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Riassunto: “L’edizione critica dei testi volgari” (Franca Brambilla Ageno), Sintesi del corso di Filologia italiana

Riassunto dettagliato del manuale, suddiviso in capitoli e paragrafi.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Scarica Riassunto: “L’edizione critica dei testi volgari” (Franca Brambilla Ageno) e più Sintesi del corso in PDF di Filologia italiana solo su Docsity! Riassunto: “L’edizione critica dei testi volgari” (Franca Brambilla Ageno) PARTE PRIMA I. Filologia e critica letteraria La critica del testo è l’insieme dei mezzi che servono a restituite il testo originale di un’opera letteraria, cioè ad apportarne l’edizione critica. L’edizione critica ha lo scopo di fornire il testo scevro da tutte le mende che possono indurvi le vicende che più o meno fortunose della diffusione e della trasmissione, cioè nella forma più vicina che sia possibile a quella voluta e considerata definitiva dall’autore. Una seria preparazione filologica è condizione indispensabile per l’esercizio corretto della critica letteraria. È importante saper mantenere la voce dell’autore senza ricadere nell’errore di intervenire sul testo per regolarizzarlo; un lavoro filologico paziente è la condizione indispensabile perché il lavoro critico non si eserciti a vuoto, con risultati discutibili o addirittura falsi. Infatti, a volte, non è neppure la valutazione critica ma addirittura la comprensione letterale che soffre della mancanza di consapevolezza filologica nel curatore o commentatore di testi antichi. A quanto abbiamo già detto sulla necessità di una base filologica per l’interpretazione critica, aggiungiamo l’osservazione che lo stesso filologo da parte sua deve essere capace di valutazione critica: la scelta delle varianti e l’emendazione di un testo presuppongono ed esigono una conoscenza non superficiale dell’intera opera dell’autore dei suoi metodi ti lavoro, della sua lingua, del suo stile; una misurazione precisa di ciò che egli è capace di dare per potenza e inclinazione della fantasia, per formazione culturale, per preferenze di gusto. La neostilistica odierna è opera di filologi, per cui il momento valutativo conclude un lungo esercizio di natura filologica e linguistica, nel senso che coordina e allaccia in un tessuto sistematico constatazioni e osservazioni che di quell’esercizio sono state non tanto il risultato quanto la condizione. RICORDA → Non vi sono “ricette” che permettono di risolvere automaticamente ogni problema. Non ve ne sono neppure per riconoscerlo e impostarlo. Nel lavorare bisogna tener presente che i problemi filologici sono “individuali” e ognuno diverso da tutti gli altri. Ciascuno si profila, sorge, si impone da sé, e in relazione con esso si profila, sorge, s’impone la soluzione e la struttura stessa dell’opera cui il filologo s’è accinto. Per tutto questo occorrono, certo, intuito, fantasia, acume e senso linguistico; occorrono cognizioni di paleografia, di storia della lingua; MA è soprattutto necessaria la passione per la propria disciplina, e una specie di umiltà per accostarsi ai testa senza preconcetti o ambizioni. II. Che cos’è la critica del testo Quando la diffusione di un testo era affidata ai copisti, ogni errore che si producesse casualmente in un manoscritto durante la copiatura, si trasmetteva al manoscritto successivo di cui il primo diventava il modello; e poiché l’errore iniziale (errore diretto → prodottosi in un testo intatto) costituiva una difficoltà, di solito esso tendeva ad aggravarsi/complicarsi (cioè da vita all’errore indiretto). PEGGIO se il copista aveva la pretesa di correggere, infatti senza conoscenza del metodo, si allontanava ulteriormente dal testo originario molto di più che se ne fosse allontanato il suo predecessore (errore critico). ESEMPIO → Sonetto di Angiolieri “I’ho sì poco di quel ch’i’ vorrei” Verso 2: ch’i’ non so ch’i’ potesse *** - Canzoniere del Chigiano L. VIII. 305 (Ch) →MENOMARE * - Manoscritto Magliabechiano VII. 1145 della Nazionale di Firenze (F5) → MENO AVERE * - Manoscritto 13 del fondo di Landau (L) → MANCO AVERE * Dal confronto tra “menomare” e “manco avere” si deduce che la lezione originale doveva essere MENOVARE. La lezione di L “manco avere” è un errore indiretto che nasconde l’errore orinario, e , senza il “menomare”di Ch la correzione sarebbe stata più difficile. In generale l’errore indiretto, non è chiaramente distinguibile dall’errore critico, in quanto esso per definizione dovrebbe essere completamente meccanico e inconscio; e invece di solito nasce anch’esso dalla tendenza del copista a interpretare il testo che trascrive. ESEMPIO → Serie alfabetica di 240 proverbi rimati composta dal notaio Ser Garzo Proverbio 19: Bella semblanza / dona speranza PRIMA → Il dona (dà) viene trascritto con DONNA (errore diretto) POI → Un manoscritto posteriore completa e rettifica con DI DONNA DA (errore critico). Come abbiamo già detto la critica testuale si propone di restituire al testo che prende in esame la forma il più vicina possibile all’originale. Oggi la critica testuale possiede regole e sistemi assai raffinati e scaltri, che sono esposti in numerose trattazioni teoriche ed esemplificati in molteplici applicazioni pratiche. Quasi tutte le trattazioni teoriche che abbiamo prendono in considerazioni, esclusivamente o principalmente, la trasmissione dei testi dall’antichità classica, ANZI in rapporto a questi furono elaborati i principi che costituiscono l’intera disciplina → esse prendono il nome di metodo Lacmanniano (Karl Lachmann). Le copie di un testo attualmente esistenti si chiamano testimoni del testo. L’insieme di tali copie ne costituisce la tradizione diretta (si tratta per lo più di manoscritti, ma dopo il 1465 anche di stampe). Accanto alla tradizione diretta di un testo, esiste talvolta una tradizione indiretta → le citazioni, i commenti, le parodie, le traduzioni fatte anticamente su codici perduti ecc. 1. La fase durante la quale la critica testuale utilizza i dati disponibili su un determinato testo = recensio: A. Riunisce i vari testimoni B. Li classifica operando in base agli errori evidenti, cioè ne determina le relazioni e ne costruisce l’albero genealogico o stemma C. Utilizzando lo stemma dei testimoni risale allo stadio più antico del testo che tramandato. 2. POI si passa all’examinatio = esame dei singoli passi per stabilire se la più antica forma di essi tramandati può o deve valere come originale. A volte i più antico stadio del testo che sia possibile ricostruire in base alla tradizione coincide o può coincidere in tutti i suoi punti con l’originale; a volte restano dei passi evidentemente guasti, Anche quando la trascrizione e la divisione delle parole siano esatte, la distribuzione della punteggiatura implica, ed esplicita per il lettore, un impegno d’interpretazione del testo. ESEMPIO → nell’ottava del “Morgante” XXVIII 126 Ammaestrò i figliuoli e le figliule D’ogni arte liberal, d’ogni dottrina; Né bisognava cercare altre scuole, Allor che l’Academia parigina → Voleva a presso tutta la sua prole; Se e’ cavalcava da sera o mattina, Talvolta, per fuggir le sue donne ozio, Ministravan lanifero negozio, …. IV. La “recensio”. Metodi da rifiutare nell’edizione di un testo Quando di un testo non si possiede l’autografo, la tradizione può essere fondata: 1. Sopra un unico testimone → codex unicus 2. Sopra più testimoni. Nel primo caso la recensio consiste nella trascrizione, più esatta che sia possibile, dell’unico testimone. Se la tradizione è invece fondata sopra più testimoni, la recensio può essere un’operazione molto complicata. → RICORDA: bisogna ricercare ed esaminare tutti i testimoni. Ancora nell’Ottocento si aveva l’abitudine di seguire la “vulgata” cioè il testo diffuso (textus receptus), senza preoccuparsi della qualità della testimonianza. Si apportavano miglioramenti qui e là attingendo a testimoni scelti a caso e consultati sporadicamente o lasciandosi guidare dal senso e gusto personale. DA RIFIUTARE: 1. Un’edizione condotta arbitrariamente secondo il gusto e gli scopi personali dell’editore, infatti questa manca dell’idea di metodo scientifico che è sempre ispirato al massimo rispetto per la parola dell’autore. 