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Riassunto L'Altra metà dell'Europa - dalla Grande Guerra ai giorni nostri., Sintesi del corso di Storia dell'Europa Orientale

Schemi riassuntivi del libro, integrati da riferimenti temporali mancanti nel libro (anni e date), pronti per lo studio!

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto L'Altra metà dell'Europa - dalla Grande Guerra ai giorni nostri. e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Europa Orientale solo su Docsity! CAP. 1: DA UNA GUERRA ALL’ALTRA. L’uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno del 1914 per mano di G. Princip è da considerarsi come l’evento che diede il via al conflitto in Europa, è con una visione a ritroso non c’è da stupirsi se questo avvenne nei BALCANI. La situazione dell’IMPERO AUSTRO-UNGARICO vedeva la necessità di dover rinforzare il contesto interno e quello internazionale, con un occhio di riguardo per tutte quelle sensibilità nazionali ed etniche per evitare che queste portassero alla frantumazione territoriale. L’erede al trono si mosse su queste pratiche, in una dimensione intellettuale e politica che aspirava a una trasformazione dell’impero su base FEDERALE; di fatto però la casata degli Asburgo per contrastare la forte idea nazionalistica, poteva ancora contare su legami di ATTRAZIONE da parte dei suoi sudditi come tradizione consolidata, ma anche per una visione strettamente PRATICA: nell’impero si viveva meglio rispetto ai vicini stati nazionali come SERBIA o ROMANIA e inoltre il BACINO ECONOMICO rappresentava una fonte di benessere non indifferente. A questa lettura va aggiunto che l’Impero non aveva alcuna volontà di estendere ulteriormente i suoi domini, soprattutto per orientarsi a progetti trialistici per elevare a pari dignità non solo austro-tedeschi e magiari, ma anche SLAVI. Così si mantenne la linea di imporre la propria INFLUENZA nei Balcani, andando a reprimere tutti quei movimenti irredentistici che negli anni prima del Grande Conflitto coinvolgevano la Serbia. Lo scoppio della guerra presentò tutta una serie di motivi di interesse per gli stati e le nazionalità di tutta l’Europa centro orientale: • TURCHIA: (novembre 1914 – Sultano MEHMED V) speranza di consolidare la propria posizione appoggiandosi sul colosso germanico, per sottrarsi alle influenze inglesi/francesi e riabilitare l’animo nazionalista a fronte di decenni di umiliazioni; • BULGARIA: (1915 – p.m. RADOSLAVOV) dopo aver visto respinte tutte le richieste di prestito a Parigi per riabilitare l’economia nazionale, accettò il massiccio prestito proveniente da Berlino e si aprì la strada per una rivincita verso stati vicini e la Serbia; • ROMANIA: (neutralità poi 1916 - p.m. BRATIANU) posizione che prevalse in un Consiglio della Corona conservatore e con sentimenti filo-germanici, ma l’opinione pubblica romena avrebbe sicuramente mostrato contrarietà a scendere a fianco all’Austria-Ungheria che dominava in province come la Transilvania e la Bucovina abitate da romeni, anche se avevano offerto la Bessarabia dove dominava lo Zar. Allo stesso modo l’Intesa occidentale offri i territori imperiali, ma l’entrata affianco a questi avvenne per gli sviluppi militari, che sembravano vedere in vantaggio la Russia. • GRECIA: (neutralità poi 1917) gli ambienti della corte e del di orientamento filo-germanico optarono per la neutralità, mentre il leader dei liberali VENIZELOS spinse per l’entrata con l’Intesa, riuscendoci con la costituzione di un governo a Salonicco sotto la protezione delle armi intesiste, con le dimissioni di re COSTANTINO. Il bombardamento anglo-franco-italiano, aprì allo scontro naturale con la Turchia, alleata degli imperi centrali e dove abitava un’importante comunità greca: si poté prospettare lo sviluppo della GRANDE IDEA del Risorgimento ellenico come Grecia erede dell’Impero Bizantino. • ALBANIA: (indipendente dal 1912) situazione interna troppo incerta, dopo la fuga del principe GUGLIELMO di WIED, impostovi dalle potenze e risultò importante la occupazione prima da parte dell’esercito austriaco e poi quello italiano e francese. Nel 1917 il governo di Roma dichiarò l’integrità del territorio albanese e dichiarandone la sua inclusione nella sfera di influenza italiana; la formazione di un governo puramente albanese però le truppe italiane dovettero ritirarsi, sia per l’insofferenza albanese ad atteggiamenti IMPERIALISTICI che per le pressioni delle sinistre italiane per richiamare l’esercito. • POLACCHI, CECHI e SLOVACCHI: il conflitto creò la possibilità di rilanciare le iniziative per l’INDIPENDENZA, anche se la gran parte delle popolazioni e delle loro classi dirigenti mantennero il lealismo verso la Monarchia duale, mentre altri circoli espatriarono per operarsi nei paesi dell’Intesa per un futuro paese indipendente. • LITUANI, LETTONI, ESTONI: sin dal ‘700 nell’Impero zarista, negli anni prima del Conflitto avevano preso coscienza della propria IDENTITA’ rispetto a russi, polacchi e tedeschi, soprattutto dopo la rivoluzione del 1905 e in definitiva con il 1917. • FINLANDIA: manteneva nell’Impero zarista le proprie specificità e istituzioni. Dal punto di vista militare il contributo fu differente: - La SERBIA resistette oltre un anno contro l’esercito imperiale, quel che rimase delle forze serbe furono evacuate dai paesi dell’intesa, spostandole a sud dei Balcani con gli alleati; - L’esercito BULGARO già a fine 1915 occupò la Macedonia, entrando limitatamente in Grecia, ma rimanendo nelle sue posizioni fino alla resa verso le forze che giungevano da sud (causa pochi approvvigionamenti); - L’esercito ROMENO in poche settimane nel 1916 dovette ripiegare a sud, per poi ritirarsi con la corte e il governo in Moldavia; con la pace di Brest-Litovsk conclusa dal governo di Lenin, la Romania annesse la Bessarabia opponendosi ai bolscevichi e firmando una pace separata a inizio 1918. Poco dopo scese in campo con l’Intesa combattendo contro l’Ungheria che permise di ottenere tutti i territori di aspirazione romena. ➔ Dal gennaio 1919 la Conferenza di Pace a Parigi delineò i nuovi confini dell’Europa. I grandi imperi scomparvero, facendo emergere paesi con vulgate a carattere NAZIONALE, in alcuni casi con importanti MINORANZE come Romania e Polonia o senza una MAGGIORANZA ASSOLUTA come in Cecoslovacchia e Jugoslavia. ❖ La POLONIA rinata fu il risultato di diversi territori assemblati tra loro dai decaduti imperi germanico, austro- ungarico e zarista; dopo la pace del 1921 con i bolscevichi, il paese comunque si componeva di ucraini, bielorussi, tedeschi ed ebrei che componevano oltre 1/3 della popolazione. Una vicenda che accomunò questi paesi alla fine della Grande Guerra fu quello dei conflitti regionali che esplosero tra queste neo-nazioni: - Romania e Cecoslovacchia combatterono contro l’UNGHERIA guidata da un governo social-comunista per il controllo di importanti regioni: o La CECOSLOVACCHIA poté annettersi totalmente la SLOVACCHIA, anche zone dove gli ungheresi erano in maggioranza; o La ROMANIA riuscì anche ad occupare temporaneamente Budapest; Altro lavoro fecero i vari trattati che delinearono i nuovi territori: - Trattati di VERSAILLES e SAINT-GERMAIN del 1919 si occuparono dei territori germanici e austro-ungarici; - Trattato di NEUILLY del 1919 decise le sorti della Bulgaria; - Trattato di TRIANON del 1929 punì l’Ungheria; Ulteriori crepe furono quelle che emersero tra: • GRECIA e TURCHIA tra il 1921-22, che superò il pesante trattato di Sevres, con quello di LOSANNA del 1923 che restituì alla Turchia vari territori. • ITALIA e JUGOSLAVIA con la spedizione D’Annunziana di Fiume; • AUSTRIA e JUGOSLAVIA con un plebiscito che assegno alla prima la Caringia; • POLONIA e GERMANIA per la divisione della Slesia; La nuova cartina europea fu il risultato quindi di scelte delle potenze tra le varie conferenze, di plebisciti o tramite il ricorso alle armi: sta di fatto che lo scenario post Grande Guerra fu totalmente diverso per questa metà d’Europa. La POLONIA: 1) il GRANDE OGGETTO del DESIDERIO. Fu il paese più ampio emerso dal crollo degli Imperi, anche se non riconducibile all’Unione polacco-lituana scomparsa nelle spartizioni Settecentesche; durante la guerra nell’ombra delle potenze tedesche per attirare il supporto della nazionalità polacca era nato il REGNO di POLONIA. Dalle vittorie sul fronte orientale, al tracollo nei confronti delle potenze occidentali, fecero sì che il comandante della legione polacca JOSEF PILSUDSKI venisse rimesso in libertà. L’11 NOVEMBRE 1918 a Varsavia venne nominato comandante in capo delle forze armate e successivamente capo dello Stato provvisorio, divenendo la data dell’indipendenza polacca. All’organizzazione dello Stato e del governo, si affiancò il problema della definizione dei confini: - Conflitto con i LITUANI per la città di Vilnius abitata in prevalenza da ebrei e polacchi, ma circondata da un contado di etnia lituana; In assenza di una opposizione libera in parlamento e nel paese, anche con la riduzione dell’opposizione militare, il vero interlocutore difficile da ridimensionare fu la CHIESA, con preti e vari uomini di fede reclusi e messi a tacere come WYSZYNSKI, mentre PAPA PIO XII nel ’49 aveva lanciato la scomunica verso i comunisti e la loro impossibilità di ricevere i sacramenti, Varsavia considerò un reato tale rifiuto da parte dei sacerdoti. La chiesa simbolo di identità nazionale non fu mai domata dal regime, che addirittura fece delle CONCESSIONI come sulla istruzione cattolica, che non si registrarono mai in altri paesi del blocco, divenendo sponda per varie forme di dissenso e opposizione. Esisteva una fronda di dissenso anche all’interno dello stesso PARTITO al POTERE, che aveva assorbito sia quello comunista che quello socialista, assumendo la denominazione di Partito OPERAIO UNIFICATO polacco; il segretario Gomulka si caratterizzò per aver formulato l’idea delle VIE NAZIONALI al socialismo: rivendicò per i polacchi un modello politico sociale non uguale a quello sovietico, ma fondato sugli stessi principi. Questo lo portò ad essere la principale vittima delle purghe polacche che coinvolsero limitatamente la dirigenza e in modo più cruento verso dissidenti ed oppositori: Gomulka venne rimosso, espulso ed arrestato, sostituito nella figura di segretario da un uomo allineato al Cremlino, BIERUT (1948-56). La morte di Stalin portò i dissidenti interni al partito ad avere la libertà di elaborare una propria ideologia ed esprimere una opinione, trovando una base della società di diverse tendenze e la stessa chiesa, così si trova spiegazione della debolezza del regime con le agitazioni del ’56: nel Comitato centrale si erano già sviluppate sin dal ’53 critiche verso la POLITICA ECONOMICA, chiedendo meno burocrazia, fine repressione, decentramento e socialismo misto a libertà. Al XX congresso del PCUS venne riabilitato il vecchio partito comunista polacco sciolto nel ’38, mentre Bierut non tornò in patria morendo improvvisamente a Mosca; Wyszynski e Gomulka recuperarono la libertà d’azione, dove il secondo si mise a capo di una frangia RIFORMISTA del partito recependo le rivendicazioni nazionali dei Polacchi. → gli incidenti a POZNAN nel ’56 causati da manifestanti operai vennero repressi con morte e arresti dalle forze sovietiche, mentre il nuovo segretario OCHAB (1956) condannò i manifestanti come teppisti e agenti stranieri capitalisti, mentre il presidente del governo CYRANKIEVIC (1954-70) andò oltre la condanna segnalando la presenza di esigenze e problemi reali = il regime aprì al DIALOGO. Il passaggio successivo fu l’ascesa dei RIFORMISTI, che vide il plenum del Comitato centrale essere seguito da Kruscev e importanti esponenti del PCUS: venne imposta una nuova linea per l’apertura alle richieste della società e la nomina a segretario di GOMULKA (1956-70). Questo avvenne perché fu riconfermata la fedeltà di Varsavia all’URSS, per la comune ideologia e il timore della rinascita del pericolo tedesco, oltre al fatto che dopo gli eventi in Ungheria, il presidente ricevette delle risposte positive per la MODERAZIONE del riformismo e l’appoggio alla REPRESSIONE in terra magiara. Il pieno controllo sul partito e il paese avviarono: una emarginazione dell’ALA STALINISTA, piena libertà di Wyszynski, allentò la CENSURA e il CONTROLLO sulle attività culturali e scientifiche che parteciparono al percorso di riforma, oltre a migliorare i RAPPORTI con la Santa Sede. Nel settore economico-sociale invece si sviluppò la DECOLLETTIVIZZAZIONE delle campagne, con la chiusura di molte aziende collettive, mantenendo le piccole proprietà libere e sostenendo le regole per gli ammassi e commercializzazione, oltre a mantenersi PICCOLI IMPRENDITORI, nel complesso quindi la società manteneva una sua articolazione. Durante gli anni ’60 Gomulka non riuscì a mantenere molte promesse e mantenere il consenso acquisito, il governo non riuscì a sostenere la CRESCITA e far confluire un reale miglioramento del benessere delle masse, delusioni giunsero anche dalla parte delle liberalizzazioni molto superficiali, nemmeno il supporto di incentivi materiali per gli operai diedero impulso → causa di un apparato di partito CONSERVATORE. L’elemento innovativo fu registrato nella classe INTELETTUALE, che iniziò a criticare la gestione del potere ma anche l’ideologia di classe, finendo per mescolare tali critiche con lo SCONTENTO popolare e l’ideologia neo-nazionalista, che non metteva in discussione la struttura socialista, ma gli dava un particolare orientamento. La leadership però fu messa in discussione anche dall’interno, dove TECNOCRATI dell’apparato, oltre alla CHIESA che rimaneva un importante interlocutore che andava rafforzandosi con le concessioni date. La crisi emerse nel 1968, quando si vietò la messa in scena di un’opera teatrale dalla coloritura ANTISOVIETICA, causando reazioni di intellettuali e studenti, già agitati per cui che stava accadendo in CECOSLOVACCHIA, oltre ai segnali negativi in FABBRICHE e dalla CHIESA CATTOLICA. Nel marzo del ’68 l’azione della polizia fu violenta e Varsavia inviò le sue forze militari per reprimere la Primavera di Praga, mentre sul versante della politica estera la Polonia firmava con la Germania per il riconoscimento dei CONFINI del ’45. 3) La POLONIA di «SOLIDARNOSC» e la FINE del regime comunista. A conferma che il regime comunista polacco era diverso da quello vigente negli altri Paesi del blocco, Gomułka non lasciò il posto di segretario alla sua morte o per grandi novità dal Cremlino, egli fu allontanato dalla leadership per decisione del gruppo dirigente in seguito ai VIOLENTI DISORDINI scoppiati in Polonia nel dicembre 1970; contemporaneamente al governo dopo 14 anni, venne nominato JAROSZEWICZ (1970-80). I disordini avevano una motivazione ECONOMICA, in conseguenza dei fortissimi aumenti dei PREZZI al consumo: a dimostrazione che un regime che voleva servire il popolo non era in grado di garantirgli il benessere. La RAZIONALIZZAZIONE che si volle applicare all’economia in difficoltà fu in realtà una cura difficile da sopportare. All’insoddisfazione della popolazione si aggiunse il disappunto per il fatto che Gomułka, visto come un coraggioso riformista, aveva avallato il SOFFOCCAMENTO del riformismo in atto in Cecoslovacchia e la repressione interna nel 1968. L’azione delle forze dell’ordine fu durissima e dopo una settimana di scontri nelle CITTA’ BALTICHE (Danzica e Stettino) si contarono centinaia di morti e un altissimo numero di feriti, ma anche il saccheggio di negozi e devastazione di edifici pubblici. A porre fine alla lunga stagione di Gomułka contribuirono i COMUNISTI ‘PATRIOTTICI’ e i quadri che più credevano nelle possibilità di INNOVAZIONE del sistema economico, dei quali il maggior esponente fu Edward GIEREK (1970-80), il quale assunse il ruolo di SEGRETARIO. Il nuovo segretario, pur vantando successi in determinati campi come STRUTTURE e INFRASTRUTTURE, fece una vera AUTOCRITICA riguardo alla politica economica recente, sottolineando la «sproporzione tra la produzione dei beni durevoli e i beni di consumo». La prima parte degli anni ‘70 fu caratterizzata da un trend economico POSITIVO: la popolazione poté trovare una parziale risposta alle esigenze che aveva manifestato → problemi economici di fondo restarono LATENTI e furono resi evidenti solo dall’evoluzione dei prezzi internazionali: le importazioni di PETROLIO si fecero più care e la Polonia dovette aprire sempre più l’economia ai PRESTITI ESTERI e agli INVESTIMENTI stranieri (Fiat) per attuare una politica economica ESPANSIVA, anche per quanto riguardava i CONSUMI. Se la Polonia era lo Stato del blocco che vedeva la sopravvivenza della PICCOLA PROPRIETA’ contadina, dal 1971 aveva SOSPESO la consegna obbligatoria del prodotto e allargato il SISTEMA PREVIDENZIALE ai contadini autonomi. Parallelamente una RIFORMA COSTITUZIONALE (1976) attribuì al partito quel primato che fino ad allora aveva esercitato de facto, andando contro i fermenti di OPPOSIZIONE o DISSENSO ancora presenti nella società, a partire dagli ambienti intellettuali e da quelli ecclesiastici, che esercitavano un ruolo molto importante in un Paese profondamente cattolico. Nel 1976 fu costituito il COMITATO di DIFESA degli OPERAI per opporsi alle misure governative messe in atto contro gli scioperanti → esponenti ne furono gli intellettuali revisionisti o dissidenti, mentre l’economia continuava a declinare, la società dimostrava una VITALITA’ nel senso che le varie forme di auto-organizzazione risultavano INCOMPRIMIBILI e INCONTROLLABILI per il potere politico. L’elezione nel 1978 di un cardinale polacco, Karol WOJTYLA, come papa GIOVANNI PAOLO II, fu un ulteriore casella degli eventi rivoluzionari che caratterizzarono la storia polacca dell’ultimo decennio comunista. Della PERICOLOSITA’ di quella elezione si resero conto alcuni dei dirigenti comunisti polacchi, confermata dall’enorme successo del primo viaggio in patria del papa, quando anche gli esponenti del regime non mancarono alle celebrazioni religiose di massa. Nell’agosto 1980 i FERMENTI si manifestarono apertamente con NUOVE MANIFESTAZIONI operaie che culminarono nell’occupazione dei CANTIERI NAVALI di Danzica e di alcune FABBRICHE. → Venne fondato il sindacato SOLIDARNOSC (solidarietà), che ebbe subito un enorme seguito, di fatto acquisendo il peso politico di un movimento o partito: forte era la componente CATTOLICA, rappresentata dal leader carismatico LECH WALESA, un elettricista dei cantieri di Danzica → un’unità d’azione di ceti operai e intellettuali con la Chiesa cattolica, ma anche il mondo contadino. A ennesima riprova della specificità della Polonia, il regime RINUNCIO’ alla REPRESSIONE violenta, anche perché sorpreso dalla crescita della nuova opposizione: il vero problema fu di mantenere in vita il partito abbandonato da 800.000 iscritti. L’esistenza del SINDACATO LIBERO fu legalizzata e il governo lo accettò come INTERLOCUTORE politico, non limitandosi a trattare sulle rivendicazioni avanzate da esso per conto degli operai. → in tutta la sua forza e popolarità, il grande movimento di opposizione AUTOLIMITANDOSI, non cercò di abbattere il regime. Inevitabilmente Gierek dovette cedere il posto di segretario ma il quadro politico subì una rapida, ulteriore evoluzione: il generale Wojciech JARUZELSKI (1981-89) ministro della Difesa, nel febbraio 1981 assunse la guida del GOVERNO, mentre in ottobre si impose alla SEGRETERIA: il partito era ormai un simulacro, detenendo i MILITARI e i SERVIZI SEGRETI il reale potere; di lì a poco si pensò anche di rifondarlo, eliminandone le ali conservatrice e revisionista. Dopo un vano tentativo di trovare il consenso di Solidarność su provvedimenti volti a ripristinare il controllo del Paese, l’ultimo atto fu la proclamazione dello STATO d’EMERGENZA nel dicembre 1981: la mancanza dell’unanimità nel CONSIGLIO di STATO nell’avallare quel grave gesto del capo dell’esecutivo consentì di parlare tecnicamente di COLPO di STATO → a giustifica della sua drastica scelta con l’intenzione di EVITARE un INTERVENTO SOVIETICO → al Cremlino si discusse ma si scartò l’opzione militare: si può credere che almeno parte delle forze armate polacche avrebbero reagito all’invasione, dato che i sentimenti ANTIRUSSI erano ben presenti. Le vicende polacche trovarono eco nel mondo occidentale da dove continuò a giungere SOSTEGNO materiale e politico a Solidarność e furono approvate SANZIONI contro la Polonia, che avrebbe dovuto mantenere buoni rapporti con quegli Stati che ne finanziavano il debito estero. Nel novembre 1982, la morte di Brežnev, Wałesa fu rimesso in LIBERTA’ (con molti suoi compagni): era rimasto in carcere ma l’anno seguente fu insignito del premio Nobel per la pace, segnale inequivocabile della volontà di incidere da Ovest nei processi di RINNOVAMENTO in corso all’Est. Infatti, nel 1987 il governo ricorse a un REFERENDUM POPOLARE per fare approvare nuove riforme politiche ed economiche, ma senza successo → nell’88 Solidarność BOICOTTO’ le elezioni amministrative sicché appena il 55% dell’elettorato vi partecipò. Non poteva non preoccupare l’aumento dell’EMIGRAZIONE. Quei passaggi politici erano stati un banco di prova per il proseguimento del DIALOGO con l’OPPOSIZIONE: esso doveva di necessità sfociare in un esito INNOVATIVO, soprattutto nel nuovo clima delle dichiarazioni di Gorbačëv, il quale chiarì che Mosca non avrebbe interferito con la politica interna anche se essa si fosse orientata verso il SUPERAMENTO dei regimi. → nei primi mesi del 1988 vi furono, per motivazioni economiche, importanti SCIOPERI non guidati da Solidarność; nel settembre 1988 si insediò come capo del governo RAKOWSKI (1988-89), propenso al DIALOGO → Wałesa si confrontò con il capo del sindacato ufficiale (Alleanza dei sindacati di tutta la Polonia) di fronte alla televisione, portando il successo al leader di Solidarność, grazie anche al supporto di intellettuali. I sindacati ufficiali scomparvero e il disciolto sindacato libero fu nuovamente legalizzato, non senza resistenza nel CC riunito nel gennaio 1989, alle quali Jaruzelski minacciò le dimissioni e quelle del governo → preliminare alla TAVOLA ROTONDA, cioè a una discussione tra governo e opposizione sul futuro del Paese: gli accordi previdero tra l’altro il PLURALISMO SINDACALE e la RIASSUNZIONE di quanti avevano perduto il posto di lavoro a causa delle loro attività sindacali → sciopero come strumento estremo di lotta, auspicando a uno SPIRITO COSTRUTTIVO → furono ripristinati la PRESIDENZA della Repubblica e il SENATO. Tra le altre decisioni, fu fondamentale l’accettazione di elezioni PARZIALMENTE LIBERE e con sistema uninominale: libere dovevano essere per la ripristinata CAMERA ALTA, ma non per la Camera dei DEPUTATI, dove la coalizione di governo si riservava il 65% dei seggi. → nelle elezioni di giugno 1989 Solidarność riuscì vittorioso in tutte le circoscrizioni corrispondenti al restante 35%, mentre ottenne 99 seggi su 100 al Senato. Nel settembre il cattolico MAZOWIESKI (1989-91) divenne il primo capo di governo non comunista in un Paese dell’Europa centro-orientale dai primi anni delle repubbliche popolari: tra i ministri se ne contavano 12 di Solidarność (e 4 del POUP, il cui primato politico fu cancellato dalla Costituzione. Nonostante l’opposizione di tedeschi, russi e polacchi, i 3 paesi Baltici riuscirono a ottenere e difendere l’INDIPENDENZA, riconosciute nel 1921, mentre la Lituania dovette risolvere prima i contenziosi con la Polonia, mancando l’ottenimento della città di Vilnius e il contenzioso con i Tedeschi per lo sbocco sul mare. Le popolazioni baltiche non furono però in grado di instaurare un REGIME DEMOCRATICO solido, restando attivo con grosse limitazioni tra gli anni ’20 e ’30 in Estonia e Lettonia. In Lituania già nel 1926 si instaurò un regime autoritario attorno al presidente SMETONA e il premier VOLDEMARAS. Nel 1934 segnò la fine democratica anche dei altri paesi con il generale PATS in Estonia e il leader contadino ULMANIS in Lettonia. I tre paesi poi firmarono l’INTESA BALTICA che risultò successivamente inadeguata dal punto di vista diplomatico e militare per respingere gli interessi delle potenze della zona. Il crollo della Polonia spinse i governi di Kaunas, Riga e Tallinn a firmare degli accordi di MUTUA ASSISTENZA con l’URSS: i primi contingenti militari entrarono nei territori dei 3 stati, ma a metà 1940 l’annessione divenne esplicita con la proclamazione da parte di parlamenti non eletti liberamente, di 3 REPUBBLICHE SOCIALISTE che entrarono nell’URSS. La FINLANDIA paese molto progredito, che aveva dimostrato tendenze autonomiste già nel 1905, raggiunse l’indipendenza nel dicembre del 1917 con il governo di centro-destra di SVINHUFVUS con immediato riconoscimento da parte del governo di Lenin. Questo aprì una guerra civile tra rossi e bianchi, che vinsero con il sostegno di Svezia e Germania, che con il suo crollo portò alla nascita della repubblica, che trattò con l’Unione Sovietica per la delimitazione delle frontiere nel Trattato di Tartu. Questo trattato cominciò ad essere ritrattato dai sovietici per ridisegnare la frontiera, ma nonostante la resistenza militare nella GUERRA D’INVERNO, il governo di Helsinki dovette accettare le richieste di Mosca avvallata dalla Germania nazista: la Finlandia rimase indipendente e fece fallire il tentativo di instaurare un governo comunista. L’annessione dei paesi baltici fu seguita dall’epurazione di gran parte della classe dirigente e oltre 150.000 tedeschi di questi territori furono trasferiti nelle zone di nuova acquisizione; con la guerra tedesco-sovietica i tre paesi furono occupati dalla WERHMACHT che trovò la disponibilità degli abitanti a collaborare contro i sovietici. La Finlandia allo stesso modo scese in guerra contro l’URSS per cancellare la Pace seguita alla Guerra d’Inverno. Gli sviluppi bellici però videro la nuova ascesa dei Sovietici: - Ribadita l’annessione di Lituania con Vilnius, Lettonia ed Estonia; - La frontiera con la Finlandia fu ridisegnata dagli interessi dell’URSS; Ma la Finlandia non divenne un satellite di Mosca, pur essendo condizionata nella politica estera dal Cremlino: nacque in quel momento il termine FINLANDIZZAZIONE. 