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Riassunto L. Cavaglieri, Il sistema teatrale. Breve storia dell'organizzazione, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Riassunto L. Cavaglieri, Il sistema teatrale. Breve storia dell'organizzazione, dell'economia e delle politiche del teatro, 2021. Corso di Organizzazione e Gestione teatrale, UNIGE, a.a. 2021/2022

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 18/12/2021

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Scarica Riassunto L. Cavaglieri, Il sistema teatrale. Breve storia dell'organizzazione e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! 1 Organizzazione e Gestione Teatrale, 9 CFU. Manuale Base L. Cavaglieri, I/ sistema teatrale. Breve storia dell'organizzazione, dell'economia e delle politiche del teatro in Italia. CAP.l Concetti chiave: *La Filiera teatrale: la realizzazione di uno spettacolo e la sua presentazione al pubblico avvengono, in genere, attraverso una filiera che, possiamo scomporre in 3 attività fondamentali: /a produzione, la distribuzione e l’esercizio. La Produzione racchiude il cuore creativo del lavoro teatrale e riguarda la trasformazione di un’idea in qualcosa di compiuto e concreto, grazie alla combinazione di risorse umane, tecniche ed economiche. I metodi di produzione si differenziano molto a seconda delle epoche. La Distribuzione permette che uno spettacolo sia venduto e diffuso nei contesti che lo possono programmare. Essa rende possibile l’incontro tra produzione ed esercizio. L’Esercizio tocca la gestione di spazi teatrali e non: permette che si realizzi il momento in cui lo spettatore assiste allo spettacolo. + a queste 3 attività va accostata la Promozione: intesa in senso ampio, comprende tutte le iniziative che mirano alla diffusione del teatro e della cultura teatrale (la critica, la saggistica, la formazione professionale, i concorsi. .). Le attività di produzione ed esercizio sono state per secoli svolte da entità diverse: solo a partire dalla seconda metà del ‘900 si è consolidata l’idea della stabilità produttiva. *Lo squilibrio economico: William Baumol e William Bowen, due economisti statunitensi, hanno dimostrato che le caratteristiche intrinseche del processo produttivo dello spettacolo dal vivo sono tali da determinare nel tempo un aumento costante dei costi di produzione e una correlata diminuzione dei ricavi. Con la famosa teoria del Cost disease, i due studiosi hanno spiegato come ciò dipenda dalla natura artigianale del ciclo produttivo. Nelle performing arts, il ricavo e i salari rimangono stazionari, mentre i costi dei fattori produttivi aumentano. CAP. 2 Le basi storiche del sistema italiano *Il teatro in senso Moderno: Il sistema teatrale italiano acquisi un profilo nazionale, secoli prima del raggiungimento dell’unità politica del Paese, e si espanse aldilà delle Alpi. Quando si parla di nascita o invenzione del Teatro Moderno, non ci si riferisce ad una evoluzione delle forme di teatro preesistenti, ma a un vero e proprio salto qualitativo: lo spettacolo si sganciò dalla “festività” che aveva caratterizzato il teatro antico, per affermarsi come produzione simbolica indipendente dai poteri religiosi, politici ed economici. Gradualmente si impose la normalità del teatro, grazie al quale lo spettacolo è considerato un fenomeno consuetudinario per un pubblico pagante. *La vendita dello spettacolo: il primo motore fu la nascita del professionismo teatrale strutturato per compagnie. Strettamente collegato fu lo stabilirsi della pratica della vendita dello spettacolo su inziativa dei professionisti. Il teatro diventò industria: nel senso di attività praticata allo scopo di lucro, articolata in macrogeneri (teatro musicale, da ballo..) +come conseguenza, il teatro diventò un sistema congegnato sul ripetersi dell’andare in scena. Non solo, gli spettatori diventarono autonomi rispetto ai promotori dello spettacolo, semplicemente comprando un biglietto. *Il modello produttivo della compagnia: la compagnia teatrale moderna iniziò il suo percorso conla Commedia dell’Arte. La nascita, simbolica, è un atto notarile stipulato a Padova il 25 febbraio 1545, con il quale 8 uomini costituirono una fraternal compagnia. Il documento attesta in pratica, un’impresa privata commerciale, una società di persone che agivano in proprio assumendosi i rischi della nuova impresa. La suddivisione del guadagno era paritario, poiché le decisioni economiche venivano prese all’unanimità. Il modello di riferimento sono le preesistenti corporazioni di arti e mestieri, ma la novità sta nell’organizzarsi con un nuovo spirito borghese, una progettualità condivisa. *Le compagnie della Commedia dell’ Arte: godono di autonomia dal punto economico ed artistico. Versatili, in grado di produrre spettacoli diversi e di improvvisare e la PRIMA forma teatrale ad aprire la strada all’attrice professionista: Il primo atto notarile che attesta la presenza di una comica in compagnia è stipulato a Roma, il 10 ottobre 1564. L’ingresso