2. Per quanto riguarda il criterio della concordanza dei codici, scegliere la lezione attestata dal maggior numero dei codici a disposizione, senza aver classificato questi ultimi, né definito i rapporti reciproci è un errore (criterio dei codices plurimi). 3. Altro metodo da rifiutare è quello di scegliere come base dell’edizione un unico manoscritto o perché più antico (codex vetustissimus) o perché giudicato particolarmente buono e attendibile (codex optimus). Il più antico dei manoscritti conservati può essere separato dall’originale da un numero maggiore d’intermediari che uno di età più recente. Solo quando si riesca a dimostrare che tutti gli altri manoscritti derivano dal più antico, si deve eliminarli come testi descripti. L’autorità di un buon manoscritto (codex optimus) non fornisce che una vaga presunzione, perché la nozione stessa di “buon manoscritto” è in realtà imprecisa. Ammaestrò i figliuoli e le figliule D’ogni arte liberal, d’ogni dottrina; Né bisognava cercare altre scuole, Allor che l’Academia parigina. Voleva a presso tutta la sua prole Se e’ cavalcava da sera o mattina. Talvolta, per fuggir le sue donne ozio, Ministravan lanifero negozio. V. La “recensio”. Classificazione dei testimoni mediante gli errori significativi 1. PRELIMINARI Una volta raccolti e descritti tutti i testimoni, e data ciascuno una sigla, si procede a classificarli, cioè a determinare le relazioni reciproche: solo il conoscere tali relazioni permetterà di stabilire che autorità abbia la singola lezione e di ricostruire (salendo la tradizione gradino per gradino) la forma del testo che presentavano il più antico o i più antichi antenati delle copie esistenti. 1a. Operazioni fondamentali per il filologo nella ricostruzione del testo originario avendo più testimoni: 1°. Si stabiliscono i rapporti fra testimoni esistenti sulla base degli errori e delle lacune evidenti e indubitabili, tenendo presenti due principi: a) Un errore non facile a commettersi o una lacuna, comune a due o più testimoni → legame di parentela. b) Un testimone che in un determinato punto presenta un testo indubbiamente integro e sano, non può derivare da un altro che in quel punto ha un’omissione o lacuna non facile da colmare, o un errore certo e non facile da correggere. Riconosciuti i rapporti fra i testimoni, essi si rendono visivamente percepibili mediante la costruzione di uno stemma o un albero genealogico. 2°. Tenendo conto delle relazioni fra i testimoni, si procede all’eliminazione, in ogni punto del testo, delle varianti adiafore o indifferenti, che lo stemma denuncia come nate durante la trasmissione del testo. Si accolgono in ogni punto del testo quelle varianti/lezioni che lo stemma dimostra autentiche, e si rilegano via via nell’apparato. 1b. SE il testo è inedito, il lavoro preliminare consiste nella trascrizione d’uno dei testimoni scelto come manoscritto di base (più corretto, l’unico completo, di più facile lettura..). SE invece esistono una o più edizioni si prende come base di collazione l’unica o la migliore edizione. A volte è consigliabile compiere una esplorazione preliminare e sommaria della tradizione e apportare un testo provvisorio, nel quale siano stati corretti gli errori più vistosi e riempite le lacune presentate dagli uno a dagli altri testimoni. Una volta apportata la base di collazione, non si deve mai, per nessuna ragione cambiarla nel corso del lavoro. Si passa quindi alla registrazione della varianti di sostanza degli altri codici rispetto a quel testo. ESEMPIO COLLAZIONE: Convivio, capitolo VI, del III trattato (Laurenziano XI,39 > L) 1) Le righe della base di collazione sono numerate di tre in tre, invece che di cinque in cinque, allo scopo che si evitino più facilmente errori nei riferimenti. 2) Le abbreviazioni sciolte sono indicate con la sottolineatura delle lettere mancanti nel manoscritto. 3) Prima e dopo della variante interessata è trascritta qualche parola del testo sufficiente a evitare che nascono poi dubbi sulla collocazione della variante. 4) Le parole che il codice ha in più sono racchiuse fra la parola precedente e la seguente, così che ne sia ben chiara la posizione. 5) Le omissioni del manoscritto collazionato si segnalano scrivendo la parola che precede e quella che segue e mettendo al posto della parola o delle parole mancanti una punta di freccia; il tutto seguito da virgola, dall’indicazione “OM” (om-esso) e dalla trascrizione della o delle parole mancanti. 6) Se alcune parole sono disposte nel manoscritto in ordine diverso da quello in cui si presentano nella base di collazione, si trascrivono tutte le parole che sono in giuoco; la semplice inversione si può indicare col segno “S”. 2. LA RICERCA DEGLI ERRORI SIGNIFICATIVI Completata la collazione comincia la fase più delicata e complessa del lavoro dell’editore, prima di tutto la scelta, sulle collazioni eseguite, dei “luoghi critici” che permettono la classificazione dei testimoni. È utile preparare schede che rechino ciascuna in alto un paio di righe della base di collazione, precedute dall’indicazione del luogo (canto, ottava, verso..). Sotto si metteranno le varianti dei diversi manoscritti, seguite dalla loro sigla. IMPORTANTE (tanto tanto importante): lasciarsi guidare unicamente dagli errori nella classificazione dei manoscritti e assicurarsi che si tratti di veri errori. Quando diversi manoscritti presentano lezioni differenti (varianti) di cui ciascuna potrebbe essere la lezione originale → NON abbiamo nessun criterio per stabilire quale sia veramente tale. Basarsi sugli errori evidenti e sicuri è l’unico modo possibile di sfuggire a un “circolo vizioso”* di cui la critica testuale è spesso accusata. Il fine di essa è di ricostruire il testo vero, cioè originario; è in base al testo vero che si definiscono gli errori, ma è in base agli errori che si disegna lo stemma dei manoscritti, e in base allo stemma dei manoscritti che si ricostruisce il testo vero, cioè originario. L’accusa del “circolo vizioso”* avrebbe ragione d’essere, se non ci fosse altro mezzo di riconoscere gli errori prodottosi nella tradizione, che il confronto con il testo originario. MA ci sono errori manifesti e indubitabili, che si denunciano da sé: ad essi, e ad essi soltanto, bisogna rivolger l’attenzione per stabilire i rapporti fra i manoscritti e costruire lo stemma. Prima che l’arte della correzione, il filologo deve dunque imparare l’arte di riconoscere e localizzare gli errori. Esistono criteri assai fini per assicurarsi che un passo è veramente errato. L’errore è generalmente denunciato da più indizi convergenti, ed è tanto più sicuro quanto più numerosi sono questi indizi. a) L’autore NON può avere scritto una cosa apertamente assurda e contraria alla logica al buon senso. → Gli errori costruiti da una serie di parole e anche di più sillabe senza senso, sono relativamente rari, perché il copista è incline a dare via via un’interpretazione di ciò che trascrive; quindi, se incontra una successione di sillabe prive di senso, è automaticamente portato a sostituirvi una parola o un gruppo di parole che non avrà forse a che fare con l’insieme, ma almeno è costituito da elementi noti e che, isolati, qualcosa significano. ESEMPIO: “Convivio” IV XXIII 9 Li perfettamente naturati > Li perfettamente naturati. Naturalmente bisogna fare accurate ricerche prima di definire errore una parola sconosciuta. La competenza linguistica è essenziale per un corretto esercizio di critica del testo. VII. La “recensio”. Costruzione dello stemma con due o con tre testimoni SE si hanno a disposizione due testimoni, A e B, i tipi di stemma possibile saranno: 1) A 2) B 3) O 4) O A B B A X A B 1) Il primo tipo va escluso, se si trova un errore separativo di A contro B. 