Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto IV capitolo Elisabetta Farnese, Sintesi del corso di Storia dell'Europa

Riassunto IV capitolo Elisabetta Farnese

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 06/02/2023

maria97-04
maria97-04 🇮🇹

4

(4)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto IV capitolo Elisabetta Farnese e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Europa solo su Docsity! CAPITOLO IV PRIMI PASSI IN SPAGNA 1. UN PAESE IN FERMENTO In quale paese Elisabetta, ora Isabella, fa il suo ingresso per esserne regina? L’età di Filippo V è stato oggetto di numerose interpretazioni storiche, alcune assai critiche, altre più benevole. I continui anni di guerra, le influenze francesi e italiane, le riforme della corte, dell’amministrazione, della giustizia e dell’esercito, le politiche commerciali e molto altro modificarono profondamente la Spagna. Filippo fu l’iniziatore di un secolo di chiaroscuri. La maggiore delle critiche rivoltegli è stata di aver fatto venir meno la lunga tradizione della Spagna pluralista degli Austrias, per altri è stato proprio questo l’atto di nascita della Spagna moderna. Le riforme di Filippo V ebbero il merito di accompagnare la Spagna verso la successiva epoca dei Lumi. La monarchia nella quale Elisabetta si appresta a diventare regina si stava trasformando in qualcosa di diverso da quella dei suoi antenati. Filippo ed Elisabetta diedero vita ad una monarchia per certi aspetti “sperimentale” che associava in modo originale e creativo le riforme tradizionali della monarchia francese e di quella spagnola, dando vita ad un modello di regalità per certi aspetti nuovo. La fase che si apriva dopo i trattati di Utrecht e Rastadt si caratterizzava infatti non solo per il mutamento dei rapporti internazionali, ma anche per una profonda trasformazione interna, con la fine della Monarquìa catòlica che per due secoli aveva caratterizzato il regime asburgico, per dar vita ad un regime monarchico al quale sicuramente Elisabetta in quanto regina diede un contributo rilevantissimo. Ancora una volta la vita della Farnese appare dispiegarsi in un’epoca di transizione. Proprio alla vigila dell’arrivo di Elisabetta, erano stati attuati rilevanti cambiamenti nell’ambito dell’amministrazione. Quando Filippo era divenuto re di Spagna, il Consiglio di Estado (di Stato) i cui membri erano tradizionalmente scelti tra i Grandi di Spagna, deliberava su tutti i grandi affari del paese. Filippo adottò la politica astenendosi dal consultarlo. Si giungeva così alla creazione dei Segretari di Stato, che tagliarono la funzione dei consigli di Hacienda, Guerra e Indias. Come segretario degli Affari della Guerra e delle Finanze veniva nominato Grimaldo. Si mantennero in vita il Consiglio di Inquisizione e quelli degli Ordini militari e della Crociata, che avevano perso gran parte della loro ragion d’essere. I segretari, che provenivano dai ranghi della media nobiltà, scomponevano le funzioni del vecchio segretario del Despacho, segnando l’eclisse politica dei Grandi. L’esperienza compiuta negli ultimi anni del conflitto e la pace conseguita determinarono ulteriori divisioni. Elaborato soprattutto da Orry, il decreto del 30 novembre 1714 formulava quattro segreterie (Estado con gli affari stranieri, Guerra, Marina e India, Giustizia). Per le forti proteste, Filippo dovette, tuttavia, in parte tornare sui suoi passi già nel 1715, ristabilendo il Consiglio di Castiglia con le sue antiche strutture, ma per rimarcare la differenza con il passato, non nominò più il Governatore del Consiglio, carica ritenuta molto prestigiosa, ma solo i presidenti. Il regno di Filippo coincise con un periodo di crescita economica, con un forte aumento della domanda per l’incremento della popolazione, che a metà Settecento raggiunse i 9,4 milioni di