delle donne ampliò le componenti espressive del teatro. / Entrata in fase involutiva nella seconda metà del ‘700, le compagnie persero di qualità e adottarono un sistema di parti e maschere a uno per ruoli, ruotando sempre attorno alla figura dell’attore principale, fino a raggiungere nel ‘800 la compagnia » capocomicale. *Le compagnie drammatiche privilegiate: sono imprese che godono di un sussidio da parte delle autorità dello Stato. Sulla onda dell’ideologia napoleonica che configurava il teatro quale mezzo educativo, le c. privilegiate segnano un incontro tra sovrani e capocomici e rappresentano le prime forme di teatro di Stato della penisola italiana. Capostipite fu la Compagnia Vicereale Italiana, ispirata al modello della Comédie-Frangaise. Controllata da Eugenio di Beauharnais, vicerè del Regno d’Italia, la troupe fu diretta da Salvatore Fabbrichesi. Attiva dal 1807-1814, fu stabile a Milano e fu impegnata nella costruzione di un repertorio nazionale in lingua italiana. Altri sovrani si impegnarono nella creazione di compagnie stabili: la Reale di Napoli al servizio dei Borboni; la Ducale Estense di Francesco IV di Modena; la Ducale di Parma, voluta da Maria Luisa d’ Austria; la Compagnia Reale Sarda, istituita da Vittorio Emanuele I. La Reale Sarda fu un esempio di riferimento per l’arte drammatica italiana. Vi recitarono i migliori attori del tempo: Carlotta Marchionni, Luigi Taddei, Adelaide Ristori../ Le compagnie stabili statali si interruppero negli anni ‘50. *Il modello distributivo delle Compagnie: il viaggio, il carattere di nomadismo: era più sicuro viaggiare in gruppo che soli. Il viaggio era l’unico strumento che poteva garantire la continuità dei ricavi. La penisola venne divisa in due grandi aree di riferimento: le regioni dell’Italia meridionale e dalla Sicilia ebbe il suo fulcro nella città di Napoli. In quella settentrionale, spiccarono per vitalità l’area padana e toscana. Qui le capitali teatrali furono: Venezia, Bologna e Milano. *L’anno teatrale e le stagioni: la circuitazione era strutturata in stagioni, scansioni interne dell’anno, che cominciava con la Quaresima e terminava l’ultimo giorno di Camevale dell’anno successivo. L’anno teatrale verrà perfezionato nei secoli con l’estendersi delle stagioni. *L’Esercizio teatrale: Il grande successo del teatro musicale nel 1630 per oltre due secoli, stimolò la creazione di un’infrastruttura teatrale: la sala barocca. Essa delineava al meglio la sociabilità delle classi dominanti tramite il Sistema dei palchetti: la curvatura dei palchetti permetteva la creazione di un campo di relazioni di sguardi fra gli spettatori, importante quanto lo spettacolo stesso. Nel tempo, la parte frontale degli edifici aumentò, per dedicare spazio ad ambienti “di comodo” per il pubblico (gioco d’azzardo/giochi/balli/bevute). Inizialmente i proprietari degli edifici teatrali furono famiglie aristocratiche di tradizione mercantile. I casi eccezionali di direzione diretta da parte della proprietà, la conduzione era affidata all’impresario, spesso cortigiano o membro dei cadetti delle dinastie regnanti. Solo nel ‘800 gli impresari operarono con successo: Barbaja, Lanari, Merelli. A fianco del sistema impresariale, nel ‘700 si diffusero le Gestioni Collettive Parte Prima: Era della CASSETTA 1861-1920 1861: Unificazione del Regno d’Italia. In questi anni il teatro in Italia vive in assenza di finanziamenti, e si basava sui ricavi della propria cassetta. La cassetta: era una scatola chiusa in cui erano inseriti, attraverso un intaglio nella parte superiore, i biglietti staccati agli spettatori per consentime l’accesso alla sala. La cassetta, sinonimo anche di botteghino, indica ancora oggi l’introito complessivo ottenuto dalla vendita dei biglietti. CAP. 3 L’800: il secolo del teatro *Il secolo del teatro: viene definito così 1800 perché lo spettacolo dal vivo, nella molteplicità delle sue forme e dei suoi generi, divenne il centro della vita sociale e culturale. Il teatro seppe attirare un’ampia varietà di spettatori, colti e non. Si crearono teatri istituzionali e zone dedicate all’intrattenimento commerciale: i Grands Boulevards a Parigi, il West End a Londra, Broadway a New York. Il vettore primario di questo successo fu lo sviluppo della classe media e l’aumento della sua capacità di spesa per i beni non essenziali. *Le politiche teatrali in Italia: nel 1861 cominciò un sessantennio di scarsa considerazione da parte dello Stato italiano nei confronti del teatro. L'istituto della dote era entrato in crisi in seguito alle rivoluzioni del 1848-49. Lo Stato interruppe del tutto la tradizione di sostegno ai teatri e sciolse da ogni responsabilità inerente lo spettacolo. *Libertinismo e indifferenza governativa: A prescindere dagli orientamenti politici, la maggioranza considerò i teatri un peso ingombrante a livello finanziario ed organizzativo. Tra il 1865 e 1867 il Parlamento decise di cedere ai rispettivi municipi la proprietà dei teatri demaniali e di cancellare dal