2) Il secondo tipo va escluso, se si trova un errore separativo di B contro A. 3) Se oltre a un errore separativo di A contro B, e ad uno separativo di B contro A, si trova un errore congiuntivo A-B, è dimostrato il terzo tipo. 4) Se l’esistenza di tale errore congiuntivo non è dimostrabile, si ha presumibilmente il quarto tipo, costituito da due testimoni che risalgono all’originale direttamente e l’uno indipendentemente dall’altro. → Il tipo più frequente di stemma che si presenti con due solo testimoni è il terzo. SE i testimoni sono tre, A,B,C, gli stemmi possibili sono molti di più. Teoricamente è possibile che uno dei tre testimoni sia l’esemplare (o modello) degli altri due, cioè che si abbia uno stemma a catena del tipo: Oppure che B e C derivino da A direttamente, o attraverso un intermediario comune, e così che A e C derivino da B, o A e B derivino da C: Si deve esaminare anche per ciascuno dei tre testimoni la possibilità che esso sia l’esemplare di uno degli altri due: Basta dimostrare che ciascuno dei tre testimoni contiene almeno un errore separativo poiché tutti i casi esaminati siano esclusi. Le possibilità rimangono allora le seguenti: L’ultimo stemma si avrà soltanto se non sarà possibile trovare un errore congiuntivo di due dei testimoni con il terzo. Questo errore congiuntivo deve essere nello stesso tempo separativo, cioè tale che il terzo testimone non possa aver restituito la lezione giusta per congettura. Se almeno un errore evidente e significativo è comune a tutta la tradizione, ciò significa che vi è stato fra l’originale e i testimoni superstiti un intermediario perduto che presentava già il guasto → tale intermediario si chiama archetipo. VIII. La “recensio”. Costruzione delo stemma con più testimoni Naturalmente, il numero degli stemmi possibili si moltiplica, se i testimoni sono quattro o più di quattro. Ma la costruzione si fa sempre basandosi sugli errori congiuntivi e separativi. ESEMPIO (vedi pag.83 molto approfondito). IX. La “recensio”. “Eliminatio codicum descriptorum” Dall’utilizzazione per la ricostruzione del testo vanno esclusi i testimoni (codices descriptus) che sono copia dei testimoni conservati. ESEMPIO: Dal ms. Additional 8785 del British Museum, conservante il volgarizzamento, a cura del notaio mantovano Vivavldo Belcalzer, del “De proprietatibus rerum” di Bartolomeo Anglico, derivano direttamente o indirettamente, i tre esempleri quattrocenteschi, rimaneggiati nella lingua e talora compendianti nel testo, che si conservano nella Biblioteca Ricciardiana di Firenze e nella Biblioteca Bodleiana di Oxford → possedendosi l’originale, essi non sono di alcuna utilità né per il testo né per la lingua dell’opera. Non è facile dimostrare che un testimone deriva da un altro conservato. Se un testimone B presenta tutti gli errori evidenti di un altro A, più almeno un errore suo proprio, si può considerare B come derivato di A ed eliminarlo. Ma è imprevedibile la varietà degli elementi che possono di volta in volta servire a risolvere un problema filologico del tipo di cui stiamo parlando (come di ogni altro tipo). L’età della scrittura può talora mostrare in che senso vada orientata la ricerca: di due testimoni, è evidentemente escluso che il più tardo possa essere l’esemplare dell’altro. La questione è abbastanza semplice per le stampe (quando sono datate). → Naturalmente, un apografo NON è più descriptus in quei casi e per quei tratti per cui serve a colmare lacune dell’esemplare prodottesi posteriormente alla trascrizione, o a ricostruire lezioni di esso mutuate più tardi dai correttori, ecc. Nel dichiarare descriptus un testimone, non occorre meno cautela che nell’affermare l’autografia. Va tenuto presente che, data la massa ingente dei codici perduti (molto più numerosi di quelli conservati), le probabilità che ci restino per l’appunto l’esemplare e la sua copia sono minime. E spesso un esame più attento e minuzioso dei testimoni porta ad escludere una derivazione troppo frettolosamente affermata. X. La “recensio”. Utilizzazione dell’albero genealogico Si è instito sulla necessità di costruire l’albero genealogico o stemma dei testimoni in base agli errori certi. Una volta costruito lo stemma ci indica la scelta che dobbiamo operare delle varianti adiafore o indifferenti. Supponiamo uno stemma bipartito ABCD: X y z A B C D E supponiamo un passo del testo che si presenti in due forme, che chiameremo L ed L1. Le due varianti possono distribuirsi nel seguente modo: - L in A,CD L1 in B - L in B,CD L1 in A - L in AB,C L1 in D - L in AB,D L1 in C In questi quatto casi la lezione che si impone come autentica è senz’altro L ed L1 appare una variante particolare (cioè un errore) di un solo testimonio. Ma supponiamo che L sia dato in AB ed L1 in CD, o viceversa: la scelta in tal caso è dubbia. Per decidere dovremo ricorrere a criteri diversi (Cap XI). Se poi abbiamo L in AD e L1 in BC o viceversa, o ancora L in AC e L1 in BD o viceversa, dobbiamo essere in grado di spiegare una delle due varianti come è nata indipendentemente in due esemplari diversi (→ cioè come poligenetica). Si può dare il caso di una scelta sicura fra tre lezioni: se una lezione è attestata da AC si contrappone ad altre due lezioni attestate rispettivamente da B e da D, la lezione di AC è sicuramente quella di X. b) Un principio fondamentale è che occorre tener conto dell’andamento generale del passo e della natura del contesto: è da accogliere la lezione che meglio risponde allo svolgersi del discorso e conferisce più coerenza al ragionamento. ESEMPIO: Laude iacoponica “O regina cortese” Versi 43-46: “Guarda li sensi da parte, che non dien più ferita a la natura perita che se possa esgravare” Al verso 45 è forse da leggere plaga > natura. Si tratta di un consiglio della Vergine al peccatore, che è ricorso a lei per essere guarito delle ferite del peccato: “sorvegli i sensi, perché non diano di nuovo qualche colpo alla piaga già suppurata”. c) Tra due lezioni equivalenti come senso, occorre scegliere l’espressione che è, quanto la scelta lessicale, più rara → criterio della lectio difficilior: di solito la lectio facilior, cioè un’espressione più ovvia e comune, sarà stata introdotta dal copista al posto di una, autentica, che egli non capiva. ESEMPI: “Novellino” di Masuccio XXIII 33 → “Broche de mele” (M) ha l’aspetto di autenticità di fronte al “vasa de mele” (V). XXXVII 26 → “Ucisaglia” (M) è preferibile al più banale “occisione” (V). → A volte si può ammettere che certe lezioni faciliores o banalizzazioni siano poligenetiche, cioè stiano introdotte indipendentemente in manoscritti non imparentati, e il criterio della lectio difficilior può indurre ad accogliere la lezione che stemmaticamente è in minoranza. Accade, inoltre, che non si debba scegliere fra due sole varianti, ma che la tradizione presenti una serie di lezioni divergenti → diffrazione, postula una difficoltà nell’esemplare comune al gruppo di manoscritti in cui si verifica. Diffrazione in presenza: a volte l’esame attento delle varie lezioni offerte dalla tradizione dimostra che una di esse è ricevibile, ed è insieme tale da spiegare tutte le altre, in quanto contiene una singolarità o una difficoltà che può avere indotto i singoli copisti a tentativi di correzione e o banalizzazioni. Tale lezione è dunque la “ più difficile” e bisogna considerarla come appartenente all’esemplare comune. ESEMPIO: La canzone del Notaio “Meravigliosamente” è contenuta in V, L e P. È possibile dimostrare l’esistenza di un archetipo, e VL appaiono più strettamente imparentati per alcuni guasti evidenti comuni. Ai versi 31-32 i testimoni leggono: V → che quanto più lo ‘novoglia alora arde più loco L → e quanto più lo ‘nvolga tanto prende più loco P → e quando più lo ‘nvollia allora arde più in loco Per il verso 31 e la prima parte del 32: la lezione giusta è quella di P. Per il verso 32: La singolarità della lezione di V spiega le altre due: bisogna infatti riconoscere nell’espressione “arde più