persone. La politica economica implicò un aumento delle spese dovute soprattutto alle necessità militari, e l’esercito restò un costante pensiero per il governo, anche dopo la Guerra di Successione spagnola. Le esigenze belliche spinsero a rinnovare tecnologicamente l’esercito e a rendere necessaria anche una nobiltà improntata al servizio militare. Negli anni prima della morte del sovrano, l’esercito aveva stabilmente in servizio 100.000 uomini. Al suo arrivo Filippo V trovò un esercito che poteva contare nella penisola iberica su 13.000 uomini, pertinenti soprattutto alla milizia provinciale. La difesa della penisola iberica era affidata soprattutto a forze locali, organizzate a livello municipale con milizie urbane e signorili. Per la Spagna si impose, quindi, la nascita di un esercito operativo alla luce dei rapporti di forza che in Europa si erano sviluppati da Westfalia e Utrecht, per la difesa della duplice direzione mediterranea e atlantica e per la difesa del territorio nazionale minacciato dall’occupazione inglese di Gibilterra e Minorca. La nuova dinastia, quindi, fece del rinnovamento delle forze armate un’esigenza primaria. Filippo V realizzò una riforma che poggiava su due piedi differenti: una di carattere territoriale, costituita dalle Milicias provinciales, l’altra con la ristrutturazione dell’esercito vero e proprio con al suo interno las guardias reales che costituivano il gruppo più professionalizzato, nel quale sopravvissero i tercios. La creazione delle Guardie reali ebbe un ruolo chiave nel rafforzamento del potere del re da diversi punti di vista, nate dalla necessità di rendere il sovrano quanto più visibile al suo popolo era fondamentale, dunque, un corpo armato che lo scortasse. La riforma del corpo di difesa del monarca si pose quindi immediatamente dopo l’arrivo di Filippo dal 1701 ed era strettamente legata alla possibilità che il re avesse agio di muoversi per il suo regno, per stabilizzare, con la propaganda, il trono. Si temeva, inoltre, per la scarsa fedeltà del corpo delle Guardie austriache, un possibile attentato alla vita dello stesso sovrano. Il progetto fu elaborato per il viaggio del re in Italia con la formazione di quattro compagnie, ciascuna delle quali di 100/120 uomini: la compagnia castigliana, l’aragonese e catalana, la vallona e l’italiana. C’era poi la guardia a cavallo. Con le istituzioni del 7 luglio 1701 fu progettata la soppressione dell’antica compagnia degli arcieri e della guardia tedesca. I corpi spagnoli dovevano essere utilizzati soprattutto per le cerimonie pubbliche e di palazzo. Il progetto non riuscì a decollare in tempo per il viaggio in Italia, ma a Milano Filippo soppresse effettivamente il corpo tedesco e creò un reggimento di guardie vestite ala svizzera e un altro spagnolo vestito invece alla francese. Nel corso del soggiorno a Napoli prese forma il Corpo della “Guardia de Italia” ad opera soprattutto dell’aristocrazia napoletana e destinato a tutelare la persona del re, a capo del quale fu nominato il fedelissimo duca di Popoli. Quando Filippo tornò in Spagna poteva disporre di una maggiore sicurezza rispetto alla partenza. Tre compagnie della Guardia del corpo, la compagnia dei carabinieri reali e reggimenti di fanteria della guardia erano del tutto nuovi e indipendenti dal resto dell'esercito, ma dipendente solo dal re. Ben 10.000 uomini rappresentavano un corpo di élite in grado di far fronte a qualunque rivolta o colpo di stato. I suoi ufficiali dopo aver prestato servizio per un certo tempo, potevano passare all'esercito, occupando i gradi superiori. Il re ottenne il duplice risultato di avere un corpo di fedelissimi e di attrarre i figli della classe superiore creando clientele. La fedeltà era infatti la base del rapporto tra ufficiali. I progetti di cambiamento provocarono tuttavia non pochi