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Riassunto "L'evoluzione dello spazio scenico" completo di Franco Mancini, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Il riassunto è completo, ci sono tutti i capitoli.

Cosa imparerai

  • Che personalità importanti incontrarono i Meininger?
  • Come influenzò il Teatro d'Arte la vita teatrale russa?
  • Quali innovazioni sceniche introdussero i Meininger?
  • Che movimento teatrale si affermò in teatro alla fine del 1800?
  • Che ruolo giocarono i Meininger nella storia del teatro?

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 21/09/2021

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Scarica Riassunto "L'evoluzione dello spazio scenico" completo di Franco Mancini e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! L’evoluzione dello spazio scenico La crisi del realismo e Stanislavskij Per capire in che contesto affonda le radici la rivoluzione teatrale e la nascita della regia, occorre risalire alle cause della crisi del realismo che, ad inizio del XX secolo, aveva investito l’arte europea e, con essa, il teatro e la scenografia. Nella seconda metà del 1800 lo stato decadente in cui versava il teatro e la scena romantica porta ad una nuova reazione con il realismo, che influenzato anche dalla scoperta della fotografia, ancora senza scostarsi dalla scena dipinta, cerca di restituire alle scene una dignità formale ricostruendo le ambientazioni in modo rigoroso e realistico. Ben presto il repertorio, pieno di opere classiche tradizionali e di lavori storici in costume venne portato in scena con l'ausilio di tutti i mezzi possibili: torri, ponti, rampe, balconi ed effetti meteorologici e soprannaturali. Si affermò così nel teatro un movimento che prese il nome di realismo storico. Presto si iniziarono a sostituire alle scenografie dipinte en trompe l'oeil dei veri e propri elementi praticabili (il primo fu Kean). Questi principi furono ben presto accolti dai Meininger, una compagnia teatrale formata nel 1870 da Giorgio II duca di Sassonia-Meiningen che possono essere considerati i principali esponenti del realismo storico a teatro. Ai Meininger si devono delle importanti innovazioni della scena teatrale come: - La sostituzione dei dipinti con le scene a tre dimensioni - L'impostazione dello studio del costume teatrale - La contrapposizione all’egemonia dell'attore della recitazione d'insieme Questi esercitarono un'enorme influenza sul teatro europeo, divenendo punti di riferimento per grandi artisti come Stanislavskij. A partire dal realismo nacquero delle esasperazioni come il naturalismo (Francia) ed il verismo (in Italia). In Francia, tra i fautori del realismo nel paese ci fu Andrè Antoine che inaugura il Theatre Libre, trampolino di tantissimi scrittori come Zola, Baudelaire o Balzac, e lo rende trampolino di lancio per il trionfo del realismo. Inizialmente Antoine fissa alcune regole semplici che possono contribuire a rendere gli spettacoli più realistici possibile: gli attori non devono mai volgere le spalle al pubblico, non devono indossare costumi teatrali nuovi, devono curare scrupolosamente il trucco e devono essere usati anche nei ruoli di comparse, tutti principi che di base sono entrati nelle consuetudini teatrali ma che ai tempi furono una vera e propria rivoluzione. Con Antoine siamo ormai nel periodo in cui era segnata la definitiva rottura con le concezioni romantiche per cui le decorazioni ottocentesche enfatiche e magniloquenti furono soppiantante da scene semplicemente reali. Si vogliono ora solo scene grondanti di realtà: molto noto il caso di Le bouchers, per il quale spettacolo, volendo rappresentare realisticamente una macelleria, Antoine ritenne opportuno inserire nell'arredamento un vero bue squartato. Presto il naturalismo si affermò anche in Germania grazie ad Otto Brahm il quale fondò a Berlino il Freie Buhne (Teatro Libero) inaugurato da un dramma di Ibsen, gli Spettri. Oltre ad avere importato il naturalismo nel suo paese, a Brahm va attribuito anche il merito della scoperta di Max Reinhardt che diventerà uno tra i più fieri oppositori del naturalismo. Ma più che in Francia e Germania, il naturalismo trovò terreno fertile in Russia. In quegli anni la vita teatrale russa era incentrata al Piccolo Teatro, la cui produzione pur comprendendo opere di grandi drammaturghi, restava sempre piatta. Accanto al Piccolo Teatro erano attivi anche l’Istituto Filarmonico dove insegnava Dancenko e poi la Società di Arte e Letteratura frequentata da un giovane attore: Stanislavskij. Dall’incontro di queste due personalità nascerà nel 1898 il Teatro d'Arte grazie al quale Mosca verrà inserita tra le più importanti capitali europee dello spettacolo. In questo teatro, legato principalmente al repertorio Cecoviano, furono presentati spettacoli dediti al realismo scenico, il quale con l'accuratezza del particolare e con la riproduzione meticolosa di effetti sonori, raggiungerà all'apice delle sue possibilità espressive. Stanislavskij aveva appreso da Tommaso Salvini i primi rudimenti dell’arte della recitazione mentre dai Meininger la subordinazione del singolo all'insieme. Proprio per questo motivo, pur riservando all'attore un'attenzione primaria, persegue comunque una visione unitaria dello