loco” la presenza dell’avverbio “loco” → il copista di L lo ha scambiato per un sostantivo e di conseguenza ha sostituito il verbo intransitivo “arde” > con il transitivo “prende”. Mentre P, partendo dalla stessa interpretazione di “loco”, si è limitato a premettervi la preposizione. È chiaro che andrà senz’altro accolta nel testo la lezione di V. d) Tra due forme o tra due vocaboli sarà da scegliere quello che è più conforme all’uso del tempo a cui appartiene l’autore e all’uso dell’autore stesso: occorre dunque conoscere la grammatica storica e la storia della lingua. Per esercitare correttamente la critica del testo, sono inoltre necessarie nozioni precise intorno alla versificazione, le cui leggi nel Due e Trecento differivano profondamente da quelle riconosciute dal Cinquecento in poi; e non si possono ignorare le leggi del cursus, se si tratta di testi prosastici. ESEMPIO: “Reggimento e costumi di donna” di Francesco da Barberino - Nei “Documenti d’Amore” dello stesso Barberino → “Donna ad ornato e cervo alla fontana” - Nel codice Barberiniano → “Donna addornata, cerbio alla fontana” - Nel codice Alessiano → “Donna adornata si è come cerbio alla fontana” Addornata/adornata è l’errore che fa venir meno il senso e il parallelismo fra le due parti della frase. Lo studio della cultura dell’autore permette talora di riconoscere in una parola incomprensibile e ritenuta errata proprio la lezione autentica: il riferimento alle fonti culturali di cui l’autore poteva disporre si combina qui con criterio della lectio difficilior. L’indagine va estesa alla tradizione letteraria e retorica a cui lo scrittore appartiene, ai modelli che imita, alle fonti alle quali si rifà. Queste possono diventare testimoni indiretti, con autorità decisiva per la scelta della lezione in singoli punti del testo. ESEMPIO: “I’ ho sì poco di quel ch’i’ vorrei” di Cecco Angiolieri, al verso II Ch → come fa del rie tempo l’on selvaggio Ba → cum faze dig rei tempi l’om(o) selvazo F5 → come fa de’ rei tempi l’om selvaggio Pe → si chom(o) fa del rio tempo l’om selvaggio L → sì come fa l’omo salvazo per lo rio tempo In questo verso si ha una “citazione” del Notaio: “sé com’omo selvaggio / faraggio, com’è detto - ch’ello fece: / per lo reo tempo ride”. Contro il plurale “de’ rei tempi” di Ba e F5, ma tenendo contro che la lezione più aderente alla fonte, offerta da L dipenderà dall’acuta memoria del singolo scrittore (Contini), sarà da accogliere: “Come fa del rio tempo l’om selvaggio”. e) Anche lo studio della “fortuna” di uno scrittore, cioè dell’influenza da lui esercitata sulla successiva tradizione letteraria e retorica, dei suoi continuatori ed imitatori, fa parte di quell’insieme complesso di conoscenze che riescono talora preziose per la fissazione del testo. ESEMPIO: Ai versi 25-26 della canzone del Notaio “Meravigliosamente” P → como quello che crede / salvarsi per sua fede. V e L ** → sì com’om(o) che si crede / salvarsi. ** strettamente imparentati e quindi contano come una sola testimonianza. Qui la “citazione” di Rinaldo d’Aquino nella canzone “In un gravoso affanno” 35-36 “Come quello che crede / salvarsi per la sua fede”, impone di scegliere la variante P. f) Va inoltre tenuto conto delle abitudini stilistiche (usus scribendi) dell’autore, Mass: “Per il giudizio della forma è decisivo lo stile dell’opera. Quindi il filologo dovrà continuamente sforzarsi in ogni modo per affinare il suo senso stilistico, anche se… deve riconoscere che l’intera vita di un uomo non basta per arrivare a una perfetta padronanza in questo campo”. XII. L’examinatio e l’emendatio Una volta condotte tutte le operazioni comprese sotto il nome di “recensio”, si dovrà procedere all’examinatio, cioè si dovrà esaminare ogni punto del testo tramandato, per stabilire se esso coincida o no col testo originale. Prima di ammettere la necessità di un emendamento, occorre avere esplorato tutte le possibilità d’interpretazione del testo tradito. Una gran parte degli errori di archetipo è già nota: perché sulla base degli errori indubitabili comuni a tutta la tradizione, è stata introdotta nello stemma quella X che rappresenta l’archetipo. Tuttavia, accade pure che un’attenta examinatio riveli errori che sono sfuggiti all’attenzione di editori e lettori. Qualora la forma del testo ricostruita attraverso la recensio non risulti originale, si cercherà di ricostruire la forma originale per congettura (divinatio): questa seconda fase della critica si chiama emendatio → a) La prima esigenza cui deve soddisfare un emendamento, per potersi dire buono,è di corrispondere al senso generale del passo e dello stile dell’autore. b) Costituirà inoltre un gran vantaggio che l’emendamento sia tale da chiarire il modo in cui si è prodotto l’errore. Per esempio, fra due possibilità di emendamento, scegliere quella che corrisponde a un tipo di errore più comune. c) Importa poi mettere gran cura nel localizzare con precisione l’errore, riducendo gli emendamenti al minimo indispensabile. L’operazione con cui da due (o più) lezioni erronee si ricava la lezione dell’archetipo → combinatio, quando le varie lezioni erronee conservino qualche porzione della lezione originaria. ESEMPIO: Al verso 19 della canzone del Notaio “Amor non vole ch’io clami” V → “Ch’este scita di savori” L → “Ch’este santa di savori” Cesareo ha ricostruito per combinatio: “Ch’este scinta di savori” ( =sfiorita). Nel caso prospettato di tradizione guasta nel suo insieme, e di diffrazione dei vari manoscritti, può accadere che una di tali lezioni si presenti come l’errore che ha provocato la diffrazione negli altri manoscritti. Parlando di scelta tra le varanti possiamo individuare due casi: 1. Una delle lezioni della tradizione, spiega le altre, e si può considerare come la lezione autentica. 2. La lezione che permette di spiegare le altre come tentativi di correzione è a sua volta erronea, costituisce un guasto che richiede di essere emendato per congettura. ESEMPIO: Verso 40 della canzone del Notaio “Ben m’è venuto prima cordoglienza” V → “Se sofera sgombra e vince ongne tardanza” P → “Chi sofra vince e sconpra ogni tardanza” L → “Chi sofra conpie e vince one acordanza” V e L si spiegano come tentativi di correzione del già erroneo “sconpra” di P, che doveva essere nell’archetipo X. La lezione di X abbisogna di ulteriore emendamento: e la congettura “compra” (Contini) spiega luminosamente tutte le forme della tradizione: “Chi sofra vince, e compra ogni tardanza” (Chi sopporta vince, e riscatta, compensa ogni ritardo). Se l’emendamento non è possibile, compito dell’editore è quello di localizzare almeno il guasto con la maggior precisione possibile. ESEMPIO: La novella LXV del Sacchetti “Così intervenne che signore e vin di fiasco, l’un era vino e l’altro l’ha disfatto” Qui non è facile correggere, ma si può almeno affermare con sicurezza che l’errore deve essere all’altezza del secondo “vino”, che è probabilmente errore di ripetizione. XIII. Le forme e la grafia È importante la questione delle forme e della grafia da adottare nell’edizione critica di un testo. Gli editori settecenteschi e ottocenteschi non esitavano ad ammodernare completamente la grafia ed anche la fonetica e la morfologia di un testo trecentesco. Con Parodi e Barbi prevalse il criterio di rispettare suoni e forme, e di eliminare le particolarità della grafia che si potevano e dovevano ritenere non corrispondenti a particolarità della pronuncia e del tempo dell’autore (criterio valido per autografi e testimoni). Metodo di Barbi nell’edizione del “Vita nova”: utilizzò un sistema che fu ritenuto l’ottimo per vari decenni, ma è incerto se renda in maniera proporzionata alla fatica che impone. Egli esaminò, in ogni punto del testo, le forme offerte dei manoscritti toscani migliori e più alti nello stemma, e sulle loro indicazioni si regolò per adottare l’una o l’altra forma di una determinata parola. Il carattere scientifico del procedimento è apparente: è dimostrato, infatti, che ogni copista