malumori che rallentarono l'affermazione del corpo delle guardie. Le disposizioni per i capitani della guardia erano effettivamente dirompenti: non dovevano mai lasciare la persona del re da cui prendevano gli ordini, marito. Ma la rapidità dell’azione dà all'episodio un evidente carattere premeditato, di manovra politica, piuttosto che scaturito da una reazione di una irascibile Elisabetta incapace di controllarsi. Ma chi ha operato per la cacciata della principessa francese? C'è dietro Alberoni che vuole eliminare l'ostacolo che si frappone al suo tentativo di impadronirsi del governo? C'è il cardinale del Giudice, che vuole vendicarsi dell'esilio procuratogli dalla Ursini? O, addirittura, come pensa Orry, c'è una vasta congiura internazionale, ordita nientemeno dalle sorelle Neuburg che appoggiano Carlo VI? È Elisabetta a operare in modo autonomo? Ha una qualche responsabilità Filippo, che forse ha deciso col matrimonio e l'arrivo della sposa di sbarazzarsi dell'ormai ingombrante principessa? È la ritorsione di Luigi XIV e della de Maintenon che non hanno digerito l'autonomia con la quale la Ursini ha voluto concludere le nozze senza consultarli e che affidano la loro vendetta alla sposa venuta dall'Italia? Dietro ognuna di queste domande c'è stata una discussione storiografica, ma la loro pluralità evidenzia quanto effettivamente il tempo della favorita fosse terminato. Ciò che è certo è che il licenziamento della Ursini è materialmente compiuto da Elisabetta, dietro la quale c'è l'odio che le ha instillato Marianna in quelle lunghe serate prima dell'arrivo in Spagna, e soprattutto Alberoni. Le responsabilità dell'abate sono indiscutibili. L'episodio è preceduto da un colloquio a Pamplona a quattro occhi tra lui ed Elisabetta, che aveva «produit cette felicité» di rendere la regina la vera padrona del marito. È stata la sera del 22 dicembre, ritiene Bottineau, il momento nel quale Alberoni ed Elisabetta hanno studiato minuziosamente la scena con la quale buttare fuori dalla Spagna la Ursini. Niente poteva servire di più ad Alberoni che la caduta della principessa ed Elisabetta sicuramente fu il suo strumento per spianargli la strada per il controllo politico della corte, sulla quale si ergeva come unico ostacolo proprio la principessa, troppo legata agli interessi francesi e con troppa ascendenza su Filippo V. Ma è anche vero che Elisabetta a quel piano partecipa non come mero strumento in mano altrui: ha ormai acquisito informazioni che le hanno fatto capire che sbarazzarsi della Ursini le è fondamentale per essere la vera regina di Spagna. La caduta della Ursini annunciava profondi sconvolgimenti di equilibri politici con l’allontanamento dal governo di coloro che avevano voluto cambiare la Spagna seguendo il modello francese. L’episodio fu un vero colpo di stato operato da Elisabetta che allontana persone che hanno detenuto un grande potere ma che ora non sono più gradite e metteva in discussione il controllo di Versailles sulla corona di Spagna. 3. LA SPOSA E LO SPOSO La sera della Vigilia di Natale, a Guadalajara, nello stupendo palazzo dell'Infantado, ha luogo infine l'incontro tra Elisabetta e Filippo. La sposa vede per la prima volta suo marito attenderla sulle scale e venirle incontro, prenderle la mano per poi immediatamente accompagnarla alla cappella, dove il patriarca delle Indie celebra una rapida cerimonia nuziale, dopo la quale la coppia può ritirarsi in privato. Finalmente, dopo mesi, i due sposi sono soli e Filippo può consumare i suoi intimi desideri. Escono dalla camera a mezzanotte per assistere alla celebrazione della messa di Natale, per poi tornarci. Tutti sono convinti che Elisabetta in quella notte ha saputo appagare l'appetito di suo marito. Il giorno dopo, Filippo V, evidentemente soddisfatto, scrive ai suoceri esprimendo tutta la sua gioia «di aver ricevuto un simile dono». Il re, tuttavia, quella mattina sta nascondendo a Elisabetta la concessione fatta alla Ursini di un possedimento in Catalogna. Quando la mattina del 25 Elisabetta viene a sapere del dono, tra il supplichevole e l'imperioso chiede al marito di ritirarlo. Elisabetta, giunta alla corte da appena ventiquattro ore dispone già di una rete di spie che la informano su quanto fa il marito. È un fatto eccezionale, se si pensa che solitamente le regine consorti straniere erano nell'ingrata situazione di trovarsi del tutto isolate nelle corti appena raggiunte, dopo essere state costrette a tagliare i ponti con il loro mondo. Semmai erano loro a essere circondate da spie appositamente messe nella loro casa per sorvegliarle. Per Elisabetta non è però così. Probabilmente dispone dei delatori di Alberoni. Ma da ora sa bene quanto conti avere velocemente informazioni e imparerà a costruire nella corte e fuori di essa una propria rete di informatori. Sa anche imporre da subito il suo volere al sovrano: almeno ora, non sa pazientare. Vuole tutto e subito. Impone fin dalla prima ora rispetto per la sua persona e per le sue scelte. Chiedendo il ritiro delle promesse fatte alla Ursini rischia molto, in quanto la reazione di Filippo può essere imprevedibile ed Elisabetta non valuta se le sue azioni siano intempestive. Ma è anche una sposina che ha appena incontrato il marito rendendolo felice alla prima notte di nozze, dopo una triste vedovanza. Può, quindi, arrischiare a chiedere molto. L'espulsione della Ursini non è una questione di un conflitto tra donne gelose nel contendersi un debole uomo, ma è una questione politica su chi dominerà la corte. Mettendo alla porta la principessa, Elisabetta ha messo in gioco la sua credibilità. Qualche giorno prima ha lasciato al confine sua zia, mostrando di voler rispettare l'autorità del re suo marito, non smentendo i suoi ordini. Ora pretende che sia il marito a non smentire le sue volontà. Non reclama una dichiarazione di parità, che è cosa impensabile, ma richiede il rispetto del suo ruolo di regina da parte del re. L’arrivo di Elisabetta sconvolge la vita alla corte di Madrid, che fin dai primi giorni risente della nuova presenza. Nel giorno di S. Stefano la nuova regina entra nella capitale accolta da una popolazione in giubilo per aver cacciato la straniera. Elisabetta, dopo i primi giorni passati con il marito, si sente forte, invincibile e orgogliosamente superiore a tutte le donne sue rivali. Ha avuto ragione sulla Ursini, figuriamoci come batterà coloro che contendono la sua eredità toscana, donne accomunate dal non avere avuto con i loro consorti una felice vita sessuale. Il suo matrimonio, invece, fin dal primo momento appare appagante: i due sposi per gusti sembrano fatti l'un per l'altra. Filippo, dopo un anno terribile appare ora tutt'altro che smarrito, ma raggiante. Elisabetta lo soddisfa, lo seduce, lo ama sinceramente e la accompagna ogni momento. I due sovrani, inoltre, fin dall'inizio del loro matrimonio appaiono inseparabili. Quello che colpisce da subito gli osservatori contemporanei è la grande consonanza di gusti che accomuna la coppia reale. Tutta l'educazione che ha ricevuto Elisabetta sembra essere stata provvidenzialmente costruita per accontentare Filippo. Vi è una forte consonanza di interessi della coppia: il re è un uomo pio e la regina non respira che pietà; il re è inclinato alla caccia, che è tanto amata dalla regina da esercitarla con destrezza, il re ama la musica e la regina sa eseguirla con tale grazia da dilettare gli animi più esperti e sensibili; la pittura è il grande idolo del re, e la regina sa dipingere. Quel terreno comune renderà la coppia molto solida ben al di là di quanto altri osservatori contemporanei e poi storici abbiano intuito, puntando invece sull'immagine di un Filippo V schiavo del sesso. 