spettacolo. Il problema principale per Stanislavskij consisteva nella necessità di evitare che l'attore recitasse in modo ripetitivo e standardizzato, e che divenisse più vero. Sulla base di questo, con vari studi nel tempo, elabora il famoso “sistema” consistente in una serie di esercizi psico-fisici derivati dalla filosofia indiana, in particolare dallo Zen. Il sistema, chiamato con il termine perezivanie (rivivimento), si prefiggeva di portare l'attore ad il completo dominio dei propri mezzi espressivi e delle emozioni. L'attore, raggiunto l'assoluto dominio della propria volontà, non si limiterà semplicemente ad interpretare la sua parte, ma a riviverla. Inizialmente Stanislavskij mostra però un tiepido interesse per la scenografia che per lui non è un mezzo espressivo dell’azione, ma è sicuramente indispensabile per il processo di immedesimazione dell'attore nella parte. Questa concezione strettamente utilitaristica che Stansilavskij assegna alla scenografia rispecchia la posizione di quest’ultima in quei tempi di fin de siecle in Russia: essa si esprimeva, come gli attori, in maniera autonoma e slegata dal resto dello spettacolo e per questo invece che rafforzare la costruzione dell’azione, la indeboliva. Capiamo bene che ci troviamo ancora in una fase del teatro spenta, ottocentesca. Ma da qualche anno a quella parte si profilerà una concezione organica dello spettacolo, come se fosse un tutt'uno. In una seconda fase Stanislavskij, pur riconfermando l’avversione per il genere dipinto, auspica l'avvento di una scenografia plastica, oggetti che si possono toccare e vedere sulla scena. Sebbene l'operato di Stanislavskij sia rimasto legato al realismo, da lui chiamato realismo psicologico, ricercatore e sperimentatore insaziabile, tentò strade nuove e diverse non appena iniziò a percepire i primi segni di stanchezza nelle reazioni del pubblico e della critica, rimettendo in discussione i suoi metodi e i suoi studi. Una prima svolta di inventiva rispetto al passato, ad esempio, la ebbe quando introdusse il velluto nero in sostituzione al fondale dipinto che tanto odiava. Il fondale nero era in grado di nascondere alla scena. Per questo motivo Craig criticò Wagner sostenendo che egli in realtà si limitò a fare piccole innovazioni senza effettivamente cambiare lo stato delle cose. Ma un grande merito di Wagner fu sicuramente quello di aver individuato uno dei principi fondamentali della regia moderna: il ritmo. Wagner e la sua riforma ispirarono e divennero punti di partenza per uno dei caposaldi e pilastri della regia teatrale moderna: Adolphe Appia. Appia Appia era un grande estimatore della musica e si accorse ben presto quante possibilità l’opera wagneriana suggerisse all'allestimento scenico. Secondo Appia le opere Wagneriane, rappresentate in modo realistico finivano col perdere ogni potere magico. L'attività teatrale di Appia fu molto scarsa e giunse solo quando aveva definito le sue idee per mezzo di scritti e bozzetti. Il suo mezzo espressivo più importante infatti fu l’opera teorica, piuttosto che quella pratica. Il primo contatto di Appia con il teatro fu ad una rappresentazione del Faust di Gounod. Egli resta profondamente sorpreso di trovarsi di fronte ad un piano sgombro, poiché secondo lui gli attori ed i loro atteggiamenti verrebbero molto più valorizzati dalla diversità dei piani. Sarà infatti una delle sue prime innovazioni quella dell’articolazione del piano del palcoscenico. Un'altra esperienza decisiva fu l’incontro con Hilt, un seguace dei Meininger, il quale riusciva ad ottenere dei sorprendenti effetti con le scenografie, valorizzati da un accorto uso dell’illuminazione. Dopo aver fatto scorta di queste esperienze, Appia tenta di progettare delle scene per la Tetralogia di Wagner (tra il 1891 e il 1892), che riesce poi a mostrare alla moglie dell'ormai defunto maestro, Cosima Wagner. Essa, che alla morte del marito si era assunta il compito di tramandarne l’opera nel più assoluto rispetto delle sue indicazioni, non volle accettare i progetti di Appia che si discostavano troppo dalle sue concezioni. Vistosi precluso l’accesso al teatro operante, Appia non può che definire e sperimentare le sue idee esclusivamente in sede teorica. Da questa esperienza fallimentare sul piano pratico, nasce la Mise en scene du drame wagnerien, opera considerata il primo documento in assoluto che parla di un'estetica teatrale, dove viene considerata a pieno l'autonomia dello spettacolo dalle altre arti e della scenografia. Appia rigetta il realismo degli allestimenti del melodramma di Wagner. Sempre in quest'opera egli si pone il problema del rapporto tra le arti del tempo (poesia e la musica) e le arti dello spazio (pittura, scultura, architettura). Appia, chiaramente interessato alla realizzazione visiva dell’opera, considera il testo poetico concluso in sé stesso. Le didascalie dei libretti o dei drammi relative alle scene possono suggerire ben poco, e anche quando lo fanno non offrono indicazioni veramente utili per la messinscena, proprio perché sono stati scritti prescindendo da tale fattore. La parte rappresentativa deve dunque entrare nella concezione stessa del dramma. Secondo lui bisogna che qualcuno, un “poeta-musicista” (il regista) riesca a fissare gli elementi necessari