rispetta fin dove può, e finché non gli accada di commettere un errore, la sostanza e la parole del testo, ma non la loro forma: in quest’ultimo campo, anzi, il migliore trascrittore è portato continuamente a sostituire le forme che gli sono familiari a quelle dell’esemplare da cui scrive. ESEMPIO: Toscaneggiamento delle rime siciliane. I codici non autografi dunque non sanno indicazioni precise in materia di forme, ed è un’illusione quella di poter ricostruire le forme del testo attraverso lo stemma così come si ricostruiscono i fatti sostanziali. Oggi prevalgono criteri diversi. Se il testo è conservato in autografo, l’edizione critica viene a coincidere in gran parte con l’edizione diplomatica. Il lavoro “interpretativo” consiste nella divisione delle parole, nello scioglimento delle abbreviazioni, nell’introduzione dei segni diacritici e di una punteggiatura ragionevole, che chiarisca e metta in rilievo il senso. Le cose non vanno molto diversamente se si ha un testimone unico, non autografo. Quando i testimoni sono parecchi, nella rilevata impossibilità di dedurre da un confronto delle testimonianze le forme e la grafia dell’autore, conviene scegliere il testimone più conservativo e comunque meglio “qualificato” dal punto di vista linguistico e seguire quello. Nella trascrizione: - si distingue u da v, si impiegano le maiuscole secondo le regole odierne, si normalizza l’uso del “q”, si adottano grafie moderne per le velari sorde e sonore, si trascrive con “e” sia “et” che “t”, si riduce alla norma l’uso dell’h nelle voci del verbo “avere”. - Altra questione è quella delle doppie. Da Parodi e Barbi in poi, era prevalso fino a ieri il criterio di ammodernare su questo punto. - Tuttavia nelle scritture fiorentine e toscane dal Duecento al Quattrocento è evidente una tendenza generale allo scempiamento in posizione protonica. Bisognerà introdurre la doppia solo in alcune forme. - In generale, i criteri attuali sono molto conservativi: le grafie latineggianti, ad esempio, si conservano, perché anch’esse contribuiscono al carattere letterario di una pagina. D’altronde la modernizzazione in molto casi non è possibile. Vi sono casi in cui una trascrizione modernizzante potrebbe operare solo su uno degli elementi della forma. - Per indicare i raddoppiamenti sintattici e nello stesso tempo la divisione delle parole, si è convenuto di adottare il punto in alto, già usato nella filologia provenzale. - Per i testi non toscani tanto più dovranno essere conservate le particolarità grafiche, le quali interessano anche la storia della grafia. - Per i testi settentrionali non occorre rilevare che vanno sempre rispettati gli scempiamenti, che non sono neppure un’abitudine grafica, ma corrispondo alla reale pronuncia. XIV. Ragioni metriche Per i testi poetici, oltre alle questioni attinenti forme e alla grafica, ci sono quelle riguardanti la versificazione, la rima, la struttura metrica. La misura del verso - In parte dei testi poetici più antichi non vige la ricorrente identità di misura sillabica propria, per esempio, della poesia siciliana: una tradizione che risale ai ritmi latini medievali, consente una certa escursione metrica. Per cui, in una serie di versi di una determinata misura, può comparirne qualcuno con una sillaba in più o in meno → anisosillabismo (Contini). - È consuetudine dei copisti sottoscrivere un punto espuntivo alle vocali che non entrano nel computo sillabico: ciò da indicazioni preziose sulla versificazione antica (NON è una consuetudine generale). - Per la misura del verso il toscano non tollera parole che terminano in consonante ≠ da -l, -r, -m, -n. Quindi, là dove i codici danno un verso apparentemente ipometro, ma comprendente una forma che termini in labiale o dentale o velare, l’editore può con sicurezza integrare la vocale mancante. - Circa la dialefe e la sinalefe, la dieresi e la sineresi, occorre tener presente che l’uso non è uniforme e dipende in larga parte non solo dall’età cui il rimatore appartiene, ma anche dalla finezza del suo orecchio e dalle sue disposizioni e capacità personali. - In testi toscani e centrali possono avere valore sillabico S + consonante e la š (sibilante palatale) iniziali di parola: cioè il poeta è libero di far precedere mentalmente quella che dai grammatici viene più tardi chiamata s impura e la s-palatilizzata da una vocale prostetica, che spesso non si scrive (ma che l’editore dovrebbe integrare). - Ogni vocale di parola latina inserita in un verso volgare ha valore di sillaba, come nella poesia latina sia classica sia medievale. Inoltre non si fanno elisioni tra finale vocalica e iniziale vocalica di parole latine, perché nella poesia latina medievale generalmente si evitano. Gli accenti e il ritmo: Dante e i teorici di poco posteriori (Antonio da Tempo e Gidino di Sommacampagna), non parlano mai degli accenti del verso, che forse non sono ancora fissati, cioè restano sostanzialmente questione d’orecchio. rapidamente il saliscendi dell’occhio può di volta in volta operare il controllo debito e verificare il rapporto filologico tra la lezione scelta e quella rifiutata. Tuttavia dal momento che apparato rappresenta soltanto la storia della trasmissione del testo e non quella del suo divenire artistico. - Diacronico (=riguardante l’evoluzione temporale) → il secondo tipo. Le varianti d’autore sono qualcosa di ben diverso dalle varianti della tradizione, e non possono rientrare nell’apparato tradizionale o “sincronico”. Per ciò occorre approntare un altro apparato, quello diacronico, in cui le varianti d’autore vengono dispose in ordine, fin dove è possibile, cronologico. Esso può chiamarsi diacronico, cioè in evoluzione temporale, appunto in quanto attesta e documenta la molteplicità e la dinamica del testo. Questo apparato non serve per la costruzione del testo, né per la sua verifica filologica, ma ci fornisce piuttosto la storia della formazione, ce ne documenta il progressivo svolgersi. Esso più precisamente si può chiamare: Genetico: quando attesta l’elaborazione dell’opera dal primo getto fino alle soglie della stesura definitiva. In questo rientreranno le varianti instaurative. Evolutivo: quando documenta i successivi mutamenti apportati dall’autore a un testo in un primo tempo considerato definitivo. In questo rientreranno le varianti sostitutive. Lo scopo di rappresentare la formazione del testo si può raggiungere anche con sovrapposizioni dell’interlinea o aggiunte marginali, e si possono fare didascalie a piè di pagina per illustrare la situazione obiettiva dei testi e le ragioni per cui le varianti sono state disposte nell’edizione in un determinato modo. L’importante è che il lettore sia messo in condizione di ripercorrere agevolmente i vari momenti dell’elaborazione dell’opera secondo la sua probabile linea di sviluppo. Quasi ogni testo che abbia varianti d’autore avrà nell’edizione critica due apparati. → Naturalmente, non è sempre possibile costruire un apparato diacronico, a causa della complessità e ampiezza del materiale che dovrebbe entrarvi: sarà opportuno, in certi casi, disporlo in una vera e propria appendice al testo critico. → Altrove sarà preferibile disporre le varianti d’autore a piè di pagina, ed errori di trasmissione in appendice. → Altre volte sarà opportuno disporre l’una di fronte all’altra due stesure o redazioni successive, corredando ciascuna di essere di un apparato diacronico generico che mostri le forme per le quali è passato il testo. I modi di dar conto delle forme assunte dal testo e del lavoro dell’autore, attorno ad esso, saranno diversi in rapporto con la maggiore o minore ampiezza dei mutamenti, con la frequenza delle varianti d’autore e dei ritocchi, col numero di redazioni dell’intero testo o col numero di varianti d’autore esistenti per ogni punto di esso, e così via. Non esiste una regola che valga per qualunque caso, perché i problemi sono estremamente vari e ciascuno richiede una soluzione particolare. II. Opere con redazioni doppie o plurime