1) i paesi baltici dopo la SECONDA GUERRA MONDIALE. Lituania, Lettonia ed Estonia con la fine della guerra rientrarono all’interno della questione sovietica, subendo un processo più marcato rispetto al 1940-41; alcune formazioni cercarono di sviluppare nuovi governi con l’appoggio occidentale, la linea PRO-SOVIETICA prevalse nonostante dei microscopici partiti comunisti ed elezioni poco attendibili, i tre paesi divennero Repubbliche Socialiste Sovietiche. I primi anni si registrò una vivace resistenza nelle FORESTE, oltre 4 milioni fuggirono verso ovest e in Lituania anche la CHIESA si oppose al nuovo regime, facendo finire così sacerdoti, uomini sospettati o ostili verso i campi siberiani, almeno fino all’epoca di Chruscev. Una profonda trasformazione che investì non solo la politica, ma anche la società e l’economia, che venne subito adeguata agli standard sovietici, con NAZIONALIZZAZIONI, COLLETTIVIZZAZIONE delle campagne, INDUSTRIALIZZAZIONE intensiva oltre ad una variazione DEMOGRAFICA visto lo spostamento di operai e tecnici russi, bielorussi e ucraini, mettendo in discussione la maggioranza lettone ed estone, mentre quella lituana venne accostata da una minoranza slava che sostituì quella polacca che si spostò verso il nuovo paese. Sul profilo etnico e sociale si andò in contro a un cambiamento profondo seguendo la linea dirigistica, anche se con la crescita per interesse o convenienza delle fila del partito comunista, ci fu chi cercò di mantenere le SPECIFICITA’ NAZIONALI nella comune ideologia politica: linea tollerata anche se con alcune epurazioni. Si raggiunse un equilibrio perfetto, che però non fece venir meno il sentimento ANTIRUSSO, con movimenti di dissidenza e resistenza rispetto alla linea di Mosca non solo nella società, ma anche nei partiti, che nel 1980 verso la fine dell’era Breznev vide una serie di intellettuali estoni rivolgere un appello per i popoli baltici direttamente all’ONU, diritto acquisito in linea con gli accordi di Helsinki del 1975. 4) i PAESI BALTICI dopo il 1991. La fine dell’URSS i tre Paesi Baltici tornarono all’INDIPENDENZA dopo essere stati dal 1945 Repubbliche Socialiste. L’ESPERIENZA di indipendenza tra le due guerre mondiali e le modalità dell’INCLUSIONE nell’Unione Sovietica spiega perché Lettonia, Lituania ed Estonia manifestarono più rapidamente MOVIMENTI CENTRIFUGHI, già quando sembrava impossibile il ritorno a un’esistenza separata dal colosso. Alla fine del 1988 in ESTONIA operavano nuove formazioni politiche nazionali come il FRONTE POPOLARE e il Partito per l’INDIPENDENZA: si chiese maggiore autonomia, blocco dell’immigrazione snazionalizzante, politiche più rispettose del territorio, ma talora anche la secessione → finì per prevalere nello stesso SOVIET ESTONE, RINNOVATO in modo più democratico del passato e fu fissato un percorso per una Repubblica estone indipendente. Anche in LETTONIA il Fronte popolare riuscì progressivamente a spostare su posizioni autonomistiche e poi secessioniste le stesse rappresentanze parlamentari. In LITUANIA il MOVIMENTO RIFORMISTA guadagnò ampi consensi, ponendosi alla guida di una tendenza popolare ANTISOVIETICA del tutto evidente: nel febbraio 1990 batté largamente il PC senza conseguire però la maggioranza assoluta. Nel 1989, cinquantenario del Patto Molotov-Ribbentrop, nonostante un ritorno di fiamma dei METODI VIOLENTI per porre argine alle manifestazioni indipendentistiche, la strada era segnata, lo stesso presidente russo EL’CIN prese le distanze dalla politica di repressione scelta dal governo sovietico. Quando, nel 1991, i conservatori del PCUS tentarono l’interruzione delle riforme attraverso un fallimentare COLPO di STATO militare, quel percorso fu dichiarato concluso: tra i primi riconoscimenti dell’Estonia INDIPENDENTE, accanto a quello degli Stati occidentali, giunse quello della Federazione russa di El cin → In verità il suo ATTEGGIAMENTO politico, favorì tutte le TENDENZE CENTRIFUGHE in seno all’Unione Sovietica e in modo particolare proprio quelle dei popoli baltici. → Quando Gorbačëv nella primavera ‘91 aveva lanciato il referendum per RIFONDARE, su basi più libere e volontarie, l’Unione, Estoni, Lettoni e Lituani risposero no. I GOVERNI instauratisi a Riga, Tallinn e Vilnius si espressero per un avvicinamento all’OCCIDENTE, rifiutando il progetto lanciato dai presidenti russo, bielorusso e ucraino di costituire la CSI, sebbene questa avesse natura ben diversa dall’Unione Sovietica. Il conseguimento dell’indipendenza non risolse di per sé SERI PROBLEMI, inoltre, fu solo l’inizio di un ITER che si concluse nel 2004 con l’ammissione nell’UNIONE EUROPEA e nella NATO. Soprattutto l’ingresso nell’alleanza militare occidentale creò preoccupazioni a Mosca, ma la Federazione russa non poté impedirlo. Gli ultimi soldati russi (già sovietici) avevano lasciato la Lettonia nel ‘94 e di fronte al principio difeso dal governo russo, riguardo al diritto di PROTEGGERE i RUSSI che abitavano negli Stati Baltici, i governi baltici, con l’attiva mediazione di Bruxelles, accettarono di rendere le proprie NORME sulla CITTADINANZA meno penalizzanti per le minoranze etniche. Fu il caso soprattutto di Estonia e Lettonia: in Estonia gli slavi orientali erano attorno al 35% del totale (cui si aggiungevano piccole altre comunità minoritarie), in Lettonia superavano il 42% e l’insieme delle minoranze sfiorava la metà del totale. Da qui l’introduzione del principio che la cittadinanza fosse riconosciuta alle FAMIGLIE ABITANTI da prima della Seconda guerra mondiale, poi attenuata da successivi atti legislativi che recepirono lo IUS SOLI per quanti erano nati nel territorio dello Stato. Un importante DISCRIMINE riguardò la conoscenza della LINGUA NAZIONALE, ma anche su questo divenne più tollerante, consentendo l’apprendimento dell’estone o del lettone. (assottigliato il numero dei membri della minoranza slava orientale, quanti non hanno richiesto e ottenuto la cittadinanza continuano a non avere diritto di voto alle elezioni politiche, solo in quelle amministrative). In LITUANIA, si assistette abbastanza presto al ritorno al potere degli EREDI del vecchio Pc: il presidente LANDSBERGIS, eroe dell’indipendenza, fu battuto dall’ex comunista (indipendentista) BRAZAUSKAS nelle elezioni presidenziali del 1993. Il movimento protagonista della lotta per l’indipendenza non poté sfruttare i meriti acquisiti nella lotta per separarsi da Mosca. Ciò non significò intendessero mutare direzione: l’OCCIDENTE come META e le RIFORME non furono interrotte, ma solo ricalibrate rispetto alla situazione economica e sociale. Nel 2003 i votanti si espressero per l’adesione all’UE e ben presto la Lituania fu ammessa anche nell’area SCHENGEN e dal 2015 dell’area EURO. Un quadro politico con una solida presenza di partiti vicini ai SOCIALISTI e ai POPOLARI europei, la LETTONIA, dopo aver ottenuto l’ammissione nell’UE e nella NATO, si è spinta sino a introdurre dal 2014 l’uso dell’EURO, mentre un referendum popolare respinse l’EQUIPARAZIONE del russo e da Mosca, in margine alla grave crisi ucraina, non è mancato il riferimento all’intenzione di proteggere i Russi. Difficile dire se ciò abbia influenzato il risultato delle elezioni dell’ottobre 2014, che hanno prospettato una situazione POLARIZZATA: tra una solida coalizione di centro-destra e il Partito socialdemocratico che raccoglie il voto dei russofoni, con ¼ dei seggi nel parlamento. Non meno vario lo scenario politico in ESTONIA con esecutivi DEBOLI e maggioranze NON STABILI, ma altrettanto certa la direzione nei temi fondamentali → ma l’adesione alla UE e alla NATO è stata vista in genere come una NECESSITA’ per fare fronte alla questione della minoranza russa per la quale si è creata una dialettica vivace con Mosca, attenuatasi dopo il varo della legislazione per la cittadinanza più accessibile. I tre Stati Baltici hanno creato forme di COLLABORAZIONE in più settori, incluso quello MILITARE: hanno risolto la delimitazione delle FRONTIERE marittime (per lo sfruttamento di risorse energetiche). All’interno dell’Unione Europea contribuiscono alla componente ‘settentrionale’, spalleggiando le politiche del RIGORE ECONOMICA e con la crisi ucraino-russa ha risvegliato le PREOCCUPAZIONI verso Mosca, avvertita come neo-espansionista. Non sono mancati INCIDENTI di varia natura e stata necessaria una presa di posizione della NATO per RASICURARE per evitare una pericolosa destabilizzazione. La CECOSLOVACCHIA: 1) una SOLIDA DEMOCRAZIA. La Cecoslovacchia nacque dall’unione dei paesi CECHI (Boemia e Moravia) con la SLOVACCHIA e la RUTENIA a cui si aggiunsero oltre 3 milioni di TEDESCHI e ½ milione di UNGHERESI; i padri fondatori di questa nazione furono TOMAS MASARYK e EDVARD BENES che convinsero insieme a giornalisti e intellettuali, le potenze occidentali a smembrare ciò che era l’Impero austro-ungarico. La proposta dell’ultimo imperatore per un impero federale attraverso il MANIFESTO di OTTOBRE venne respinta dalla DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA della NAZIONE CECOSLOVACCA: negli ultimi anni della guerra sia in Francia che in Italia si formarono legioni cecoslovacche, come anche un consiglio nazionale che funzionava da governo in esilio. La nascita del paese avvenne a Praga il 28 ottobre 1918. Le frontiere vennero facilmente tracciate nei confronti di Austria e Germania, seguendo le distinzioni preesistenti, ma emersero si da subito delle difficoltà nei confronti delle MINORANZE TEDESCHE che richiedevano di aderire all’Austria, proposte respinta dalle potenze vincitrici: la resistenza di questo elemento però non fu così forte, tant’è che prevalse un atteggiamento di COLLABORAZIONE e all’entrata nel governo centrale con una propria rappresentanza. Su altri versanti si definirono dopo gli eventi del 1919 e gli interessi economici: In Slovacchia se una parte protestante accettava con alcune riserve l’unione, accanto agli ungheresi convivevano molti slovacchi MARGIARIZZATI -> il governo democratico ungherese di KAROLYI non riconobbe le aspirazioni cecoslovacche, con la conseguente nascita della REPUBBLICA SLOVACCA dei CONSIGLI. Il tutto si concluse con il crollo dell’esperimento ungherese a causa dell’ingresso a Budapest dell’esercito ROMENO e le forse cecoslovacche riuscirono a prendere il controllo, spianando il percorso per le decisioni della Conferenza di Parigi. L’impostazione del nuovo stato venne disposta su una struttura di una Repubblica democratica, con non poche concessioni alle minoranze senza cedere a strutture ferali, con il riconoscimento di LINGUE MAGGIORITARIE o strutture BILINGUISTE a seconda delle prevalenze etniche: ma i malumori si concentrarono sui diversi livelli di sviluppo ECONOMICO e SOCIALE. La crisi di governo che si aprì non condusse però a elezioni, in quanto Gottwald convinse Benes a non sciogliere il parlamento, per un semplice RIMPASTO con la presenza di alcune personalità che provenivano dai partiti che avevano rotto l’alleanza. Il clima del paese però risultava pesante, le SINISTRE e i SINDACATI mantenevano il controllo delle piazze e occuparono le sedi dei partiti avversi al governo: si compì così il FEBBRAIO VITTORIOSO nel 1948, con un colpo di stato a Praga. → morte ministro degli esteri Masaryk figlio del fondatore del paese. A maggio si svolsero elezioni poco attendibili in cui la LISTA UNICA governativa prevalse con il 90%, fu predisposta una nuova carta costituzionale che omologò lo stato al MODELLO SOVIETICO, portando alle dimissioni di Benes che non ne approvava la struttura. Nel 1948 quindi iniziò il regime comunista, ma nonostante il paese fosse avanzato su diversi fronti, in realtà ebbe un’azione piuttosto limitata, come si vide con il blocco da parte di Stalin all’accesso al piano Marshall per la ripresa nazionale. Un paese con la vocazione per gli scambi commerciali con l’estero e una bilancia commerciale in attivo per la produzione, si legò all’Unione Sovietica e al Comecon, superando le ragioni economiche a favore di quelle ideologiche e politiche. La società interna incominciò ad essere travolta da un clima pesante verso coloro che avevano militato in partiti avversi, ma anche ex partigiani, militari, intellettuali nelle università e gli stessi studenti che vennero espulsi, oltre a intellettuali di sinistra accusati di trockismo per via GIUDIZIARIA ed extra come l’allontanamento da lavoro. Lo stesso avvenne nel PC con una purga reclamata anche dallo stesso segretario SLANSKY, sollecitato da Mosca, andando a colpire vari dirigenti, personalità, ministri, soprattutto COMUNSITI SLOVACCHI criticati come portatori di idee nazionalistiche; nel 1951 con la segreteria di Gottwald lo stesso Slansky venne accusato di essere il principale OPPOSITORE INTERNO, filoccidentale, filoisraeliano, e simpatizzante di Tito, portandolo alla morte. Le purghe in Cecoslovacchia furono le più complesse e articolate dell’intero blocco, con migliaia di espulsioni, torture per obbligare a confessare → crimini spinti da Mosca, che videro nella figura di Gottwald prendere forma, obbligato a scegliere tra la sua vita sacrificando gli altri, o opporsi per la verità contro Mosca. La CHIESA CATTOLICA cercò di opporsi, ma la repressione fu pesante per vescovi arrestati e morti in detenzione, l’intervento clandestino di Roma non fu sufficiente, lo stesso ARCIVESCOVO di Praga venne arrestato e solo anni dopo costretto a trasferirsi a Roma; si agì contro i monasteri, vennero chiusi seminari e si ingerì nelle nomine delle cattedre di teologia. Nel 1953 morì Gottwald, come a Mosca si formò una dirigenza collegiale, dove però fu chiaro sin da subito la figura di NOVOTNY (1953-68) mentre ZAPOTOCKY (1953-57) fondatore del Partito e leader del sindacato venne eletto PRESIDENTE (sostituito poi dal segretario PC) e SIROKY a capo di governo. La linea industrialista e collettivizzatrice continuò ad essere portata avanti seguendo la linea del segretario del PC, venne avviata una riforma monetaria per far fronte all’inflazione galoppante, ma questo non evitò tutta una serie di MANIFESTAZIONI di carattere economico ma anche politico. Tra il 1953-54 si svolsero gli ultimi processi di epurazione, seguiti poco dopo dalle prime fasi di LIBERAZIONE dei detenuti politici: la destalinizzazione in Cecoslovacchia fu guidata da una COMMISSIONE per la REVISIONE dei processi del ministro degli interni e fu relativamente MODERATA, reprimendo l’insoddisfazione di intellettuali e studenti. La credibilità del regime però fu comunque influenzata dall’andamento dell’ECONOMIA, mentre il Terzo piano quinquennale del ‘61venne bloccato, forse come ammissione del fallimento di tale modello; il gruppo dirigente però sembrava credere nel modello in quanto si definiva SOCIALISTA la repubblica e COMUNISTA il partito, ma sia nel partito che nella società cominciavano a presentarsi fermenti di novità. Nel mondo economico, intellettuale, artistico e letterario incominciarono percorsi di rinnovamento e critica, intorno al ministro degli interni BARAK sembrò costituirsi un gruppo alternativo ai dirigenti conservatori, ma Novotny lo fece condannare ad anni di carcere; in quegli anni però avvennero anche alcuni cambiamenti ai vertici, con SIROKY che lasciò spazio a LENART (1963-68) e iniziò a mettersi in luce la figura di DUBCEK. In Cecoslovacchia però la situazione partitica risultava essere alquanto particolare, in quanto accanto al partito comunista cecoslovacco, esisteva il PARTITO COMUNISTA SLOVACCO che vide proprio Dubcek assumere la segreteria nel 1963. L’andamento dell’ortodosso marxismo-leninismo però non cedette il passo per paura dell’incrinarsi del regime, ci fu contemporaneamente una chiusura delle tendenze innovatrici, ma allo stesso tempo nel quarto piano economico tra il ’66-’70 vennero accettati elementi di ECONOMIA di MERCATO e un minimo di AUTONOMIA alle aziende. Anche nel partito nel ’67 l’area dei LIBERALI, CENTRISTI e autonomisti SLOVACCHI misero in minoranza Novotny e la corrente Conservatrice; questo portò il Comitato Centrale a una decisione alquanto particolare: NOVOTNY rimaneva presidente della Repubblica mentre DUBCEK gli succedeva alla segreteria. Questi cambiamenti molto attenti, comunque, rimasero negli interessi dell’Unione Sovietica, la presidenza Breznev etichetto il tutto come una soluzione interna al partito. I RIFORMISTI, quindi, assunsero la guida del partito accelerando sul cambiamento, che tra inverno e primavera del 1968 vide l’elezione a presidente della repubblica di SVOBODA (1968-75) come furono riformisti anche il presidente del parlamento, la presidenza del consiglio e la presidenza del fronte nazionale: che agirono sotto proprie convinzioni ma anche l’influenza dell’opinione pubblica. Dubcek assunse il difficile compito di mediare tra le aspirazioni della popolazione, i comunisti di destra e gli avvertimenti di Mosca: alcuni stalinisti fuggirono, altri si suicidarono, in una situazione che si RADICALIZZO’ velocemente oltre quanto Mosca potesse tollerare. → Dubcek approvò insieme al partito un PROGRAMMA D’AZIONE alquanto avanzato, ma non inteso come ostile a Mosca → un insieme di elementi presi dagli esperimenti polacco e ungherese, da sistemi socialisti non ortodossi come quello Jugoslavo combinati con elementi tradizionali cecoslovacchi. → i dirigenti sovietici, tedesco-orientali e polacchi si preoccuparono della frontiera OCCIDENTALE, della fedeltà di PRAGA e l’esistenza dello stesso REGIME COMUNISTA = per questo si cercò di avviare dei dialoghi per invitare la dirigenza a riportare l’ortodossia, mentre dall’altra si preparò l’intervento militare del Patto di Varsavia. Nel frattempo, TITO e CEAUSESCU espressero il loro consenso al nuovo decorso, guardando al principio dell’indipendenza di ogni paese e di ogni partito comunista. A ritardare l’invasione a fine agosto fu la necessità di trovare una COPERTURA nel mondo politico cecoslovacco: non parteciparono ALBANIA, ROMANIA e la DDR, se dal punto di vista militare risultò essere un successo, dal punto di vista politico un fallimento. Nonostante gli arresti, anche di Dubcek, il presidente Svoboda si rifiutò di nominare l’ultraconservatore INDRA voluto da Mosca, in sostanza fallì il colpo di stato: la resistenza fu passiva e con poche vittime, ma il POPOLO e le ISTANZE POLITICHE si proclamarono contro l’invasione → si spiegò ai soldati che il paese non era nemico o reazionario. Pochi giorni dopo i maggiori dirigenti compreso Dubcek accettarono i diktat sovietico noto come PROTOCOLLO di MOSCA, smentendo le delibere del congresso straordinario che sostenevano la democrazia, e rinunciarono alla gran parte degli obiettivi riformistici. Questa situazione trovò giustificazione nella teorizzazione di Breznev, ossia la DOTTRINA BREZNEV affermando che anche se il socialismo fosse stato in pericolo in un paese, gli altri Stati socialisti avevano diritto di intervenire, come chiara limitazione dei singoli stati. A inizio 1969 a Praga lo studente PALACH si diede fuoco nella piazza centrale, protesta che replicò modelli vietnamiti, colpì governi, partiti e opinioni pubbliche; i funerali divennero una mega MANIFESTAZIONE contro il corso politico e l’occupazione sovietica Dubcek venne rimosso e ridotto a normale cittadino divenendo giardiniere, nel 1970 un trattato di amicizia sovietico- cecoslovacco sancì il diritto dell’Armata Rossa a rimanere sul territorio, nel 1971 il PC andò incontro a una nuova normalizzazione e vennero svolte le nuove elezioni con il Fronte Nazionale egemonizzato dal PC nelle sue due versioni cecoslovacco e slovacco → 1/3 degli iscritti furono espulsi, si dimisero o andarono in esilio. Il partito comunque non era un blocco unito, i sovietici avevano dato spazio ai centristi facendo eleggere a segretario HUSAK (1969-87) responsabile in passato di repressioni e allo stesso tempo vittima delle purghe. Nel partito nessuno faceva riferimento alle politiche del ’68, limitandosi ad analizzare il quadro sociopolitico della società e del partito, su cui intervenne la NORMALIZZAZIONE, di fatto una vera corrente riformista non trovò più spazio (dal 1975-89 Husak divenne Presidente, simbolo di una sorta di Stalinismo di ritorno). La popolazione fu incentivata a rifugiarsi nella sfera privata, con un governo che cerò di migliorare i risultati economici, aumentando i consumi, con un riavvio del sistema centralizzato e l’obiettivo di riequilibrio del sistema economico, con l’industrializzazione della Slovacchia e altre regioni. L’economia rimase comunque SOLIDA giovandosi dell’alto livello di istruzione e professionalità, oltre a cospicui investimenti nella produzione meccanica, chimica e la sostenibilità ambientale. → Reddito annuo pro capite secondo dopo la Germania Est, ma lontano da quelli dei paesi occidentali. Importanti passi avanti videro migliorare le relazioni con l’AUSTRIA e la GERMANIA FEDERALE con cui firmò nel 1973 la non validità del patto di Monaco del ’38, vedendo la rinuncia da parte del governo di Bonn dei territori abitati da tedeschi. 