4. GLI ITALIANI AL POTERE Nella corte di Spagna sono soprattutto i Francesi a chiedersi ossessivamente quali sono le conseguenze dell'arrivo della nuova regina, non valutando in realtà che i rapporti franco-ispanici si sono guastati già da tempo a seguito dei trattati di pace, nonché per opera della stessa Ursini, quando non ha potuto ottenere il potentato promessole. È da allora che la favorita ha allontanato chi le era contro e per controbilanciare il potere dei Francesi aveva, paradossalmente, appoggiato gli Italiani, fino al punto di seguire i consigli di Alberoni sul matrimonio, cadendo nella sua trappola. Elisabetta, che ha giocato l’azzardo nel mettere alla porta la Ursini, dal canto suo sa anche agire con prudenza. È attenta a non andare contro i favoriti francesi del re, anzi assicura loro la propria protezione e assiste volentieri alle commedie francesi, tanto che circola la voce che Elisabetta sia la protettrice di tutti i compatrioti del sovrano che non si sono compromessi con la Ursini. Naturalmente, il circolo di persone che è stato legato alla Ursini è invece duramente colpito. Tra questi, il primo a cadere è Orry che il 7 febbraio, contemporaneamente a Macanaz, è licenziato. Tra i primi problemi da affrontare nelle settimane successive all'arrivo di Elisabetta, c'è quello dell'affidamento dell'educazione del principe delle Asturie. Luigi XIV negli anni precedenti non si era sentito estraneo dal compito di esercitare un controllo sull'educazione del piccolo Luigi, per il quale era necessario creare un forte legame di appartenenza alla sua famiglia e al suo paese d'origine, perché non finisse per diventare un estraneo ai Borbone di Francia. Per il principe delle Asturie, il re di Francia era convinto della necessità che dovesse ricevere un'educazione spagnola, al fine di evitargli, una volta sovrano, i problemi che aveva avuto il padre al suo arrivo a Madrid. Ma tutto ciò doveva essere accompagnato dall'instillare nel bimbo l'amore per la Francia e la sua famiglia di origine. Insomma, nei progetti educativi del nonno, il principe delle Asturie restava un Borbone, ed essere un Borbone voleva dire Francia. L'allontanamento della Ursini pone a Parigi immediatamente all'ordine del giorno l'esigenza di trovare una nuova governante, per evitare di far cadere il principe tra mani ostili alla Francia. Si constata, inoltre, che l'educazione fino ad allora affidata a donne ha fatto del principe un bambino timido e molto ignorante. Il re di Francia è quindi del parere che per quel piccolo nipote che porta il suo nome è giunta l'ora dell'affidamento a un uomo che, tuttavia, deve essere spagnolo. Il "passare agli uomini” era una tappa fondamentale della crescita dei principi di Francia e le persone che venivano scelte erano destinate a contare molto, una volta che i delfini divenivano re. Ma con sorpresa generale, Filippo affida il figlio a un italiano, il cardinal Francesco del Giudice. Chi era Francesco del Giudice, cioè colui che rappresentò una sorta di "falsa partenza" della presa del potere degli Italiani alla corte di Madrid? Quella dei del Giudice era una famiglia di origine genovese, stabilizzatasi a Napoli nel corso del XVI secolo ed entrata a far parte dei ranghi del baronaggio grazie all'enorme ricchezza e alle relazioni istituite con il potere ispanico. Con l'avvento al trono di Filippo V, Francesco divenne uno dei principali esponenti del partito filoborbonico. Nominato viceré di Sicilia nel 1701, tentò di organizzare la difesa dell'isola dall'invasione austriaca. Successivamente, godendo di un forte credito presso Luigi XIV, venne indicato dal re di Francia al nipote nel 1710 come possibile ministro. Ricevette, invece, proprio in quell'anno l'altrettanto rilevante incarico di Grande Inquisitore di Spagna, la cui nomina