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Riassunto "L'età moderna. Dalla scoperta dell'America alla restaurazione", Sintesi del corso di Storia Moderna

Sintesi dettagliata del libro di Francesco Benigno di Storia Moderna (fine '400 - metà '800)

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Scarica Riassunto "L'età moderna. Dalla scoperta dell'America alla restaurazione" e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Riassunto per esame di Storia moderna. PARTE GENERALE - L’ETÀ MODERNA CAPITOLO 1 - IL SOGNO DELL’IMPERO, LA REALTÀ DI MONARCHIE E REPUBBLICHE Nel XVI sec. si concentra nelle mani di Carlo V il governo di un grande ed eterogeneo conglomerato di territori di cui è il naturale sovrano: domini della casa d’Asburgo in Austria, eredità borgognona (Francia Contea e Paesi Bassi), corone di Castiglia e di Aragona, inclusi i regni di Sardegna, Sicilia e Napoli e le nuove colonie americane; inoltre divenendo nel 1519 imperatore controlla indirettamente gran parte dell’attuale Germania e la Boemia, suddivise in principati, vescovati e città indipendenti. Seppur ormai decaduto e circoscritto alla realtà germanico-boema l’impero conferisce ancora all’imperatore una teorica superiorità rispetto agli altri sovrani e costituisce una fondamentale risorsa di legittimazione giuridica e politica per poteri di natura “pubblica” (principi, città, feudatari, signori) e “privata” (corporazioni, comunità, istituzioni ecclesiastiche). Il sogno di Carlo V è la restauratio imperi: egli possiede teoricamente le risorse economiche e forze in grado di assoggettare l’intero continente europeo, ma il suo sogno si dimostra, tuttavia, irrealizzabile. Il tramonto di questo sogno è visibile anche nella decisione di Carlo V di dividere l’eredità asburgica, lasciando al figlio Filippo II le corone di Castiglia e di Aragona e i territori italiani e dell’eredità borgognona e al fratello Ferdinando la successione al trono imperiale, i possedimenti asburgici in Austria e le corone di Boemia e Ungheria, recentemente acquisite. Inoltre è opportuno ricordare la forza dei nuovi processi che investono l’Europa tra ‘400 e ‘500: la fine dell’unità religiosa cristiana, i nuovi equilibri territoriali determinati dall’avanzata dell’impero ottomano nel Mediterraneo, l’avvio dello sfruttamento delle Americhe e il consolidamento di forti poteri monarchici nelle più importanti nazioni europee. LE NUOVE MONARCHIE Avvenimento importante all’inizio dell’età moderna è la formazione di poteri monarchici, in cui si assiste alla creazione delle strutture burocratiche e alla graduale trasformazione del ruolo della monarchia e dell’immagine dei monarchi. Il re, a somiglianza di Dio, era immaginato come colui che punisce e premia, raddrizzando i torti e ricompensando i meriti, l’unica autorità terrena in grado di riportare un’armonia sociale continuamente messa a rischio dalle passioni e dai peccati degli uomini. Le qualità del sovrano erano l’equanimità e la magnanimità, le funzioni la protezione dei beni e delle vite dei sudditi e la difesa della religione cristiana. Tra ‘400 e ‘500 si aggiungono nuove prerogative che derivano dalla crescente capacità di controllo di vasti possedimenti territoriali, ad esempio l’aumento della capacità di prelievo fiscale: attraverso l’ampliamento della potestà di imporre e incassare tasse le corone riescono a finanziare apparati burocratici stabili (stipendiati) ed eserciti e flotte potenti permanenti. Questa affermazione di potenza ha due conseguenze: 1. Inclinazione dei sovrani a liberarsi di ogni struttura di potere che minacci o condizioni quello della corona: grandi feudatari, città autonome: accresce il controllo territoriale; 2. Tendenza dei sovrani a porre la loro sovranità come indipendente da ogni altro potere esterno e considerarla come voluta direttamente da Dio: tendenza a subordinare le strutture ecclesiastiche al controllo della corona. I processi di irrobustimento delle monarchie contribuiscono allo sviluppo di tradizioni e di costumi comuni e all’acquisizione da parte delle classi dirigenti della consapevolezza di far parte di un unico organismo politico, vincolato alla continuità delle proprie tradizioni, leggi e costumi. Secondo lo storico ottocentesco svizzero JAKOB BURCKHARDT l’accentramento politico e l’omogeneizzazione amministrativa hanno la propria radice nella cultura rinascimentale, una cultura in cui lo Stato e la politica vengono percepiti non come riflesso della volontà divina, ma come artifizio umano, fino ad assumere la forma di una vera e propria opera d’arte creata dalla virtù di un principe. La creazione di un’entità superiore quale la monarchia, incentrata sulla figura del sovrano, è parsa agli storici il presupposto necessario per l’affermazione di un positivo e progressivo principio di tendenziale uguaglianza dei sudditi. Lo storico inglese John H. Elliot parla di “monarchia composita” per indicare gli agglomerati politico-territoriali su cui governavano i sovrani europei della prima età moderna. LA FRANCIA. È la prima e più importante monarchia sulla scena europea, retta dalla dinastia dei Valois. La guerra dei Cent’anni (1337-1453) consente ai sovrani francesi di cementare l’unità del regno nella difesa dalle pretese di dominio inglesi. I sovrani sono, inoltre, attenti ad attaccare ed eliminare i domini feudali autonomi, potenziali pericoli per la stabilità della corona, come il ducato di Borgogna, disintegrato da re Luigi XI di Valois dopo averne sconfitto l’ultimo duca Carlo Il Temerario nel 1477. Luigi XI, inoltre, annette al regno di Francia altri nuclei territoriali, come l’erdeità dell’estinta dinastia degli Angiò (Maine e Provenza). Il successore Carlo VIII completerà il processo ereditando la Bretagna, grazie al matrimonio con l’erede di questo territorio Anna. Tale percorso di aggregazione territoriale è sostenuto dal rafforzamento dell’esercito, reso possibile con l’imposizione di nuove tasse (taille sui focolari domestici, aides sui beni di consumo corrente, gabella del sale), ed è accompagnato dal crescente controllo sulla Chiesa francese, dalla creazione di un’amministrazione stabile e dalla riorganizzazione degli apparati giudiziari. I successori Luigi XII d’Orléans, Francesco I ed Enrico II cercheranno di limitare sulla scena europea la potenza della rivale casa d’Asburgo sfruttando il terremoto provocato dalla Riforma. L’INGHILTERRA. Alla guerra dei Cent’anni (1337-1453) segue la Guerra delle due rose (1455-1485) tra la casata degli York e quella dei Lancaster per la successione al trono come eredi dei Plantageneti. Questo conflitto indebolisce l’autonomia della corona rendendola fortemente dipendente da aristocrazia, Parlamento, clero e città. Solo con Enrico VII Tudor, erede dei Lancaster e marito di Anna di York, la monarchia inglese ritrova una capacità di azione politica tramite la riorganizzazione del sistema fiscale e la creazione della Camera stellata (tribunale di diretta dipendenza regia. Il figlio Enrico VIII Tudor continuerà la politica di espansione commerciale e marittima sostenuta da una robusta flotta militare che farà l’Inghilterra protagonista dello scenario europeo; inoltre durante il suo regno avviene la separazione della Chiesa d’Inghilterra da quella di Roma: nascita della Chiesa anglicana controllata dalla corona. LA PENISOLA IBERICA. Troviamo quattro grandi aree: - Regno di Portogallo (ovest); - Regno di Castiglia (centro); - Regno di Navarra (nord); - Corona di Aragona comprendente diversi regni e principati (est). Il Portogallo, con la dinastia degli Avi, intraprende tra ‘400 e ‘500 l’esplorazione a scopi commerciali della costa atlantica dell’Africa e legando la propria crescita economica ai traffici commerciali della corona dà vita a una rete marittima di scambi tra Europa e Africa occidentale. Con il matrimonio nel 1946 dei “re cattolici” Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia le sorti dei due regni si uniscono, pur mantenendo leggi e istituzioni distinte, e verrà portata a termina la reconquista della Castiglia meridionale, rimasta sotto il dominio arabo musulmano. Con la presa di Granada del 1492 viene abbattuto l’ultimo regno arabo della penisola iberica, ma i re cattolici si trovano a governare su una popolazione composta, oltre che da cattolici, da ebrei e islamici. Grazie anche alla creazione nel 1478 dell’Inquisizione spagnola, posta da papa Sisto IV alle dirette dipendenze della corona, i re cattolici cercano di imporre l’uniformità religiosa cristiana procedendo con l’espulsione degli ebrei dai loro territori (1492) e la conversione forzata al cristianesimo della popolazione di fede musulmana presente nei loro territorio (1502). Rimane, però, una buona percentuale di ebrei convertiti (marranos) e di musulmani convertiti (moriscos) che porterà alla diffusione della discriminazione razziale che si afferma, soprattutto con la preoccupazione per la “limpieza de sangre”, ovvero la purezza di sangue cristiano garantita dall’assenza di antenati di religione ebraica/musulmana. Con l’acquisizione di Ferdinando di gran parte del regno di Navarra, spartito con la Francia, la penisola iberica, eccetto il Portogallo, diviene un’unica entità dinastico-territoriale, che comincia ad essere denominata Spagna. LE VECCHIE REALTÀ Nell’Europa di inizio età moderna oltre alla crescita delle “nuove monarchie” sopracitate, troviamo la presenza di regni, principati indipendenti e città autonome, ma anche ampi territori soggetti all’autorità del Sacro romano impero della nazione germanica o facenti parte dello Stato della Chiesa. LA GERMANIA. All’epoca è sotto la sovranità nominale del Sacro romano impero ed è composta da piccole città-Stato (Norimberga), principati laici (ducato di Sassonia) e principati ecclesiastici (arcivescovado di Brema). Le principali differenze tra l’impero e le nuove monarchie sono: - il carattere elettivo e non ereditario del titolo imperiale: dalla “bolla d’oro” del 1356 l’imperatore è eletto da quattro elettori laici (Boemia, Sassonia, Palatinato, Brandeburgo) e tre ecclesiastici (Colonia, Magonza, Treviri); - l’esistenza in tutto il territorio dell’impero di poteri autonomi formalmente soggetti all’autorità imperiale, ma in sostanza svincolati dal suo potere. La forza del nuovo modello regio si farà sentire anche nelle terre dell’impero: la carica imperiale diviene da elettiva a quasi ereditaria: dal 1438 l’imperatore viene eletto sempre fra i membri della dinastia Asburgo. Nel corso del ‘400 la politica degli Asburgo è duplice: - puntano a mantenere il titolo imperiale all’interno della famiglia e a rafforzare i poteri di coordinamento e di legislazione ad esso connessi; - tendono ad ampliare i propri domini diretti e ad accrescere in essi il proprio potere per trarne le risorse indispensabili a rafforzare l’autorità imperiale. L’IMPERO OTTOMANO. A Costantinopoli, ribattezzata Istanbul, si erano insediati i sultani ottomani che avevano edificato nel Mediterraneo orientale e nei Balcani un vasto aggregato statuale, l’impero ottomano, che faceva perno sull’attuale Turchia e comprendeva province e potentati semiautonomi, ma tributari del sultano dal punto di vista fiscale e tenuti a fornire uomini e mezzi per esigenze militari della politica di espansione nel bacino del Mediterraneo. La fede è quella musulmana, ma all’interno ci sono sudditi di differenti culti che vengono tollerati. Debolezze strutturali: - difficoltà a governare grandi estensioni territoriali diversificate al loro interno e spesso non contigue territorialmente, aventi istituzioni e tradizioni differenti; - alla religione musulmana ufficiale adottata dai sultani ottomani, credo sunnita, si contrappone il credo sciita, versione più rigida dell’altra, radicata soprattutto nell’impero persiano (attuale Iran) che preme ai confini orientali dell’impero ottomano. LA RUSSIA. I sovrani della Russia dal 1493, quando Ivan III si proclama autocrate di tutte le Russie, utilizzano il titolo di czar, dal latino “Caesar” pretendendo di essere i legittimi eredi dell’impero romano, rivendicandone l’eredità e individuando in Mosca, la terza Roma. LA POLONIA. La monarchia rimane elettiva, dunque più debole e condizionata dai suoi elettori, i grandi nobili. SVEZIA E NORVEGIA. Riunite agli inizi del SVI sec. in un solo regno sotto il dominio danese daranno vita progressivamente a monarchie autonome. LE GUERRE D’ITALIA (1494-1554) - Storiografia italiana di impostazione nazionalistica: sciagurato inizio di un lungo periodo di dominio straniero, perdita della “libertà attraverso l’appartenenza a uno di questi gruppi istituzionalizzati si può praticare legittimamente un mestiere e avere voce pubblica. Ciò che contraddistingue i diritti dei corpi sociali e li fa diversi tra loro in una società in cui la legge non è uguale per tutti, ma diversa a seconda del ceto, è il PRIVILEGIO. I privilegi nella società di antico regime sono di diverso tipo. Abbiamo, ad esempio, quelli giurisdizionali (es. diritto a essere giudicati in processi con particolari modalità). I privilegi hanno risvolti economici, ad esempio l’esenzione dalle tasse. L’appartenenza a un ceto sociale stabilita dalla legge o dalla consuetudine deve accompagnarsi a una corrispondente reputazione, ovvero al riconoscimento sociale della giustezza della propria collocazione esistenziale in quella determinata posizione. Il linguaggio che esprime la reputazione è quello dell’ONORE. Se per le donne sta a delineare il senso della virtù, ovvero l’avere comportamenti, specie sessuali, appropriati al proprio rango, per gli uomini troviamo due distinte accezioni: - come per le donne l’onore consente di delineare le virtù, in questo caso virili, come la bravura nel mestiere e l’essere in grado di mantenere la famiglia; - permette di articolare il difficile gioco sociale della precedenza e della reputazione. Per distinguere la nobiltà antica da quella di recente investitura (vendita titoli) avranno un ruolo importante dalla metà del SVI sec. le onorificenze. Per soddisfare le distinzioni dei gruppi sociali le monarchie europee si dotano di nuovi ordini militari cavallereschi o utilizzano quelli già esistenti. Ad esempio il duca di Toscana nel 1562 istituisce l’Ordine di S. Stefano. LA RAPPRESENTANZA POLITICA Nella società di antico regime un individuo partecipa alla vita politica non in quanto tale, ovvero come persona, ma in quanto parte di un ordine o ceto. Nelle monarchie europee al fianco del sovrano troviamo corpi rappresentativi che si richiamano alla Magna Curia, l’assemblea dei rappresentanti dell’antico regno franco. Il re, dunque, è affiancato da un’assemblea, non elettiva, dei rappresentanti del regno. - INGHILTERRA, SCOZIA, NAPOLI E SICILIA: Parlamento. Il Parlamento inglese, ad esempio, è diviso in Camera dei lord (alta, non elettiva, nobili e vescovi) e Camera dei comuni (rappresentanti città); - FRANCIA E PAESI BASSI: Stati generali. In Francia, oltre agli Stati generali riuniti di rado, troviamo alcune corti di giustizia chiamate Parlements, ad esempio quella di Parigi che ha il privilegio di verificate la congruità degli editti regi alla radizione giuridica del regno e di effettuare o negare la loro registrazione fra le leggi ufficiali; - In CASTIGLIA troviamo le Cortes (procuratori città) e in ARAGONA, CATALOGNA E VALENCIA le Corts (tripartizione ordini in camere dette bracci); - SACRO ROMANO IMPERO: Reichstag (dieta), assemblea cui aspetta l’approvazione delle leggi cui partecipano i sette principi elettori, numerosi prelati, principi e signori, i rappresentanti di 85 città imperiali. In generale le assemblee non sono permanenti, ma si riuniscono una o più volte all’anno o all’occorrenza. Esse hanno la facoltà di presentare al sovrano, le cui caratteristiche sono la munificenza (capacità di elargire titoli e privilegi) e la giustizia, richieste e rimostranze e quest’ultimo chiede di approvare l’imposizione di tributi per le sempre esauste casse della corona. Spesso il lavoro di meditazione fa sì che le sedute parlamentari si prolunghino fino a durare diverse settimane e mesi. Inoltre, per la difficoltà di gestione delle assemblee rappresentative i sovrani tendono a convocarle il meno possibile, cercando spesso altrove i mezzi finanziari necessari per la loro politica. I DUE CORPI DEL RE Durante le riunioni delle assemblee rappresentative degli Stati monarchici il sovrano usa stare seduto sul trono. Anche in assenza del sovrano il trono rimane presente, vuoto, a testimoniare la continuata presenza della monarchia. Ciò dimostra che i sovrani dell’Europa di antico regime tendono a legittimare il proprio potere attraverso l’idea che sia Dio a volere che un determinato esponente di una precisa famiglia regnante governi. Ne deriva la tendenza delle monarchie a fare della persona del re l’immagine del potere pubblico e l’incarnazione della res publica. Al contrario nelle repubbliche il potere non appartiene a persone determinate, ma a cariche pubbliche ricoperte da diverse individui. La tendenza all’innalzamento sacrale della dinastia regnante ha lo scopo di allontanare lo spettro della monarchia elettiva, modello delle tribù germaniche, presenta nei sistemi elettivi dell’imperatore e del papa e che compare in Europa nel regno di Polonia dal 1572. La costruzione di una legittimità dinastica fissa e non elettiva è al centro della monarchia: il regno del sovrano è inteso come una missione divina, il che contribuisce a una concezione della sovranità ammantata da tratti soprannaturali, si pensi alla credenza di età medievale e inizio età moderna del re taumaturgo, capace di guarire col tocco magico della mano la scrofola. Lo studioso tedesco Ernst H. Kantorowicz descrive uno sdoppiamento della figura del sovrano (imitazione delle due nature di Cristo: umana e divina): - corpo fisico e mortale del re; - corpo spirituale e mistico del sovrano che rappresenta l’eternità del potere monarchico, un corpo che abbraccia e raccoglie in sé la comunità politica e offre ad essa un principio di unità e un sentimento di continuità e di identità. CAPITOLO 3 - LA SCOPERTA DELL’AMERICA E GLI IMPERI COLONIALI COMMERCI EXTRAEUROPEI E ROTTE ATLANTICHE Nel corso del XV sec. l’intensificarsi dei traffici fra i maggiori centri mercantili del tempo, Venezia e Genova, e i porti dell’Europa settentrionale, favorisce lo sviluppo di alcune città iberiche affacciate sull’Oceano Atlanti, in particolare Cadice e Lisbona. Le navi genovesi/veneziane seguono le rotte prossime alle coste atlantiche della penisola iberica e della Francia per raggiungere Londra, Burges e Anversa. Sin dal XII sec., anche i mercanti portoghesi si sono inseriti nelle correnti di traffico fra Mediterraneo e Atlantico e molto attivi con l’Europa settentrionale sono anche i gruppi mercantili catalani. I traffici sempre più intensi fra l’area mediterranea e quella atlantica del continente europeo ripercorrono, inconsapevolmente, il cammino delle esplorazioni che catalani e genovesi hanno condotto nell’Oceano Atlantico nel corso del XIII e XIV sec. cercando la via per circumnavigare l’Africa, allo scopo di aggirare il Levante dove il commercio delle spezie è in mano agli intermediari veneziani ed è reso spesso difficoltoso dalle tensioni politiche fra i diversi regni musulmani. Un altro monopolio che gli esploratori trecenteschi cercano di spezzare è quello dell’oro dei mercanti arabi dell’Africa settentrionale. Tra il 1336 e il 1341 due navigatori genovesi al servizio della corona portoghese hanno scoperto le CANARIE: a causa della peste nere di metà Trecento non c’è subito insediamento, ma solo nel 1403 una spedizione castigliana occuperà queste isole (sterminio indigeni, piantagione canna da zucchero). SVILUPPO TECNICHE NAVALI E STRUMENTI DI NAVIGAZIONE NEL XV SEC. - Dall’Europa settentrionale viene introdotta la VELATURA COMPOSITA (più di un albero e di una vela) e il TIMONE UNICO DRITTO DI POPPA al posto del tradizionale remo) più manovrabile e meglio governabile la GALERA MEDITERRANEA e la NAVE TONDA SETTENTRIONALE; - Nuovo tipo di imbarcazione, concepito dai genovesi per affrontare l’Atlantico con pesanti carichi di mercanzie, fornita di un complesso sistema di vele, armata di cannoni e di capacità di carico: CARACCA e CARAVELLA (imbarcazioni a tre alberi), GALEONE (grande nave a quattro alberi); - Diffusione di strumenti come la BUSSOLA (ago magnetico che indica stella polare e nord), perfezionamento ASTROLABIO (misurare altezza stella polare o sole rispetto all’orizzonte poiché la triangola tura effettuata rispetto al punto in cui si trova la nave consente ai navigatori di stabilire latitudine. Si passa dall’approssimazione all’uso della geometria, algebra, astronomia per calcolare posizione e rotta delle navi; - Sviluppo CARTOGRAFIA: riscoperto un testo di età ellenistica fino ad allora ignoto, la “Geografia” di Tolomeo di Alessandria (110-160 d.C.). A Firenze il matematico, astronomo e geografo Paolo dal Pozzo Toscanelli )1397-1482) elabora sulla scoperta dell’opera di Tolomeo una carta nautica che invia al re di Portogallo con una lettera in cui spiega il percorso più breve da seguire per giungere alle Indie (territori dell’Estremo Oriente da cui provengono le spezie). Testo poi inserito nella “Historia rerum ubique gestarum” di Enea Silvio Piccolomini (poi Pio II), sulla quale forma le sue conoscenze geografiche Cristoforo Colombo (1451-1506). ALLA CONQUISTA DELL’ORIENTE: IL PORTOGALLO FRA ‘400 E ‘500 La dinastia al potere degli Aviz si mostra sensibile alla tutela degli interessi dei gruppi mercantili che ne hanno sostenuto l’ascesa. Il principe Enrico Il Navigatore (1394-1460) promuove attività commerciali ed esplorazioni. Nella politica degli Aviz si mescolano spirito di crociata contro i musulmani e interessi economici. Vengono colonizzate dai Portoghesi Madera e le Azzorre, nella prima viene coltivata la canna da zucchero, nelle seconde ci si concentra su grano e guado (colorante per produzione tessile). L’intensa attività di esplorazione delle coste dell’Africa occidentale è legata alla necessità di approvvigionarsi di oro e di schiavi per le piantagioni di Madera e delle Azzorre evitando la mediazione dei trafficanti arabi. I portoghesi intorno al 1450 approderanno alle isole di Capo Verde, in Sierra Leone e nel Golfo di Guinea, dove costruiscono una stazione commerciale fortificata (São Jorge de Mina). Lungo la costa africana i portoghesi fondano basi commerciali costiere che rappresentano anche indispensabili punti di rifornimento di cibo e acqua per le navi ormai lontane dalla madrepatria. Inoltre i venti contrari e le bonacce stagionali ostacolano il ritorno in Europa dei navigatori costringendoli ad allontanarsi dalle coste africane verso l’alto mare: essi si rendono conto che per viaggiare agevolmente verso il Portogallo le navi devono sfruttare venti e correnti diversi da quelli utilizzati all’andata e compiere una svolta in direzione nord-nord-est. Si inaugurano due rotte che permettono di raggiungere con relativa facilità le coste atlantiche dell’Europa dall’Africa occidentale: VOLTA DA GUINÉ (in uso dal 1443) e VOLTA DA MINA (in uso dal 1471). I portoghesi elaborano il progetto di CIRCUMNAVIGAZIONE DELL’AFRICA per arrivare alle Indie al fine di impadronirsi del commercio delle spezie. Alla fine del 1487 la punta estrema del continente africano viene doppiata da BARTOLOMEO DIAZ, il quale la battezza Capo di Buona Speranza. Dopo dieci anni, un altro portoghese, VASCO DA GAMA parte da Lisbona con una flotta di quattro navi e riesce a circumnavigare buona parte dell'Africa e ad attraversare l’Oceano Indiano, approdando a Calicut (nell’odierna India) nel 1498. La scoperta della nuova rotta per le Indie avrà dei problemi: presenza in questi territori di popolazioni di religione musulmana, commercio delle spezie in mano ai mercanti arabi, area crocevia di commerci e civiltà in cui i soli mezzi di pagamento accettati dai mercanti orientali sono corallo e argento. L’atteggiamento portoghese diviene da subito aggressivo per imporre prezzi bassi alle spezie ai produttori indiani. Per battere il sovrano di Calicut essi approfittano dei contrasti politici ed economici presente fra i principi della zona. Nel 1500 si insediano a Cochin, città rivale di Calicut, dalla quale intraprendono il commercio delle spezie con l’Occidente. Nel 1502 una nuova spedizione portoghese bombarda Calicut e obbliga il sovrano ad aprire le porte agli scambi col Portogallo. Nel 1504 la corona portoghese pone fine alla fase di piena libertà di commercio delle spezie, decretando che esse debbano essere obbligatoriamente ammassate presso la Casa da Mina di Lisbona, la quale provvede a rivenderle a un prezzo stabilito. Dal 1505 i portoghesi, tramite il viceré Francesco de Almeida, creano delle stazioni commerciali fra le coste dell’Africa orientale e quelle dell’India occidentale per assicurarsi il controllo delle rotte commerciali dell’Oceano Indiano. A differenza di quello veneziano, basato sulla vendita a prezzi assai elevati, il sistema creato dai portoghesi fa di Lisbona il maggior emporio europeo per le spezie, vendute a prezzi inferiori rispetto a quelli di Venezia. I portoghesi impongono bassi prezzi ai venditori asiatici ed eliminando l’intermediazione araba e veneziana e le imposizioni fiscali che gravano sulle merci nel loro itinerario fra India e Levante mediterraneo, riescono a vendere in Europa a prezzi competitivi che consentono comunque ottimi profitti. La rete delle basi portoghesi viene irrobustita dal viceré Albuquerque che stabilisce nella città di Goa (1510) il principale snodo mercantile e amministrativo portoghese in India, cui si aggiunge il porto di Malacca. Goa diviene il cuore dell’impero commerciale portoghese. Dal 1506 le spezie vengono sottoposte al monopolio reale: è la corona che, da allora sino al 1570, si assume l’onere di acquistare le spezie in Asia e di rivenderle in Europa ottenendone profitti, attraverso la Casa da India (Casa da Mina) e propri rappresentanti. La corona si riserva, infine, il monopolio dell’esportazione verso l’India dell’argento e del corallo. Nei primi due decenni del ‘500, però, la conquista di Siria ed Egitto da parte degli eserciti della popolazione turca degli ottomani comporta una ripresa dello sforzo militare per riaprire la via del Mar Rosso. L’alleanza del nascente impero ottomano con Venezia dal 1520 rende sempre più problematico per i portoghesi il blocco delle rotte tradizionali delle spezie. La corona portoghese è costretta a rinunciare al controllo del Golfo Persico e a consentire la ripresa dei traffici con l’India. Ciò spiega perché il flusso delle spezie dall’Oceano Indiano al Levante raggiunga negli anni centrali del XVI sec. livelli mai conosciuti prima. SCOPERTA E SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE DEL NUOVO MONDO Nel 1479 con il TRATTATO DI ALCÁCOVAS viene riconosciuta la sovranità castigliana sulle Canarie e quella portoghese sulle altre isole atlantiche e sulle coste dell’Africa occidentale. Il genovese CRISTOFORO COLOMBO propone alla regina Isabella di Castiglia di finanziare una spedizione navale, bocciata dal Portogallo, che deve arrivare al Catai navigando verso occidente. Il 12 ottobre 1492 le tre caravelle dopo due mesi di navigazione approdano su un’isola delle attuali Bahamas che verrà chiamata da Colombo San Salvador, il quale ne prende possesso a nome della corona castigliana. La spedizione tocca poi Cuba ed Espanola (Santo Domingo). Colombo è convinto di aver raggiunto il Cipango (Giappone). Col rientro di Colombo in Spagna, nel 1493, si apre la fase delle esplorazioni delle terre a occidente dell’Oceano Atlantico. La scoperta delle nuove rotte atlantiche pone alla corona portoghese e a quella castigliana il problema della delimitazione dei rispettivi diritti. Siccome l’espansione della fede cristiana rappresenta per entrambe la motivazione ufficiale e propagandistica delle spedizioni alla ricerca di una via diretta per l’Estremo Oriente si fa ricorso al pontefice per eliminare contese tra sovrani portoghesi e castigliani. Nel 1493 PAPA ALESSANDRO VI emana tre bolle in cui stabilisce una linea di demarcazione corrispondente a un meridiano a 100 leghe di distanza dalle Azzorre: le terre a ovest attribuite alla corona di Castiglia, quelle a est ai sovrani del Portogallo. In seguito, però, col TRATTATO DI TORDESILLAS (1494) le due potenze si accordano per spostare la linea di spartizione a 370 leghe dalle isole di Capo Verde arrogandosi il diritto di sovranità su buona parte della terra. Effetto inaspettato del trattato è l’attribuzione dell’odierno Brasile alla corona portoghese: infatti nel 1500 la flotta di Pedro Álvares Cabral viene spinta dai venti sulle coste brasiliane e prende possesso del territorio a nome della corona portoghese. Solo col viaggio del fiorentino AMERIGO VESPUCCI nel 1501 prende corpo l’idea che le terre scoperte da Colombo non facciano parte dell’Asia, ma di un Nuovo Mondo. Sarà, però, FERDINANDO MAGELLANO, portoghese al servizio di Carlo V, a circumnavigare l’America: egli nel 1519 salpa da Siviglia e superato lo stretto (che da lui prenderà il nome) giunge dopo due anni nell’arcipelago che sarà battezzato Filippine. Il successo dell’impresa è solo parziale, poiché ritorna solo il 10% degli uomini e una sola nave e perché, ad eccezione delle Filippine, buona parte dei territori asiatici rientrano in base al trattato di Tordesillas nella sfera d’influenza portoghese. Nel frattempo la corona castigliana autorizza lo sfruttamento delle nuove terre americane: le isole di Santo Domingo e Cuba si riempiono di alcune migliaia di soldati, nobili decaduti e avventurieri spinti dalla brama di oro. Lo sfruttamento e le malattie sconosciute nel Nuovo Mondo e giunte con gli europei provocano il crollo della popolazione di Santo Domingo. Il ciclo delle risorse aurifere, inoltre, si esaurisce negli anni 1513-18 e di conseguenza i castigliani avviano la coltivazione della canna da zucchero. Vista la progressiva estinzione delle popolazioni autoctone i dominatori cominciano ad acquistare schiavi negri dai mercanti portoghesi che controllano i traffici del Golfo di Guinea (commercio che solo tra XVII e XVIII secolo raggiungerà le dimensioni di una tratta). La ricerca dell’oro è la molla per un’ulteriore espansione castigliana sul continente americano: qui i castigliani entrano in contatto con civiltà ignote e diverse tra loro. In alcune zone le popolazioni indigene vivono organizzate in tribù praticando caccia, pesca e coltivazione del mais. In vaste zone sono presenti società evolute dal punto di vista dell’organizzazione politica tanto da essere definite dagli europei “imperi”. L’impero azteco e incaico, non dispongono, però, di una tecnologia sufficiente da resistere allo scontro con la civiltà europea. Le armi da fuoco e la crudeltà danno ai conquistadores castigliani una superiorità schiacciante. Nel 1519 una spedizione guidata da HERNÁN CORTES sbarca nell’attuale Messico e nel giro di due anni abbatte l’impero azteco. Nel 1532 FRANCESCO PIZARRO distrugge l’impero degli Incas (attuale Perù), ma solo nel 1548 la conquista di questa area meridionale può dirsi conclusa. Ragioni della sconfitta delle popolazioni americane da parte di poche centinai di conquistadores: - l’arrivo da oriente dei conquistadores viene letto in queste aree come il concretizzarsi di antiche profezie, accompagnate da prodigi, circa la fine di quei regni in seguito al ritorno delle divinità che li avevano fondati; - tecnologia dell’acciaio, uso dei cavalli (sconosciuti in America) e delle armi da fuoco; - malattie arrivate dall’Europa; - capacità di approfittare delle divisioni e conflitti politici interni: ad esempio Pizarro approfitta della guerra civile fra gli inca. Occorre inoltre ricordare il diverso modo di combattere dei castigliani rispetto ai popoli americani e, soprattutto, la diversa concezione della guerra: per i popoli americani lo scopo del combattimento era catturare l’avversario per sacrificarlo agli dei e alla sconfitta militare doveva far seguito una sottomissione manifestata dal pagamento di un tributo, ma caratterizzata dal mantenimento degli usi e costumi tradizionali; gli spagnoli, invece, hanno come obiettivi il saccheggio e l’annientamento e la riduzione in condizioni di schiavitù. LA POLITICA COME SCIENZA: MACHIAVELLI E GUICCIARDINI Durante il Rinascimento italiano forte è il contrasto tra i valori politici tramandati dai testi classici che vengono editi e la realtà contemporanea. Ruolo importante hanno scrittori e politici fiorentini come: - NICCOLÒ MACHIAVELLI (1469-1527): medita sugli scritti degli storici dell’antichità classica, riflette sulle modalità che consentono ai governanti di conquistare e conservare uno Stato. Conosciuto soprattutto per i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” (1513-17), nel quale egli sostiene il fatto che la storia possa aiutare a interpretare il presente e possa fornire soluzioni ai problemi che si presentano (gli errori dei romani in tarda età repubblicana sono stati ripetuti dai principi italiani a lui contemporanei, ovvero il poco onore e il disimpegno militare) e per “Il Principe” (1513), opuscoletto di 26 capitoli nel quale egli si rivolge a Lorenzo de’ Medici il Giovane e descrive come si debba conquistare e governare