3) La Cecoslovacchia dalla NORMALIZZAZIONE alla RIVOLUZIONE di VELLUTO. La nuova fase della DISTENSIONE INTERNAZIONALE rappresentata dagli ‘Accordi di Helsinki’ del 1975 favorì anche in Cecoslovacchia la ripresa di forme di DISSENSO → fine del 1976 fu costituita CHARTA 77 = sebbene vi aderissero poche centinaia di intellettuali, includeva diverse CORRENTI: la più vivace era fatta da personalità ANTIREGIME, ma non mancavano molti DUBCEKIANI. Dopo i primi colpi della polizia, sembrò che l’organizzazione fosse sul punto di sciogliersi per problemi interni, legati alle idee delle varie componenti e alla capacità di operare insieme. Tuttavia, sopravvisse e costituì l’unico FILO che collegò la RESISTENZA al regime husákiano con gli eventi imprevisti del 1989, riuscendo a far giungere la propria voce oltre confine e a influenzare in qualche misura anche il dissenso in altri paesi del blocco. Il governo e il partito, in fatto di ideologia e di politica estera, mantennero un FEDELE ALLINEAMENTO nei confronti delle scelte di Mosca, non ammettendo varianti al modello unico per il blocco. Nel 1980 difese l’invasione dell’AFGHANISTAN da parte sovietica, contro le critiche venute anche dal campo comunista, da Cina, Romania e Jugoslavia, e da partiti eurocomunisti occidentali, pure il governo egiziano (buone relazioni e commercio armi) veniva criticato per le aperture verso gli USA e Israele. Nei primi anni ‘80 si registrarono NUOVE FORME di protesta a seguito del rinnovato confronto tra le superpotenze e i movimenti pacifisti che ripresero in tutta Europa → nel 1983 a Praga si tenne l’ASSEMBLEA MONDIALE per la PACE durante la quale si udirono critiche per l’installazione dei missili non solo occidentali, ma anche sovietici. Sulla stessa linea alcune PETIZIONI POPOLARI osarono pronunciarsi contro il dislocamento delle installazioni missilistiche russe. Tutto ciò e altri piccoli, gruppi di DISSIDENTI non sembravano minacciare il regime non trovando il consenso popolare in forma esplicita. Uno SCONTENTO più diffuso maturava in forma silenziosa, cambiava il COSTUME, l’ARTE, e si registrava l’apertura verso la MUSICA e le MODE occidentali → un lavoro ‘organico’, privo di teorizzatori ma costante: avrebbe costituito il BACKGROUND su cui poggiare un vero dissenso di massa come avvenne poi nel 1989. Gli STUDENTI erano particolarmente sensibili a questo mutamento nella sfera PRIVATA e CULTURALE piuttosto che in quella politica: furono loro al momento decisivo l’elemento trainante accanto agli oppositori tradizionali. Persino i parziali SUCCESSI ECONOMICI non furono sufficienti a impedire il distacco progressivo dei cittadini dalla politica ufficiale, incapace di governare la MODERNIZZAZIONE SPONTANEA della società. SLOVACCHIA: un aspetto particolare successivo alla Primavera del 1968 riguardò gli SLOVACCHI: nonostante Dubcek fosse slovacco, essi parteciparono in misura limitata e con diverse aspirazioni al movimento: puntavano a conquistare una PIENA PARITA’ rispetto a Boemi e Moravi. → Una LEGGE COSTITUZIONALE del 1968, cioè successiva all’invasione, sancì la piena FEDERAZIONE dello Stato cecoslovacco. Presto però ci si avvide che restava CENTRALISTA il PARTITO (eppure esisteva un Partito comunista slovacco) e che le decisioni importanti si prendevano a PRAGA, anche se il segretario Husák, era anche lui slovacco. La Slovacchia registrò una repressione più contenuta nel partito, tanto da consentire la sopravvivenza di una corrente RIFORMISTA. Inoltre, in terra slovacca era più viva la dissidenza esistente negli ambienti cattolici che facevano capo all’anziano e coraggioso cardinale TOMASEK. Peraltro, si registrarono nuovamente misure detentive nei confronti di diversi SACERDOTI e nel ‘82 il Vaticano condannò ufficialmente il movimento costituito da cattolici allineati alla politica del governo. I due maggiori partiti DEMOCRATICO-CIVICO e SOCILDEMOCRATICI, dotati di un consenso elettorale quasi uguale, negli anni seguenti si ALTERNARONO al governo, utilizzando l’appoggio degli altri partiti in parlamento: comunisti, cristiano- democratici, repubblicani xenofobi, formazioni recenti e l’Azione dei cittadini insoddisfatti. Sebbene con maggioranze limitate e composite, la Repubblica Ceca proseguì nella sua profonda TRASFORMAZIONE, come dimostra il fatto che nell’economia del Paese il SETTORE PUBBLICO ha un ruolo marginale: il reinserimento nella ‘famiglia’ europea era del tutto evidente anche prima dell’ingresso nell’UE nel 2004, con i numerosissimi turisti a Praga. In anni più recenti l’affievolirsi del sentimento europeista è emerso, essendo tra gli ‘euroscettici’ lo stesso KALUS (2003- 13) a lungo ostile a promulgare il Trattato di Lisbona. Il sistema ceco può essere definito come un sistema politico «of two and half parties»: infatti all’ODS e al ČSSD si aggiungeva la COALIZIONE di quattro partiti minori di centrodestra, mentre il Partito comunista restava isolato. L’UNGHERIA: 1) HORTHY. Durante la conclusione della Grande Guerra la sinistra democratica assunse le redini della situazione politica, attraverso la cosiddetta “RIVOLUZIONE dei CRISANTEMI” che fece emergere la figura del nobile democratico MIHALY KAROLYI che da leader dell’opposizione al regime conservatore, dovette proclamare la repubblica e la separazione dall’Austria. Il nuovo regime democratico però risultò essere debole sin dall’inizio: l’azione di Károly dovette andare incontro ad un accordo con il Partito SOCIALDEMOCRATICO e i RADICALI di JASZI, a cui venne affidato il ministero più complicato, quello delle NAZIONALITA’. Dal 1918 fu necessario trovare un equilibrio nei rapporti tra i diversi POPOLI che appartenevano al Regno di Ungheria, su cui pesava la sconfitta nel conflitto e la responsabilità di averlo causato. Gli armistizi del novembre sul versante italiano e a Belgrado, ma nei BALCANI il fronte lasciava i confini indefiniti. La debolezza della posizione ungherese verso le richieste di ROMANIA, JUGOSLAVIA, CECOSLOVACCHIA e le potenze vincitrici, fece si che il governo democratico perdesse di credibilità: all’ennesima richiesta di arretramento avanzata dalla diplomazia, portò alle dimissioni di Károly. Questo portò la SOCIALDEMOCRAZIA ungherese a firmare l’unione con i COMUNISTI di KUN per dare origine a un nuovo regime politico; venne così proclamata la REPUBBLICA dei CONSIGLI, un’esperienza che durò qualche mese. L’isolamento internazionale del paese era evidente, da una parte l’ARMATA ROSSA SOVIETICA non intervenne perché impegnata contro l’eliminazione delle frange dei bianchi mentre le POTENZE vincitrici si isolavano per evitare infezioni rivoluzionarie: l’esercito ungherese riuscì ad ottenere alcuni successi contro i cecoslovacchi mentre veniva sconfitto a sud contro i romeni. La stessa popolazione mal sopportò le NAZIONALIZZAZIONI e le violenze delle milizie operaie, riconducibili al TERRORE ROSSO. Mentre le truppe serbe e francesi insieme all’esercito nazionale contro-rivoluzionario premevano nella regione del SEGHEDINO e le truppe rumene entrarono a BUDAPEST, il governo rivoluzionario passò la mano del governo a figure più MODERATE rispondendo alle richieste della diplomazia occidentale. Il governo dopo una settimana venne rovesciato da un PUTSCH militare che instaurò un governo contro-rivoluzionario guidato da ISTVAN FRIEDRICH, mentre i leader rivoluzionari e lo stesso Kun scapparono in Austria. Tra agosto e novembre del 1919 questo governo cedette il passo ad uno più moderato guidato da HUSZAR; il paese però dopo la ritirata romena era in mano all’esercito nazionale dell’ammiraglio MIKLOS HORTHY, ex aiutante di campo dell’Imperatore Francesco Giuseppe, ad inizio 1920 fu eletto REGGENTE/GOVERNATORE. La questione territoriale rimase centrale, la propaganda non ebbe la meglio sulle decisioni della Conferenza di Pace dove le questioni storiche pesarono molto meno rispetto a quelle etniche, oltre ad essere applicate in modo non equo e condizionato da criteri economici. ➔ La delegazione ungherese non venne ammessa alla Conferenza, il paese ne uscì umiliato, perdendo oltre 1/3 del territorio e popolazione; oltre alla frammentazione del bacino economico/commerciale che unito all’emergere di politiche PROTEZIONISTICHE su tutto il continente non favorì il libero scambio/commercio. Tre tendenze politiche lottavano tra di loro: 1) DEMOCRATICI: o Partito SOCIALDEMOCRATICO nell’agosto 1919 abbandonò la collaborazione con i comunisti, seguendo una linea RIFORMISTA. o Negli ambienti della media-piccola borghesia e degli intellettuali si svilupparono due tendenze, verso il Movimento CRISTIANO SOCIALE, ma soprattutto per il Partito LIBERALE DEMOCRATICO. o Un programma democratico si presentava anche nel Partito CONTADINO. 2) RADICALI DI DESTRA: o Raccolti attorno a formazione PARAMILITARI, furono responsabili in parte di uccisioni e altre violenze, intenzionati a limitare il potere parlamentare e costituire un potere centralizzato, da cui prese le distanze tra il ’21-’22, sostituito da GOMBOS. 3) CONSERVATORI: o Collocati al centro del sistema politico, si trovavano grandi possidenti e ricchi capitalisti, che volevano restaurare un sistema parlamentare pre-bellico con alcune concessioni; miglior rappresentante di questa tendenza fu ISTVAN BETHLEN, dal 1921 al 31 primo ministro. ➔ Il suo programma LIBERALISMO MODERATAMENTE CENSITARIO, rimase lontano dagli estremismi di destra e sinistra, ma anche dalle tendenze democratiche moderate. Stringendo un patto di governo con i Socialdemocratici, portò avanti un programma per una DEMOCRAZIA GUIDATA. DI fatto non si può parlare di dittatura di Bethlen perché il suo potere fu limitato dall’OPPOSIZIONE parlamentare e dalla DISOMOGENEITA’ dello stesso partito governativo; oltre a un centro conservatore, convivevano frange di contadini democratici, liberali e ala destra. (Durante gli anni ’30 a discapito dei liberali si rafforzarono le frange di destra). Il reggente non ebbe poteri tali da imporre la sua volontà nonostante fosse comandante in capo dell’esercito, ma divenne il centro di una consuetudine governativa che lo vedeva ricevere il primo ministro per importanti discussioni o proposte di legge, come accadeva in Cecoslovacchia. Il passaggio da una figura RAPPRESENTATIVA a una figura con maggiori COMPETENZE avvenne durante gli anni ’30 rafforzandone la sua posizione di fronte al Parlamento. Di fatto però il regime ungherese è definibile in modo simile ai REGIMI FASCISTI, ma che di fatto fu solo AUTORITARIO e CONSERVATORE, nel rispetto delle norme DEMOCRATICHE introdotte dal sistema ungherese. Per una serie di diverse cause questo sistema mutò: ➔ Nel 1932 giunse al ruolo di primo ministro GOMBOS aperto ammiratore del fascismo italiano e del Duce, proveniente dall’ala destra del partito di governo però non riuscì a modificare gli equilibri interni, adattandosi a quelli già esistenti. La sua morte nel 1936 coincise con una crescita importante dei movimenti radicali di destra, sostenuti dalla Germania nazista. Questi però non riuscirono ad influenzare o cambiare gli equilibri con le élite tradizionali. In piena guerra l’Ungheria alleata della Germania, comunque mantenne una sua indipendenza rispetto a Berlino: ci fu un appesantimento della LEGISLAZIONE ANTIEBRAICA, il vero massacro avvenne solo con l’occupazione tedesca, con oltre 500.000 persone sulle circa 800. Un tratto essenziale tra le due guerre fu l’OPZIONE REVISIONISTICA per quanto riguardava le frontiere: il TRATTATO del TRIANON veniva visto come ingiusto per i territori ceduti e i troppi ungheresi che vivevano fuori dalle frontiere, un Ungheria “MUTILATA”. Se da una parte questo portò ad un accordo di amicizia nel ’27 con l’Italia di MUSSOLINI, questo revisionismo venne tenuto sotto controllo dai paesi limitrofi: il paese era limitato nella numerosità dei suoi contingenti e non ci fu un serio tentativo di riarmo. L’avvio della politica revisionistica tedesca di HITLER portò l’opportunità di alcuni mutamenti: con la Conferenza di Monaco l’Ungheria ottenne dalla Cecoslovacchia la SLOVACCHIA MERIDIONALE e la RUTENIA SUBCARPATICA. L’Ungheria non venne coinvolta sin dal settembre del 1939, subì pressioni da Roma e Berlino per allinearsi all’Asse, con l’apertura di dinamiche revisionistiche anche per l’URSS, l’Ungheria ottenne dalla sua posizione gran parte della TRANSILVANIA dalla Romania. Dopo l’aggressione alla GRECIA da parte italiana, Roma e Berlino cercarono di convincere la JUGOSLAVIA ad allearsi, come aveva fatto l’Ungheria con il Patto Tripartito, cercando una cooperazione tra questi due paesi che giunse con un trattato che venne tradito da lì a poco. Nel 1941 il cambiamento politico in Jugoslavia portò la Germania e l’Italia ad invaderla, mentre il governo di Budapest tradì il trattato ratificato da pochi mesi, aggregandosi alla spedizione militare con il consenso di Horthy, mentre il primo ministro PAL TELEKI si suicidò. L’intervento in Jugoslavia trascinò l’Ungheria nel secondo conflitto mondiale, dopo la diffida proveniente da Londra e la successiva partenza per la guerra in UNIONE SOVIETICA. Le grosse limitazioni emersero sin da subito e già ad inizio 1943 gran parte dell’esercito venne distrutto. I maggiori responsabili politici tra cui il primo ministro KALLAY, cercarono di sganciarsi dall’alleanza con la Germania, corteggiando la NEUTRALITA’ nei confronti dell’Italia, offrendogli la corona di Ungheria e aprendo una TRATTATIVA SEGRETA con gli alleati. Nel 1944 Hitler decise di invadere il paese instaurando un governo guidato dal moderato generale GEZA LAKATOS (deposto); nel mese di ottobre la reggenza di HORTY annunciò l’armistizio con il rovesciamento delle alleanze, ma venne ARRESTATO e costretto a nominare SZALASI alla guida del governo (deportazioni e massacri di ebrei). Nello stesso periodo sul territorio ungherese giunse l’Armata Rossa dove favorì la costituzione di un’assemblea nazionale provvisoria, con un CONTROGOVERNO guidato da MIKLOS. L’assedio di Budapest durò alcune settimane a cavallo tra il ’44 e il ’45, finendo poi per essere occupata totalmente dall’Armata Rossa. 2) STALINISMO, RIVOLTA e NORMALIZZAZIONE. L’Ungheria pagò a caro prezzo la partecipazione alla guerra e in particolare l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa: pesante CRISI ECONOMICA che caratterizzò il primo dopoguerra fu segnata da una IPERINFLAZIONE, tanto che nel biennio 1945- 46 qualche stipendio o salario fu costituito da beni commestibili. Fu necessario ricorrere a una radicale RIFORMA MONETARIA istituendo il fiorino, che permise di risolvere la drammatica situazione e riavviare dal 1947 la produzione, in alcuni settori recuperando addirittura i livelli prebellici. La fine del regime horthysta (e della breve parentesi di Szálasi) favorì la crescita delle simpatie per i PARTITI di SINISTRA, incluso quello comunista: quest’ultimo poté contare sull’appoggio dell’OCCUPANTE SOVIETICO, ma si trattava un’arma a doppio taglio: infatti la POPOLAZIONE mal sopportava il comportamento e la stessa presenza degli occupanti. In un primo test elettorale, SOCIALISTI e COMUNISTI sembrarono prendere la guida del paese, ma si trattò di eleggere un parlamento provvisorio mentre le operazioni belliche non erano terminate. Con loro partecipò alla conduzione politica del paese un partito già esistente, il Partito dei PICCOLI PROPRIETARI (PPP), espressione degli ambienti contadini, mentre non ebbero alcun peso formazioni che avevano avuto grande seguito negli anni precedenti. Queste considerazioni permettono di guardare con minore sorpresa al risultato delle elezioni politiche del novembre 1945 e all’eccezionale successo conseguito dal PPP con il 57% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi. Si pose allora il problema di continuare l’esperienza dei governi di UNITA’ NAZIONALE oppure di dare inizio a una COMPETIZIONE tra partiti diversi: si resero conto di essere obbligati a restare ALLEATI di comunisti, socialisti vista la presenza dell’Armata Rossa nel paese e perché era evidente come a Mosca si sarebbero decise le sorti dei CONFINI. Il primo ministro FERENC NAGY (1946-47) e il ministro degli Esteri, alla testa della DELGAZIONE, si recarono in visita da Stalin per ottenerne l’aiuto in merito alla delicata e cruciale questione della TRANSILVANIA. Il lodo Ciano-Ribbentrop del 1940 non era piaciuto a Stalin nella forma (decisione italo-tedesca senza consultare il governo sovietico) ma nella sostanza accettabile. Tuttavia, a Mosca le decisioni erano già state prese e proprio il rappresentante sovietico si era opposto a che si facesse la pur minima concessione ai desideri degli Ungheresi, così come proposto da parte statunitense: in ogni caso si sarebbe trattato solo di qualche migliaio di chilometri nelle zone di frontiera dove la tesi romena sembrava meno sostenibile. Stalin aveva un motivo in più per appoggiare le richieste di BUCAREST contro quelle di fosse stato completato. (Imre Nagy dissentì, avrebbe voluto un’agricoltura florida e caratterizzata dalla piccola proprietà, con un movimento cooperativistico spontaneo e non indotto. Per tali idee fu costretto all’autocritica ed emarginato). I risultati furono buoni nell’industria pesante, che nel 1948 già pervenne ai livelli produttivi del 1938, mentre industria leggera, agricoltura e settore alimentare restarono indietro, con conseguenze ovvie sulla vita dei cittadini. Nel 1953 vi furono MANIFESTAZIONI di protesta da parte dei contadini e i SALARI reali decrebbero. La morte di Stalin fu un segnale di grande importanza: - il PIANO QUINQUENNALE in corso non stava dando risultati brillanti; - la politica di Rákosi e dei suoi più stretti collaboratori andava contro le NUOVE INDICAZIONI del Cremlino, come sul concetto di DIRIGENZA COLLEGIALE; → non era ammissibile più che lo stesso uomo detenesse le maggiori cariche: dunque Rákosi fu invitato a lasciare a IMRE NAGY la guida dell’esecutivo: per lui il regime politico non poteva considerarsi in ‘guerra’ con la società, ma doveva governarla interpretandone le esigenze e conseguendone il consenso. (un’ulteriore dimostrazione di come le sorti dell’Ungheria dipendessero in maniera assoluta dalle volontà della dirigenza sovietica, mentre il Comitato centrale del PC assolutamente prono alle indicazioni esterne a seconda delle simpatie che questi ottenevano a Mosca). Il governo Nagy durò dal 1953 al ’55, ma sin dall’esordio mostro dei tratti peculiari: DISCORSO che egli tenne in parlamento per conquistarne la fiducia fu molto più CRITICO verso il recente passato e promise RIFORME RADICALI. Di fatto Nagy si impegnò per realizzare le riforme promesse: LIBERAZIONE degli internati, LIBERTA’ di espressione per gli intellettuali, sospensione della COLLETTIVIZZAZIONE delle campagne, sostegno alla PRODUZIONE dei beni di consumo, rivitalizzazione del Fronte popolare dell’indipendenza per farne il rappresentante delle ESIGENZE popolari. Non riuscì nel suo intento, sia per motivi oggettivi carattere pratico sia perché non lealmente sostenuto dai rákosisti. Probabilmente la caduta di Malenkov a Mosca spiega come riuscirono a rimuovere Nagy dalla presidenza del Consiglio e a sostituirlo con un allievo di Rákosi, il András HEGEDUS (1955-56). → se Nagy fu persino ESPULSO dal partito (una misura veramente inspiegabile) senza serie opposizioni, Rákosi non tornò ad essere padrone assoluto del partito e del Paese: negli ambienti intellettuali, si era andata coagulando una opposizione portavoce dell’INSODDISFAZIONE della società. Intanto il governo Hegedüs firmò l’adesione al PATTO di VARSAVIA nel 1955 che consentì ai sovietici di mantenere i loro contingenti sul suolo magiaro, nonostante fosse venuta meno la condizione per cui essi erano rimasti (collegamento con l’Austria divisa). Sempre nel 1955 l’Ungheria fu ammessa nell’ONU: le superpotenze si erano messe d’accordo per sostenere le candidature dei Paesi a esse vicine (l’Italia non per caso fu ammessa nello stesso anno). Il secondo piano quinquennale fu improntato a criteri in linea con la politica chrusceviana: insomma un RALLENTAMENTO nell’attuazione del progetto socialista sovietico era ammissibile, tutto questo non bastava all’opinione pubblica: molti avrebbero voluto proseguire sulla strada nagysta. Gli impulsi che giunsero dal XX° CONGRSSO del PCUS e dal Rapporto segreto di Chruščëv: le accuse che egli rivolse esplicitamente a Stalin potevano essere le stesse da rivolgere a Rákosi (con la differenza che questi era ancora in vita e al potere). Le agitazioni in POLONIA furono un incentivo perché la situazione si mettesse di nuovo in movimento. Il SEGRETARIO del PLU cercò di mettere a tacere: seguirono ripetute consultazioni con Mosca il cui risultato fu l’ALLONTANAMENTO dello stesso Rákosi dalla segreteria e dal Comitato centrale → una rimozione ‘MORBIDA’ poiché il vecchio leader fu trattato con tutti gli onori, ma abbinata a una delibera del CC che riconobbe la giustezza della politica nagysta. Il rinnovamento dei vertici del partito non fu altrettanto chiaro: alla segreteria ascese il più fidato collaboratore di Rákosi, GERO, mentre l’opinione pubblica, chiedeva ulteriori passi in avanti. I fermenti negli ambienti STUDENTESCHI, sempre più vivaci, con richieste: abolizione dell’organizzazione studentesca del regime, fine della censura, libertà di critica, destinate a costituire un manifesto-programma rivendicazioni che cominciarono a trovare il consenso di parte della popolazione e degli operai. La MATURAZIONE dell’agitazione vide la richiesta del ritorno di NAGY (1956) al governo, per cui si convocò una grande manifestazione che Gero negò, ma di fronte all’opinione diversa di altri dirigenti, dovette cedere e la manifestazione si tenne → in poche ore dopo egli assunse la guida dell’ESECUTIVO, prova concreta che il regime scese a patti. Intanto nei pressi della RADIO vi furono incidenti tra manifestanti e la polizia politica che lasciarono sul terreno morti: seguì l’occupazione dell’edificio e la solidarietà di alcune forze militari verso i manifestanti, portò alla distribuzione di armi. Di fatto si creò un CLIMA da guerra civile: dalle FABBRICHE fecero sentire la loro voce i consigli operai, per niente disposti a sostenere il regime e l’agitazione si diffuse nell’intero Paese. In seguito da parte comunista si disse che i vecchi horthysti o Croci frecciate avevano preso il controllo della piazza → il movimento fu molto più ampio e generale, tanto da meritare la denominazione di RIVOLUZIONE NAZIONALE, confermato anche dal fatto che l’intervento delle forze armate sovietiche, dovettero muoversi anche nelle vie della capitale. Nagy cercò una SOLUZIONE POLITICA, convincendo il Cremlino a ritirare le truppe che stazionavano nelle campagne: d’accordo con il Presidente del Consiglio e altri dirigenti, KADAR (1956-88) assunse la SEGRETERIA del partito, la denominazione fu mutata in Partito socialista unificato ungherese, ma solo 1/8 dei militanti confermò l’iscrizione. Il governo consentì che riprendessero la loro AUTONOMIA il PPP, il PSD, il Partito nazional-contadino essendo rimessi in libertà i loro esponenti, cercandoli di includere nell’esecutivo come reale espressione di una coalizione. Nel Paese la situazione continuava a essere fluida con singole realtà locali (città, villaggi, fabbriche ecc.) che sembravano godere di assoluta autonomia, dato il controllo limitato del territorio. Di tale quadro al Cremlino si iniziò a dare un giudizio piuttosto PREOCCUPATO, al di là delle dichiarazioni → i PAESI OCCIDENTALI si trovarono in seria difficoltà a giudicare la crisi: era scoppiata la crisi di Suez che vide Washington su posizioni opposte a quelle di Londra e Parigi che, con l’aiuto di Israele, cercarono di imporre la propria volontà al governo egiziano di Nasser. Da una parte il Cremlino si convinse che non fosse possibile perdere un’IMPORTANTE pedina (come l’Ungheria) alla frontiera con il campo occidentale, e che l’Occidente NON avrebbe REAGITO né militarmente né compattamente a un’azione militare sovietica. → La previsione fu assolutamente ESATTA e fu AVALLATA anche dai leader degli altri partiti comunisti, inclusi Mao, Tito e Gomułka, da poco segretario del partito polacco. Ancora il 1° dicembre Kádár espresse pieno appoggio al governo Nagy, ma verso sera dello stesso giorno raggiunse, con l’ambasciata sovietica di Jurij ANDROPOV, l’accordo proponendosi alla testa di un NUOVO ESECUTIVO («operaio e contadino») che desse la COPERTURA MILITARE al nuovo intervento militare. → Su di essa pesò anche la scelta di Nagy di USCIRE dal Patto di Varsavia e dichiarare la NEUTRALITA’ dell’Ungheria. Egli lanciò un ultimo appello dichiarando INGIUSTIFICATA l’INVASIONE, per poi rifugiarsi nell’ambasciata jugoslava con gli altri ministri. Per le strade gli INSORTI, civili e militari, combatterono con i mezzi disponibili e ci vollero diversi giorni prima che ogni focolaio fosse spento: numerosissime le vittime per un totale di 2.500 (e oltre 700 tra i sovietici), feriti e profughi. Dall’Occidente giunsero aiuti limitati: WASHINGTON seguì una linea di prudenza fatta di condanne politiche e morali, stessa strada fu seguita dall’ONU, non senza contraddizioni. Nonostante le promesse, Kádár attuò una durissima REPRESSIONE: i tribunali emisero oltre duecento condanne a morte, eseguite (uno studente ancora minorenne e l’ultima fu nel 1961), e molte altre migliaia a detenzione dura e lunga. La politica antecedente la rivoluzione fu ripresa con poche varianti: non perdere il controllo su una parte importante dell’ECONOMIA e della SOCIETA’, ma anche di non dare ragione all’IDEOLOGIA TITOISTA. (Tito non era considerato i un eretico da combattere, l’esperienza innovatrice dell’autogestione in Jugoslavia non fu fatta propria dal blocco sovietico). Le relazioni tra BELGRADO, BUDAPEST e MOSCA furono macchiate dall’affare Nagy: il governo Kádár accettò di garantire l’incolumità e la libertà, se avessero accettato di lasciare l’ambasciata jugoslava. Quando essi uscirono furono arrestati dai soldati sovietici poiché l’accordo non era stato sottoscritto anche dai rappresentanti dell’Unione Sovietica. Si voleva che Nagy facesse autocritica, ma egli continuò a insistere nell’affermare di non aver fatto nulla contro il partito e la sua ideologia, ma solo di aver servito gli interessi del Paese. Di fronte a questa netta affermazione si dispose il suo trasferimento e dei suoi compagni nei pressi della capitale romena Bucarest, sotto la stretta sorveglianza. Egli scrisse ai compagni ungheresi, ma anche ai leader comunisti di altri paesi (né Tito né Togliatti gli risposero) al fine di dimostrare che la sua linea politica non aveva affatto esposto il Paese alla reazione. Nell’aprile 1957 il gruppo rientrò a Budapest e molti vi continuarono la detenzione, che si fece ancora più pesante. Anche in seguito a un dibattito tra i dirigenti comunisti di diversi paesi si decise di mettere in piedi un processo a porte chiuse che costò a Nagy la condanna a morte, eseguita nel 1958. I dirigenti comunisti, ungheresi e no, si adeguarono nelle loro DICHIARAZIONI alla vulgata, sui «fatti d’Ungheria», interpretati come un tentativo CONTRORIVOLUZIONARIO, ma consci che l’ottobre ungherese aveva dimostrato quanto POCO SOLIDO fosse il regime, come non potesse contare sul SOSTEGNO della classe operaia e avesse necessità della SPONDA SOVIETICA, senza la quale non sarebbe sopravvissuto. 