Opere trasmesse in due redazioni ESEMPIO → La “Vita” di Alfieri: - La prima stesura occupa il Manoscritto 13 che si conserva nella Biblioteca Laurenziana. Questo esemplare, a caratteri piccoli e uguali, a linee fittissime, con pentimenti, cancellature e correzioni poco numerose, NON è il primo abbozzo della “Vita”, ma è una trascrizione autografa di un’opera già elaborata. La trascrizione fu compiuta tra l’aprile e il maggio del 1790 a Parigi, infatti, all’inizio di legge la data 3 Aprile 1970, Parigi. Esso non ha nulla dell’inevitabile schematismo di un abbozzo: il racconto è già stato compiutamente e definitivamente disegnato. - La stesura definitiva è contenuta nel manoscritto 24, si tratta di due volumetti, il primo dei quali reca in corsivo l’autografo: Vittorio Alfieri / Firenze 1796. Nel 1798 l’autore cominciò a correggere e trascrivere la “Vita”, finì con col capitolo XIX nel Maggio del 1803. In seguito, morto Alfieri, il suo ultimo segretario (Francesco Tassi), copiò nel Manoscritto 24 la seconda parte e per la copiatura della prima parte si basò sull’autografo del manoscritto 13. SE si confrontano le due stesure, si costata facilmente che quasi ogni riga ha subito correzioni e modifiche in senso “alfieriano”. A volte la rielaborazione a cui l’artista sottopone la sua opera è così profonde, che conviene, o stampare a fronte i due testi, o addirittura stamparli come due opere separate. Tre redazioni successive della stessa opera ESEMPIO → L’ “Orlando furioso”: A: Ferrara, per Maestro Giovanni Mazocco, dal Bondeno, 1516. B: Ferrara, per Maestro Giovanni Battista de la Pigna, Milanese, 1521. C: Ferrara, per Maestro Francesco Rosso da Valenza, 1532. Gli esemplari di C si dividono in due tipi (a seconda del foglio di stampa): Tipo 1° Contiene certe lezioni o refusi respinti di Ariosto. Tipo 2° Forme volute dal poeta. → Essi differiscono sporadicamente l’uno dall’altro per una serie di lezioni mutate quando la stampa era già in corso. Cesare Segre ha apportato l’edizione critica dell’ “Orlando furioso” con esauriente apparato diacronico: - C era già stato edito da Debenedetti. - A e B erano stati riprodotti in edizione diplomatica da Ermini. - Il Segre ha posto a base dell’edizione il testo di C, nei suoi esemplari di Tipo 2°. - A piè di pagina sono date le lezioni di A e B che furono rifiutate dall’autore nell’ultima redazione. - Sono in corsivo le parole diverse da quelle del testo definitivo. - È indicata con C* la lezione degli esemplari di C del Tipo 1°. - In fine al volume alcune tavole tengono luogo dell’apparato sincronico. - La tavola I raccoglie le lezioni di C che devono essere ritenute erronee; la prima colonna contiene gli errori seguiti da B quando essi provengono dalla stampa precedente. La seconda colonna contiene le lezioni accolte nell’edizione. - Sono escluse da questo elenco le lettere capovolte/ripetute/difettose, gli errori nella separazione delle parole, gli e o gli et per “è” o viceversa, nonché tutti i particolari ortografici regolarizzati secondo le norme che l’editore ha precedentemente enunciate nella stessa nota. - Nelle tavole II e III sono elencati i refusi e le lezioni erronee sfuggite per distrazione all’Ariosto nelle edizioni A e B. III. Varianti “redazionali” trasmesse dalla tradizione manoscritta e intervento di rimaneggiatori Vi sono nella tradizione manoscritta di certi componimenti “varianti redazionali” che si possono e si debbono considerare “varianti d’autore”: lo scrittore avrebbe diffuso il suo testo più di una volta in forme lievemente diverse; avrebbe, cioè, apportato correzioni al testo già “pubblicato”, prima di lasciarne trarre copie ulteriori. Ci prospettiamo una situazione del genere solo quando le varianti compaiono in sezioni diverse della tradizione manoscritta. In simili condizioni, non è lecito costruire un solo testo immaginario, che risulterebbe un’ibrida contaminazione di stadi differenti del testo reale, storicamente esistito, e occorre stampare separatamente i due stadi, o dare l’uno nella parte superiore della pagina, e le varianti dell’altro in apparato. A volte, non siamo in grado di attribuire senz’altro all’autore le varie forme trasmesse di un medesimo testo, e sospettiamo ce sia interventura durante la trasmissione l’opera di un rimaneggiatore. Tuttavia, non avendo elementi sufficienti per distinguere l’autentico dal non autentico, dobbiamo rassegnarci ad adottare lo stesso procedimento che si è prospettato per i testi con varianti redazionali indubbiamente risalenti all’autore: dobbiamo astenerci dal confondere quelle che possono essere scelte successive dell’autore e un testo ritoccato da altri. L’intervento di un rimaneggiatore è certo in determinati casi: e non sempre il testo rimaneggiato è da mettere da parte come inutile: la sua restituzione nella forma originale (autentica nei riguardi del rimaneggiatore) può interessare, sia come momento della fortuna del testo primitivo. Sia come documento di storia culturale. ESEMPI: A) Varianti d’autore Il codice E (Biblioteca di Madrid) è uno dei più antichi e importanti di rime dello Stil novo. Questo reca otto sonetti della “Vita Nuova”, che va escluso siano attinti all’opera già composta, e che presentano varianti interessanti rispetto alla tradizione “organica” dell’opera. Per almeno cinque di questi sonetti, in E, e in altri codici della tradizione lirica, vi sono varianti redazionali che non compaiono in nessuno degli ottanta manoscritti della “Vita Nuova”. Il De Robertis commenta: “Il fatto che le lezioni indifferenti, di tipo redazionale, siano attestate in tutta una serie di manoscritti antichi e autorevoli, non raggruppabili (ovvero tali lezioni caratterizzano codici che non paiono risalire a un testo organico della “Vita Nuova”, avvalorerebbe l’ipotesi che esse siano la traccia di redazioni anteriori alla sistemazione del libro. In una parola → varianti d’autore”. VI. L’edizione di sillogi L’edizione di un corpus di rime antiche presenta difficoltà diverse, e spesso più gravi, di quella di un’opera unica. Il compito dell’editore può essere: a) Di raccogliere tutti i componimenti di un autore; b) Di raccogliere tutti i componimenti di un determinato genere, anonimi o appartenenti ad autori diversi. La classificazione dei testimoni si ottiene, in certi casi, partendo al complesso delle rime che vi sono comprese; in altri casi, una serie di stemmi relativi a singoli componimenti permetterà di stabilire relazioni tra le antiche sillogi che li contengono. La differenza (tra i due metodi di classificazione) sta nello scopo che ci si propone: gli studi sui canzonieri, sui laudari, sui codici di rime, considerati nel loro complesso, sono preparatori delle edizione critiche di uno o più autori, ma di solito non sboccano immediatamente in una di tali edizione; mentre gli stemmi relativi a singoli componimenti ne accompagnano generalmente l’edizione critica, e solo in seconda istanza ed eventualmente in altra sede servono a stabilire relazioni complessive tra i codici. Il Barbi ha indagato sulle relazioni intercorrenti tra folti gruppi di codici partendo dalla loro composizione, è infatti intuitivo che, manoscritti che contengono le stesse rime, disposte nel medesimo ordine → devono essere in rapporto tra loro. L’esame del testo, con rilievo degli errori e lezioni caratteristiche, ha permesso a Barbi di stabilire “l’orientamento” di quei rapporti. ESEMPIO: L’indagine relativa al testo di undici canzoni contenute in tre manoscritti, V / L / P, permise a Contini di stabilire l’ipostesi di un archetipo toscano per quasi tutto o per tutto il materiale siciliano. Come si prepara l’edizione critica di un corpus di rime Le situazioni testuali che si presentano all’editore sono svariatissime: - In casi particolarmente fortunati, delle rime di un autore antico possediamo l’autografo → il lavoro dell’editore è allora relativamente facile, NON deve essere comunque meccanico. - A volte accanto all’autografo esiste una tradizione di rime