo ha portato anche alla formazione di forme di famiglie che sono differenti rispetto al passato e quindi anche figure genitoriali che sono differenti rispetto al passato. Cambia il modo di interpretare il legame all'interno del matrimonio, cambia l’idea del sentimento amoroso, cambiano le famiglie che assumono forme inedite, genitorialità diverse. A una certa sembra che i giovani genitori non facciano più riferimento a dei modelli del passato, cercano altri modelli di riferimento e si affidano a enti o alle istituzioni, come coppia, ad esempio, ai terapeuti e consulenti familiari. Oggi le famiglie si presentano come nuclei con “alto tasso di fragilità”, fragilità dovuta alla difficoltà spesso dei componenti di affrontare insieme le difficoltà e quindi anche di confrontarsi. Nel passato il confronto si svolgeva tra generazioni, oggi invece la fonte informativa sono i media che non propongono il loro modo di vedere, ma quasi lo impongono perché non comporta il dialogo, il confronto non può esistere. E quindi, dice l’autore, sembra che ciò che è vero, ciò che è corretto, ciò che è giusto fare, viene trasmesso da i mass medium, i mezzi di informazione. Dice l’autore che c’è bisogno di una rivalutazione degli orientamenti axiologici umanizzanti, quindi un recupero e una valorizzazione di quel sistema di valori che hanno come obiettivo il rispetto dell'essere umano. 3. LE TRASFORMAZIONI VALORIALI DELLA FAMIGLIA Ci sono poi altri elementi che segnano oggi la famiglia, queste sono le trasformazioni valoriali (es: valore dell'amore, della vita, del perdono, dell'accoglienza, del rispetto). È come se si fosse passati da un esagerazione all’altra perché si è passato da un sistema di valori autoritario a uno indifferente. Dal padre padrone, ad uno in cui si sottolinea la dimensione della libertà ma non solo la libertà ma il bisogno proprio di soddisfare sé stessi, i propri bisogni affettivi, di sentirsi rassicurati. A questa reinterpretazione, dice l’autore, probabilmente si deve il processo di denatalità che sta passando il nostro paese. L’autore collega a questo processo di denatalità 3 aspetti: a) TEMPORANEITÀ DELL’AMORE VALORIALE Tra le difficoltà che la coppia ha è quello di coltivare l'amore tra coniugi, c’è una impreparazione pedagogica a vivere l’amore come progetto. Motivo per cui si parla oggi di educazione della coppia che non è semplicemente il corso prematrimoniale, ma quanto riguarda l’educazione relazionale. Dice Pati, oggi rispetto al passato manca Il progetto della coppia, anche se prima non sempre all'interno della famiglia era un progetto condiviso ma era imposto dall’altro, era già stabilito (anche la scelta del partner era già fatta a monte). L'autore, la temporaneità dell'amore coniugale la attribuisce anche al processo di liberalizzazione sessuale, che ha influito anche sulla scelta di rapporti sessuali sia prematrimoniali che extramatrimoniali. Nel nostro paese i giovani ormai convivono con la precarietà e quindi convivono con l’idea di dover alternare periodi di lavoro a periodi invece di disoccupazione. I giovani italiani, cita l’autore Castel, sono condannati ad una cultura “dell’aleatorio”(incerto) ossessionata dall'idea del domani. Alcuni sono in grado di abituarsi all'idea del vivere alla giornata e quindi la precarietà diventa la condizione di normalità, è una condizione che porta all'incertezza e a ridimensionare le proprie aspirazioni, quindi anche il desiderio di realizzarsi, di divenire qualcuno. Oggi per indicare questa condizione dell'individuo si parla della vulnerabilità ed è considerata una forma di fragilità sociale. Inoltre si riferisce a coloro che, proprio perché non hanno gli strumenti per poter partecipare attivamente alla società, finiscono per autoescludersi. La condizione di vulnerabilità non riguarda soltanto il singolo ma anche la coppia, infatti, si parla di coppie flessibili cioè quelle coppie che sono segnate da una condizione di vulnerabilità, in questo caso si parla di vulnerabilità relazionale potenziata. Quando l'insicurezza è affrontata con azzardo, quindi quando si confida nella possibilità futura di superare la condizione di vulnerabilità, ci sono altre situazioni che ostacolano la possibilità di realizzare un progetto familiare. Spesso la possibilità di realizzare un proprio progetto viene dato dagli stessi genitori e dalla famiglia di provenienza che aiuta economicamente la coppia, quindi la condizione di vulnerabilità viene superata ma rimanendo in una condizione di dipendenza dalle famiglie di origine. Quest’ultima può svolgere la funzione di ammortizzatore sociale anche nell’accudimento dei bambini piccoli. Quindi rispetto al passato non c'è una vera e propria autonomia della nuova famiglia che si viene a creare ma c’è un legame costante con la famiglia di origine dove il rapporto non è quello fondato sulla relazione intergenerazionale ma si vive una condizione di grande necessità rispetto alle famiglie di origine. Questa situazione è nota soprattutto ai bambini che sono i soggetti che risentono direttamente degli effetti dello stato di precarietà economica dei genitori. b) LA FRATTURA TRA VITA CONIUGALE/FAMILIARE E IL MONDO DEL LAVORO Altro elemento è la frattura tra la vita coniugale e familiare e il mondo del lavoro. La stabilità temporale nella coppia si scontra con alcuni elementi di criticità, tra cui la difficoltà c'è nel conciliare i tempi e i ritmi di vita. Tra il mondo del lavoro e il mondo familiare si ha l'impressione che i tempi lavorativi precludano gli spazi per poter coltivare il proprio rapporto di coppia, i legami familiari e i legami sociali. Spesso il contesto è carente di servizi educativi che sostengono le famiglie, poiché non c’è una distribuzione equa sul territorio, quindi quando mancano queste strutture di sostegno è chiaro che è difficile poi riuscire a immaginarsi come famiglia autonoma perché si deve mantenere quel legame con la famiglia di origine. Però, dice l’autore, che questo è un legame che ci deve essere ma non deve essere legato alla necessità ma deve essere fondato su una relazione. La fragilità è legata ad una vulnerabilità che non riesce ad essere superata nel momento in cui c’è da una parte la precarietà. È necessario tener presente che non bisogna arrivare alle generalizzazioni, cioè non possiamo definire una famiglia fragile solo perché vive una condizione economica precaria. In realtà le possibilità della fragilità possono essere diverse, difatti possiamo dire che oggi rispetto al passato le famiglie si presentano più fragili proprio per i cambiamenti che ci sono stati dal punto di vista economico, sociale e culturale. L'autore dice che non sempre il progetto familiare è considerato come un bene essenziale come era nel passato, ma il modo di concepire il sentimento amoroso, la difficoltà immaginarsi in un progetto futuro familiare, a causa della precarietà lavorativa, fa sì che molte coppie di decidano di convivere o fanno scelte diverse rispetto alla scelta matrimoniale poiché percepita come limitativa e inconciliabile anche con i vincoli, i ritmi, le performance richieste dal mondo del lavoro. La fragilità delle nuove famiglie è attutita dalla presenza di una rete di sostegno, in genere sono i genitori, gli amici, i parenti, i vicini, quindi nel nostro paese c'è una forte presenza di sostegno di stampo familiare. Questa rete di sostegno di tipo familiare esiste per due motivi: 1 Perché non c'è una rete di sostegno istituzionale delle strutture assistenziali e di cure educative diffuse e alla portata di tutti; 2 Dipende da una questione culturale cioè dall'idea che i bambini piccoli possono essere curati soltanto in ambito familiare (soprattutto in alcune aree del sud). Lo sviluppo della società ha però ha provocato altri cambiamenti, uno dei quali è il modo di percepire la vecchiaia, gli anziani sono soggetti attivi che occupano il loro tempo con dei loro interessi vogliono una loro autonomia. Quindi diventa difficile anche questa forma di aiuto. La fragilità dei tempi lavorativi può essere causa anche di frattura, ed anche motivo di scompenso perché c’è la necessità di dover continuamente rinegoziare la gestione della famiglia che dipende da una organizzazione dei tempi di lavoro più varia e non fissa, chi subisce soprattutto queste difficoltà, e come spesso accade, la donna che dopo la maternità è uscita dal mercato del lavoro. La situazione si è più aggravata in seguito alla pandemia. Dall'osservazione empirica dice l'autore sia le nuove quanto le “vecchie” famiglie manifestano potenzialità e capacità di reazione soprattutto per quanto riguarda l'educazione dei figli. È importante che ci sia una strategia sociale e politica, cioè non ci si può affidare solo alla creatività della singola famiglia che deve in qualche modo organizzarsi e trovare le formule più giuste per poter risolvere il problema della conciliazione del tempo famiglia-lavoro (la famiglia ha una funzione sociale, quindi, non deve essere trascurata). L'intervento che parte dall'alto non risponde però ai bisogni/desideri delle famiglie. Oggi sta prendendo piede l'idea che bisogna promuovere un sistema di welfare che tenga conto dei bisogni di coloro che ricevono l'intervento (welfare generativo) quindi le formule che devono essere pensate devono partire dalle famiglie. 