uno stato attraverso la fortuna e la virtù e dovendo essere sia uomo che bestia, sia golpe che leone e portando l’esempio di Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI; - FRANCESCO GUICCIARDINI (1483-1540): conosciuto soprattutto per i “Ricordi” e la “Storia d’Italia”, ha una diversa concezione della storia rispetto a Machiavelli. L’ARTE DEL VIVERE I principali centri della cultura rinascimentale sono le corti principesche italiane: Milano (Visconti, poi Sforza), Ferrara (Este), Mantova (Gonzaga), Firenze (Medici), Urbino (Montefeltro, poi Della Rovere). Si delinea in questi luoghi la figura del CORTIGIANO, minuziosamente descritta nel dialogo pubblicato nel 1528 da Baldassarre Castiglione (1478-1529), libro che avrà un successo enorme, specialmente nelle “nuove monarchie”, poiché suggerisce agli uomini di lettere il modo di comportarsi alla corte di un principe e perché fornice agli aristocratici che frequentano le corti sovrane l’esempio ideale dei comportamenti da tenere in pubblico. Per lo stesso motivo un successo altrettanto grande avrà il “Galateo”, pubblicato nel 1558, di Giovanni Della Casa, libro che detta gli elementi di etichetta e i principi delle buone maniere. LA NATURA E I SAPERI “OCCULTI” Nella visione cristiana medievale la natura è la raffigurazione della potenza e della volontà di Dio, mentre con l’Umanesimo si fa strada una visione diversa che valorizza la natura come soggetto relativamente autonomo dotato di proprie regole da scoprire e indagare. La riscoperta dei testi filosofici e scientifici del mondo classico, in primis Platone, dal XV sec. favorisce l’emergere di un nuovo approccio alla realtà naturale e al suo rapporto con l’esistenza degli uomini. Importante la figura di MARSILIO FICINO (1433-99), soprattutto per l’aver curato la prima edizione della traduzione latina di opere importanti, come Platone, Plotino e il “Corpus hermeticum” di Ermete Trismegisto (manipolazione natura tramite scienze “occulte”). La tradizionale visione dell’età umanistica e rinascimentale come contrassegnata da una forte impronta razionalistica ha spesso nascosto il fatto che gli stessi intellettuali dediti alla riscoperta della cultura classica o figure successivamente viste quali precorritrici delle novità scientifiche seicentesche sono al contempo affascinati da dottrine e idee che, alla luce dell’odierna visione razionalistica e scientifica della realtà, appaiono del tutto prive di fondamento. Si tratta di forme teoriche e pratiche che, nel nome di un preteso sapere occulto ed esoterico, promettono il dominio dei segreti della natura e del mondo. - ASTROLOGIA: convincimento che esista una correlazione fra il movimento dei pianeti e la posizione degli astri (macrocosmo) e quello degli eventi umani (microcosmo), legato all’idea che il possesso dei segreti della natura e dell’universo consentano la manipolazione umana della realtà; - NEOPLATONISMO: si ritiene la natura un’entità vivente pervasa da uno spirito divino che si manifesta attraverso forze che si attraggono e si respingono concorrendo a creare una profonda unità fra tutti gli esseri. Tramite la MAGIA e l’ALCHIMIA si ritiene possibile, ai pochi detentori delle necessarie e segrete conoscenze, di ottenere effetti meravigliosi e sorprendenti utilizzando a proprio vantaggio le forze che già agiscono in natura. Figure da ricordare che mescolano cultura magico-alchemica e interessi scientifici: medico svizzero Paracelso, medico e matematico pavese Girolamo Cardano, napoletano Giambattista Della Porta; - QABBALAH (ebraico “ricezione”): dottrina mistica che riscuote successo tra gli umanisti nel ‘400 e ‘500, la quale partendo dalla speculazione sulla natura di Dio e sulla derivazione dell’universo da lui, esamina la possibilità di ritornare a Dio attraverso molteplici mediazioni. Giovanni Pico della Mirandola ne è influenzato e intende dimostrare la fondamentale concordia fra tutte le dottrine filosofiche, ma le sue tesi saranno condannate dalla Chiesa. CAPITOLO 5 - LA RIFORMA PROTESTANTE Durante la prima metà del XVI sec. si diffondono in Europa idee cristiane sulla religione e sulla vita diverse da quelle insegnate dalla Chiesa cattolica. A prima vista ciò non corrisponde a una novità, poiché per tutto il Medioevo la Chiesa aveva ostentato opulenza e magnificenza e non erano rare le idee riguardanti un ritorno alle origini e alla purezza del cristianesimo. Gli elementi che si staccavano dalla dottrina ufficiale sostenuta dalla Chiesa di Roma erano definiti eretici e venivano eliminato con la forza. Già nel XIV sec. dottrine eterodosse e riformatrici si erano diffuse con JOHN WYCLIFF in Inghilterra e con JUN HUS in Boemia, basandosi sulla critica verso la ricchezza smodata della Chiesa, del potere mondano conquistato dai membri del clero e del potere temporale del pontefice. Nel secondo ‘400 con ERASMO DA ROTTERDAM la critica nei confronti della politica della Chiesa si fa più influente e incisiva: viene criticata la corruzione e l’immoralità della Chiesa, la presunzione ecclesiastica di possedere la verità su qualunque aspetto della vita e l’eccesso di potere del papa, non solo nel campo religioso, ma anche in quello politico. Nel 1517 quando giunge a Roma notizia che in Sassonia un oscuro monaco, appartenente come Erasmo all’ordine agostiniano, di nome MARTIN LUTERO (1483-1546), aveva diffuso 95 tesi teologiche sospettate di eresia la Curia romana non si allarmò particolarmente perché non immaginò che a partire da quelle tesi sarebbe sorto un evento che in breve tempo avrebbe sconvolto il mondo cristiano distruggendo per sempre l’unità della Chiesa: cattolici fedeli alla Chiesa di Roma, protestanti appartenenti alle altre Chiese e sette confessionali. LE 95 TESI DI MARTIN LUTERO Alla base della riflessione teologica di Lutero vi è il confronto tra la lettura dei testi sacri e la dottrina ortodossa della Chiesa. Studiando le Sacre Scritture e le lettere di San Paolo Lutero nota come sia chiare l’affermazione che l’unica salvezza per l’uomo discende dalla grazia divina, da un gesto volontario del Signore che dona al singolo, secondo il proprio imperscrutabile giudizio, la vita eterna. Per Lutero la Chiesa non svolge nelle Sacre Scritture alcun ruolo e il papa non vi è neppure nominato: Lutero ritiene addirittura inutile/dannosa l’opera di mediazione fra l’uomo e Dio che la Chiesa intende esercitare. Nel 1516 in seguito a un accordo fra l’arcivescovo di Magdeburgo Alberto di Hohenzollern (necessitava di denaro per ottenere la dispensa pontificia che gli consenta di cumulare il possesso di più vescovadi) e il papa Leone X (necessita di fondi per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma) viene bandita un’indulgenza plenaria (cancellazione peccati per vivi, sconto pena per defunti, metodo per guadagnare soldi) nei tre vescovadi di Hohenzollern il cui ricavato è destinato a essere spartito tra i due. Avendo appreso le argomentazioni propagandistiche di tipo quasi commerciale adottate dal frate domenicano Johann Tetzel nel predicare l’indulgenza nei territori confinanti con la Sassonia, Lutero, il 31 ottobre 1517, invia le sue 95 tesi prima a Hohenzollern e poi ad alcuni teologi. Il cuore della sua posizione può essere riassunto nell’affermazione SOLO LA GRAZIA SALVA, dunque il fedele non può e non deve compiere azioni particolari per cercare la salvezza eterna, ma deve solo aver FEDE. Solo la fede autentica, infatti, giustifica, cioè sottrae l’uomo alla schiavitù del peccato originale. Inutili sono, in vita, le confessioni e, se condotte a fine di garantirsi la salvezza eterna, le opere di bene, poiché nessuno può prevedere né influenzare la sorte dell’anima, decisa solo dalla giustizia di Dio, imperscrutabile e immodificabile dall’uomo. Per Lutero le indulgenze sono un’impostura, le preghiere indirizzate ai santi e la Chiesa sono inutili (non possono intercedere per l’anima del fedele). Il culto delle immagini e le devozioni per le reliquie sono considerati atti di superstizione. Lutero mette in discussione il ruolo della Chiesa, del clero e dei sacramenti: avviene una rivoluzione concettuale che incrina la visione del mondo che sorregge l’ordine costituito della cristianità cattolica. IL MOVIMENTO PROTESTANTE Grazie alla stampa e alla traduzione dal latino al tedesco gli scritti di Lutero hanno una straordinaria circolazione in Germania e uno straordinario successo, poiché: a. Interpretano l’aspirazione di rinnovamento morale e religioso, la protesta contro il clero ignorante, invadente e corrotto e rappresentano una religiosità popolare basata più sulla ragione che sul mistero; b. Alcuni sovrani vi trovano la possibilità di ridurre l’influenza della Chiesa in campo religioso, politico, sociale ed economico e un modo epr potersi assicurare il controllo delle strutture ecclesiastiche locali e di appropriarsi dei beni ecclesiastici; c. Vengono visti come strumento religioso e culturale in grado di scardinare l’ordine poltico-sociale esistente: una via che assicura maggiore libertà per tutti e che abbatte il potere mondano della Chiesa di Roma. Nel 1518 Lutero viene citato a comparire a Roma per subire un processo, ma viene difeso dal duca di Sassonia e principe elettore dell’impero FEDERICO IL SAGGIO (1486-1525). Nel 1520 papa Leone X con la bolla “Exsurge Domine” condanna esplicitamente la dottrina di Lutero, il quale rifiuta di sottomettersi bruciando il documento pontificio. [In quegli anni Lutero pubblica degli scritti che sintetizzano la sua visione della fede cristiana, nei quali afferma che il pontefice non è e non può considerarsi al di sopra delle Sacre Scritture, unica fonte di verità per l’uomo (libera interpretazione Sacre Scritture, negazione ruolo sacerdozio/papato) e in cui riprende e amplifica il pensiero di Erasmo da Rotterdam: - “La cattività babilonese della Chiesa”: 1. viene smantellata la figura del sacerdote come trait d’union tra mondo terreno e aldilà, da cui consegue l’abolizione della struttura gerarchica del clero e della ragion d’essere delle istituzioni ecclesiastiche secolari e regolari (dottrina del sacerdozio universale: tutti i fedeli possono amministrare sacramenti e predicare parola divina); 2. critica dei sette sacramenti affermando che, senza il primato della fede, essi si riducono a semplici “sacrileghe superstizioni di opere”: unici sacramenti di cui Lutero riconosce la validità sono il BATTESIMO (no rito che cancella dal peccato originale, ma momento di ingresso del cristiano nella comunità) e l’EUCARESTIA (nega la transustanziazione); - “Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca”: Lutero attacca l’autorità del papa, l’avidità di ricchezze della Chiesa e le sue ingerenze nel potere terreno; alla negazione del diritto del papa a tassare i fedeli per accumulare scandalose ricchezze unisce la totale negazione della validità dei voti tradizionali del clero regolare (castità, povertà, ubbidienza) e del celibato degli ecclesiastici.] Nel 1521 Lutero viene scomunicato dal papa come eretico, ma le sue idee si diffondono. Carlo V, preoccupato, vuole evitare una rottura e cerca di raggiungere un compromesso tra Santa Sede e Lutero convocando quest’ultimo alla DIETA DI WORMS. Qui Lutero rifiuta di recedere dalla propria dottrina e l’imperatore è costretto a scomunicarlo. Federico Il Saggio lo mette al sicuro nel castello di Wartburg dove Lutero si dedica alla traduzione in tedesco del Nuovo Testamento. Il luteranesimo si diffonde provocando eventi inaspettati, ai quali Lutero si dichiara contrario per paura che il suo pensiero venisse travisato: - 1522-23: spedizione contro i possedimenti dell’arcivescovo di Treviri, dura repressione dei principi; - 1524-25: GUERRA DEI CONTADINI. Nelle campagne le idee riformate rappresentano un risveglio delle tradizioni millenaristiche (imminente fine del mondo), messianiche (attesa e venuta nuovo messia salvatore umanità) e utopistiche (speranza società diversa, a base comunitaria ed egualitaria). La rivolta delle comunità contadine del Baden ha lo scopo di recuperare i diritti comuni sulle terre e le libertà dei contadini calpestati dai nobili. In nome del vangelo essi si oppongono all’ordine costituito invocando la comunanza dei beni e la redistribuzione su base egualitaria del potere: tale agitazione si diffonde in molte aree della Germania, della Svizzera e del Tirolo. Figura di spicco è l’ex prete THOMAS MÜNTZER (1488-1525), il quale predica la lotta armata contro i principi come segnale dell’avvento del regno di Cristo sulla terra. La reazione dei principi sarà dura e causerà il massacro dei seguaci di Müntzer nella battaglia di Frankenhausen. Si va strutturando una vera e propria chiesa luterana. L’imperatore Carlo V teme che l’uso della forza verso la Riforma possa causare l’inasprimento dei non facili rapporti coi principi tedeschi, la maggior parte dei quali appoggia le idee luterane. Carlo V è inoltre costretto a far fronte contemporaneamente alla crisi religiosa in Germania e alla guerra contro la Francia e l’impero ottomano. Carlo V tenta ripetutamente la via della mediazione. Nel 1526 Carlo V, a causa dell’emergenza bellica, con la DIETA DI SPIRA concede una certa tolleranza verso il culto luterano. Nel 1530 con la DIETA DI AUGUSTA, migliorata la situazione internazionale, Carlo V cerca di ricondurre i territori imperiali all’uniformità religiosa, ma cinque principi e quattordici città rifiutano di sottomettersi ai suoi ordini e stilano verso l’imperatore un documento di “protesta” (da qui il nome “Protestanti”). In occasione della dieta Filippo Melantone presenta una professione di fede luterana, la “CONFESSIO AUGUSTANA”, come tentativo di mediazione, ma il suo tentativo fallisce. La ricerca del dialogo da parte cattolica continua con i tentativi del cardinale Gasparo Contarini nel 1537 (“Consilium de emendanda ecclesia”) e nel 1541 (colloqui di Ratisbona tra cattolici e protestanti), senza successo. I principi protestanti, timorosi della potenza dell’esercito imperiale spalleggiato dai principi tedeschi cattolici, si riuniscono nella LEGA DI SMALCALDA (1530). Nel 1547 a Mühlberg Carlo V sconfigge i principi protestanti, ma la vittoria non è risolutiva poiché i protestanti ricevono l’appoggio del re di Francia (1552) e infliggono diverse sconfitte all’imperatore. Nel 1555 si giunge a una situazione di stallo con la PACE DI AUGUSTA: Ferdinando d’Asburgo, delegato dell’imperatore, riconosce l’esistenza della confessione luterana nei territori dell’impero i cui principi ne professano il credo (le popolazioni di tali territori sono automaticamente considerate di fede luterana); ciò prende il nome di CUIUS REGIO EIUS RELIGIO (a ciascun suddito tocca professare la religione scelta dal proprio sovrano, avendo come unica scelta l’emigrazione verso un luogo in cui la sua confessione sia quella ufficiale). I PROTESTANTESIMI: ZWINGLI E CALVINO La diffusione dello “spirito protestante” nelle città libere tra Svizzera e Alsazia (in cui vigono principi di autogoverno municipale e tradizioni di tipo repubblicano) comporta la maturazione di elementi democratico - religiosi impliciti nell’impostazione luterana, ma contro i quali lo stesso Lutero era corso ai ripari (preoccupato degli effetti di insubordinazione sociale che ne potevano scaturire). Nascono, dunque, forme di organizzazione confessionale basati sulla scomparsa del clero come ordine separato dalla comunità dei credenti e sulla tendenziale abolizione della struttura gerarchica ecclesiastica e su innovazioni radicali in materia teologica. - ULRICH ZWINGLI (1484-1531): trasforma la città di Zurigo in una sorta di democrazia a base teocratica in cui le strutture ecclesiastiche svolgono un’azione di sostegno, di controllo e di direzione di quelle politiche. Il suo obiettivo è la creazione di una “città di Dio” in cui l’attività umana sia regolata da valori cristiani. Questo modello coinvolge anche Berna e Basilea. I cantoni cattolici, preoccupati per l’espansione protestante, prendono le armi e sconfiggono le forze di Zurigo nella BATTAGLIA DI KAPPEL (1531, in cui muore anche Zwingli). Alcuni suoi seguaci ridaranno impulso all’ANABATTISMO (vittime di persecuzioni): tra 1533-35 avviene l’occupazione violenta di Münster in Westfalia da parte di alcuni elementi radicali degli anabattisti, mirando a edificarvi la nuova Gerusalemme. - GIOVANNI CALVINO (1509-64): riformatore francese che opera a Basilea, Strasburgo e Ginevra. Egli rielabora la visione protestante accentuando l’idea della predestinazione: solo il Signore conosce quali anime verranno salvate e chi sono gli eletti alla salvezza eterna e chi i dannati, dunque agli uomini non resta che avere fede (riconosciuti dai loro frutti e buon esito delle loro azioni nel mondo). Dal 1451 Ginevra diviene esempio di città cristiana per tutti i protestanti di lingua francese (realizzazione terrena del “regno di Dio”): Calvino elabora le regole dell’organizzazione civile ed ecclesiastica della nuova “comunità dei santi”, realizzando una fusione del potere civile e di quello religioso espressa nel CONCISTORO (istituzione al vertice della comunità, formata da magistrati del Consiglio cittadino e pastori), il quale ha il compito di sovrintendere il buon andamento della Chiesa riformata e di reprimere con la scomunica comportamenti/idee non conformi alla nuova ortodossia. Il calvinismo non ha interesse per la tolleranza, anzi tende a chiudersi nel recinto delle proprie certezze teologiche e attua persecuzioni verso anabattisti e antitrinitari (contrari al dogma della trinità, fondamentale per cattolici e protestanti: si pensi al medico spagnolo Michele Serveto, condannato a morte nel 1553 e ai fratelli Sozzini (esuli in Polonia e Transilvania). Nell’Europa centro-settentrionale della prima metà del XVI sec. si diffonde il protestantesimo: - LUTERANESIMO: si diffonde in Svezia (ascesa al trono di Gustavo Vasa: 1523), Norvegia, Islanda, Danimarca; - CALVINISMO: con l’“Istituzione della religione cristiana” (1536) di Calvino si diffonde in Francia (ugonotti), Paesi Bassi, Polonia, Scozia (John Knox), ducato di Savoia (slancio valdesi del medioevo). L’ANGLICANESIMO ENRICO VIII TUDOR (1509-1547)prima si schiera contro le idee luterane, poi avverte l’importanza dell’occasione che la diffusione delle idee protestanti gli offre, ovvero la possibilità di ridurre l’influenza del papato sulla politica e sulla società inglese, in particolare sulla politica matrimoniale della dinastia. Il divieto di divorziare o quello di sposare consanguinei permette alla Chiesa di esercitare un controllo sulle scelte dei sovrani, riservandosi all’occorrenza la possibilità di concedere le dispense matrimoniali (teorici annullamenti che mascherano il divorzio). Attraverso tale regolazione della sfera privata e familiare dei monarchi il papato ne 3. TERZA FASE (1562-63): riconvocato nel 1560 da PIO IV DE’ MEDICI sollecitato dalla Francia (intende contrastare la crescente penetrazione calvinista nel proprio territorio). Trattati temi delicati, tra i quali la definizione dell’origine e del ruolo dell’autorità dei vescovi nella Chiesa. Si scatenano contrasti relativi all’obbligo di residenza dei vescovi nelle diocesi di appartenenza, ma si raggiunge un compromesso: obbligo di residenza, ma facoltà del papa di concedere dispense ed esenzioni in materia. Una volta concluso il concilio i decreti vengono approvati da PIO IV all’inizio del 1564 e il suo successore, PIO V, curerà la pubblicazione del “Catechismo romano” del Concilio di Trento (1566), testo volto a fissare la dottrina della Chiesa. PROVVEDIMENTI DEL CONCILIO: 1. Sul piano dottrinale si intende uscire dall’incertezza teologica riaffermando i punti basilari della teologia cristiana: - valore tradizione ecclesiastica come fonte autorità spirituale cristiana; - chiesa e clero unici depositari della facoltà di leggere e interpretare il verbo divino nell’unica versione autorizzata della vulgata; - ruolo importante delle opere di bene; - importanza della presenza mediatrice della chiesa terrena e di quella celeste (santi); - riaffermazione credenze e pratiche tradizionali criticate dai protestanti (7 sacramenti, verginità di Maria, esistenza del Purgatorio, validità culto santi e reliquie, indulgenza). 2. Sul piano liturgico e sulla struttura della chiesa: - uso del latino nella liturgia e nuovo messale per parroci (1568); - abito talare per clero e obbligo castità e celibato; - obbligo residenza vescovi e sacerdoti con cura delle anime, il clero secolare deve amministrare i sacramenti, la predicazione, l’insegnamento dei precetti ai fedeli; - i parroci devono annotare sui libri battesimali i matrimoni, le morti e i battesimi della parrocchie e, inoltre, la composizione della comunità in occasione della comunione pasquale (“status animarum”); - creazione del seminario per preparare gli aspiranti sacerdoti, dei sinodi (assemblee clero a livello diocesano), dei concili provinciali (assemblee vescovi della provincia) e delle visite pastorali. Il Concilio di Trento non supera la frattura, ma rafforza e riforma la chiesa. Il messaggio fondamentale che esce dal Concilio di Trento è che la Chiesa cattolica non accetta la presenza di altre confessioni cristiane, anzi promuove una reazione ideale, religiosa, politica e militare alla Riforma: la CONTRORIFORMA o RIFORMA CATTOLICA. APPARATI E PRATICHE REPRESSIVE Con la bolla del 1542 nasce l’INQUISIZIONE ROMANA. Paolo III riorganizza il Tribunale dell’inquisizione, posta sotto il controllo della congregazione dei cardinali del Sant’ufficio, dotati dell’autorità di commissari e inquisitori generale per la lotta all’eresia nella cristianità. Il tribunale è presieduto formalmente dal pontefice e formato da cardinali autorevoli, si pensi a Gian Pietro Carafa (futuro Paolo IV). Esso rappresenta l’unica autorità deputata a decidere in materia di polizia di fede. Vengono sottoposti all’inquisizione: gruppi ereticali aderenti alle dottrine riformate, esponenti cattolici che tentano di trovare un accordo col mondo protestante, singoli o accolite che hanno abbracciato gli insegnamenti di Juan de Valdés (es. verrà bloccata l’elezione a papa di Reginald Pole nel 1549 e Giovanni Morone viene incarcerato). L’inquisizione raccoglie denunce anonime e opere le proprie indagini in segreto e lo scopo è il pentimento di colui che ha sostenuto idee ritenute eretiche e la sua completa abiura di tali convinzioni attraverso violenze psicologiche e, a volte, la tortura. Per chi ricade nell’errore, relapso, è prevista la pena capitale. Nei primi decenni di vita l’Inquisizione sarà spietata, ad esempio la comunità valdese in Calabria viene sterminata nel 1561. Nel 1559 con Paolo IV nasce l’INDICICE DEI LIBRI PROIBITI per controllare e reprimere la circolazione delle idee e l’attività intellettuale. Questo strumento avrà, purtroppo, un effetto depressivo sulla vita intellettuale e universitaria. L’indice è composto da un elenco di opere a stampa vietate ai fedeli. Nel 1572 verrà istituita una commissione cardinalizia per l’aggiornamento dell’indice. ATTUAZIONE DEI DECRETI TRIDENTINI L’applicazione delle riforme tridentine ebbe problemi sin dall’inizio a causa dell’atteggiamento diffidente di alcuni esponenti dell’episcopato e del clero e di alcuni sovrani cattolici: - Filippo II nel 1564 autorizza la pubblicazione nei regni iberici dei decreti del concilio con una clausola di salvaguardia a favore dei diritti della corona; - La corona di Francia nel 1615 si rifiuta di accettare formalmente l’introduzione dei decreti del concilio in nome delle “libertà gallicane”, ovvero la condizione di particolare autonomia del clero francese da Roma. I contrasti sono causati dal fatto che i sovrani vedono in queste riforme la tendenza a un rafforzamento del potere papale sulle istituzioni ecclesiastiche delle diverse realtà d’Europa. La crescente ingerenza del papato nella vita delle Chiese locali e il progressivo irrigidimento delle normative tridentine sono percepiti con delusione da molti osservatori cattolici europei. Nel 1619 il frate Paolo Sarpi, canonista e consultore della repubblica di Venezia, pubblica a Londra “Istoria del concilio tridentino”, amaro bilancio condotto con spirito critico e polemico verso il papato del mancato rinnovamento spirituale della Chiesa e dei risultati infelici cui avevano condotto le scelte assunte a Trento e la loro concreta applicazione, strumento d’ affermazione del potere pontificio a scapito di quello dei vescovi. Occorre ricordare che si viene a creare un nuovo modello di vescovo che si scontra con il potere laico a livello locale (es. Carlo Borromeo, Mi). NUOVI ORDINI RELIGIOSI Il clero regolare è organizzato in Ordini e Congregazioni con vertici autonomi, sotto il diretto controllo della Santa Sede. - Fine ‘400: ORATORI DEL DIVINO AMORE (Roma, Napoli, Brescia, Venezia e Milano), dal loro incontro con Carafa, il sacerdote vicentino Gaetano da Thiene sviluppa di fondare l’ORDINE DEI CHIERICI REGOLARI (1524), poi detto dei TEATINI (preti con regola, predicazione, confessione, assistenza bisognosi); - ORDINE DEI CAPPUCCINI (1528): dal distacco di alcuni frati francescani; - BARNABITI (1533), SOMASCHI (1540), GESUITI (1540), CAMILLANI (1586), CARACCIOLINI (1586), SCOLOPI (1617); Nel ‘500 gli Ordini religiosi sostituiscono il saio con l’abito talare, la vita appartata e ascetica è sostituita dalla vita in edifici nelle città, hanno un’organizzazione più efficiente e duttile, assistono malati, poveri, orfani e prostitute, svolgono le attività pastorali di predicazione e catechesi, ma soprattutto l’azione missionaria nelle campagne europee e l’istruzione primaria. Vengono, inoltre, da questi Ordini promosse nuove devozioni come il rosario. Teatini e Gesuiti si dedicano anche all’istruzione superiore della classe dirigente, finendo con l’influenzare i loro comportamenti. - COMPAGNIA DI GESÙ: Ordine istituito dal nobile spagnolo, Ignazio di Loyola, il quale abbandona la carriera militare per darsi alla vita religiosa. Dopo essere stato messo sotto inchiesta dal tribunale dell’Inquisizione, l’Ordine viene ufficialmente riconosciuto da Paolo III nel 1540 con la “Bolla militantis ecclesiae”. Nella loro costituzioni oltre ai tre voti solenni dei regolari (povertà, castità, ubbidienza) è previsto il quarto voto, ovvero il giuramento esplicito di obbedire totalmente al pontefice e per lui ai propri diretti superiori. I Gesuiti sono svolgono un’importante azione missionaria e di evangelizzazione dall’America Latina all’Estremo oriente e, grazie alla loro alta preparazione intellettuale, si dedicano alla rieducazione cristiana delle élites del mondo cattolico. Vengono creati veri e propri collegi gestiti da Gesuiti e aperti a laici, tra i quali quello di Messina nel 1549, primo in Italia dopo Goa e Gandia. CAPITOLO 8 - LE GUERRE DI RELIGIONE LA MONARCHIA CATTOLICA DI FILIPPO II Filippo II ha il ruolo di difensore della vera fede nell’Europa post-conciliare. Attraverso la storia castigliana rielabora il senso della sua missione dinastica: così come dopo due secoli di lotte i castigliani erano riusciti a liberare la penisola iberica dai musulmani, ora si tratta di difendere la cristianità dalla minaccia ottomana e di riportare alla vera fede l’Europa caduta nell’eresia. Il suo programma è, dunque, RELIGIOSO-DINASTICO: - tentativo di ricongiungere l’Inghilterra, tradizionale alleata di Castiglia, al mondo cattolico; - sostenere i principi cattolici e il ramo degli Asburgo d’Austria contro gli ottomani e contro i principi protestanti; - assistere e finanziare in Francia un partito ultracattolico ostile agli ugonotti, evitando però di rafforzare la monarchia francese; - controllare gli orientamenti della Santa Sede influenzandone le scelte a facendo eleggere papi a lui favorevoli. Per realizzare questo progetto, Filippo, ha dalla sua: - il fatto di governare il più vasto aggregato di Stati e di disporre della maggiore potenza militare del tempo; - ingenti risorse economiche (oro, argento) provenienti dalle colonie americane; - il fatto di riuscire ad ampliare i propri domini ulteriormente con l’ascesa al trono del Portogallo (1580-81). Contro il successo delle strategie di Filippo agiscono però forze potenti: - enormi costi per l’impegno militare contro l’impero ottomano (Mediterraneo, Balcani) e contro il protestantesimo; - policentrismo geopolitico europeo che rende difficile unificare le forze cattoliche contro obiettivi comuni; - radicalizzarsi delle posizioni religiosi che facilita l’espansione del calvinismo, forma di protestantesimo più combattiva e ideologicamente agguerrita del luteranesimo: ne derivano gravi problemi di coesione politico-sociale e contrasti con l’autorità nelle aree in cui il calvinismo si propaga, tra cui i Paesi Bassi dove scoppia una guerra civile nella seconda metà del XVI sec. L’INGHILTERRA DI ELISABETTA Alla morte di Enrico VIII sale al trono d’Inghilterra la figlia di Caterina d’Aragona, Maria Tudor: regina cattolica sospettata di essere manovrata dagli spagnoli che sposa nel 1554 Filippo II. La regina aveva fatto chiudere la sorellastra, favorita dai protestanti, Elisabetta (figlia di Anna Bolena) nella torre di Londra e aveva tentato di imporre un ritorno al cattolicesimo attraverso la repressione degli avversari, da qui il soprannome La Sanguinaria. La regina morì nel 1558 dopo quattro anni di regni. Per i protestanti al trono dovrebbe andare Elisabetta, per i cattolici Maria Stuart (cugina di Enrico VIII e regina di Scozia). Diviene regina d’Inghilterra ELISABETTA I (ultima dei Tudor) la quale punta su una CHIESA ANGLICANA RINNOVATA E CONTROLLATA DALLA CORONA: - 1559, “Atto di uniformità”: riformata la liturgia della Chiesa anglicana reintroducendo il libro comune ufficiale delle preghiere; - 1563, “Atto di supremazia”: sovrano imposto nuovamente come capo della Chiesa; - SETTLEMENT DEL 1569: Chiesa anglicana vicina al protestantesimo sul piano della dottrina teologica (39 articoli di fede ispirati al calvinismo), ma simile al cattolicesimo nella liturgia e organizzazione ecclesiale (vescovadi, parrocchie). Elisabetta per reprimere le trame cattoliche fa incarcerare Maria Stuart nel 1568 nella torre di Londra. Il suo regno negli anni ’70 prende forma compiuta. Con l’immagine della “regina vergine” (non si sposa, ma si dedica totalmente al regno) acquista popolarità. È attenta, inoltre, a favorire i commerci e la produzione di pannilana inglese a danno dei fiamminghi, italiani e castigliani e presta attenzione allo sviluppo della marineria e della flotta militare. Sul piano diplomatico cresce l’ostilità della potenza spagnola: i corsari inglesi praticano una fiorente e sistematica azione di pirateria a danno dei convogli di galeoni della corona spagnola. L’Inghilterra degli anni ’80 si configura come campione dell’antispagnolismo e anticattolicesimo. A seguito della scoperta di un ennesimo congiura cattolica Maria Stuart viene decapitata nel 1587 e, in seguito, Filippo II muove guerra all’Inghilterra. Il sovrano fa allestire la Invencible Armada per invadere l’isola e porre fine alla guerra che i pirati inglesi fanno ai traffici commerciali spagnoli e al sostegno inglese alla causa protestante europea. Nel 1588 la flotta spagnola viene dispersa alla Manica e battuta dalla flotta inglese, spalleggiata da navi olandesi. Il conflitto religioso in Inghilterra rimane aperto, ma i cattolici sono ormai consapevoli, non avendo un aiuto esterno, di essere una minoranza e di non potere ribaltare la situazione, cosa diversa in Irlanda dove i cattolici rappresentano la maggioranza. LE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA Dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559) la Francia entra in una grave crisi politica. Morto il re Enrico II la monarchia si trova a essere guidata dalla reggente vedova Caterina de’ Medici, che governa per conto dei figli Francesco II e Carlo IX. Il principale problema che deve affrontare è la diffusione della religione calvinista: gli ugonotti si concentrano, in particolare, nella parte sud- orientale della Francia, in alcuni centri manifatturieri e marittimi come Lione e La Rochelle e in alcune aree del Centro e del Nord, raccogliendo adesioni anche tra i ceti artigiani cittadini, salvo Parigi, nelle professioni liberali e nell’aristocrazia. Tra le famiglie nobili ugonotte troviamo casate imparentate con la famiglia reale come i Borbone e i Montmorency. Cattolici sono invece i duchi di Guisa. Lo scontro religioso si lega a tradizionali rivalità nobiliari rendendo precaria la posizione della monarchia. Il partito protestante preoccupato che il giovano sovrano sia allevato a corte dal partito cattolico tenta di allontanare la reggente mirando a sostituirla con Luigi I di Borbone principe di Condé (congiura di Amboise, 1560). Fallisce un tentativo di pacificazione tra cattolici e ugonotti. I successivi tentativi della reggente di permettere una limitata libertà di culto agli ugonotti pur di pacificare il paese insospettiscono il partito intransigente cattolico, che dà il via agli scontri con il MASSACRO DI VASSY (1562). Caterina non si schiera mai a favore di uno dei due fronti in lotta, ma tenta di usare le fazioni una contro l’altra, per difendere l’autorità della corona e nel 1563 fa una prima serie di CONCESSIONI AGLI UGONOTTI. Divenuta sospetta ai cattolici