estravaganti. ESEMPIO: Di Franco Sacchetti abbiamo le “Rime e le Sposizioni di Vangeli” conservati nell’autografo Laur. Ashb. 574 14. Solo una canzone estravagante è trasmessa in un altro codice. - Per un gruppo di componimenti come per un’opera singola, la situazione è sfavorevole quando si possiede un unico testimone non autografo, perché i guasti sono spesso senza rimedio. ESEMPIO: I componimenti di Giacomo Pugliese, sono trasmessi così → 6 in V → Un settimo in L MA le due testimonianze si riducono a una, perché VL hanno un antigrafo comune già guasto e in alcuni casi ci sono lacune che NON si possono colmare. - La situazione testuale è migliore quando le rime di un autore si hanno più testimoni, che contengono l’intero corpus disposto in ordine constante: l’edizione di una serie di componimenti non differisce allora molto da quella di un’opera unica. Tuttavia, non accade quasi mai che sillogi manoscritte coincidano completamente fra loro per ampiezza (un copista lascia cadere qualche componimento o ne deriva altri da fonti diverse): allora bisogna ricostruirle attraverso l’esame minuzioso della lezione, e disegnare stemmi diversi per ognuna. In tutti casi di tradizione complicata, con attestazioni multiple e variabili da componimento a componimento, è consigliabile o addirittura necessario preparare uno stemma per ogni componimento. Si dovrà saggiare la possibilità di considerare insieme poesie che per la costanza del loro raggruppamento sembrino trasmesse insieme. Ma, all’infuori di questo caso, ciò che permetterà di parlare nello stesso tempo di più testi trasmessi sparsamente dei medesimi testimoni, sarà, al contrario, l’avere accertato, che relativamente ad essi, i testimoni mostrano fra loro rapporti costanti. - La costruzione di stemmi singoli è necessaria anche quando si conoscono nel loro insieme le traslazioni tra i codici miscellanei contenenti le rime o parte delle rime che interessano. La conoscenza di tali relazioni facilita indubbiamente il lavoro dell’editore: il quale peraltro, attraverso lo studio più minuto della lezione, può apportare precisazioni e rettifiche alle costruzioni esistenti. - Talora, la natura della trazione e lo stato degli studi sono per un perso più e per un verso meno favorevoli. Per esempio, accade che i codici maggiori, presentano le rime di un autore in serie compatte e costanti, cioè offrono le condizioni migliore per una classificazione complessiva, siano stati soltanto raggruppati sommariamente in base all’indice dei capoversi, e che esistano, per un certo numero di componimenti testimonianze sparte, esterne, a quelle dei codici maggiori. Sia per precisare le relazioni tra i codici più ricchi, sia per tenere conto delle testimonianze più limitate e sporadiche, occorrerà anche qui classificare componimento per componimento. → Dalla serie di stemmi che accompagnano l’edizione di singoli componimenti, si risale ai rapporti d’insieme tra i codici che contengono quei componimenti. Per quanto riguarda la classificazione, meglio uno sforzo sproporzionato ai risultati conseguibili, che una “ solution de paresse ”; tanto più che di là dia risultati immediati, relativi alle singole canzoni, c’è sempre il problema dei rapporti tra i vari canzonieri, che i confronti in blocco sono insufficienti a risolvere, e che solo potrà risolversi, o avviarsi a soluzione, attraverso il confronto dsi un gran numero di stemmi singoli. VII. Carteggi ed epistolari Occorre distinguere chiaramente tra raccolta di lettere ed epistolario. La raccolta di lettere, di solito messa insieme postuma dagli studiosi, comprende tutte le lettere scritte per uno scopo pratico, in riferimento a circostanze concrete, ed effettivamente spedite ad un destinatario. L’insieme di queste lettere, costituisce il carteggio di colui che le ha scritte. Prima di pubblicare le lettere di uno scrittore o di un qualsiasi personaggio storico, occorre fare ricerche (spesso lunghe e difficili) per rinvenire tutte le lettere superstiti, che ci trovano nelle raccolte di autografi delle Biblioteche, o tra carte provenienti da determinate famiglie negli Archivi, di Stato o altri, oppure esistono ancora presso privati, discendenti o eredi dei destinatari. È fatale che le ricerche non siano mai abbastanza estese e che nella maniera e nei luoghi più impensati si scoprano nuove lettere autografe o copie. ESEMPIO: Le lettere di Fulvio Testi furono pubblicate nel 1967, meno di cinque anni dopo un grosso supplemento comparve negli “Studi seicenteschi”. → Bisogna in queste ricerche stare attentissimi a evitare le falsificazioni, numerose e frequenti. ESEMPIO: Furono pubblicate tra le lettere di Leopardi due suppliche del 1819 a Papa Pio VII (una per ottenere le licenza di leggere libri proibiti + una per ottenere un impiego presso a Biblioteca Vaticana, nonché una lettera del cardinale Alessandro Mattei a Leopardi a proposito di tale impiego) si scoprì che queste erano una falsificazione perpetrata dall’abate Giuseppe Cozza - Luzi nel 1898. Il metodo di pubblicazione di lettere è quello strettamente diplomatico: occorre rispettare tutte le particolarità grafiche e anche l’interpunzione originaria, questa andrà completata solo per gli autori più antichi, che spesso la omettono quasi del tutto. Ci sono casi in cui le lettere di un personaggio, o almeno un grosso nucleo di esse, dirette a un medesimo destinatario, si trovano raccolte in uno stesso archivio. Spesso tuttavia l’autografo è andato perduto e ogni lettera ha una trasmissione a sé, attraverso apografi più o meno numerosi. In questi casi l’originale, viene ricostruito mediante la recensio e l’emendatio, come qualsiasi altro testo. L’epistolario è un’opera unitaria messa insieme con intenti d’arte dallo stesso autore che allo scopo o compone lettere fittizie, di tono sapientemente adeguato ad un contenuto non occasionale e pratico, indirizzate magari a un destinatario preciso ma in realtà volte a un’ampia cerchia di lettori, o modifica in maniera più o meno profonda lettere realmente spedite e spesso ne altera o nasconde la destinazione e la data. ESEMPIO: Epistolario di Petrarca + molti umanisti quattrocenteschi ebbero cura di trasmettere alla posteriorità il loro epistolario. Il più antico degli epistolari in volgare è costituito dalle “Lettere” di Pietro Aretino, in sei volumi, il primo dei quali uscì a Venezia nel 1537. L’epistolario, essendo o pretendendo di essere una creazione artistica, viene generalmente trasmesso e va edito come qualsiasi opera unitaria, secondo le norme della critica testuale. Ogni “epistolario” dovrebbe essere pubblicato così come fu concepito e ordinato, senza alcuna omissione, e senza alcun arbitrario intervento. Anche gli errori delle date vanno rispettati, quando si sia raggiunta la certezza che essi furono consapevolmente voluti; e anche le intestazioni degli indirizzi e la varietà del modo di sottoscrivesi, qualora ci fosse. A correggere storiograficamente quando occorre correggere, soccorre sempre una Nota al testo. Se parte delle lettere comprese in un epistolario è stata per un qualunque ragione separata dal corpo dell’opera e ha avuto una trasmissione a sé, bisogna utilizzarne i testimoni come si utilizza qualsiasi tradizione parziale o frammentaria. Invece le lettere estravaganti dovrebbero costruire una raccolta a parte, ordinata cronologicamente. Stabilire un ordinamento del genere equivale a stabilire una cronologia relativa alle versioni. In questa operazione soccorrono: a) Le testimonianze antiche → si vogliono intendere i riferimenti e le citazioni che si trovano in testi letterari delle età passate. b) Gli elementi interni → è da notare che si applica anche ai canti popolari il criterio della lectio difficilior, tra due lezioni, sarà più antica quella meno banale. c) Le norme areali → queste sono prese in prestito dalla linguistica, in fatto di lingue le innovazioni si irradiano dal centro verso la periferia, e a volte non raggiungono le aree laterali o isolate, le quali, essendo più conservative, presentano di norma le forme più arcaiche. Così avviene anche per i canti popolari, di modo che le norme delle aree laterali, dall’area più isolata e dall’area seriore, sono lo strumento a volte unico, a volte più importante per determinare la cronologia relativa di due o più versioni, per distinguere tratti arcaici da tratti recenti. PARTE TERZA I. Problemi di fonti A piè di pagina, in un apparato differente da quello sincronico degli errori di trasmissione e differente da quello diacronico delle varianti d’autore, insieme coi loci paralleli e colle imitazioni e citazioni posteriori, vanno messe le “fonti”, cioè i passi di scritti precedenti che l’autore del quale si dà l’edizione abbia imitati o mostri di ricordare con allusioni e riferimenti espliciti. ESEMPIO: Nel preparare l’edizione di una laude di Bianco da Siena, si sono messi in apparato tutti i passi, specialmente dei “Salmi”, utilizzati dallo scrittore. Spesso le “fonti”, come pure le imitazioni e le citazioni posteriori ( = la tradizione indiretta), servono a scegliere tra le varianti adiafore o indifferenti. ESEMPIO: Nel “Convivio” III XIV 8 Dante dice che per amore della Sapienza “Democrito, de la propria persona non curando, né barba né capelli né unghie si togliea”. A prima vista, sembra più ragionevole la lezione di qualche codice: “si tagliava” ≠ si togliea. MA la “fonte” di Dante, l’“Ars poetica” di Orazio decide per lectio difficilior messa testo. Talora l’esame di una fonte permette di far risalire a queste uno sbaglio, altrimenti inspiegabile, di uno scrittore. Sono casi in cui l’errore è, ovviamente, da considerare lezione “autentica” e quindi da rispettare. ESEMPIO: Nel “Purgatorio” XXXIII 49-50 Dante fa dire a Beatrice: “Ma tosto fier li fatti le Naiade / che solveranno questo enigma forte” (presto i fatti saranno le Naiadi che scioglieranno questo difficile enigma). A prima vista, il riferimento alle Naiadi, divinità fluviali, come a ninfe fatidiche, appare strano. La spiegazione è nel testo delle “Metamorfosi” dove di parla di “Laiades” → cioè di Edipo, figlio di Laio, che aveva spiegato l’enigma proposto dalla Sfinge. Evidentemente Dante nel suo testo leggeva “Naiades” che è la lezione effettivamente presente nei codici ovidiani. Per questa via si giustificano anche le parole-fantasma, che a volte entrano poi di pieno diritto nella tradizione letteraria. Non è raro che l’esame di una fonte suggerisca una correzione o un’integrazione del testo trasmesso. Accade che lo studio delle fonti, pur senza permettere di ricostruire il testo originario, serva almeno ad escludere un emendamento o un’integrazione sbagliata. II. Problemi di attribuzione questioni di autenticità Tra i problemi che l’editore di testi antichi deve più spesso affrontare, ci sono quelli relativi, all’attribuzione di certi componimenti. → I problemi di attribuzione sono i seguenti: a) Uno stesso componimento viene attribuito da testimoni diversi ad autori diversi: si tratta di stabilire qual è il vero autore. b) Un componimento è trasmesso anonimo da tutta la tradizione: occorre ricercare se si possa unirlo alla produzione di un autore noto, o anche trovargli un autore altrimenti ignoto. c) Assai più raramente, componimenti di autori diversi sono stati confusi sotto il nome di uno dei due: compito del filologo è allora di distinguere e separare la produzione dell’uno da quella dell’altro autore. → La questione di autenticità tipica può essere prospettata nel modo seguente: un componimento è trasmesso fra quelli di un autore, ma vi sono sospetti che non gli appartenenza, cioè che sia apocrifo; bisogna decidere se, appunto, i documenti a disposizione sono favorevoli all’autenticità o all’apocrifia. Si dà il caso che un componimento apocrifo vada semplicemente restituito all’anonimato; MA talora si riesce anche a individuare l’autore vero. Importanza dello stemma nella costruzione del “corpus” di un autore Specialmente quando non si fa l’edizione di un testo unico, ma di una serie di testi brevi (liriche, laudi, ecc.), si possono trovare nei testimoni due o più attribuzione diverse per un medesimo componimento, e bisogna decidere se il componimento appartiene all’autore di cui ci si occupa, o ad un altro. Per lo più i problemi di attribuzione si risolvono dopo la costruzione dello stemma, o almeno dopo lo studio e l’ordinamento del materiale manoscritto, perché solo ciò può dimostrare sia quali sono i testimoni più attendibili, sia in quale punto della tradizione e in quale modo è nata, per confusione o per arbitrio di un copista o di un raccoglitore, l’attribuzione erronea. ESEMPIO: Monteverdi ha indagato la consistenza del patrimonio poetico di Federico II, facendo giustizia sulla falsa interpretazione delle rubriche dei codici, per la quale si credeva autore delle canzoni di Federico II il figlio illegittimo Federico d’Antiochia. → Quando un problema di attribuzione non è risolvibile, si costruisce un’appendice dei componimenti dubbi. ESEMPIO: Così è stato fatto da Barbi e Contini per le “Rime” di Dante. In linea di principio va osservato quanto segue: 1. La prevalenza numerica dei codici che forniscono una determinata attribuzione, non conta nulla: attendersi ad un principio di questo genere per risolvere un problema d’attribuzione sarebbe come tornare al criterio dei codices plurimi nella scelta di una lezione. 2. Fra l’attribuzione a uno scrittore famoso, e quella a uno scrittore meno noto, ha ovviamente più probabilità di essere vera la seconda. Questo criterio è, nelle questioni dia autenticità, il corrispettivo del criterio della lectio difficilior nella scelta delle lezioni. Gioco dei dati di fatto e degli elementi storici nei problemi d’attribuzione Oltre ai rapporti tra i testimoni, infiniti sono gli elementi che accade di dover prendere in considerazione per risolvere un problema di attribuzione o una questione di autenticità. Prima di tutto, vanno esaminati gli elementi interni, di contenuto. → A volte non basta neppure una testimonianza concorde e non contraddetta perché si possa accettare l’autenticità di un componimento. → Elementi interni ed esterni permettono talora di espungere dal corpus di uno scrittore componimenti apocrifi che ci siano insinuati. → Elementi esterni di varia natura hanno permesso di dare un nome d’autore a opere giunteci anonime. NON bisogna essere corrivi nelle attribuzioni di cose anonime: occorrono anzi molta prudenza e solide prove per dare a uno scrittore noto o altrimenti ignoto opere sul cui autore la tradizione non dica nulla. L’esame dello stile per la soluzione dei problemi di attribuzione e delle questioni d’autenticità Per decidere fra diverse attribuzioni della tradizione o per dimostrare che determinati componimenti giuntici anonimi vanno aggregati al corpus di un autore, bisogna spesso ricorrere all’esame dei mezzi espressivi, cioè ad un’analisi stilistica. ESEMPIO: Tale analisi è stata esercitata da Contini sulle “Rime dubbie” di Dante. L’esame stilistico conferma la legittimità di un’attribuzione che già dati esterni rendevano probabile. Più raro è il problema di separare componimenti andati confusi nella tradizione sotto un solo nome ma certo di autori diversi. III. Il commento ai testi 1. Generalità L’interpretazione del testo, che deve aver guidato in ogni momento il curatore durante il lavoro di edizioni, si esplica spesso in un commento, che vale a comunicare al lettore le certezze acquisite e gli permette di penetrare a sua volta con sicurezza e significati particolari e il significato generale dell’opera. Il commento di più stretta competenza del filologo chiarisce prima di tutto la lettera, spiegando il significato dei singoli vocaboli e mettendo in evidenza i rapporti dei vocaboli fra loro, cioè la struttura sintattica di cui fan parte. Dati storici ed eruditi valgono nella misura in cui sono essenziali alla comprensione, è necessario che questi siano completi e precisi.
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