2. LE DUE LOGICHE DOMINANTI Il conflitto tra famiglia e mondo del lavoro è anche alimentato dalla presenza della donna nelle attività produttive. Il conflitto nasce a causa delle diverse logiche del mondo del lavoro e della famiglia, il mondo del lavoro è caratterizzato da una logica utilitaristica = il profitto, la famiglia da una logica privata = l’affetto famigliare. Questa situazione tipica della società industriale e post-industriale aumenta a causa proprio della trasformazione del lavoro e al processo di globalizzazione economica. Per cui con gli strumenti telematici il lavoro entra nelle case e, quindi, si invade il mondo della famiglia che deve in qualche modo difendersi dalla pervasività (es: quello che sta accadendo con il lavoro online). Questa problematicità fa pensare che per dare una soluzione sia necessario far prevalere un mondo su un altro. O si sceglie il mondo del lavoro, o si sceglie la famiglia. Per poter evitare questo tipo di separazione e si cerca di trovare delle alternative, come ad esempio lavoro part-time, congedo parentale, reti di sostegno sociale. Quindi si ha un adeguamento della famiglia alla vita produttiva. Questo implica che il lavoro ci costringe cercare dei modi per poter lavorare e avere una famiglia, ma nello stesso tempo stiamo svilendo l'ambiente familiare che invece deve essere considerato luogo del progresso sociale. Secondo gli osservatori che si occupano di famiglia e lavoro ritengono che sia necessario riflettere sul loro rapporto. Nella ricerca sociologica oggi si parla di differenziazione funzionale, cioè di separazione tra famiglia e lavoro, ma non ci deve essere una differenziazione relazione ma una situazione di scambio tra i due mondi di esperienza. Nella zona di scambio tra i due mondi è necessario creare specifiche istituzioni che sostituiscono quelle che oggi non ci sono più (nonni, zii ecc.…). Il mettere in relazione questi due mondi può promuovere un processo di umanizzazione del percorso di vita, che promuove il processo di crescita personale ma diventa anche un processo di crescita istituzionale. La pedagogia personalistica, a cui fa riferimento l'autore, si sofferma sulla conciliazione famiglia-lavoro, e sottolinea che non si deve ragionare in termini di opposizione o di subordinazione, ma con la conciliazione di questi due mondi che deve avvenire cercando di trovare quell’elemento che tiene conto dell'uno e dell'altro. Quindi significa tener conto dell'importanza che hanno le esperienze che si vivono all'interno della famiglia e delle esperienze che si vivono anche all'interno dell'ambiente di lavoro. Il conflitto tra mondo del lavoro e mondo familiare non lo si risolve chiedendo alle donne di ritornare a prendersi cura della famiglia e quindi a non lavorare. È quindi necessaria invece una modificazione culturale che non deve contrapporsi tra famiglie e lavoro, ma utilizzi la relazione tra questi due ambiti per poter migliorare entrambe le sfere. Quindi, dice l’autore, è necessario rendere relativo il lavoro, (così non ha più meri scopi utilitaristici) ma legato al divenire esistenziale dell'uomo. Le politiche sociali devono cambiare perché il lavoro deve essere parte della progettualità umana, si deve porre attenzione alla qualità del lavoro. Quindi la conciliazione famiglia-lavoro deve avere un sistema di valori che sono scelti in funzione di un maggiore equilibrio tra impegni lavorativi e impegni familiari (good work di Gardner). Il Consiglio Europeo nel 2007 ha sottolineato l’importanza del lavoro di qualità in termini di Flessicurezza. 3. VITA FAMIGLIARE E RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA Il cambiamento culturale impone anche una Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), ed alla base di questa Responsabilità Sociale di Impresa vi deve essere la visione etica. Caselli dice che, l’etica non fa riferimento soltanto ai comportamenti che noi abbiamo nei confronti degli altri, ma l'etica è anche offrire criteri e orientamenti finalizzati al bene della persona. E quindi la responsabilità sociale di impresa suggerisce di prestare attenzione alla società e ai vari stakeholder e non puntare solo al massimo profitto. Il tema dell’etica riguarda anche i processi di formazione. Zamagni dice che è necessario educare sia coloro che entrano nel mondo del lavoro, sia coloro che già sono entrati. Quindi mentre la formazione di ieri era finalizzata al miglioramento immediato della prestazione che doveva portare al prodotto, oggi il ruolo della formazione è valorizzare la risorsa umana. Quindi bisogna adeguare le iniziative che si vogliono intraprendere e bisogna fare attenzione alla comunità locale per evitare che ci siano forme di sussidiarietà, ma anzi garantire un sistema di welfare locale di servizi che venga incontro alle esigenze proprie di quella comunità. 4. LA CONCILIAZIONE FAMIGLIA-LAVORO NELLA COMUNITÀ LOCALE In molti documenti europei si è cercato di dare un aiuto rispetto alla conciliazione famiglia-lavoro e spesso è stata raccomandata la proclamazione di documenti utili in materia di flessicurezza (politica economica volta al raggiungimento di un equilibrio tra flessibilità del mercato del lavoro e garanzie di sicurezza sociale). Nel nostro Paese sono già presenti strumenti normativi utili in materia di flessicurezza: le reti di parentela, gli asili nido, il lavoro part time, il congedo familiare. Tutti questi però da soli non possono fare nulla, ci deve essere un cambiamento culturale e il lavoro deve diventare un’esperienza esistenziale. Quindi bisogna partire dalla trasformazione proprio della cultura del lavoro presente all'interno delle organizzazioni a favore di una maggiore umanizzazione. (3) Le famiglie “d’altrove”, Paola Dusi La migrazione porta una cambiamento profondo dell’identità personale ed anche della famiglia. 1. LA MIGRAZIONE: UN “AFFARE DI FAMIGLIA” La famiglia che affronta la migrazione vive vari processi, tra cui: separazione, ricomposizione ed integrazione. L’autrice Dusi, quando parla del migrante distingue tre famiglie: quella integra, che ancora non ha avuto l’esperienza di migrazione, quella separata, che vive nella distanza, e quella da ricostruire nel momento del ricongiungimento. Con la migrazione cambiano quei riferimenti valoriali, quegli equilibri e i Norberto Galli (sacerdote e pedagogista) parla di ciclo di vita familiare (CVF), dicendo che ci sono degli stadi di crescita (SVF), cioè delle divisioni temporali caratterizzate da vicende ed esperienze tipiche. A ogni stadio corrisponde un compito evolutivo (CE). Questi compiti evolutivi sono compiti che sono messi in atto dai componenti della famiglia per poter garantire la sopravvivenza della famiglia stessa appianando, ad esempio, situazioni che possono rendere difficile la vita della famiglia o anche della sua sopravvivenza. La famiglia interagendo con l’ambiente circostante opera sui compiti evolutivi (CE). Norberto Galli dice che la buona riuscita di una famiglia esalta l’individuo. Questo non significa che non ci devono essere conflitti ma comunque ci dev'essere la volontà di risolvere. Non si ha a che fare con un modello di sviluppo cronologico, sequenziale e lineare, qui gioca la volontà di voler affrontare i conflitti e risolverli. Quindi l’evoluzione come processo che vede intrecciarsi la volontà di risolvere questioni, il desiderio di intenzionalità. La famiglia, quindi, è un sistema che cambia a seconda della crescita di chi la compone e dal variare dei loro bisogni. 