alla trasposizione visiva del dramma. Dunque, in attesa di questo fatidico poeta-musicista, Appia non può che rivolgere il suo interesse al Wort-tondrama (dramma musicale) wagneriano e trovare un modo per migliorarlo. Secondo Appia l'allestimento scenico di questo dramma dovrebbe possedere una carica visiva tanto forte quanto l'intensità che dà la musica. Mettendo completamente in discussione in principi della scenografia tradizionale, Appia contrappone al naturalismo pittorico un’astrazione ideale allusiva. Un punto cardinale della messinscena di Appia è il movimento. E’ la musica che plasma lo spazio scenico ed è il punto di contatto tra l'attore e la scena. La musica doveva determinare lo spazio. Così come imponeva il tempo degli atti, doveva imporre all'attore il movimento e la misura dei gesti. Poiché la musica riesca a plasmare la scena attraverso la mediazione fisica dell’attore, è necessario che egli sia dotato di agilità. Da questo punto di vista è fondamentale ricordare il fecondo sodalizio con Jacques- Dalcroze, che apre un secondo momento della poetica di Appia. Mentre prima la mobilità della scena risultava sufficiente a stabilire un legame tra la musica e la forma plastica, ora interviene il ritmo ed il corpo dell'attore. All’interno della scena, Appia attribuisce un importante valore alla luce che deve integrarsi con la musica completando la scena. La luce costituisce un elemento visivo che crea l'atmosfera mutando assieme alle azioni e alle emozioni dell'attore. Essa deve essere utilizzata con funzione psicologica. A tal fine è necessario programmarla e orchestrarla, proprio come uno spartito musicale. La sua scarsa attività pratica fu messa in atto soprattutto presso il l'istituto di Dalcroze ad Hellerau, dove potè allestire diversi saggi. Il primo incontro con un teatro ufficiale lo ebbe alla Scala nel 1923 dove riuscì a mettere in scena alcune opere di Wagner. A causa dell’insuccesso dell'ultima, le Walchirie, la direzione del teatro soppresse le realizzazioni dei previsti spettacoli seguenti e ciò fu il colpo di grazie per Appia, che era affetto da una forma di nevrosi. Ritiratosi in una clinica morì alcoolizzato pochi anni dopo. Craig Tra i più grandi seguaci dell’opera di Appia c'era l'inglese Gordon Craig, anch'egli impegnato nella lotta al naturalismo. A differenza di Appia, che aveva potuto sviluppare le sue idee principalmente sul piano teorico, l’attività di Craig si sviluppò su un piano quasi puramente pratico. Il motivo sta indubbiamente nel contesto e nelle personalità molto diverse in cui i due artisti vissero. Craig era il figlio di una delle attrici inglesi più famose dell’epoca: Ellen Terry. Egli iniziò quindi, sotto la guida della madre e dell'attore Henry Irving (il maggiore interprete della scena britannica teatrale del tempo), molto presto l’attività di attore. Egli sin da subito può quindi recitare con attori di primissimo piano e nel più famoso dei teatri inglesi. La sua formazione è condizionata dall'assenza del padre e dalla fanciullezza trascorsa in solitudine per la rara presenza della madre. Nell’Index to the story of my days (un libro autobiografico) assieme al rimpianto per una famiglia regolare, si avverte l'ammirazione per la madre ed una costante rievocazione della figura paterna. Craig è legato da un rapporto ambivalente ad Irving poiché da un lato non riesce a sottrarsi al fascino della sua personalità, dall'altro non vuole accontentarsi di ripiegare in un ruolo secondario. Questo lo condurrà da un lato a capovolgere il metodo di recitazione adottato dall'attore inglese, opponendogli una recitazione costruita a freddo. Non è del tutto azzardo supporre che l'opposizione ad Irving porterà Craig a teorizzare la soppressione dell’attore sostituendolo con la super marionetta, docile strumento nelle mani del regista. Craig decide di non seguire più Irving e di inseguire, invece, la propria strada: ne 1897, abbandonato il mestiere di attore, intraprende quello di stage director. Nella sua prima opera impegnata, il Dido and Aeneas, realizzata appena due anni dopo aver terminato la carriera di attore, Craig si rivolge al testo per trasporne il messaggio profondo, realizzando visivamente gli stati d'animo, normalmente trasmessi con le parole. Egli sceglie il colore con riferimenti simbolici, utilizzando poche tonalità scure. Gli stati d’animo sono sapientemente evidenziati anche da un uso accorto dell’illuminazione, abolendo le luci della ribalta e sostituendole con dei riflettori posti nella parte alta del palcoscenico. Nell’intermezzo The masque of love poi fece largo uso della maschera. Craig impose agli attori dei movimenti meccanici. Con questi movimenti automatici e burattineschi Craig offre un primo timido esempio della sua teoria della supermarionetta. Craig considera l'attore uno strumento imperfetto a teatro poiché, come tutti gli esseri umani, è schiavo dei propri sentimenti ed istinti. Egli deve essere sostituito da una uber-marionette, una sorta di robot esecutore della volontà del regista, l’unico vero artefice della rappresentazione. Questa teoria preannuncia la recitazione epica di Brecht. Sia in questi primi spettacoli che nel successivo Guerrieri e Helgeland di Ibsen, rappresentato nel 1903 a Westminster Craig, secondo un altro