3) L’UNGHERIA dalla REPRESSIONE al «socialismo del GULYAS», alla TRANSIZIONE annunciata. Il nuovo corso ungherese diede vita a un vero modello sui generis, che in seguito fu definito SOCIALISMO del GULYAS: per rassicurare Mosca i vertici di Budapest garantirono la fedeltà in POLITICA ESTERA, il rispetto dell’IDEOLOGIA marxista-leninista e dell’ORDINE interno, ma libertà di fare esperimenti in politica economica. Non mancavano esempi provenienti dalla Jugoslavia e dalla Polonia: anche in Ungheria si trattava di trovare la possibilità di INCENTIVARE l’attività economica e di consentire una certa AUTONOMIA alle aziende: un punto molto avanzato fu costituito dalla nascita di joint ventures con aziende e investitori STRANIERI. Scopo ultimo fu quello di favorire la CRESCITA dell’economia e un più diffuso BENESSERE che avrebbe procurato un maggior consenso popolare. L’AUMENTO degli ISCRITTI al POSU (dopo il crollo del 1956) non può solo essere spiegato con l’opportunismo o la possibilità di una migliore collocazione sociale ed economica attraverso la tessera; dopo un primo ritorno, giocò anche la politica TOLLERANTE e attenta alle ESIGENZE della popolazione. → Il partito peraltro presentava quadri dirigenti notevolmente RINNOVATI. Il nuovo corso fu legato al nome di Jenő FOCK (presidente del consiglio tra 1967 e 1975) la carriera politica di questo dirigente esperto in economia corrisposero all’andamento della politica economica ungherese negli anni kádáriani. Infatti, non si può parlare di una tendenza costantemente positiva poiché a più riprese si palesarono serie DIFFICOLTA’ nell’applicare i criteri di autonomia aziendale, accanto a periodi di RISULTATI BUONI si annoverarono fasi di CONTRAZIONE. Si introdussero misure tese a dare qualche LIBERTA’ al MERCATO, restituendo una parte delle attività economiche agli imprenditori privati. (alla fine dell’epoca comunista l’Ungheria era il Paese socialista con il più alto tasso di attività private). Nel settore agricolo nel 1959 si optò a favore delle FATTORIE COLLETTIVE e tuttavia si lasciò una relativa libertà ai contadini nell’ORGANIZZARE il proprio lavoro e nel COMMERCIARE i prodotti della terra e dell’allevamento: furono abolite le consegne obbligatorie. Anche nella classe contadina il governo seppe guadagnare consensi o limitare le insoddisfazioni, anche la classe operaia giovò del benessere materiale crescente. Kádár si guadagnò così il giudizio di CAMPIONE del RIFORMISMO, eppure, approvò l’INTERVENTO del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia nel 1968 e restò alla guida del partito anche quando sembrò allontanarsi dalla linea riformistica. L’evidente prevalenza dei riformisti fu messa sotto scacco durante la seduta plenaria del CC nel novembre 1972, ma al congresso del POSU tenuto nel 1975 si approvò una linea di COMPROMESSO, tra l’altro l’Ungheria non poteva non risentire di quanto avveniva nell’Unione Sovietica di Brežnev (SALT I e ATTO FINALE HELSINKI) e pure degli effetti della CRISI PETROLIFERA del 1973 → come Paese socialista più aperto al mercato internazionale, ne patì CONSEGUENZE NEGATIVE più degli altri satelliti (forte era il deficit della bilancia commerciale) e dovette cercare nel protettore sovietico un aiuto di FORNITURE nel settore ENERGETICO: l’economia sovietica si giovò dello choc del 1973 per espandersi grazie alle ESPORTAZIONI (anche verso l’Occidente e il Terzo Mondo) di PETROLIO e GAS. Il governo ANTALL (1990-94) era durato per l’intera legislatura salvo un rimpasto per la morte del premier, ma il Forum Democratico era però una classica formazione OMBRELLO e dopo le scissioni fu sconfitto alle elezioni del 1994 e finì per perdere una sua identità politica. In quell’occasione i socialisti si allearono con i liberi democratici dando luogo a una vasta maggioranza parlamentare. Anche il governo liberalsocialista di HORN durò l’intera legislatura (1994-98): varò misure in linea con le attese dei governi occidentali e tali da rendere l’economia vicina agli standard dell’Ovest; le privatizzazioni e l’apertura ai capitali stranieri procedettero tanto da inquietare l’opposizione di destra. Tuttavia, nelle successive elezioni del 1998 una buona parte dell’elettorato si orientò verso i giovani liberali di FIDESZ capeggiati dal nuovo premier Viktor ORBAN che formò un governo di coalizione spingendo i socialisti all’opposizione. Il primo governo Orbán, come i precedenti, continuò nella politica di CONTENIMENTO della spesa pubblica, ma puntò pure sulla RIDUZIOE delle tasse, dell’inflazione e della disoccupazione → la produzione industriale aumentò notevolmente nel 2000, ma crebbe anche il DEBITO ESTERO e il DECIFIT della bilancia dei pagamenti. Le elezioni parlamentari del 2002 videro l’affermazione della coalizione del PS e dall’Alleanza dei liberi democratici contro l’Unione civica ungherese (Fidesz, in cui erano confluiti i reduci del MDF). Il governo di CENTRO-SINISTRA guidato approvò dei provvedimenti per l’aumento degli STIPENDI STATALI e delle PENSIONE, a razionalizzare la politica FISCALE, a riformare il sistema SANITARIO. Firmò il trattato di adesione all’UE nel 2003, ma l’aumento degli stipendi della pubblica amministrazione causò un aumento del DEFICIT PUBBLICO, mentre diminuivano gli INVESTIMENTI nell’industria e per la crescita economica. Un nuovo rimescolamento politico portò di nuovo a politiche più LIBERISTE privilegiando il RISANAMENTO dell’economia e del debito pubblico = portarono all’aumento della disoccupazione e la mancata di investimenti, mentre le condizioni di vita peggiorarono. Tutto ciò indusse il leader dell’opposizione Orbán a scelte sempre meno liberali e a contrastare le posizioni filoeuropeiste del Partito socialista: era conveniente spostarsi su posizioni dalle quali evitare di perdere consensi. Nonostante tutto ciò, alle elezioni del 2006 il PS prevalse con gli alleati liberali, ai avviarono massicci AUMENTI di TESSE, PRIVATIZZAZIONE e lo smantellamento del WELFARE: per far fronte alla BANCAROTTA imminente del sistema sanitario introdusse TICKET ospedalieri → l’opinione pubblica divenne ostile, mentre il campo si aprì per l’opposizione. Nel 2008 su iniziativa dell’opposizione un referendum per l’abolizione dei ticket segnò la sconfitta per l’esecutivo. Accusato di aver MENTITO sullo stato dei conti pubblici a seguito della diffusione di un suo intervento in una riunione a porte chiuse, portò alla fine spinto anche dalle PROTESTE della popolazione. Inutilmente il nuovo governo tentò di salvare posti di lavoro, sostenendo anche il sistema pensionistico e le famiglie in povertà → gli anni di GYURCSANY (2004-09) non furono dimenticati e nel 2010 socialisti e liberali subirono una pesante sconfitta. Fidesz ebbe la maggioranza per introdurre innovazioni COSTITUZIONALI, con la crescita dell’estrema destra e i movimenti ecologisti → iniziò il predominio di Orbán, che mise a segno più di un successo sul PIANO ECONOMICO, ma entrò in POLEMICA con l’UE per il carattere della nuova Costituzione considerata contraria ai principi europei. → Ad esempio, la normativa sui MEZZI di COMUNICAZIONE, ma anche le norme per impedire la ‘FUGA dei CERVELLI’ che mal si conciliano con la mobilità dei lavoratori e dei cittadini europei, come anche politiche fiscali/finanziarie non hanno trovato l’approvazione del FMI. Infatti, larga parte dell’opinione pubblica ungherese, sempre meno propensa ad accettare i dettami di BRUXELLES, simpatizzò per il nuovo corso → da ultimo, Budapest ha dimostrato una certa propensione a mantenere buone relazioni con la RUSSIA anche con la crisi ucraina. La GRANDE ROMANIA. La fine della Prima Guerra mondiale lo Stato romeno raddoppiò per territorio e popolazione, con delle minoranze che contavano per il 30%. Nella Politica INTERNA avviò un processo riformistico molto profondo, come la RIFORMA AGRARIA si ebbe un’importante redistribuzione di terre appartenenti ai grandi proprietari, alla corona e possidenti stranieri, di cui giovò la classe dei PICCOLI PROPRIETARI e la produzione cerealicola, senza però portare a un accumulo sufficiente di capitali che permettesse di migliorare la qualità dell’economia agricola e gli investimenti in altri settori. Altro cambiamento fu sicuramente l’aumento dell’INURBAMENTO con cambiamenti etnici nelle città, soprattutto di quelle della Transilvania dove la maggioranza ungherese/tedesca furono scalzate da quella romena del contado. La Romania poi godeva già di un regime democratico, fortemente ELITARIO, che con l’introduzione del suffragio universale, mutò gli equilibri partitici: o Il Partito CONSERVATORE si frantumò senza rappresentare una vera alternativa; o Il Partito LIBERAL-NAZIONALE che si spostò verso istanze più moderate; o IL Partito NAZIONAL CONTADINO nato nel 1926 dal partito contadino e dal partito nazionale romeno, I partiti liberali e nazional-contadino si alternarono alla guida del paese fino alla sospensione della democrazia voluta da Re CAROL II nel 1938. o Il Partito SOCIALDEMOCRATICO non riuscì ad attrarre l’interesse dell’elettorato; o Il Partito COMUNISTA che scontò il bando per il suo allineamento con il Comintern e la visione sovietica di una Romania costruita da Versailles, che doveva essere smembrata; o La DESTRA RADICALE e ANTISEMITA, con ad esempio la “Guardia di Ferro”; In Politica ESTERA il paese fece riferimento continuamente a Parigi, come elemento di argine al revisionismo sovietico e tedesco, mentre per quello ungherese sin dal ’19 istituirono la PICCOLA INTESA insieme alla Cecoslovacchia e la Jugoslavia. Nel dopoguerra le nuove forze riuscirono a sottrarre il governo ai liberali: tra cui è riscontabile la LEGA del POPOLO guidata dal generale AVERESCU, sperimentando però un’azione di governo alquanto breve in un periodo di forti contrasti sociali. Nel 1922 il Re richiamò al governo i liberali di ION BRATIANU, che avevano ottenuto una vittoria schiacciante a livello elettorale: vararono così una nuova Costituzione non differente da quella di metà Ottocento, se non per la CITTADINANZA, il suffragio universale MASCHILE, il ruolo dello STATO nell’economia e il bilanciamento dei diritti pubblici e privati -> politica protezionistica che portò l’economia a crescere per tutti gli anni ’20. Alle dimissioni dei liberali, Re FERDINANDO richiamò Averescu per formare un governo e indire nuove elezioni, ottenendo con il Partito del Popolo un governo di secondo piano tra il 1926-27, in un periodo in cui strinse un accordo di amicizia con Mussolini; dopo questa parentesi di governo i liberali non riuscirono a riformare un nuovo governo: sia per la morte del Re che del loro leader. Una norma del ’24 che aveva rimosso dalla linea di successione al Principe Carol, sia per contrasti politici che per una vita sentimentale disordinata, per cui instaurò una reggenza, essendo il figlio MICHELE ancora un bambino. Il Partito NAZIONAL-CONTADINO assunse la guida del paese, mirando sin dall’inizio a cambiare il sistema economico, ma IULIU MANIU non fu in grado di farlo a causa della crisi economica del ’29 e del ritorno di CAROL, che avviò un progetto di limitazione dell’autonomia delle forze politiche, scontrandosi apertamente con il Partito Nazional-Contadino e cercando l’appoggio dei liberali di ION DUCA, che morì per mano delle frange violenti della Legione dell’Arcangelo Michele. Si aprì comunque una legislatura tra il 1934-37 di governi liberali guidati da TATARESCU che evitando di scontrarsi con il re, guidò il paese in una nuova fase di espansione economica e modernizzazione, con crescenti accordi con la potenza germanica. Nel frattempo, la GUARDIA di FERRO crebbe di popolarità, raggiungendo nel ’37 la terza posizione dopo liberali e nazional-contadini, per cui il Re Carol II affidò l’incarico di formare un governo a un esponente nazionalista e antisemita di un’altra formazione di estrema destra, ma ad inizio ’38 attuò un colpo di stato per il rischio di una alleanza tra le formazioni di destra radicali e abolì la costituzione, avviando una politica puramente personale. La dittatura del Re durò fino al 1940, quando il Patto Molotov-Ribbentrop lasciò la Romania senza protettori rispetto al revisionismo sovietico: l’ultimatum di Stalin obbligò così Bucarest a cedere la BESSARABIA e la BUCOVINA, che andarono a formare nell’URSS la Moldavia, mentre venne ceduta alla Bulgaria la DOBRUGIA. Qualche settimana dopo per l’accordo di Vienna tra Ribbentrop e Ciano, che alluse alla cessione della TRANSILVANIA all’Ungheria, colpì l’opinione pubblica rumena, che spinse all’abdicazione di Carol in favore del figlio Michele, che cedette di fatto il potere al generale ION ANTONESCU, nominato maresciallo e il titolo di CONDUCATOR. I primi mesi governò con la Guardia di Ferro, per poi con l’assenso di Hitler, si liberò dell’opposizione e degli alleati pericolosi, cercando una stabilità in procinto dell’attacco tedesco verso l’URSS; nel giugno del 1941 iniziò l’OPERAZIONE BARBAROSSA, vedendo truppe romene partire per recuperare i territori ceduti da meno di un anno, giungendo poi a occupare territori come Odessa e andando ben oltre ciò che l’opinione pubblica sosteneva. Il consenso verso il dittatore iniziò a scemare con il crollo dell’operazione, gli esponenti dell’opposizione aprirono un dialogo con i paesi occidentali e Mosca, mentre Antonescu mantenne la Romania in campo finché l’armata rossa nell’estate del ’44 si riversò verso la Moldavia. In quel momento concluse delle TRATTATIVE SEGRETE con gli alleati antitedeschi, mentre i LEADER di alcuni partiti (nazional-contadino, liberale, socialdemocratico e comunista) con i vertici MILITARI e il giovane re MICHELE attuarono un colpo di mano. Antonescu fu arrestato, sostituito dal generale SANATESCU che rovesciò le alleanze, inizialmente vide le forze armate ad arrendersi a quelle Sovietiche, per poi essere utilizzate in Ungheria, Cecoslovacchia e Austria: ciò valse una maggiore considerazione dalle potenze vincitrici verso la Romania, mentre nel paese si instaurava nel ’45 un governo FILOSOVIETICO e di sinistra, capeggiato da PETRU GROZA. La presenza dell’Armata Rossa fino al 1958, nonostante il trattato di pace del ’47, garantì la costruzione di un regime comunista e per l’inserimento nel blocco sovietico, oltre alla perdita definitiva dei territori persi nel ’40. 2) La Romania dall’ALLINEAMENTO all’ERESIA. La Romania uscì dal secondo conflitto mondiale in condizioni diverse rispetto all’altro dopoguerra: questa volta il territorio nazionale subì una decurtazione delle province orientali, BESSARABIA e BUCOVINA settentrionale, furono perse a vantaggio dell’Unione Sovietica. L’Unione Sovietica non consentì che altre province della TRANSILVANIA, potessero essere restituite all’Ungheria come stabilito a Vienna nel 1940: giocò a favore della Romania il suo rapido ALLINEAMENTO a Mosca. Già nel marzo 1945 a Bucarest era stato insediato il governo capeggiato da GROZA (1945-52), per precisa volontà del proconsole di Stalin, leader del Partito dei CONTADINI e fedele alleato del PCR, ebbe modo di guadagnarsi le simpatie di Stalin e allo stesso tempo di consolidare le posizioni governative non avvallate da alcun responso elettorale. Il primo atto legislativo riguardò una NUOVA DIVISIONE di terre delle residue grandi proprietà: si crearono numerose nuove PICCOLE PROPRIETA’ con un impatto complessivo notevole, che gli consentì di guadagnare un discreto consenso popolare. Su un piano più specificamente POLITICO: - da una parte si applicò l’accordo tra i governi sovietico, statunitense e britannico perché nell’esecutivo entrassero un ESPONENTE del Partito nazional-liberale (PNL) e uno del Partito nazional-contadino (PNC) = di fatto impalpabili; - dall’altra si procrastinarono quanto più possibile le CONSULTAZIONI ELETTORALI; I cittadini romeni poterono esprimere la loro volontà politica soltanto nel 1946, a oltre due anni dalla caduta di Antonescu, ma ormai il governo aveva preparato il PASSAGGIO: non soltanto alcune NORME ELETTORALI ma il voto fu ampiamente TRUCCATO → documenti di archivio, un risultato reale che avrebbe consegnato la vittoria al PNŢ e al PNL fu trasformato in clamoroso successo del BLOCCO dei PARTITI DEMOCRATICI essendogli attribuito il 79,86% dei voti Il ricorso a determinanti BROGLI fu necessario nonostante l’abile LAVORO POLITICO degli esponenti comunisti: guadagnato l’alleanza del Partito dei Contadini, del piccolo Partito nazionale popolare e di una buona parte del PSD, ma anche un’ala del PNC. Seguì una celebre risoluzione del CC nel 1964, in cui in sostanza si chiariva che ogni PC aveva diritto di decidere le sorti del Paese che governava, in perfetta AUTONOMIA. La posizione di Bucarest acquisiva NOTEVOLE IMPORTANZA poiché nel frattempo si era avviato il grande SCISMA tra Mosca e Pechino, per tacere di quello di minori dimensioni riguardante l’Albania. Sicché il gruppo dirigente romeno per qualche anno finì per essere in posizione INTERMEDIA tra i due grandi Stati comunisti. La particolare posizione di Bucarest subì ulteriori EVOLUZIONI, solo apparentemente contraddittorie. Mentre il regime attuò una liberalizzazione assolutamente effimera, si insistette in ogni sede sul rispetto dell’INDIPENDENZA dei partiti e degli Stati, non per questo interrompendo le relazioni con l’Unione Sovietica, con gli Stati cosiddetti satellite. Intanto si mantennero intensi rapporti con i paesi del TERZO MONDO e con quelli OCCIDENTALI presso i quali CEAUSESCU (1965-89) e i suoi collaboratori acquisirono notevole credito, fino a meritare il soprannome di «De Gaulle romeno» → a Bucarest si recarono proprio il presidente francese (1968), così come quello statunitense Nixon (1969) e tanti altri leader occidentali. Il fatto che Bucarest non ruppe le relazioni diplomatiche con ISRAELE in seguito alla Guerra dei sei giorni del 1967, come fecero tutti gli Stati del blocco sovietico, fu un altro atto distintivo, anche se mantenne ottime relazioni con l’Organizzazione per la liberazione della PELESTINA (OLP) di Arafat. Una ILLUSIONE che Bucarest imponesse a Mosca il rispetto della propria sovranità, ma desse spazio alla trasformazione liberale del regime. Eppure, nell’estate del 1968 la Romania parve sfidare il colosso sovietico: la dirigenza romena manifestò PIENO APPOGGIO alla Primavera di Praga della quale si apprezzava la capacità di dare vita a un ESPERIMENTO NAZIONALE, pur restando nel campo socialista, ma le tendenze liberaleggianti non trovarono sostenitori nel PCR. Ceauşescu peraltro affermò che la SICUREZZA in Europa era da concepire al di fuori delle due alleanze militari contrapposte: esse garantivano contro Stati che non rappresentavano una minaccia, ma non davano aiuto contro le reali minacce. La scia di quel SUCCESSO di IMMAGINE, consolidato dalla prudente o assente reazione del Cremlino, durò per diversi anni all’estero: il romeno Corneliu MANESCU fu presidente a due riprese dell’assemblea dell’ONU, gli storici concordano nel considerare un anno spartiacque il 1971 poiché il leader romeno si recò nella CINA popolare e in COREA del NORD→ dal comunismo asiatico vi fosse qualcosa da apprendere poiché il regime aveva PERMEATO la società molto più a fondo rispetto a quanto il PCR era riuscito a fare in Romania. Di fatto da allora in Romania il CULTO della PERSONALITA’ riprese progressivamente quota fino a raggiungere forme assolutamente ridicole negli anni ’80: non si trattava solo di forme poiché Ceauşescu cercò di imporre un DIRETTO CONTROLLO sia sul partito sia sul governo e quindi, sulla società. → Per ottenere tale scopo diede spazio a FAMILIARI e fedeli SEGUACI: fece buon uso di uno strumento sottile, quale la ROTAZIONE del PERSONALE politico nei principali incarichi, per impedire che si creassero ‘feudi’ nel PCR o dell’amministrazione, anche se qualche personaggio, come i primi ministri Manea MANDESCU (1974-80) e Constantin DASCALESCU (1982-89), restarono a lungo nella stessa funzione. Secondo una certa interpretazione l’azione del nuovo segretario, volta a liberarsi dalla tutela dei dirigenti più anziani e di peso, era cominciata molto per tempo, una REVISIONE del PARTITO strumentale ai fini di Ceauşescu, poiché fu INDEBOLITA l’IMMAGINE del suo predecessore e di quanti avevano collaborato con lui. → Il X° congresso del PCR del 1969 completò l’opera con la liquidazione della VECCHIA GUARDIA: Apostol fu rieletto nel CC e quindi anche nel Presidium (ex Politburo); Gheorghiu-Dej una sorta di power core, rispetto al quale gli altri dirigenti erano in posizione secondaria (con il giovane Ceauşescu appena un passo indietro). Ormai, a metà anni ‘70, il partito era controllato dal segretario e dai suoi uomini, ma non scemava ancora l’impressione di novità e autonomia che egli si era guadagnato → in Occidente si credeva che la Romania fosse diversa in quanto utile come tramite con interlocutori difficili come l’Iran khomeinista. Dal 1965 la repubblica aveva assunto la definizione di SOCIALISTA (non popolare) mentre entrava in vigore una nuova Costituzione: se la Romania fosse stata ‘socialista’ ciò avrebbe voluto dire che la DITTATURA del PROLETARIO era ormai realizzata e quindi, il partito tornava a chiamarsi COMUNISTA, in attesa di guidare il popolo verso la realizzazione del comunismo. Sul fronte economico in quegli anni vi furono CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI ma entro i LIMITI imposti dai dirigenti comunisti. Bucarest aderì nel 1971 al General Agreement of Tariffs and Trade (GATT)e nel 1972 alla BANCA MONDIALE e al FMI, un anno dopo ottenne dalla CECA un trattamento privilegiato in campo commerciale, mentre gli Stati Uniti concessero alla Romania la clausola di ‘NAZIONE PIU’ FAVORITA’ negli scambi commerciali. Seguirono PRESTITI per dare nuovo SLANCIO all’economia romena e nelle intenzioni degli occidentali a TRASFORMARLA: ciò non avvenne e il debito estero salì. Quella iniezione di CAPITALI non ebbe gli effetti sperati, la fondazione nel 1968 della BANCA ROMENA per il COMMERCIO ESTERO confermò che le novità riguardavano gli scambi commerciali, mentre le società miste rimanevano almeno con il 51% della proprietà dello stato. (Esempio: collaborazione della Dacia romena con la francese Renault). Il tasso di crescita economica, specie nel SETTORE INDUSTRIALE, si mantenne alto sino alla fine degli anni ’70, ma scarsa era la PRODUTTIVITA’ del lavoro (molto inferiore a quella di Polonia e Cecoslovacchia), così come la QUALITA’ dei prodotti, mentre strumentazione e infrastrutture presentavano una tecnologia MEDIOCRE. A diversi anni dalla conclusione della collettivizzazione il sistema di produzione agricola non era soddisfacente, sebbene la legislazione cercasse di offrire INCENTIVI a chi producesse più di quanto pianificato. Il decennio successivo registrò INDICI economici PEGGIORI e il declino della CONDIZIONE QUOTIDIANA della popolazione. La penuria di PETROLIO (lontani i tempi in cui la Romania esportava il proprio) indusse a IMPORTARE grezzo per investire nelle RAFFINERIE sulla costa del Mar Nero → si importò il grezzo iraniano a basso prezzo sia con lo scià Reza Palhavi, sia con Khomeini, ma eventi come la guerra Iran-Iraq non contribuivano a proseguire efficacemente. Il CONSENSO con gli anni andava dileguandosi nonostante il partito contasse più del 15% della popolazione e la NOMENKLATURA fosse piuttosto cospicua, comprendendo il ceto politico, dirigenti e quadri del settore economico, gli intellettuali, i quadri militari ecc… → non era l’élite politica del regime, bensì un meccanismo di controllo della società. Forte reazione, causò il programma di RISTRUTTURAZIONE delle CAMPAGNE, lanciato negli anni ’80: l’ACCORPAMENTO dei villaggi in centri di maggior dimensione, avrebbe razionalizzato i SERVIZI, ma sconvolgeva gli USI delle popolazioni e l’equilibrio delle componenti ETNICHE. (Agli Ungheresi sembrò che il governo volesse ‘affogare’ quella minoranza mescolandola con la maggioranza romena). Il 1977 fu caratterizzato da un gravissimo TERREMOTO, cui seguì un insoddisfacente sforzo di ricostruzione e servì in parte per consentire un ambizioso PROGRAMMA URBANISTICO poco rispettoso del passato culturale: ben poco consenso raccolse un progetto MEGALOMANE nella capitale; nel suo centro, si costruì uno smisurato palazzo che fosse sede degli organi del regime, secondo solo al Pentagono statunitense. Per inserirlo si attuò il sacrificio di case, chiese e sinagoghe → una «grande opera» che poteva SOLLECITARE le attività economiche, ma riversare in essa gran parte delle RISORSE finanziarie di un Paese allo STREMO. Il regime nella sua maturità continuava ad ammettere i CULTI RELIGIOSI, ma li controllava FINANZIANDONE le attività (seminari, facoltà di teologia, edifici di culto) → la Chiesa ortodossa romena era la più allineata, oltre a contare più di 15 milioni di fedeli, ma di fatto insieme ad altri culti si vide una partecipazione popolare alle cerimonie che dimostrava che le campagne dell’ATEISMO non avevano avuto grande successo, tra l’altro il governo considerava ‘TRADIZIONE’ i culti stessi. Intanto alla fine degli anni ‘80 la popolazione si abituò all’uso della TESSERA ALIMENTARE e a non trovare molti prodotti nei negozi (il vino di produzione nazionale si acquistava con valuta estera), a ridurre a standard molto bassi i consumi di carne e di altri cibi. Il regime intendeva AZZERARE il DEBITO ESTERO e a metà 1989 fu annunciato il raggiungimento di tale scopo: era però una scelta che costava SACRIFICI ENORMI alla popolazione e non contribuì a migliorare il quadro economico o a sollecitare gli investimenti esteri. La ricerca dell’AUTARCHIA non creò consenso, ma rare furono le manifestazioni di insoddisfazione e dissenso verso il regime. Il voto espresso nelle prime elezioni politiche in epoca post-comunista, nel 1990, fu la riprova che la maggioranza dei Romeni non era contraria al regime comunista, ma alla sua versione inefficace e involontariamente pauperista. I MASS MEDIA di tutto il mondo hanno reso nota in diretta la fine del REGIME CEAUSISTA. Nel 1989 vi erano stati segnali importanti di POSSIBILI NOVITA’ e si fece evidente il DISSENSO con Mosca: Ceauşescu non intendeva avviarsi sulla strada delle riforme gorbacioviane poiché affermava che esse erano già state realizzate in Romania e che se aveste approfondito avrebbero portato alla fine dei regimi del socialismo. Erano segnali allarmanti, come anche l’ISOLAMENTO INTERNAZIONALE in cui stava scivolando la Romania: a cui contribuirono le POLEMICHE con l’Ungheria riguardo alla minoranza di Transilvania; la scelta di restituire integralmente il DEBITO ESTERO, a costo di enormi e quotidiani sacrifici per la popolazione; il RIFIUTO di prendere atto del vento nuovo che spirava nei regimi affini. A suggellare l’atteggiamento di chiusura del regime venne in novembre il Congresso del PCR: esso non recò NESSUNA NOVITA’ alla linea politica, confermando al suo posto il leader con l’entourage, in primo luogo familiare. A dicembre scoppiarono GRAVI DISORDINI nell’importante città di TIMISOARA, nati dal rifiuto di un pastore evangelico, TOKES, di accettare il trasferimento decretato dall’autorità vescovile per attività antiregime → i fedeli di diverso culto fecero muro contro la polizia e seguirono INCIDENTI con vittime. Dovettero intervenire anche FORZE MILITARI e sembrò che la situazione potesse tornare sotto controllo tanto che Ceauşescu si recò in visita ufficiale in IRAN, affidando il Paese alla MOGLIE ELENA e al primo ministro Manea MANESCU. Tornato in patria, il dittatore pensò di convocare una MANIFESTAZIONE di SOSTEGNO al regime nella capitale, che si trasformò invece in DISSENSO tanto da costringere Ceauşescu a interrompere il discorso e ad abbandonare in elicottero la sede del CC. → Probabilmente fu una TRAPPOLA, la sera stessa era già sotto CUSTODIA militare: tre giorni dopo fu FUCILATO insieme con la moglie a seguito di un processo dalla scarsa legittimità, di fronte a un tribunale che si potrebbe definire rivoluzionario. Era stato così eliminato l’uomo che più di tutti avrebbe potuto illustrare i torti del regime e il campo fu aperto per i membri del PCR pronti a mettere fuori legge il proprio partito per ereditarne il potere e per quanti credevano che si dovesse riempire il vuoto politico, attraverso una PIENA DEMOCRAZIA. 