3) DIMENSIONE DINAMICA: L’autore ribadisce che la famiglia è un sistema in continua relazione con gli altri (quindi sia con il mondo interno che il mondo esterno) e questo porta uno scambio dinamico e reciproco di informazioni. L’autore facendo riferimento a Debesse parla di tappe. La parola tappa sta a indicare un processo evolutivo contrassegnato da una “dominante genetica”. Cioè ogni periodo dello sviluppo è caratterizzato da una particolare attività. Quindi l’educatore ha il compito di porre attenzione su quelle attività attorno alle quali si struttura un comportamento in un periodo determinato. La parola tappa è basata sul concetto di “periodo sensibile” di Maria Montessori. La nozione di tappa, trasferita alla famiglia, è necessaria per definire l’intervento educativo, quindi ad ogni tappa corrisponde un particolare intervento educativo. La tappa dipende dall’età di chi fa parte della famiglia e ciò concerne che in ogni tappa ognuno deve compiere determinate funzioni. Ai genitori viene affidato il compito pedagogico di esercitare le funzioni genitoriali a partire dalle tappe, quindi a partire dalla crescita dei figli. 4) DIMENSIONE INTEGRATIVA: Questa dimensione parte dall’idea che all’interno tutti i componenti famiglia hanno delle relazioni che sono dinamiche e interdipendenti, dove quindi ciascuna componente ha delle sue responsabilità, ha dei compiti da svolgere all’interno della famiglia, e questi sono in relazione con i compiti e le responsabilità degli altri componenti della famiglia. Ogni componente nella famiglia, quindi, deve assumere un ruolo con degli specifici compiti che devono mutare con il divenire del tempo e dei bisogni. Anche la dimensione educativa non è statica ma è dinamica ed in continua evoluzione. Quindi cambia con il divenire educativo e cambia con i compiti educativi che ha la coppia dei genitori all’interno della famiglia. Sin dal inizio del legame di coppia, l’uomo e la donna avviano un processo di comunicazione per cui definiscono in modo, a volte funzionale a volte intenzionale, delle regole, modalità di rapporto. Con la nascita del figlio la coppia deve realizzare un alfabeto relazionale comune. Significa che i genitori dovrebbero essere portati a utilizzare uno stesso alfabeto relazionale per poter stabilire un rapporto il più possibile armonico con i propri figli. L’alfabeto razionale non è uguale per tutti e non deve esserlo perché ciascuno porta anche la sua storia e le sue esperienze. L’alfabeto comune ci può essere ma bisogna prestare attenzione alle differenze di genere che portano alla coppia di reazionarsi con i figli in mondo differente. Questo dinamismo non è soltanto dei genitori ma anche dei figli. In famiglia, seppure su piani differenti, ciascun componente ha un ruolo formativo, ciascun componente ha dei compiti e deve contribuire alla crescita della famiglia stessa perseguendo la stessa finalità. Nell’ottica di Pati non solo i genitori, quindi, assumono un ruolo educativo ma anche i figli. Tutti i membri della famiglia solo chiamati a perseguire dei compiti educativi che vanno sempre più perfezionati. È importante anche l’equilibrio famigliare che non va concepito in termini di standardizzazione perché ogni famiglia è originale e può conseguire un proprio livello ottimale e temporaneo di equilibrio relazionale distinto dalle altre famiglie. Quindi la dimensione integrativa consiste nella valorizzazione del contributo che ciascun componente può dare a mantenere l’equilibro della famiglia. 2. LA FAMIGLIA FRA TEMPO E SPAZIO L’altro elemento è il rapporto della famiglia con lo spazio e il tempo: a) Il divenire temporale della famiglia: Del tempo non sottolinea la dimensione cronologica ed evolutiva ma la dimensione narrativa. Pati dice rispetto al tempo che la famiglia si caratterizza per la dimensione temporale e la crescita dei figli. Il tempo è importante già nel momento in cui si stabilisce la coppia. Ogni famiglia già nel momento in cui si forma comincia a narrare e vivere la propria storia nel tempo. È una narrazione consapevolmente elaborata. Ci sono delle regole che sono alla base della relazione di coppia, tra i due adulti, che caratterizzano quella storia rendendola diversa dalle altre. Tale copione parte da un idea che ovviamente ha già una base che deriva dalla storia individuale dei soggetti, non può prescindere dalla storia dei singoli. Quindi la famiglia si alimenta di un tempo passato per vivere il mondo presente. Tempo non solo della famiglia ma anche il tempo precedente: 1 Tempo dei coniugi, quando non erano ancora una famiglia ma erano una coppia; 2 Tempo passato, quindi alle storie famigliari individuali; 3 Tempo futuro, ossia il tempo progettato. La famiglia di oggi a causa di una flessibilità (anche lavorativa) spesso deve cambiare il progetto che si era precedentemente previsto, sia se positivo che negativa. b) Il divenire dello spazio relazionale della famiglia: Le dinamiche che sono attivate all’interno della famiglia avvengono in uno spazio domestico, di un contesto. La famiglia e la sua evoluzione prevede uno spazio o più spazi. La dimensione per essere interpretata correttamente ha bisogno della dimensione temporale (es: conciliazione tempo lavoro). La famiglia porta educazione solo se è un sistema di relazioni, di intrecci e di scambi. La vita famigliare è condizionata dal contesto, e quel contesto quantifica l’andamento della famiglia. La vita della famiglia non è legata allo spazio domestico ma al ruolo che la famiglia ha nell’ambiente in cui vive, l’ambiente che dà e la famiglia che riceve. 3.LO STILE DELLA COMUNICAZIONE EDUCATIVA Le relazioni famigliari non hanno necessità né di una troppa rigidità, né di una indifferenza. Un modello autoritario porterà chiaramente a uno stile comunicativo che veicolerà valori diversi rispetto a un modello anarchico. Dal tipo di stile genitoriale deriva anche la trasmissione di un determinato sistema di valori. (es: schiaffo o dialogo). L’autore cita Makarenko rispetto allo stile comunicativo, e dice che lo stile si forma lentamente, bisogna avere cura e prestare attenzione. Non ci sono delle ricette, non possiamo dire che bisogna comportarsi in un determinato modo per ottenere da un giorno all’altro un cambiamento. Lo stile educativo si forma con l’impegno quotidiano dei genitori. (5) Coniugalità e genitorialità: categorie pedagogiche della vita famigliare, Luigi Pati 1. COGNUGALITÀ E GENITORIALITÀ Pati fa una distinzione tra la categoria della coniugalità da quella della genitorialità. Questa problematizzazione nasce proprio dal fatto che oggi, con il progresso, non corrisponde sempre la genitorialità alla coniugalità. Sta avvenendo, dice Pati, una frattura tra sessualità e la procreazione. Inoltre, va comparendo la categoria della genitorialità al di fuori della coniugalità a causa, dice l’autore, del progresso scientifico e tecnologico: con la maternità/paternità surrogata, con l’utero in affitto. L’autore dice che il prevalere della genitorialità al di fuori della coniugalità, in qualche modo rappresenta una visione egoistica di apertura alla vita perché è come se si negasse l’importanza della coniugalità e il valore e il peso che ha la coniugalità. L’autore sottolinea che padri e madri non si nasce ma si diventa: l’accesso alla maternità e alla paternità è il risultato dell’apprendimento. 2. LA GENITORIALITÀ DINANZI ALLE PROBLEMATICITÀ DELLE RELAZIONI FAMIGLIARI I modi di essere genitori oggi dipende da 3 questioni: - L’isolamento sociale= La famiglia oggi è una famiglia chiusa rispetto alla società, non c’è più il rapporto con la società e la famiglia si limita ad essere “semplicemente” fatta di persone che convivono. Tutto questo dipende anche da, secondo l’autore, una crisi di valori tradizionali, che ha fatto sì che si sopravvalutasse la dimensione affettiva all’interno della famiglia e sottovalutasse invece il ruolo che ha la scambio tra famiglia e società, il ruolo che la famiglia ricopre nella società e l’importanza che ha la società nel mantenimento della famiglia. Pati afferma che la coppia stenta a capire che la genitorialità non va svolta solo all’interno delle mura domestiche ma è una questione di carattere pubblico. La famiglia non deve subire ma si arricchirsi di ciò che accade nel mondo esterno. Un’altra questione che va presa in considerazione e che in qualche modo definisce la famiglia di oggi, da cui dipende la caratterizzazione della famiglia contemporanea è: - Il fatto che ci siano poche nascite = Le relazioni si sono semplificate, in genere si ha a coppia, un figlio (massimo 2). Il decremento della natalità ha forzato questa idea di separazione della coniugalità dalla genitorialità, e soprattutto l’idea che la famiglia possa essere composta dalla coppia, o comunque i componenti della famiglia siano sempre di meno rispetto a com’erano in passato. Quindi l’idea dell’autosufficienza e che nella coppia la presenza di un figlio è uno dei tanti progetti che ci possono essere. L’accesso alla genitorialità molto spesso è procrastinato per motivi soprattutto di ordine economico e, per questo motivo, si fa riferimento spesso alle biotecnologie. Un’altra questione è dice: - Lo snaturamento del modello familiare= L’autore afferma che si stanno creando molte famiglie monoparentali, famiglie ricostituite, coppie di fatto, coppie omosessuali e via dicendo. Quindi il modello di vita familiare è cambiato perché c’è stata una trasformazione anche dei sistemi di valori. Quindi ci sono nuove forme di convivenza che sviliscono l’idea matrimoniale e familiare socialmente e formalmente riconosciuta, esaltando invece la temporaneità dei legami affettivi (legata al modo di interpretare il sentimento amoroso). 