punto cardinale delle sue teorie, ignora le indicazioni fornite dal drammaturgo. Infatti, se prima era indispensabile realizzare l’opera drammatica nell’assoluto rispetto delle indicazioni del poeta, ora l'allestimento è interamente ad opera del regista, è una sua interpretazione. Benchè questi pochi lavori avessero introdotto una ventata di novità nella vecchia atmosfera della scenografia inglese, Craig avvertendo i limiti di un ambiente troppo stretto per la sua vitalità creativa, decide di dedicarsi all'espressione teorica e scrive “The Art of the theatre” (1905), cui seguirono numerosi altri saggi. Da questo momento Craig inizia a rifuggire il lavoro pratico nei teatri, rifiutando quasi tutti gli inviti che gli venivano rivolti da varie parti del mondo. Oltre alla sua intransigenza, la sua rinuncia al teatro militante venne anche da una serie di esperienze negative ed incontri che lo dissuasero dal continuare ad insistere in quella direzione. In Inghilterra Craig non riusciva a trovare un proprio spazio creativo e quindi, nel 1904, si trasferì in Germania dove per interessamento del conte Kessler, viene inviato a Berlino da Otto Brahm con l’incarico di curare la scena di un suo spettacolo. Ma il realismo di Brahm si scontra con Craig e la rottura tra i due è inevitabile. Sempre grazie all'appoggio di Kessler Craig viene introdotto nel mondo Benchè i balletti russi non portarono a nessun rinnovamento dell’allestimento scenico, influenzarono in un modo o nell'altro il mondo teatrale contemporaneo anche solo predisponendo al cambiamento il clima teatrale di quegli anni. Nel teatro francese del primo dopoguerra , un ruolo di fondamentale importanza fu ricoperto da Jacques Copeau. Al Vieux-Colombier, un teatro da lui fondato nel 1913 egli realizzò la parte più significativa del suo lavoro per il quale prese a modello la Commedia dell'Arte. I suoi spettacoli si affidavano più che altro alla bravura dell'attore, addestrato con estremo scrupolo anche in base alla ritmica di Jacques- Dalcroze. Sempre in questo periodo e ambiente francese viene ideata l'innovazione scenotecnica di maggior risonanza per via dei suoi effetti illusionistici: la cupola Fortuny, che prese il nome dal suo inventore, il pittore-scenografo Mariano Fortuny. Essa era un quarto di sfera costituita da ferro e tela che, mediante un riflettore che la illuminava e con l’uso di filtri colorati, assumeva le colorazioni desiderate causando uno strabiliante effetto scenico (con essa si potevano ricavare gli effetti luminosi delle varie fasi della giornata come l’alba o la notte). Essa sarà poi evoluta nel più pratico panorama. Nonostante qualche sporadica innovazione, dopo la riforma wagneriana e dopo la rivoluzionaria presenza di Craig ed Appia, la scenografia italiana continuava ad essere calata in un ambito tardo ottocentesco. Il primo vero cambiamento, a parte qualche sporadico tentativo individuale, si verificò solo nel primo dopoguerra con il Futurismo, che insieme al Costruttivismo e all’Espressionismo costituì la punta avanzata delle avanguardie europee a teatro. Nato intorno al 1909 come reazione alla cultura ufficiale, questo movimento proclama la sua avversione al teatro naturalista dominante. Il principale animatore del movimento futurista fu Filippo Tommaso Marinetti che nel suo manifesto del 1913 contrappone ad esso (al teatro di prosa) il teatro del varietà. Egli vedeva nel teatro un importante mezzo di comunicazione e il fenomeno artistico dove maggiormente era possibile l'applicazione dei principi di dinamicità e sovversione della morale comune. Le idee di base furono espresse principalmente in tre documenti: Il Teatro di Varietà del 1913, firmato da Marinetti; Il Teatro futurista sintetico del 1915, ad opera di Marinetti, Emilio Settimelli e Bruno Corra; Il Teatro della sorpresa del 1921, firmato da Marinetti e Francesco Cangiullo. Secondo Marinetti il teatro del varietà offriva rispetto all’altro, alcuni vantaggi quale quello di sorprendere il pubblico e di introdurre la necessità di agire tra gli spettatori, portando l’azione in sala. Questa tendenza a creare una scena attiva nella quale sia coinvolto anche lo spettatore è sicuramente uno dei punti cardinali del movimento. Viene poi pubblicato un altro manifesto del 1915 “Il teatro sintetico futurista” dove si ribadisce il concetto di imposizione sulla scena realistica di quella astratta, fatta di piani sfasati e di movimenti. E’ evidente che ci sia un legame che unisce il nuovo movimento italiano alle teorie del maestro inglese, sebbene i futuristi ostentassero nei suoi confronti un atteggiamento non molto amichevole. Nonostante ciò molti dei loro punti programmatici molte affinità con le intuizioni di Craig. I maggiori esponenti del movimento futurista furono Boccioni, Severini, Russolo, Balla, Depero, Pannaggi e Prampolini ma di molti di essi restano poche opere e operarono pochi interventi effettivi. Balla Giacomo Balla, invece, operò degli interventi molto più significativi. Egli prese parte ad alcuni spettacoli, non solo come scenografo ma anche come attore ed autore. Egli matura l’idea di teatro sintetico: dei rapidissimi Sketches nei quali poteva esprimere anche la sua esperienza di pittore. Il teatro sintetico si diffuse nelle platee italiane