4) La Romania da TERRA ESOTICA a PARTNER EUROPEO. In Romania fu difficile prendere le distanze dal clima post dicembre ‘89 e trasformare la classe politica, la società e le strutture amministrative ed economiche. La seconda legislatura dal 1992 al 1996 registrò delle NOVITA’, ma non ancora un radicale cambio come poteva essere aspettato, che avvenne nella terza legislatura, ma i risultati non furono brillanti e con l’inizio del primo decennio fu necessaria una RISTRUTTURAZIONE generale. L’ingresso nell’UE nel 2007 ha portato a MATURAZIONE il complessivo processo, tanto da fare della Romania un solido partner europeo. Gli anni 1990-92 furono i più agitati: già dalla fuga di Ceauşescu, prese forma un Fronte di SALVEZZA NAZIONALE in cui confluirono sia iscritti del PCR sia uomini di altra provenienza, inclusi dissidenti → i primi prevalsero, soprattutto nella persona del PRESIDENTE del Fronte di salvezza nazionale Ion ILIESCU (presidente 1989-96 e 2000-04), un dirigente comunista caduto in disgrazia. In realtà il quadro politico era estremamente VARIO, essendosi costituiti o ricostituiti PARTITI di ogni genere ed essendo in piazza manifestanti che non consideravano legittimi l’INDIRIZZO POLITICO che andava prevalendo. La carta costituzionale si ispirò a quella FRANCESE e infatti il ruolo del presidente continuò a essere preponderante, sino al punto di estromettere il primo governo con il quale si palesarono DIFFERENZE di vedute: un contrasto tra orientamenti progressisti e fortemente innovatori, mentre il presidente più moderato e non volenteroso di abbandonare il passato → fino al 1991 continuava a esistere l’URSS, con evidenti novità e con essa Iliescu siglò un TRATTATO di AMICIZIA. Tale scelta ebbe un prezzo inevitabile sulla questione della MOLDAVIA, dove si era palesato un movimento indipendentistico a opera dell’elemento romenofono, con una tendenza a ripristinare l’unione con la Romania. Il governo VACAROIU (1992-96) durò per l’intera legislatura nonostante la varietà, ma la SINISTRA che faceva capo a Iliescu non fu in grado di affrontare le nuove elezioni insieme ad alleati sicuri. Il 1996 portò dunque a un CAMBIO: i partiti di CENTRO-DESTRA (liberali e nazional-contadini) con l’appoggio dei democratici elessero il presidente Emil CONSTANTINESCU (1996-2000) e diedero vita a una nuova coalizione, dotata di larga maggioranza, ma che non diede prova di COESIONE, un fenomeno che si è ripetuto. Alcune novità di rilievo furono introdotte, attuando RIFORME di non poco significato in campo economico e sociale e avvicinandosi sia alla NATO sia all’UE. Nel 2000 i partiti di destra, centro e sinistra moderata non riuscirono a coalizzarsi lasciando campo aperto al Partito SOCIALISTA DEMOCRATICO dell’eterno ILIESCU e alla DESTRA NAZIONALISTA il cui leader TUDOR, membro della di corte Ceauşescu, andò al ballottaggio per la presidenza con Iliescu che fu eletto. resistenza che riuscì a tenere occupate le FORZE OCCUPANTI sino alla loro ritirata, per gli italiani dal ’43 e poi dal ’45; nell’ultima fase della guerra gli Alleati fecero sempre più riferimento al governo che prese il potere tramite la figura di TITO, divenuto punto di riferimento politico e dei rifornimenti militari. La questione del KOSOVO emersa vivamente durante gli anni ’90, in realtà ha radici molto profonde: dal ’41 l’Italia spinse per annettere tale regione all’Albania, incontrando il favore del governo albanese e la popolazione, nemmeno i movimenti di resistenza si opposero a tale decisione: come il Fronte Nazionale di KLISSURA e FRASHERI, la corrente monarchica o il Movimento di Liberazione nazionale guidato dal comunista HOXHA legato a Tito. Dal ’43 i tedeschi confermarono i confini dell’Albania e supportando il sentimento nazionale albanese, mentre i governi di Tirana portarono avanti programmi di PULIZIA ETNICA contro gli slavi della regione. Il ritiro dei tedeschi spinse il movimento di Tito a fare pressioni sui comunisti albanesi, per abbandonare gli accordi con il Fronte Nazionale sul Kosovo. Questo Fronte lanciò un’ampia rivolta difficilmente repressa con fatica, che ebbe seguito in azioni di GUERRIGLIA; il Kosovo, quindi, venne incluso nella Serbia, con una propria autonomia. La presa di potere da parte di formazioni internazionaliste, come i partiti marxista-leninisti, non riuscirono a risolvere i problemi di carattere nazionale tra i diversi Stati: sebbene molti di essi furono messi a tacere, si manifestarono in momenti e forme differenti. In MACEDONIA durante il Secondo conflitto, si sviluppò l’occupazione bulgara fu ben accolta dalla popolazione, tant’è che il partito comunista bulgaro si prese il compito di organizzare la resistenza nella regione; sin da subito però dovettero lasciare spazio al PC jugoslavo di Tito, che inviò KOLISEVSKI (segretario del PC macedone dal ’45 al ’63) e NACEVA con l’appoggio di Stalin e del Komintern destituirono il segretario locale SATOROV legato alla dimensione bulgara. Da quel momento la resistenza si fece più concreta e la Macedonia venne concretamente inclusa nella futura federazione progettata dal Consiglio antifascista di Liberazione nazionale di Tito. Sin da subito però i dirigenti comunisti riconobbero l’esistenza di una NAZIONE MACEDONE e di una sua lingua. La Macedonia EGEA inclusa sin dal 1913 nello Stato greco, aveva visto la pesante occupazione italiana, tedesca e bulgara, con il ritorno del re sostenuto dagli inglesi: la resistenza maggiormente orientata a sinistra però non accetto una nuova Grecia pre-bellica → il paese venne così coinvolto in una GUERRA CIVILI dal ’44 al ’49: gli inglesi cedettero lo spazio agli Usa che iniziarono a sostenere il governo di Atene, mentre i paesi comunisti sostennero il PC ellenico guidato dal segretario ZACHARIADIS e il comandante militare VAPHIADIS. La situazione internazionale con i dissensi all’interno del partito comunista ellenico, la fine degli aiuti di Tito e la rottura tra Mosca e Belgrado, portarono ad accettare che la Macedonia ellenica rimanesse nei territori greci, mentre la popolazione slava emigrò o venne ellenizzata. 2) L’ESPERIMENTO più AMBIZIOSO: il MODELLO della JUGOSLAVIA. Il regime comunista che si delineò più rapidamente fu quello jugoslavo, nonostante la Jugoslavia fosse il Paese più occidentale e il più lontano dall’Unione Sovietica, tanto che l’Armata Rossa vi operò solo per una parte limitata di territorio (la regione intorno alla capitale Belgrado) e per un tempo breve. → il Partito comunista capeggiato da TITO (Josip Broz) si assicurò anche formalmente il potere ben prima che in altri Paesi, come esito di diversi fattori: La Jugoslavia uscì da anni di GUERRE non solo una lunga occupazione di più ESERCITI STRANIERI, con la relativa resistenza diffusa sul territorio, ma anche un conflitto tra TENDENZE politiche e popoli diversi. Il successo arrise infine alla RESISTENZA del PC e questa vittoria ottenuta in PARZIALE AUTONOMIA fu un elemento fondante del nuovo ordine politico = potevano vantare meriti militari e politici, né avevano bisogno di cercare la protezione sovietica, pur riconoscendo il primato di Stalin. Il governo britannico si illuse di mantenere una influenza a Belgrado, anche per avere SOSTENUTO Tito con consiglieri e rifornimenti negli ultimi anni di guerra, abbandonando la corrente monarchica della resistenza, guidata da Mihajlović che era stato il primo a organizzare la lotta agli occupanti → la presenza di un GOVERNO PROVVISORIO di unità nazionale in esilio a Londra di SUBASIC, (già bano di Croazia e uomo di fiducia del giovane re Pietro), sembrò una garanzia. Il clima dell’immediato dopoguerra era pesante: le VENDETTE anche personali consumate furono numerose e la REPRESSIONE di chi non fosse simpatizzante del nuovo regime fu durissima e cruenta (tra migrazioni di massa e la consegna da parte dei britannici di croati e domobranci che passarono per le armi, anche gli ex deportati nei campi nazisti per i loro collegamenti con i britannici). Le prime condizionate elezioni politiche (11 novembre 1945) TITO diede il benservito a Šubašić e alla monarchia; egli fu nominato primo ministro (1945-63 poi dal 1953-80 PRESIDENTE) → il parlamento abolì la monarchia e proclamò la REPUBBLICA FEDERATIVA POPOLARE di JUGOSLAVIA. Nel gennaio 1946 fu approvata una COSTITUZIONE ispirata a quella sovietica del 1936, con competenze FEDERALI e competenze delle REPUBBLICHE ben distinte, ma le Costituzioni di ogni repubblica erano limitate da quella federale: la DIFESA e le forze armate centralizzate; i mezzi di produzione appartenevano al popolo e la terra a chi la lavorava. La nuova Jugoslavia fu costituita da sei repubbliche: BOSNIA-ERZEGOVINA, CROAZIA, MACEDONIA, MONTENEGRO, SERBIA, SLOVANIA; tutte di diversa dimensione territoriale e demografica. La nazionalità più numerosa, quella serba, non fu compresa tutta nei confini della Serbia poiché i Serbi vivevano in altre repubbliche (Bosnia e in Croazia). In compenso, alla Serbia furono annesse due regioni di parziale autonomia: la VOJVODINA, nella quale i Serbi costituivano solo la maggioranza relativa, accanto agli ungheresi e tedeschi/altre nazionalità, e il KOSOVO, dove gli albanesi erano maggioritari. Sei POPOLI erano fondatori dello Stato federale, gli altri erano qualificati come NAZIONALITA’: a livello parlamentare furono create DUE CAMERE: una federale e una delle nazionalità → un equilibrio piuttosto delicato che la personalità di Tito, la resistenza e l’ideologia marxista-leninista contribuivano a mantenere in essere. Nonostante il paese venne provato dalla guerra, con la perdita del 12% della POPOLAZIONE e gran parte delle RISORSE economiche, la fondazione del nuovo Stato fu accompagnata da un certo entusiasmo, almeno in buona parte della popolazione. Se Tito non consentì un corretto confronto delle forze politiche, anche quando si trattava di momentanei alleati come il Partito contadino serbo, è vero che egli raccolse un alto numero di sinceri CONSENSI tra la popolazione delle campagne e nella classe operaia, e pure in altri settori sociali. → Alle elezioni i comunisti si erano presentati insieme con il Partito CONTADINO SERBO e con quello CONTADINO CROATO, e con altre organizzazioni = insieme costituivano il FRONTE NAZIONALE, che conseguì il 90% dei suffragi. Esso aveva carattere dichiaratamente ANTIFASCISTA e un programma mutuato dal PC: sostenere l’UNITA’ e l’INTEGRITA’ del Paese, porre fine allo sfruttamento economico e garantire ai popoli jugoslavi parità di DIRITTI. Il GRUPPO DIRIGENTE eliminò le basi sociali ed economiche del potere dei ceti avversi al nuovo regime, poi procedettero alla RIFORMA AGRARIA con la sparizione del latifondo, ma pure alla NAZIONALIZZAZIONE delle banche e delle industrie, mentre coloro che avevano accumulato RISPARMI durante la guerra ne furono duramente colpiti. Il governo jugoslavo, nonostante un atteggiamento polemico verso i Paesi occidentali per più motivazioni (la principale era la questione di Trieste e della frontiera con l’Italia), fu costretto ad accettare gli aiuti forniti dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), di fatto finanziata dagli Stati Uniti. Nel 1947, riprendendo il modello sovietico, si decise il lancio del PRIMO PIANO QUINQUENNALE che avrebbe dovuto riportare l’economia del Paese alla normalità e a un nuovo sviluppo. Per il resto era scontato il primato assegnato agli investimenti per l’INDUSTRIA PESANTE, ma non si trascurò la modernizzazione dell’AGRICOLTURA: la Jugoslavia era ancora un Paese nettamente agricolo, la riforma agraria non spiacque ai contadini, essi non furono lieti di dover consegnare obbligatoriamente parte dei loro PRODOTTI né la creazione delle prime FATTORIE COLLETTIVE (atteggiamento verso la classe contadina fu tra gli argomenti su cui si appuntarono le critiche di Mosca). La ROTTURA tra Stalin e Tito del 1948 fu un evento epocale per la storia della Jugoslavia: nonostante successive riappacificazioni, il Paese non tornò mai più a far parte del blocco sovietico, pur continuando a essere governato con pugno di ferro dal PC. Da questo punto di vista l’esistenza di un partito NON IN LINEA con il PCUS influenzò la storia lo stesso movimento comunista internazionale, favorendo con il proprio esempio l’affiorare delle DIVERGENZE tra Mosca e altre capitali comuniste: fu il caso in seguito di Pechino, Tirana e Bucarest. È chiaro che si trattò più di una ‘SCOMUNICA’ di Stalin che non di un processo di bipolarizzazione: il regime jugoslavo era il più AFFINE a quello sovietico, ma il GRUPPO DIRIGENTE di Belgrado si permise delle iniziative politiche giudicate pericolose dal Cremlino. La guerra fredda era ormai avviata e i due grandi blocchi – socialista e capitalista – vedevano a Mosca un’ampia teorizzazione dalle tribune politiche più varie → di conseguenza NON ACCETTABILE che una parte del ‘campo’ socialista non applicasse fedelmente e senza discussioni le indicazioni provenienti da Mosca. Alla riunione di fondazione del Cominform del settembre 1947 i DELGATI JUGOSLAVI erano stati quasi gli apripista per la severa linea politica propugnata dai sovietici, secondo la quale non vi era spazio per compromessi con ideologie e ambienti politici riconducibili alla borghesia → cinque mesi dopo (in una difficile riunione a tre tra delegati sovietici, jugoslavi e bulgari tenuta a Mosca il 10 febbraio 1948) il Cremlino iniziò a CRITICARE la politica di Belgrado cercando di individuarvi delle incoerenze più immaginate che reali: in verità si trattava di ottenere una dichiarazione di FEDELTA’ e SOTTOMISSIONE, con la rinuncia a qualsiasi iniziativa politica autonoma. Da Mosca non ci si limitò alla polemica ideologica e politica, ma si creò intorno alla Jugoslavia l’ISOLAMENTO: tutte le repubbliche popolari che fino allora avevano avuto intensi rapporti con Belgrado assunsero un atteggiamento di aperta OSTILITA’, in più Stalin si aspettava e operò perché Tito venisse SFIDUCIATO dal suo stesso partito per avere osato rifiutare di obbedire. L’esodo degli ITALIANI di Jugoslavia si svolse tra il 1945 e il 1950 e fu frutto delle violenze già ricordate (infoibamenti), non riservate solo a esponenti del passato REGIME ma spesso a connotazione ETNICA, come pure del desiderio di non subire le trasformazioni politiche ed economico-sociali in atto. Le sue dimensioni furono notevoli e le sue motivazioni non furono comprese neppure in Italia, particolarmente dalle forze politiche che simpatizzavano per il regime titino. La sistemazione in Italia degli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati fu quindi faticosa e non priva di polemiche. Restò in Jugoslavia una numericamente LIMITATA MINORANZA italiana. La rottura del 1948 produsse il suo risultato più innovativo nella POLITICA ECONOMICA della Jugoslavia: si iniziò a parlare di «AUTOGESTIONE», sebbene ancora in forma meno precisa e raffinata, come fu invece con l’andare degli anni, mentre la politica di pianificazione fu abbandonata. Da quel momento il gruppo dirigente stretto intorno a Tito volle abbandonare la rigidezza della pianificazione economica e riconoscere alle SINGOLE REALTA’ PRODUTTIVE, cioè alle aziende, un discreto grado di autonomia che producesse vantaggi per sé stesse e per l’intero sistema economico. Anni dopo si teorizzò che «nel socialismo dell’autogestione il principio generale che regola l’attività economica è un CALCOLO DI CONVENIENZA che, anche se vien fatto con moventi egoistici è, per sua natura, un calcolo di convenienza di gruppo» → il lavoratore che produce nel proprio interesse in realtà massimizza il reddito dell’impresa in cui lavora con vantaggi per tutti. Il modello jugoslavo almeno fino all’inizio degli anni Ottanta attirò l’attenzione e spesso l’approvazione di osservatori sia dall’Est sia dall’Ovest; non si trattava soltanto di una NUOVA LINEA di politica economica, ma anche di una riflessione importante sotto il profilo ideologico. Il vero socialismo poteva basarsi solo sulla partecipazione dei LAVORATORI alla gestione delle aziende e dell’economia, nonostante le ovvie difficoltà a realizzare un simile sistema; un ritorno al LENINISMO, ai valori originali della rivoluzione socialista, messi da parte durante il trentennio stalinista. Il principio dell’autogestione fu applicato anche al di fuori del campo economico: si volle ribadire che godevano di ampia autonomia le sei REPUBBLICHE (infine restarono centralizzati solo i ministeri di Difesa, Esteri e Interni), non meno delle regioni del Kosmet e della Vojvodina, ma anche tutti gli altri LIVELLI politico-amministrativi LOCALI. Tito era più che mai il GARANTE dell’unità statale e acquisì il ruolo di PRESIDENTE a VITA de facto. Anche Jugoslavia ebbe il suo SESSANTOTTO non diversamente dai Paesi occidentali, ma Tito seppe fare fronte alle richieste degli STUDENTI, talora accogliendole, in un clima di libera espressione, sorprendente per un regime mono partito: fu più grave il risveglio dei TEMI ETNICI. Su questo fronte molto si fecero sentire gli ALBANESI, i quali ottennero sia di introdurre propri rappresentanti che la fondazione dell’università a Pristina: erano ambedue concessioni di grande rilievo, tanto che si cominciò a considerare quella provincia autonoma. (Molti professori universitari di Tirana furono invitati a Pristina, ed è facile intendere come il senso di appartenenza nazionale si facesse più marcato tra i Kosovari). Al di là di eventuali desideri di maggiore riconoscimento della nazionalità, vi era anche la speranza di una CRESCITA economica e sociale del Kosovo; questa speranza andò delusa poiché alle opportunità di istruzione non corrisposero un aumento dei posti di lavoro consoni ai titoli di studio. Il Kosovo e altre regioni o repubbliche meridionali continuarono a usufruire del SOSTEGNO ECONOMICO FEDERLAE (simile alla Cassa del Mezzogiorno allora attiva in Italia), di fatto mantenendosi il divario con le repubbliche più ricche e attive economicamente, cioè Slovenia e Croazia → I dirigenti macedoni affermarono che le economie delle repubbliche settentrionali traevano vantaggi dall’esistenza di un mercato federale, che garantiva l’allocazione di loro prodotti non facili da vendere all’estero. Proprio la QUESTIONE CROATA divenne per alcuni anni la più impegnativa: più volte (1967, 1968, 1971) si mise mano ad emendamenti costituzionali per dare soddisfazione alle richieste di quella repubblica: - ‘67 nella sede dell’assemblea federale furono installate cabine per la TRADUZIONE dal serbo al croato: infatti da parte croata si chiese il riconoscimento di una LINGUA a sé stante. - ‘71 registrò una serie di agitazioni denominate «PRIMAVERA CROATA», con cui si costituirono varie organizzazioni croate di ispirazione NAZIONALE come l’Unione degli studenti, che giunsero a proclamare lo sciopero generale in Croazia in sostegno dell’istituzione di una BANCA NAZIONALE croata e l’ammissione della Croazia all’ONU. Lo sciopero ebbe successo, ma limitatamente a Zagabria: Tito, dopo alcune incertezze, costrinse alle DIMISSIONI i dirigenti comunisti che si erano spinti troppo avanti nelle concessioni al sentimento patriottico. ➢ Seguì una decisa REPRESSIONE di quelle manifestazioni e una vera PURGA nel Partito comunista croato, né si mancò di colpire anche altri elementi considerati troppo proclivi a riforme liberaleggianti, come il segretario del PC SERBO. La questione croata di fatto non era risolta né servì a molto l’approvazione di un nuovo testo costituzionale nel 1974, che recepiva gli emendamenti varati negli anni precedenti → ma non vi fu tuttavia un ritorno al centralismo. 