3. ASPETTI DEL DISAGIO COGNUGALE E GENITORIALE Rispetto agli aspetti problematici della vita familiare precedentemente citati l’autore accosta il tema delle difficoltà coniugali e parentali: a) La crisi del sistema axiologico tradizionale: Marito e moglie sembrano incapaci di promuovere nuovi livelli di relazione, perciò di diventare genitori. Questo, dice l’autore, porta la delega delle proprie responsabilità genitoriali ad altre istituzioni formative. b) Il disagio dei genitori è dovuto anche al fatto che nel corso del XX secolo sono accaduti sconvolgimenti radicali: L’autore dice che la conquista di una certa parità tra i sessi ha messo in crisi la divisione compiti e 3. L’APPRENDIMENTO DELLE FUNZIONI EDUCATIVE PARENTALI L'apprendimento della funzione materna e paterna si attiva nel momento in cui si sta per diventare madri o si diventa padri, quindi non si nasce genitori, ma si apprende a svolgere questo ruolo. Quindi non è qualcosa di innato ma che si apprende ancora prima di iniziare, ancora prima di avere un figlio, in forza dei legami sempre più complessi che vengono intrecciati sia all'interno della famiglia sia all'esterno. In realtà si apprende anche da bambini, nello sguardo che si ha nei confronti dei propri genitori. Quindi l'apprendimento dell'essere padre o madre non è legato all’evento in sé della nascita di un figlio ma è un processo che inizia molto prima. L'idea di genitorialità inizia a strutturarsi quando si diventa coniugi e Il legame del partner spinge verso la voglia di diventare genitori nel momento in cui c'è tra i coniugi il riconoscimento, dice l’autore, del valore dell'altro. È sul riconoscimento reciproco che la coppia si trasforma in una coppia di genitori, o almeno al momento di aspiranti genitori. Il riconoscimento porta anche al individuazione della peculiarità, dice l'autore, della funzione materna e paterna. Questo riconoscimento all'interno della coppia porta alla differenza del contributo che può dare ciascuno a partire dalla propria identità di genere. Questo passaggio che si stabilisce all'interno della coppia tra donna e uomo è il momento in cui si decide il passaggio dall’idea di coppia a quella di famiglia, ciò segna ciascun componente della coppia che si assume la responsabilità verso l'altro, verso la famiglia, e verso il nuovo nato. In questo riconoscimento l'autore distingue una componente comunicativa non verbale per quanto riguarda la madre (quindi utilizza il corpo ma anche la manifestazione affettiva, l’empatia) è una componente comunicativa verbale per quanto riguarda il padre ( tende a mostrare un atteggiamento più di distacco). In realtà questa distinzione ormai vecchia è un modo di decidere la genitorialità che è superata con i cambiamenti che sta vivendo e ha vissuto la famiglia, e poi questo modo di ragionare non è in linea con la pedagogia della famiglia contemporanea. I nuovi padri stanno cercando nuove forme di comunicazione con i propri figli, uno stile differente di relazionarsi dettato da una serie di elementi di fattori di tipo sociale culturale. Diventare genitori significa aver desiderato di esserlo, aver desiderato dei figli. Rispetto a questo tema, Pati porta alcune testimonianze. Prima fase: Il desiderio di un figlio. Il desiderio, secondo l'autore, si afferma nel momento in cui è una coppia ad aver preso consapevolezza di aver dato inizio ad un camino. Quindi la progettualità come elemento di base della coppia. Il desiderio nasce nel momento in cui nella coppia scaturisce il bisogno di realizzare un progetto che è comune e che prevede l'accoglienza di qualcuno di diverso da sé. Questi motivi che conducono al desiderio di maternità e di paternità possono essere di diverso ordine psicologico, sociale, culturale. Seconda fase: L’attesa. Nel tempo dell’attesa si viene a maturare il senso della paternità e della maternità. Il figlio, che è stato desiderato, sollecita la donna e l’uomo anche a pensare come accoglierlo. In questa fase d’attesa si definiscono ancora di più le differenze tra l’uomo padre e la donna madre, per il primo l'attesa è fatta di attenzione razionale per quello che sta per accadere, la sicurezza di tipo materiale, per la madre invece l'attesa è segnata invece da altri aspetti legati più alla fisicità. Chiaramente, dice l'autore, questo senso dell'attesa cambia nel caso dell'adozione. Terza fase: La presenza del figlio. Quindi quando c’è l’incontro con il figlio. Qui la funzione educativa paterna e materna subisce un altro cambiamento ossia diventa importante quello che fanno sia il padre che la madre poiché devono diventare delle figure educative. È in questo momento che la coppia inizia a confrontarsi sul ruolo che hanno rispetto alla bambina o al bambino e quindi alla loro funzione educativa. L’autore parla di dinamismo formativo perché è un processo continuo e costante fatto di intenzionalità perché è presente in ogni gesto del genitore. In questo, dice Pati, ci deve essere una reciproca disponibilità ad accogliere l’altro, ad accogliere le scelte educative, ad arrivare ad una mediazione. Questo è un momento importante che ha delle ricadute poiché implica dei comportamenti anche da mettere in atto quotidianamente e costantemente. 4. IL DIVENIRE DELLA PATERNITÀ E DELLA MATERNITÀ L’autore dice che anche la genitorialità è contraddistinta da un permanente divenire. La genitorialità è una funzione che si precisa nel tempo e poggia in un processo di permanente apprendimento fra i due soggetti interessati. Il rapporto di coniugalità è importante perché l'uomo diventi padre e la donna diventi madre e quindi ci deve essere “una razionale contrattazione” che è data dal riconoscimento del ruolo dell'altro. Non esistono delle ricette su come è giusto comportarsi ma piuttosto ci deve essere una scelta che deve essere continuamente condivisa e deve essere frutto di una contrattazione razionale che ha alla base un sistema di valori e un’idea anche di individuo che si vuole che sia il proprio figlio. Quindi, il divenire della genitorialità, scrive l’autore, poggia prima su un progetto di coppia e poi un progetto familiare che viene pensato e successivamente costruito quotidianamente dai coniugi. Quindi ciò che guida il comportamento dei genitori è il progetto che hanno e che hanno pensato, prima come coniugi e poi come famiglia. Quindi c'è anche l’intercambiabilità, ci può essere una circolarità, è importante che ci sia questo dinamismo che deve essere funzionale al progetto e non deve dimenticare il progetto che ha la famiglia. Questo dinamismo è dato dal fatto anche che le scelte sono continue e sono legate a come cambiano le esigenze dei figli. Alla coppia, dice Pati, spetta il compito di avere dei ruoli comunicativi diversi da applicare con i figli, di avere una specificità. Quindi la riflessione pedagogica serve per rendere più chiari gli orientamenti educativi, aiutare i genitori a chiarire e a definire meglio quello che loro già hanno e quindi quei principii, quelle regole, le indicazioni che sono vicine al livello valoriale che hanno assunto. La funzione genitoriale si esplicita con il sostegno della pedagogia della famiglia, ma allo stesso tempo la funzione genitoriale è una competenza di natura educativa poiché svolgere la funzione di genitore significa essere educatori. Non c'è una ricetta ma bisogna aiutare i genitori a riconoscere le risorse che già hanno confrontandosi con gli altri genitori perché c'è quell'apertura che Pati ritiene fondamentale. 