bilancio statale, a partire dal ‘68, ogni forma di sovvenzione diretta ai teatri. Gli spettacoli furono considerati attività d’interesse locale. Tali decisioni furono prese a cause delle condizioni del bilancio della linea zzazione teatrale del primo ‘900 pubblico era abbondante: con attori e testi brillanti il successo era assicurato. Anche la drammaturgia d’autore fiori con Pirandello e d’ Annunzio. Sono all’inizio del ‘900 la prosa ebbe un momento delicato. Il teatro ottenne una parvenza di industrializzato con le tecniche di riproduzione dell’immagine in movimento e del suono. Ci fu anche Ja svolta manageriale: nella costruzione dell’offerta e nella formazione della domanda, emerse il prevalere di considerazione di ordine economico piuttosto che artistico. + il teatro diventa un prodotto. Le imprese teatrali subirono processi di capitalizzazione, come nel modello dell’industria. La Prima guerra Mondiale permise una maggiore accelerazione del processo: aumentarono le strategie imprenditoriali. *Controllo del mercato: emersero forze diverse, estranee alla tradizione dell’arte, che difesero nuovi valori ed interessi; i drammaturghi mirarono all’accentramento dovuto al diritto d’autore, gli organizzatori scelsero la politica delle concentrazioni aziendali e degli accordi tra concorrenti, creando cartelli definiti trust teatrali, in linea con l’industria. *Riconfigurazione dell’arena competitiva dello spettacolo: già a fine ‘800 lo spettacolo si arricchisce del teatro di varietà, per la sua versatilità (non richiedeva una visione intellettuale o rissosa). La vitalità dei nuovi generi stimolò una nuova concezione dei locali di spettacolo: aprire un locale era diventato facile e poteva essere redditizio: ci sono i caffè-concerto, sale cinematografiche, e cineteatri, e anche piccole birrerie o locali potevano ospitare un palchetto per le esibizioni. Tra questi ricordiamo 1’ Alcazar dell’impresario genovese Chiarella o il Santa Lucia a Napoli. Anche i luoghi di villeggiatura e i centri termali adottarono palchetti. *Drammaturghi e SIA: nel ‘900 emerse l’importanza strategica del diritto d’autore. Protagonista di questo momento storico fu la lotta ingaggiata dalla SIA di Marco Praga contro Adolfo Re Riccardi, l’unico agente che seppe resistere all’assorbimento del sodalizio milanese Paladino del liberismo e dell’iniziativa privata, specializzato nel repertorio francese, Riccardi offriva un servizio personalizzato di promozione e difesa degli autori e dei loro interessi. Il conflitto con la SIA si concluse nel 1919 con il definitivo acquisto del catalogo Re Riccardi da parte della SIA, che divenne così l’unico organo di tutela della proprietà intellettuale in Italia. La legge del diritto d’autore venne sottoscritta il 7 novembre 1925. *I trust teatrali: furono aggregazioni attraverso cui capocomici, organizzatori, impresari e agenti teatrali cercarono nuove strade per fare fronte alla crisi del teatro conseguente all'ampliamento e mutamento del settore dello spettacolo. Motori dei trust furono gli organizzatori che impararono ad aggregarsi e a stringere intese per concertare azioni condivise. Dapprincipio, furono ricondotte ai trust anche collusioni locali tra esercenti e proprietari di testi. Nel 19071 Chiarella tentarono di ampliare il modello di integrazione e progettarono con Re Riccardi un trust finalizzato alla concertazione della distribuzione nazionale— l’esperimento era interessante perché nasceva dall’intesa con alcuni capocomici: i Chiarella avrebbero assunto in proprietà per un triennio comico, 7 compagnie drammatiche primarie, per riunirle sotto la direzione di Re Riccardi. La società avrebbe pagato gli scritturati e avrebbe corrisposto un compenso fisso ai capocomici. La piena realizzazione del progetto fu impedita dall’ostilità degli autori, preoccupati che il repertorio della SIA potesse essere marginalizzato dalla creazione di un circuito chiuso di compagnie. Gli unici veri grandi trust che funzionarono furono le diverse Anonime costituite da Walter Mocchi: La Società teatrale Italo- Argentina, la Società teatrale Internazionale e la Teatral. Nel 1915 nacque il Consorzio dei proprietari di teatro dell’unione delle 3 più grandi aziende di drammatica, operetta e varietà: Suvini, Zerboni, Chiarella e Paradossi— essi non cercavano la collaborazione dei capocomici, ma miravano al controllo della circuizione virandola verso una commercializzazione più spinta. Inoltre, volevano modificare il contratto-tipo di affitto dei teatri a favore dell’esercizio. Il Consorzio cercò di mettere in borderò spese tradizionalmente a carico degli esercenti. *Ridefinizione della compagnia capocomicale: il modello tradizionale della compagnia capocomicale di giro rimase la norma di riferimento, ma si sperimentano anche varianti e soluzioni alternative. Nacquero compagnie specializzate in un unico genere di facile consumo, come misura di riduzione del rischio e che ridefinirono il capocomico d’attore: le compagnie impresariali, le compagnie