fu però effettiva solo a partire dal marzo succede anche confronto tra parenti. Anzi nelle lettere di Elisabetta ci sono eccezioni che inviano al suo carattere estroverso, gioioso e umoristico. Pur tanto innamorata del bel marito il primo anno di Elisabetta in Spagna è assai impegnativo. È una sposina che rende felice Filippo, deve assolvere al compito di essere madre. Il 1715 è l’anno dell’attesa del suo primogenito, Carlo che nascerà il 20 gennaio del 1716. Carlo viene battezzato un‘ora e mezzo dal parto, per permettere la partecipazione alla funzione ad u7n numero ristretto di membri della famiglia reale. La nascita di Carlo costituisce un rafforzamento di Elisabetta che porta a compimento la missione di dare un erede ai domini italiani. A parte le imperanti richieste a favore dei suoi familiari, zia Marianna, per un aumento della sua pensione, Dorotea Sofia quando vuole ottenere una cortesia dalla figlia, non sempre la chiede in prima persona, ma la fa inoltrare dal duca Francesco ad Alberoni o a Scotti. Saranno costoro poi a rivolgersi ad Elisabetta. Le istanze di Dorotea Sofia sono molteplici, da più parti d’Italia ed Europa varie personalità del mondo aristocratico si rivolgono alla duchessa di Parma perché interceda presso la Regina di Spagna per qualche favore. Caccia, gioco al maglio e teatro sono i passatempi di Elisabetta e più volte scrive alla madre per raccontarle i vari momenti di questi passatempi. Tramite una lettera Elisabetta annuncia alla madre la sua seconda gravidanza. Ad aprile 1717 nascerà il piccolo Francesco. Nessuno può prevedere che lo sfortunato bambino vedrà la luce solo per breve tempo. Alberoni il dominatore Elisabetta in quei primi due anni trascorsi alla corte di Madrid ha potuto sentire la vicinanza dell’abate Alberoni, che ha avuto modo di farsi apprezzare fin dal primo momento in cui la regina è giunta in Spagna. È uomo delle sue terre, è stato quello che ha permesso il suo matrimonio, le ha fatto trovare quelle prelibatezze italiane di cui è ghiotta alla sua tavola appena arrivata in Spagna. C’è grande intesa tra i due sui progetti internazionali per l’Italia e sull’esigenza di dare una degna collocazione a colui che sarà il primo figlio. La nascita dell’infante Carlo spingerà ulteriormente l’ascesa politica del piacentino. Elisabetta, nei primi mesi spagnoli va, in visita a casa dell’abate per assicurarsi che la casa di colui che è ancora il rappresentante di suo zio Francesco sia una dimora degna della sua carica. L’Alberoni ha posto nel suo appartamento i ritratti dei suoi protettori, un uso che nei confronti della famiglia Borbone si andava diffondendo tra le famiglie aristocratiche come segno di fedeltà. Alberoni cerca in primo luogo un buon ritrattista per i sovrani, in grado di associare realismo e magnificenza. Il prototipo del ritratto regale di Filippo è stato quello fatto da Filippo d’Anjou da Hyacinnthe Rigaud prima della partenza dalla Francia. Alberoni cerca di far venire a Madrid Molinaretto, ma Dorotea Sofia non vuole rinunciare ai servigi del pittore. Solo Ranc, nel 1723, realizzerà il ritratto del re che diventerà il prototipo del viso del sovrano. Alberoni riprende la strada delle riforme tracciata da Orry, in particolare la politica della riduzione del potere dei consigli. Il Consiglio di Stato è stato privato della conoscenza della corrispondenza della monarchia, che perviene direttamente al re per il suo intermediario, il Grimaldo. Ma l’abate tende soprattutto a mettere in crisi l’etichetta palatina, proprio per valorizzare il suo rapporto personale con i sovrani a scapito delle relazioni cortigiane tradizionali. La tensione a corte esplode violenta nello scontro anche fisico tra l’abate e Villena. Il marchese, maggiordomo maggiore del re, è libero di accedere alle camere del sovrano a suo piacimento. Accade