5. LA DIMENSIONE DIALOGICA DELLA PATERNITÀ La riflessione pedagogica sottolinea il ruolo della paternità perché ci deve essere una disponibilità all'apertura, una disponibilità a modificare il proprio ruolo di relazionarsi. Per l’esercizio della propria funzione educativa è necessario che il padre dia un apporto particolare alle regole che governano la famiglia e la coppia deve elaborare un modello di relazione interpersonale modificando il dialogo al succedersi dei tempi di accrescimento del figlio, all'evoluzione dello spazio familiare. È chiaro che la visione che si ha della paternità e della mascolinità ha fatto sì che in qualche modo si immaginasse il padre come colui che decide in modo definitivo quello che deve essere la sua famiglia e le scelte dei componenti della famiglia, l’autore invece sottolinea come la funzione del padre sia una funzione importante che deve caratterizzarsi per questa capacità di destrutturare e ristrutturare la relazione, il dialogo sia con la moglie che con i figli. Quindi non quell’atteggiamento autoritario ma anzi una figura di padre che si mette in discussione, che lavora sulla relazione interpersonale, che è attento ai tempi di crescita del figlio e che è pronto anche a rivedere il modo con cui dialoga. Questo comporta che la funzione educativa del padre si esplicita nel momento in cui c'è un adattamento alle diverse situazioni, alle esigenze della famiglia e alle diverse situazioni familiari. Per il padre non si tratta di uniformarsi a un ruolo sociale assegnatoli è chiamato a fare appello alla propria disponibilità, a crescere nel tempo come padre (ottica del dinamismo). L’autore riporta una ricerca sulla figura paterna e su come deve essere immaginata da alcuni giovani universitari (settanta studenti con l’età tra i 20 e i 22). Li fu somministrato un questionario sulle caratteristiche ideali del buon padre e venne fuori da questa ricerca la capacità comunicativa, la maturità personale, la consistenza etica e l'esercizio democratico dell’autorità, quindi quella capacità alla fine di sapersi confrontarsi arrivare ad una soluzione condivisa delle scelte come elemento caratterizzante la paternità. 6. ACCORDI DI COPPIA E CIRCOLARITÀ DELL’EDUCAZIONE L’autore ritorna alla necessità della coppia di trovare una mediazione e dice che dal, punto di vista pedagogico, la riflessione sulle funzioni educative dei genitori deve essere frutto di accordi di coppia che prevedono una suddivisione di compiti e di azioni, ma anche di continua ridefinizione della relazione tra i genitori, tra i genitori e figli e tra famiglia e ambiente. Questo perché può emergere la funzione educativa dei genitori nel momento in cui la relazione tra genitori è segnata dalla reciprocità e del feedback educativo che vede anche la partecipazione del figlio. Il feedback dei figli permette una ridefinizione continua nell’ottica del dinamismo, ridefinizione continua della genitorialità. Questo avviene in una prospettiva sistemico relazionale. Quindi una figura importante in questa ridefinizione della genitorialità è rivestito proprio dal figlio, è il figlio che ha una funzione educativa anche se non intenzionale ma aiuta nel processo formativo dei coniugi alla paternità e alla maternità, cioè con il loro feedback permettono ai genitori di ridefinire culturalmente la loro relazione. In breve il feedback può contribuire a ridefinire meglio l'azione educativa dei genitori. Questo sottolinea come all'interno della famiglia venga messo in atto un processo di auto e di etero formazione e come ogni componente ha una funzione educativa. Esiste, dice l'autore, una reciprocità educativa familiare a prescindere dal fatto che il feedback che restituisce sia intenzionale o meno. E quindi il modo con cui i genitori si relazionano tra di loro e nel modo in cui i genitori si relazionano con gli stessi figli possono contribuire a modificare lo stile comunicativo. Quindi si stabilisce, dice Pati, fra genitori e figli una relazione collaborativa, un apprendimento reciproco tra le relazioni e nelle relazioni. 7. DAI RUOLI ALLE FUNZIONI EDUCATIVE L’autore propone due riflessioni rispetto alla pedagogia della famiglia: a) Secondo alcuni pedagogisti la famiglia è un’entità psico-sociologica statica. Questo ha portato però all’identificazione statica e rigida delle competenze educative e parentali. Parsons attribuisce un ruolo “espressivo” alla madre ed un ruolo “strumentale” al padre; b) Negli anni 60/ 70 funzione è stato messo in discussione il concetto di ruolo dei genitori e ruolo della famiglia, e si è sottolineata l'importanza invece della non direttività. (7) Il gruppo di fratelli come luogo di educazione, Luigi Pati Dagli anni 60 in poi al matrimonio non corrisponde sempre la nascita di un figlio. Questo l’autore lo definisce un vero e proprio egoismo di coppia sempre più crescente. I dati ISTAT 1990 ad oggi confermano che figli per coppia sono circa massimo 1 o 2. L’autore, quindi, riporta la posizione della pedagogia familiare rispetto a questo processo di denatalità. 1 LA PEDAGOGIA FAMILIARE DI FRONTE AL CALO DELLE NASCITE Sono quindi descritte diverse conseguenze date dal calo delle nascite: a) Invecchiamento della popolazione: Ci sono più anziani che bambini e questo, secondo Pati, può provocare una conflittualità tra le generazioni. b) Il crescente numero dei figli unici: Pati questo punto lo descrive in maniera negativa perché dice che i genitori, nei suoi confronti del figlio, hanno comportamenti di iper-protezionismo sia materiale, viziandolo, sia psicologico. Questo, dice, comporta problemi educativi, tra cui quello del “primogenito perpetuo”: ossia il più piccolo, essendo viziato sia affettivamente sia materialmente, è egoista sia nel mondo interno che esterno. Inoltre dice che questo punto porta anche alla quasi assenza di cugini di età simile o uguale con i quali vivere esperienze insieme. scuola e riservando attenzione all'educazione extrascolastica. La famiglia, quindi, fa da regia nella gestione delle relazioni del tempo da dare alla scuola e alle altre agenzie educative, ma un tempo che va dato perché la famiglia non deve ritenersi autosufficiente. Il secondo presupposto è identificabile nell’esigenza della progettualità educativa, quindi il coinvolgimento della famiglia nell’elaborazione dei progetti da parte delle varie realtà scolastiche ed extrascolastiche in modo che ci sia, diceva Frabboni, coerenza educativa. Questo perché il progetto educativo portato avanti dalla famiglia deve essere condiviso e sostenuto e in molti casi anche arricchito dall'istituzione scolastica e da tutte le altre agenzie educative. La coerenza educativa ci deve essere ma nel momento in cui c'è una progettualità condivisa, cioè quando la famiglia entra nella progettualità. Il terzo presupposto è dato dalla tutela della specificità istituzionale rispetto agli obiettivi perseguiti. La formazione ha determinati valori che sono condivisi, poi ciascuna istituzione raggiunge quella finalità attraverso obiettivi differenti nel rispetto della specificità dell'istituzione. Il quarto presupposto scaturisce dalle modalità comunicative che servono per armonizzare le diverse realtà. Paolo Orefice scrive che l’offerta educativa non può essere contradditoria rispetto alle figure adulte di riferimento. 3. LA FAMIGLIA SNODO VITALE DELLA RETE EDUCATIVA Nel testo è utilizzato il concetto di rete dall’autore, questo perché lo scambio rimanda alla relazione tra le parti, quindi la rete fa pensare a istituzioni che sono in relazione tra di loro, che agiscono e che intervengono con relazioni reciproche. Quindi la rete educativa va intesa come una rete interistituzionale ed anche interumana dove ci sono forme di sostegno che vanno ad arricchirsi e a sostenersi reciprocamente. La rete, quindi, come dice l’autore, è intesa come occasione di collaborazione tra varie realtà presenti sul territorio. Una rete di questo tipo, dice l’autore, fa riferimento un antropologia di stampo personalista, quindi deve avere una base di tipo valoriale ossia la ricerca del bene comune. Questa rete per formarsi deve avere un sistema di valori che garantiscono l’essere umano e quindi il benessere della comunità. Quindi, dice l’autore, deve essere un'antropologia che deve vedere il benessere personale e il benessere comunitario. Altro elemento legato alla idea della rete educativa va concepita in riferimento al mondo socioculturale in cui si struttura. Quindi la rete educativa non può essere legata soltanto alle istituzioni ma deve essere qualcosa che deve essere alimentata da una cultura diffusa. Quindi una cultura appartenente al territorio e a tutte quelle realtà “aggregative”, e non solo alle istituzioni. La famiglia deve porsi, dice l’autore, come lo snodo vitale della rete educativa, significa che deve interrogarsi circa la possibilità che si delinei come un luogo idoneo per permettere alle varie istituzioni di operare in modo originale mantenendo però la sua specificità. Quindi si costituisce come perno grazie alla compresenza delle istituzioni che sono stimolate ad agire in diverse direzioni. La prospettiva del personalismo pedagogico permette di considerare la famiglia come sistema di legami non statico, rigido, ma dinamico e vitale. Le relazioni che esistono tra i coniugi, tra i genitori e figli, tra i figli, tra le diverse generazioni fanno della famiglia un luogo esclusivo per la crescita della persona. La famiglia per poter vivere deve essere in continuo scambio con l’ambiente. 