3) La JUGOSLAVIA verso la DISSOLUZIONE. La Jugoslavia conobbe, in seguito alle scelte operate, fenomeni ignoti, dissimulati o sottaciuti negli altri Paesi socialisti , come l’INFLAZIONE e la DISOCCUPAZIONE. Fu comune con gli Stati del blocco sovietico la crescita del DEBITO ESTERO: la crisi del 1973 fu fortemente avvertita in un Paese che era entrato nel circuito dell’economia internazionale. Nonostante la CONDANNA ESPLICITA dell’invasione della Cecoslovacchia, le relazioni con l’URSS volsero al bello: Brežnev si recò a Belgrado nel 1971 e nel 1976, Tito visitò Mosca nel 1972. Poco prima della morte di Tito, da Belgrado venne una nuova secca condanna dell’invasione dell’AFGHANISTAN di fine 1979. Dopo la morte nel 1976 di MAO una assoluta novità fu la ripresa di cordiali rapporti con la Cina popolare, guardando con simpatia le tendenze RIFORMISTICHE del successore XIAOPING: Tito si recò a Pechino nel 1977. Belgrado si adeguava alla nuova fase della politica internazionale, caratterizzata dal TRIPOLARISMO: lo suggerivano gli interessi COMMERCIALI, ma pure ragioni di CONTRAPPESO nei confronti dell’altra potenza comunista. Infine, da si guardò con interesse anche al cosiddetto EUROCOMUNISMO di Berlinguer e Santiago Carrillo. Nel 1980 venne a MORTE lo stesso Tito: finiva un’epoca e ciò fu chiaro subito a tutti → perché la miscela si facesse davvero ESPLOSIVA mancava un elemento determinante: il ritorno al PLURALISMO politico che si ebbe solo nel clima degli eventi nel blocco sovietico nel 1989 e nella stessa Unione Sovietica nel 1991. In sostanza, dei fattori che avevano garantito la COESIONE della Jugoslavia uno (il CULTO della RESISTENZA) si era affievolito, il secondo (il CARISMA del LEADER) non vi era più, il terzo (il MONOPARTITISMO) venne a mancare solo alcuni anni dopo quel fatidico 1980. Intanto non vi fu un successore di Tito poiché, come previsto dalla Costituzione, fu varata una PRESIDENZA COLLEGIALE formata da rappresentanti delle sei REPUBBLICHE e delle due REGIONI AUTONOME: a turno uno di loro sarebbe stato presidente del collegio per un semestre → la formula sembrava garantire il PESO POLITICO dei Serbi, che potevano contare sui rappresentanti di Macedonia, Montenegro, Kosovo e Vojvodina, e forse della Bosnia-Erzegovina. → Non era fatta per garantire stabilità di COMANDO, bensì per trasformare l’azione di governo in una CONTINUA TRATTATIVA tra le parti divise da interessi nazionali ed economici. L’ultimo decennio della Jugoslavia registrava interesse da varie parti del mondo per il SOCIALISMO AUTOGESTITO da essa creato, ma iniziò con eventi drammatici in KOSOVO, che fecero diverse → dimostrarono che morto Tito, i problemi dei decenni precedenti, non erano affatto superati. Nelle altre repubbliche non vi furono episodi violenti, ma restò all’ordine del giorno la DIFFICILE CONVIVENZA tra realtà economiche e sociali non omogenee → il GOVERNO FEDERALE dovette impegnare nel nascondere tali tensioni, fino al punto da non pubblicare i dati economici delle singole repubbliche, per evitare che si rinfocolassero le tradizionali polemiche su quale popolazione si AVVANTAGGIASSE dallo Stato federale. Nel 1982 la Lega dei Comunisti prese atto delle richieste di MAGGIORI AUTONOMIE avanzate da CROATI e SLOVENI, nello stesso anno fu dichiarata l’impossibilità a fare fronte ai DEBITI dello STATO. Le forze armate (essenzialmente un esercito di dimensioni per nulla disprezzabili) erano ritenute ancora apertamente favorevoli per le tesi CENTRALISTE, con una percentuale di Serbi presenti nei quadri alti militari molto alta. L’impegno maggiore dei centralisti si riscontrò in SERBIA e nelle due REGIONI AUTONOME, mentre elementi nazionalisti andarono prevalendo in seno al PC serbo → un momento significativo rappresentò l’ascesa di MILOSEVIC alla guida del Partito in Serbia (1986-1989) e poi alla Presidenza di quella Repubblica (1989). → Il nuovo segretario e presidente cercò nel SENTIMENTO NAZIONALE, la legittimazione per la sua leadership. Da qui la quasi totale cancellazione dell’autonomia del KOSMET (Kosovo e Methojia) e della VOJVODINA, con tanto di emendamenti costituzionali, votati dai parlamenti locali in un clima di stato d’assedio. Se da una parte nella società e negli stessi partiti comunisti prendeva piede la tendenza NAZIONALISTA, dall’altra stava per venire meno uno degli ultimi ‘collanti’, cioè la NEGAZIONE del pluralismo politico. Il crollo dei regimi comunisti nell’Europa centrale e orientale fece comprendere anche alle popolazioni jugoslave che potevano porre fine all’esperienza politica avviata nel 1945. Si consentì progressivamente ad altri partiti di costituirsi, la SLOVENIA già nel ‘89 fu la prima a varare una REVISIONE della propria Costituzione che riconosceva il DIRITTO di SECESSIONE dalla federazione e i numeri aiutano a capire le motivazioni che resero popolare la tendenza IPER-AUTONOMISTA → la Repubblica slovena contava l’8% della popolazione, ma produceva il 20% del PIL e sosteneva per il 25% il BILANCIO federale. Un passaggio fondamentale riguardò la LEGA dei COMUNISTI che tenne il suo congresso a Belgrado nel gennaio ‘90, senza compromesso tra la creazione di una CONFEDERAZIONE e chi avrebbe voluto diminuire la Jugoslavia. Tutti i partiti furono d’accordo nell’insistere sulla formula confederale, respinta ancora una volta da Belgrado. → Non sorprese più di tanto che il governo di Lubiana e un referendum popolare fissarono l’INDIPENDENZA per il 1991. In CROAZIA la situazione era più complicata: infatti in alcune REGIONI di FRONTIERA era concentrata la COMUNITA’ SERBA, che in tali zone del Paese costituiva la maggioranza → le due nazionalità erano state considerate come FONDATRICI della repubblica; ora con una impronta nazionale al paese, i serbi si sarebbero trasformati in minoranza, cosa che essi rifiutavano. Se in passato i servi avevano contato nell’amministrazione in misura superiore alla propria consistenza, ora la tendenza era ad ALLONTANARLA dai posti che occupava. Insomma, il conflitto politico e poi militare era quasi obbligato. I Serbi più MODERATI, infatti, chiesero garanzie a TUDJMAN (Presidente della Croazia 1990-99), ma quelli più RADICALI non esitarono a proclamare, una propria Repubblica serba, comprendente tutti i territori di insediamento dei serbi. Si crearono TENSIONI anche per la presenza delle FORZE FEDERALI persino nelle CASERMA della stessa capitale Zagabria, poste sotto virtuale assedio finché non furono evacuate → paradosso in quell’ultimissima fase della Jugoslavia federale, le massime cariche erano occupate da due croati, al governo e alla guida della presidenza collegiale. Essi si adoperarono, perché in extremis si trovasse un compromesso che garantisse l’esistenza dello Stato federale. Tutto fu vano e la parola passò allo STATO MAGGIORE MILITARE, meno propenso ai compromessi e di fatto espressione di una nuova posizione maturata a Belgrado: se le proclamazioni di indipendenza dovevano essere riconosciute, ad esse andavano sottratte le TERRE ABITATE dai Serbi. 4) Le GUERRE JUSOGLAVE. Le prime operazioni militari nel luglio ‘91 riguardarono una repubblica che presentava una OMOGENEITA’ etnica e una scarsa presenza di Serbi, la SLOVENIA: la scintilla del conflitto fu il controllo delle IMPOSTE DAZIARIE, che videro Lubiana volerle fare proprie innescando la reazione militare federale. Questa fu preparata molto male, mentre il ministro della Difesa JANSA (attuale primo ministro) aveva saputo mettere in piedi una forza militare repubblicana e in grado di fare fronte ai contingenti federali. In sostanza si trattò di un conflitto BREVE e di carattere molto limitato → l’intervento della DIPLOAMZIA INTERNAZIONALE convinse le parti a trattare: il risultato furono gli Accordi di Brioni che decisero il RITIRO delle truppe federali e il rinvio per decidere della condizione della Slovenia di fronte alla moribonda Jugoslavia. Di fatto non vi fu più NESSUNA TRATTATIVA e le autorità di Lubiana poterono agire come rappresentanti di uno Stato INDIPENDENTE. Gli storici concordano nel ritenere che su quell’esito fu determinante lo scarso interesse dei dirigenti serbi per un territorio in cui erano quasi assenti loro connazionali. Molto più grave fu il conflitto in CROAZIA: la forte presenza di SERBI indusse i politici di Belgrado e lo Stato maggiore dell’esercito ad agire con maggiore decisione e con mezzi più ampi rispetto a quanto fatto in Slovenia. Peraltro, l’intervento fu facilitato dal fatto che verso est la Croazia CONFINA con la Serbia. La città multietnica di VUKOVAR (né Serbi né Croati raggiungevano la maggioranza della cittadinanza) divenne il SIMBOLO del conflitto, anche perché si videro all’opera BANDE IRREGOLARI con massacri gratuiti e l’attuazione di una «pulizia etnica». Nonostante la diplomazia internazionale si fosse messa prontamente all’opera, giungendo all’intervento dei caschi blu dell’ONU (UNPROFOR, United Nations Protection Force) sulla base della risoluzione 743 e il governo croato accettasse ripetute TREGUE – che servirono anche ad aumentare le proprie forze militari –, per molti mesi gli SCONTRI non si interruppero finché nella prima parte del 1992 le operazioni si fermarono. A quel momento il governo di ZAGABRIA non controllava più di 1/3 del territorio nazionale, gestito dai GOVERNI SEPARATISTI serbi oppure direttamente dai PEACEKEEPERS dell’ONU. Tutti gli osservatori erano certi che la BOSNIA-ERZEGOVINA sarebbe stata il campo di battaglia più cruento e il luogo di un confronto difficile da sedare → a causa delle caratteristiche ETNICHE, che ne facevano una specie di Jugoslavia nella Jugoslavia. La comunità più cospicua era quella dei BOSNIACI MUSULMANI: si è detto come la stessa legislazione jugoslava avesse favorito l’identificazione di quell’elemento, riconoscibile per il credo religioso piuttosto che altre caratteristiche. Quello strano agglomerato del quale facevano parte i SERBI (cristiana ortodossa) e CROATI (cattolici) aveva un senso all’interno della Federazione, ma come Stato indipendente aveva necessità di una REVISIONE costituzionale se non avesse voluto essere oggetto di SPARTIZIONE, come si paventava non a torto: MILOSEVIC e TUDJMAN avevano manifestato l’intendimento di agire in tal senso. Inevitabilmente i nuovi dirigenti politici si orientarono verso la proclamazione dell’INDIPEDENZA, approvata dal parlamento e ribadita dal voto popolare, inficiato dal fatto che i Serbi (1/3 degli elettori) non si recarono alle urne. Nel clima politico surriscaldato, gli elementi NAZIONALISTI prevalsero su uomini politici che, recuperato il PLURALISMO politico, avevano dato vita a PARTITI volti alla collaborazione per trovare soluzioni condivisibili. Il musulmano dissidente IZETBEGOVIC (1990-2000) assunse la carica di PRESIDENTE della Repubblica: tra i Serbi si affermò la leadership dello psichiatra KARADZIC e si diede vita alla REPUBLIKA SERPSKA, Stato a sé stante. L’ovvia conseguenza di questi fatti politici fu il tentativo dei SERBI di porre sotto controllo larga parte della BOSNIA (non dell’Erzegovina) inclusa la capitale SARAJEVO. Gli accordi di Dayton del ’95 garantirono l’EQUILIBRIO solo in alcune parti della ex Jugoslavia: la sconfitta del progetto della GRANDE SERBIA, estesa in Bosnia, rinfocolò le speranze degli ALBANESI del KOSOVO, sia di quelli autonomisti/disposti al dialogo con Belgrado, come Ibrahim RUGOVA e la LEGA della DEMOCRAZIA, sia di quelli che pensavano al conseguimento dell’indipendenza anche non pacifica, con il fine di ricongiungersi al resto degli albanesi, per realizzare una GRANDE ALBANIA. I sostenitori della linea dura, ben rappresentati dal Fronte di LIBERAZIONE del Kosovo di THACI, finirono per PREVALERE in termini di peso politico → le loro azioni di GUERRIGLIA e la conseguente pesante REPRESSIONE da parte serba indussero WASHINGTON a intervenire diplomaticamente, con il consenso di molti altri Stati, ma senza successo. Per il governo statunitense, Milošević non fu più l’uomo del compromesso, ma il fautore di una POLITICA INACETTABILE, quella della difesa dell’INTEGRITA’ dello Stato serbo (ufficialmente Jugoslavia) contro ogni tendenza separatista. Nel 1999 fallirono le trattative di RAMBOUILLET in Francia: il presidente Clinton si convinse che il leader serbo avrebbe accettato la proposta statunitense (che però incrinava la sovranità serba) e Milošević rifiutò di credere che gli USA avrebbero fatto ricorso alla forza. Mentre in terra kosovara la situazione si era fatta pesantissima, con la popolazione ALBANESE che in massa cercava di guadagnare le frontiere spinta/ non trattenuta dalle forze serbe, l’AVIAZIONE della NATO, sulla base di un dubbio consenso dell’ONU, iniziò a bombardare le POSTAZIONI MILITARI serbe sia in Kosovo anche in Serbia. Sebbene si rinunciasse a operazioni di TERRA, dopo alcune settimane i pesanti bombardamenti indussero il governo serbo a trattare (Accordi di Kumanovo del 9 giugno) consentendo l’ingresso in Kosovo di truppe internazionali, con il ritiro di quelle Jugoslave. Mosca, abbastanza passiva nonostante l’allarme dell’OPINIONE PUBBLICA russa simpatizzante per i fratelli slavi meridionali, si affrettò a inviare propri PARACADUTISTI a Pristina perché il Kosovo non finisse per essere una questione solo occidentale. Nonostante il significato politico e spirituale che aveva la regione (vecchia Serbia) per l’opinione pubblica serba, le ragioni della FORZA MILITARE e della FORZA DEMOGRAFICA, prevalsero: progressivamente gli albanesi del Kosovo divennero padroni dei loro destini, all’ombra dell’AMMINISTRAZIONE INTERNAZIONALE. (i Serbi rimasti nella provincia si trasformarono in una minoranza con serie difficoltà nel difendere i propri diritti). Si aprì una GRAVE QUESTIONE INTERNAZIONALE che non ha trovato una soluzione condivisa e tuttavia ha portato alla nascita nel 2008 di un nuovo Stato indipendente, ma non alla costituzione di una Grande Albania, sebbene gli intensi rapporti tra Pristina e Tirana. Le vicende della SERBIA dopo le guerre del 1992-95 e del 1999 sono state particolarmente complesse → se da Dayton MILOSEVIC (1989-2000) uscì con un’immagine positiva, come garante della pace, la sconfitta subita riguardo al Kosovo appannò quell’immagine in maniera decisiva. Inevitabilmente gli avversari di Belgrado ebbero modo di attaccarlo fino a rovesciarlo nel 2000, quando si tennero elezioni presidenziali denunciate come FRAUDOLENTE → la vittoria di Milošević fu annullata a vantaggio del nazionalista MODERATO Vojislav KOSTUNICA. I Il quadro politico serbo non per questo si poté rasserenare: restava il problema dei rapporti con il MONTENEGRO e con il KOSOVO mentre all’interno si mantenne duro il confronto tra i partiti, soprattutto tra nazionalisti e filoeuropei. Nel 2003 fu ucciso il capo del governo, esponente del Partito democratico e orientato verso l’Unione Europea, egli aveva fatto arrestare Milošević per consegnarlo al tribunale internazionale. Nonostante questo, fatto così grave, il sistema politico si dimostrò VITALE e le diverse forze continuarono ad ALTENARSI alla guida del Paese → la proclamazione dell’INDIPENDENZA del Montenegro (2006) e del Kosovo (2008) fornirono argomenti alle CORRENTI NAZIONALISTE, le quali prevalsero in più di una consultazione rispetto a quelle più occidentaliste, ma infine tesero anche esse a moderarsi. Negli ultimi anni il presidente NIKOLIC ha ben rappresentato tale atteggiamento, ammettendo le RESPONSABILITA’ serbe in buona parte delle vicende nei territori ex jugoslavi e ottenendo nel 2012 lo status di paese CANDIDATO all’ammissione all’UE. Il MONTENEGRO rimase per alcuni anni legato alla Serbia nella Federazione jugoslava, poi denominata Federazione Serbia-Montenegro e il cambio di denominazione preluse all’indipendenza: il referendum del 2006 decise per l’INDIPEDENZA montenegrina, raggiunta nel 2008. La MACEDONIA, indipendente dal 1992, ha conosciuto i problemi delle altre repubbliche, ma è rimasta fuori dalle guerre, salvo alcuni episodi ripetutisi negli anni e in modo pericoloso nel 2001, che riguardarono la cospicua MINORANZA ALBANESE. La fase più calda risentì delle vicende kosovare del 1999, con un altissimo numero di PROFUGHI che si accampò alla frontiera macedone: l’ORGANIZZAZIONE COMBATTENTE kosovara, fu esportata, ma con un opportuno intervento internazionale si giunse nel 2003 ad accordi che GARANTIRONO la minoranza. In politica interna partiti di opposta ideologia si sono avvicendati al potere in modo PACIFICO, mentre si è avviato il processo di avvicinamento all’UE: dal 2005 ha ottenuto lo status di Paese CANDIDATO. La più seria questione di politica estera ha riguardato il riconoscimento da parte della Grecia. La BULGARIA. La società bulgara risultava essere dominata dalla CLASSE CONTADINA e praticamente assente la grande proprietà terriera scomparsa con il fine del dominio ottomano negli anni ’70 dell’800: ma sembrò esserci una contraddizione, in quanto fu l’unico paese europeo ad avere un regime dichiaratamente contadino, ispirato agli interessi e all’ideologia dei CETI RURALI, ma a sviluppare una riforma agraria scarsa. Oltre al dominio dell’UNIONE AGRARIA BULGARA, riscosse una certa importanza l’ESTREMA SINISTRA, da un settore industriale ancora molto primitivo. Il governo che si formò con la sconfitta nella Grande Guerra vide il carismatico leader STAMBOLIJSKI allearsi con i LIBERALI e i NAZIONALISTI ridimensionati elettoralmente, andando a isolare la formazione comunista (secondo partito); con questo partito si aprì uno scontro aperto con il leader BLAGOEV che insieme ai socialisti aveva indetto un forte sciopero. L’Unione Agraria reagì in modo molto concreto, dotandosi di una guardia armata per far fronte a quelle delle forze di sinistra, ma anche nelle elezioni del 1920 la formazione non ottenne la maggioranza: Stambolijski fece rendere nulla l’elezione di una quantità di deputati adatti per fare nascere il primo governo agrario AUTONOMO, sviluppando per le elezioni del ’23 un sistema elettorale per ridurre ai minimi termini l’OPPOSIZIONE. Ottenere poco più che la metà degli elettori non fu sufficiente per attuare una PROFONDA TRASFORMAZIONE senza suscitare la reazione di diversi ambienti: il maggiore successo fu il referendum per la condanna di coloro che erano stati protagonisti delle disavventure del paese in guerra, cogliendo l’occasione di eliminazione dell’OPPOSIZIONE e raccogliendo il RANCORE della popolazione che aveva vissuto sotto dure condizioni. Il partito agrario di tendenze repubblicane, tuttavia assunse il potere con il consenso di BORIS III di COBURGO e per via elettorale, senza mettere in discussione tutto l’apparato monarchico e parlamentare: la sua ideologia voleva imitare ciò che stava avvenendo nella Russia di LENIN, creando uno stato di classe a vantaggio della classe contadina → ma sfumò verso una istanza INTERCLASSISTA con una radicalità che rimase soprattutto teorica (tant’è che non ci fu una alleanza con i comunisti e la creazione di una Internazionale Verde con sede a Praga). Sul versante internazionale l’ideologia contadina era orientata al pacifismo convinti che i conflitti fossero l’interesse di dinastie e classi dirigenti → una posizione giustificata dalla posizione debole del paese sconfitto, che però vedeva crescere una negatività verso il TRATTATO di NEUILLY: o Pesanti riparazioni di guerra e limitazioni per le forze armate; o Cessione di alcuni territori verso la Jugoslavia; o Non annessione della Macedonia e territori a sud della Romania; o Perdita sbocco nel Mar Egeo in favore della Grecia; Il governo però si dimostrò disponibile a rinunciare a ogni revisionismo, così riuscì a trovare un accordo con la Jugoslavia divenuta padrona di tutta la MACEDONIA SLAVA con la rinuncia da parte di Stambolijski, fece emergere una OPPOSIZIONE interna e l’organizzazione rivoluzionaria macedone accampata in Bulgaria che giudicarono l’atto come un tradimento, avviando un percorso di violenza non indifferente. A questo punto il regime agrario aveva tutta una serie di nemici: militanti macedoni, militari licenziati dopo gli accordi internazionali, comunisti, socialisti, il centro-destra e forse lo stesso Re; nel giugno del 1923 andò così in porto un COLPO di STATO guidato dal colonnello DAMJAN VELCEV, mentre il fuggitivo Stambolijski venne raggiunto dai militanti macedoni che lo uccisero. La struttura democratica però venne mantenuta, il nuovo capo di governo CANKOV economista e con simpatie fasciste, non mutò la costituzione e governo con una ampia maggioranza: il PARTITO COMUNISTA che rimase estraneo, etichettando il tutto come una guerra tra borghesi cittadini e borghesi rurali, venne criticato dal Komintern e quindi decise di collaborare con le rimanenze delle organizzazioni agrarie, venendo repressi. Furono messi al bando, per poi essere riammessi, con un nuovo blocco dopo gravi attentati. Nonostante il modello democratico occidentale sopravvisse al Colpo di Stato del ’23, con la fine del mandato di Cankov nel ’27 il sistema risultava essere credibile dato che portò a Sofia un prestito internazionale su garanzia inglese: i pericoli non venivano dalle formazioni di destra ispirate al modello fascista o da sinistra, ma dalla LEGA MILITARE che si formava di diverse anime: - Repubblicani e monarchici; - Politica estera revisionista e conciliativa; Successo ebbe il circolo culturale ZVENO che pensavano che il paese potesse essere modernizzato attraverso un modello corporativo (non la via democratico-liberale) molto simile a quello fascista italiano; ma quando nel 1934 attuò un colpo di stato che impose al Re Boris III la nomina del colonnello GEORGIEV e la sospensione della costituzione di fine Ottocento, non compì alcun atto di simpatia verso Roma, ma verso Belgrado. Un anno dopo il Re puntando sull’ala monarchica della Lega Militare, cacciò Georgiev e il colonnello Velcev, non ripristinò la Costituzione e diede origine a un REGIME PERSONALE, fondato su un partito nazionale a lui devoto e un parlamento orientato al sostegno dell’esecutivo. Una eccezione fu un gruppo di opposizione che non approvarono nel ’40 l’adesione al Patto Tripartito e la deportazione dell’intera comunità ebraica bulgara, facendo pressioni sul Re e il primo ministro FILOV: per il resto il regime fu molto simile a quelli diffusi sul continente, nonostante il mantenimento delle forme parlamentari e l’estensione del diritto di voto alle donne sposate. A lungo il re cercò di mantenere il paese in uno stato di neutralità, ma le indicazioni provenienti da Roma e Berlino, oltre alla posizione di Mosca (Patto Molotv-Ribbentrop) indussero Romania e Bulgaria a dialogare per la cessione della parte meridionale del paese a Sofia. Il revisionismo PACIFICO, quindi, condusse a cercare nuove revisioni delle FRONTIERE occidentali, ma anche nello schierarsi per una COALIZIONE tra quelle che si stavano confrontando. L’adesione al PATTO TRIPARTITO a inizio 1941 e il passaggio di truppe tedesche verso la Grecia, il governo di Filov rimase fuori dal conflitto, procedendo solo all’occupazione dei territori macedoni sia in Grecia che in Jugoslavia; questo basto per etichettare la Bulgaria come paese belligerante a fianco di Berlino. Il paese non partecipò all’aggressione a Mosca con la quale mantenne rapporti diplomatici normali, ma gli sviluppi influirono su Sofia: la morte di Re Boris III nel 1943, vide l’instaurazione di una REGGENZA che proseguì una politica moderata; ma tra la fine dell’anno e il ’44 incominciarono i bombardamenti alleati sul territorio bulgaro. Nonostante i tentativi di sganciarsi dall’alleanza con la Germania, il paese finì sotto le pressioni dell’armata rossa che vide la nomina di un esecutivo con la guida del Partito Contadino di MURAVIEV che dichiarò guerra alla Germania. Nonostante ciò, Mosca si operò per la occupazione del territorio. → il FRONTE PATRIOTTICO come organo della resistenza con agrari, socialisti, comunisti, zvenari e altri proclamarono l’insurrezione, prendendo il potere e arrestando la reggenza e ministri, con la complicità di parte dell’esercito e del ministro della guerra. Si insediò un governo di ampia coalizione guidato nuovamente da GEORGIEV, ma nel frattempo i militari bulgari seguirono l’armata rossa nelle campagne di Ungheria e Austria, aprendo al successivo regime comunista e la “satellizzazione” verso Mosca. Lo si vide nelle ricorrenti polemiche con Belgrado, che riguardarono la QUESTIONE MACEDONE in quanro i cittadini bulgari non poterono dichiararsi di nazionalità macedone, non riconosciuta dal governo. Nel 1960 si parlò di un COMPLOTTO FILOJUGOSLAVO e l’addetto stampa jugoslavo a Sofia fu dichiarato persona non grata: la «questione jugoslava» continuò a essere un fattore nelle dinamiche interne al PC bulgaro, come dimostrò l’allontanamento di VECCHI CAPI PARTIGIANI militanti nella RESISTENZA TITINA. Nonostante il riavvicinamento segnato dallo scambio di visite tra Živkov e Tito tra 1962 e 1965, le polemiche si rinfocolarono per la posizione assunta da Belgrado riguardo all’invasione della Cecoslovacchia, cui parteciparono contingenti militari bulgari. → A Sofia la REPUBBLICA MACEDONE era vista come possibile polo di attrazione per la regione del Pirin tanto più che a Belgrado, anche anni dopo, non accettarono le proposte di sancire con un trattato l’INVIOLABILITA’ delle frontiere. 3) La Bulgaria: l’INCERTO CAMMINO verso la DEMOCRAZIA. Se l’ideologia in Bulgaria acquisiva negli anni una VIA NAZIONALE, essa non rinunciò ai principi del marxismo- leninismo, ribaditi nella Costituzione del 1971. La FEDELTA’ all’URSS (non disgiunta da una RUSSOFILIA abbastanza comune) restò intatta nei lunghi anni di Brežnev e fu ripagata con un SOSTEGNO che, in combinazione con la politica economica, garantì alla popolazione un TENORE di VITA sufficientemente sereno, soprattutto a livello alimentare. → Era evidente la DIPENDENZA dal commercio con l’Unione Sovietica, soprattutto per il settore ENERGETICO. Si proseguì nella INDUSTRIALIZZAZIONE fino a creare una centrale nucleare, che però non conseguì successi di rilievo e anzi causò un serio inquinamento ambientale, mentre peculiare fu il fenomeno dell’importazione di MANODOPERA a seguito della stagnazione demografica, a fronte dell’impiego di TECNICI BULGARI nei paesi in via di sviluppo. La POLITICA ESTERA di Sofia non si risolveva nei difficili rapporti con la Jugoslavia, ma nello spirito della coesistenza pacifica propugnata da Chruščëv migliorarono le relazioni con la GRECIA, con la quale si trovò un compromesso riguardo alle riparazioni di guerra e nel 1964 furono conclusi accordi di carattere commerciale e culturale che sfociò negli anni ’80 in un trattato di MUTUA ASSISTENZA in funzione antiturca. Infatti, se le tensioni tra Grecia e Turchia furono di grande evidenza, soprattutto dopo la crisi cipriota del 1974, i governi bulgari (oltre a condannare l’intervento turco) ebbero con quelli turchi RAPPORTI ANTALENANTI a causa della cospicua MINORANZA TURCA di Bulgaria. (un 10% in seguito a un decennio volontariamente emigrarono 130.000 persone, ma la crescita demografica della minoranza a confronto della maggioranza slava annullò gli effetti di quell’accordo). In accordo con la nuova linea NAZIONAL-COMUNISTA i governanti bulgari nel 1984 optarono per una decisione molto pericolosa, ossia la SNAZIONALIZZAZIONE attuata attraverso l’imposizione di nuovi nomi all’anagrafe, vietando la circoncisione e le pratiche di sepoltura di stile musulmano → la tesi che i musulmani di Bulgaria fossero slavi ottomanizzati che dovevano riassumere la propria identità bulgara. Le RELAZIONI tra i due Stati toccarono il punto più basso a causa della politica di ‘bulgarizzazione’. → Nel 1989 nacque il partito della minoranza turca, MOVIMENTO per i DIRITTI e la LIBERTA’ (DPS). La società si era messa in movimento sull’esempio di quanto accadeva anche in altri Paesi comunisti: si costituirono MOVIMENTI che puntavano a risolvere SPECIFICI PROBLEMI a tutti evidenti, come quelli dell’AMBIENTE. Nel 1988 a Ruse, città danubiana fortemente inquinata dalle industrie di Giurgiu, centro posto sulla riva romena del Danubio, fu costituito un Comitato per la DIFESA della città, che accusò il governo di Sofia di non proteggere il TERRITORIO e la SALUTE della popolazione: quella organizzazione nata SENZA l’ASSENSO del partito, costituì il segnale di un RISVEGLIO, della società civile. Nonostante persecuzioni e intimidazioni, il processo prese vigore, poiché altri gruppi sempre ispirati all’ECOLOGISMO, andarono costituendosi →EKOGLASNOST il più forte sembrò assumere connotazioni politiche come i partiti ‘VERDI’ europei. Il clima fu tale per la nascita di un movimento di carattere più politico: fu il caso del CLUB per sostenere la perestrojka e la glasnost’, capeggiato dal filosofo ZELEV (1990-97) il quale aveva avuto il coraggio di assumere posizioni ed era stato espulso dal partito nel 1965. → Nacque il SINDACATO LIBERO (Sostegno o Solidarietà), che si ispirava all’esempio polacco di Solidarność. Si costituì un Comitato per la difesa dei DIRITTI UMANI e uno per i DIRITTI RELIGIOSI in uno Stato in cui la Chiesa ortodossa era stata tradizionalmente alleata al potere politico. Nella società, nel clima del gorbaciovismo, la RIVOLUZIONE PACIFICA era avviata sebbene «non deve comunque essere sopravvalutato il ruolo del dissenso politico che nacque solo verso la fine del regime». L’AGGREGARSI di tutti quei movimenti di opposizione, a fine 1989, nell’ UNIONE delle FORZE DEMOCRATICHE fu il sigillo alla fine del regime, dopo che già avevano alzato bandiera bianca i regimi comunisti in altri Stati. Negli anni della transizione post-comunista l’Unione continuò per alcuni anni a essere una forza politica di PRIMO PIANO, tanto da accedere al potere, ma non in grado di mantenerlo per la sua natura di FEDERAZIONE di partiti e movimenti, NON LEGATI da un’unica ideologia né guidati da un solo gruppo dirigente. I maggiori esponenti del PCB decisero di ESTROMETTERE Živkov dal potere: l’anziano leader presentò al CC di fine 1989 una RELAZIONE nella quale accettava in sostanza le tesi di Gorbačëv e ammetteva la necessità urgente di avviare RADICALI RIFORME → la seduta plenaria si chiuse nel segno del CAMBIAMENTO poiché Živkov e altri dirigenti furono convinti a RITIRARSI lasciando il passo a quanti credevano di poter RINNOVARE il partito. Né gli uni né gli altri pensavano di dover rinunciare a guidare lo Stato, ma la SITUAZIONE nelle piazze e nel Paese andò rapidamente arroventandosi tanto da indurre i nuovi detentori del potere a consentire ELEZIONI LIBERE, l’ANNULLAMENTO della politica di bulgarizzazione e il SUPERAMENTO dell’economia socializzata. → Una TROJKA sembrò assumere le redini: il ministro della Difesa, il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri Petar MLADENOV (figura di transizione 1989-90), che assunse la segreteria del partito e la presidenza del Consiglio di Stato → da lì a poco quest’ultimo. La Bulgaria, anche nella scelta della LINEA RIFORMISTICA, era stata sostanzialmente fedele a Mosca, sebbene non potessero mancare delle specificità nazionali e come in Unione Sovietica il riformismo portò alla fine del regime. 