molto rapidamente, e all’estero il repertorio futurista fu diffuso a Parigi e a Ginevra e a Praga, dove dove gli allestimenti iniziarono ad acquistare sempre più credibilità artistica. L’opera più nota e probabilmente compiuta di Balla è Feu d'artifice, un allestimento di un balletto russo per conto di Diaghilew. L'allestimento di questo balletto senza ballerini consisteva in una scena unica base sulla quale interveniva un complesso gioco di luci. La scena base consisteva in un complesso di forme cristalline, realizzato in legno e tela e dai colori vivacissimi, che contornavano l'elemento centrale che doveva rappresentare il vero e proprio feu d’artifice, un insieme di solidi geometrici che presentavano simboli a spirale e di altro genere. Gli interessi di Balla non si fermarono soltanto al teatro ma, come moltissimi avanguardisti, si allargarono anche al cinema che, per il suo linguaggio dinamico indubbiamente doveva affascinare un artista che aveva fatto del dinamismo e movimento il perno delle proprie teorie. L'esperienza in questo settore infatti, sebbene unica, gli permise di sperimentare le possibilità espressive di due principi che lo interessavano di più: il movimento e la luce. Il film è “Vita futurista” di Arnaldo Ginna, del 1916, al quale Balla collabora come attore, coautore e scenografo. Depero Una presenza altrettanto viva e significativa fu quella di Fortunato Depero. Anche lui, come Balla o Prampolini, critica ed indaga nuove forme che si oppongono al teatro tradizionale, ma con la differenza che mentre loro finivano col sopprimere l’uomo, Depero sostiene la presenza di una sorta di interprete-motore, una sorta di abitante meccanico di un nuovo mondo, che Depero ha modo di inserire in Le chant du Rossingol di Stravinskij, per conto di Diaghilew nel 1916. Secondo i disegni e gli scritti di Depero, in questo spettacolo la figura umana doveva spariva sotto il volume di queste specie di costumi fatti di ali e di scudi, caratterizzati da effetti plastici e cromatici che emergevano dai movimenti coreografici. Depero però non riuscì a realizzare questo lavoro perché Diaghilew ne fece sospendere l'esecuzione, affidandogli invece la realizzazione dei costumi ideati da Picasso per Parade. Questa esperienza permise a Depero di entrare in contatto con la tematica cubista e si farà sentire nella geometrizzazione dei personaggi dei successivi “Balli plastici”. Egli arriva così, dopo altre piccole esperienze, all’ideazione del Teatro plastico. L'uomo motore diviene ora un personaggio-marionetta, completamente robotizzato e privo di qualsiasi reazione soggettiva. Queste marionette robotiche sono protagoniste dei Balli plastici, cinque scenette mimico- musicali andati in scena per la prima volta nel 1918. Per Depero le marionette impiegate nello spettacolo erano ancora però ad uno stadio primitivo, fatti di legno, duri e quadrati. Egli sostiene che sicuramente nel futuro subiranno un'evoluzione enorme divenendo molto più mobili, elastici e convincenti. Con questi esperimenti Depero approderà al concetto di Teatro magico, sebbene non riuscirà mai ad essere rappresentato sul piano pratico. Esso segnerà il punto d'arrivo dell'attività pratica di Depero. Prampolini Un altro artista che si dedicò al teatro con uguale impegno e maggior fortuna fu Enrico Prampolini che divenne, per il suo contributo teorico e pratico, la personalità più autorevole della scenografia futurista. Egli va annoverato tra le figure che tentarono di il quarto creatore dello spettacolo poiché egli ricostruisce, attraverso gli elementi visivi offerti, tutto quello che non è espresso invece visivamente. La recitazione, poi, è affidata all'attore sintetico che si muove con movimenti plastici, che devono essere messi in risalto da scenografie con colori adoperati in chiave psicologica. Il Tetro della convenzione adopera scenografie composte da semplici fondali stilizzati. Sulla base di questi principi Mejerchol'd realizza, su commissione della Komissarzevskaja, Hedda Gabler (Ibsen) per cui furono messi in scena dei semplici fondali stilizzati contro i quali si dovevano stagliare i movimenti plastici degli attori. Questo spettacolo fu un in successo (vedi Schino) e il sodalizio tra i due terminò. Dopo la rottura con la Komissarzevskaja per Mejerchol'd si apre un secondo periodo di esperienze che egli dedica anche allo studio giapponese e cinese, nonché alla Commedia dell'Arte, applicandone i risultati ad alcuni spettacoli. Secondo Mejerchol’d il punto di forza del teatro è l'attore, il quale dovrebbe possedere eccezionali capacità di acrobata e ballerino. Egli promuove un linguaggio teatrale fondato sui gesti anziché sui dialoghi. Per lui è necessaria l’arte del cabotinage, la tradizionale arte dell'attore legata al mimo. L’idea di allenare l'attore come un atleta, di ravvicinarlo ai funamboli, darà i suoi frutti più maturi nel periodo sovietico, quando queste doti verrano sintetizzate in un tipo di recitazione da lui chiamata bio-meccanica, consistente nel coordinare i movimenti degli attori con quelli di alcune parti della scenografia, la quale andava assumendo sempre più l'aspetto di un mastodontico congegno meccanico. Il futurismo influenzò enormemente la scenografia russa e si può dire che il costruttivismo si ispirò