4. PER UN PROTAGONISMO FAMIGLIARE L’autore sottolinea l’importanza della famiglia e di come sia importante superare la chiusura che oggi la caratterizza poiché ritiene di essere autosufficiente rispetto alla comunità. La famiglia è il luogo primario dell’educazione e il rapporto tra famiglia e le altre istituzioni oggi risulta essere problematico poiché comporta una continua rinegoziazione dei doveri, dei diritti, delle prerogative e delle competenze. La famiglia risente molto della instabilità relazionale diventando sotto certi aspetti anche poco credibile come agenzia formativa promotrice di una comunità educante a una comunità che promuove l'umanizzazione dell'uomo e della donna. La famiglia vive un momento di instabilità, la famiglia stessa è segnata dalla liquidità dei legami e quindi diventa oggi difficile per la Pedagogia aiutare la famiglia a riconquistare il suo ruolo nella comunità. (9) Il rapporto tra la famiglia e asilo nido all’insegna dell’educazione, Monica Amadini Il nido e i servizi educativi sono luoghi colmi di possibilità educative per chi li frequenta. Il nido è il primo luogo extra-familiare che il bambino vive e conosce. 1 LA SFIDA RELAZIONALE NELL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONALITÀ EDUCATIVA Molti sono stati gli studi che hanno permesso al nido di diventare un posto di cura (non custodia) e di esperienze. Basti pensare anche a tutti gli studi riguardanti il momento dell’accoglienza e i momenti routinari che si svolgono all’interno di questo servizio in grado di realizzare un incontro sia tra bambini ed educatori ma anche tra adulti educatori. Quindi questi nuovi studi hanno prestato maggiore attenzione anche al rapporto tra educatori e genitori, all’insegna di quella che verrà chiamata “co-costruzione educativa”. Questo rapporto è importantissimo perché i genitori avendo in cura i figli per la maggior parte del tempo possono, con le loro narrazioni vissute in casa o fuori casa, permettere agli educatori di conoscere caratteristiche dell’identità che non sono visibili della storia del bambino permettendo quindi di proporre degli stimoli educativi più interessanti e che suscitano maggiore curiosità. 2 UN SERVIZIO A SOSTEGNO DELLA GENITORIALITÀ Il rapporto tra educatori e genitori oltre a portare benefici nei bambini, porta benefici anche nei genitori sostenendoli. I genitori spesso si trovano immersi in questo mondo, che per loro è nuovo, ed è quindi possibile essere sostenuti anche dal nido. Il nido rende possibile la consapevolezza che i genitori possono permettere lo sviluppo delle potenzialità educative e relazionali nei figli. La relazione con gli educatori del nido permette quindi un percorso di formazione dei genitori. L’alleanza tra educatori e genitori va sostenuta sin dall’inizio. La famiglia deve quindi essere aiutata ad esercitare responsabilmente il proprio ruolo educativo. 3 IL NIDO NELLA PROSPETTIVA DELLA COMUNITÀ EDUCANTE: UN CANTIERE APERTO L’alleanza tra educatori e genitori porta benefici sia ai bambini che ai genitori, ma anche al servizio stesso. Il nido è una comunità educante che si modifica con il tempo, è dinamica, aperta al cambiamento e al mondo esterno. Sia i genitori che gli educatori che i bambini, come dice la Teoria Generale dei Sistemi, vivendo comunque nella società subiscono per primi il cambiamento che però poi deve attuarsi nel servizio educativo. È quindi fondamentale cogliere attivamente i cambiamenti per poter intervenire. Nel testo l’autrice fa un esempio rispetto all’importante momento educativo che può dare un incontro interculturale all’interno del nido. Si possono conoscere diverse culture, diverse religioni, diverse idee genitoriali ecc.… tali da poter creare quel pensiero nomade e migrante e l’accoglienza dell’altro. L’autrice, quindi, pone al centro le relazioni come elemento fondante del nido. Inoltre l’autrice, riprendendo Carl Rogers, dice che l’educatore deve proporre una relazione come rispecchiamento e conferma, ossia una relazione non è direttiva ma che accoglie il punto di vista del bambino mettendo da parte il proprio. 4 COSTRUIRE L’ALLEANZA EDUCATIVA TRA NIDO E FAMIGLIA: PRATICHE DI DIALOGO TRA CULTURE EDUCATIVE Quindi, l’alleanza che c’è tra educatori e genitori permette di costruire un rapporto di fiducia. Il legame tra genitori e personale educativo costituisce il sostegno del percorso di esplicazione e messa in comune delle rispettive culture educative. La relazione tra i genitori e gli educatori non deve essere solo presente in momenti informali, quindi nel momento dell’accoglienza, nel momento in cui vanno a prende i figli, ma anche in momenti formali e strutturati. Alcuni momenti strutturati possono essere colloqui, festicciole, eventi, per esempio, di lettura ecc.… dove, dice l’autrice, si possono conoscere e condividere storie, pratiche e saperi. Gli educatori, quindi, devono essere in continuo dialogo con le famiglie definite linfa vitale per far maturare il servizio. Già dagli anni 90 ci sono state norme regionali che hanno permesso la partecipazione dei genitori nel nido inteso come comunità educante. 5 E IL BAMBINO? Il nido inteso come comunità educante vede sempre e comunque il bambino al centro del progetto. Grazie agli strumenti metodologici che utilizza l’educatore (progettazione, osservazione verifica-valutazione) i genitori possono capire e conoscere tutte le competenze dei propri figli. Importante è quindi la dimensione partecipativa perché il bambino è un soggetto competente e non una tabula rasa come diceva Gardner. Un bambino che vive l’esperienza di un nido inteso come comunità educante dove c’è la partecipazione anche dei genitori può mettere in atto l’esercizio bene comune. (10) La formazione docente per la co-costruzione di nuove reti con la famiglia, Paolina Mulè Oltre all’importanza della partecipazione della famiglia nel servizio educativo è importante anche la formazione del docente sulle competenze principali da possedere per rendere possibile il far vivere esperienze educative nei bambini. 1 LA DIMENSIONE STORICO-TEORETICA La figura del docente è stata sicuramente condizionata dalla “cultura” del ventennio fascista passando solo come formatore duro di una ideologia dominante e tirannica. In quel ventennio la scuola non era libera ma selettiva e centralista. Nella metà del ‘900 (1945), Washburn, allievo di Dewey, cercò di rinnovare la scuola italiana eliminando quell’impianto burocratico e fascista, ma i suoi documenti non furono mai approvati. Nei suoi documenti era presente la figura del rappresentante dei genitori, ritenuto centrale per la co-costruzione educativa degli studenti, ma anche il consiglio di direzione e l’assemblea degli insegnanti con i genitori. Washburn quindi fu il primo a parlare di scuola come comunità sociale dove genitori e insegnanti concorrevano al raggiungimento di obbiettivi comuni ossia il benessere degli studenti e promuovere un educazione libera. Questo modello non è stato facile per l’italiani implementarlo perché ricordiamo che c’era stato sino a qualche anno prima il ventennio fascista e l’idea di base era che la famiglia nonostante dovrebbe in grado di educare non è detto che lo sappia fare per davvero. Questo modello organizzativo di scuola intesa come comunità educativa ha portato nuovi compiti sia a livello didattico curriculare e organizzativo sia rispetto alla gestione della relazione con i genitori e con le altre agenzie educative (continuità orizzontale e verticale). Però, dice l’autrice, i docenti sono stati immersi in quest’ottica senza strumenti e sostegni formativi, senza corsi di formazione (che dopo citerà). E difatti a distanza di anni si può notare come nella scuola italiana non c’è ancora una vera partecipazione attiva dei genitori. 