semistabili e i drammaturghi direttori. Si assiste ad un progressivo sgretolamento dei valori della tradizione, mentre i figli d’arte si ridussero a causa della nuova mobilità sociale in uscita. *Le compagnie impresariali: nel 1897 Re Riccardi si associò a Francesco Pasta, creando la prima compagnia im. La compagnia fu confermata nel 1900 quando aggiunse il nome di Ditta Virginia Reiter. Anche Ruggero Ruggeri fu propenso a scegliere la via delle compagnie impresariali, legandosi a Paradossi nel 1909. La scissione tra proprietà della troupe e lavoro artistico fu una grande novità, protagonista fu Virgilio Talli capace di coniugare la riforma artistica con quella organizzativa. Egli fu direttore della compagnia Talli-Melato-Betrone. *Compagnie semi-stabili e drammaturghi- direttori: nei primi due decenni del ‘900, la routine del nomadismo delle compagnie rinacque piano piano, con l’aspirazione di allinearsi a modelli europei: si utilizzò il termine semistabili per indicare solo la parziale intenzione di fermarsi in un luogo. Nelle semistabili si incrociarono due esigenze: quella artistico-ideale, promossa dagli intellettuali che aspiravano per il teatro qualcosa di più dell’intrattenimento, e quella più speculativa, che contava sulla formula della stabilità per ottenere finanziamenti. Si tratta di teatri dalla durata temporale limitata: come la Casa di Goldoni al teatro Valle di Roma. *Dal mutualismo alle organizzazioni di categoria: nel 1891 Tommaso Salvini fondò la Società di Previdenza, con lo scopo di creare una solidarietà fra i lavoratori dello spettacolo e fornire assistenza reciproca in caso di malattia, vecchiaia e povertà. Da questo, nacque a sua volta nel 1902, la Lega di miglioramento fra gli artisti drammatici e d’operetta, con l’obiettivo di proteggere gli interessi degli interpreti. Capitanata da Domenico Gismano e Cesare Gittardi, la Lega fu un’organizzazione sindacale e socialista. La Lega si battè per applicare il principio della contrattazione collettiva e per arrivare ai minimi sindacali e al Contratto unico. Nel 1909 contava 1.300 aderenti. Gli ultimi a trovare una linea comune in un sodalizio di categoria furono i capocomici: fra i capocomici c’erano profonde divisioni interne, causate dalla diversità di pensiero. *Sciopeti e teatri per il popolo: nel 1919 per la prima volta nel teatro drammatico si scioperò in modo organizzato. In primavera gli scritturati delle compagnie Ruggeri e Gandusio scioperarono contro i loro capocomici per ottenere un miglioramento economico. Attraverso 1’ Associazione capocomici della Lega, ottennero un nuovo contratto e un nuovo regolamento di palcoscenico. In autunno avvenne lo sciopero più importante, contro la formazione di un’orchestra stagionale e l’aumento dei prezzi dei biglietti pianificato dalla grande azienda— la protesta fu un successo e portò alla chiusura dei 72 teatri gestiti dalla Società di Milano, Torino e Roma. Le idee del socialismo riformista stimolarono progetti di valenza pedagogica, che identificarono il teatro come strumento ideale per promuovere l’acculturazione e l’auto-emancipazione. Inaugurato a Milano dalla Società Umanitaria nel 1911, il Teatro del popolo, visse fino al 1943. Fu espressamente indirizzato alla classe operaia in particolare alle famiglie di operai qualificati. Il teatro del popolo ebbe programmazione mista e ospitò compagnie di ottimo livello a prezzi ridotti. Sul suo esempio, si diffusero altri teatri, espressivamente indirizzati alla promozione sociale e culturale della classe operaia fra cui: Teatro dell’Alleanza Cooperativa a Torino, il Circolo di studi sociali a Trieste, il Teatro del Popolo di Alessandria e quello di Roma. Parte Entro la fine della dittatura, il teatro italiano assunse un assetto strutturale molto diverso dal passato, Seconda: caratterizzato da forte dipendenza dai sussidi governativi, stretto intreccio tra iniziativa privata e Arrivano le |intervento pubblico e, dal punto di vista politico, una centralizzazione istituzionale. sovvenzioni |Tutti questi aspetti avranno una grande influenza nel teatro della seconda metà del ‘900. Con la sconfitta della Grande Guerra, nel 1921 molte compagnie iniziarono a sciogliersi, facendo 1921-1945 |scoppiare la crisi economica-organizzativa del teatro italiano. Per questo, per la prima volta fu sperimentata una soluzione nuova: i sussidi governativi. CAP. 5 *Rosadi: il primo ad istituire un piccolo finanziamento dedicato al teatro drammatico e musicale fu Gli albori Giovanni Rosadi che risiedeva a Palazzo Venezia, sottosegretario per le Antichità e le Belle arti del presso il Ministero della Pubblica amministrazione. Strategica fu l’alleanza con la SIA. *La 1° finanziamen | sovvenzione: la commissione presieduta da Rosadi decise di destinare la prima sovvenzione per il to statale teatro drammatico a un’unica compagnia, da selezionare tramite un bando di concorso essa doveva interpretare decorosamente un buon repertorio, e doveva essere composta da elementi di prim’ordine, avere