ad alcune premesse del movimento italiano. Esso nasce in Russia nel 1913 e si sviluppa dopo la rivoluzione del 1917. La scenografia costruttivista sfruttava lo spazio tridimensionalmente dal pavimento del palcoscenico fino al soffitto, con terrazze, torri, scale, scivoli, gradinate e piattaforme, caratterizzate da materiali eterogenei (vetro, gomma, metallo, legno, ecc...). La principale innovazione tecnica introdotta fu l'ossatura utilizzata a vista del pubblico della struttura portante, che assume sul piano espressivo valore simbolico. LX RL Questa scenografia, denunciando la propria consistenza materica, esplicito riferimento alla civiltà meccanica e realistica, assunse l'aspetto di un complesso di ferro e rottami. Dopo la rivoluzione e la crisi delle strutture teatrali borghesi, il costruttivismo investì anche Mejerchol’d, che anche in precedenza aveva mostrato nei suoi esperimenti ed idee affinità con i principi di tale movimento. E’ questa la terza fase del suo lavoro. Egli fu nominato direttore della sezione teatrale di Mosca e nel 1920 istituisce il Teatro sperimentale rivoluzionario. Secondo Mejerchol’d il palcoscenico doveva diventare una tribuna politica al servizio del partito. Per assolvere con efficacia alle funzioni di propaganda sociale, Mejerchol'd esegue una scomposizione del testo in episodi, recitati dagli attori secondo il sistema della bio-meccanica. Il primo spettacolo di questa fase fu Zori di Verhaeren. Lo spettacolo fu affidato al futurista Dimtriev che concepiì una scena astratta composta da enormi cubi in tela grigi e da una serie di funi che si proiettavano fino al soffitto. La composizione era ancora decorata da prismi, triangoli e spirali di latta. Un altro importante spettacolo di questa fase è Misterija-buff di Majakovskij, in un allestimento che lo mostra sempre più legato al costruttivismo, come anche Le cocu magnifique di Crommelynck. Tra le numerose realizzazioni di questo periodo, la più felice fu Les (La foresta) di Ostrovskij, che Mejerchol'd suddivise in trentatrè episodi. Per quanto l’attività di Mejerchol'd procedette senza sosta fino al ‘37, gli spettacoli presentati dopo il’25 non raggiunsero mai la qualità dei precedenti. Il tenace attaccamento alle scelte estetiche e al proprio credo artistico, risultò per lui un grave problema quando, quando terminò al rivoluzione, con lo stalinismo ci fu il ritorno al naturalismo ed al realismo sociale. Egli non ne volle sapere di piegarsi al passato ed a quello contro cui aveva combattuto così a lungo. La sua posizione fu attaccata con violenza dagli organi del partito che lo accusarono di scarsa empatia per il repertorio sovietico. Nel ‘39 venne arrestato e fucilato. Tairov Un altro importante esponente della vita teatrale russa di quegli anni fu Aleksandr Tairov. Come Mejerchol’d anche Tairov è avverso al naturalismo, che aveva preteso dall'attore l'esposizione realistica delle sue emozioni, senza considerare che esistono due verità: quella della vita, e quella dell’arte. Come avevano fatto anche Appia e Craig, Tairov si oppone al naturalismo psicologico perché nel rivivere le proprie emozioni, finisce col soccombere ad esse e a non avere più padronanza della propria volontà creatrice. L'attore deve avere il totale controllo della sfera emotiva (completa differenza da quello che diceva Stanislavskij) e assoluto dominio del corpo. Un primo passo verso la definizione delle sue idee lo aveva compiuto in veste di attore sotto la guida di Mejerchol’d. Abbandonato il mestiere di attore, conduce le sue ricerche altrove. Nel 1913 si trasferisce a Mosca dove, invitato al nuovo Teatro Libero, vi allestisce alcuni lavori e, dopo poco tempo, fonda un suo teatro, il Teatro da camera, le cui proporzioni ridotte erano state volute da lui stesso per evitare il grosso pubblico. Lo spettacolo di inaugurazione è Sakuntala di Kalidasa del 1914. Gli spettacoli del teatro di Tairov sono molto eterogenei, forse anche per motivi economici, e il repertorio oscillava tra il cabaret e lo sperimentale. Nel corso di questi anni di lavoro al Teatro da camera, Tairov concepisce uno stile che chiamerà in seguito neorealismo poiché le scene, sebbene costituite da forme geometriche, sono reali poiché offrono all'attore una base dell’azione. Di questo stile fu una sostenitrice anche Aleksandra Exter, collaboratrice di tairov, artista che ebbe un peso notevole nella vita artistica russa del primo dopoguerra. Essa componeva i suoi spettacoli, come Famira Kitared, con forme geometriche e costumi del tutto originali che preannunciavano l'attore biomeccanico di Mejerchol'd. Essa, poi, dipingeva direttamente i corpi degli attori per ottenere un dinamismo naturale. Dopo il grande successo ottenuto dallo spettacolo, sempre con la collaborazione della Exter, al Teatro da camera viene presentato Salomè di Wilde e Romeo e Giulietta, con costumi realizzati in alluminio e lamiere. Tairov si era largamente ispirato al futurismo per il suo lavoro ed inoltre era anche appassionato al circo ed all'interazione ludica che questo genere riusciva a creare con il pubblico. Anche Tairov, come Mejerchol’d, concepisce l'attore sintetico, un perfetto automa che sappia ballare, cantare, essere acrobata e ginnasta. Secondo Tairov, in oltre, essendo l'attore