2 I MODELLI DI RIFERIMENTO Rispetto ai modelli pedagogici del 1900 in poi grazie ai Decreti Delegati si inizia a sentire aria di rinnovamento scolastico rispetto alle relazioni con scuola-famiglia ma anche con scuola e agenzie educative (formali e informali) con una finalità comune, ossia rinnovare i metodi dell’insegnamento. Negli anni 70 quindi si inizia a parlare di comunità educativa ed educante, e successivamente, negli anni 90 circa, si parla di scuola come sistema formativo integrato. Con i decreti delegati del 1974 la scuola si trasforma in un sistema aperto, ossia si inizia a progettare la scuola nella prospettiva della learning organization. Ciò sta a significare che tutti coloro che fanno parte del servizio educativo devono curare e prestare attenzione all’educazione dei bambini. Anche la riforma Berlinguer presterà attenzione al legame Immaginare gli studenti e le famiglie come clienti esterni significa dare dell’istituzione scolastica una visione riduttiva. L’azione educativa è al servizio dello studente, lo studente non è soltanto un cliente ma è un cittadino che va accompagnato nel suo percorso e questo ce l’hanno insegnato Dewey, Montessori, De Croix, Agazzi, Freire. Quindi deve essere accompagnato, nell’esercizio dei propri diritti e dei propri doveri, a vivere in una società che sia rispettosa dell’umano. 2. L’EDUCARE: UN TERRITORIO DAI CONFINI LABILI E UN PROCESSO DAGLI ESITI INCERTI L’autrice afferma che quello che va recuperato della relazione tra famiglia e scuola è proprio l’idea della relazione che si stabilisce tra docenti e famiglia. Ma non solo, va anche recuperata la motivazione di questa relazione, vale a dire che entrambi devono ricordarsi che sono attori nella formazione dell’alunna e dell’alunno, cioè contribuiscono sia la famiglia che la scuola nella formazione dell’individuo, ed è questo l’elemento che manca. Quello che unisce queste due istituzioni è l’idea della formazione delle nuove generazioni, e questo processo formativo coinvolge una serie di aspetti che si intrecciano tra di loro legati a questioni di ordine culturale, economico, sociale. Quindi occorre che si definiscano i compiti e le responsabilità che hanno i docenti e i compiti che hanno le famiglie. La scuola ha una funzione di natura sociopolitica, la famiglia invece ha una attenzione più verso l’aspetto sociale e affettivo. La scuola forma il cittadino. La famiglia invece è quella istituzione che promuove la socializzazione e il processo di inculturazione. Nella famiglia si apprendono quei valori e saperi che sono legati alla comunità, a cui appartiene il bambino o la bambina. Questi 2 processi sono importanti per garantire un primo inserimento dell’individuo nella società. La funzione della scuola va a rafforzare quanto ha fatto la famiglia, se il processo educativo portato avanti dalla famiglia è un processo coerente con quanto previsto dalla scuola. Nel caso in cui ci sono delle incongruenze è chiaro che la scuola ha la funzione di intervenire. Quindi è importante: la corresponsabilità tra famiglia e scuola. Sul testo c’è anche una citazione in spagnolo che dice: Riguardo ai genitori non si sa fino a che punto è corretto “invadere” il terreno professionale dei docenti. Bisogna pensare ad una soluzione rispetto a questo concetto creando una specie di “filtro” che ci dica cosa è giusto fare e cosa non lo è. 3. QUALE CORRESPONSABILITÀ TRA FAMIGLIE E SCUOLA? Il coinvolgimento parentale nella vita della scuola porta a benefici sia per lo studente che per i genitori e porta benefici anche per la scuola e per la comunità. La famiglia oggi rappresenta sempre più, dice l’autore, lo spazio del noi, quelli che condividono lo stesso sguardo sulla realtà. La scuola è invece il luogo dove si scoprono altri punti di vista dove si apprende e si convive anche con gli altri. Quindi, mentre la famiglia incarna la dimensione dell’affettività, la scuola incarna invece l’autorità, la norma impersonale. Quindi sono 2 istituzioni che sono strutturalmente diverse che hanno anche dei riferimenti normativi differenti. Tuttavia, sono istituzioni che condividono il processo di socializzazione primario e secondario dell’individuo. Oggi si parla di corresponsabilità educativa, famiglia e scuola sono chiamate entrambe a rispondere al bisogno di crescita dell’individuo. L’autrice mette in evidenza il significato della parola RESPONSABILITA’: respons-abilità, quindi dare delle risposte che richiedono però la capacità di osservare, di immaginare il progetto, di cogliere i bisogni del figlio (nel caso della famiglia) e dello studente (nel caso della scuola). Una progettualità educativa deve fondarsi sula corresponsabilità fra scuola e famiglia e quindi devono essere in sintonia, la proposta formativa dell’una deve andare a completare la proposta formativa dell’altra ed entrambe però devono essere dominate dall’intenzionalità educativa. Com’è possibile garantire la corresponsabilità? L’autrice parla della: - Necessità di un quadro normativo chiaro che definisca chiaramente cosa è la responsabilità, come agire, cioè quali sono i tempi, che cosa bisogna fare, quali strumenti bisogna utilizzare, quindi che scelte nel concreto; - Prevedere percorsi formativi sia per genitori che per docenti che promuovano le competenze necessarie per la pratica della co-responsabilità; - Prevedere forme diverse di partenariato con le famiglie per garantire il coinvolgimento delle famiglie nell’attività scolastica. Affinché la responsabilità diventi lo sfondo del rapporto scuola-famiglia, è auspicabile che le persone chiamate a collaborare agiscano in maniera costruttiva e quindi: - Siano motivate alla partecipazione; - Abbiano una buona conoscenza di sé e quindi personalità, stili comunicativi, habitus, convinzioni, un sistema axiologico; - Abbiano competenze comunicativo-relazionali; - Capacità di mediazione; - Conoscenza del linguaggio e della cultura dell’istituzione. Quindi tutte queste competenze devono caratterizzare il profilo professionale del docente o anche del dirigente. Spetta al dirigente il compito di promuovere queste iniziative finalizzate alla corresponsabilità educativa. Tutto questo fa sì che si superi l’idea del genitore come cliente esterno insieme allo studente e del docente come cliente interno e che si crei un rapporto di reciprocità asimmetrica tra famiglie e docente. 4. PER NON CONCLUDERE Quello che dice ancora per concludere l’autrice, è che è difficile oggi comunque dare dei riferimenti, i cambiamenti che sta attraversando la famiglia così come le istituzioni scolastiche sono tanti. La fenomenologia familiare parla di realtà che anticipano addirittura i cambiamenti legislativi. La scuola vive invece nel passato, non prevede invece l’esistenza di una fenomenologia, non riesce ancora a riconoscere i cambiamenti che stanno avvenendo all’interno della famiglia, cambiamenti di vario tipo: culturale, di tipo anche sociale, cambiamenti di natura economica. Quindi le famiglie è come se abitassero nel presente e anticipassero il futuro. (12) L’incontro educativo tra famiglia e servizi per l’infanzia, Fabrizio Manuel Sirignano Nella parte introduttiva del saggio di Sirignano si sottolinea come sia difficile riuscire a parlare oggi dell'istituzione famiglia anche dal punto di vista educativo questo perché ci sono delle criticità. Siringano quindi elenca queste criticità: La criticità epistemologica in quanto la famiglia va letta come sistema che è in continuo cambiamento. Per cui quando si studia la famiglia lo si fa per poter immaginare un intervento e poi per realizzarlo. Occorre intrecciare tra di loro una serie di elementi, innanzitutto considerare la famiglia come sistema con la capacità di ragionare su più livelli. La criticità dell'oggetto indagato, la famiglia ha una pluri-identità. La famiglia stessa rappresenta una istituzione con una identità complessa, che rende difficile qualsiasi forma di lettura si voglia fare e anche di intervento. La criticità legata al Focus osservativo, quindi la criticità del aspetto educativo. La famiglia si presenta oggi come una dimensione che presenta una serie di criticità per le trasformazioni che sta subendo essa stessa, per il ruolo che sta assumendo all'interno anche della società e poi nella relazione che ha la famiglia con le altre istituzioni. Se vogliamo affrontare queste criticità non dobbiamo considerarle singolarmente ma “Pensare Insieme”. 