4) La Bulgaria: dalla LENTA TRANSIZIONE all’ADESIONE all’UE. Al di là delle concessioni e alla forte richiesta di democrazia, i DIRIGENTI EX COMUNISTI intendevano restare in campo sotto nuovi EMBLEMI e PROGRAMMI. Il PCB e gli esponenti di vertice lo ribattezzarono con il nome di SOCIALISTA, e prepararono il terreno per le prime elezioni libere che si tennero nel ‘90 dalle quali uscì la Costituente grazie a un sistema elettorale MISTO: il PS ottenne la maggioranza assoluta dei seggi, la SDS fu la principale forza d’opposizione, dotata di un consenso di poco inferiore; fuori dai due poli si collocarono l’UNAB e il Movimento per i diritti e le libertà (DPS), rappresentante la minoranza musulmana: le due formazioni che potevano pesare al momento di fare passare una norma. Per non bloccare i lavori fu inevitabile il COMPROMESSO tra socialisti e democratici: i primi mantenendo la guida del governo, i secondi affidando la presidenza della Repubblica a ZELEV (1990-97). La LOTTA POLITICA fu caratterizzata da un dato peculiare: dopo la vittoria alle urne di un partito, le forze rimaste all’opposizione riuscivano contrattaccare, perché la maggioranza non fu mai compatta e di regola le legislature non sono mai giunte al loro TERMINE NATURALE: fu così sin dalla prima. La Bulgaria ebbe tuttavia una nuova Costituzione, più affine a quella liberale del 1879 e alcuni articoli prestarono attenzione ai diritti della minoranza etnico- religiosa senza fare concessioni per un’eventuale autonomia. I lavori della Costituente furono molto TRAVAGLIATI, con anche dimissioni di deputati, come somma di battaglie parlamentari che lasciarono il segno nella SDS che si divise in FORMAZIONI politiche: quella meno disposta al compromesso con il passato, fatta da quanti avevano abbandonato i lavori e capeggiata da DIMITROV, prevalse nella nuova prova elettorale: in una legislatura dove la varietà partitica era troppo profonda e ne risentirono gli esecutivi. Le elezioni politiche ancora una volta anticipate al 1994 videro il successo della coalizione composta da PS, Ekoglasnost e Partito contadino: con i socialisti RINNOVATI nei propri vertici, emarginando gli uomini che avevano rimosso Živkov e che sembravano rappresentare gli interessi della vecchia guardia. Sotto la sua guida il RINNOVAMENTO del PSB si fece più marcato: l’ortodossia marxista-leninista fu lasciata ai nostalgici, ma non si cercava di cancellare la memoria della lunga esperienza comunista, ma la si considerava come una PARENTESI non felice. Tuttavia, si tenne ferma la difesa del WELFARE STATE (sanità, istruzione e previdenza pubblica) e non si accettò la RESTITUZIONE generalizzata ai vecchi proprietari o ai loro eredi dei beni nazionalizzati dal regime. Non fu dato spazio a EPURAZIONI, ma solo a pochi processi di regime: Živkov fu condannato a cinque anni per nepotismo, ma fu assolto → le gravi responsabilità politiche, non furono mai giudicate nei tribunali. Le elezioni presidenziali del 1996 segnarono un’inversione di tendenza: in un clima di evidente presenza della MALAVITA nella politica e nell’economia, il candidato democratico vinse Petar STOYANOV (1997-2002). Nelle inevitabili elezioni politiche anticipate dopo tale cambiamento, una nuova coalizione di CENTRO-DESTRA ottenne oltre la metà dei consensi contro la coalizione del PSB: nacque un governo che ottenne la fiducia non solo del centro- destra ma anche degli altri gruppi parlamentari escluso quello socialista, che durò dal 1997-2001. Seguì un periodo di grandi novità, fu abolita la pena di morte, furono drasticamente ridotte le forze armate mentre si fece di tutto per ottenere l’ammissione nella NATO e nell’Unione Europea: alle amministrative i socialisti avevano quasi raggiunto il centro-destra, ne seguì una progressiva erosione del consenso popolare, senza che questo giovasse ai socialisti. Nel 2001 si svolsero nuove elezioni politiche che registrarono un totale SCONVOLGIMENTO: giunse a compimento un lungo lavoro tra gli ambienti politici, amministrativi e della magistratura, l’ex re SIMEONE CROBURGO GOTHA (2001- 2005) riuscì a dar luogo a un gruppo politico che ottenne una clamorosa vittoria: Simeone dovette formare la maggioranza con il DPS. L’elettorato bulgaro optò per una ‘”TERZA VIA”, nonostante la volontà di pacificazione e l’abilità dell’ex monarca, anche il nuovo esecutivo perse consenso, come dimostrò l’elezione del socialista PARVANOV (2002- 12): tuttavia, il contesto internazionale portò la Bulgaria ad ottenere l’ammissione alla NATO → una tendenza economica non eclatante e una società fortemente condizionate dalla corruzione e dalla malavita, riuscì a concludere le trattative per l’ingresso nell’UE per il 2007. Nella nuova tornata elettorale del 2005 a trionfare furono i SOCIALISTI con i loro alleati: ebbero però i seggi necessari a governare e pertanto si giunse alla costituzione di un governo che comprendeva ministri del Movimento nazionale Simeone II e del DPS → la tendenza economica proseguì in crescita, la Bulgaria però continuava a vedere la malavita mettere in atto i regolamenti di conti cruenti, condizionando anche la politica, come dimostravano accuse e condanne a ministri in carica. Il 1° gennaio 2007 fu festeggiato l’ingresso del Paese nell’UE, aprendo a una fase politica, FILOCCIDENTALE (sebbene un rapporto rinsaldato con la Russia nel settore energetico), aveva di converso favorito la crescita di una DESTRA POPULISTA, in un quadro di una scarsissima partecipazione al voto → un nuovo astro nascente della politica bulgara: Boyko BORISOV, segretario generale del ministero degli Interni, che aveva fatto sentire la sua voce contro la malavita, da sindaco di Sofia, guidò il suo partito Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria alle elezioni europee e alle consultazioni politiche 2009. Fu questa l’ennesima NOVITA’ del quadro politico bulgaro e lo fu sotto il segno della SFIDUCIA nella politica tradizionale e dell’entusiasmo verso un ‘UOMO FORTE’: con una forte alternanza tra Gerb e Socialisti con coalizioni differenti, ma in definitiva il quadro politico continua a essere INSTABILE. Dal punto di vista economico la Bulgaria post-comunista si trovò in una situazione molto pesante: le attività produttive RISTAGNARONO, tra 1990-91 la popolazione subì la CARENZA di merci, materie prime, beni essenziali e medicine, venendo meno il sostegno economico sovietico, vennero meno i mercati garantiti del Comecon, non riuscendo a penetrare in altri mercati. Fu inevitabile concordare la politica economica con il FMI cercando di STABILIZZARE l’economia, bloccare l’INFLAZIONE e creare un’economia di mercato, anche con le PRIVATIZZAZIONE; nella stessa Costituzione fu cancellato in buona misura il carattere collettivistico e dirigistico. Il debito estero fu RISTRUTTURATO permettendo di ottenere nuovi prestiti e l’ingresso nel GATT (General Agreement on Trades and Tariffs), poi WTO. In politica ESTERA i governi avviarono un lungo percorso: aderì alla Partnership for peace, un primo passo in direzione dell’adesione alla NATO, divenne membro dell’Iniziativa centro-europea, come pure della CEFTA: l’ammissione nella NATO nel 2004 fu il collocamento nello scacchiere internazionale. Ancora più importante, investendo direttamente economia e società, fu l’ingresso nell’UE nel 2007: nonostante il ritardo, fu un evento epocale. Nel 1959 la maggior parte del Paese aveva subito una FONDAMENTALE TRASFORMAZIONE e negli anni successivi essa fu portata a termine anche nelle province settentrionali, nel 1967 la proprietà privata agraria non esisteva più, ma anche in altri settori si agì in modo radicale, a differenza di quanto avvenne in altri Paesi → l’Albania poté operare come se si trovasse in una situazione di tabula rasa. La rottura tra Belgrado e Mosca nel 1948 fu fondamentale per l’ULTERIORE SVILUPPO della storia politica dell’Albania = Hoxha colse l’occasione sia per LIBERARSI dell’ipoteca jugoslava sia per un REGOLAMENTO INTERNO al gruppo dirigente → per il leader albanese era più facile che per altri attaccare Tito e il titoismo, con accuse non solo di TRADIMENTO ideologico ma anche di MICRO-imperialismo. Ormai era tardi per avanzare RIVENDICAZIONI territoriali (la questione del Kosovo aveva trovato una soluzione concordata, e tuttavia esso ospitava una maggioranza di albanesi contro una minoranza di serbi) ma era opportuno CHIUDERE i RAPPORTI con la Jugoslavia. All’interno la principale vittima del repulisti avviato fu il numero due del regime, il segretario organizzativo del partito e ministro degli Interni XOXE, ma con lui caddero metà dei membri del COMITATO CENTRALE = fu facile attribuire la responsabilità delle relazioni preferenziali con Belgrado e dunque l’accusa di titoismo. (Non si può verificare se a Belgrado si pensò di rovesciare Hoxha, a favore di elementi filo jugoslavi, ma ci sarebbe sviluppato il rischio di uno scontro con Stalin). Naturalmente la scelta del gruppo dirigente di TIRANA comportò un assoluto allineamento a STALIN, considerato dagli Albanesi l’indiscusso CAPO del movimento comunista internazionale. Al di là del credo ideologico, risultò necessario l’AIUTO ECONOMICO dell’URSS in quanto il Paese aveva serie necessità: non solo l’uscita dal DOPOGUERRA, ma il proposito di MODERNIZZAZIONE era ambizioso in proporzione alle risorse disponibili. In sostanza la CRISI economica era pesante come strascico del conflitto, ma anche come conseguenza della resistenza dei contadini ai progetti di introdurre le fattorie collettive. Da Mosca pervennero persino DERRATE alimentari, come pure STRUMENTI TECNICI ed ESPERTI che contribuissero a diffondere buone pratiche nelle attività produttive. → Tutto questo non fu sufficiente per avviare un significativo sviluppo economico e il benessere per la popolazione. La fine (1949) del conflitto civile in Grecia consentì un processo di PACIFICAZIONE dell’area balcanica, ma Tirana non si spinse sino a stringere accordi con Paesi della NATO come fece Belgrado, ma al contrario finì per trovarsi in condizione di MAGGIOR ISOLAMENTO = all’ostilità verso la Jugoslavia si aggiungeva quella verso la Grecia = il governo di Atene riteneva quello di Tirana corresponsabile dell’INVASIONE ITALIANA del 1940. Agli stessi livelli si mantennero anche quelle con i Paesi occidentali: alcuni di questi organizzarono dei modesti tentativi per creare un’OPPOSIZIONE ARMATA al regime nella speranza di indebolirlo o abbatterlo → la SCARSA PREPARAZIONE di quei tentativi di sbarco dal mare + l’abile azione dei SERVIZI sovietici = il regime non fu danneggiato e restò saldo, diffondendo l’idea del Paese sotto PARICOLO STRANIERO. Da qui la costruzione, anni dopo, di un numero spropositato di BUNKER soprattutto a guardia delle frontiere e della costa. L’ultimo importante tentativo di sbarco fu attuato nel 1952: 150 uomini, seguaci di ZOG, che avevano lasciato l’Albania nel ‘44, furono catturati e per due anni utilizzati per inviare informazioni false agli anglo-americani che li avevano addestrati in Germania Ovest. Intanto il PC già durante il suo primo congresso, tenuto nel novembre 1948, assunse la denominazione di PARTITO del LAVORO, che meglio rendeva il concetto dell’alleanza tra la PICCOLA CLASSE OPERAIA e la maggioritaria CLASSE CONTADINA → mentre nel 1955 l’Albania fu ammessa all’ONU. Le grandi novità seguite al Cremlino alla morte di Stalin non furono recepite dal regime di Tirana, l’Albania continuò ad usufruire del SOSTEGNO SOVIETICO per incrementare il processo di sviluppo economico, ma con il tempo sia quell’aiuto che la politica chrusceviana furono considerati negativamente. Tuttavia, nel 1954 Hoxha lasciò a Mehmet SHEHU (1954-81) la guida del GOVERNO conservando quella del partito, secondo una formula applicata in vari Paesi comunisti: il leader albanese NON condivideva il REVISIONISMO sovietico e si accostò progressivamente alle posizioni della dirigenza cinese che andavano differenziandosi da quelle del Cremlino, soprattutto dopo il 1957. Oltre a ciò, va tenuto presente che egli doveva governare un Paese in cui il CLAN e la TRIBU’ avevano un loro peso. Secondo una interpretazione condivisa, in Albania una STRUTTURA STATALE, capace di raggiungere tutto il territorio, fu creata solo con il regime comunista: gli antichi ottomani e la monarchia di Zog non erano stati in grado di svolgere fino in fondo questo compito essenziale per uno Stato. Il popolo albanese, dunque, doveva essere tenuto sotto un CONTROLLO FERREO, a prescindere dalle formule politiche, come evidente nel particolare accanimento contro le RELIGIONI, che ebbe a che vedere: non risulta una particolare forte opposizione del clero cattolico, ortodosso o musulmano, paragonabile a quella di altre Chiese in Polonia, Ungheria o Cecoslovacchia → ma non si poteva dare spunti fuori e dentro il paese, per indebolire il SENSO UNITARIO della nazione e l’unico CENTRO di POTERE. I REVISIONISTI nel Partito del lavoro albanese non ebbero modo di avanzare proposte di cambiamento, mentre nel tempo, trovò nuovo spazio il CULTO della PERSONALITA’: Hoxha continuò a detenere il potere in forma indiscussa e in misura quasi assoluta = ma la sua politica andò trasformandosi anche in difesa della propria LEADERSHIP e dell’OLIGARCHIA che lo affiancava. Per il momento la fedeltà all’Unione Sovietica non fu messa in discussione, anzi il gruppo dirigente albanese aderì in modo entusiasta al Patto di Varsavia, considerato fondamentale per la difesa della pace in Europa contro i piani delle potenze occidentali. Durante il III° congresso del partito (dove si era condannato lo stalinismo ma non Stalin), il 25 novembre 1956 l’Albania registrò l’apice di una serie di PURGHE in ritardo: furono mandati a morte tutti i membri del Politburo propensi a un miglioramento delle relazioni tra Tirana e Belgrado, ma Hoxha non gradì che Tito fosse stato consultato riguardo alla crisi ungherese che aveva contribuito ad accendere, come pure dissero apertamente che la dissoluzione del Cominform avrebbe dovuto essere frutto di una consultazione. Il momentaneo raffreddamento dei rapporti tra Mosca e Belgrado, seguito all’intervento sovietico in Ungheria, permise a Hoxha di agire INDISTURBATO, senza suscitare reazioni del Cremlino. Nel 1957 Mosca accordò un PRESTITO e accordi simili furono siglati con altri Stati comunisti: nel 1959 Chruščëv visitò Tirana, ultime espressioni di amicizia –> nonostante gli AIUTI ECONOMICI sovietici e l’ipotesi di installare MISSILI, nello stesso anno le simpatie manifestate da Hoxha per le IDEE MAOISTE indussero a un ripensamento. L’accelerazione scelta da Hoxha trovava altre motivazioni: Mosca sembrò avere SCARSO RISPETTO della sovranità del piccolo Stato e del partito albanese, toccando così un nervo scoperto del leader e del l’oligarchia schipetara. In particolare, sembrò che in cambio degli aiuti economici concessi Mosca si arrogasse il DIRITTO di appoggiare l’ala REVISIONISTA in seno al CC →molti furono subito ESPULSI dal Comitato centrale e Hoxha non tenne conto delle critiche che gli vennero da parte russa. → A BUCAREST nel 1960, durante i lavori dell’ottavo congresso del Partito dei lavoratori romeno il DELEGATO ALBANESE si espresse favorevolmente alle posizioni cinesi e contro quelle sovietiche. Hoxha rifiutò di recarsi al Cremlino, ma la misura era colma = il leader albanese alla Conferenza dei partiti comunisti (ben 81) tenuta a Mosca nel novembre 1960, pronunciò un intervento di APERTA CRITICA a Chruščëv e ai suoi collaboratori; il leader sovietico rispose con pari franca ostilità nell’ottobre 1961 al XXII° Congresso del PCUS, quello della seconda destalinizzazione. Seguì la rottura delle RELAZIONI DIPLOMATICHE tra Unione Sovietica e Albania, fatto non avvenuto neppure con la Jugoslavia nel 1948: tra le vittime di quella rottura i coniugi sovietici di cittadini albanesi: furono inquisiti come spie e fu imposta più di una separazione. La BASE di Valona fu evacuata dai sovietici, ma restano dubbi sul perché Chruščëv non abbia operato all’interno del Partito del lavoro per ROVESCIARE Hoxha, ma forse non era più tempo di operazioni simili nel contesto internazionale dell’epoca, con ALTRE PRIORITA’ per il Cremlino, mentre l’opzione militare era davvero improbabile. Rispetto al blocco sovietico Tirana attuò l’ultimo strappo nel 1968, quando decise l’USCITA dal Patto di Varsavia in seguito all’invasione della Cecoslovacchia a opera delle truppe del Patto: naturalmente non si trattava di simpatie ideologiche per il riformismo dubcekiano, ma del rifiuto della teoria della SOVRANITA’ LIMITATA espressa da quell’atto militare e poi esplicitata da Brežnev. All’AIUTO economico e agli esperti sovietici subentrarono uomini e merci provenienti da PECHINO: non poteva essere diversamente poiché gli Stati comunisti europei si erano schierati con Mosca contro Tirana e l’ISOLAMENTO dell’Albania si fece veramente preoccupante. Nelle scuole si continuò tuttavia a studiare il RUSSO poiché i manuali delle materie tecniche erano scritti in tale lingua, la popolazione albanese, convinta o costretta a seguire la scelta temeraria della sua leadership, la pagò a caro prezzo in termini di CONDIZIONI di VITA quotidiana. La rimozione di Nikita Chruščëv dalla segreteria del PCUS non fu sufficiente a ripristinare i rapporti, così come non bastò per riappacificare Mosca e Pechino. Questo fatto conferma che le scelte di Hoxha erano dettate non solo da MOTIVAZIONI IDEOLOGICHE, ma erano anche attinenti alla SITUAZIONE del proprio Paese. 3) L’Albania dell’UOMO NUOVO e la FINE del REGIME COMUNISTA (1978- 92). Nonostante l’identificazione tra Albania e Cina da parte della SINISTRA EUROPEA, la rivoluzione culturale di stampo cinese non era adatta probabilmente al popolo albanese e in Cina aveva coinciso con una lotta per il potere, che in terra albanese non ebbe luogo. Inoltre, i PROBLEMI dei due paesi erano diversi e tutto ciò spiega perché sia durata poco la consonanza. Il gruppo dirigente albanese fece credere di avere realizzato un ‘UOMO NUOVO’ → la rivoluzione culturale che attuò non fu di poco: il VELO non si vide più o quasi sui volti delle donne musulmane e il CODICE CONSUETUDINARIO di origine medievale non ebbe più applicazione. Una delibera del CC abolì l’uso dell’ABITO BIANCO per le spose, riuscì a impedire la tradizionale VENDETTA di SANGUE, mentre si volle istituzionalizzare un altro uso l’IMPEGNO d’ONORE, considerato elemento qualificante della civiltà schipetara, ma in verità funzionale alla tranquillità sociale → KANUN come regole sociali smontato. Fu introdotto l’obbligo di un’esperienza di LAVORO MANUALE per gli studenti, ma anche gli scrittori e gli artisti avrebbero dovuto trarre ispirazione da concrete ESPERIENZE LAVORATIVE per poter generare una letteratura e un’arte radicate nel popolo. I LAVORATORI, secondo l’immagine del regime, ebbero modo di discutere alcuni aspetti dell’impegno produttivo loro richiesto dalla politica economica pianificata → spesso si trattava di attività agricole, gli addetti del settore potessero fare valere attraverso il Fronte democratico qualche osservazione di carattere TECNICO o QUANTITATIVO di fronte agli esperti governativi. → Una SUMMA delle LINEE del sistema politico, sociale ed economico vigente in Albania fu la Costituzione entrata in vigore nel 1976. Le trasformazioni rispettarono un LIMITE: il regime gestì l’ESODO RURALE, forse più per necessità (cioè per assenza di serie alternative di lavoro nel settore industriale o dei servizi) che per volontà politica. Tale giudizio non è in contraddizione con i dati della crescita delle ATTIVITA’ PRODUTTIVE: frutto naturale di una base di partenza prossima allo zero, un quadro di un Paese che restava in coda all’intero continente europeo per PIL e REDDITO PRO CAPITE → il proseguimento di una rapida industrializzazione si dimostrò difficile e la diffusione di beni di consumo durevoli, come la televisione, fu lenta a causa del loro alto costo. Dal 1957 Tirana fu dotata dell’UNIVERSITA’, nei villaggi furono impiantati CENTRI di CULTURA e si lanciò il festival di MUSICA FOLKLORISTICA. Erano i luoghi di RIFERIMENTO di una nuova generazione di intellettuali tutta NAZIONALE, dopo quella che aveva studiato in Occidente e una seconda che aveva studiato in URSS. Negli anni ‘60 furono avviate le TRASMISSIONI TELEVISIVE, mentre si faceva di tutto per disturbare il SEGNALE radio e televisivo che giungeva d’oltre frontiera. Il regime continuava a dettare le REGOLE a scrittori e artisti, ma segnali inquietanti giunsero dall’ESPOSIZIONE d’ARTE del ’71 e ’72. Il RIAVVICINAMENTO tra Cina e Stati Uniti d’America negli anni ‘70 diede avvio a una fase tripolare della politica internazionale, facendo passare in secondo piano la sfida di Pechino a Mosca e l’interesse per l’Albania. A Tirana poi non piacque la RICONCILIAZIONE tra Tito e Mao. La scomparsa del ‘grande timoniere’ nel 1976 aprì la strada a un nuovo CORSO RIFORMISTA di Xiaoping, che i dirigenti albanesi considerarono contrario ai propri principi politici. Essi RIFIUTARONO sia le riforme interne cinesi sia le aperture verso il mondo occidentale e l’attenuazione delle polemiche ideologiche con Mosca. Peraltro, il partito dal 1966, attuò una ulteriore rivoluzione del partito e del potere, attaccando il BUROCRATISMO e riducendo i SALARI dei funzionari di grado elevato, mentre permaneva l’obbligo di periodi di lavoro manuale per studenti e intellettuali. Pechino ritirò i suoi esperti dal 1978 e non fornì più aiuti economici, essi comunque cozzavano con la concezione nazionale che Hoxha aveva elaborato del marxismo-leninismo: egli era geloso della SOVRANITA’ NAZIONALE e NO COMPROMESSI riguardo alle prerogative esclusive del partito albanese. La sconfitta militare influenzò la politica interna: si susseguirono diversi governi di vario colore e continui colpi di Stato militari, costringendo due volte la monarchia ad abdicare per instaurare repubbliche; Re COSTANTINO tornato dall’esilio nel 1917 grazie a un referendum, nel 1923 il successore Re GIORGIO II dovette lasciare il paese, vedendo la repubblica ricevere il 70% dei favori, come voto voluto dagli ambienti militari che sostenevano i liberali. → A causa della dittatura del generale PANGALOS tra il 1925-26, la nuova COSTITUZIONE entrò in vigore nel ’27, ma il nuovo sistema parlamentare bicamerale, venne sospeso dall’esecutivo di VENIZELOS (liberale) tra il 1928 e il ’32, misura che garantì stabilità politica. Nel frattempo, il paese sviluppò una propria economia agricola con piccoli e medi agricoltori, nonostante