che i due si incontrano nelle camere reali e Alberoni, che intende parlare con i sovrani, pretende che esca. Al diniego del maggiordomo, l’abate lo strattona per scacciarlo in malo modo e il marchese, indignato, alza il suo bastone e colpisce con forza l’italiano davanti a Filippo ed Elisabetta. Due ore dopo Villena riceve l’ordine di lasciare immediatamente Madrid ed il duca di Veragua, che ha provato a prendere le sue parti, viene incarcerato. Mediterraneo in fiamme Dopo i primi tre anni di Elisabetta in Spagna il clima spensierato ha una brusca virata, a seguito dello scoppio del conflitto che la Spagna accende nel Mediterraneo, lasciando sorpresa molta parte dell’Europa. L’arrivo della Farnese a Madrid poneva problemi internazionali a causa delle rivendicazioni dinastiche, sia sugli antichi possedimenti spagnoli strappati dai trattati di pace, sia sull’ereditarietà dei domini italiani della regina. Nella guerra del 1717-1719 il problema non fu tanto trovare un dominio al figlio di Elisabetta, quanto soprattutto di riportare la presenza spagnola nel Mediterraneo e liberare gli stati italiani dal gioco austriaco. Alberoni ritiene che bisognava ottenere, se non l’appoggio, la neutralità inglese concedendogli vantaggi commerciali maggiori. Le profonde trasformazioni in atto nel commercio mondiale del Settecento avevano affermato che le questioni coloniali fossero fattori rilevanti nel determinare l’equilibrio. Pur siglando due trattati commerciali, uno nel 1715 ed uno nel 1716, la linea di dialogo con gli Inglesi di Alberoni naufraga a seguito della morte di Anna Stuart nell’agosto del 1714. Giorgio I, nuovo re d’Inghilterra, non è disposto ad alienarsi con l’imperatore con il quale firma il Trattato di Westminster nel maggio del 1716, a conferma di quelli di Utrecht e Rastadt. A quel punto Alberoni vorrebbe riprendere le trattative con la Francia ma la risposta di Versailles è sempre che la Francia non vuole entrare in guerra. La situazione precipita l’11 gennaio quando viene annunciato che una Triplice alleanza tra Inghilterra, Francia e Olanda è stata firmata il 4 dello steso mese. La Spagna è ancora una volta isolata e, in questa situazione, scoppia un grave incidente diplomatico a Milano, dove transita l’inquisitore Josè Molines che è arrestato delle autorità imperiali perché al servizio della Spagna piuttosto che di Carlo VI. Nel 1717 Filippo V ritiene sia giunta l’ora che la Spagna riconquisti il posto che merita, lanciandosi nella conquista della Sardegna e Alberoni ubbidisce. È Patino che viene incaricato di preparare l’operazione navale da Barcellona. La Sardegna è mal difesa e molto nostalgica degli Spagnoli. Ha una posizione fondamentale come base per la successiva riconquista di Napoli e delle Sicilie. Il 9 agosto 1717 l’isola viene conquistata in meno di due mesi, tra l’entusiasmo della popolazione che accoglie favorevolmente i vecchi signori spagnoli. I più scioccati sono gli italiani perché Filippo V ha compiuto un’operazione militare usando navi che si dicevano in preparazione per aiutare il papa e la stessa Austria contro il Turco. Alberoni e la corte di Madrid hanno cercato di approfittare della guerra in atto tra Austria e Ottomani. Tra i vari motivi per cui hanno indotto il re a una guerra troviamo: gli Austriaci hanno lasciato la Catalogna come d’accordo, ma non hanno rispettato gli accordi economici, gli sono stati tolti i suoi stati che sono stati sacrificati per i patti di pace, non è stata restituita la Minorca, il grave arresto dell’Inquisitore a Milano ha evidenziato l’assenza di una volontà di pace. L’impresa pone in forte imbarazzo la Triplice alleanza che ha preso l’impegno di scambiare la Sicilia con la Sardegna con l’imperatore. I Francesi cercano di proporre agli Spagnoli un negoziato: la Spagna deve evacuare la Sardegna, che deve