1 FAMIGLIA ED EDUCAZIONE: IMMAGINI CORRELATE Dobbiamo partire dal presupposto, dice Sirignano, che la famiglia deve essere vista in continuità. Bisogna partire dalla famiglia e immaginarla come istituzione legata al territorio e che interagisce con il territorio. Quindi come istituzione che interviene, cambia, ma anche subisce cambiamenti. La dimensione educativa è qualcosa che appartiene alla famiglia. Portiamo la nostra esperienza come figli, abbiamo come riferimento i nostri genitori, agiamo così come siamo all’interno della nostra famiglia, quindi ogni cosa che facciamo ha una prospettiva futura. La famiglia non nasce quando si è coppia o quando si ha un figlio ma lentamente, anche prima di essere coppia. Si compiono scelte educative anche quando facciamo una scelta lavorativa. L’immagine ideale che i soggetti hanno della famiglia potrebbe condizionare il tipo di relazioni che si vengono ad instaurare. Le scelte di vita della famiglia consentono a ciascuno di avvicinarsi alla propria immagine ideale di “famiglia”. Questa costruzione non è fissa, anzi c’è il dinamismo, si parla di cambiamenti intra-familiari (es: regime alimentare o religioso). Anche il fatto di essere genitori, quando si entra a scuola nel momento in cui ci si confronta con gli insegnanti e con gli educatori, porta cambiamenti intra-famigliari. Quindi, il cambiamento è continuo ed è legato appunto all’immagine che si ha della famiglia. Cita Morein quando dice che lo sguardo dell'educazione permette di osservare oggi come cambiano le famiglie e come è cambiato anche lo stile educativo. Ci sono poi le teorie dell'educazione che permettono anche di capire come l'immagine che si ha della famiglia può influenzare il giudizio sulla funzione educativa svolta. Quindi si ha un'immagine della famiglia come luogo di cura, luogo importante di riferimento anche per la crescita dei più piccoli. Quindi è interpretata come un organismo sociale all'interno del quale o si è educatori o si è educati. Lo sguardo che lui dà è duplice: da una parte la famiglia che è chiusa in sé stessa è che si occupa alla cura dei nuovi nati, e lo fa nei termini della protezione, e l’altro sguardo invece vede la famiglia che si apre al territorio. Sirignano immagina la funzione della famiglia come un istituzione che si occupa di fare educazione quindi di trasmettere valori che sono funzionali e poi alla partecipazione attiva. 2 IL PROGETTO EDUCATIVO FAMILIARE NELLA SOCIETÀ COMPLESSA Le scelte che si fanno all’interno della famiglia nascono in un sistema culturale e sociale, ma anche politico-amministrativo già ben definito. Quindi nelle scelte che fanno i componenti di una famiglia, un condizionamento importante è dato anche dal contesto, per questo sulle scelte della famiglia ricadono diverse variabili. Le variabili che agiscono sono: la dimensione sociale e culturale, la condizione economica e lavorativa. Anche se nel immaginario comune i media non hanno nessun peso nel progetto educativo, in realtà dice l'autore i media condizionano gli stili genitoriali. Fa paura l’idea che i media possano rendere schiavi i bambini e che i genitori non possono difenderli. Bakan dice che: i genitori perderanno sempre più la possibilità di difendere i propri figli dai media poiché potranno scegliere di darli da mangiare sano ma le corporation, attraverso la pubblicità, promuoveranno sempre cibo poco sano. Quindi i media e le strategie dice di marketing hanno un ruolo, sono importanti nella costruzione delle nostre scelte. Noi possiamo anche fingere che sono i genitori e la scuola a contribuire alla formazione ma nel momento in cui le scelte genitoriali vanno verso una direzione e i prodotti che sono promossi dai media vanno dall’altra non possiamo ignorare il ruolo che hanno i media nella nel processo educativo. È importante qualsiasi progetto educativo parta dal tutelare le famiglie rispetto a messaggi dei media e chi opera come educatore deve informare le famiglie sulle ricadute che possono avere i media. Progetto politico e progetto educativo devono andare insieme, ci deve essere un’attenzione che deve essere a lungo termine ma anche a breve termine. L'autore dice che non è che bisogna ricordarsi della famiglia il giorno del “Family Day”, oppure attraverso delle azioni sussidiarie (che non è nemmeno sufficiente). Ogni intervento deve essere pensato a breve, medio e lungo termine, con l'idea che la famiglia bisogna comune responsabilizzare la famiglia rendendola un soggetto istituzionale. Sul testo ci sono alcune riflessioni: PRIMA RIFLESSIONE: È compito degli enti locali, rifacendosi alle indicazioni nazionali e in interdipendenza con la società civile, amministrare le politiche famigliari con norme e interventi a favore di un maggiore bene comune. SECONDA RIFLESSIONE: Le famiglie devono essere al centro del progetto politico. La divisione dei poteri permette alla comunità locale la gestione delle famiglie dando politiche a loro favore. Lo Stato, sotto il consiglio delle famiglie, deve redimere solo le leggi-Quadro. TERZA RIFLESSIONE: Bisogna avere una maggiore presenza di strutture educative ed anche una maggiore varietà di quest’ultime. Questi servizi educativi devono concorrere al bene comune e finalità comuni coinvolgendo le famiglie e le varie agenzie. Questo permette di cambiare la tenenza famigliare in due modi: 1) Modificare i metodi pubblici nel campo socio-educativo e assistenziale: Bisogna prestare attenzione ai bisogni locali, quindi si devono creare servizi territoriali che siano attenti alla famiglia e le sue trasformazioni; 2) Collegare i servizi pubblici con gli interventi non istituzionalizzati: Per qualsiasi famiglia in difficoltà è più semplice rivolgersi ai parenti che rivolgersi ai servizi pubblici. Quindi si deve favorire l’iniziativa del privato sociale, perché l’ente pubblico non deve fare tutto. 4. L’EDUCAZIONE AL MATRIMONIO E ALLA FAMIGLIA L’autore auspica una preparazione al matrimonio e alla vita familiare che sia gestito dallo Stato e dagli enti locali ed elenca una serie di motivi: Il primo motivo. Lo Stato deve educare le nuove generazioni a progetto di vita personale prestando attenzione ai diritti e ai doveri morali e sociali che si attuano quando si crea una famiglia. Secondo motivo. Bisogna educare la famiglia a rispettare il rito civile del matrimonio, senza lasciarlo solo nella sfera privata perché ha un ruolo sociale che deve essere riconosciuto. Terzo motivo. Lo Stato deve rispettare i desideri della popolazione educandoli al matrimonio. Desiderio perché ci sono state molte indagini nel campo che hanno verificato che il matrimonio nelle persone è il desiderio cardine da raggiungere. L’educazione dei giovani al matrimonio e alla famiglia. Nel nostro paese non esiste un educazione alla future famiglie. L’autore propone che in campo universitario prendendo un gruppo di giovani studenti universitari li si chieda a frequentare corsi di formazione per fidanzati che portino al matrimonio e alla creazione di una famiglia. Finalità dei corsi per fidanzati. Bisogna educare i ragazzi che questi corsi non vanno visti come obbligo per poi sostenere il grande passo, ossia il matrimonio, ma comunque aiutarli a creare un futuro progetto. L’organizzazione dei corsi. Bisogna prevedere degli incontri con uno specialista che cerca di mettere in risalto tutto ciò che può convenire al perfezionamento del loro legame. I contenuti del corso. I contenuti del corso devono porre in rilievo i valori di umanità fondamentali per creare un unione. Si possono progettare corsi di primo e secondo livello, il primo livello che faccia leva sulla scelta matrimoniale e familiare e il secondo che riguardi il rapporto di coppia. In questi corsi ai partecipanti vanno fatti conoscere i suoi diritti e doveri come futuro soggetto parte della famiglia. L’educazione degli adulti al matrimonio e alla famiglia. Bisogna istituire, dice l’autore, vere e proprie scuole per genitori con educatori dotati di requisiti pedagogici. Gli ci sono alcuni settori che operano in campo psicologico e terapeutico Una scuola per genitori organizzata secondo ferme direttive pedagogiche. Bisogna propagandare una cultura pedagogica per le famiglie informandoli sia sulle difficoltà ma soprattutto della bellezza dell’educare. Far comprendere che la formazione dei figli è compito primario dei genitori. Favorire la messa in comune di problemi concernenti la vita familiare. Spesso i genitori pensano che i problemi riguardino soltanto la loro famiglia. Perciò bisogna creare un dialogo tra le famiglie per combattere quella circostanze di falsa “patologia” relazionale.
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