ciò, continuò a dipendere soprattutto dall’ATTIVITA’ MERCANTILE via mare, mentre lo sviluppo industriale non decollò, oltre a subire gli effetti della crisi del ’29. Alle elezioni i LIBERALI e i POPOLARI CONSERVATORI di TSALDARIS ottennero un sostanziale pareggio, conducendo a nuove elezioni nel 1933 che videro i popolari ottenere una ampia maggioranza alla Camera bassa, ma non al senato. Il fallito tentativo di colpo di stato da parte dei militari, però indebolì l’esecutivo, che vide tentare un attentato al leader popolare. L’ascesa dei sostenitori MONARCHICI vide nel ’35 tentare da parte degli ufficiali repubblicani un nuovo colpo di stato, che fallì e portò a una generale epurazione dei quadri, vedendo diversi ufficiali fuggire in Francia. Nonostante l’ampia vittoria dei popolari di Tsaldaris e la sua promessa di indire un nuovo referendum istituzionale, venne costretto a cedere l’esecutivo al generale KONDYLIS, ex repubblicano convertito alla monarchia, che proclamò il ritorno dell’ISTITUTO MONARCHICO con Re GIORGIO. → convinto che si dovesse riconciliare il paese, nominò alla guida dell’esecutivo il civile DEMERTZIS per condurre a nuove elezioni nel 1936 con il rinnovato sistema proporzionale: il nuovo equilibrio tra le due formazioni maggiori, però prevalere il Fronte Popolare egemonizzato dal PARTITO COMUNISTA. Le trattative tra Tsaldaris e SOFULIS (erede della guida dei liberali) non condussero a nulla e videro gli ambienti militari e la corte cercare una soluzione forte, venuti meno tutta una serie di esperti politici ellenici, dando la guida dell’esecutivo al generale METAXAS capo di una piccola formazione di destra: sospese per alcuni mesi l’ATTIVITA’ PARLAMENTARE e affidò la funzione legislativa a una ristretta COMMISSIONE. A metà 1936 si instaurò un REGIME AUTORITARIO, con la sospensione di alcuni articoli della costituzione, inseguito allo stallo politico, scioperi sindacali e manifestazioni dei comunisti, portando allo scioglimento del Parlamento. Un regime ispirato a quello italiano e quello tedesco, che portò a parlare anche di TERZA CIVILTA’ ELLENICA, tuttavia dovette seguire forti politiche di repressione data la poca popolarità del regime, domando tentativi di rovesciarlo come con l’insurrezione di Creta. In realtà oltre a riferimenti corporativi e di atteggiamento il regime non si sbilanciò troppo sulla politica COMMERCIALE ed ESTERA verso Berlino e Roma: mantenendo dei rapporti benevoli verso LONDRA, che nel ’39 condusse alla neutralità. L’aggressione italiana del 1940 condusse alla sconfitta solo nel ’41 con l’arrivo delle forze tedesche dalla Jugoslavia e Bulgaria a cui nemmeno i reparti inglesi riuscirono a far fronte: sul versante albanese l’esercito greco riorganizzato riuscì ad ottenere diversi successi; La morte del dittatore Metaxas avvenuta ad inizio ’41, che portò alla nomina di KORIZIS, condusse al suo suicidio due giorni prima la firma della RESA firmata dal generale TSOLAKOGLU, senza aver ottenuto l’avvallo dal governo. Questo generale poi costituì un governo fantoccio, sotto un controllo italo-germanico-bulgaro, mentre il governo ufficiale di TSUDEROS e il RE furono trasferiti al Cairo sotto protezione inglese e la RESISTENZA cominciò a farsi sentire seppur divisa: o La più forte fu quella rappresentata dal FRONTE di LIBERAZIONE NAZIONALE guidato dal Partito Comunista, che fu capace di creare un esercito popolare greco; o UNIONE NAZIONALE GRECA DEMOCRATICA più moderata e che successivamente ebbe un ruolo nella politica post-bellica; Il movimento partigiano si fece ancora più forza con l’uscita dalla guerra dell’Italia nel 1943, permettendo nel ’44 il ritorno delle truppe britanniche e l’instaurarsi di un nuovo governo nonostante i fragili equilibri tra le diverse formazioni: il governo del leader liberale e repubblicano PLASTIRAS, riuscì a ottenere un ACCORDO che permise di rinviare il confronto tra le diverse formazioni a fine della guerra. Nel 1946 le elezioni politiche boicottate dai comunisti e un referendum istituzionale che vide il ritorno di Re GIORGIO, riaprì la GUERRA CIVILE avviatesi già durante la guerra: l’esercito DEMOCRATICO ELLENICO guidato dal comandante VAPHIADIS con aiuti da oltre frontiera e il segretario del PC ZACHARIADIS (1931-56) con componenti anche slave, cominciò ad operare nelle zone montane e del Peloponneso, fino al 1949, opponendosi alle UNITA’ GOVERNATIVE sostenute da inglesi e statunitensi. I ribelli alla fine furono sconfitti anche per il venir meno degli aiuti jugoslavi, inseguito alla rottura tra Tito e Stalin, alcuni di loro espatriarono al seguito dell’esercito ribelle fino in Uzbekistan, mentre altri venne internati, con condanne che si prolungarono fino ad inizio anni ’50. Gli Stati Uniti si sostituirono all’influenza britannica e proclamarono la necessità di impegnarsi in Turchia e Grecia per contenere l’espansione sovietica, che evitò al paese ellenico la vicinanza a Mosca e l’esperienza di governi comunisti; nel 1947 PAOLO I sostituì il fratello Giorgio al trono del paese. 2) FUORI dal BLOCCO: la Grecia nel SECONDO NOVECENTO. In Grecia l’intervento britannico e poi quello americano, nonché la GUERRA CIVILE tra governo di centrodestra e comunisti (1945-49) avevano impedito che i successi di Stalin giungessero fino al mar Ionio. I COSTI UMANI del conflitto mondiale e soprattutto di quello civile non furono bassi e il Paese restò segnato a lungo: mentre la sinistra comunista continuò a essere FUORI LEGGE (lo era dai tempi di Metaxàs e una legge del 1947 lo aveva ribadito), la ripristinata DEMOCRAZIA sembrò essere piena di difficoltà quasi come nell’anteguerra e il ruolo della corte continuò a essere rilevante. Per dare maggiore stabilità al sistema politico fu necessario rimettere mano sia alla COSTITUZIONE sia alla legge elettorale, abbandonando il voto proporzionale per il MAGGIORITARIO: grazie ad esso emerse la figura di un De Gaulle greco: nel 1952 il maresciallo ALEXANDROS PAPAGOS (1952-55), già comandante in capo dell’esercito sia nel 1940 sia nella guerra civile contro gli insorti comunisti, fu nominato PRIMO MINISTRO, dopo aver ottenuto con il Raggruppamento greco da lui fondato un ottimo successo elettorale: 49% dei voti e i 4/5 dei seggi parlamentari. Alla morte gli successe Konstantinos KARAMANLIS (1955-63) sostenuto dall’ Unione nazionale radicale (ERE, erede del Raggruppamento greco), il quale restò per otto anni consecutivi al governo finché si ritirò volontariamente in Francia: tale stabilità fu frutto di interventi sulla legge elettorale; peraltro, i suffragi dell’ERE restarono sopra il 40%, nonostante una SCISSIONE, non senza polemiche sulla regolarità delle elezioni. In seno all’opposizione riguadagnò consensi la SINISTRA DEMOCRATICA UNITA (EDA), sia pure con alti e bassi; Karamanlis, entrato in CONFLITTO con la corte e il re Paolo, aveva accettato di tornare a votare con il PROPORZIONALE sotto il controllo di un GOVERNO NEUTRALE e inevitabilmente si tornò a un quadro politico non facile da governare. Visti gli eventi negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, fu del tutto naturale un allineamento di Atene alla politica internazionale degli USA e nel 1952, l’ingresso nella NATO, organizzazione alla quale aderì anche la Turchia che con lo Stato ellenico aveva un contenzioso per il momento silente. Parallelamente vi fu la sigla da parte del governo ellenico nel 1953 del PATTO BALCANICO – senza particolare efficacia – con la Turchia e la Jugoslavia comunista, con il sostanziale beneplacito di Washington. La questione principale in politica estera riguardò CIPRO dove forte era la tendenza a unirsi alla Grecia, contro la volontà di Londra e di Ankara. Il governo ellenico, dopo varie vicende, dovette accettare che Cipro acquisisse l’indipendenza in seno al Commonwealth, sulla base di una Costituzione che garantisse ambedue le comunità dell’isola, quella greca maggioritaria e quella turca minoritaria. Il venir meno della relativa stabilità politica durata alcuni anni, preparò e alla lunga sfociò in una DITTATURA MILITARE (1967-73): il nuovo giovane RE COSTANTINO II in carica dal 1964, entrò in conflitto istituzionale con PAPANDREOU, leader dell’UNIONE di CENTRO, che nel 1963 aveva ottenuto una maggioranza solo relativa e dopo nuove elezioni anticipate, un sostegno molto più largo nel 1964. Il nuovo esecutivo avviò una politica sufficientemente INNOVATICA, ma da una parte esplose nuovamente la QUESTIONE CIPRIOTA, dall’altra lo SCONTRO istituzionale finì per toccare un campo molto delicato e caro alla dinastia: le NOMINE ai vertici militari con uno scontro tra Primo Ministro e Ministro della Difesa si risolse nel 1965 con le dimissioni di Papandreou, il cui figlio era coinvolto in un’inchiesta su un supposto tentativo di colpo di Stato di sinistra. Seguì la nomina di un governo costituito da elementi dell’Unione di centro sostenuti dall’ERE con un GOVERNO TECNICO con il compito di gestire le elezioni previste per il 1967; caduto anche questo per le polemiche legate al processo, fu incaricato dal sovrano il leader dell’ERE KANELLOPUOLOS. Il 21 aprile un colpo di Stato militare organizzato da alti ufficiali, tra i quali emerse la figura del colonnello PAPADOPOULOS (1967-73), impedì di trovare una soluzione politica attraverso le elezioni e non consentì all’Unione di Centro di tornare eventualmente al governo per proseguire nella politica di riforme, sollecitate dal voto popolare, e avviare una politica estera meno allineata sulle posizioni statunitensi. Diecimila furono gli ARRESTATI, incluso il premier → il re Costantino partì per l’ESTERO dopo aver pensato di riassumere le redini del paese attraverso i MILITARI FEDELI. La Grecia subì per alcuni anni un ISOLAMENTO internazionale che non sfociò nell’espulsione dalla NATO né da altri importanti organismi internazionali: Washington non poteva rinunciare a buone relazioni con la Grecia. Ricorrendo a un REFERENDUM il regime militare si sbarazzò dell’ISTITUTO MONARCHICO: Papadopoulos da capo del governo si trasformò in PRESIDENTE della Repubblica dopo un referendum in cui ottenne il 78% di voti favorevoli a un regime presidenzialista e alla sua candidatura, unica. Fu nominato un GOVERNO CIVILE con il Partito progressista perché fossero indette le ELEZIONI, ma bastò questa apertura perché la PROTESTA STUDENTESCA riprendesse con l’occupazione del Politecnico di Atene: dopo la cruenta repressione (alcune decine di morti) un pronunciamento militare nel novembre 1973 DEPOSE Papadopoulos a favore del generale che nominò un nuovo governo civile. Maggiori e decisive novità giunsero dall’estero →si apriva un CONTENZIOSO con la Turchia per il controllo del deposito petrolifero scoperto in una isola da Atene e si diede sostegno a un COLPO DI STATO che depose a CIPRO il presidente. L’avventato tentativo di risolvere la disputa per l’isola già possedimento inglese imponendo un effimero presidente (Nikos Sampson) favorevole allo Stato ellenico si rivelò un atto CONTROPRODUCENTE poiché il governo di Ankara reagì occupando militarmente parte dell’isola e facendovi proclamare una Repubblica turca indipendente. → Grecia e Turchia si MOBILITARONO, ma importanti comandanti militari RIFIUTARONO di marciare oltre la frontiera e costrinsero GHIZIKIS a RESTAURARE il regime democratico, invitando a tornare in patria il leader moderato KARAMANLIS (1974-80) che guidò la TRANSIZIONE alla democrazia. La tensione tra Grecia e Turchia, che costituiva un serio problema per la NATO, ma andò scemando lentamente ma: Cipro DIVISA in due fu luogo di scontri armati ancora per settimane, nessun accordo si ebbe per lo sfruttamento della piattaforma continentale nell’Egeo. In quei primi trent’anni di dopoguerra la Grecia subì TRASFORMAZIONI di notevole significato: dal 1949 riprese il flusso MIGRATORIO: per motivi economici (ma a volte anche politici) tra il 1950 e il 1977, una sorta di diaspora ellenica nel mondo. Paese non fortemente INDUSTRIALIZZATO (ancora oggi maggior paese UE per occupazione nell’AGRICOLTURA), la Grecia conobbe tuttavia un certo sviluppo nel settore secondario negli anni Cinquanta e Sessanta, grazie anche alle buone condizioni degli INVESTITORI ESTERI sul piano fiscale e per quanto riguardava la politica del LAVORO e SINDACALE: tale ascesa toccò il punto più alto nel 1981→ dopo quella data l’economia subì un netto e progressivo processo di TERZIARIZZAZIONE. 3) Dalla RIPRESA DEMOCRATICA alla CRISI ECONOMICA. La caduta del regime portò a un REGIME di ALTERNANZA tra il partito SOCIALISTA di PAPANDREOU (primo ministro 1981-89 e 1993-96) e SIMITIS (pm 1996-2004), e la DEMOCRATICA DESTRA guidata da KARAMANLIS (pm. 1974-80 e presidente 1980-85 e 1990-95) che condusse alla scelta della REPUBBLICA e l’entrata nel 1981 nella CEE mentre nel 2002 il governo socialista la introdusse nell’EURO. → una scelta azzardata + olimpiadi 2004 che forzarono lavori pubblici e finanze. L’azione della dirigenza verso la contrarietà rispetto a un socialismo dal volto più umano, però non piacque nemmeno a molti simpatizzanti ed iscritti alla SED, con una dissidenza che iniziò a manifestarsi soprattutto nei CETI INTELETTUALI, che vennero aiutati dai fattori esterni nell’innescare un lento mutamento della situazione. Agli inizi degli anni ’70 avvenne la nomina a nuovo segretario della SED di HONECKER e lo stesso Ulbricht venuto meno qualche anno dopo, cedette il ruolo di presidente della Repubblica a STOPH nel ‘73, seguito nel ’76 da Honecker che accumulò i due ruoli fino al 1989. A capo di governo dopo il ventennio di Grotewohl 1949-64, successe Stoph fino al 1973, seguito da SINDERMANN tra il ’73 e il ’76 e infine nuovamente Stoph fino al 1989. Importanti cambiamenti avvennero anche sulla questione tedesca, mentre Bonn avviò la Ostpolitik e significativi trattati con Mosca e Varsavia, nel 1971 le potenze vincitrici firmarono un accordo sullo status di Berlino → nel 1972 i due stati tedeschi fecero venir meno i rispettivi veti in sede ONU, riconoscendo di fatto i rispettivi confini e la carta geopolitica europea. Nel 1975 si giunse agli ACCORDI di HELSINKI per la sicurezza europea, attraverso l’accettazione dello status quo del continente e della DDR stessa, anche se quest’ultima risultò solo un elemento di fatto che poi subì ciò che accadde con il 1989. I cambiamenti indussero la DDR ad avviare una serie di LIBERALIZZAZIONI, con privatizzazioni delle attività economiche minori, la possibilità di captare programmi televisivi e radiofonici della Germania occidentale, ma si mancò della possibilità di portare il paese verso un socialismo democratico. 2) Le GERMANIA DEMOCRATICA: dalla STABILIZZAZIONE alla CADUTA del muro. La stabilizzazione degli anni Sessanta consentì alla DDR di divenire progressivamente il Paese del blocco comunista con la migliore economia in termini di produzione e di reddito pro capite → il regime però non dava spazio alcuno al dissenso o a una significativa liberalizzazione. Dietro l’apparente solidità e ai successi sia reali sia di immagine, permanevano elementi strutturali di debolezza, soprattutto nel confronto con la condizione della Germania federale del miracolo economico: la produttività del sistema economico orientale nel 1989 raggiungeva appena il 46% di quella del sistema tedesco occidentale. → il BENESSERE e la LIBERTA’ di cui godevano i cittadini della RFT continuavano ad essere oggetto del desiderio per i tedeschi dell’Est: il successo della OSTPOLITIK di Bonn non era poi un elemento trascurabile. Le autorità della DDR e l’opinione pubblica sentivano la necessità di trovare una FONDATA GIUSTIFICAZIONE dell’esistenza stessa dello Stato tedesco orientale: si avvertiva insomma la mancanza di una IDENTITA’ nazionale. Forse non fu del tutto vano, ma comunque insufficiente il tentativo di CREARE un SENTIMENTO patriottico tra i cittadini: ma fu difficile negare che una era la Germania, dopo cento anni dall’unificazione realizzata da Bismarck. L’ideologia comunista non poteva da sola supplire a tale carenza di identità, se nel blocco sovietico era ormai prevalsa la linea delle vie nazionali al socialismo, invece di uno stretto e ortodosso internazionalismo. Non mancavano CONTRADDIZIONI riguardanti proprio il mondo del lavoro: - L’ORARIO SETTIMANALE lavorativo era di 44 ore, più che in Occidente. - L’inserimento completo delle DONNE nel sistema produttivo era considerato un successo, ma aveva effetti negativi sulle famiglie → i BAMBINI vivevano larga parte della loro giornata lontano dai genitori, negli asili pubblici realizzati dallo Stato o dalle singole aziende. - Dal 1972 era stato reso lecito l’ABORTO, ma il Paese viveva il problema della SCARSA CRESCITA demografica nonostante non vi fosse più il massiccio esodo verso Occidente. La diffusione dell’AUTOMOBILE ECONOMICA, la libertà della pratica NUDISMO in luoghi riservati, le garanzie del WELFARE erano tutti elementi che andavano in tutt’altro segno, ma non erano sufficienti per mettere in sicurezza il sistema nella PERCEZIONE dell’OPINIONE pubblica. Il gruppo dirigente optò decisamente per favorire il PIENO RICONOSCIMENTO dello Stato tedesco orientale, attraverso il dialogo con tutti gli interlocutori possibili e con la stessa Germania Ovest, sfruttando le fasi della distensione internazionale. I Tedeschi dell’Est non rinunciarono mai ai MERCATI TRADIZIONALI dell’area comunista (Cina popolare inclusa, cui la DDR si riavvicinò nel 1985), ma cercarono al contempo NUOVI SBOCCHI commerciali per le proprie notevoli capacità produttive. Parallelamente a tale politica di apertura ufficiale, anche la società tedesca orientale cercò di rapportarsi alle altre società attraverso il veicolo della cultura, dell’arte, della musica popolare, dello sport (settori in cui il regime aveva impegnato notevoli energie) che contribuirono a indebolire le radici del regime. All’inizio dell’era Gorbačëv il segretario della SED HONECKER (1971-1989) accentuò i segnali di DISTENSIONE verso Bonn e diede ai suoi discorsi un marcato carattere NAZIONALE → poté vantare il rientro in patria di larga parte dei Tedeschi orientali EMIGRATI, un fenomeno (tutto da analizzare) che sembrava dimostrare non essere la Germania federale il paradiso che molti credevano. Nel 1985 svolse la prima visita di un leader della DDR in un Paese della NATO, l’ITALIA, recandosi anche in Vaticano rilasciando dichiarazioni molto CONCILIANTI se si pensa all’atteggiamento precedente del regime verso la religione. Insomma, il nuovo corso prevalso al Cremlino sembrava non essere distante dalla linea politica di Berlino Est; parve esserci anche un RICAMBIO DIRIGENZIALE: Gorbačëv nell’aprile 1986 presenziò all’XI congresso della SED esprimendo ammirazione per i successi economici conseguiti dalla DDR e fiducia in Honecker, certo che avrebbe fatto proprie la perestrojka e la glasnost’, Honecker affermò di avere in parte anticipato il nuovo corso gorbacioviano, che peraltro non considerava adatto al peculiare sviluppo della Germania Est. Al vertice del Patto di Varsavia che si tenne proprio a Berlino Est nel maggio seguente il DISACCORDO si fece del tutto evidente: tenere a freno la CONTESTAZIONE INTERNA in assenza del tradizionale appoggio sovietico non era facile. A partire dall’autunno 1987 la Chiesa evangelica sostenne forme più esplicite di dissenso, cioè delle vere manifestazioni pacifiste e religiose, furono fatti i primi timidi tentativi di stampa libera che avanzavano richieste di RIFORME, alle quali nel 1988 il regime reagì con ARRESTI. Nonostante la tendenza economica positiva, molti tedeschi orientali ripresero la via dell’ESTERO: normali viaggi di turismo si trasformarono in vere fughe; quando si aggiunse una seria CRISI ECONOMICA non si trovò di meglio che chiedere l’aiuto del governo tedesco federale. → Già il 16 settembre 1989 «The Economist» diede una celebre definizione della Germania Est in piena agonia: per il giornale britannico la sigla inglese GDR (German Democratic Republic) andava letta «Gradually Disappearing Republic». Seguirono in ottobre MANIFESTAZIONI e PROTESTE a Dresda, Lipsia, Magdeburgo, in genere PACIFICHE, cui le autorità risposero con la repressione: esse avvennero anche a BERLINO, quando vi si stava celebrando il quarantennale della fondazione della DDR alla presenza dei capi degli Stati comunisti e di Gorbačëv, il quale ebbe modo di proporre nuovamente il suo programma di riforme → l’8 ottobre venne rifondato il PARTITO SOCIALDEMOCRATICO. Dopo che a lungo si era parlato sottovoce di sostituire Honecker, Egon KRENZ ne prese il posto quale SEGRETARIO: gli organi dirigenti della SED espressero la disponibilità a dialogare con la nascente OPPOSIZIONE, mettendo da parte l’uso della forza contro i dimostranti come era avvenuto in Cina a piazza Tienanmen → era ormai impossibile governare la situazione che si era creata nel Paese. Appena un mese dopo il GOVERNO e l’intero POLITBURO si dimisero e alla guida dell’esecutivo fu posto il riformista Hans MODROW, già sindaco di Dresda, che cooptò anche elementi provenienti dalla società civile. Peraltro, già da settembre si tenevano le riunioni della RUNDER TISCH (Tavola rotonda) in cui erano ampiamente rappresentati sette MOVIMENTI da poco costituitisi e cinque FORMAZIONI POLITICHE presenti in parlamento → preparò un progetto di COSTITUZIONE di ispirazione occidentale ma pensato per una DDR ancora vitale, se pure con una prospettiva che contemplava l’UNIFICAZIONE di tutti i Tedeschi nell’ambito dell’Unione Europea. Una INCERTA INDICAZIONE del nuovo governo riguardante la libertà di oltrepassare il Muro fu la premessa per l’evento simbolo della CADUTA non solo del regime tedesco orientale, ma anche degli altri regimi comunisti. Il 9 novembre – in assenza di chiare DISPOSIZIONI e dopo una DICHIARAZIONE del portavoce del governo che sembrava autorizzare il passaggio della frontiera cittadina – decine di migliaia di persone iniziarono a praticare alcune brecce nel Muro per facilitare il transito. L’entusiasmo si coniugava con le speranze, ma era stato scritto già alcuni anni prima che «demolire il Muro nella testa durerà più a lungo di quanto necessiti qualsiasi impresa di demolizione per il Muro visibile». Sebbene il REGIME COMUNISTA non fosse smantellato e dunque la WENDE (svolta) non fosse ancora compiuta, era inevitabile che si cominciasse a parlare di RIUNIFICAZIONE, un concetto che trovava CRITICHE sia a Est sia a Ovest. Il cancelliere federale Helmut KOHL ne parlò apertamente nella visita a Berlino del 19 novembre, sia pure non definendo i tempi per unificare i due Stati tedeschi: egli recava al suo omologo MODROW i ‘DIECI PUNTI’ approvati a maggioranza nel parlamento tedesco occidentale, che miravano a una RIUNFICAZIONE per TAPPE e nel contesto di un nuovo ordinamento europeo, garanzia di pace → era necessario convincere Washington, Parigi e, soprattutto, Londra e Mosca. In dicembre nella SED ci fu una vera RIVOLUZIONE: Honecker e altri dirigenti furono ESPULSI dal partito, alcuni furono ARRESTATI con l’accusa di corruzione, Krenz si dimise e con lui tutti i componenti dell’Ufficio politico e del Comitato centrale, furono sciolte le milizie operaie. Il 12 dicembre alla segreteria fu eletto il riformista Gregor GYSI il quale attuò il ripristino del PLURALISMO politico: si ricorderà che un pluralismo di FACCIATA esisteva da sempre e ora ci fu solo bisogno che i partiti, come la locale Democrazia cristiana (CDU), smettessero di fungere da semplici fiancheggiatori e si proponessero come alternativi ; il FRONTE NAZIONALE venne sciolto, restituendo credibilità alle consultazioni elettorali. Il 18 marzo 1990 si svolsero le ELEZIONI POLITICHE nelle quali vinse ampiamente (48,1% di voti) l’ALLIANZ FUR DEUTSCHLAND, composta da CDU e altre formazioni nelle cui file militava Angela MERKEL, in seguito cancelliere della Germania unificata. → Era FALLITO così il tentativo di RIFORMARE il regime, rendendolo più democratico e vera espressione della società, senza accettare integralmente il modello socioeconomico occidentale. La SED, con il nuovo nome di Partito del socialismo democratico (PDS), restò fuori dal nuovo esecutivo e fu l’unico partito a votare contro la DISSOLUZIONE della DDR in vista dell’unificazione. Il 15 maggio fu siglato un trattato tra le due Germanie per l’unificazione ECONOMICA-MONETARIA, mentre a settembre 1990 venne firmato il trattato di pace da parte delle ex potenze vincitrici, sanando un’anomalia che durava dalla Seconda Guerra Mondiale. → Dopo tale atto di grande rilevanza internazionale l’UNIFICAZIONE UFFICIALE fu sancita nell’ottobre 1990. L’unificazione, per le dimensioni dei due Stati tedeschi, sembrò essere una ANNESSIONE, ma non poteva essere differentemente, dall’ottobre 1990 i cinque LANDER orientali si integrarono nella struttura federale della Germania Ovest. Il problema non fu l’INTEGRAZIONE territoriale e amministrativa, bensì la necessità di fronteggiare un COSTO economico e sociale elevatissimo: si registrarono i primi SCIPERI dopo molti anni per ottenere PARITA’ di salario con i lavoratori dei Länder occidentali, oltre alla certezza del POSTO di lavoro.
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