tridimensionale esso potrà muoversi solo in uno spazio tridimensionale. Il palcoscenico pertanto va utilizzato in tutte le sue dimensioni e spazio, ma soprattutto diviso in settori di varia altezza ed inclinazione (piani sfalsati, scivoli, rampe, pedane praticabili). I dislivelli non erano necessari al teatro naturalistico, poiché gli attori come avviene nella vita comune dovevano camminare su una superficie piana. Ma essa, che appariva a Tairov completamente prima di capacità espressive ed evocative, non avrebbe consentito nessuna articolazione della rappresentazione, né all'attore di muoversi liberamente. E’ poi fondamentale introdurre sulla scena delle costruzioni tridimensionali che, per contrasto, riuscivano a ridurre o amplificare la figura dell'attore. Appare dunque evidente che Tairov condivide con Mejerchol’d moltissime idee artistiche, ma i due registi furono in realtà divisi sul piano ideologico poiché mentre Merjerchol'd volle trasformare il suo teatro in un trampolino di propaganda della rivoluzione, Tairov non fu mai un grande sostenitore di quest’ultima. Vach (k) tangov Sebbene di estrazione borghese, Vachtangov riuscì a trasporre a teatro le esigenze della Rivoluzione. Dopo essersi traferito a Mosca ed aver visto alcuni spettacoli al Teatro d’arte, abbandonati gli studi giuridici nel 1904 si dedica al teatro, spinto da una naturale vocazione. Dopo alcune esperienze di regia che lo lasciano insoddisfatto, decide di iscriversi alla scuola di Adàsev dove, insieme ad altri discepoli di Stanislavskij, insegnava anche Sulerzickij, grande amico ed estimatore di Tolstoj. Egli ebbe un ruolo fondamentale nella formazione di Vachtangov a cui trasmise una singolare visione del teatro, chiamata da lui stesso sulerismo, che considerava una sorta di panacea dei mali del mondo, una forma di solidarietà umana e fratellanza. Ovviamente Sulerzickij insegna a Vachtangov anche i area germanica si spiegano con il contesto politico ed economico di quegli anni del paese: la natura dell'espressionismo è ricca di contenuti sociali e di drammatica testimonianza della realtà, una realtà amara della guerra, di contraddizioni politiche, di perdita di valori ideali, di aspre lotte di classe, e proprio questi furono i temi principali e dolorosi degli artisti espressionisti. Secondo un pensiero analogo a quello dei simbolisti l'individuo, pervaso dall’angoscia e dall’inquietudine di un mondo decadente, si chiude in se stesso, rifugge il mondo esterno, abbandonandosi in una ricerca introspettiva e rifugiandosi nel pensiero e nel sogno. In pittura l’Espressionismo si afferma nel 1905 con il gruppo Die Brucke (Il ponte) che, sebbene come gli altri movimenti lottasse per contrastare il naturalismo, continua ad operare in ambito figurativo. Solo qualche anno più tardi, con le opere di Kandiskij e Klee, che assieme ad altri artisti costituiscono il Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), si registra il passaggio ad una seconda fase astratta. L'espressionismo incontra tardi il teatro poiché le prime esperienze in quel campo non furono del tutto soddisfacenti e furono comunque esigui. I primi esempi considerevoli di espressionismo a teatro furono di Sorge che in Zarathustra e Der bettler era riuscito a condensare molti dei canoni e principi del movimento. Ma un contributo ancora maggiore lo dette Hasenclever con Der Sohn nel quale si scaglia violentemente contro la guerra, causa prima dell’alienazione totale dell'individuo. In queste opere espressioniste sono ricorrenti l'estrema semplicità del linguaggio, reso ossessivo dalla ripetizione, ed il Wegdrama, dove il racconto è suddiviso in una serie di episodi nei quali i personaggi sono ricondotti a schemi simbolici: L'uomo, il padre, il mendicante, ecc... La recitazione è esasperata fino alla caricatura, dura, esaltata ed impulsiva, e non assurge ad una funzione di rappresentazione dei personaggi, ma serve a rivelare direttamente i loro stati d'animo, molto simile a quella della supermarionetta di Craig ed allo straniamento Brechtiano. E’ infatti possibile che Brecht, per la sua teoria dello straniamento, si sia mosso proprio dalle esperienze espressioniste. Essendo quello espressionista un teatro che si preoccupa di rappresentare la realtà individuale e soggettiva, il ruolo della scenografia è destinato proprio a fare ciò e quindi non a rappresentare il mondo oggettivo ed i luoghi della narrazione, ma simbolicamente la realtà intima dell'individuo. A tal fine, sulle orme di Appia, è voluta una rappresentazione plastica e tridimensionale, con scivoli, pedane e praticabili di varie dimensioni, favorendo lo sviluppo verticale dello spazio. Anche il colore viene utilizzato per esprimere una forte carica espressiva. La realtà si deforma, si scompone, si esaspera, ricreando un ambiente suggestivo ed onirico, inquietante e deformante, proprio come la visione soggettiva dell'attore (e quindi dell'individuo). Ne deriva una scena piena di muri spiombanti, prospettive di strade lugubri, case trapezoidali ed elementi fortemente grotteschi e drammatici. Un esempio classico di scenografia espressionista, applicata però al cinema, è il Gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene. Nel processo di deformazione della realtà ha un ruolo fondamentale la