una coordinazione di tipo cooperativo. Vinse la compagnia Talli-Ruggeri-Borelli. A seguito della presa del potere da parte dei fascisti, il Sottosegretario fu smantellato e il finanziamento non fu erogato per qualche anno. Questa esperienza fu importante per quanto riguarda l’aggancio del finanziamento a un indirizzo definito arte e non commercio. CAP. 6 Il ventennio fascista 2° guerra mondiale: 1939-45 Nel mondo del teatro, le scosse si sentirono immediatamente in tema di lavoro: entro il 1926 le organizzazioni sindacali di ispirazione non organica al fascismo furono eliminate. Quasi a rompere simbolicamente una tradizione teatrale di 4 secoli, nel 1928 l’inizio dell’anno teatrale fu fissato dal 1° settembre. Lo spettacolo fu portato ad una condizione di remissività attraverso la censura e un sovvenzionamento pieno di condizionamenti. *Teatro in libertà vigilata: si verificò un crollo verticale di pubblico e incassi a partire dal 1927. Molte sale teatrali furono convertite in cinema-teatri e le compagnie più piccole confinate nell’avanspettacolo prima della proiezione del film. *Il disciplinamento del lavoro: tensioni fra capocomici e proprietari. La Confederazione nazionale fra i lavoratori del teatro fu assorbita dalla Corporazione nazionale del teatro, fondata con l’obiettivo di azzerare la lotta di classe “nel superiore interesse della nazione”. Nella Corporazione confluirono abbastanza spontaneamente i proprietari, vi entrarono i capocomici e per ultimi gli attori della Lega. Con la Legge Rocco, del 1926 si istitui il monopolio sindacale fascista e si aboli il diritto di sciopero, furono infatti sciolte associazioni che univano lavoratori e datori di lavoro. La mediazione privata fu vietata e nel 1932 sostituita da un ufficio di collocamento per i lavoratori dello spettacolo, il cui operato era gratuito. Il malcontento emerse nel 1929 dopo il tragico suicidio di Lorenzo Ruggi, volto a denunciare l’esproprio compiuto dagli editori a danno degli autori. *Il sovvenzionamento: pochi soldi e un po' a caso: nel 1929 degli 8 milioni di lire di contributi assegnati, il 90% andò al melodramma e solo il 10% alla prosa. I provvedimenti a favore del teatro musicale furono incisivi per indicare la volontà di azione diretta e uniforme del regime. L'effetto più evidente dei finanziamenti fu l’imporsi dell’italianità dei repertori. *L’eccezione: piccoli teatri d’arte e teatri nazionali: la crisi accese un vivo dibattito sulla funzione del teatro nella società e sulle possibili riforme del sistema. Nei progetti di rifondazione, si intrecciarono due opzioni legati alla riforma organizzativa: i teatri d’arte e i progetti per un grande teatro nazionale, che sarebbe diventato l’istituzione simbolo dell’arte teatrale italiana. I Teatri d’arte furono capaci di includere le avanguardie europee e di aggregare artisti ed intellettuali in una ricerca dei linguaggi di scena. Sperimentazione: forme di regia, illuminotecnica, scenografie.. Furono luoghi sofisticati, di arte pura, libera dai vincoli della tradizione. A Roma le esperienze più importanti furono il Teatro degli Indipendenti di Bragaglia, sperimentatore e futurista, e il Teatro d'Arte, diretto da Pirandello. Il primo fu sostenuto dal regime, addirittura Mussolini sottoscrisse i primi due abbonamenti, il secondo fu una società anonima che avrebbe voluto reggersi su finanziamenti in parte privati e in parte pubblici. A Milano aprirono nel 1924 ben 3 teatri d’eccezione, tutti retti dal mecenatismo privato: La Sala Azzurra (teatro di poesia), Teatro del Convegno (intellettuale), e Il Teatro di Torino. + falliscono tutti rapidamente. Nel 1924 un progetto di Fracchia e Chiarelli presentato sulla rivista “Teatro d’Italia”, proponeva la fondazione di una dozzina di teatri stabili in tutt'Italia, con scambi di attori, testi e scene. Sulla stessa onda, furono Pirandello e Giordani a presentare il progetto per un Teatro drammatico nazionale di Stato, che si fondava su un’unica grande compagnia. *Teatro fra educazione e propaganda: nel 1933 Mussolini riconobbe l’efficacia propagandistica ed educativa del teatro, nel famoso discorso per il 50° anniversario della fondazione della SIAE. Il teatro del fascismo fu un teatro di massa, i grandi spettacoli firono fondamentali, tanto che vennero create delle strutture apposite, come l’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA), dal 1929 alle dipendenze del Ministero dell'Educazione nazionale, conil compito di organizzare spettacoli classici con testi antichi. Per la diffusione del teatro fra gli strati popolari fu invece l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND), un’organizzazione moderna fondata per un nuovo pubblico di massa, che doveva avvicinare gli italiani al partito. Tra le attività di dopo-lavoro, le filodrammatiche teatrali furono di particolare successo. L’opera più appariscente fu la novità del decentramento teatrale, ossia i Carri di Tespi, una forma di teatro mobile per masse: si trattava di teatri