non è in grado di frenare l’aumento della tensione che sfocia in una guerra civile interrotta solo nel 1570 dalla PACE DI SAINT-GERMAIN-EN-LAYE, con la quale agli ugonotti è riconosciuta la libertà di culto e il controllo di alcune città fortificate a garanzia della loro sicurezza. Inoltre uno dei capi ugonotti, GASPAR DE COLIGNY viene ammesso nel Consiglio di Stato, il quale contribuisce nel convincere Carlo IX a favorire la causa protestante nei Paesi Bassi e a organizzare il matrimonio tra Enrico di Barbone (uno dei capi degli ugonotti), re di Navarra, e Margherita di Valois, sorella del re. Preoccupata per la crescente influenza di Coligny, Caterina organizza coi cattolici un attentato, ma l’uomo sopravvive e, timorosi di una ripresa della guerra civile, Carlo IX e Caterina il 23 agosto 1572 organizzano la strage degli ugonotti (notte di San Bartolomeo), uccidendo anche Coligny e dando via a uno sterminio che nei giorni successivi si diffonde anche nelle province. Nel 1574 con la morte di Carlo e l’ascesa di Enrico III, i Guisa, ritenendo quest’ultimo troppo arrendevole verso gli ugonotti (diede loro la libertà di culto con l’editto di Beaulieu) capeggiano la formazione di una Lega cattolica. Nel 1584 muore un altro dei figli di Caterina ed Enrico II, ed essendo Enrico III privo di eredi la corona spetterebbe dopo di lui al parente più prossimo alla famiglia dei Valois, Enrico di Borbone (capo dello schieramento ugonotto). A lui, la Lega cattolica contrappone con l’appoggio della Spagna la candidatura di Enrico di Guisa. Si scontrano così in modo sanguinoso le due fazioni politico-religioso guidare da Enrico di Guisa ed Enrico di Borbone (GUERRA DEI TRE ENRICHI). Nel maggio 1588 l’insurrezione della città di Parigi organizzata dagli esponenti della Lega obbliga il sovrano ad accettare la successione al trono di Guisa, il quale verrà però poi fatto assassinare. Nei mesi successivi il sovrano si allea con Enrico di Borbone. Enrico III nel 1589 viene ucciso da un fanatico frate domenicano (Jacques Clément) e in punto di morte designa Enrico di Borbone come successore. Sconfitta la Lega cattolica a Ivry (1590) si trova di fronte un paese spaccato, in guerra con la Spagna, e una Parigi in mano ai nemici. Sceglie, dunque di rinnegare il calvinismo e di aderire al cristianesimo (1593), il che gli permette di essere incoronato re di Francia nella cattedrale di Chartres (1594) col nome di Enrico IV (“Parigi val bene una messa”) e di ottenere l’assoluzione di papa Clemente VIII Aldobrandini (1595). Enrico IV promulga l’EDITTO DI NANTES (1598) che riconosce il cattolicesimo religione ufficiale in Francia, ma garantisce agli ugonotti libertà di coscienza in tutto il regno e libertà di culto in luoghi prestabilisti, oltre al controllo di numerose piazzeforti come garanzia per la loro sicurezza. Sospettato di voler stringere un’alleanza antiasburgica coi principi protestanti tedeschi e di voler fomentare un fronte europeo contro la monarchia cattolica, non che considerato eretico “relapso” dai cattolici intransigenti, viene assassinato nel 1610 da un estremista cattolico. Durante il periodo delle guerre di religione due sovrani francesi vengono assassinati. Sembra che la divisione religiosa avesse improvvisamente dissolto l’aurea sacrale che i sovrani avevano sempre teso a preservare intorno alla propria persona. Non più rappresentante di Dio in terra, un sovrano giudicato nemico della vera fede finisce per essere considerato un pericolo per la comunità cristiana e la resistenza al suo potere (e la sua uccisione) può essere assimilata alla legittima difesa. Idee del genere circolano in Francia e nei Paesi Bassi con l’esplosione dello scontro religioso. Si afferma il tema della legalità dell’uccisione di un sovrano eretico, teorizzata dalle dottrine che la storiografia ha definito MONARCOMACHE. Piuttosto si tratta, però, del recupero della teorica politica greco-romana della tirannia. Nell’asprezza dello scontro ideologico delle guerre di religione, le tesi della legalità dell’opposizione al potere costituito, dell’elusione dell’imperativo evangelico di ubbidire a Cesare, inizia a essere ammessa, nel caso almeno in cui Cesare cessi d’essere tale per trasformarsi in un Nerone. I primi a elaborare queste idee sono gli ugonotti francesi negli anni attorno al massacro della notte di San Bartolomeo, si pensi al testo apparso anonimo nel 15768 “Vindiciae contra tiranno”, in cui si afferma il diritto a resistere al re-tiranno, sovrano ingiusta e nemico della vera fede. Impostazioni simili finiscono per condizionare la libertà d’azione sovrana, vincolandola al rispetto di un patto implicito coi sudditi e minano il fondamento sacro dell’autorità regia e il suo ruolo di rappresentante terreno di Cristo. La possibilità dell’esistenza di un re eretico minaccia la tesi del fondamento di diritto divino della monarchia. Nella Francia delle guerre di religione si va elaborando una teorica politica che consente di sottrarre l’autorità sovrana allo scontro religioso: di questo si occupano i POLITIQUES. - UNIONE DI UTRECHT (province settentrionali): egemonia olandese e calvinista, ribelli; - UNIONE DI ARRAS (province meridionali): lealiste, valloni e cattoliche; La seconda viene poco dopo a patti col successore di Giovanni, ALESSANDRO FARNESE DUCA DI PARMA, nipote di Filippo. Guglielmo d’Orange aderisce, invece, all’accordo di Utrecht e viene definito traditore da Filippo: egli si difende nell’“Apologia”, in cui le dottrine monarcomache descrivono il diritto del popolo alla ribellione verso un tiranno come Filippo II. Questi temi sono ripresi nell’atto di abiura con cui nel 1581 gli Stati generali delle province ribelli dichiarano FILIPPO II DECADUTO. Esse scelgono di darsi un nuovo sovrano, il fratello del re di Francia d’Angiò. La sua scomparsa e l’assassinio di Orange (Deft, 1584) ad opera di un fanatico cattolico portano le province del nord a dover affrontare la questione della forma di regime politico da adottare. Sale al potere il CONTE DI LEICESTER, fiduciario di Elisabetta I che guida un’alleanza antispagnola. Alla fine, però, gli STATI GENERALI decidono di assumere la piena sovranità, proclamandosi autorità sovrana della nuova entità statale delle Province Unite (1589). Nel corso degli anni successivi nelle Province Unite (Groninga, Frisia, Gheldria, Olanda, Overijssel, Trecht, Zelnda e Drenthe) prende una forma più definita il regime di tipo repubblicano: - muta la natura degli Stati generali (Aja) che da ampia assemblea dei cita divengono comitato ristretto nel quale ogni provincia, tranne Drenthe, gode di un solo voto; - si afferma l’egemonia dell’Olanda (gran pensionario rappresentante negli Stati generali Johan van Oldenbarneveldt) e alla famiglia Orange-Nassau viene riconosciuto il ruolo ereditario a livello provinciale di governatore e governante dell’esercito, stadhouder (1587: Maurizio, fratello di Guglielmo). Tra i due si crea una competizione. Nel 1609 le Province unite segnano una tregua di dodici anni con la corona spagnola. [Nei primi anni del ‘600 ha inizio una polemica tra i fautori di una versione tollerante e razionalista del credo calvinista (Giacomo Arminio) e i sostenitori intransigenti delle dottrine calviniste (Francesco Gomar): il clero arminiano presenta agli Stati provinciali d’Olanda una protesta per gli attacchi subiti chiamato “rimostranza”, il clero antiarminiano elabora una contro-rimostranza cui fa seguito la risoluzione degli Stati olandesi volta a reprimere le manifestazioni dei gomariani sottraendo allo stadhouder il controllo dell’esercito; ne scaturisce una crisi politica che culmina con l’arresto di Oldenbarneveldt e dei suoi seguaci e con la promozione di un sinodo della Chiesa calvinista olandese che si celebra a Dordrecht e condanna i seguaci delle dottrine arminiane.] Allo scadere della tregua con la Spagna nel 1621 s’inserisce la GUERRA DEI TRENT’ANNI: Province Unite impegnate nel colpire la monarchia cattolica anche nelle colonie e interessi commerciali. Col TRATTATO DI MUNSTER la Spagna rinuncia alle sue pretese di sovranità sulle sette Province Unite (Aja, 1648: anno, data, giorno e ora in cui 80 anni prima il duca d’Alba fece decapitare Egmont e Hornes). CAPITOLO 10 - ECONOMIA E FINANE NEL SECOLO DEI GENOVESI POPOLAZIONE E AGRICOLTURA Nella seconda metà del XV sec. in alcune aree europee inizia una fase di crescita demografica, ma solo dai primi decenni del XVI sec. quasi in tutta Europa si ha una crescita generalizzata della popolazione. I tassi di crescita demografica sono diversi da paese a paese, ma il fenomeno è ovunque evidente. Si assiste alla crescita della popolazione urbana grazie all’afflusso di persone dalle campagne e allo sviluppo di nuovi centri manifatturieri e commerciali che diventano metropoli con l’aumento della popolazione (Londra, Siviglia, Lisbona). Cresce il tasso di urbanizzazione della popolazione (% pers. che vivono in città rispetto alla popolazione totale di un’area), in particolare nei Paesi Bassi e nella penisola italiana. I due maggiori centri manifatturieri italiani del tempo, Milano e Venezia, vedono crescere il numero dei loro abitanti notevolmente. All’origine della ripresa demografica e della crescita cinquecentesca troviamo: - la flessione della mortalità; - l’aumento della natalità. La crescita demografica comporta un notevole incremento della domanda di derrate alimentati, dalla quale deriva una crescita dei prezzi dei prodotti agricoli, particolarmente sensibile nella seconda metà del ‘500 che durerà sino ai primi anni/metà del ‘600. Evidente è l’aumento del prezzo dei cereali, alla base della dieta della popolazione europea. Il settore agricolo viene sollecitato a produrre di più, in special modo cereali. Gli studiosi parlano di “cerealizzazione” dell’agricoltura europea cinquecentesca. Tornano ora ad ampliarsi le superfici coltivate: messe a coltura zone boschive, terre paludose, terre destinate a prati e a pascoli per il bestiame. Le bonifiche diventano un fenomeno rilevante in varie zone europee: dalla F alla Bassa Sassonia, dall’Inghilterra ai Paesi Bassi, in I. In F, G, Polonia e Boemia vengono condotti massicci disboscamenti per accrescere la superficie coltivabile. Le pianure della Russia sono al centro dell’intenso processo di colonizzazione e di disboscamento, soprattutto verso gli urali settentrionali. I cereali riguadagnano anche il terreno destinato all’allevamento e ad altre coltivazioni. Cresce ovunque la produzione cerealicola, anche nella Terraferma veneta e in Sicilia (granaio d’Europa). Occorre tener presente che i progressi della cerealicoltura europea sono legati all’ampliamento delle superfici coltivate e allo sviluppo estensivo dell’agricoltura. Le rese (rapporto semente utilizzata-raccolto) aumentano di poco rispetto ai livelli della seconda metà del XIV sec. Solo in alcune aree dei Paesi Bassi e dell’Italia settentrionale l’aumento della produzione è il risultato di un incremento della produttività agricola. Tutta la precarietà degli equilibri demografici e dell’agricoltura cinquecentesca emerge dalla carestia, frutto di un peggioramento climatico, che intorno al 1590 colpisce l’area mediterranea. La carestia diviene una vera e propria crisi di sussistenza segnata dall’aumento della mortalità (epidemie peste tra fine ‘500 e inizio ‘600) e dalla caduta del numero delle nascite. PRODUZIONE MANIFATTURIERA Essa attraversa nel XVI sec. una fase di espansione che riguarda il settore tessile, minerario ed edilizio. Da ricordare è la vicenda dell’allume, minerale importante per la tintura dei tessuti: nella prima metà del ‘500 la maggiore miniera nota è quella di Focea (Asia Minore) controllata dai mercanti genovesi; con la conquista ottomana dell’area (1455) il prezzo dell’allume sale vertiginosamente; nel 1462 viene però scoperto a Tolfa (Civitavecchia, Stato Chiesa) un giacimento di questo minerale, il quale appalto viene affidato da Pio II ai mercanti fiorentini che lo commercializzano in tutta Europa. In Italia centro-settentrionale (area economica più avanzata del continente coi Paesi Bassi meridionali) nella seconda metà del ‘500 le manifatture laniere urbane registrano una crescita notevole (Bergamo, Venezia, Firenze); il decollo della produzione e dell’esportazione nei tre casi italiani è reso possibile: - dall’assenza di concorrenza nei mercati del Levante mediterraneo; - dalle difficoltà che attraversano i Paesi Bassi meridionali a causa delle vicende politiche degli anni ’60. Settore in crescita nell’Italia centro-settentrionale è quello serico, in particolare nello Stato di Milano. In generale nelle città dell’Italia centro-settentrionale, specializzate nella produzione di tessuti di alta qualità assai richiesti dai mercanti dell’Europa settentrionale e del Levante mediterraneo, i salari dei lavoratori si mantengono più elevati e maggiormente in grado di far fronte al crescente costo della vita rispetto a quanto avviene in buona parte del continente. A trarre vantaggio dalla domanda di tessuti di bassa qualità proveniente dalle ampie quote della popolazione europea che non si possono permettere i tessuti di lusso italiani sono le manifatture inglesi (fabbricazione panni di lana di qualità media e bassa). SCAMBI A LUNGO RAGGIO Nei traffici commerciali a lungo raggio, il bacino del Mediterraneo resta il cuore dei commerci cinquecenteschi che beneficiano dell’aumento della domanda di merci e derrate agricole. Il grano, le materie prime, i manufatti tessili e metallici e le spezie rappresentano i prodotti maggiormente commercializzati nel continente europeo. Cresce però anche il volume e il valore degli scambi che convogliano l’Europa settentrionali. Nella regione delle Fiandre, la città di Anversa, diviene la principale piazza finanziaria e commerciale del continente europeo fino agli anni ’70 del ‘500: qui arrivano le spezie importate dai portoghesi, le spezie e derrate agricole del Mediterraneo, i tessuti di lusso della penisola italiana, i panni di media qualità dell’Inghilterra e quelli prodotti dalle locali manifatture e i metalli preziosi che i mercanti castigliani spendono per acquistare le merci di cui hanno bisogno i mercati della penisola iberica e delle colonie americane. Anversa vede sorgere le prime due Borse internazionali stabili, una per le quotazioni delle merci e una per la regolazione delle transazioni finanziarie. In Europa centrale e orientale, l’aumento della popolazione comporta una crescita della domanda di manufatti tessili e metallici e di derrate alimentari provenienti dal Mediterraneo (vino, frutta, sale e spezie), merci pagate con l’esportazione di prodotti agricoli e materie prime (cereali, lino, pellicce, cuoio). Un ruolo di primo piano nella crescita del volume dei traffici commerciali che interessa le aree del Mare del Nord e del Mar Baltico nella prima metà del ‘500 spetta ai mercanti delle città costiere dei Paesi Bassi. Dalla fine degli anni ’60 la prospera zona meridionale del paese è scossa dalla rivolta contro la corona castigliana e nel 1576 la stessa città di Anversa subisce un saccheggio dal quale non si riprenderà. Le città mercantili della parte settentrionali dei Paesi Bassi cominciano a sostituirsi nella gestione dei traffici con i porti del Baltico avviando uno sviluppo i cui esiti saranno visibili nel XVII sec. TASSE, INDEBITAMENTO E VENALITÀ UFFICI: LE FINANZE DEGLI STATI - Dalla seconda metà del XV sec. in tutta Europa si regista una tendenza all’aumento della pressione fiscale dovuto alla crescita dei prezzi e alla dilatazione della principale voce di spesa pubblica, la guerra. Ovunque l’aumento della pressione fiscale deve fare i conti con le resistenze delle popolazioni, dei ceti privilegiati, delle istituzioni e dei corpi territoriali, ma anche con l’arretratezza degli strumenti di accertamento della ricchezza (pochi e quasi mai aggiornati sono i catasti o estimi nei quali vengono registrate la proprietà immobiliare e la ricchezza mobiliare). - Oltre alle tasse i sovrani fanno fronte ai costi della guerra con l’indebitamento con le banche, spesso causa di fallimento per queste ultime. Si pensi ai Peruzzi e ai Bardi che prestarono soldi alla corona inglese per la Guerra dei cent’anni e andarono in fallimento. - I maggiori comuni dell’Italia centro-settentrionale, delle Fiandre e della Germania si finanziano per mezzo di forme di indebitamento che poggiano sulla fiducia dei cittadini investitori. Nasce così il debito consolidato, basato sull’emissione di titoli pubblici che garantiscono una rendita fissa e sicura (7/10%) derivante da specifiche entrate fiscali; solo in questo modo i comuni sono in grado di richiamare l’investimento di denaro liquido da parte di mercanti, imprenditori, aristocratici, enti ecclesiastici e singoli cittadini. Ciò porta all’arricchimento per i ceti mercantili e aristocratici. Es. ASIENTOS. - Spesso la corona vende incarichi militari, amministrativi e finanziari al miglior offerente. In F nel 1604 Enrico IV introduce la “paulette” per i detentori di cariche pubbliche. Spesso l’acquisto di uffici tradizionalmente appartenenti ai nobili conferisce anche il titolo di nobiltà: noblesse de robe, che si contraddistingue da quella di spada. COMMERCIO DI DENARO Grazie ai prestiti concessi ai monarchi d’Europa sono numerosi i banchieri, mercanti e appaltatori che riescono ad ascendere la scala sociale acquistando feudi o titoli nobiliari. Il funzionamento della fiscalità e delle finanze pubbliche è strettamente collegato all’attività di banchieri e finanzieri privati. Loro principali requisiti sono la disponibilità di denaro liquido e la capacità di raccoglierlo da molteplici soggetti per poi convogliarlo laddove sia richiesto. Occorre inoltre godere di credito, ovvero della fiducia dei clienti e degli altri finanzieri, elementi indispensabili per muovere il denaro da un luogo all’altro del continente per mezzo dello strumento creditizio per eccellenza, la lettera di cambio. Si tratta di un accordo privato, sorto nel basso Medioevo, nel quale il traente ottiene la promessa di pagamento di una determinata somma da lui versata al banchiere (rimettente) che s’impegna a fargli pagare il denaro nella moneta della località straniera di suo interesse da un altro banchiere (trattario). A scelta del rimettente il contratto può implicare il pagamento a una quarta persona (beneficiario), il quale può “girare” la lettera per versarla a un’altra persona. Oltre a rendere possibile a mercanti, banchieri e a semplici viaggiatori di recare con sé denaro contante lungo gli itinerari allora assai pericolosi d’Europa, la lettera di cambio nasconde un’operazione di prestito a interesse. Le leggi ecclesiastiche e quelle civili prevedono un’unica forma di remunerazione del prestito, quella relativa al “costo” delle operazioni di cambio fra una moneta e l’altra necessarie per spostare denaro da una località all’altra. Durante il XVI sec. si va istituzionalizzando una rete europea del cambio mediante lettera. Le fiere dei cambi si tengono di norma quattro volte all’anno, nella stessa città (Lione) oppure in luoghi diversi a seconda del periodo (fiere della Castiglia) o delle vicende politiche. I centri sede di fiere sono gli unici in grado di intrattenere relazioni cambiarie dirette: tutte le lettere spiccate da un’altra città devono passare per uno di essi. Nei primi anni del XVI sec. presso Lione ha luogo la maggiore fiera del tempo. Essa beneficia di una collocazione geografica al crocevia fra il polo finanziario della Castiglia, quello della penisola italiana e quello dell’Europa settentrionale. Lione subisce presto la concorrenza dei mercanti-banchieri di Genova. Dal 1528, in virtù del rapporto privilegiato instaurato con la corona castigliana, i gruppi finanziatori genovesi (Centurione, Pallavicino, Spinola, Grimaldi) si arricchiscono notevolmente. Non a caso lo studioso Martin conia l’espressione “secolo dei genovesi” per identificare il primato genovese nel commercio del denaro in Europa. Nel 1534 i banchieri genovesi danno vita alle fiere di Besançon (Francia Contea, dominio di Carl V), dette di “Besenzone” in alternativa a quelle di Lione, le quali saranno trasferite nel 1579 a Piacenza e continueranno a funzionare fino al 1621. Il rapporto assai stretto con una corona sempre più indebitata finisce per esporre i banchieri genovesi ai rischi dell’insolvenza del loro maggiore cliente. Le frequenti sospensioni dei pagamenti decretate dalla corona castigliana finiscono per incrinare la fiducia degli investitori e portare al ridimensionamento, a partire dalla metà del ‘600, del ruolo dei genovesi sulla scena europea. LA QUESTIONE DEI PREZZI La crescita dell’importanza dei banchieri e del mercato del credito è legata anche alla maggiore disponibilità dei metalli preziosi. L’afflusso dei metalli preziosi americani nella seconda metà del ‘500 costituisce un fatto rilevante per la storia dell’economia e della società europee. In seguito al progressivo esaurimento dei giacimenti di oro nelle colonie castigliane d’America, l’attenzione dei conquistatori si sposta sull’argento. Importanti le scoperte di giacimenti in Perù e Messico (metà ‘500) e il perfezionamento del processo di raffinazione dell’argento per mezzo del mercurio (giacimento in Perù) che contribuiscono al decollo della produzione di questo prezioso metallo dal 1570. Giungono in Castiglia fino al ‘600 oro e argento americani e da qui defluiscono verso le altre aree d’Europa. Alla diffusione dell’argento americano gli studiosi dei primi decenni del XX sec. attribuiscono la RIVOLUZIONE DEI PREZZI. Nel XVI sec. i prezzi, in particolare del grano e degli altri cereali, aumentano un po’ ovunque. L’idea di “rivoluzione dei prezzi” è stata sottoposta a revisione perché a lungo basata su dati erronei circa le quantità di metalli preziosi americani giunte in Europa nel XVI e XVII sec. Infatti non solo non si verifica durante il ‘600 alcuna diminuzione dei flussi di oro e argento, ma si registra semmai una crescita. Poiché il ‘600 è caratterizzato da una tendenza al ribasso dei prezzi, viene a cadere il nesso fra il rialzo dei prezzi e l’ampliamento dello stock dei metalli preziosi circolanti in Europa su cui si basa l’idea di rivoluzione dei prezzi. La reale portata della crescita secolare dei prezzi deve essere ridimensionata sulla base di ulteriori considerazioni. Anzitutto, il tasso di inflazione cinquecentesco non è drammatico, seppur non privo di conseguenze sulla vita economica del tempo, e viene calcolato in circa il 2% annuo. Dato tanto più moderato de posto a confronto con i tassi cui sono avvezze le società di epoche successive, specie del XX sec. Occorre poi tenere presente che l’economia cinquecentesca è meno legata all’uso della moneta di quanto si è ritenuto fino ad alcuni decenni fa. Per comprendere i movimenti dei prezzi bisogna guardare all’ANDAMENTO DELLE PERSONE E DELLA PRODUZIONE. La tendenza inflazionistica è presente in Europa già all’inizio del XVI sec., prima del massiccio afflusso di oro e argento dall’America. Pertanto è la crescita demografica a far aumentare la domanda di derrate agricole, cui la produzione fatica a tener dietro, provocando la crescita dei prezzi. L’afflusso dei metalli preziosi contribuisce solo ad accentuare una tendenza già in atto. Sono soprattutto i salariati a subire gli effetti dell’aumento dei prezzi. Vengono inoltre penalizzati dall’andamento dell’economia i proprietari fondiari che hanno stipulato contratti di enfiteusi (affitto perpetuo o pluridecennale) poiché i canoni svalutano a beneficio degli affittuari. Ad essere avvantaggiati sono mercanti e imprenditori manifatturieri (- costo lavoro, + prezzo merci) e i proprietari fondiari che si occupano personalmente delle loro terre o le hanno affittate con contratti a breve scadenza (adeguare canoni all’andamento dei prezzi). CAPITOLO 11 - IL BAROCCO “BAROCCO”: - deriva da un termine che definisce una figura atipica del sillogismo aristotelico; - deriva dal portoghese “barroco”, perla difettosa dalla forma irregolare. In entrambe le ipotesi l’origine del termine sottolinea la natura anomala di ciò che viene definito “barocco”, il cui carattere principale è dato da una strutturale infrazione alle regole date. L’irregolarità, la ricerca dell’insolito, la volontà di stupire sono i tratti che definiscono il gusto barocco, che si diffonde in Europa, soprattutto nelle aree cattoliche, tra 1580 e 1680. Gli stilemi barocchi investono le arti visive, la letteratura, la musica, la religiosità, la politica, la filosofia e il costume. L’artista deve dimostrarsi dotato di “ingegno”, ovvero di saper reperire forme e contenuti inusitati, spesso avvicinando tra loro oggetti distanti. La creazione di processi associativi e di sottili corrispondenze, attraverso l’uso costante della metafora è frutto dell’“acutezza”, qualità che si sposa con l’“ingegno” e che suppone l’utilizzo di una logica stringente durante i momenti di creazione Galileo nel 1623 con il “Saggiatore” paragona la natura a un “grandissimo libro […] scritto in lingua matematica”. Nel 1632 pubblica il “Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, copernicano e tolemaico” ricevendo l’avallo di papa Urbano VIII Barberini: in quest’opera Galileo si sforza di offrire una prova fisica in favore delle teorie copernicane basandosi sul movimento delle maree. Viene denunciato come sostenitore di dottrine eretiche e abbandonato dal papa viene processato dall’Inquisizione e condannato alla pubblica abiura (1633) e alla carcerazione a vita che sconterà nella sua villa di Arcetri (Firenze). Nel 1638 pubblica i “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” in cui getta le fondamenta di una scienza del moto: è evidente l’esigenza di un nuovo metodo scientifico. Ora egli si sforza di descrivere i fenomeni naturali in termini quantitativi e matematici. LA MEDICINA In campo medico tra ‘500 e ‘600 ci sono scoperte che modificano l’idea di corpo umano. - “De humani corporis fabrica” del fiammingo Andrea Vesalio (1543): occorre affidarsi allo studio diretto dei corpi anziché affidarsi all’autorità di antichi maestri e ai tradizionali pregiudizi filosofici e religiosi; si ispira al “De anatomicis administrationibus del greco Galeno; - Girolamo Fabrici d’Acquapendente: crea il primo teatro anatomico stabile dove si compiono dissezioni dei cadaveri sotto gli occhi degli studenti. Nel 1603 pubblica “Sugli orifizi delle vene” in cui annuncia la scoperta delle valvole venose che fanno affluire il sangue venoso al muscolo cardiaco, ma non scopre il meccanismo della circolazione del sangue; - William Harvey: dedica le sue energie allo studio del cuore e della circolazione sanguigna. Pubblica il saggio “Trattato anatomico sul movimento del cuore e del sangue” nel 1628, in cui illustra i principali meccanismi della circolazione del sangue nel corpo umano e la centralità del cuore nel sistema circolatorio, autentica pompa di un raffinatissimo sistema idraulico. Egli compie una serrata opera di sperimentazione e costruisce una nuova fisiologia circolatoria: il cuore è un muscolo, la cui contrazione causa l’avvio della circolazione; il sangue attraverso l’aorta (principale arteria) vien distribuito a tutto il corpo per poi passare nelle vene e affluire al ventricolo cardiaco destro, per poi passare ai polmoni, ossigenarsi e tornare al ventricolo sinistro, dal quale riprende il movimento circolatorio. Egli si ispira alle dottrine di matrice aristotelica ed ermetica. IL MECCANICISMO Le esperienze compiute in campo fisico, astronomico e medico e l’attenzione per i dispositivi meccanici portano alla nascita del meccanicismo come concezione del mondo, visibile con intellettuali come Thomas Hobbes (1588-1679), Marin Mersenne e Pierre Gassendi, secondo i quali la conoscenza delle leggi del moto è sufficiente a spiegate l’intero universo. Alla base di ciò sta l’idea della soggettività delle qualità sensibili degli oggetti che si trovano in natura, le quali non sono insite nei corpi: la loro determinazione è frutto di un’operazione soggettiva. Proprietà reali sono quelle materiali, misurabili matematicamente. L’intero universo è costituito da corpi che si muovono continuamente sulla base di leggi matematiche e la conoscenza delle leggi del moto attraverso la meccanica è in grado di far comprendere la struttura cosmologica. - Il pensiero meccanicista è esposto da Cartesio (1596-1659), il quale pubblica “Principi di filosofia” nel 1644, dove delinea la struttura del mondo naturale composta da materia in movimento: la materia coincide con lo spazio geometrico che occupa e non esiste spazio senza materia, pertanto l’universo cristiano si qualifica come uno spazio dove i corpi si urtano, in un continuo movimento di “traslazione”. Esso è stato impresso alla materia da Dio al momento della creazione. I singoli movimenti generano dei “vortici” che secondo Cartesio sono alla radice dei fenomeni naturali. Il sistema da lui concepito è il prodotto di deduzione logica a partire da presupposti filosofici che egli crede indubitabili: l’esistenza dell’estensione (spazio geometrico), il movimento, l’immutabilità di Dio. Il meccanicismo cartesiano segna però la rottura con il pensiero tradizionale aristotelico. Per lui lo scienziato di fronte ai fenomeni naturali non deve chiedersi “perché” essi avvengano, ma “come”. La filosofia meccanicista si distacca dal naturalismo cinquecentesco che postulava l’esistenza di entità immateriali e forze occulte in grado di imprimere movimento alla materia e determinare gli accadimenti. Coloro che studiano la fisica ora indagano le caratteristiche misurabili dei fenomeni naturali sulla base di rigidi criteri teorici. All’origine del metodo di indagine vi è l’idea secondo la quale l’universo, come il corpo animale e umano, sia un’enorme macchina i cui ingranaggi sono tutti ugualmente importanti e necessari per un ottimale funzionamento. Tale visione del mondo si contrappone alle gerarchie che strutturano l’universo aristotelico-tolemaico comportando conseguenze notevoli. La prima è la svalutazione delle capacità conoscitive dell’uomo: lo scetticismo (l’uomo può conoscere solo ciò di cui ha costruito gli ingranaggi, unico conoscitore della natura è il suo meccanico Dio. Nel cosmo cartesiano, però, Dio una volta impresso il moto alla materia non svolge il ruolo creatore riconosciuto dalla Genesi, per questo le idee cartesiane vengono condannate. - Thomas Hobbes: i concetti morali di bene e male non derivano dai comandamenti divini, ma sono il frutto del movimento dei corpuscoli materiali che, incontrandosi con il corpo umano, generano le passioni del piacere (da cui l’idea di bene) e del dolore (da cui l’idea di male). La nascita di un’idea comune di bene e di male discende dalla forza dello Stato, frutto di contratto fra gli individui, che impone determinati comportamenti a tutti. - Baruch Spinoza (1632-1677): Dio va identificato nella legge che governa il mondo e quindi la religione diviene conoscenza della realtà, anziché pura e semplice obbedienza ai comandamenti imposti dalle diverse Chiese e confessioni. - Isaac Newton (1642-1727): pubblica nel 1687 “Principi matematici di filosofia naturale” dove sostiene che il compito della filosofia sia quella di analizzare il modo in cui una forza opera e descriverla in termini di leggi matematiche. Applicando le leggi della moderna meccanica al movimento dei pianeti del sistema solare, egli elabora la legge gravitazionale universale: ogni corpo sferico attrae ogni altro corpo con una forza proporzionale alla sua massa e inversamente proporzionale al quadrato della distanza del corpo dal suo centro. Fisica terrestre e celeste sono riunite e ciò corrisponde alla fine del sistema aristotelico-tolemaico. L’universo può ora essere concepito come indipendente dall’ordine divino. Egli afferma però l’insufficienza della sola matematica per spiegare l’universo, la cui perfezione dimostra l’esistenza di un Dio trascendente (garante dell’esistenza di un tempo e di uno spazio assoluti e immutabili, senza i quali non sono concepibili i fenomeni naturali). UNIVERSITÀ E ACCADEMIE L’università sorge nei secoli del basso Medioevo e non si viene troppo modificando nel corso dei secoli (diritto, filosofia e medicina, teologia): il latino è la lingua del sapere, non si svolge attività di ricerca. Il luogo del vero confronto intellettuale è l’accademia (nasce nel ‘500), la quale raccoglie appassionati di una determinata disciplina che si incontrano periodicamente per discutere singole questioni sia in ambito scientifico che letterario. Col passare degli anni anche la vita delle accademie si formalizza e irrigidisce: ogni circolo si dota di un nome, di un regolamento e di un’impresa (immagine con motto che allude al fine che si pongono i suoi membri). In Italia occorre ricordare la romana Accademia dei Lincei in ambito scientifico. In ambito italiano la fragilità dell’esistenza di questi sodalizi intellettuali è dovuta spesso al fatto che vengono promossi da singoli mecenati, non in grado di assicurare una duratura continuità dell’accademia né sufficiente protezione dalla vigilanza dell’Inquisizione contro ogni forma di sapere che potesse apparire eversivo dell’ordine sociale e religioso. Una struttura più solida hanno la francese Académie Royale des Sciences (fondata da Luigi XIV nel 1666, regolata dal sovrano) e la Royal Society inglese (sodalizio privato che attua una formidabile opera di divulgazione in tutta Europa con periodici, insieme a quelli dell’accademia francese). CAPITOLO 13 - TRA GUERRA E RIVOLTA: LA CRISI POLITICA DI METÀ ‘600 Durante gli anni ’40 del XVII sec. un terremoto politico investe le principali monarchie europee (Filippo II in S, la fronda in F, insurrezione parlamentare in GB). LA GUERRA DEI TRENT’ANNI (1618-1648) Il Sacro romano impero dagli anni ’70 del ‘500 è attraversato da profondi conflitti religiosi nonostante la pace di Augusta (1555) a causa: - dell’intensa controffensiva del cattolicesimo attraverso la Compagnia di Gesù; se nella Germania centro-settentrionale la nobiltà è in maggioranza luterana, nella parte centro-meridionale è cattolica, soprattutto in Baviera e in Austria; - della diffusione del calvinismo in alcune aree della Germania, della Boemia e dell’Ungheria (confessione non contemplata negli accordi di Augusta). L’imperatore Massimiliano II d’Asburgo aveva rispettato le diversità confessionali e anche il suo successore, Rodolfo II, con la LETTERA DI MAESTÀ (1609) concede la libertà di coscienza ai sudditi del regno di Boemia, dove i cattolici sono in minoranza. L’aggressività dei gesuiti sostenuti dal papato e il profilarsi di contrasti nella famiglia imperiale spingono nove principi luterani e calvinisti e diciassette città imperiali a costituire nel 1608 l’UNIONE EVANGELICA guidata dal calvinista Federico IV del Palatinato. Come reazione venti principi cattolici si uniscono nella LEGA CATTOLICA guidata dal duca Massimiliano di Baviera. L’imperatore Mattia d’Asburgo attenua la politica di pacificazione dei suoi predecessori e disattende la “Lettera di maestà”. Tale tensione è aumentata dal problema della successione alla corona imperiale: Mattia è privo di eredi e il suo successore designato è Ferdinando si Stiria, cattolico intransigente. Di fronte al tentativo di Mattia di imporre limitazioni al culto calvinista per aprire la strada alla successione di Ferdinando, la città di Praga il 23 maggio 1618 insorge e prende d’assalto il castello gettando dalla finestra due rappresentanti imperiali (DEFENESTRAZIONE). Alla morte di Mattia i boemi rifiutano di riconoscere Ferdinando come loro sovrano e conferiscono la corona a Federico V del Palatinato, nuovo capo dell’Unione evangelica (1619). Le truppe imperiali appoggiate dalla Lega cattolica e dai terrecios (reggimenti di fanteria) degli Asburgo di Spagna sconfiggono le forze boeme e palatine nella battaglia della Montagna bianca (1620) e riconquistano la Boemia guidati dal conte di Tilly imponendo il cattolicesimo e invadono il Palatinato. Tutto ciò preoccupa le altre potenze europee di orientamento protestante, le quali negli anni seguenti scenderanno in campo contro gli eserciti degli Asburgo in Germania e nell’Italia settentrionale: la Confederazione elvetica con l’aiuto francese (1620-30), la Danimarca luterana (1625-29), la monarchia luterana di Svezia (1629-35). Mutamento significativo nell’equilibrio religioso dei territori dell’impero si ha con l’EDITTO DI RESTRIZIONE (1629), con cui l’imperatore Ferdinando II, senza l’assenso della dieta imperiale, ordina ai principi protestanti al restituzione dei beni ecclesiastici confiscati prima del 1552 e trasferisce il titolo di principe elettore dal sovrano del Palatinato all’alleato cattolico duca di Baviera. Battuta la Svezia nella battaglia di Nordlingen (1635) sembra che gli Asburgo abbiano vinto la partita per l’egemonia europea, sebbene l’imperatore venga a patti coi protestanti ed elimini l’editto di restrizione. Decisivo è l’intervento della Francia con le armi che sconfiggerà l’esercito spagnolo a Rocroi nel 1643. SI giunge in questa data all’avvio di una serie di negoziazioni coi trattati di pace di Munster e di Osnabruck, conosciuti come PACE DI VESTFALIA (24 ottobre 1648). La pace sancisce: - tramonto disegno egemonico degli Asburgo e di riportare all’osservanza cattolica buona parte dell’Europa centro-settentrionale; - pace della Spagna con le Province Unite; - polverizzazione geopolitica della Germania in entità statali di vario ordine, grandezza e confessione religiosa; - clausole della Pace di Augusta estese a tutte le confessioni protestanti; - riconosciuto il ruolo di potenze a livello regionali di paesi come la Confederazione svizzera (indipendenza sovrana) e la Svezia. Prosegue, su scala ridotta, il conflitto tra Spagna e Francia fino alla sconfitta dell’esercito spagnolo nella battaglia delle Dune (1658), in seguito alla quale viene siglata la PACE DEI PIRENEI (1659): - la Francia ottiene Rossiglione, l’Artois, alcune piazzeforti nelle Fiandre e in Lussemburgo; - accettazione da parte spagnola della sconfitta nella competizione per l’egemonia europea: ora la corte del re di Francia diviene il cuore della diplomazia europea e la cultura, lo stile e la moda francesi dilagano in tutta Europa. Al predominio continentale francese, che soppianta quello spagnolo, sfuggono solo le Province Unite e l’Inghilterra. NOVITÀ POLITICHE E RIVOLTE IN SPAGNA, INGHILTERRA E FRANCIA Il più lungo conflitto fino ad allora combattutosi in Europa, cui partecipano quasi tutti i maggiori paesi, costringe le finanze statali a una disperata ricerca di denaro. L’urgenza finanziaria spinge le corone a usare metodi non tradizionali per l’esazione dei tributi, ricorrendo a finanzieri in grado di anticipare il denaro, escludendo le approvazioni delle assemblee rappresentative, creando nuove imposizioni, ecc. Su scala europea la lotta tra cattolici e protestanti costruisce un crinale ideologico decisivo, rispetto al quale si orientano i comportamenti politico-diplomatici e le conseguenti azioni militari. Occorre ricordare che non è il fiscalismo in quanto tale, però, a condurre una popolazione alla ribellioni, bensì la sua legittimità, le modalità d’esazione, i motivi per cui vi si ricorre, l’uso che si fa dei soldi raccolti. Inoltre non tutti i conflitti apertisi alla metà del ‘600 riguardano temi relativi alla divisione confessionale o alla libertà di culto, mentre pressoché tutti i conflitti dell’epoca sono accomunati dalla condanna dei metodi assolutistici o dispotici di governo. Per comprendere meglio cosa significhi questa resistenza all’accrescimento senza limiti del potere delle corone occorre valutare in che modo il quadro politico sia stato modificato, a partire dalla fine del ‘500 e in tutte le principali monarchie, dall’apparizione di favoriti onnipotenti cui sono affidate le redini del governo. La figura del favorito nel ‘500 si fa costante nelle grandi monarchie, ma i sovrani di quel periodo si astengono dall’attribuire a un singolo individuo troppo potere dando a ciascuna fazione cortigiana dei riconoscimenti. LA SPAGNA: FILIPPO III E FILIPPO IV Filippo III (1598) concede al favorito duca di Lerma un enorme potere consentendogli di governare al posto proprio. Questa scelta segnala la possibilità in tutta Europa di uno stile maggiormente consensuale di governo: tutte le classi dirigenti aristocratiche europee intravedono in questa delega di potere la possibilità di un’accresciuta influenza politica e del suo riconoscimento sociale e simbolico, la fine di uno stile di potere autocratico dei sovrani che era cresciuto nell’epoca delle guerre di religione. Emerge però in questi anni anche l’altra faccia della delega di potere, la creazione di un sistema politico cortigiano dominato da una fazione unica o prevalente, quella guidata dal favorito o valido. Gli esclusi tendono a coalizzarsi per dimostrare al sovrano di essere in grado di prendere il posto del favorito e inizia a divenire evidente come un’opposizione al favorito possa constare anche di atti di resistenza passiva, volti a rendere più problematica l’attuazione delle scelte del regime e a fare apparire agli occhi del sovrano necessaria una mutazione di governo. L’ascesa al trono di Filippo IV (1605) segna un ulteriore mutamento. Egli si circonda di uomini, come lui, intenzionati a salvare la monarchia dall’incipiente declino. Questa classe dirigente, dalla quale emerge il valido conte di Olivares (noto come conte-duca dopo la concessione di Sanlùcar) si propone di ripristinare la superiorità spagnola, rinvigorendone l’attitudine bellica: - non viene rinnovata la tregua dei dodici anni siglata con le Province Unite e riprende la guerra nei Paesi Bassi; - politica di interventi militari a sostegno degli Asburgo d’Austria nella guerra dei Trent’anni. Per sostenere questa ambiziosa e onerosa politica Olivares lancia nel 1624 un piano volto a rendere la monarchia spagnola più efficiente nella raccolta tributi: “Union de armes”, una redistribuzione del peso finanziario delle spese militari, fino ad allora gravata sulla corona di Castiglia, sugli altri territori della monarchia. Il risultato mediocre raggiunto con questo tentativo è dovuto sia al crescente isolamento del gruppo dirigente del regime (formato da poche famiglie alleate del valido) rispetto alla maggioranza dell’aristocrazia castigliana, sia alla resistenza nella corona d’Aragona e di Castiglia, i cui ceti dirigenti temono che una partecipazione degli altri territori della monarchia alle spese militari possa comportare una condivisione sia degli oneri che degli onori. Il conte di Olivares decide di ricorrere a mezzi straordinari: sistemi per annientare l’opposizione politica annidata nei consigli della corona, per assumere rilevanti scelte economiche e finanziarie senza controllo, per introdurre nuove tasse. Il valido crea luoghi decisionali straordinari: le juntas, giunte speciali di ministri per decidere su una specifica questione o materia, in cui sono collocati tutti uomini di provata fedeltà. Nei territori iberici della monarchia cattolica l’ostilità verso Olivares diviene tanto profonda e vasta tra l’aristocrazia da indurla a progettare congiure e a mettere in essere una sorta di generalizzato sciopero della presenza a corte, così da far capire al sovrano la disaffezione provocata dalla politica del valido. Nel 1640 si ribellano Catalogna e Portogallo, accusando Olivares di violazione dei propri privilegi e libertà: - i catalani, dopo la rivolta di Barcellona, dichiarano rotto il vincolo di fedeltà che li unisce agli Asburgo cercando protezione presso il sovrano francese; Filippo IV pone fine alla ribellione nel 1652 dopo una lunga guerra; - i portoghesi si richiamano alla tradizione dinastica autoctona precedente alla conquista del Portogallo da parte di Filippo IV; nel 1640 a fronte della penetrazione olandese in Brasile e dell’incapacità della corona asburgica di difendere gli interessi dei sudditi portoghesi la nobiltà decide di riconquistare l’indipendenza e affida il trono al duca Giovanni di Braganza (Giovanni IV). A favore di tale scelta si schiera un forte movimento popolare, caratterizzato da una forma di rimpianto, a metà strada tra il culto dell’eroe e la tradizione millenaristica della venuta del Messia, per l’ultimo sovrano “naturale”, chiamata sebastianismo dal nome di Sebastiano I, ultimo degli Aviz, La duplice secessione induce Filippo IV ad allontanare Olivares dal potere (1643) e ad allargare la cerchia del governo a La guerra civile porta queste divaricazioni ad aggravarsi, facendo nascere gruppi che propugnano atteggiamenti religiosi e politici antitetici rispetto alla visione tradizionale: - quaccheri/battisti: necessità nuovo battesimo e nullità atti della Chiesa ufficiale; - ranters: atteggiamenti eccentrici e dissacratori; - seekers: ricerca individuale e critica della verità; - diggers (zappatori): il capo è Gerrard Winstanley, idea di derivazione anabattista delle terre come proprietà comuni; - levellers: richieste al tempo radicalissime come suffragio universale per il Parlamento esclusi servi e donne, superiorità camera commons sui lords, riforma legale (giustizia alla portata dei poveri e ignoranti smettendo di usare il latino, semplificazione legislativa); dal punto di vista religioso possibilità per tutti gli uomini di raggiungere la salvezza attraverso la ragione. Nel 1649 Carlo I viene condannato per alto tradimento da una corte nominata dal Parlamento (“Hung Parliament” e viene decapitato: per la prima volta nell’Europa moderna un re viene ucciso da un tribunale rivoluzionario in nome di una nuova legalità. Non avviene la decapitazione di Carlo I, bensì del "cittadino Carlo Stuart" (Carlo I): dunque non viene condannato a morte il re, ma l'uomo (forma di rispetto dei due corpi del re per il quale il re non muore mai). Nello stesso anno viene abolita la camera dei lord e proclamato il COMMONWEALTH, la repubblica unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda. CAPITOLO 15 - Il ‘600: CRISI E TRASFORMAZIONI DEMOGRAFIA Nell’ultimo decennio del XVI sec. una successione di cattivi raccolti causa una gravissima carestia i cui effetti risultano evidenti dall’innalzamento del tasso di mortalità della popolazione e dalla riduzione di quello di natalità. Anche le epidemie di peste e altre malattie, mai scomparse, contribuiscono a mietere numerose vittime. Nel 1618 lo scoppio della guerra dei Trent’anni costituisce con il suo seguito di devastazioni, carestie ed epidemie lo scenario di una serie di gravi crisi demografiche. A differenza di quanto è accaduto nel corso del ‘500 i vuoti che si creano nella popolazione non vengono rapidamente colmati: nel continente europeo si registra, per tutto il ‘600, un calo o quanto meno una stagnazione demografica. L’unica e significativa eccezione è costituita da alcune aree dell’Europa settentrionale (isole britanniche, paesi scandinavi, Province Unite), dove si verifica un sensibile aumento della popolazione. In larghe parti del continente europeo la crescita della popolazione è frenata o fermata dal susseguirsi di crisi di sussistenza e di epidemie di notevole frequenza e ampiezza. La stagnazione demografica è legata non solo agli effetti di guerre, carestie ed epidemie, ma anche all’inversione della tendenza cinquecentesca all’abbassamento del matrimonio. Nel XVII sec., infatti, le persone si sposano a un’età più avanzata rispetto a prima, con una conseguente riduzione dell’arco di tempo nel quale le donne possono procreare, in particolare nelle aree centrali e settentrionali. Tale fenomeno ha la sua spiegazione nel peggioramento delle condizioni di vita che portano al rimandare il matrimonio e la procreazione. Nel ‘600, dunque, si viene a inceppare il meccanismo demografico basato su una sorta di squilibrio dinamico fra alta natalità ed elevata mortalità, che caratterizza i movimenti naturali della popolazione europea fino alla rivoluzione industriale tra ‘700 e ‘800. MONDO RURALE Per quel che riguarda l’ambito rurale seicentesco, l’interpretazione degli studiosi neomalthusiani, ha visto nell’arretratezza delle conoscenze tecniche e nella scarsità di terre di buona qualità l’origine della crisi. Altri studiosi hanno criticato i presupposti dell’interpretazione neomalthusiana, dimostrando che terreni vergini, aree paludose o coperte da foreste che possono essere coltivati non mancano nella penisola italiana, in Inghilterra, in Francia e in Spagna. Malgrado ciò, il fenomeno di espansione delle coltivazioni si arresta assai prima di aver bonificato e messo a coltura le vaste estensioni disponibili di terreno. Inoltre nell’Europa orientale la densità della popolazione è ancora assai bassa rispetto alla parte occidentale del continente e, ciononostante, la popolazione comincia a calare. Sotto il profilo delle tecniche agrarie continua ed è nota l’integrazione fra allevamento e agricoltura, ma esse non si diffondono fino al XVIII e XIX sec. Per comprendere il fenomeno della mancata crescita della popolazione occorre guardare ad altri importanti fattori di natura sociale e culturale, in primo luogo alla polarizzazione della ricchezza che si verifica nell’Europa del XVI sec. e alla sua concentrazione in mani di gruppi sociali che, nel XVII sec., si rivelano assai meno dediti all’investimento rispetto al passato. Nel corso del ‘600, dunque, l’impoverimento di ampi strati della popolazione europea e il calo demografico si riflettono in una forte diminuzione della domanda di derrate agricole, soprattutto di cereali. Ciò comporta una drastica contrazione degli spazi di mercato e il ritorno all’autoconsumo degli abitanti delle campagne. Queste crescenti difficoltà rappresentano un ulteriore incentivo per chi possiede capitali a non investirli nel miglioramento qualitativo della produzione agricola. A fronte di tali problemi all’interno dei ceti aristocratici prevale la preoccupazione di salvaguardare nel tempo la propria preminenza all’interno della società. Essi cercano, quindi, di mantenere l’integrità dei loro patrimoni mediante il ricordo al fedecommesso (stabilire tra i membri della famiglia la linea successoria della proprietà dei beni) e destinano ingenti risorse alla costruzione di palazzi e chiese e all’istituzione di fondi speciali (monti dotati) per fornire doti adeguate alle fanciulle nobili in vista del matrimonio. Inoltre la preponderanza assunta dalla cerealicoltura rispetto a tutte le altre coltivazioni, a causa dell’aumento dei prezzi agricoli dei primi anni del ‘600, aumenta di molto i rischi che uno scarso raccolto si trasformi in carestia e causa la diminuzione dell’allevamento, che comporta, in molte zone, la riduzione del concime per i campi. Ne consegue l’aumento del rischio che i terreni, già provati dalla cerealicoltura, si impoveriscano ulteriormente nonostante le rotazioni triennali. In questo contesto il raffreddamento del clima, che dura in Europa dagli anni ’90 del ‘500 fino a metà ‘800, contribuisce a rendere più frequenti le cattive annate agricole (piccola età glaciale). La combinazione fra l’assenza di investimenti nella diffusione di tecniche intensive e il peggioramento delle condizioni climatiche spiega il fatto che le rese agricole restano stazionarie o diminuiscono fra la prima metà del ‘500 e quella del ‘700. S’innesca un circuito vizioso nel quale la caduta della domanda causa la diminuzione dei prezzi delle derrate agricole, con un’inversione della tendenza cinquecentesca al rialzo. Come l’aumento cinquecentesco dei prezzi, anche la loro diminuzione seicentesca non avviene in maniera uniforme per tutti i prodotti: ne risentono maggiormente, ad esempio, i cereali rispetto al vino e alla carne. LA PRODUZIONE MANIFATTURIERA Nel corso del ‘600 si assiste a un importante mutamento negli equilibri economici europei: non ha però luogo alcuna crisi generale, bensì una fase di acute difficoltà con momenti di vera e propria crisi in alcune aree. Ciò riguarda la produzione manifatturiera e i commerci così come il settore agricolo. La diminuzione della domanda e della quota di reddito che la gran parte degli abitanti del continente possono indirizzare all’acquisto dei manufatti mette in serie difficoltà tutte le realtà industriali del tempo. Alcune realtà assai dinamiche nel ‘500 subiscono un vero e proprio tracollo, si pensi alle manifatture tessili della Castiglia e della Catalogna a causa della concorrenza dei panni inglesi, francesi e italiani. Nei Paesi Bassi meridionali, colpiti dagli effetti della guerra tra le province ribelli e la Spagna, si registra un declino demografico e produttivo delle città manifatturiere, sebbene centri come Grand e Bruges si specializzino nella fabbricazione di tessuti di nuona qualità e nelle campagne circostanti si sviluppi la produzione di lino. Ad avvantaggiarsi di tale crisi sono l’Inghilterra e le Province Unite grazie alla fuga verso di esse di capitali, imprenditori e manodopera specializzata. In queste aree si sviluppa la produzione delle “new drapperie”, ovvero di panni di lana più leggeri ed economici di quelli fabbricati nei Paesi Bassi e nella penisola italiana. L’Inghilterra vede, infatti, crescere le proprie esportazioni di manufatti di lana. Proprio i panni di lana inglesi e olandesi, leggeri e di basso prezzo, conquistano nel corso del ‘600 i mercati mediterranei, sbocco tradizionale della produzione di alta qualità delle città dell’Italia centro-settentrionale. Qui la produzione di panni di lana subisce un vero e proprio tracollo, in particolare a Venezia, Milano e Firenze. Anche le manifatture seriche entrano in grave crisi, si pensi ai casi di Lucca, Napoli, dell’industria genovese e a Milano. Le ragioni della crisi del settore laniero e del ridimensionamento delle altre produzioni tessili nelle città dell’Italia centro-settentrionale sono diverse. A livello europeo la diminuzione della quota di reddito che le famiglie abbienti possono destinare all’acquisto di panni di alta qualità di fabbricazione italiana determina una condizione della loro domanda. Proprio il crescente impoverimento di ampi strati urbani della popolazione contribuisce gradualmente a indirizzarne la domanda di tessuti verso panni di bassa qualità e prezzo contenuto. Dunque, solo i produttori che sono in condizione di modificare il tipo di offerta riescono a vendere le proprie merci. Le manifatture delle città italiane faticano ad adattarsi ai cambiamenti poiché sin dal Medioevo puntano alla fabbricazione di tessuti di alta qualità ed elevato valore unitario. Nel momento in cui il mercato per tali prodotti di contrae, esse non sono in grado di contrastare la concorrenza inglese e olandese prima nei mercati mediterranei ed europei, poi nella stessa penisola italiana. I mercanti e gli imprenditori delle città della penisola reagiscono quindi chiedendo ai poteri pubblici l’adozione di misure volte a proteggere le realtà produttive cittadine vietando la circolazione di manodopera straniera e l’esportazione di materie prime tessili come la seta. GLI SCAMBI COMMERCIALI Lo sviluppo delle manifatture inglesi e olandesi e la crisi di quelle fiamminghe e italiane comportano l’avvio di un processo di cambiamento nelle gerarchie economiche internazionali. L’area del Mediterraneo vede ridursi quel ruolo propulsivo negli scambi a lungo raggio che neppure lo sviluppo dei traffici nell’Oceano Atlantico in seguito alla scoperta dell’America ha messo in discussione. Occorre innanzitutto tener presente il quadro demografico: elle regioni dell’Europa nord-occidentale, pur colpite da carestie ed epidemie, cresce la popolazione e il tasso di urbanizzazione; nell’area mediterranea si registra un calo, il quale comporta una contrazione della domanda urbana di derrate agricole e una riduzione del volume degli scambi commerciali, essendo gli abitanti delle città tradizionalmente orientati all’acquisto dei generi alimentari e dei manufatti sul mercato. Persino le esportazioni castigliane verso l’America tramite il porto di Siviglia entrano dal 1620 in una parabola discendente. A uscire gravemente penalizzati dalla congiuntura seicentesca sono le grandi città commerciali italiane. La concorrenza dei manufatti inglesi e olandesi risulta tanto più vincente in quanto il trasporto di tali merci avviene con naviglio proprio che elimina completamente la costosa intermediazione delle navi genovesi e veneziane. La stessa Venezia perde la sua centralità nel traffico delle spezie col Levante: i mercanti olandesi e inglesi, ai primi del XVII sec., cominciano a percorrere le rotte di circumnavigazione dell’Africa per raggiungere l’India e l’estremo Oriente, violando quello che i portoghesi hanno considerato per tutto il ‘500 un loro monopolio, e riescono a importare ad Amsterdam e a Londra spezie a prezzi assai competitivi. Il colpo di grazia a Venezia giunge quando la guerra dei Trent’anni blocca il flusso di merci e argento tedeschi verso di essa: ciò porterà la città a perdere il proprio vantaggioso ruolo di intermediazione tra Europa continentale e Mediterraneo orientale progressivamente. La città cesserà, dunque, di essere il grande centro propulsivo dei traffici e uno dei maggiori snodi internazionali d’intermediazione commerciale per trasformarsi in un semplice scalo al centro di una rete di scambi a breve/medio raggio. Anche Genova subisce gli effetti della stagnazione dei commerci mediterranei. L’unico centro urbano italiano che conosce una notevole crescita negli ultimi decenni del ‘500 e nel corso del ‘600 è il porto toscano di Livorno che, grazie agli sgravi fiscali concessi dalle autorità, diventa la sede principale delle attività commerciali olandesi, inglesi e francesi nel Mediterraneo. Progressivamente il ruolo dei gruppi mercantili italiani s’indebolisce di fronte alla concorrenza di olandesi, inglesi e francesi e le maggiori città della penisola divengono importatrici dei prodotti delle manifatture di Olanda e Inghilterra. Le esportazione sono ormai rappresentate per lo più da derrate agricole (vino, olio, uva passa) e materie prime (seta greggia). Tra la fine del ‘500 e i primi del ‘600 mentre nelle città dell’area centro-settentrionale le manifatture seriche declinano, nelle campagne si va progressivamente diffondendo la coltivazione del gelso (albero le cui foglie costituiscono l’alimento indispensabile per il baco da seta). La gelsi bachicoltura è legata alla produzione di seta greggia per le manifatture delle città italiane. Mentre, dunque, nelle città della penisola italiana compaiono o sopravvivono stintamente le manifatture che ne hanno fatto la fortuna per diversi secoli, nelle aree rurali cominciano a svilupparsi piccole manifatture dalle quali non escono prodotti finiti come in passato, bensì materie prime e semilavorati destinati all’esportazione. CAPITOLO 16 - DIVISIONE DEI POTERI, LIBERTÀ, RICCHEZZA: LA SOCIETÀ OLANDESE E INGLESE LE PROVINCE UNITE - La vittorioso resistenza della nuova repubblica delle Province Unite al dominio spagnolo rappresenta una sconfitta per gli Asburgo sia per le loro ambizioni egemoniche europee sia per la loro volontà di imporre con la forza la restaurazione del cattolicesimo. Essa rappresenta inoltre la vittoria di un modello di organizzazione statuale differente da quello che caratterizza i maggiori paesi del continente. Nelle Province Unite l’organizzazione dei poteri pubblici resta ancorata a principi tradizionali di compartecipazione alle decisioni politiche delle élites locali e al mantenimento dei corpi rappresentativi, gli Stati provinciali e generali. La nuova repubblica si costruisce non tanto sulla base del modello tradizionale delle repubbliche cittadine tedesche, di Genova o di Venezia, bensì sull’esempio radicale delle repubbliche cittadine protestanti come Ginevra e delle confederazioni cui esse danno luogo. Infatti emerge, insieme a un nuovo principio di sovranità (espresso nella forma delle istituzioni repubblicane) un senso di appartenenza alla nazione e di partecipazione alla cosa pubblica, cui si affianca una crescente affermazione del principio della tolleranza religiosa. - I DUE POTERI. Nella repubblica delle Province Unite al fianco dell’istanza rappresentativa (Stati generali) emerge un potere esecutivo fondato sulla forza militare. Nel 1648 viene firmata la pace con la corona spagnola e riconosciuta l’indipendenza delle Province Unite: gli Stati generali olandesi decretano lo scioglimento dell’esercito e lo stadhouder Guglielmo II d’Orange (succeduto a Federico Enrico d’Orange) decide di sfruttare per i propri fini il risentimento delle truppe e l’ostilità delle altre province allo strapotere olandese. Egli con il consenso degli Stati generali invade nel 1650 l’Olanda e procede a epurare i reggenti delle città a lui avversi e gli Stati provinciali. La morte improvvisa gli impedisce di consolidare il proprio potere personale in senso monarchico e consente all’Olanda di convocare una grande assemblea dei delegati delle varie province che decide di lasciare vacante la carica di stadhouder in modo da impedire il formarsi di un nuovo potere personale. Ora il ruolo chiave nelle Province Unite è rivestito dal gran pensionario di Olanda: Johan de Witt (1653). La compresenza di due poteri che esprimono tendenze ideologiche e religiose differenti, seppur protestanti (moderati/puritani), diversi interessi geografici (Olanda/altre province) e in parte distinti radicamenti sociali (reggenti cittadini avversi alla politica bellica degli Orange, i quali ricevono maggiori consensi tra nobiltà rurale e plebe urbana) manifesta la forza del modello e dell’esempio monarchico anche in un contesto repubblicano. - ECONOMIA. Dalla tregua dei dodici anni (1609-21) si assiste alla crescita economica delle Province Unite, repubblica che e metà del XVII sec. e agli inizi del ‘700 è la maggiore potenza marittima e commerciale europea, grazie ai tre importanti fiumi del territorio (Schelda, Mosa e Reno) e al ruolo assunto dalla cantieristica navale. Le aree principali verso cui si dirigono i traffici commerciali olandesi sono il Mare del Nord e il Baltico, nel secondo caso c’è una vera e propria egemonia (esportazione verso quest’area di pesce, vini, sale, prodotti coloniali provenienti dalla penisola iberica; importazioni da qui di legname, grano da esportare per guadagnare in Europa occidentale e meridionale). Il mercato interno olandese è caratterizzato da un elevato livello di monetizzazione. Anche il settore agricolo trae benefici dalle attività commerciali e le alimenta (grazie alle importazioni di grano, gli agricoltori possono dedicarsi a colture specializzate e latticini per il fabbisogno interno e l’esportazione). Il sistema finanziario e creditizio della zona è un importante punto di forza: nella capitale olandese sorge la “Banca dei cambi” (1609) e il nuovo edificio della Borsa (1611). Anche in ambito manifatturiero si verificano progressi: Leida diviene importante nella produzione di tessuti di lana; ad Amsterdam, Haarlem e Utrecht prosperano le manifatture seriche grazie alla materia prima importata dall’Italia; i grandi giacimenti di torba forniscono energia a basso costo a saline, saponifici, fabbriche di mattoni e di pipe, mentre segherie, oleifici e cartiere vengono alimentate dall’energia eolica fornita dai mulini. Tutto ciò porta a un incremento demografico nelle città dei Paesi Bassi settentrionali, risultato anche dell’immigrazione causata dalla crisi dei Paesi Bassi meridionali (1580) e dai protestanti in fuga (tolleranza, presenza comunità ebraica). - COMMERCI INTERNAZIONALI ED ESPERIENZA COLONIALE: a. COMPAGNIA UNITA DELLE INDIE ORIENTALI (VOC): creata nel 1602 dal governo delle Province Unite per i commerci con l’Estremo Oriente, in quanto esclusi dal commercio essendo ribelli alla corona spagnola. Il governo concede alla Compagnia il monopolio dei commerci delle Province Unite nell’area fra l’Africa e l’Asia e il privilegio di agirvi con una vera e propria politica militare. La VOC ha un successo notevole grazie al saldo controllo che mette in atto sulla produzione e sul commercio delle spezie. Nelle terre dell’arcipelago dell’Indonesia in cui sorgono i principali insediamenti coloniali viene attuata una specializzazione delle colture (noce moscata a Banda, chiodi di garofano ad Amboina, pepe e caffè a Giava (prima base commerciale, 1596). A farne le spese è la popolazione indigena, ridotta in schiavitù per lavorare nelle coltivazioni che arricchiscono gli azionisti della VOC. Nel resto dell’Asia la politica della Compagnia passa per la stipula di accordi con le autorità locali. Verso la concorrenza europea si agisce con aggressività per affermare il proprio monopolio: vengono, infatti, edificate diverse basi commerciali e militari che garantiscono il funzionamento degli scambi dalla Persia al Giappone, ricorrendo alla forza per fare piazza pulita dei competitori. b. COMPAGNIA DELLE INDIE OCCIDENTALI (WIC): creata nel 1621 quando la Spagna riesce a non far più giungere l’argento americano nelle Province Unite. Scopo della nuova compagnia è quello di condurre un’aggressiva politica di espansione commerciale e coloniale a danno della monarchia spagnola, di cui fa parte anche il Portogallo, in Africa occidentale e in America. Le navi della WIC danno luogo a una guerra di corsa contro i galeoni spagnoli che trasportano l’argento a Siviglia. Fra il 1630 e il 1641 la WIC conquista buona parte delle colonie portoghesi in Brasile e vari possedimenti portoghesi in Africa come l’Angola. Nasce l’idea di impiantare un commercio triangolare fra Paesi Bassi (fornitori di merci europee), Africa (deportazione schiavi in America) e Brasile (produttore di zucchero per le Province Unite). Non vi è tempo di realizzare il progetto poiché il Portogallo, staccandosi dalla corona spagnola nel 1640, in circa quindi anni riconquista tutte le colonie e la WIC inizia una parabola discendente sciogliendosi nel 1674. sistema tributario e finanziario del regno e di ridurre l’enorme debito pubblico. Nonostante alcuni parziali successi Colbert non è in grado si fare a meno del sistema degli appalti delle imposte, causa di un aumento della pressione fiscale che grava pesantemente sui contadini, mentre aristocrazia e clero mantengono le loro esenzioni. Colbert crea una potente struttura, definita “Fermes générales, incaricata alla riscossione delle imposte indirette e di quelle gravanti su Sali e tabacchi. Dal 1667, a causa delle guerre di Luigi XIV, le spese aumentano in maniera massiccia contribuendo a rendere più difficile la situazione delle finanze statali francesi con un ritorno all’indebitamento. In ambito economico l’azione di Colbert (sostenitore della pratica mercantilistica passata alla storia come colbertismo) è basata sulla concessione di privative e di monopoli, con cui creare o rafforzare settori ritenuti strategici. Il suo principale obiettivo è il raggiungimento dell’autosufficienza economica, per ottenere il quale ritiene necessario scardinare l’egemonia che le Province Unite hanno negli scambi internazionali. Nel 1664 promuove, infatti, l’adozione di una serie di tariffe doganali con la speranza di un duplice vantaggio: da una parte, si maggiora il prezzo finale delle merci importate e se ne scoraggio l’acquisto sul mercato interno; dall’altra, i dazi costituiscono un’entrata per le casse regie. Nel settore manifatturiero Colbert accompagna le misure protezionistiche con l’istituzione di manifatture regie che, oltre a servire ai bisogni della corte e degli apparati pubblici, consentono di evitare acquisti all’estero. Colbert profonde grandi sforzi per portare la produzione manifatturiera francese a livelli di eccellenza europea: redige oltre 150 regolamenti per garantire la qualità dei prodotti che escono dagli arsenali, dalle fonderie di cannoni e dalle manifatture tessili; crea ufficiali regi per controllare la lavorazione e denunciare le contravvenzioni alle norme. Egli vede nel sistema delle corporazioni di mestiere la migliore garanzia per uno sviluppo ordinato dell’intero settore manifatturiero e cerca, con un decreto regio del 1673, di estenderle a tutto il paese, incontrando però l’ostilità dei gruppi mercantili. I risultati non corrispondono alle aspettative del ministro: molte manifatture sono condannate a un rapido declino o a una vita stentata, resa possibile dalle sovvenzioni e dalle commesse della corona. Solo le manifatture che producono armamenti per l’esercito e materiali navali per la marina sopravvivono. Colbert profonde grandi energie nella promozione del settore navale, mercantile e militare e delle compagnie commerciali: egli crea una marina in grado di competere con quelle olandese e inglese e svariate compagnie, tra cui nel 1664 quella delle Indie orientali e quella delle Indie occidentali, alle quali la corona attribuisce il monopolio del commercio rispettivamente con le zone a est del Capo di Buona Speranza e con il Canada, le Antille, l’America meridionale e l’Africa occidentale. Vi è una differenza con le compagnie europee: se quest’ultime sono formate esclusivamente da mercanti, quelle fransi sono sotto il controllo diretto della corona (sovrano, membri della famiglia reale, ministri e aristocratici come azionisti). IL CONTROLLO DEL SACRO La politica aggressiva di Luigi XIV propone l’immagine di un re guerriero circonfuso di un’aurea di vittoria, ma altrettanto importante è la sua politica religiosa, volta a restaurare una completa identificazione tra potere politico e potere religioso e a rendere il sovrano il capo della Chiesa francese. Luigi XIV si mostra intenzionato a non accettare alcuna subordinazione al papato rispetto agli affari delle istituzioni ecclesiastiche francesi nel nome della tradizione gallicana. Una posizione che provoca contrasti con la Curia papale. Un primo elemento di frizione è dato dal tentativo di Luigi XIV di estendere nel 1673 anche ai territori di nuova conquista il privilegio della regalia (amministrazione da parte del sovrano francese delle rendite delle diocesi nei frequenti periodi di vacanza della sede, mancanza di un vescovo titolare). Il passo più deciso nella riaffermazione del potere regio sulla Chiesa francese è la convocazione nel 1681 di un sinodo gallicano che approva l’anno seguente la dichiarazione dei “Quattro articoli”: - il sovrano e i governanti laici non sono soggetti all’autorità ecclesiastica negli affari temporali; - la validità dei decreti del Concilio di Costanza (superiorità concili sui pontefici); - il papa deve esercitare la sua autorità in conformità alle tradizioni gallicane; - il papa è la massima autorità nelle questioni di fede, ma le sue decisioni non possono essere considerate definitive se prive dell’avallo della Chiesa. La conflittualità tra Luigi XIV e papa Innocenzo XI Odescalchi raggiunge l’apice nel 1687-88 con la contesa delle franchigie (immunità giurisdizionali) con la scomunica di Lavardin, inviato del re, e dello stesso re; un compromesso sarà raggiunto solo nel 1692 col nuovo papa Innocenzo XII Pignatelli. A partire dal 1679 il sovrano procede all’emanazione di leggi che escludono gli ugonotti dagli uffici pubblici e consentono l’alloggiamento forzato delle truppe nelle case dei sudditi di fede non cattolica: tutto ciò per ottenere un ritorno al cattolicesimo. Luigi XIV promulga l’editto di Fontainebleau (1685), col quale revoca quello di Nantes (1598). Tutti i culti protestanti, pubblici e privati, vengono ora vietati e gli edifici di culto ugonotti demoliti. Ciò causa l’esilio di circa duecentomila ugonotti verso Olanda, Svizzera, Inghilterra e Germania con la conseguente perdita di intelligenze e di capacità professionali. La volontà del monarca di farsi interprete della riaffermazione dell’ortodossia cattolica si manifesta anche nella lotta a una corrente religiosa interna alla Chiesa francese, il giansenismo (dal teologo cattolico e vescovo di Ypres Cornelio Giansenio). Essa predica il ritorno a una spiritualità personale e austera, intimamente antigerarchica, nutrita dalla lettura e dalla meditazione diretta del vangelo e influenzata dalle opere di sant’Agostino. I giansenisti professano un atteggiamento composto da ansia di rinnovamento interiore, dall’aspirazione al ritorno a un più puro cattolicesimo delle origini e da propositi di riforma della Chiesa venati di tendenze concili ariste. Luigi XIV interviene duramente contro i giansenisti, mostrandosi più zelante dello stesso pontefice, senza però riuscire a distruggere l’influenza delle idee gianseniste. Il giansenismo viene esplicitamente condannato come movimento eretico nel 1713 con la bolla papale “Unigenitus”. UN NUOVO EQUILIBRIO POLITICO Luigi XIV è attenta a eliminare quei poteri che possono essere considerati concorrenti rispetto all’autorità sovrana. Alla nobiltà, ad esempio, offre occasioni di servizio nell’esercito, nella marina, nell’amministrazione e negli uffici cortigiani. Questi ultimi sono molto accresciuti con l’edificazione della reggia di Versailles. Il Re Sole nei confronti dei pays d’état (territori che mantengono ampia autonomia e diritto di gestire l’imposizione delle tasse, es. Bretagna, Linguadoca) adotta la linea della contrattazione caso per caso, mirando a ottenere il massimo contributo finanziario degli Stati provinciali. Nel 1673 toglie ai Parlamenti del regno il diritto di rimostranza, ossia la facoltà di rifiutare la registrazione immediata degli editti regi; per il resto sceglie una strategia duttile, basata sulla mediazione e sulla condivisione. In presenza di atti che il sovrano considera di insubordinazione, inoltre, vengono presi provvedimenti molto severi per dimostrare l’errore di contrapporsi al sovrano. Il modello di monarchia realizzato in F da Luigi XIV viene presto imitato da altri sovrani tra ‘600 e ‘700: - Prussia con la dinastia degli Hohenzollern, il duca Federico Guglielmo Il Grande Elettore e il figlio Federico I; - Russia con lo zar Pietro I Romanov Il Grande. CAPITOLO 18 - LA SECONDA RIVOLUZIONE INGLESE E L’AFFERMAZIONE DELLA POTENZA BRITANNICA LA GLORIOSA RIVOLUZIONE Dagli anni ’70 del ‘600 in Inghilterra riprende l’ostilità tra il sovrano Carlo II Stuart e il Parlamento sia per questioni religiose che politiche. Il Parlamento sospetta che il sovrano voglia riprendere la tradizionale inclinazione filocattolica della casa Stuart e ciò diviene una certezza quando l’erede al trono, fratello del re, Giacomo II. Nel 1673 il sovrano è costretto dall’opposizione parlamentare a revocare la “Dichiarazione di indulgenza” con cui aveva voluto, l’anno precedente, eliminare ogni contenuto penale dalla legislazione religiosa; tale mossa avrebbe garantito nei fatti la possibilità per i cattolici di praticare privatamente il proprio culto senza incorrere in un reato penalmente perseguibile. Nel 1673 il Parlamento approva allora il “Test Act”, una legge che esclude per 150 anni i cattolici dalle cariche civili e militari, obbligando così Giacomo ad abbandonare la carica di lord grande ammiraglio. Con una seconda legge del 1678, poi, viene tolta ai cattolici la possibilità di sedere nei due rami del Parlamento. La scoperta di una presunta congiura “papista” per assassinare il re e assicurare l’ascesa al trono di Giacomo viene sfruttata dai whig (ricchi mercanti e aristocratici che si oppongono al governo di Carlo II), partito opposto a quello di corte dei tories (banditi). L’opposizione whig spinge il Parlamento ad approvare una nuova legge per impedire la successione di Giacomo, l’“Atto di esclusione”, respinto dalla Camera dei lord (1680). Il Parlamento chiede poi il rispetto delle garanzie di libertà personali e approva una legge che vieta l’arresto arbitrario dei sudditi inglesi, garantendo il rispetto del diritto dei detenuti a essere esaminati da un giudice (“Habeas corpus”). Nel 1683 la scoperta di una congiura orchestrata da alcuni estremisti whig al fine di assassinare Carlo II e il fratello per mettere sul trono un figlio naturale del re, offre la possibilità al sovrano di una dura repressione degli oppositori alla politica della corona. Nel 1685 sale al trono Giacomo II e nomina alcuni ufficiali dell’esercito cattolici violando il “Test Act” e mostrando di voler governare senza il Parlamento. I lord puritani, membri delle famiglie rivoluzionarie del 1640-49, e la maggioranza della Camera dei comuni si trovano nuovamente all’opposizione. La rottura definitiva tra corona e Parlamento avviene nel 1687 quando il sovrano con la “Dichiarazione di indulgenza” concede ai cattolici e ai non conformisti piena libertà di culto e abolisce il “Test Act”. A rifiuto del Parlamento di ratificare il decreto, Giacomo II lo scioglie. Gli esponenti whig e tory, allora, chiedono aiuto allo stadhouder d’Olanda Guglielmo III d’Orange, marito di Maria Stuart (primogenita di Giacomo II, ma protestante), che sbarca in Inghilterra con il suo esercito nel 1688. Il sovrano fugge in Francia e Guglielmo e Maria vengono proclamati sovrani d’Inghilterra. La nuova rottura della legittimità dinastica viene giustificata dalla maggioranza parlamentar con la motivazione che il sovrano aveva violato la costituzione inglese infrangendo il contratto originario tra monarchia e popolo e che, allontanandosi dal territorio inglese, aveva abdicato e lasciato il trono vacante. Guglielmo e Maria sono obbligati a giurare solennemente di rispettare il “Bill of Rights” (Dichiarazione dei diritti) in forza del quale il Parlamento viene indicato come organo rappresentativo della nazione, detentore della piena potestà legislativa e della facoltà esclusiva di imporre tasse. Ci saranno due rivolte nel 1690-91 in Scozia e in Irlanda attuate dai seguaci di Giacomo II, abilmente fronteggiate. La storiografia inglese parla di rivoluzione “gloriosa e pacifica” per enfatizzare, in opposizione agli eventi drammatici del 1640-49, il carattere relativamente consensuale e non violento del cambio di dinastia e l’inaugurarsi di una fase di espansione della potenza inglese. IL RE REGNA, MA NON GOVERNA Con la seconda rivoluzione inglese si stabilizza in Inghilterra l’idea di un potere condiviso tra il popolo (attraverso il Parlamento) e il sovrano: si va affermando l’idea di un patto, un contratto tra il re e i cittadini inglesi, di cui fanno parte sia la separazione dei poteri esecutivo e legislativo, sia le garanzie alla libertà di parola, di stampa e di culto (ribadita col “Toleration Act, 1689), l’inammisibilità di un esercito permanente in tempo di pace, l’intangibilità della proprietà privata. La corona, pur conservando il diritto di veto sulle leggi votate dal Parlamento, ne è controllata attraverso l’approvazione del bilancio statale; il sovrano mantiene la direzione della politica estere, ma deve informare le due Camere sui contenuti dei trattati diplomatici; la nomina dei ministri rimane prerogativa regia, ma sono soggetti al giudizio politico del Parlamento. Siccome Maria e Guglielmo non hanno figli, il Parlamento per escludere la salita al trono del cattolico Giacomo Edoardo, figlio di Giacomo II riconosciuto re d’Inghilterra da Luigi XIV (Act of setllement, 1701), proclama l’esclusione dei cattolici dalla successione dinastica e designa come erede al trono Anna, altra figlia di Giacomo II, e dopo di lei Sofia, nipote di Giacomo I e moglie del principe elettore tedesco Giorgio di Hannover. Giorgio I di Hannover fa fronte nel 1715 all’insurrezione della Scozia: gli scozzesi rimettono in discussione il nuovo assetto costituzionale realizzato nel 1707 con l’“Union Act” (fusione dei due regni e nascita del Regno Unito di Gran Bretagna Irlanda), in cui l’unica garanzia per l’aristocrazia scozzese era la presenza minoritari nei due rami del Parlamento di Londra (16 posti nella Camera dei lord e 45 in quella dei comuni); la rivolta scozzese viene repressa, ma si ripeterà in maniera più drammatica nel 1745-46. Si apre la lunga era del predominio whig nel Parlamento inglese, nella quale si afferma un nuovo equilibrio di poteri tra il sovrano e le Camere, nelle quali i raggruppamenti politici, antenati dei moderni partiti, si contendono l’egemonia. Siccome Giorgio I è un tedesco estraneo alla vita politica dell’Inghilterra inaugura la prassi di delegare il potere esecutivo ai ministri, scelti tra i whig. Emerge tra questi Robert Walpole che sarà al potere dal 1721 al 1742. In questi anni il gabinetto dei ministri (infatti si parla di “governo di gabinetto”) non si riunisce più alla presenza del sovrano, ma di un ministro, in seguito definito primo ministro. È Walpole a inaugurare la prassi di essere il solo contatto fra monarca e altri ministri. Il governo gradualmente diviene un’istituzione distinta dalla corona, responsabile di fronte al sovrano, che ne mantiene il diritto di nomina, ma anche di fronte al Parlamento, che deve votargli la fiducia. Emerge ora la figura del moderno primo ministro, amico personale e fiduciario del sovrano e carica istituzionale obbligata a godere della fiducia anche della maggioranza dei membri del Parlamento (il capo della maggioranza parlamentare). La nuova articolazione dei poteri: - sovrano: influente sulle scelte più importanti (es. politica estera), ruolo di garante delle istituzioni e simbolo dell’identità della nazione (un re che regna, ma non governa); - Parlamento: in carica non più per 3, ma per 7 anni, potestà legislativa; - Governo: attività esecutiva, formato dal primo ministro e dai ministri che sovrintendono all’attività di particolari rami dell’amministrazione statale. Nel XVIII sec. whigs e tories cominciano ad alternarsi al governo: non differenti nella provenienza sociale (più dei 2/3 dei parlamentari sono proprietari terrieri), ma negli interessi economici tutelati (whigs: interessati ai traffici commerciali, appoggiati dai ceti più dinamici; tories: tutela gruppi aristocrazia fondiaria più tradizionali). Occorre ricordare che il diritto di voto è ristretto poiché su base censitaria: solo chi possiede un dato reddito può partecipare alla vita politica. Inoltre le circoscrizioni elettorali in cui è diviso il paese non rispettano alcun criterio di omogeneità e di proporzionalità fra il numero degli elettori e quello dei deputati, ma rispecchiano una notevole stratificazione di leggi, consuetudini e interessi. Si innesca, dunque, il processo di formazione degli ingredienti-base della dialettica parlamentare moderna: il ruolo decisivo degli elettori nel determinare la composizione del Parlamento e la prevalenza di uno dei due schieramenti in competizione; il diritto-dovere della maggioranza parlamentare di esprimere il primo ministro e il governo in accordo col sovrano; il ruolo di opposizione della maggioranza come necessaria funzione di controllo, sì da evitare derive autoritarie del governo; la sostanziale accettazione da parte di tutti i partecipanti alla competizione delle regole del gioco. I membri del partito contrario divengono avversari e si è disposti ad accettare la loro ascesa al governo e il proprio passaggio all’opposizione. N.B. Con l’ascesa sul trono di Inghilterra (1702) della regina Anna Stuart si avvia il processi di integrazione di Scozia e Inghilterra, unificando i due regni in uno solo, chiamato Gran Bretagna (1707). Tale unificazione comporta l’annessione della Scozia, che perde la propria tradizionale autonomia giuridica e amministrativa, compreso il Parlamento. La Scozia si ribellerà due volte in trent’anni (1714, 1745) nel nome dei diritti degli Stuart. Analoghi episodi di ribellione contro il dominio inglese si verificano anche in Irlanda, base necessaria che darà vita al movimento indipendentista irlandese del XIX sec. IL FASCINO DEL MODELLO INGLESE - JOHN LOCKE, “Due trattati sul governo” (1690): allo Stato onnipotente di Hobbes, contrappone uno Stato dai poteri limitati, obbligato ad arrestarsi di fronte ai diritti incomprimibili dell’individuo: la libertà di stampa, di parola, di religione, il diritto alla proprietà e all’uguaglianza di fronte alla legge. Compito dello Stato è la difesa di questi diritti da chi cerca di violarli e l’assolutismo è un pericolo contro il quale la ribellione è giustificata. Il potere deve essere diviso in esecutivo, legislativo, giudiziario e deve essere posto in mani diverse. - RELIGIONE: negli anni della rivoluzione Milton aveva giustificato il rigicidio e sostenuto il divorzio, mentre altri avevano affermato il carattere di mero documento storico della Bibbia e difeso la legittimità della fede islamica. Alla fine del XVII sec. troviamo tendenze razionalistiche (latitudinarianism) o approcci come quelli del deismo, che interpreta la religione in un’ottica razionalistica. Secondo John Toland (“Cristianesimo senza misteri”, 1696) tutto ciò che vi è di essenziale nella religione si trova nella morale naturale, mentre ciò che non si spiega nel cristianesimo va rifiutato; egli sottopone la Bibbia a una disamina razionalistica, accettandone delle parti, criticandone altre e rifiutandone altre ancora. - Nel XVIII sec. il Regno Unito appare agli occhi dell’opinione pubblica colta e illuminata del continente un modello da guardare con ammirazione. Il regime monarchico inglese, con il suo sistema di poteri divisi, le sue libertà garantite, il suo sistema rappresentativo bicamerale, costituisce un modello invidiato. All’ammirazione per il sistema politico presto si coniuga il fascino esercitato dalla grande potenza commerciale, marittima e militare della Gran Bretagna e l’anglomania dilagherà in Europa! - LA MASSONERIA. Nata in Inghilterra nel 1717 e formalizzata con la promulgazione da parte della gran loggia inglese della “Constitutions of the Freemasons” (1723) si richiama alla tradizione gerarchica delle corporazioni di mestiere del Medioevo e alla disciplina dell’ubbidienza propria dell’universo degli ordini religiosi. Si presenta come un’associazione di eletti dello spirito, che rifiuta discriminazioni basate sul privilegio di nascita, si ispira a idee di pace, di fratellanza universale e di tolleranza religiosa e pratica una mutua solidarietà tra i propri membri. Divisa in varie sette spesso con caratteristiche differenti, essa è accomunata da rituali di stampo parareligioso e dall’ideale di un sapere esoterico che viene trasmesso all’interno dell’associazione e a cui si accede per diversi gradi di iniziazione, il cui percorso è riservato a pochi. La Massoneria si diffonde nel corso del ‘700: si aprono logge (luoghi di riunione degli associati) nelle principali città europee e nelle colonie in America. Di una loggia possono far parte uomini di diversa estrazione (nobili, liberi professionisti, funzionari statali, ecclesiastici, ecc.). Spesso la sua attività, a causa della mancanza di politica europea e dell’azione delle compagnie commerciali olandesi, inglesi e francesi. - PORTOGALLO. Nel 1662 la base indiana di Bombay viene ceduta agli inglesi come dote della principessa portoghese che sposa il re Carlo II Stuart. La progressiva contrazione del ruolo portoghese nello scenario asiatico è, però, in parte compensata dai successi che il paese ottiene sullo scacchiere dell’Oceano Atlantico: esso riprende il controllo del Brasile e delle basi di Angola. Il Brasile diviene la nuova frontiera dell’espansione coloniale portoghese: nel 1649 viene fondata la Compagnia generale del commercio del Brasile. Qui la coltivazione della canna da zucchero diviene la principale attività e per lavorare nelle piantagioni si ricorre all’importazione di schiavi dall’Africa occidentale e dall’Angola. La scoperta dei giacimenti d’oro (1697) e di diamanti (1729) nella provincia di Minas Gerais produce: l’incremento della manodopera schiava, lo spostamento verso sud dell’asse economico della colonia (decollo Rio de Janeiro, porto della zona mineraria) e l’afflusso di tantissimi coloni. Grazie a questi ultimi il Brasile è in grado di acquistare merci europee, in particolare manufatti inglesi. I gruppi mercantili inglesi, infatti, nei primi decenni del XVIII sec. penetrano economicamente nella colonia portoghese sia grazie agli accordi coi portoghesi sanciti nel trattato di Methuen (1703), sia tramite il contrabbando. Dopo il 1766 il calo della produzione d’oro delle miniere del Minas favorisce una ripresa delle attività agricole del Nord del paese. Vengono introdotte le colture del tabacco e del cotone, prodotti che alimentano i traffici con la Gran Bretagna, maggior alleato politico e principale partner del Portogallo, che importa grano, tessuti e manufatti inglesi pagandoli con l’oro e le derrate agricole brasiliani. - SPAGNA. Da un punto di vista formale il regno iberico continua a esercitare il monopolio dei traffici con le sue colonie americane (America centrale e meridionale), ma in realtà il suo esercizio è limitato da grandi difficoltà: a. Grande distanza e insidie (corsari, olandesi e inglesi) tra il porto di Siviglia (sostituito nel 1717 da Cadice) e il Nuovo Mondo; b. Debolezze strutturali dell’economia spagnola: la S dalla fine del ‘500 non è più in grado di produrre manufatti richiesti dalle società coloniali ed è, dunque, costretta ad acquistarli negli altri paesi europei, pagandoli con l’argento americano; c. Intensa attività di contrabbando tra XVII e XVIII sec. condotta con l’America spagnola dai mercanti olandesi, francesi e inglesi. - LA TRATTA DEGLI SCHIAVI. Sin dal XVI sec. la S ricorre al metodo dell’asiento: appalto con relativo monopolio del commercio di schiavi con le colonie spagnole attribuito per mezzo di una gara internazionale a singoli o a compagnie. Nel 1700 la F con l’ascesa al trono spagnolo di Filippo V di Borbone si aggiudica l’asiento de negros. Esso si aggiunge alla fiorente tratta degli schiavi che le compagnie fornite di regolare monopolio della corona francese svolgono fra l’Africa occidentale e le piantagioni delle sue colonie nelle Antille. Il trattato di Utrecht (1713) attribuisce però alla Gran Bretagna l’esclusiva nella fornitura di schiavi africani nelle colonie spagnole e il permesso di inviare ogni anno alle due maggiori fiere coloniali un vascello carico di merci britanniche. Poco a poco l’America spagnola e quella portoghese diventeranno una vera e propria colonia commerciale inglese. LA GRAN BRETAGNA ALLA CONQUISTA DELL’IMPERO Nel XVIII sec. l’Inghilterra diviene la prima potenza commerciale del globo. La legislazione degli “Atti di navigazione” favorisce lo sviluppo dell’industria navale e il formarsi di una potente marina, mercantile e militare. Le compagnie commerciali inglesi si dimostrano in grado di erodere la posizione egemone degli olandesi nei traffici internazionali togliendo loro il primato nell’intermediazione e nel trasporto merci per conto terzi. Alla fine del ‘700 la Gran Bretagna ha il monopolio mondiale dei servizi marittimi. Anche la rivale Francia conosce una crescita dei traffici, pur però dovendo subire la supremazia inglese. Nel ventennio 1721-42 la Gran Bretagna, guidata da Walpole, rafforza le basi commerciali del paese e la classe dirigente whig punta al benessere interno e alla difesa delle libertà tradizionali , ritenendo che la potenza economica britannica sia meglio tutelata dalla pace. Per questo si assiste a una relativa estraneità dell’Inghilterra rispetto ai conflitti politici continentali. Gli stessi gruppi mercantili e industriali che hanno sostenuto Walpole cominciano in seguito a voltargli le spalle, ritenendo più proficua una politica estera aggressiva verso S e F. Approfittando di episodi di corruzione in Parlamento William Pitt il Vecchio ottiene le dimissioni di Walpole. Pitt, entrato al governo nel 1746, rappresenta gli interessi e le aspettative dei settori della società inglese che vogliono un governo impegnato nella difesa e nell’espansione dei possedimenti coloniali. Ciò porterà alla guerra dei Sette anni (1756-63), per gli inglesi un conflitto condotto per sconfiggere la concorrenza francese nell’espansione coloniale in America settentrionale e in India. La posta in gioco nell’America settentrionale è il controllo dell’Ohio, zona nella quale i francesi hanno stretto alleanza con i pellerossa (“indiani”). Gli inglesi riusciranno a conquistare importanti piazzeforti e a occupare il Quebec (1759-60). Nella pace di Parigi che conclude la guerra (1763) la cartina politica dell’America settentrionale viene ridisegnata a favore della GB che ottiene dalla F il Canada e tutti i territori a est del Mississippi e dalla S la Florida. Si ha questo grande interesse per l’America perché nel ‘700 è il maggior mercato di sbocco per le merci europee, dopo l’Europa e il bacino del Mediterraneo. Nel Nuovo Mondo ha luogo, infatti, una crescita della popolazione e un aumento della domanda di manufatti che devono essere importati dall’Europa, non essendovi manifatture in America. La GB è il paese europeo che ottiene maggiori benefici dall’ampliamento del mercato americano, soprattutto grazie al commercio dei tessuti di cotone e lino di provenienza indiana. I traffici con l’America si inseriscono in una vasta rete di commerci fra le varie parti del mondo che le compagnie commerciali britanniche organizzano nella prima metà del ‘700. Il principio ispiratore è quello di pagare le merci acquistate con altre merci e di porre rimedio a una secolare emorragia di metalli preziosi verso l’Asia. Si struttura un sistema di scambi multilaterali che coinvolge 4 continenti e che ha il cuore a Londra: - dalla GB partono armi, oggetti metallici e alcolici inglesi e manufatti indiani di cotone verso l’Africa occidentale; - dall’Africa occidentale queste merci sono vendute in cambio di schiavi, avorio e oro; - gli schiavi africani sono trasportati in America centrale e meridionale, dove fruttano zucchero, legnami pregiati, tabacco e cotone grezzo; oro e avorio prendono la via dell’Estremo Oriente per acquistare tessuti di seta e di cotone, tè, caffè, spezie da spedire in GB per essere commercializzati in tutta Europa; - in Europa i mercanti inglesi acquistano merci richieste dal mercato interno inglese o da riesportare (legname del Baltico; canapa, lino, pece e catrame, ferro svedese e russo, vino e frutta mediterranei). Nel corso del XVIII sec. la tratta degli schiavi verso le colonie rappresenta una delle direttrici dei commerci triangolari fra Europa, Africa e America: fra il 1701 e il 1800 vengono comprati e condotti come schiavi in America oltre 6 milioni di africani per opera dei trafficanti di varie parti d’Europa e delle colonie del Nord America. Solo nel 1808 il Parlamento di Londra decreta l’abolizione della tratta nelle colonie britanniche, aprendo una campagna internazione a tale scopo. NUOVE EGEMONIE E NUOVI COMMERCI CON L’ASIA Tra ‘600 e ‘700 i rapporti economici instaurati dalle compagnie commerciali europee coi mercati asiatici cambiano. Ad esempio si riduce il valore delle importazioni di spezie e aumenta quello dei manufatti, soprattutto tessili (cotone indiano, seta cinese). Il principale produttore dei manufatti di cotone è l’area nord-orientale dell’India, in particolare il Bengala, sulle cui coste nella seconda parte del XVII sec. si sono stabilite basi commerciali inglesi e francesi. L’agenzia di Calcutta della EIC (fondata nel 1690) controlla l’esportazione di questa merce molto richiesta in Europa, luogo in cui riscuotono particolare successo i calicò (tessuti leggeri che prendono il nome da Calicut). Gli agenti della EIC battono sul tempo i concorrenti olandesi, avendo messo per primi l’occhio sulla produzione bengalese, e si rivelano più abili nell’intessere rapporti coi mediatori locali. Inoltre la EIC, differentemente dai rivali, lascia ai suoi rappresentanti e funzionari la facoltà di avviare proprie attività commerciali su scala locale, riservandosi il monopolio dei traffici tra India ed Europa. L’invasione del mercato britannico da parte dei tessuti di cotone indiani a basso prezzo spinge gli industriali lanieri a ottenere dal Parlamento, nel 1701 e nel 1721, leggi per scoraggiare l’importazione dei calicò indiani e per stimolare in Inghilterra la produzione di manufatti di cotone di bassa qualità per far fronte alla domanda europea, americana e africana: cresce l’importazione di cotone greggio, materia prima fondamentale per la nascente industria cotoniera. Per evitare la continua emorragia di argento verso l’Asia e la Cina le compagnie europee ricorrono sempre più a commerci triangolari in cui il ruolo fondamentale lo ha il tè cinese. In Cina, però, l’unica moneta di scambio accettata è l’argento. Per rimediare alla continua emorragia di argento verso l’Asia, la EIC dal 1730 paga il tè col contrabbando dell’oppio. Grazie alla produzione di quest’ultimo nel Bengala la compagnia inglese riesce ad assumere il controllo del commercio del tè dalla Cina. L’incremento del commercio dei manufatti tessili e del tè favorisce lo spostamento del centro dell’attività della compagnia inglese dalla costa occidentale a quella orientale dell’India: Calcutta diviene sede principale. Ha inizio nei primi decenni del ‘700 la progressiva penetrazione della EIC nella vita politica indiana per tutelare i propri interessi economici. Nel 1744 la rivalità economica nella zona tra F e GB diviene uno scontro aperto che coinvolge anche i principi indiani, complice la guerra di successione austriaca in atto. Il conflitto prosegue anche dopo la conclusione della pace in Europa, fino agli accordi franco-inglesi del 1754 che mirano a rendere neutrali i territori al di là del Capo di Buona Speranza. Sarà l’Inghilterra a rafforzare le proprie posizioni grazie al predominio in campo navale. L’India è, appunto, il secondo scenario bellico extraeuropeo in cui F e GB si affrontano nella guerra dei Sette anni: le forze britanniche, dopo un lungo assedio, conquisteranno la base di Pondicherry (1760) e il successivo trattato di pace stabilirà l’affermazione dell’egemonia britannica in India. La compagnia assume prima di fatto e, dal 1765, anche formalmente l’amministrazione del territorio del Bengala e diventa la padrona della sua economia. Diventano monopolio inglese anche commerci come quello del salnitro (per fabbricare polvere da sparo) e non si avrà più la presenza della Compagnia francese. Si arresta l’emorragia di argento per pagare i prodotti indiani, i quali vengono scambiati con merci europee a prezzi fissati dalla EIC, la quale diviene erogatrice di servizi ai principi indiani sotto forma di prestiti di denaro e di fornitura di contingenti di soldati, fino ad assumere il controllo della riscossione delle imposte e dell’amministrazione delle finanze locali. Presto gli operai tessili e i produttori di seta grezza si vedono costretti per legge a fornire alla EIC il grosso della loro produzione ai prezzi da essa stabiliti, mentre i mercanti indiani vengono sostituiti da agenti indiani e da funzionari inglesi che trattano direttamente con gli artigiani. Non appena la EIC riesce a ottenere il controllo sulle entrate pubbliche del ricco Bengala, non ha più bisogno di importare argento in India e può servirsi dell’attivo bilancio per pagare le esportazioni, per provvedere all’argento per l’acquisto di tè e seta in Cina e per coprire le spese amministrative della compagnia in Inghilterra. Questo è il primo passo verso la nascita del sistema coloniale britannico in India. Nel 1773 il Parlamento inglese approva la nomina del primo governatore generale del Bengala, mentre un nuovo conflitto con la F (1778-83) provoca un ulteriore ampliamento dei territori controllati dalla EIC. Diviene inevitabile l’intervento del potere politico britannico: nel 1784 e nel 1813 il Parlamento inglese vota due leggi (“India Act”, “Charte Act”) per porre l’attività della compagnia sotto il controllo politico, militare e finanziario delle autorità di Londra e ne abolisce il monopolio del commercio con l’India. IL RUOLO DEL MEDITERRANEO NELLA NUOVA DIVISIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO Nel corso del XVIII sec. il Mediterraneo cessa di essere l’area degli scambi commerciali più intensi e profittevoli. I traffici dall’Atlantico sono in valore più importanti e sulle rotte che collegano Europa, Asia, America e Africa compaiono nuove mercanzie delle quali i paesi del Mediterraneo sono semplici acquirenti. Anche le realtà che fino al ‘600 sono state all’avanguardia nella produzione manifatturiera e nei commerci internazioni (Italia c-n, alcune zone della penisola iberica) vedono declinare le proprie attività economiche e il controllo della commercializzazione dei loro prodotti. Nel ‘700 le flotte olandese, inglese e francese dominano gli scambi nel bacino del Mediterraneo. Si pensi ai territori ottomani del Mediterraneo orientale, un tempo mercato di sbocco di manifatture tessili italiane, ora dominio dei panni dell’Europa settentrionale. Genova, Marsiglia e Barcellona mantengono una certa floridezza solo nei traffici a breve/media distanze, ma in quelli a lunga distanza nel ‘700 dominano le merci inglesi, francesi e olandesi. Nella seconda metà del XVIII sec. il Mezzogiorno italiano diviene penetrato dall’economia britannica: la Sicilia è soggetta a una dipendenza “multipla”, per il commercio d’importazione e per i traffici di medio raggio fa capo a Napoli, Livorno e Genova, per l’esportazione sulle rotte internazionali alle flotte atlantiche. Una voce importante della bilancia commerciale della penisola italiana è l’esportazione della seta greggia e del filo di seta per le manifatture della F (Lione), della G sud e dell’Inghilterra, grazie alla coltivazione del gelso nelle campagne italiane. Nello sviluppo della produzione serica si ha una differenza tra I c-n che cresce di quattro volte rispetto al ‘600 e l’I sud dove i progressi son contenuti. Queste diversità si riflettono sulla sete esportata: produzione e vendita di filato di seta (semilavorato) per i setifici francesi che lo trasformeranno in tessuto finito (I c-n), esportazione di seta greggia (I sud). CAPITOLO 21 - VITA URBANA E MONDO RURALE Dall’ultimo decennio del ‘500 la maggior parte delle popolazioni europee conosce un peggioramento delle proprie condizioni di vita: la crescita demografica produce un aumento dell’offerta di manodopera, ma anche una riduzione dei salari agricoli e un incremento dei redditi per i grandi proprietari terrieri. Vi è una notevole richiesta di terra da coltivare da parte delle famiglie e la crescita dell’autoconsumo e anche un’ampia domanda di prodotti agricoli destinati alla vendita nei mercati. L’incremento della popolazione e della domanda di prodotti agricoli spinge i proprietari che gestiscono in prima persone le loro terre ad accrescere le proprie entrate producendo di più attraverso l’estensione delle coltivazione e pagando bassi salari ai braccianti. Prende via, in questo secolo, il processo di progressiva eliminazione della piccola proprietà contadina (soprattutto in F sud, I e S). A causa dell’aumento demografico la terra posseduta da una singola famiglia viene distribuita fra un numero sempre maggiore di eredi polverizzando la proprietà: poderi sempre più piccoli, non in grado di soddisfare le esigenze alimentari minime dei nuclei familiari. I contadini sono obbligati ad acquistare cereali sul mercato a prezzi sempre più alti e a vendere la loro forza lavoro in cambio di salari sempre più ridotti e per far ciò devono indebitarsi coi grandi proprietari o con esponenti di ceti mercantili/imprenditoriali urbani. Questa via porta però spesso al sequestro o alla vendita dei terreni per insolvenza facendo crescere nel mondo rurale il peso della media e grande proprietà fondiaria e la pratica del lavoro salariato e degli affitti. A metà del XVII sec. si ha una svolta nelle campagne e nell’economia europea: da ora l’evoluzione delle diverse realtà produttive e demografiche comincia a differenziarsi in maniera sempre più profonda. Rispetto al passato i fenomeni economici e l’andamento della popolazione conoscono scansioni cronologiche sempre più differenziate a seconda delle aree geografiche, seppur rimangono presenti dei caratteri comuni (es. condizioni di vita non migliori per i contadini). Paolo Malanima afferma che è possibile dire che “il sistema economico sembra muoversi in una sorta di equilibrio di stagnazione”. UN’EUROPA A DUE VELOCITÀ - AREA DEL MEDITERRANEO (S, I sud): predomina l’autoconsumo e si estende il suolo coltivabile; qui le campagne sono contrassegnate da coltivazioni a maggese (un terzo dei campi a riposo ogni anno), dalla presenza di latifondi e dall’esistenza di un quadro giuridico che ostacola la compravendita della terra e l’attuazione di migliorie per renderla più produttiva (contratti d’affitto a lunghissima durata, fidecommesso). Nel ‘700 si assiste all’esportazione di derrate agricole da queste aree grazie all’estensione delle terre coltivate e alla ridotta domanda interna legata alla stagnazione demografica; - CATALOGNA E I c-n: maggiore disponibilità di acqua che permette lo sfruttamento intensivo della terra; si investono capitali nei miglioramenti agricoli (impianto alberi da frutto e vigneti, introduzione nuove colture come il mais). Si punta sulla rotazione continua e sull’integrazione fra agricoltura e allevamento; - GERMANIA: progressi rallentati e diversi da regione a regione (Baden, Palatinato, Nassau: patate, piante foraggere; Sassonia: resiste il maggese con alti e bassi fino all’inizio dell’‘800); - RUSSIA: non ci sono progressi tecnici (latifondo, tecniche arretrate medievali, servitù della gleba) fino al tardo ‘800; - PROVINCE UNITE: campi suddivisi in tre parti e coltivati seguenti cicli di 3/4 anni in cui si alternano grano, avena, periodo di riposo; il principale problema è l’impoverimento del suolo poiché l’unico concime utilizzato è quello animale, insufficiente a ricostruire la fertilità dei terreni impoveriti. Per aumentare la produttività del suolo si fa ricorso a nuove tecniche agricole che contemplano l’impiego di tanto concime animale e si produce foraggio per alimentare gli animali. Giù nel ‘500 la pratica del maggese comincia ad essere sostituita dalla coltura del ravizzone e della colza, piante erbacee che nel ‘600 sono sostituite da piante foraggere (erba medica, trifoglio, rapa, piante leguminose) per alimentare il bestiame e per rigenerare la fertilità del suolo ripristinandone la capacità produttiva (fissano i sali presenti nell’azoto atmosferico nel terreno restituendogli le proprietà perdute con le precedenti coltivazioni). La connessione tra agricoltura e allevamento rende i terreni più fertili e permette di produrre latticini. Le campagne olandesi, però, non raggiungeranno il tasso di sviluppo che marcherà l’Inghilterra nel ‘700 poiché i rendimenti agricoli (rapporto fra terreno coltivato e prodotto ottenuto) non aumentano significativamente e il livello della produttività (rapporto lavoro-produzione) non è sufficiente a consentire un decollo dell’agricoltura paragonabile a quello inglese. LE “ENCLOSURES” E LA RIVOLUZIONE AGRICOLA IN INGHILTERRA L’Inghilterra fa tesoro dei successi agricoli dei Paesi Bassi mutuandone le nuove tecniche. Già nella seconda metà del XVII sec. con la flessione dei prezzi dei cereali e la stabilità di quelli della carne e dei prodotti derivanti dalla zootecnia (latticini), i proprietari inglesi (squires = gentiluomini di campagna) puntano sul miglioramento dell’allevamento bovino. Hanno bisogno di più foraggio e ricorrono alla rotazione continua, sviluppata nelle terre fiamminghe e già nota in Lombardia da tardo medioevo. Il sistema ideato nelle campagne fiamminghe, tra Anversa e Gand, che abolisce il maggese, si diffonde nel XVIII sec. in Inghilterra in una nuova versione di maggior successo nota come “SISTEMA DI NORFOLK” (contea in cui viene adottato per la prima volta): prevede la divisione dei terreni in quattro parti, in cui si alterna grano, rape, orzo e trifoglio in modo da ottenere tre importanti risultati: - aumenta la superficie coltivabile senza interruzioni grazie alla scomparsa del maggese; - viene ricostituita la fertilità dei campi grazie alle piante foraggere (rapa, trifoglio, leguminose), essenziali per il terreno (azoto); - le piante foraggere dopo la falciatura e la fienagione forniscono nutrimento per il bestiame, il quale fornisce letame per la - Le famiglie mutano col tempo: come gli individui anche esse hanno un ciclo di vita. - Le famiglie ricche e nobili sono le più complesse da analizzare: consuetudine di coltivare il mito delle origini familiari, la quale si spiega con la supremazia assegnata nell’antico regime a ciò che dura nel tempo (segno di fermezza, stabilità, corrispondenza al volere di Dio) rispetto a ciò che muta (segno di volubilità, fragilità, deviazione da un ordine stabilito); altra regione è anche la delimitazione, attraverso il linguaggio della parentela, dei confini delle alleanze (il matrimonio per le famiglie nobili, ma non solo, significa affermare una relazione di alleanza con un’altra famiglia). IL MATRIMONIO Mentre quello in epoca precristiana era un semplice contratto privato, nella società di antico regime il matrimonio è un sacramento e per questo motivo la Chiesa attraverso di esso esercita per secoli un’influenza decisiva sulla vita familiare. Essa ha imposto un modello preciso di matrimonio (monogamico, eterosessuale, indissolubile), ha stabilito la regole delle nozze esogamiche (contratte al di fuori della sfera parentale) e ha difeso la libertà degli individui di sposarsi a piacimento, preferibilmente con l’assenso familiare. La logica familiare tradizionale, che considera il matrimonio essenzialmente come un’alleanza attraverso cui si realizza il passaggio ereditario di beni tende a controllare le unioni matrimoniali preferendo dunque il parente, l’amico o il vicino conosciuto con cui è possibile progettare scambi equi di dote. Questa preferenza verso un matrimonio ravvicinato (ripetere nel tempo le nozze con famiglie conosciute e alleate) urta spesso contro le regole della Chiesa, che impediscono di non sposarsi entro un certo numero di gradi di parentela. Le famiglie così si vedono così costrette all’incognita di progettare alleanze con famiglie con cui non vi erano state precedenti unioni matrimoniali. Ancor più contestato è il principio della libertà di scelta del coniuge che la Chiesa, attraverso la teoria dell’amore, vuole riservato all’individuo che desidera sposarsi. La logica familiare vuole invece riservare la scelta dei matrimoni alla strategia familiare, indirizzata all’ottimizzazione delle risorse economiche e/o politiche. Se sul terreno matrimoniale si apre una dialettica serrata tra le famiglie e la Chiesa, sull’aspetto della vita familiare relativo all’ordine gerarchico a alla divisione di generi dei ruoli sociali, le famiglie trovano nella Chiesa un forte sostegno (ubbidienza figli v/padri, subordinazione universo femminile al maschile). LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA Durante il XVIII sec. cambiano gli equilibri demografici in Europa. La popolazione di antico regime è giovane e alta è la mortalità e la natalità. Dalla fine del ‘600 e nel ‘700 si abbassa il livello di mortalità: rarefarsi delle grandi epidemie come la peste, progressi nella medicina (invenzione vaccino vs vaiolo), miglior nutrizione, sistemi contenimento contagio (chiusura dogane, lazzaretti, quarantene delle navi sospette di avere a bordo morbi infettivi), riduzione mortalità infantile; occorre ricordare anche che con la diffusione della Rif. protestante aumenta la nuzialità (no obbligo celibato clero) e quindi la natalità. Questo insieme di condizioni che definiscono la transizione demografica vedono, in un primo tempo, un abbassamento dei livelli di mortalità con il mantenimento di elevati livelli di natalità e, di conseguenza, una crescita della speranza di vita che si traduce in un aumento demografico. Poi si manifesta una sorta di stabilizzazione del nuovo equilibrio demografico caratterizzato da più moderati tassi non solo di mortalità, ma anche di natalità. Lentamente, infatti, grazie alla minore pressione dovuta alla mortalità infantile, l’età del matrimonio delle donne si alza restringendo il periodo di fertilità; inoltre si diffondono tecniche anticoncezionali. Una più moderata natalità mostra subito, nel caso delle famiglie possidenti, i suoi benefici effettivi: si evita uno spezzamento del patrimonio ed eventuali tensioni al riguardo, è possibile assegnare a ciascuno dei figli una porzione anticipata della futura eredità per permettergli di fondare su più solide basi il nuovo matrimonio. IN BREVE, UN REGIME A BASSA PRESSIONE DEMOGRAFICA (bassa natalità e bassa mortalità) SOSTITUISCE UN REGIME AD ALTA PRESSIONE DEMOGRAFICA (alta mortalità e alta natalità), PRODUCENDO UNA MAGGIORE CAPACITÀ DELLE FAMIGLIE DI ACCUMULARE CAPITALI E DI METTERLI A DISPOSIZIONE DEI PROPRI MEMBRI. La transizione demografica è possibile anche grazie all’aumento delle risorse disponibili, alla diffusione di conoscenze e tecniche agricole, all’ampliamento dei commerci e al miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie. La nuova dinamica della popolazione inizia a interessare, a partire dai decenni tra XVII e XVIII sec. l’Inghilterra e nel corso del XVIII sec. l’Europa nord-occidentale. Le regioni dell’Europa meridionale e orientale dovranno attendere il XIX sec. inoltrato. Occorre notare che laddove si verifica una crescita delle rese e della produttività del lavoro agricolo (Inghilterra, Paesi Bassi) si hanno i tassi maggiori di crescita demografica, mentre nei paesi con rese stagnanti (S, I) la popolazione cresce con gli stessi ritmi di un secolo prima. INDIVIDUALISMO AFFETTIVO - Nel corso del XVIII sec. nelle aree protestanti, soprattutto nelle calviniste, la religione tende per ragioni dottrinali ad addossare all’individuo la responsabilità morale, ma anche materiale, delle proprie scelte. Ne deriva un’accentuazione dell’idea che ciascuno deve modellare la propria vita e quindi, indirettamente, una tendenza ad attribuire agli individui, e non alle logiche familiari, la scelta del coniuge ponendo l’accento sulla libertà individuale e fondando un mutamento di sensibilità importantissimo (occorre ricordare che anche la tradizionale posizione della Chiesa cattolica favorisce la libera scelta degli individui). - La tradizionale teoria cristiana dell’amore come forza positiva e collante dei legami sociali viene riletta e trasformata in una teoria sociale delle relazioni interpersonali, in un codice laico e universale delle passioni. In Inghilterra nasce il ROMANZO SENTIMENTALE (genere narrativo che apparentemente riproduce la dinamica affettiva dell’epoca, ma che in realtà plasma una nuova sensibilità amorosa, articolata in un’inedita dinamica relazionale: per amore si vive, si lotta e si muore e si sfidano le convenzioni e le barriere sociali). Il messaggio di liberazione affettiva proposto dal romanzo sentimentale rispecchia il punto di vista del pubblico che li legge e di coloro che li scrivono, in particolare quello della gentry (gruppo sociale ristretto, ma socialmente influente; nobili di campagna che non sdegnano gli affari, possidenti borghesi che ambiscono ad assumere comportamenti sociali nobiliari, ceti urbani affaristici che mimano e reinterpretano i modelli culturali dei gentiluomini). Tra i comportamenti di tale mondo di benestanti, grazie anche alla diffusione della lettura personale, sta una nuova educazione sentimentale appresa non solo attraverso le prediche della messa domenicale, ma direttamente con la lettura. Sono soprattutto le donne della gentry le fruitrici di questo genere. - La gentry mette inventa e mette in pratica in questi anni il concetto di PRIVACY, che permette la nascita di un nuovo mondo sentimentale. - Si diffondono nuove forme di socialità privata: circoli, club, sale di riunione e locali dove si consumano le nuove bevande che la “rivoluzione dei consumi” (XVII sec.) mette a disposizione delle classi abbienti (tè, caffè, cioccolata); in questi ambienti (e nei tradizionali salotti) si evolve una nuova forma di socialità che vede le donne protagoniste, un universo femminile colto e benestante. Tale evoluzione dall’Inghilterra prende poi piede in Europa. I mutamenti nell’universo familiare e affettivo saranno ovunque rilevanti, tanto che dalla fine del XVIII sec. e nel XIX sec. il matrimonio tenderà ad essere vissuto sempre più come scelta individuale in cui fondamentale sarà la dimensione affettiva e la libertà individuale. CAPITOLO 23 - L’ILLUMINISMO L’Illuminismo è un fermento intellettuale nuovo e dirompente che attraversa nel ‘700 in varie forme l’intero continente europeo. Esso vuole trasmette un senso del cambiamento: dove prima imperano le tenebre della superstizione religiosa, dell’ignoranza, del clericalismo e del fanatismo ideologico occorre introdurre il lume della ragione. Si tratta di un diverso stile di pensiero che si afferma a scapito delle più tradizionali visioni del mondo, improntate all’osservanza dei dogmi religiosi. Si viene imponendo, almeno nei circoli più colti e avvertiti, una diversa atmosfera intellettuale, più libera e spregiudicata, ostile al sapere convenzionale, avversa al dogmatismo clericale, nemica del principio di autorità. Questo mutamento è reso possibile dalla presenza di formazioni statuali come l’Inghilterra e le Province Unite, esperienze politico-sociali basate sulla divisione dei poteri che contrastano con la legittimazione sacrale, la teorizzazione assolutistica e la prassi dispotica della maggioranza delle monarchie europee settecentesche. Proprio dall’Inghilterra e dalle Province Unite del ‘600 vengono i due filoni fondamentali sulle cui basi si costruisce la stagione illuministica: 1. GIUSGNATURALISMO OLANDESE (Grozio, Altusio, Spinoza, poi Locke): critica del fondamento biblico dell’autorità politica e introduzione dell’idea di un diritto naturale e razionale come base e fondamento dei sistemi sociali; 2. DEISMO: contestazione del concetto di religione rivelate a favore dell’idea di una religione naturale che va scoperta e analizzata alla luce della ragione. La ragione deve prendere il posto della rivoluzione e i filosofi quello dei teologi. LA CRISI DELLA COSCIENZA EUROPEA Tra l’ultimo ventennio del XVII sec. e la fine del lungo regno di Luigi XIV (1715) alcuni segnali di trasformazione degli orientamenti culturali e degli stili di vita hanno indotto gli storici a identificare una fase di trasformazione della vita intellettuale e sociale europea. Paul Hazard nel 1935 conia la definizione PERIODI DI CRISI DELLA COSCIENZA EUROPEA. In pochi decenni a una società essenzialmente basata sul principio di autorità e sulla deferenza verso il potere politico e religioso si sarebbe sostituita una società fondata sul diritto, la tolleranza l’indipendenza della morale dalla religione, la libera ricerca scientifica. Insomma, un diverso atteggiamento verso il nuovo ben riassunto dalla famosa discussione iniziata in F chiamata “querelle” sulla superiorità degli antichi rispetto ai moderni. Fin dall’Umanesimo e dal Rinascimento non era mai stata posta in discussione la superiorità del mondo antico; ora però si inizia a dubitare di questa superiorità e vi è chi argomenta che, per quanto magnifiche fossero state le realizzazioni dell’età classica, esse devono cedere il passo rispetto a quelle dell’età attuale, “moderna”: grazie alla forza dei numeri e alla conoscenza del passato, la società moderna può superare le soglie del sapere sulle quali il mondo classico si era dovuto arrestare. Con questa discussione si inizia, inoltre, a elaborare una diversa idea della storia: fino ad allora la vicenda dell’umanità era stata immaginata e letta sulla base di uno schema ciclico, un’idea mutuata dall’osservazione del succedersi delle stagioni e del moto rotatorio dei pianeti. Ora si fa strada una concezione evolutiva di tipo lineare e cumulativo della storia umana, attraversata da un processo di accrescimento quantitativo e qualitativo senza fine e senza limiti chiamato progresso. Tale visione progressiva identifica una tendenza evolutiva indirizzata al miglioramento delle condizioni di vita, delle istituzioni politico-sociali e delle creazioni artistiche e letterarie. La discussione permette anche di capire come certi temi, ripresi dalla cultura classica, acquisiscano ora una nuova e diversa autonomia: si pensi alla questione della ricerca morale individuale, svincolata dalla religione tradizionale, che caratterizza il filone intellettuale noto come LIBERTINISMO. [LIBERTINISMO: nato nella Rif. protestante identificava un atteggiamento individuale alieno dall’ubbidienza a ogni Chiesa istituzionale e soggetto solo alla devozione allo Spirito Santo; questo mov. religioso poi si estingue e dà luogo a un atteggiamento più complesso influenzato nel XVII sec. dalla morale stoica; con libertini si identificano gli spiriti liberi/forti, sostanzialmente atei, che non mancano di possedere e di praticare una propria etica, spesso rigida, secondo un atteggiamento che ha tratti di somiglianza col giansenismo; il libertinismo veicola, reinterpretandolo, un atteggiamo elitario e non di rado esoterico già presente nella cultura rinascimentale: atteggiamento di superiorità e distinzione, alimentato dalla rilettura dei testi dell’epicureismo e del materialismo antichi, che conduce alla teorizzazione di un’assoluta libertà del pensiero, che stride con le costrizioni e vincoli all’espressione intellettuale imposti dalle autorità civili e religiosi in gran parte d’Europa. Il libertinismo si mantiene come un orizzonte individuale di libertà interiore che, talvolta, come nella F settecentesca, finisce per influenzare i costumi di vita estremizzandoli alla ricerca di un piacere svincolato dalle norme religiose e dal costume sociale. “Libertino” = individuo dedito a letture e comportamenti licenziosi estranei alla morale corrente.] L’ILLUMINISMO FRANCESE Con la fine della guerra di successione spagnola si chiude il ciclo di guerre del Re Sole: a Parigi si respira una nuova atmosfera, resa possibile dai rapporti con la GB. La maggiore libertà di stampa consente la diffusione di idee eterodosse, mentre la congiuntura politica favorisce la conoscenza del modello politico-istituzionale, ma anche socio-culturale inglese. MONTESQUIEU (1689-1755) L’attrazione per l’Inghilterra, che con il passare del tempo diverrà in F un vero e proprio stile intellettuale, carico di evidenti significati politici antidispotici, testimonia di un’insoddisfazione crescente degli intellettuali per le condizioni del regno. Nel 1721 M pubblica “Lettere persiane”, una critica acida e corrosiva delle istituzioni e dei costumi della nazione in cui denuncia la condizione di arretratezza in cui versa la F. Percorso da una vena polemica antidispotica il testo contiene già quelli che saranno, in seguito, i cavalli di battaglia della critica politica illuministica: la denuncia della superstizione, dei vizi derivanti dal dogmatismo religioso e da pratiche come quelle del celibato ecclesiastico e del monachesimo contrapposte all’ideale della libertà di pensiero e della tolleranza religiosa. Nel 1734 esce “Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e sulla loro decadenza”, un testo che esclude il caso o l’azione della provvidenza dall’analisi degli avvenimenti storici per lasciare spazio a una ricostruzione razionale della catena di cause degli eventi. Nel 1748-54 “Lo spirito delle leggi”: uno dei grandi testi dell’Illuminismo europeo, pietra miliare della storia del pensiero liberale. L’essenza delle leggi (il loro “spirito”) secondo M può essere indagata solo attraverso procedimenti razionali e non attraverso anguste tecniche deduttive. Tre sono gli universi politico-sociali descritti nel trattato: monarchia, repubblica e dispotismo. La loro natura profonda viene analizzata in rapporto a precisi principi dinamici che li animano e all’influenza di fattori geografici climatici. M finirà per proporre la divisione dei poteri come strumento fondamentale per la conservazione della libertà: è la monarchia parlamentare e costituzionale all’inglese, in cui i corpi intermedi e le istituzioni di garanzia (come in F i Parlamenti) giocano un ruolo fondamentale. VOLTAIRE (1694-1778) Con la pubblicazione nel 1734 delle “Lettere inglesi” la GB diviene per i francesi un modello alternativo, il sistema politico-sociale ideale rispetto al quale far risaltare le tendenze dispotiche, l’intolleranza religiosa, l’arretratezza economica e sociale della F. Voltaire è un intellettuale destinato a influenzare profondamente con le sue opere il dibattito culturale europeo. L’Inghilterra da lui descritta rappresenta ciò che la F avrebbe potuto essere e non è, ovvero un paese libero e tollerante, aperto alla discussione filosofica e alle nuove teorie newtoniane, prospero e lontano dalla rigidità cetuale della società di antico regime. Ritiratosi in un castello della Lorena, Voltaire prende poi a tessere relazioni con gli intellettuali europei del tempo: con lui l’Illuminismo inizia ad assomigliare a ciò che avrebbe voluto essere: un movimento intellettuale coerente che si batteva in ogni parte del continente per il progresso civile. In realtà, anche a voler considerare solo la F i philosophes (illuministi) hanno opinioni differenti su molti dei temi principali della vita pubblica, oltre ad appartenere a differenti scuole di pensiero filosofico e morale. Essi sono però accomunati dalla tendenza a contrapporsi alla tradizionale visione parareligiosa del mondo sociale, dalla fiducia nella ricerca intellettuale, dalle radici culturali libertine e deiste (spesso amplificate dalla partecipazione alle logge massoniche) e dalla volontà di esercitare attraverso l’opinione pubblica, un’influenza sulle scelte dei governanti. Voltaire compone poi romanzi filosofici come “Candide” e racconti come “Zadig” e “Micromega” e opere storiche che fondano un nuovo genere, la storiografia filosofica: “Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (ricostruzione della storia europea da CM a Carlo V) e “Il secolo di Luigi XIV” (storia della F dall’avvento di Luigi XIII alla morte del Re Sole). Con Voltaire la storia cessa di essere incentrata sul mondo antico e sulla tradizionale lettura provvidenzialistica delle vicende europee che ne avevano offerto intellettuali “devoti” come Bossuet. L’Europa di Voltaire include i popoli dell’Asia e delle Americhe, con le loro religioni diverse dal cristianesimo. Lo sguardo di Voltaire non si sofferma solo sugli avvenimenti bellici e le vicende dinastiche, ma si allarga a comprendere fenomeni sociali complessi, che vengono scrutati per coglierne, trascurando i particolari, i tratti essenziali. Una storia, dunque, interpretativa che illustra apertamente i vizi del fanatismo religioso, dell’intolleranza ideologica e del bigottismo per indicare la strada di un futuro migliore. Delineando gli splendori del secolo passato, un’operazione intellettuale destinata a influenzare tutta la storiografia successiva, più evidenti appaiono i mali presente, e cioè la povertà materiale e morale della nazione. L’“ENCYCLOPÉDIE” Un gruppo di philosophes riesce nell’impresa di raccogliere il nuovo sapere in un’opera a stampa, l’Encyclopédie, manifesto ideologico del pensiero illuministico, realizzato dal filosofo e scrittore eterodosso Diderot e dal matematico d’Alembert. Il “prospetto” dell’Encyclopédie viene diffuso nel 1750, ricevendo immediatamente un elevato numero di sottoscrizioni che consentono una tiratura per l’epoca elevatissima: oltre 4000 copie per le 60.000 voci distribuite in 17 volumi di testo e 11 tavole illustrate. Lo scopo di questa opera è ridisegnare una mappa aggiornata della conoscenza universale. Il primo volume viene pubblicato nel 1751; nel 1752 l’attività viene sospesa perché accusata di empietà e ripresa nel 1753 con un volume all’anno fino al 1757. Con gli attacchi, la revoca dell’autorizzazione regia e la condanna di papa Clemente XIII sarà nuovamente sospesa. Gli ultimi dieci volumi del testo saranno inviati ai sottoscrittori dal 1766, seguiti poi dalle tavole. Nel 1772 la gigantesco è compiuta dopo un ventennio. Il XVIII sec. vede crescere le discipline scientifiche velocemente, un esempio è la costruzione della pila con Alessandro Volta. L’atteggiamento di fiducia nelle capacità della ragione si estende anche all’analisi del mondo umano con il SENISMO, cioè la tendenza a ricondurre la conoscenza umana ad dati dei sensi e dell’esperienza, e con il MATERIALISMO, una visione di tipo meccanicistico della natura e dell’umanità che esclude tutti i presupposti dogmatici, come ad esempio l’esistenza dell’anima o di Dio. Queste impostazioni filosofiche saranno estese alla comprensione dei fenomeni sociali, con conseguenze rilevanti sulla percezione della società. ottimizzare il funzionamento del prelievo fiscale e a proteggere la prod. agricola (misure protezionistiche), il tutto rafforzando gli apparati statali. Suo importante obiettivo sarà la conquista della Polonia: nel 1772 spartisce la Polonia con la Russia e con l’impero, ottenendo la Prussia occidentale, mentre alla Russia vanno la Bielorussia e parte della Lituania e all’impero la Galizia. Avverranno altre due spartizioni della Polonia (1793, 1795) che porteranno alla scomparsa del paese come entità politica autonoma. Federico costruisce, inoltre, ancora approssimativamente, l’identità protonazionale prussiana e del senso di appartenenza a una comunità “nazionale”. CATERINA II (zarina di Russia, 1762-96) Detta La Grande, di origine tedesca, educata alla cultura illuministica, guarda i paesi più sviluppati d’Occidente come modelli da cui trarre insegnamenti per le riforme economiche e sociali da attuare in Russia. La zarina smantella, secondo linee già sperimentate dall’Inghilterra anglicana e dalla F gallicana, il potere e ricchezza della Chiesa ortodossa assoggettando il clero russo con una trasformazione dei sacerdoti in stipendiati dello Stato. Rafforza, inoltre, la presa nobiliare sulle popolazioni rurali, attraverso il divieto ai contadini di appellarsi alla giustizia regia contro le prepotenze dei signori. Ciò suscita nel 1767 il malcontento e l’irrequietezza nelle pianure russe provocando una rivolta nel 1773 contro cui la zarina userà l’esercito sedando l’insurrezione nel sangue. Introduce inoltre l’istruzione elementare statale e gratuita nelle città e garantisce qualche libertà di stampa e stabilisce una “Carta della nobiltà” (1785) fissando la composizione della nobiltà e dando ad essa ulteriori esenzioni e garanzie. Con la rivoluzione francese la zarina orienterà, però, la propria politica culturale in senso tradizionalistico, abbandonando ogni idea di riforme. La svolta è preparata dal progetto imperiale diplomatico-militare (“progetto greco”) ideato dal favorito Potemkin: espansione verso sud-est per restaurare l’impero romano d’Oriente a spese del decadente impero Ottomane. Ci saranno due guerre (1768-74; 1787-92) contro gli ottomani con le quali la R conquista importanti luoghi sul Mar Nero. LE RIFORME DELL’IMPERO ASBURGICO: MARIA TERESA E GIUSEPPE II I più importanti interventi di riforma politica, sociale ed economica sono promossi da Maria Teresa d’Asburgo, moglie dell’imperatore Francesco, fervente cattolica distante dalla cultura dei lumi. Ella ha ereditato dal padre Carlo VI l’idea che la crescita economica sia alla base della politica di potenza e si serve della spinta all’efficienza del prelievo fiscale e al miglioramento della macchina statale, anche con l’aiuto del cancelliere di corte e di Stato Von Kaunitz: - si tenta di uniformare gli ordinamenti dei domini diretti dalla corona asburgica (Austria e Boemia, mentre l’Ungheria continua a mantenere un’ampia autonomia) e si emanano provvedimenti incisivi per assoggettare la nobiltà al pagamento delle tasse; - intervento nell’istruzione, sottratta alla chiesa e resa dal 1774 obbligatoria e sotto il controllo statale, come anche l’assistenza sociale e la sanità. Dal 1765 viene associato al trono il figlio Giuseppe II, il quale diviene imperatore del Sacro romano impero nel 1780 e con il quale il profilo riformatore della politica asburgica si accentua decisamente: - smantellamento dell’universo ecclesiastico tradizionale con l’assoggettamento del clero in una cornice statuale e nazionale: soppressione di ordini religiosi (1781), chiusura di molti conventi, ristrutturazione diocesi e parrocchie, apertura seminari generali per la formazione del clero sotto il controllo state, beni ecclesiastici incamerati dallo Stato e venduti per ripianare il debito creato dai conflitti militari, sacerdoti e vescovi stipendiati, promosse forme di devozione più austere e rigorose; - provvedimenti a garanzia delle persone: diritti per gli ebrei, patente di tolleranza, libertà di culto alle professioni di fede cristiana non cattoliche, introduzione per i non cattolici del matrimonio civile e della possibilità di divorziare; - nuovo codice penale (1787): abolizione tortura e discriminazione di ceto dinanzi alla legge. I tentativi condotti per accresce il proprio potere imperiale si scontrano con la resistenza dei corpi territoriali, che lo costringono ad abbandonare il progetto. Un successo maggiore incontra la protezione delle manifatture e dell’agricoltura, condotta sulla base di idee mercantilistiche. Negli anni ’80 del ‘700 nei diversi territori asburgici viene abolita la servitù della gleba e viene introdotto il catasto. Nel 1789 un provvedimento abolisce l’obbligo per i contadini di fornire prestazioni lavorative gratuite nelle terre dei feudatari e introduce un’imposta fondiaria unica del 12% per tutti i sudditi. Ciò scatena l’opposizione degli aristocratici, in particolare quelli ungheresi, e provoca la richiesta da parte dei contadini della completa abolizione degli obblighi verso i signori. Il successore di Giuseppe II, LEOPOLDO II (1790) annulla queste riforme e ripristina la situazione precedente. LA SOPPRESSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ Nel corso della seconda metà del XVIII sec. acquistano peso le politiche di tipo giurisdizionali stico, ovvero l’intervento del potere politico negli ambiti dell’ordinamento ecclesiastico non connessi alle questioni religiose e dogmatiche: gestione dei beni ecclesiastici (“manomorta”), rapporti chiese locali-papato, nomine vescovi, benefici ecclesiastici, giurisdizione tribunali ecclesiastici, formazione clero e controllo ordini religiosi. Un caso importante è quello della Compagnia di Gesù. Con il trascorrere del tempo i gesuiti erano divenuti un potente strumento di intromissione del papato negli affari di Stato poiché ricchissimi, culturalmente influenti, politicamente potenti (confessori e consiglieri spirituali dei sovrani). Essi sono bersaglio delle polemiche illuministiche e delle politiche riformatrici. La prima espulsione dei gesuiti avviene in Portogallo col marchese di Pombal, ministro onnipotente del sovrano Giuseppe I, nel 1759 con la scusa di una presunta congiura. Il provvedimento viene imitato poi nei territori della casa di Borbone: in F nel 1764 e tre anni dopo in S, Napoli, Sicilia e Parma, seguiti dagli altri Stati della penisola italiana. I gesuiti diventano così simbolo di tutto ciò che occorre riformare: la superstizione cieca contrapposta alla ragione trionfante, la soggezione dei poteri statali al papato, la sottoutilizzazione delle risorse economiche di un patrimonio fondiario onnipotente, improduttivo e protetto dalle franchigie ecclesiastiche, il monopolio clericale dell’istruzione e del sapere da affidare allo Stato, la soggezione della potestà sovrana all’oscura influenza dei confessionali. Spesso critiche, almeno in parte, ingiuste. In realtà le ragioni per cui i gesuiti vengono espulsi da molti Stati cattolici devono essere almeno in parte ricondotte a un riassestamento interno alla Chiesa, entro la quale si fanno strada idee di riforma non dissimili, per molti aspetti, da quelle che contraddistinguono la vita politica e sociale dell’Europa. Papa Clemente XIV Ganganelli nel 1773 scioglie la Compagnia di Gesù, per la cui ricostruzione dovremo attendere papa Pio VII nel 1814. Data l’importanza nel settore scolastico, dopo lo scioglimento dell’Ordine, i gesuiti rimangono in alcune città svizzere, in Austria e in Prussia dove Federico II, sovrano “illuminista” e luterano, li prende sotto la propria protezione. LE RIFORME IN ITALIA L’orientamento riformatore di Maria Teresa e di Giuseppe II produce profondi effetti in Italia, favorito dalla diffusione nella penisola delle idee illuministiche. - LOMBARDIA AUSTRIACA: luogo per gli Asburgo di sperimentazione. Nel 1760 avvio del catasto geometrico particellare realizzato da Pompeo Neri che mette a disposizione del governo una mappatura realistica della proprietà fondiaria per una più equa distribuzione del carico fiscale e uno strumento conoscitivo fondamentale del territorio. Nel 1765 viene istituita la “giunta economale” per le materie ecclesiastiche che produce provvedimenti come lo smantellamento delle esenzioni fiscali dei beni della Chiesa. - TOSCANA: il granduca Pietro Leopoldo, fratello minore e successore di Giuseppe II, introduce riforme economiche e giuridiche. È il primo principe d’Europa ad abbandonare le tradizionali politiche di stampo mercantilistico e protezionistico per adottare, in ossequio alla dottrina fisiocratica, un orientamento favorevole al libero scambio. Vengono nel 1770 soppresse le corporazioni di arti e mestieri e abolite le dogane interne nel 1781. Viene poi riformato il codice penale nel 1786 ispirandosi alle idee di Cesare Beccaria e stabilendo per la prima volta in Europa l’abolizione della pena di morte e della tortura e introducendo misure di parziale riconoscimento dei diritti delle persone (obbligo di motivare sentenze, divieto di confiscare beni dei condannati). C’è anche il progetto di redigere una costituzione (1779-82) ad opera di Francesco Maria Gianni che non avrà mai attuazione (prevedeva l’istituzione di un’assemblea legislativa, formata su base rappresentativa e non più di ceto, senza il cui consenso il sovrano non è in condizione di governare). - In altri Stati italiani, come nel regno di Sardegna, ci si mantiene su binari più tradizionali (politiche di stampo mercantilistico); nei regni di Napoli e di Sicilia gli interventi del ministro riformatore dei Borbone di S, il toscano Bernardo Tonucci, al fine di limitare il potere nobiliare ed ecclesiastico, incontrano resistenze producendo scarsi risultati. CAPITOLO 25 - LA NASCITA DEGLI USA Gli Stati Uniti d’America hanno origine dalla rivolta contro il dominio britannico (1775-83). Per la seconda volta nella vicenda della civiltà occidentale, dopo il caso delle Province Unite, una popolazione soggetta conduce una guerra vincente per l’autodeterminazione e sceglie liberamente il proprio sistema di governo. Questa rivolta vittoriosa è condotta sulla base di principi repubblicani, fondati sull’idea che l’origine della sovranità risieda nel popolo. L’insurrezione dei coloni americani (“rivoluzione americana”) conduce a un assetto politico-istituzionale di stampo liberaldemocratico implicando il riconoscimento di una serie di diritti individuali e l’affermazione di un principio di sostanziali uguaglianza dei cittadini (maschi bianchi inseriti nel mondo lavorativo) di fronte alla legge. La divisione dei poteri sarà garantita da una costituzione scritta (1787-89) e il nuovo governo federale che formano gli Stati unendosi è di tipo presidenziale. Questo assetto socio-politico è differente dal prevalente nell’Europa settecentesca: gli USA appaiono ai contemporanei europei l’esempio di società in cui la ricchezza è molto più livellata, la giustizia meglio distribuita, le opportunità generosamente offerte a tutti, le libertà individuali garantite, gli interessi sociali bilanciati e difesi. IL MONDO COLONIALE NORD-AMERICANO In America settentrionale la penetrazione inglese comporta la creazione basi commerciali disposte lungo la costa atlantica dedite agli scambi con gli indigenti dell’entroterra e legate alla madrepatria per via marittima. La base sociale degli insediamenti inglesi è formata essenzialmente da mercanti, artigiani e persone alla ricerca di una migliore sorte economica. Vi sono poi nuclei di deportati, delinquenti comuni o indesiderati che il governo britannico allontana dalla madre patria. Si tratta di una popolazione giovane in costante crescita. Al primo gruppo di colonie definito New England (nord attorno a Boston) si affianca poi un altro gruppo di colonie legate alla formazione di grandi centri commerciali e portuali (New York, Philadelphia, ecc.). Più a sud, sempre lungo la costa atlantica, altre colonie (Maryland, Virginia, Georgia, ecc.) si sono specializzate nell’attività agricola nelle piantagioni mediante gli schiavi neri africani. Sono realtà sociali diverse, accomunate da una spinta alla liberazione individuale, alla ricerca personale di maggiori opportunità. Rispetto alla società inglese, che costituisce il loro punto di riferimento essenziale, le colonie americane sono una società meno portata ad attribuire valore alla tradizione e all’antichità, meno rispettosa nei confronti delle gerarchie proprie della società europea. Alla componente individualistica si mescola quella comunitaria, con gradazioni differenti a seconda del contesto sociale ed economico. Questa seconda componente deriva in parte dall’essere le prime colonie costituite da mercanti e dal credo calvinista da essi professato, il che comporta l’attribuzione di grandi responsabilità alla comunità dei credenti, che tende a regolare i comportamenti dei singoli e l’intera vita sociale. Occorre poi ricordare il Nuovo Mondo è un punto d’approdo per i puritani e “non conformisti” (sette protestanti) che ritengono inadeguata la Chiesa anglicana, troppo vicina all’aborrito papa romano, per i quali queste terre sono una nuova Gerusalemme, un luogo dove costituire la comunità degli eletti (salvati per segno divino). La forte presenza comunitaria organizzata, unita all’origine essenzialmente commerciale degli insediamenti e alla tradizione politica mercantilista del governo inglese, fanno sì che queste colonie godano di ampi margini di autonomia, incentrati sulla presenza di assemblee rappresentative elettive. Il controllo esercitato dal governo inglese sull’amministrazione locale è essenzialmente indiretto, guidato da preoccupazioni di natura economica. I traffici con le colonie, regolati dagli “atti di navigazione” sono imperniati sull’obbligo per queste ultime di commerciale esclusivamente con la madrepatria, assoggettando le merci in arrivo e in partenza alle tassazioni decise dal Parlamento di Londra. Per il resto, gli spazi di autogoverno affidati ai gruppi dirigenti locali sono notevoli. In ogni colonia il governatore e i pochi funzionari nominati dalla corona si limitano a controllare che la vita associata si svolga normalmente e sono spesso costretti a negoziare accordi con le élites che dominano le assemblee locali. La conflittualità fra i governatori e le assemblee delle singole colonie, che si richiamano alla tradizione parlamentare inglese, rimane circoscritta grazie alla politica pragmatica adottata dal governo inglese, una politica che evita bracci di ferro sulle questioni di principio e tenta di trovare, per lo più con successo, soluzioni di compromesso. Nel corso del XVIII sec. questo equilibrio si verrà a rompere. LE RAGIONI DEL CONFLITTO TRA LA GB E LE COLONIE - CONTRASTANTI INTERESSI ECONOMICI E FISCALI. Il governo può decidere come e dove tassare le merci provenienti dalle colonie e quelle ad esse destinate e per tutelare meglio gli interessi della madrepatria esso pone notevoli vincoli allo sviluppo economico delle colonie americane e allo sviluppo di una marineria coloniale. Ciò scatena malcontento tra i gruppi mercantili nord- americani. - CONTRASTI DI NATURA POLITICA. Argomenti di discussione sia a Londra che nelle colonie sono la partecipazione popolare alle scelte governative e i limiti del potere sovrano. La vittoriosa guerra dei Sette anni (1756-63) e la pace di Parigi (1763) rappresentano un punto di svolta e pongono queste questioni all’ordine del giorno. La Gran Bretagna deve decidere il modo di governare non più su un insieme di colonie costiere, ma su un vero e proprio territorio imperiale con enormi possibilità di espansione. La guerra aveva inoltre accentuate la consapevolezza delle colonie nord-americane di avere interessi propri distinti da quelli britannici e creando una specie di identità nord-americana differente dall’inglese originaria. - Tra il 1763 e il 1765 il governo britannico presieduto da Grenville con una serie di provvedimenti interrompe la tradizionale politica di scarsa interferenza nella vita delle colonie su alcuni fondamentali punti. Una serie di atti politici mostrano l’intenzione del governo londinese di mutare a proprio favore gli equilibri politici e amministrativi nelle colonie. Nel 1763 vengono organizzate quattro nuove province nei territori americani sottratti alla F e i territori dell’Ovest sono posti sotto il controllo della corona col divieto d crearvi nuovi insediamenti. Inoltre aumentano la presenza militare britannica (il cui costo grava sui coloni) e le misure volte a far rispettare i monopoli britannici e a riscuotere i dazi doganali, viene istituito uno speciale tribunale con giurisdizione sul commercio e la navigazione (Viceammiragliato), viene decretata la proibizione di nuove emissioni di cartamoneta o di titoli nelle colonie. - TASSAZIONE. Accresce il prelievo fiscale, introdotta tassa su atti commerciali e giornali per finanziare i costi dell’amministrazione britannica (STAMP ACT): una tassa imposta senza consenso, votata dal Parlamento, luogo però in cui non risiedono i rappresentanti delle colonie. Inizialmente la protesta delle colonie si concentra sulla tassazione. Oltre ai casi di resistenza al pagamento della nuova tassa c’è una crescita dell’evasione fiscale e alcune assemblee coloniali dichiarano illegali le imposte votate senza il proprio consenso. Si afferma il legame tra cittadinanza e pagamento delle imposte: NO TAXATION WITHOUT REPRESENTATION. La mobilitazione nelle colonie, che conta sull’appoggio dei whig a Londra, produce nel 1766 l’abrogazione dello Stamp Act. Il Parlamento approva, però, una legge che afferma il proprio potere di legiferare in qualsiasi caso per le colonie. Nuove tensioni si hanno poi negli anni 1767-70 con la decisione del governo britannico di ricorrere a ulteriori imposizioni fiscali nelel colonie. Nel 1773 il governo britannico di F. North per salvare la Compagnia inglese delle indie orientali dalla bancarotta vara una legge che le assegna il monopolio del commercio del tè nelle colonie americane. Contro questo atto, ritenuto lesivo degli interessi dei mercanti americani, ha luogo una forte protesta definita BOSTON TEA PARTY: un gruppo di coloni, travestiti da indiani, gettano in mare il carico di tè di una nave della Compagnia all’ancora nel porto di Boston. Questo è un segnale che l’agitazione antifiscali sta mutando in un’agitazione politica. LA GUERRA D’INDIPENDENZA (1775-1783) La reazione di North è durissima: il porto di Boston viene chiuso, il consiglio provinciale trasformato da elettivo in organismo di nomina regia, con l’assunzione di ampi poteri da parte del governatore. Nel 1774 viene emanata la QUEBEC ACT, una legge che istituisce nell’ex colonia francese un governo senza rappresentanza locale, procedure giudiziarie prive di giuria e che concede libertà di culto ai cattolici. Il provvedimento viene sentito come un violazione del patto implicito tra le colonie e la Gran Bretagna sia perché il mantenimento di una forte comunità cattolica nel Quebec evita una possibile assimilazione del territorio alle colonie putine del New England, sia perché la tolleranza del culto non è ritenuta accettabile nei confronti dei cattolici, visti come sostenitori del potere assoluto dei sovrani, che priva i popoli delle loro libertà. I coloni come risposta convocano a Philadelphia un congresso continentale dei rappresentanti delle tredici colonie britanniche nel 1774, nel quale prevale una linea moderata e di conciliazione che prevede azioni di boicottaggio alle norme commerciali e fiscali, abile, ma non meno incerta Maria Antonietta, figlia di Maria Teresa d’Asburgo. Gli Stati generali il 5 maggio 1789 si riuniscono a Versailles e si impegnano nelle settimane successive a sciogliere il problema delle modalità di votazione, senza raggiungere un accordo. Il 17 giugno, rifiutando il voto per ordine, i rappresentanti del terzo stato, cui si sono uniti alcuni esponenti del basso clero, si proclamano ASSEMBLEA NAZIONALE, ossia rappresentanza della nazione. Di fronte all’ipotesi che la maggioranza degli Stati generali, su iniziativa della nobiltà liberale, proceda a deliberazioni, Luigi XVI ordina di sbarrare la porta della sala dove si tengono le sedute, mentre corrono voci incontrollate di scioglimento anticipato degli Stati generali. I deputati del terzo stato il 20 giugno si riuniscono allora nell’attiguo salone della pallacorda e compiono un atto eversivo proclamandosi ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE e giurano di non sciogliersi finché non avranno dato alla F una costituzione. Luigi XVI, seppur ostile e riluttante alla piega presa dagli avvenimenti, è costretto a riconoscere la trasformazione degli Stati generali in Assemblea nazionale costituente e a invitare anche il resto della nobiltà e del clero a farne parte (9 luglio 1789). L’IRRUZIONE DELLA PIAZZA (1789-91) Nei giorni successivi voci insistenti circolano a Parigi circa strani ammassamenti di truppe attorno alla capitale e sul colpo di Stato in preparazione da parte del sovrano per stroncare il nascente regime rappresentativo. Ciò provoca un’insurrezione del popolo di Parigi che il 14 luglio 1789 attacca e devasta la Bastiglia, carcere della capitale e odiato simbolo del dispotismo. Si manifesta così il protagonismo popolare, aspetto che sarà caratterizzante della rivoluzione. Si forma un’opinione pubblica infinitamente più estesa e informata di quella esistente fino a quel momento. Tutto ciò è reso possibile dal tracollo degli apparati di repressione e censura e dalla rapida radicalizzazione della discussione politica. La fuga da Parigi degli esponenti più oltranzisti della nobiltà reazionaria, come il conte di Artois, e la creazione di un vero e proprio partito di emigrati, legato all’ambiente di corte, produce un clima di sospetto. Mentre a Parigi si insedia un nuovo governo municipale, espressione del movimento rivoluzionaria, dotato di una milizia armata, la guardia nazionale, guidata da La Fayette, nelle campagne si diffonde un’ondata di sommosse contadine, detta “grande paura”, diretta a sventare sul nascere la reazione aristocratica: in tutto il paese i contadini assaltano i castelli, bruciano gli archivi che contengono la documentazione relativa ai diritti signorili e distruggono i simboli del potere feudale. In parte in risposta a questi avvenimenti il 4 agosto 1789 la nobiltà liberale guida l’Assemblea nazionale a proclamare l’abolizione del regime feudale. Si crea un sistema politico che ha tre fuochi: Assemblea nazionale, corte e piazza (azione, spesso violenta, delle masse popolari). Strati sociali come il popolo minuto, normalmente esclusi dalla partecipazione politica, coinvolti strumentalmente nell’arena politica per condizionare le scelte, impareranno presto a influenzare con la propria azione il quadro politico. A Parigi, in particolare, si forma un autonomo soggetto popolare, i “sans-culottes” (indossavano i pantaloni lunghi e non quelli corti e aderenti, culottes, di moda tra l’aristocrazia). Da una parte si ha un enorme e fondamentale lavoro legislativo svolto dall’Assemblea e diretto a smontare le fondamenta dell’antico regime per costruire un nuovo equilibrio costituzionale; dall’altra, nei momenti cruciali, si ha una corte incapace di assumere la guida del processo, tentata continuamente da ipotesi di colpo di Stato militare, cui si contrappone una piazza che interviene duramente per difendere la rivoluzione e imporre forti accelerazioni al processo di mutamento istituzionale. Una di queste insurrezioni violente della folla popolare, chiamate “journée” (giornate rivoluzionarie) è costituito dalla marcia del popolo minuto di Parigi su Versailles, il 5-6 ottobre del 1789, che costringe la con la forza il sovrano a trasferirsi nella capitale. Se la proclamazione della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 29 agosto 1789 (naturali e imprescrittibili i diritti individuali, sancita uguaglianza cittadini dinanzi legge) avviene in un clima di concordia, le scelte successive iniziano a dividere l’assemblea. Si discute, in particolare: - sul ruolo del sovrano nella nuova costituzione e sull’opportunità di concedere al monarca il diritto di veto sulle leggi votate dall’Assemblea, che, a maggioranza viene definito solo come sospensivo; - sull’assunzione di provvedimento volti a risolvere la grave situazione finanziaria, mediante la confisca dei beni del clero che costituiscono la garanzia per l’emissione di cartamoneta (“assegnati”). Vengono approvate drastiche riforme: soppressione Parlamenti, separazione poteri, suddivisone paese in 83 dipartimenti, delineata Chiesa nazionale francese autonoma dal papato con membri funzionari stipendiati dallo stato e nomine vescovi e parroci su base elettiva. Nel 1791 viene approvata la legge “Le Chapelier” che abolisce le corporazioni e dichiara la libertà del lavoro e di iniziativa economica, vietando lo sciopero e ogni associazionismo dei lavoratori a scopi di rivendicazione salariale. Luigi XVI decide di abbandonare la F per ritornarvi in armi, ma nel 1791 fuggendo da Parigi con la propria famiglia in incognito, la sua carrozza viene intercettata a Varennes e il sovrano viene ricondotto a Parigi. La maggioranza decide per il mantenimento della riforma di governo monarchico-costituzionale. Una manifestazione di ispirazione repubblicana il 17 luglio 1791 presso il Campo di Marte viene brutalmente repressa dalla guardia nazionale provocando divisioni nell’Assemblea. Quest’ultima proclama nel settembre 1791 la COSTITUZIONE: la F diviene monarchia costituzionale in cui il sovrano ha potere esecutivo (nomina ministri) e alla nuova ASSEMBLEA LEGISLATIVA quello legislativo. [VOTAZIONE: Gli aventi diritto al voto passivo (maschi adulti che pagano imposte pari al salario di tre giornate di lavoro) eleggono speciali elettori fra coloro che godono del diritto di voto attivo (versano imposte pari al salario di dieci giornate di lavoro), i quali designano i deputati dell’Assemblea legislativa.] LA PRIMA REPUBBLICA (1792-94) Una volta emigrati molti esponenti dell’aristocrazia e dell’alto clero, il sovrano si vede sempre più isolato, costretto a sperare nell’aiuto delle potenze straniere per rimediare alla diminuzione del proprio potere. Nel frattempo il fratello del re, il conte di Artois e i circoli dei nobili emigrati tentano di coinvolgere l’imperatore Leopoldo II e il sovrano di Prussia Federico Guglielmo II in una coalizione militare volta a soffocare la rivoluzione e a restaurare l’antico regime in F (prima intesa firmata a Pillnitz nel 1791). Per quanto riguarda l’Assemblea legislativa, essa è dominata dalla “Società degli amici della costituzione”, i GIACOBINI, i quali assumono posizioni sempre più rigide che conducono all’emarginazione prima del duca d’Orléans (Philippe Egalité) e alla scissione di un gruppo più moderato guidato da La Fayette e dal conte di Mirabeau, detto dei FOGLIANTI . Emergono inoltre sia all’interno che all’esterno dei gruppi giacobini posizioni repubblicane, ad esempio quella dei CORDOGLIERI guidati da Danton. Nell’Assemblea legislativa, riunitasi per la prima volta nel 1791, benché la maggioranza fosse di orientamento moderato, le posizioni repubblicano divennero influenti, in particolare quelle dei GIRONDINI (dipartimento della Gironda). Nel 1792 l’Assemblea dichiara guerra all’imperatore Francesco II d’Asburgo, sotto la spinta dei moderati (auspicano un rafforzamento del nuovo regime) e di Luigi XVI (spera segretamente di tornare ad avere pieni poteri). Gli eserciti imperiale e prussiano invadono il suolo e francese e la folla di Parigi nella giornata rivoluzionaria del 10 agosto 1792 assale il palazzo reale delle Tuileries e costringe l’Assemblea legislativa a deporre e arrestare, come traditore, Luigi XVI. Viene poi formato un COMITATO ESECUTIVO PROVVISORIO guidato da Danton e stabilita l’elezione a suffragio universale maschile di una nuova assemblea costituente, la CONVENZIONE, col compito di dare alla F una nuova costituzione repubblicana. Il nuovo leader dei giacobini è l’avvocato Maximilien Robespier, quello dei girondini il giornalista Brissot. Viene riorganizzato l’esercito, fronteggiata la penuria alimentare, espulsi i refrattari, confiscati i beni degli emigrati, galvanizzato il paese. In un clima di enorme tensione, mentre la folla invade le carceri trucidando i presunti nemici della patria, si iniziano a istituire dei TRIBUNALI STRAORDINARI, per processare coloro che si teme tramino vs la rivoluzione. Queste misure unite alla leva obbligatoria di massa rendono possibile la vittoria militare di Valmy nel 1792 vs imperiali e prussiani: la patria è salva. Due giorni dopo la Convenzione, appena riunita, proclama la PRIMA REPUBBLICA FRANCESE e Luigi XVI all’inizio del 1793 verrà giustiziato. LA GUERRA CIVILE E IL “TERRORE” (1793-94) Il 24 giugno 1793 la Convenzione approva la COSTITUZIONE DELL’ANNO I (più democratica: divisione dei poteri, suffragio universale maschile, diritto al lavoro e all’assistenza) che però non entrerà mai in vigore. Mentre le forze della coalizione antifrancese (formata dalle potenze europee dopo la morte di Luigi XVI) invadono il paese, in diverse province esplodono sollevazioni girondine di stampo federalista vs il soffocante potere dei giacobini e di Parigi. Il potere viene assunto dal COMITATO DI SALUTE PUBBLICA, un organo straordinario formato da 12 membri, fra i quali Robespierre, affiancato da un Comitato per la sicurezza generali incaricato della polizia politica. Dichiarando di voler arginare la guerra civile e la disgregazione della repubblica, questo organo decide l’eliminazione fisica degli avversari politici: inizia la fase del TERRORE. Dopo essere stati sottoposti a processi sommari dai tribunali rivoluzionari, cadono sotto i colpi della ghigliottina esponenti del passato regime come Maria Antonietta, aristocratici liberali come il duca d’Orléans, leade della rivoluzione come Brissot e Danton, molti veri o presunti avversati del regime. Il regime rivoluzionario adotta per celebrare la propria nascita, un nuovo calendario che parte dall’instaurazione della repubblica e gli esponenti radicali lanciano campagne di scristianizzazione con la creazione del culto della Ragione o quello dei martiri rivoluzionari. Nel frattempo la pesante situazione economica viene arginata drasticamente con misure di calmiere dei prezzi e di controllo della produzione. Lo strapotere arbitrario e repressivo del Comitato di salute pubblica è avversato dalla maggioranza dei membri sopravvissuti della Convenzione, che, approfittando dell’importante vittoria riportata dall’esercito francese nella battaglia di Fleurus (1974) e facendosi forte di un’opinione pubblica scandalizzata da eccidi e terrorizzata dalla totale mancanza di garanzie giuridiche individuali, organizzano un colpo di Stato con la complicità di alcuni esponenti del Comitato di salute pubblica. Nella notte tra il 26 e il 27 luglio 1974 la Convenzione ordina l’arresta di Robespierre e Saint-Just, ghigliottinati, e il Comitato viene gradualmente sciolto con l’abrogazione delle leggi speciali sui sospetti e dei tribunali rivoluzionari e con la riammissione in assemblea dei deputati girondini. L’eliminazione della classe politica radicale fa riapparire sulla scena i filomonarchici, che si dedicano a una serie di cruente vendette personali vs esponenti giacobini e sanculotti (TERRORE BIANCO). La Convenzione procede allo smantellamento delle norme di protezione sociale, come il calmiere dei prezzi, creando uno scontento popolare. Il 20 maggio 1795 esplode la rivolta del popolo parigino, repressa nel sangue aprendo la strada a un ulteriore giro di vite antipopolare e antigiacobino. La Convenzione vara il 22 agosto 1795 la COSTITUZIONE DELL’ANNO III, sia per sottrarre l’attività legislativa alla pressione delle masse popolare, sia per evitare una restaurazione realista. La costituzione, di orientamento moderato, con norme che limitano la libertà di stampa e di associazione, cerca, attraverso la reintroduzione del voto per censo a doppio livello e l’istituzione di un Parlamento bicamerale (Consiglio dei 500 che formula e discute leggi + Consiglio degli anziani che approva o respinge leggi) di restituire sicurezza al legislativo. La clausola per la quale i nuovi eletti devono comunque per almeno due terzi essere stati membri della Convinzione assicura la continuità repubblicana della rappresentanza, mettendola al riparo dalla possibile vittoria elettorale dei filomonarchici. La Costituzione assegna il potere esecutivo a un DIRETTORIO, composto da cinque membri. CAPITOLO 27 - NAPOLEONE BONAPARTE (1769-1821) Grande condottiero, abile politico ed eccellente stratega che inaugura un periodo di preponderanza francese sulla scena politica e militare europea, fatta salva solo la potenza della GB, supremazia economica e navale. La sua famiglia di origine corsa, appartiene alla classe media: è, infatti, dopo Oliver Cromwell, il secondo generale di modeste origini che acquista un potere monocratico che si trasforma poi in monarchico; entrambi devono la loro ascesa a sconvolgimenti politici di vasta portata, gli unici che hanno visto due sovrani condannati a morte in nome del popolo. Napoleone appare un personaggio bifronte (un erede imperfetto): - è l’erede della rivoluzione: vs le potenze europee legittimiste che vogliono imporre alla F il ritorno della dinastia borbonica egli riafferma il diritto dei francesi a scegliersi il proprio governo e quello di mantenere alcune conquiste del periodo rivoluzionario; - è l’erede della monarchia assoluta: è un uomo forte che fa riacquistare influenza e prestigio al principio monarchico dopo la rivoluzione e che sa imporre il proprio potere anche alle due posizioni estreme esistenti in paese, i filomonarchici (restaurazione Borbone, ritorno antico regime) e i “giacobini” (costruire salda repubblica secondo i principi della rivoluzione; egli si fa accettare dalla maggioranza degli uni e degli altri. LA SVOLTA MILITARE DELLA RIVOLUZIONE La clausola della “Costituzione dell’anno III” (1795) per la quale i due terzi dei membri delle nuove Camere devono essere eletti tra i membri della Convenzione suscita la protesta dei monarchici che danno vita a Parigi a un’insurrezione repressa dalle truppe del generale Napoleone Bonaparte (4 ottobre 1795). Alla fine dello stesso mese viene nominato il primo DIRETTORIO, formato da repubblicani, ex membri della commissione che aveva condannato Luigi XVI. Esso deve far fronte a una difficile situazione per la F: - guerra vs GB, impero e regno di Sardegna; - presenza di monarchici, repubblicani radicali (“giacobini”) da reprimere (ad es. nel 1796 sventata a Parigi “congiura degli eguali” capeggiata da Babeuf e Buonarroti). Questa doppia emergenza, bellica e interna, viene risolta dal Direttorio affidandosi a una soluzione di tipo militare, innanzitutto con un attacco vs l’impero e il regno di Sardegna: 1. RENO: difficoltà nell’offensiva, esercito costretto a ripiegare; 2. ITALIA: il corpo di spedizione guidato da Napoleone, che passa per le Alpi e raggiunge il Piemonte, ottiene diversi successi (1796). Il regno di Sardegna si arrende, invasa Lombardia e i territori padani dello Stato della Chiesa (schierato con gli antifrancesi); conquistata Milano, poi Mantova, minaccia di raggiungere Vienna sud. Con la PACE DI CAMPOFORMIO (1797) l’impero riconosce la sovranità francese sui Paesi Bassi meridionali e sulla Lombardia, ottenendo in cambio i territori della repubblica di Venezia (fine della sua millenaria storia di Stato indipendente). La Francia, che aveva già ottenuto dal re di Sardegna Nizza e la Savoia, esercita ora un predominio sulla penisola italiana. Le popolazioni dei ducati padani e dei territori papali ad essi confinanti (Bo, Fe, Modena e Reggio Emilia) danno vita a una repubblica filofrancese, la Cispadania, che adotta per prima combe simbolo il tricolore italiano modellato sul francese. Essa verrà poi inglobata nella REPUBBLICA CISALPINA, che comprende anche la Lombardia. In Liguria nasce, invece, la REPUBBLICA LIGURE. Nello Stato pontificio nasce la REPUBBLICA ROMANA (1798) e nello stesso anno a Napoli il re Ferdinando IV è costretto a fuggire e viene fondata la REPUBBLICA PARTENOPEA. L’egemonia dipende sia dalle armi sia dall’appoggio entusiastico di molti italiani che intendono liberarsi dalle strutture oppressive d’antico regime. Una volta sconfitto l’impero, solo la GB si oppone alla F. Per minacciare i commerci britannici con l’India e l’Estremo Oriente il Direttorio decide una spedizione militare in Egitto, inviandovi una spedizione guidata da Napoleone. Egli sconfigge l’esercito egiziano nella BATTAGLIA DELLE PIRAMIDI (1798), ma la flotta francese viene annientata da quella inglese dell’ammiraglio Nelson nelle acque di Abukir e Bonaparte decide di ritornare in F (1799). Sul piano interno il principale ostacolo che crea problemi politici è la vittoria di monarchici alle elezioni del 1797: il Direttorio attua il COLPO DI STATO DI FRUTTIDORO (4 settembre 1497) annullando le elezione ed epurando i filomonarchici, mentre nelle campagne il banditismo dei “chouannerie” è ormai fuori controllo. Nelle elezioni del 1798 vincono i “giacobini” e il Direttorio reagisce con il COLPO DI STATO DI FLOREALE (11 maggio 1798) annullando le elezioni. L’abate Sieyès, rivoluzionario protagonista della prima Assemblea nazionale, decide di organizzare, in accordo con il generale Bonaparte, il COLPO DI STATO DI BRUMAIO (9 novembre 1799): con la scusa di sventare un’ennesima congiura giacobina i due Consigli vengono epurati dall’esercito, il Direttorio sciolto e il potere assunto dai CONSOLI (Sieyès, Bonaparte e Roger Ducos). Entra in vigore il 25 dicembre 1799 la COSTITUZIONE DELL’ANNO VIII che assegna il controllo delle due assemblee legislative al triumvirato dei consoli, seppur con la carica di primo console, avendo il controllo dell’esercito, il capo di Stato che si assicura il predominio è Napoleone. DAL CONSOLATO ALL’IMPERO La scelta di affidare le sorti della repubblica a un “uomo forte” che gode della fiducia dell’esercito si fonda: - sull’incapacità del Direttorio a “terminare la rivoluzione” e ad assicurare la stabilità politica; - sull’emergenza bellica creatasi con la formazione della seconda coalizione antifrancese (GB, Russia, impero, Prussia, impero ottomano, Svezia, regno di Napoli. In I le varie repubbliche modellate alla francese vengono abbattute nel 1798-99: ad es. la rep. Partenopea crolla sotto i colpi dell’esercito “sanfedista” (cattolico tradizionalista) guidato dal cardinale Ruffo e sostenuto dagli inglesi. Napoleone non si rassegna alla perdita della presa sull’I e dopo che la Russia, sconfitta in Svizzera, ha abbandonato la coalizione antifrancese, egli varca nuovamente le Alpi con un esercito e sconfigge le forze sarde e imperiali a Marengo (1800), a cui seguono la pace di Lunéville con l’impero (1801) e quella di Amiens con la GB (1802). Nel 1801 Napoleone firma un concordato con la Santa Sede, in base al quale il papato riconosce la rep. Francese e la vendita dei beni ecclesiastici, in cambio del riconoscimento del cattolicesimo come religione della maggioranza dei francesi. Inoltre i vescovi verranno designati dal primo ministro e nominati dal papa. Napoleone, però, emana anche gli “articoli organici” limitando gli effetti del concordato poiché dispongono l’uguaglianza dei culti in F. Nel 1802 Napoleone si fa proclamare primo console a vita, atto ratificato da un plebiscito addomesticato, primo passo per la trasformazione del consolato in monarchia. In seguito vengono emanati diversi decreti che incrementano i suoi poteri, fra cui il diritto di designare il proprio successore. Il 18 maggio 1804 viene approvata la COSTITUZIONE DELL’ANNO XII, ratificata da un nuovo plebiscito, che trasforma la carica di primo console in quella, ereditaria, di imperatore dei francesi. Napoleone sarà consacrato e per sfruttare l’ascesa della domanda sul mercato, sorgono in Inghilterra i cotonifici. Da ora la concorrenza indiana verrà soffocata e la corona britannica priva la Compagnia delle Indie del monopolio nei commerci con il subcontinente, assumendone il controllo. Nel corso del XIX sec. l’India passerà da area produttrice a mercato di sbocco dei manufatti di cotone inglesi. L’esigenza di incrementare la produzione favorisce la ricerca e l’adozione di tecniche in grado di velocizzare le fasi di lavorazione riducendo i costi. Occorre notare che la maggiore resistenza del cotone, fibra vegetale, si presta alla meccanizzazione meglio rispetto alla lana, fibra di origine animale. La manifattura del cotone, così come quella di quasi tutti i tessuti, può essere suddivisa in quattro fasi: preparazione, filatura, tessitura e finitura (candeggio, tintura, stampatura). I primi progressi si hanno nel settore della tessitura, il cui ritmo viene accelerato grazie alla NAVETTA VOLANTE di John Kay (1730-60), la quale permette di spostare meccanicamente e non più a mano il filatoio sul telaio e di produrre stoffe di ampiezza maggiore rispetto a quella delle braccia del tessitore, con un cospicuo aumento della produttività. Per far fronte a questa innovazione ci saranno anche innovazioni nella filatura: la CARDATRICE (Paul e Wyatt, 1738), la JENNY (Hargraves, 1764-70, filatoio meccanico a energia manuale), il WATER-FRAME (Arkwright, 1769, filatoio idraulico), la MULE JENNY (Crompton, 1779, filatoio in grado di produrre una notevole quantità di filato resistente e privo de difetti e delle irregolarità che caratterizzavano quelli realizzati a mano). L’aumento della produzione di filato da parte di questi nuovi macchinari mette in difficoltà il settore della tessitura, che non è in grado di smaltirla: i primi telai sono diventati antiquati. Di qui l’opera di graduale perfezionamento dei macchinari esistenti: nel 1787 vede la luce il TELAIO MECCANICO di Cartwright, che troverà il suo complemento ideale col FILATOIO AUTOMATICO di Richard Roberts (1825). Il susseguirsi di queste invenzioni segue uno schema definito, da Landes, a “botta e risposta”: le innovazioni introdotte in una determinata fase del processo produttivo e il conseguente aumento della produzione mettono sotto pressione quelle immediatamente precedenti e successive creando strozzature. Di qui l’esigenza di ulteriori innovazioni che correggano lo squilibrio e rendano più omogenei i ritmi di produzione a monte e a valle della fase in cui si sono verificati i primi cambiamenti. Questa sequenza, infatti, non investe unicamente filatura e tessitura, ma tutti gli altri settori connessi alla produzione di tessuti di cotone. L’industria cotoniera, con la progressiva meccanizzazione in tutte le fasi produttive, assume un ruolo primario nel processo di industrializzazione dell’Inghilterra. La migliore qualità dei filati realizzati grazie alle macchine e il loro basso prezzo sul mercato consentono al cotone di sostituirsi alla seta e al lino e di eliminare i concorrenti delle cotonate inglesi da ogni mercato. IL SETTORE SIDERURGICO: RUOLO TRAINANTE NELL’ECONOMIA BRITANNICA Qui le innovazioni si impongono con maggior lentezza, ma costituiscono la base più solida per una radicale trasformazione dell’assetto industriale del paese. La nuova siderurgia prende avvio con la casuale scoperta di Abraham Darby (1709) della giusta miscela di minerale ferroso e carbon fossile opportunamente trattato (COKE) da utilizzare come combustibile nell’altoforno per ottenere la ghisa. Un’innovazione importante che consente di fabbricare una ghisa con meno impurità e maggior resistenza rispetto a quella realizzata fino ad allora con il carbon fossile o con il tradizionale carbone di legna. Solo dopo un decennio di esperimenti Darby riesce ad affinare la sua tecnica e a ottenere una ghisa atta alla fabbricazione di prodotti di piccole dimensioni (caldaie, grate, ferri da stiro, ecc.) di qualità migliore di quelli tradizionali. Da quel momento il perfezionamento delle tecniche consente a Darby di fondere anche pezzi più grandi e di dare inizio alla fabbricazione dei macchinari per le industrie tessili in espansione, a costi inferiori che in passato. Nonostante il ritmo serrato delle innovazioni, le nuove tecnologie stentano a imporsi a causa degli alti costi d’impianto e di produzione per altiforni a coke, inoltre nonostante le loro sempre più grandi dimensioni non riescono a sfruttare a pieno le possibilità del processo di combustione a causa dell’insufficienza delle tecniche di aerazione. Tale inconveniente è risolto solo con il ricorso all’immissione dei potenti getti d’aria prodotti dalle macchine a vapore e quindi con il sistema di Neilson di preriscaldamento dell’aria (1829). Un altro problema è il fatto che la ghisa è ancora troppo dura e friabile: occorre privarla di tutte le impurità per trasformarla in ferro lavorabile e resistente, ma le tecniche tradizionali sono troppo lente e costose. I procedimenti di puddellaggio e laminazione ideati da Henry Cort (1783-84) permettono di produrre una ghisa più malleabile e di sottoporla a una torchiatura per privarla delle impurità e trasformarla in barre di ferro. L’aumento della richiesta di carbone legata al notevole sviluppo della siderurgia comporta uno sfruttamento sempre più in profondità dei giacimenti carboniferi. I pozzi delle miniere richiedono, però, un enorme impiego di energia al fine di pompare in superficie l’acqua che vi si trova. A tale scopo, sin dal 1698 è stata inventata da Thomas Savery una macchina che sfrutta, in maniera rudimentale e inefficiente, l’energia del vapore (FIRE-ENGINE). Pochi anni dopo Thomas Newcomen idea un congegno più potente e sicuro del precedente, che genera forza e la trasmette a una macchina per pompare l’acqua (1712). Nel 1769 JAMES WATT, collaborando col docente di chimica Joseph Black, trova il modo di ovviare al più grave difetto della POMPA DI NEWCOMEN, lo spreco di energia. Essa, infatti, utilizzava il vapore per creare, mediante condensazione, il vuoto in un apposito contenitore e spingere verso il basso un pistone collegato a un’asta che, alzandosi e abbassandosi, azionava la pompa per l’acqua. Occorre, però, una notevole quantità di calore per ristabilire una temperatura elevata all’interno del cilindro, dopo ogni movimento del pistone; e, inoltre, la condensazione nel contenitore resta incompleta a causa dell’insufficiente raffreddamento. La soluzione trovata è la seguente: un recipiente separato nel quale si possa ottenere il vuoto desiderato facendo condensare il vapore, senza raffreddare allo stesso tempo il cilindro in cui si muove il pistone. Dopo il brevetto del CONDENSATORE (1769), Watt si dedica a perfezionare la nuova macchina: per evitare di raffreddare continuamente con acqua la parte superiore del pistone, per farlo aderire perfettamente alle pareti del cilindro e per impedire che l’aria raffreddi il cilindro, durante la discesa del pistone, sostituisce la pressione atmosferica con l’impiego del VAPORE come forza motrice. La costruzione delle macchine di Watt incontra però delle difficoltà: costi di realizzazione altissimi che fanno sì che acquistare una macchina del genere comporti un investimento di capitale notevole. Inoltre un’altra difficoltà per la macchina a vapore è che occorre creare un’industria del tutto nuova, addestrando tecnici e operai all’utilizzo di una nuova attrezzatura. Per fortuna Watt incontra Matthew Boulton di Soho, un imprenditore che crede nel futuro del vapore e accetta di mettersi in società con lui. Nel 1755, dalle officine di Boulton e Watt esce la prima MACCHINA A VAPORE e, dall’anno successivo, gli affari cominciano a prosperare: da allora al 1800 la società ne produce 300 dando avvio a una rivoluzione nella rivoluzione. Un altro modello perfezionato della macchina a vapore viene brevettato da Watt nel 1781 e cinque anni dopo viene costruito il primo FILATOIO A VAPORE. La diffusione della macchina a vapore in tutte le industrie diventa il simbolo della rivoluzione industriale: più efficiente delle precedenti, consente risparmio di lavoro e combustile, ma anche un aumento della produttività. Il vapore e il suo sfruttamento sempre più razionale per azionare le macchine rendono possibile uno sviluppo straordinario dell’industria: questa fonte sviluppa una potenza maggiore di qualunque altra conosciuta fino ad allora e una macchina a vapore può essere installata dovunque sia possibile avere del carbon fossile a un prezzo accettabile. UN AMBIENTE CHE MUTA L’impiego del vapore come principale fonte di energia e l’adozione delle innovazioni tecniche nella produzione tessile cambiano profondamente il paese e la società inglesi. La necessità di concentrare le macchine e i lavoratori nelle fabbriche sconvolge la geografia e i costumi di vita. In precedenza, infatti, laddove vi era disponibilità di energia idraulica si erano formate unità di produzione a carattere familiare che si occupavano di lavoro manifatturiero in tutte le sue fasi affiancandolo alle attività agricole. Ora la possibilità di impiantare macchine a vapore dovunque vi sia abbondanza di carbone o modo di farlo arrivare a basso prezzo libera la produzione manifatturiera dalla dipendenza delle fonti di energia fisse e consente la dislocazione e la concentrazione degli impianti in luoghi che facilitino la commercializzazione dei prodotti finiti. Le nuove industrie possono contare su un continuo processo di miglioramento delle vie di comunicazione, terrestri e fluviali, che ha avuto inizio nella prima metà del ‘700 e che continua sotto la spinta di una domanda crescente. Il trasporto su rotaie era stato introdotto nel XVI sec. nelle miniere tedesche per poi diffondersi nel corso del ‘600 in quelle inglesi e nelle fonderie. Richard Trevithick, alla fine del ‘700, costruisce macchine a vapore per percorrere le strade normali e introduce alcune modifiche che consentano loro di muoversi su quelle ferrate. Nel 1804 il buon esito dell’esperimento condotto con una locomotiva porta alla costruzione di ferrovie pubbliche, le quali ben presto oltre a trasportare beni di consumo fungeranno da mezzi di trasporto per le persone. Oltre alla nascita della prima rete ferroviaria del mondo, il sistema di comunicazioni inglesi si giova di una fiorente navigazione costiera e di una rete di canali che collegano i diversi fiumi navigabili da cui l’isola è percorsa. Il grande risparmio che l’utilizzo dei canali artificiali consente per i commerci induce alla costruzione di una fitta ragnatela di vie d’acqua che permettono di percorre in tutta l’Inghilterra itinerari fino a 50 anni prima difficili e costosi. Anche qui il vapore modifica i metodi di trasporto: nel 1807 Fulton crea il primo battello a vapore e il XIX sec. sarà l’epoca delle ciminiere e delle navi a vapore. Le trasformazioni in atto nella struttura della produzione industriale determinano un cambiamento nel paesaggio e nelle gerarchie urbane. Sorgono nuove popolose città laddove prima vi erano solo piccoli borghi (Birmingham, Liverpool, Manchester) e perdono importanza alcuni fra i più importanti centri commerciali inglesi, come York e Norwich. Lo sviluppo delle industrie in vicinanza dei giacimenti di materie prime o di importanti vie di comunicazione avviene quindi in luoghi diversi dalle consolidate realtà urbane inglesi. Nasce così una struttura urbana caratterizzata dall’assenza di continuità rispetto al passato. Le città industriali rappresentano inoltre una realtà che sfugge al controllo politico e sociale dell’aristocrazia terriera: si creano contrasti fra aristocratici e borghesi per l’iniqua ripartizione dei seggi fra le antiche circoscrizioni elettorali rurali, ormai semispopolate, e i grandi centri urbani, privi di un adeguato peso elettorale nonostante la presenza di una popolazione assai numerosa. Aspetto peculiare assumono le periferie delle città, caratterizzate dalla presenza di ciminiere, fabbriche e squallidi e fatiscenti caseggiati (SLUMS) dove alloggiano le famiglie operaie; al contrario i quartieri centrali vivono un momento di rinnovamento: il gusto per il lusso e per l’ostentazione del ceto imprenditoriale, che si arricchisce grazie alle industrie, si ripercuote sull’edilizia e sull’arredo urbano delle zone borghesi. LA NASCITA DELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE La rivoluzione industriale implica l’avvio di una serie di processi, quali la nascita del sistema di fabbrica, la meccanizzazione, la divisione del lavoro e la standardizzazione, destinati, nel corso dei decenni successivi, a mutare in maniera profonda il volto del continente europeo. I nuovi centri manifatturieri nascono e si dilatano grazie alla forte migrazione interna delle aree rurali del paese. In correlazione ai ritmi produttivi cambiano le abitudini, la mentalità e gli stessi modi di vita degli strati di popolazione chiamati a formare i muscoli dell’industrializzazione. Si tratta dell’avvio di un processo i cui effetti saranno chiaramente percepibili soprattutto dalla seconda metà dell’‘800. Occorre ricordare che la classe operaia della prima rivoluzione industriale conosce significative stratificazioni: - personale qualificato: spesso proveniente dalle botteghe artigiane, dotato di stabilità sociale e lavorativa; - salariati: opera privi di particolare preparazione, ex contadini giunti in città col miraggio del lavoro; - donne e bambini: sfruttati perché socialmente più deboli. A causa delle grandi differenze la componente più qualificata e meglio retribuita della manodopera industriale stenta a riconoscere una parentela con le altre fasce del mondo operaio, fra le quali è diffusa la povertà, l’alcolismo e la prostituzione. L’impianto delle fabbriche richiede notevoli investimenti di capitale e ciò porta i proprietari delle industrie a sfruttare al massimo le potenzialità dei macchinari e il lavoro della manodopera, della quale si comprimono i costi approfittando dell’ampia offerta di lavoro. I lavoratori privi di qualifica, le donne e i bambini non hanno alcuna indipendenza o forza contrattuale, sono privi di difese in una società nella quale il potere politico è in mano ai ceti abbienti, nobili e borghesi. La produzione diventa il cardine delle loro esistenze:passano 15/16 ore al giorno in fabbrica. Solo nel 1831 viene varata una legislazione statale sul lavoro col divieto di impiegare in fabbrica i minori di 9 anni e l’introduzione del tetto di 12 ore giornaliere per i minori di 18 anni. Anche la componente più stabile e qualificata del mondo operaio non può stare tranquilla: le innovazioni comportano l’ingresso sulla scena di macchinari sempre nuovi che determinano un risparmio di forza lavoro e provocano disoccupazione. Fra gli artigiani minacciati dalla concorrenza delle macchine, fra i lavoratori a domicilio rimasti esclusi dai nuovi processi produttivi e fra gli operai impoveriti troviamo i NEMICI DELLA MECCANIZZAZIONE: essi vedono in essa l’origine disgregamento dell’organizzazione sociale, dei valori e dei ritmi di vita tradizionali in nome di un progresso che implica unicamente sfruttamento, peggioramento delle condizioni di vita e perdita di ogni controllo sulla produzione. Ciò porta nei primi due decenni dell’‘800 ad azioni terroristiche e sommosse volte alla distruzione di macchine e fabbriche: il LUDDISMO (dalla leggenda dell’operaio Ned Ludd che per primo distrusse un telaio meccanico nel 1779), fenomeno privo di caratteristiche unitarie che si manifesta diversamente da regione a regione, combattuto dalla repressione severa delle autorità che non esitano a ricorrere all’esercito. La tutela della proprietà privata da parte del governo britannico si spinge a vietare qualunque forma di organizzazione e rivendicazione operaia, lo sciopero è vietato e le manifestazioni operaie, seppur pacifiche, sono represse nel sangue (es. “massacro di Paterloo”, 1819). È per opera dello strato più qualificato e consapevole del ceto operai che, in questi anni, sorgono le prime ASSOCIAZIONI DI MUTUO SOCCORSO per far fronte alla durezza delle condizioni di vita e ai rischi (infortuni, riduzione salari, licenziamento) cui la vita di fabbrica espone i lavoratori e le loro famiglie. Nel 1824 viene autorizzata dalle autorità la creazione delle TRADE UNIONS, unioni di mestiere a metà strada fra le associazioni di mutuo soccorso e i moderni sindacati, che sarebbero sorti negli ultimi decenni del secolo. CAPITOLO 29 - RESTAURARE L’ANTICO REGIME In seguito alla caduta dell’impero napoleonico le potenze vincitrici, in particolare GB, R, Austria e Prussia, si trovano a discutere importanti questioni politiche: - sorte della F e strada da seguire per evitare che essa torni a minacciare gli equilibri europei; - ridisegnare la mappa politica del continente e ripristinare il mondo politico e sociale europeo prima della rivoluzione francese. Se la rivoluzione è stato il male che aveva dato origine allo sconquasso degli equilibri europei, alla rottura delle tradizionali gerarchie sociali, alla caduta di vetuste e ammirate dinastie, il bene non può che risiedere nell’antica formula che ha retto le società prerivoluzionarie, dal momento che, a fondamento dei troni e della stabilità sociale, vi è la volontà divina. Questo progetto di restaurazione dell’antico regime trova la sua espressione nel Congresso di Vienna. IL CONGRESSO DI VIENNA (1814-1815) Esso provvede a ridefinire gli assetti politici europei: è dalla pace di Vestfalia (1648) che non si assiste a un’assemblea così importante per le sorti del Vecchio Continente. Vi partecipano rappresentanti diplomatici plenipotenziari di tutti gli Stati europei, tra cui per la F il principe Talleyrand, il quale, grazie alla sua abilità diplomatica, riesce a convincere le potenze vincitrici della necessità di stabilizzare la F senza penalizzarla eccessivamente sul piano territoriale, al fine di evitare un contraccolpo interno di tipo rivoluzionario e repubblicano. Il regno di F governato da re Luigi XVIII è ritornato, sin dal 1814, ai confini precedenti al 1792, ma, in seguito ai “cento giorni” di Napoleone, viene stabilita la perdita di alcuni territori lungo il Reno e in Savoia e di alcune colonie. - L’Italia settentrionale passa dal controllo francese a quello austriaco: alla Lombardia vengono aggiunti, infatti, i territori della scomparsa rep. di Venezia, la Valtellina e il Trentino, che formano il regno lombardo-veneto, aggregato alla corona degli ASBURGO. - Il regno di Sardegna è restituito ai SAVOIA, e ad esso vengono annessi i territori dell’antica rep. di Genova. - Il granducato di Toscana e il ducato di Modena viene dato agli ASBURGO-LORENA. - Il ducato di Parma e Piacenza viene assegnato, a titolo vitalizio, a MARIA LUISA (moglie di Napoleone e figlia dell’imperatore). - Nello Stato pontificio viene ripristinato il potere temporale del PAPA. - FERDINANDO IV DI BORBONE (ora Ferdinando I) unifica il regno di Napoli e quello di Sicilia, creando il regno delle Due Sicilie. - La PRUSSIA acquisisce parte della Sassonia, la Pomerania svedese, la Vestfalia, Colonia, Treviri e altre terra sulla riva del Reno. - L’area tedesca muta: ratifica della fine del Sacro romano impero e riduzione degli stati tedeschi da 350 a 39, riuniti nella Confederazione germanica presieduta dall’IMPERATORE D’AUSTRIA. - La RUSSIA si annette la Galizia, la Finlandia e la parte centrale dell’antico regno di Polonia. - La GB ottiene alcune colonie francesi e olandesi e l’isola di Malta. - Olanda e Paesi Bassi meridionali sono fusi nel regno dei Paesi Bassi assegnato agli ORANGE-NASSAU. - Spagna e Portogallo vengono riconsegnati ai BORBONE e ai BRAGANZA. - L’unica repubblica a essere riconosciuta è la neutrale CONFEDERAZIONE ELVETICA. Questo insieme di accordi che mirano a ristabilire l’ordine europeo antecedente la rivoluzione viene garantito dalla SANTA ALLEANZA del 1815, promossa da zar Alessandro I tra R, Austria e Prussia: essa afferma di voler tutelare “la religione, la pace e la giustizia” e agisce sotto la regia del cancelliere austriaco Klemens von Metternich-Winneburg per reprimere idee e movimenti contrari alla restaurazione dell’antico regime. La GB non partecipa all’alleanza, ma sottoscrive un trattato di quadruplice alleanza politico-militare con Austria, R e Prussia che ricostituisce il tradizionale schieramento antifrancese. IL NUOVO DISPOTISMO REAZIONARIO E I SUOI NEMICI Il dispotismo monarchico postrivoluzionario è diverso dall’assolutismo dispotico settecentesco. In primo luogo, infatti, mentre i sovrani settecenteschi hanno puntato a legittimare i propri interventi riformatori con la retorica della felicità dei popoli, cercando il consenso dell’opinione pubblica, i sovrano assoluti dell’età post-napoleonica tendono a richiamare valori tradizionali, soprattutto religiosi. Per questo motivo la Chiesa cattolica svolge un fondamentale ruolo di supporto. Si è parlato di una “alleanza fra il trono e alle potenze europee, definito come il grande malato del XIX sec. tanto da suscitare le mire espansionistiche di Russia ed Austria. La vicenda greca è il primo campanello d’allarme del declino della Sublime Porta. Nel 1814 nasce nella città russa, dove troviamo una fiorente colonia greca, di Odessa l’ETERIA, una società segreta d’ispirazione massonica che si propone di cacciar egli ottomani dai Balcani. Essa può contare sull’appoggio della Russia tanto che nel 1820 ne viene capo Ypsilanti, generale e aiutante dello zar Alessandro I. Ypsilanti nel 1821 intraprende una spedizione nella Romania (dominio ottomano), ma finisce per essere sconfitto. Contemporaneamente in numerose località della Grecia scoppiano moti per l’indipendenza organizzati dall’Eteria che vedono il massacro delle guarnigioni ottomane e la spietata risposta della Sublime Porta che fa sterminare la popolazione dell’isola di Chio. Dopo aver liberato la Morea, nel corso del congresso di Epidauro, i ribelli proclamano l’indipendenza della Grecia (1822). La sollevazione greca emozione particolarmente l’opinione pubblica europea: ha rilievo il fatto che la guerra d’indipendenza, nel quadro della nuova concezione romantica della storia, venga rappresentata come la contrapposizione tra una nazione cristiana derivata dalla culla della cultura Europea e una nazione mussulmana propagandata come dispotica, corrotta e oppressiva sul piano politico e religioso. Si sviluppa così in diversi paesi europei un movimento filellenico che soccorre i fratelli greci (tra cui il romanziere e poeta inglese George Byron). La sorte della rivolta greca pare, però, segnata allorché nel 1825, in seguito a un accordo col sultano, il pascià d’Egitto Muhammad Ali invia una flotta e un esercito che in due anni riprendono il controllo della Grecia continentale. A questo punto l’intervento del nuovo zar Nicola I, che minaccia di entrare in guerra vs l’impero ottomano, spinge la GB a intervenire. Con la pace di Adrianopoli (1829) viene sancita l’autonomia della Serbia, della Moldavia e della Valacchia, la totale indipendenza della Grecia (priva della Tessaglia, dell’Epiro, delle isole Ionie e di Creta) di cui nel 1832 viene fatto re, sotto la tutela britannica, Ottone I di Wittelsbach, figlio del re di Baviera. I MOTI ITALIANI: LIBERTÀ E INDIPENDENZA - REGNO DELLE DUE SICILIE: con la restaurazione borbonica l’esercito che viene ricostruito eredita il modello militare formatosi nell’età napoleonica, in particolare sotto Gioacchino Murat, ed è connotato dalla presenza di una generazione di giovani ufficiali di orientamento liberale. Alla notizia della rivolta di Cadice nel 1820 il presidio di Nola si ribella, guidato dagli ufficiali carbonari Morelli e SIlvati, reclamando l’adozione della costituzione spagnola. Il movimento rapidamente si propaga e il generale Guglielmo Pepe, ufficiale di Murat, viene inviato per reprimere la rivolta, ma si schiera, invece, con essa e marcia su Napoli, costringendo il re a concedere una costituzione sul modello spagnolo. Anche la Sicilia insorge reclamando il ripristino della costituzione liberale concessa dal sovrano nel 1812 (periodo della protezione britannica) e poi abrogata. Palermo avanza la richiesta di un regno autonomo e separato da quello di Napoli, Catania e Messina hanno una linea più liberale e sono aperte alla collaborazione con la monarchia. L’esercito borbonico riesce a riprendere il controllo dell’isola anche grazie a queste divisioni. Le elezioni portano alla formazione di una maggioranza parlamentale liberale moderata che emargina i gruppi progressisti-democratici, ma compie l’errore di non approntare alcuna misura di difesa vs un probabile intervento della Santa Alleanza. Con il congresso delle grandi potenze a Lubiana (1821) Ferdinando I chiede l’intervento della Santa alleanza. Con l’arrivo delle truppe austriache, quelle del governo costituzionale vengono sconfitte e la costituzione abrogata. - REGNO DEI SAVOIA: a Torino intanto si accende un nuovo focolaio rivoluzionario di uomini politici, militari e intellettuali liberali (Santorre di Santarosa, Cesare Balbo, ecc) attorno alla figura del presunto erede al trono Carlo Alberto di Savoia Carignano, che contrariamente al sovrano Vittorio Emanuele I appare propenso a riforme di stampo liberale. Si intende muovere guerra all’Austria per formare una monarchia costituzionale dell’Italia settentrionale. Tra il 9 e il 10 marzo 1821 la guarnigione militare di Alessandria si ammutina e inalbera il tricolore, la bandiera di quello che era stato in epoca napoleonica il regno d’Italia, chiedendo la promulgazione della costituzione spagnola del 1821. A seguito del propagarsi a Torino e Genova dell’insurrezione il sovrano abdica in favore del fratello Carlo Felice. Trovandosi quest’ultimo a Modena, la reggenza viene affidata a Carlo Alberto, che prontamente concede la costituzione, con la riserva dell’approvazione del nuovo re. Carlo Felice sconfessa immediatamente l’iniziativa del nipote e chiede l’intervento della Santa alleanza per ristabilire l’ordine: il governo costituzionale guidato da Santorre di Santarosa cerca di resistere alle forze austriache, ma viene sconfitto a Novara. - REGNO LOMBARDO-VENETO: anche qui la Carboneria ha progettato un’insurrezione, ma non si verificano moti insurrezionali in ragione dell’azione preventiva della polizia austriaca che arresta i capi del movimento rivoluzionario. Ad es. Silvio Pellico, Gian Domenico Romagnosi e Federico Confalonieri vengono incarcerati nella fortezza moldava dello Spielberg, simbolo del brutale regime poliziesco del governo austriaco. L’INSURREZIONE DECABRISTA IN RUSSIA E IL MOVIMENTO SLAVOFILO Il modulo organizzativo delle società segrete di ispirazione massonica e liberale si diffonde anche in Russia dove troviamo la SOCIETÀ DEL NORD (orientamento liberale - costituzionale) e la SOCIETÀ DEL SUD (ispirazione repubblicana). Il 14 dicembre 1825, giorno in cui deve avvenire a Pietroburgo il giuramento delle truppe al nuovo zar Nicola I, alcuni reparti dell’esercito, guidati da ufficiali affiliati alla Società del Nord, insorgono per costringere il sovrano a concedere la costituzione. Le forze fedeli allo zar prenderanno, però, presto in mano il controllo della situazione e i capi dei congiurati, detti decabristi (dekabr = dicembre) sono giustiziati, mentre un centinaio di insorti viene condannato ai lavori forzati in Siberia (1826). L’insurrezione decabrista segnala l’urgenza di porre mano in Russia a riforme politiche ed economiche. Oltre alla questione della costituzione vi è in gioco il problema della proprietà fondiaria, imprigionata da un sistema feudale antiquato, e l’esigenza di promuovere, tramite la concessione della terra alle comunità contadine, lo sviluppo di un’economia arretrata. Saranno questi i temi dibattuti negli anni a venire, ma per il momento lo zar risponde con una spietata repressione. La penetrazione in Russia del concetto di popolo-nazione e la diffusione delle idee romantiche di origine tedesca porterà negli anni seguenti al sorgere di una nuova forma di opposizione allo zarismo in nome delle tradizioni slave del popolo russo: il MOVIMENTO SLAVOFILO (sia politico che culturale), che intende restituire la Russia ai suoi valori tradizionali che la politica filo-occidentale degli zar ha trascurato. Gli slavofili esaltano i valori tradizionali comunitari (esemplificati dal mir = villaggio russo) e solidarismi e religiosi (fede ortodossa) che trovano nel popolo delle campagne il loro migliore custode. L’incontro con la problematica sociale, creata dal sorgere della questione operaria trasforma questa corrente di pensiero nel più vasto movimento di opinione e azione politica della storia russa: il POPULISMO. LA RIVOLUZIONE ORLEANISTA IN FRANCIA Con la vittoria elettorale degli ultras e l’ascesa al trono di Carlo X (1823-24), un fratello di Luigi XVI capo dello schieramento filoassolutistico, in F si ha una svolta reazionaria e clericale: “legge del miliardo” (fondo per risarcire i beni confiscati ai nobili con la riv.), ristabilimento congregazioni religiose soppresse, introduzione pena di morte per atti sacrileghi, ripristinato maggiorascato. Nelle elezioni per la Camera del 1827 si affermano i liberale e si forma un governo liberale presieduto da Martignac che ripristina la libertà di stampa e cerca di attuare caute riforme. Nel 1829 il re lo licenzia e sostituisce con Polignac (esponente degli ultras). All’opposizione dei liberali Carlo X risponde con lo scioglimento della camera e una spedizione militare che conquista Algeri. Le elezioni del 1830 vedono nuovamente prevalere i liberali. Il sovrano e Polignac attuano, allora, un colpo di Stato: Carlo X promulga 4 ordinanze (sciolta la Camera appena eletta, limitata la libertà di stampa, modificata la legge elettorale con restrizione de già limitato diritto di voto per assicurarne il controllo ai proprietari fondiari aristocratici, indette nuove elezioni). I gruppi di opposizione insorgono (liberali, bonapartisti, repubblicani) e mobilitano i parigini: tra il 27 e il 29 luglio Parigi affronta le truppe regie e dopo tre giorni di combattimento (TROIS GLORIEUSES) il sovrano fugge. Per evitare una soluzione di tipo repubblicano-democratico, i fautori di una monarchia costituzionale a base socialmente moderata, fra cui Talleyran e La Fayette (capo della guardia nazionale) e i borghesi liberali come Thiers, Guizot e Lafitte offrono la corona al duca LUIGI FILIPPO D’ORLEANS, cugino di Carlo X e figlio di Philippe Egalité (esponente della prima fase della riv., ghigliottinato nel periodo del terrore). Egli il 9 agosto 1830 viene proclamato dal Parlamento “re dei francesi per volontà della nazione” e sostituisce la tradizionale bandiera bianca col giglio (simbolo dei Borbone) con il tricolore (emblema della riv. del 1789). Con la ratifica del Parlamento, Luigi Filippo procede subito a modificare in senso liberale la costituzione del 1814: l’operato del re viene sottoposto al controllo parlamentare, viene ridimensionata la Camera dei pari, viene sancito il principio della libertà di stampa e il cattolicesimo non è più religione di Stato. I limiti di censo per l’esercizio dei diritti politici subiscono un lievissimo abbassamento aumentando leggermente il numero degli aventi diritto al voto. Con gli eventi parigini del 1830 il periodo della restaurazione si conclude e la rivoluzione torna alla ribalta.
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