luce che, utilizzata nel teatro naturalista secondo una logica di verosimiglianza, viene applicata al teatro espressionista per accentuare l'alone di mistero ed ambiguità con contrasti fortissimi tra zone di ombra e zone di luce fortissima e violenta. La luce è utilizzata nei momenti salienti della vicenda con interventi improvvisi ed effetti crudi e taglienti, seguendo la struttura drammatica del testo. Questo sistema di utilizzo della luce era già stato anticipato da Craig, il quale aveva anticipato molti principi del movimento, così come anche Appia e Stanislavskij. Tra gli altri prestigiosi maestri della scena europea in Germania ci furono: - George Fuchs: scrisse diversi saggi tra cui il più famoso rimane Die Revolution des Theaters (1909; La rivoluzione del teatro) nel quale propugnò un teatro che si ricollegasse ad antiche tradizioni, nel senso di una comunione ritualistica tra attori e spettatori. Fuchs, che attribuiva particolare importanza all'elemento mimico nella recitazione, ideò in conformità delle sue teorie parecchi edifici teatrali che rimasero tuttavia allo stadio di progetto. Le sue idee influirono sui registi russi e in particolare su Mejerchold. - Max Reinhardt Egli realizzò spettacoli indirizzati ad un pubblico principalmente borghese ed infatti è considerato uno dei principali artefici della scena teatrale borghese. Spesso si impegnava in allestimenti mastodontici e le sue opere erano ricche di effetti spettacolari ed intuizioni. Disposto ad affrontare i testi più eterogenei, alternò complesse e sfarzose rappresentazioni (per allestire classici greci allestì una vera e propria arena), a modeste e scarne scene. - Leopold Jessner - Cesar Klein - Martin Oskar Schlemmer Schlemmer fu uno dei più importanti insegnanti all’interno del rinomato Bauhaus, all’interno del quale condusse diversi esperimenti. Uno dei principali lavori che più rappresenta il suo ingegno è Das Triadisches Ballett (Il Balletto Triadico). Attraverso quest'opera Schlemmer voleva rappresentare le forme umane nello spazio e nel movimento. La razionalità del balletto era rappresentata anche nella matematicità della sua struttura basata sul numero 3. Vi erano, infatti, 3 ballerini che interpretavano 3 atti, composti da 12 quadri, con l’ausilio di 18 costumi. I ballerini erano dei burattini costituiti da forme geometriche, quali sfere e poliedri, in cui l'elemento umano era minimalizzato. Inoltre i costumi erano realizzati con materiali come il legno, imbottiture di stoffa, metalli e cartapesta. II teatro politico Erwin Piscator Il vero merito di questi movimenti, e soprattutto del Dadaismo, sta nell'aver ispirato alcune soluzioni espressive e artistiche a registi come Erwin Piscator, con il quale la crisi dell’Espressionismo giunge a totale compiutezza. E’ questo il periodo in cui il teatro diviene un gioco più complesso che vede l'alternarsi del cinema e della narrazione epica. Dopo una giovanile adesione al Dadaismo, Piscator alterna nelle sue messinscene costruzioni plastico-tridimensionali a soluzioni pittoriche. Egli fa uso nei suoi spettacoli degli espedienti messi a disposizione dalla scenotecnica più aggiornata: proiezioni cinematografiche, diapositive, effetti con la luce, ecc... Nei suoi spettacoli vi sono poi alterarsi di elementi del varietà, di cronaca, del cinema. Il cinema, secondo Piscator, era un ottimo ausilio per la macchina scenica tradizionale, poiché era un congegno meglio rispondente alle nuove esigenze espressive. La carriera teatrale di Piscator inizia nel 1920 in un teatro da lu istesso creato: il Das tribunal. Dopo quest'esperienza fuori porta, torna Berlino dove lavora per un anno al Central Theatre dove realizza alcuni spettacoli e mette appunto le caratteristiche della sua attività, polarizzata sin da subito sulla propaganda. Dopo il primo dopoguerra e l'affermazione del Nazismo egli rappresenta sicuramente uno dei protagonisti impegnati della giovane Repubblica di Weimar. In questo periodo Piscator utilizza il teatro con finalità propagandistiche, per far maturare la coscienza politica dello spettatore. Piscator può essere considerato il pioniere del teatro proletario in Germania. Erwin Piscator, dichiaratamente filosovietico, si rifaceva ai registi russi e al teatro Agit- Prop. Scopo fondamentale di questo teatro didattico era portare al pubblico analfabeta gli ideali rivoluzionari. Spesso gli spettacoli non erano recitati da attori professionisti, ma da operai iscritti al Partito Comunista con scarsi mezzi scenografici e in luoghi solitamente non deputati all’azione teatrale come le fabbriche o anche improvvisando per le strade. Nel 1927 fondò il Piscator-Buhne. In questo luogo mise in scena spettacoli con scenografie gigantesche, caratterizzate dall’uso di sofisticati macchinari. Nello spettacolo Le Avventure del Prode Soldato Schwjk, ad esempio, proiettò spezzoni di cartoni animati appositamente disegnati dal pittore George Grosz (con cui aveva condiviso l'appartenenza al gruppo dadaista), servendosi di nastri trasportatori e scene sovrapposte. Costretto ad espatriare negli Stati Uniti a causa del nazismo, Piscator non riuscì mai a tornare in Germania e la sua attività teatrale non ritornò mai più viva come prima.
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