ambulanti, realizzati grazie una complessa 10 finanziamento, ma anche attraverso una vero politica culturale. In seconda istanza, lo Stato dovrebbe tutelare il teatro da quello stato di incertezza e precarietà in cui lo pone il sistema di finanziamento. CAP. 8 L’Espansion e del Sistema Anni ‘60— scoppio del Boom economico + il teatro si apre con allestimenti di ampio successo. Si mette in moto una lunga e continua crescita della domanda e dell’offerta: il 1982 l’anno più positivo. Pur se limitato ad 8 strutture (Genova, Milano, Torino, Bolzano, Trieste, Catania, L’Aquila e Roma) il campo dei teatri a gestione pubblica raggiunge una posizione di predominio. Attorno e dopo il ‘68, il teatro incontra i nuovi bisogni di un’Italia che cambia— il teatro diventa strumento di decentramento e animazione, l’attenzione si sposta dal prodotto finale al processo creativo. *La Crisi degli Stabili e la dilatazione del teatro nella Società: all’inizio degli anni ‘60, per sopperire all’angustia delle sale storiche, gli Stabili del triangolo industriale prendono in gestione teatri con capienze superiori al migliaio di posti e riescono ad aumentare i volumi di attività e il numero degli spettatori. Contemporaneamente si convertono alla circuitazione per introdursi nel mercato nazionale. Nel 1964 Trieste allarga il proprio raggio d’azione, trasformandosi in Stabile del Friuli Venezia Giulia. Molto dinamico è anche lo Stabile di Genova, il cui contributo statale è il secondo per entità. A metà degli anni ‘60 Genova riesce a coprire il 75% dei costi coni ricavi propri, raggiungendo il numero di abbonati più alto d’Italia. *La premessa in discussione del teatro pubblico: gli Stabili si sentono abbandonati a se stessi e dal Governo: negli anni ‘60 approvate leggi per il cinema, gli enti lirici e le attività musicali, il circo ma NON per il teatro. Gli elementi frenanti per i teatri stabili secondo Bartolucci non sono i numeri degli spettatori, ma la qualità e la libertà della ricerca; i primi a sentirsi minacciati in termini di ricerca e libertà sono gli attori: già protagonisti di scioperi e manifestazioni che avevano riguardato questioni retributive sindacali, si sentono ora privati di responsabilità creativa e schiacciati in collaborazioni funzionali a progetti interpretativi predeterminati. Per non essere intrappolati dal regista, rivendicano un ruolo sociale e professionale per l’attore, che si concretizzerà nelle compagnie autogestite. Gli Stabili vengono accusati di verticismo gestionale, gigantismo spettacolare, monopolio, incapacità di assicurare un ricambio e di musealizzaione del repertorio le ripetute accuse di eccessiva distanza tra i principi ideali di fondazione e la realtà dei risultati generano un malesse notevole, di cui sono testimonianza due dimissioni clamorose: a Milano Strehler lascia la co-direzione del Piccolo, a Torino de Bosio abbandona lo Stabile. *Nuove formule produttive: cantine, decentramento e cooperative: si crea una nuova geografia degli spazi teatrali alla fine degli anni ‘60, ad esempio, ci sono Le Cantine: si tratta di spazi sotterranei, magazzini, scantinati, garage, disagevoli e dismessi, scelti per i loro costi contenuti di affitto e riadattati a sala teatrale per elaborare progetti di ricerca alternativi al teatro ufficiale. Tali teatrini sono spesso organizzati in circoli privati e più facilmente aperti alla sperimentazione. — A Roma hanno molto successo. Decentramento: alla fine degli anni ‘60 e per tutti gli anni ‘70 il fenomeno del decentramento teatrale è alle stelle. Ora non è più sufficiente trasferire gli spettacoli dal centro alla periferia, ma il decentramento diventa un’Opzione Produttiva, come luogo di relazioni autentiche e gli spettatori chiamati come partner dialettici> Tra i maggiori esponenti: Scabia (conduce un ruolo di decentramento nel 1969 nei quartieri periferici di Torino) e Quartucci (realizza azioni teatrali con gli abitanti, interagendo coni loro problemi e le loro richieste; a Genova sperimenta il decentramento produttivo con gli operai e gli impiegati del gruppo teatrale di Italsider). Intanto, le potenzialità del diverso modo di concepire il decentramento sono raccolte dal movimento della cooperazione teatrale, che esplode tra il 1968 e il ‘70— si tratta di compagnie e gruppi autogestiti, che trovano nella forma giuridica della cooperativa a responsabilità limitata lo strumento organizzativo e gestionale per affermare una concezione democratica ed egualitaria del fare teatro; mirano alla parità dei diritti e doveri dei soci e si reggono sul principio della democrazia effettiva, cioè sulla partecipazione diretta di tutti i membri, attraverso le assemblee, alla formulazione dei programmi e alla gestione della compagnia+ Esperienze pilota sono la Cooperativa Nuova Scena e la Comunità teatrale dell’Emilia Romagna. *Teatro fuori dai teatri: negli anni ‘70 si assiste a un movimento di Fuga del teatro, in quanto convenzione e di fuoriuscita reale delle istituzioni teatrali che prende vita nelle esperienze di decentramento più radicali, come quelle condotte da Quartucci ul CAP. 9 Il teatro nell’Era del con Camion, laboratorio decennale permanente e da Scabia con il Teatro Vagante e le azioni di “teatro a partecipazione”. In questa galassia multiforme troviamo il cosiddetto Terzo Teatro: teatro come pratica sociale e comunitaria (studentesche/teatri di quartiere ecc.) di forte implicazione politica. Matrice portante è la negazione del professionismo: la teorizzazione del dilettantismo e del volontario è una via per raggiungere un altro senso del teatro. Negando l'economia monetaria, si sostenevano attraverso il baratto. *Un’altra distribuzione: ricerca di muovi pubblici e apertura di nuovi spazi. In alcune regioni privi di Stabili, gli enti locali e territoriali danno vita ai circuiti regionali come il Teatro Regionale Toscano, Il Consorzio Teatro Pubblico Pugliese. Tali associazioni tra comuni e province, mettono in rete a livello regionale, sale teatrali di proprietà municipale e superano l’isolamento del singolo esercizio verso una programmazione integrata a livello regionale. I circuiti non solo si pensano come acquirenti e distributori dello spettacolo ma instaurano rapporti organici con le cooperative, offrendo loro spazi di lavoro. Alla fine degli anni ‘60 si afferma anche il primo circuito teatrale alternativo delle sale ufficiali. Legati ai teatri di base questi circuiti esprimono la ricerca di spazi meno vincolati dalle regole della pubblica sicurezza e fuga dalle sale all’italiana, nonché la promozione dell’incontro nei luoghi e contesti più diversi. *L’esplosione del teatro Sussidiato: dal 1967-68 sono finanziati i complessi di sperimentazione teatrale, mentre dal ‘72-73 le cooperative sono riconosciute come categoria produttiva e autonoma specifica, differente dalle compagnie private e dagli Stabili. I finanziamenti dipendono da parametri non solo qualitativi, ma anche quantitativi (numero di recite/ attori/ piazze visitare ecc.) i cui livelli minimi devono essere rispettati dai soggetti che fanno domanda. Questi parametri seguono la logica della produzione classica, e non tengono conto di diversi modelli di lavoro come quello della ricerca. Nel tempo i vincoli diventano sempre più contorti e difficili. Difatti, viene ampliato l’area dei riconoscimenti, per cui le circolari danno vita a un progressivo e clamoroso aumento delle sovvenzioni. *Nuove forme di stabilità: entro il 1977 vengono riconosciuti dalle circolari 9 principali categorie: 8 teatri a gestione pubblica e privata, e i complessi teatrali a gestione cooperativistica e di sperimentazione. La grande parte dei finanziamenti riguarda la produzione, cioè il segmento della filiera più esposto, mentre assai minore è la contribuzione verso attività di esercizio, distribuzione e promozione. Dal ‘78, le circolari assumono una valenza anche politica. La finalità delle circolari si fa dunque doppia: protezione e sostegno di un’attività caratterizzata dallo squilibrio economico, ma anche sua normalizzazione ed inquadramento. La categoria più istituzionalizzata è quella rappresentata dagli Stabili pubblici, che accoglie nel ‘78 una “seconda generazione” cioè la variante degli Stabili su base regionale. Il primo stabile regionale è Emilia Romagna Teatro (ERT), poi abbiamo Il Teatro Regionale Toscano (TRT), il Centro Teatrale Bresciano (CTB). L’allargamento del comparto degli Stabili non è solo nel numero degli organismi, ma anche nelle funzioni, rilanciando iniziative e servizi. A partire dagli anni ‘80 le politiche ministeriali incidono sempre più profondamente nella realtà concreta del teatro non solo per le risorse economiche che garantiscono a un numero importante di imprese e istituzioni, ma anche attraverso gli indirizzi, le scelte e le strategie che inducono a intraprendere. Anche la rivoluzione digitale ha cambiato il teatro: la tecnologia è entrata in dialogo con la creazione artistica, ha generato forme di teatro multimediale, ha modificato il lavoro tecnico, ha toccato prepotentemente anche quello organizzativo, dove si è giunti all’informatizzazione della quasi totalità dei processi, alla riformulazione radicale dell’ambito della comunicazione. *Riforme e tagli orizzontali: una nuova era sembra quasi aprirsi con la Legge 30 aprile 1985, Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo, voluta dal Ministro del Turismo e dello Spettacolo Lelio Lagorio. Tuttavia, siamo in un periodo turbolento: nel 1992 c’è la crisi della lira e nel 1994 cadono le elezioni della cosiddetta “Prima Repubblica”. *Il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS): nella storia dello stato italiano la Legge Lagorio è la prima azione organica di sostegno economico allo spettacolo, che è anzitutto riunito in una disciplina unitaria. La legge istituisce poi il Fondo Unico per lo Spettacolo, garantendolo come titolo di spesa continuativo nel bilancio dello Stato, inserito nelle leggi finanziarie. Essa rafforza, infine, anche la programmazione economica di 12 medio termine, indicando la triennalità come scansione di riferimento dei finanziamenti. Il FUS rappresenta così il principale strumento nel campo dello spettacolo a disposizione dello Stato, che così conferma il prevalere di una politica di intervento indiretto piuttosto che diretto. Tuttavia, il FUS risulta un disegno ancora incompleto, una legge di istituzione ancora inefficace. Nel 1999 appare l’emanazione dei cosiddetti Regolamenti Forlenza, decreti ministeriali concepiti come strumenti normativi di transizione, per superare la prassi consolidata delle circolari. Nel 2003 il decreto n.470, Regolamento recanti criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività teatrali, che aveva riproposto il meccanismo di programmazione finanziaria triennale prescritto nel FUS: si ritorna all’annualità e rimane in eredità solo l’uso di uno strumento giuridicamente più consistente e di valore superiore nella gerarchia delle fonti. *Tra terzo decentramento e riforma costituzionale: la riforma dell’amministrazione pubblica ha un forte impatto sullo spettacolo. A seguito dell’abrogazione per il referendum del Ministero del Turismo e dello Spettacolo nel 1993, dopo cinque anni di provvisoria assegnazione alla Presidenza del Consiglio, la competenza sullo spettacolo è assunta dal Nuovo Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC), istituito nel 1998. Al suo interno, la struttura di riferimento è la Direzione generale per lo spettacolo dal vivo. La Costituzione non esplicita se le regioni e gli enti locali siano legittimati a intervenire sul settore: ciò lascia spazio nel 1977, l’avvio del “secondo decentramento”. Nel pieno del federalismo amministrativo del “terzo decentramento”, si apre uno scontro tra le regioni, che rivendicano il diritto a un’azione propria e lo Stato, che ritiene legittimo non limitarsi a compiti di indirizzo politico e continua a gestire direttamente il FUS, non le giudica sempre coerenti con le proprie politiche. *I Finanziamenti pubblici dello spettacolo: grazie alle Relazioni sull’utilizzo del FUS, è agevole seguire l'andamento del fondo nel corso degli anni e conoscerne l’utilizzo anche nel dettaglio. Alla nascita, il FUS segna un aumento del 75% delle risorse dello spettacolo rispetto al 1984 e continua a crescere notevolmente fino al 1989. Coni tagli apportati dalla Legge finanziaria del 1990 si determina una prima riduzione del fondo. Il trend negativo prosegue per tutto il ‘90, fino all’arrivo della crisi della lira nel 1992. Tra il 1997 e il 2001, cresce tutta la spesa pubblica per la cultura e nel periodo 2003- 2006 ci sono ulteriori decurtazioni. Una parziale ripresa nel 2007-2008 viene annullata da un decremento negli anni successivi. L'avvio di una politica culturale più attenta al rilancio del patrimonio culturale italiano porta a un aumento dello stanziamento nel 2014. Dal 2017, entra in vigore la Legge 14 novembre 2016 n.220, Disciplina del cinema e dell’audiovisivo, in cui viene istituito il Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo e le risorse destinate alle attività cinematografiche sono scorporate dal FUS. Nel 2016 il finanziamento c’è, ma rimane comunque inferiore allo stanziamento originario del 1985. A partire dal 2017 il FUS viene nominalmente ridotto, poiché il cinema non viene più compreso, ma le risorse in realtà aumentano per i 5 settori rimanenti. *Andamento del FUS a cinque settori: in termini reali, il FUS rappresenta lo 0,083% del PIL, nel 2016 questo rapporto scende allo 0,024%. Il FUS nel sistema spettacolo in Italia è senz’altro determinante, ma l’intervento statale non si limita ad esso. Se l'ammontare del FUS diminuisce vertiginosamente, importantissima diviene nel corso degli anni ‘90 la spesa delle regioni e degli enti locali. Nel 2000, a fronte di 2.750 miliardi di lire i finanziamenti pubblici per lo spettacolo, lo Stato ha erogato solo il 24% dei finanziamenti, contro il 48% dagli enti locali. In tutto questo, è largamente condivisa l’impressione che il riequilibrio al depauperamento del FUS, garantito dai flussi degli enti locali negli anni ‘90, sia andato affievolendo man mano che si è entrati negli anni 2000. Studi recenti dimostrano come i cambiamenti successivi al 2014, che obbligano gli enti locali a finanziare in percentuali fisse le grandi realtà produttive riconosciute dal FUS, possano mettere in pericolo la possibilità per istituzioni più piccole. *Il divide fra i generi dello spettacolo: il tema cruciale è quello della divisione interna del FUS. Nei decenni, la prevalenza della musica e delle fondazioni lirico-sinfoniche assorbivano il 55% del FUS. Nel 1985 superano il 60%. Il predominio schiacciante è però delle sole fondazioni lirico-sinfoniche. Il peso del dato si fa comunque evidente. Anche successivamente allo scorporo del cinema dal FUS, la situazione di predominio rimane invariata. Il costo sostenuto dalla collettività è notevole, sproporzionato rispetto ai risultati del
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