essere restituita ai Savoia, i quali cederanno la Sicilia all’imperatore; se Filippo rinuncia alle pretese della corona francese e conferma quanto stabilito dai trattati di Utrecht, le potenze della Triplice accorderanno Parma e Piacenza e Toscana all’infante Carlo. Il primo incontro tra Alberoni e l’inviato di Versailles Nancré è tempestoso, ma successivamente i colloqui si fanno più franchi e cordiali. Si apprende che però l’imperatore ha posto una condizione inaccettabile: i ducati di Elisabetta saranno definiti feudi imperiali e non si potranno porre guarnigioni spagnole in attesa dell’apertura della successione. La Sardegna ormai appare un’eccellente base per ristabilire il dominio spagnolo sull’Italia. Ma proprio in quel momento delicatissimo esplode la crisi di nervi di Filippo V. Nell’ottobre del 1717, il re viene colto da un grave attacco di melanconia, lamentando dolori alla testa talmente forti da far pensare a molti che possa morire. A spiegazione della salute mentale di Filippo si è indagato tra i casi presenti nel suo albero genealogico, ipotizzando una tara ereditaria dei Wittelsbach portata dai Borboni da sua madre, oppure, derivante dalla follia di Giovanna la Pazza, trasmessa alla famiglia francese attraverso i matrimoni con gli Asburgo. Dalle diverse testimonianze è emerso che il sovrano soffrisse di una tendenza malinconica e possedesse tutti i tratti del depresso cronico: perdita d’appetito, tristezza, aggressività, disturbi psicosomatici e ossessione della morte. Le gravi crisi depressive furono tre: quella dell’ottobre del 1717, quella del biennio 1727-28, quella del 1730-1733. Dal 1733 al 1746, l’anno della sua morte, la melanconia di Filippo si manifesterà soprattutto attraverso comportamenti bizzarri. Tra il 24 e il 26 ottobre, la crisi fu acutissima e Filippo fa appello al confessore e dichiara di voler fare testamento. Il primo novembre Filippo detta il suo primo testamento: in caso di morte, Elisabetta sarà nominata governatrice e reggente del regno. La scelta del re provoca gran rumore a corte poiché la Farnese eserciti la reggenza per il principe delle Asturie, non essendo la madre. Alcuni nobili sollecitano il duca di Orléans a strappare alla Farnese il governo, qualora Filippo muoia. Alla fine di novembre però la salute di Filippo è completamente ristabilita. L’esperienza di governatrice per Elisabetta resta tuttavia fondamentale: ha ricevuto ambasciatori, i quali e da quel momento in poi saranno consapevoli del rilievo della sua opinione in materia di politica internazionale. Recuperata la salute, Filippo contrasta le macchinazioni francesi seminando, a sua volta, la corte di Parigi di complotti, nel tentativo di provocare la caduta dell’Orléans. Filippo ritiene che sia giunta l’ora di riconquistare Napoli e la Sicilia dalla base sarda. Nel luglio di quello stesso anno Filippo, oltre che ad ordinare l’invasione dell’isola del Mediterraneo, non esita più a farsi coinvolgere nella cospirazione della duchessa de Maine contro il Reggente. La flotta spagnola parte da Barcellona il 18 giugno 1718, è composta da 40 vascelli da guerra e navi da trasporto, con imbarcati 30.000 uomini. Il primo luglio sbarca in Sicilia e la conquista risulta un’impresa facile. In pochi giorni la guarnigione piemontese è sconfitta e Filippo V viene proclamato re di Sicilia. La triplice alleanza si trasforma in Quadruplice, con l’adesione dell’Impero, firmata il 2 agosto 1718. Francia, Inghilterra, Austria e Olanda chiedono alla Spagna la restituzione della Sardegna e della Sicilia e l’erezione a feudi imperiali di Parma e Piacenza. Sono soprattutto gli Inglesi a essere assolutamente indisponibili che cambi l’equilibrio nel Mediterraneo raggiunto con la fine della Guerra di Successione spagnola. Giorgio I, con
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved