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Riassunto "L'inquadratura", Libro Manuale del film., Sintesi del corso di Teoria Del Cinema

Riassunto del capitolo "L'inquadratura", del libro "Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi".

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 22/11/2021

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ilza_ 🇮🇹

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Scarica Riassunto "L'inquadratura", Libro Manuale del film. e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! L’inquadratura Un film è fatto di immagini in movimento che prendono il nome di inquadratura. L'inquadratura è l'unità di base del discorso filmico e può essere definita come una rappresentazione in continuità di un certo spazio per un certo tempo. L'inquadratura è costituita dalla porzione di realtà rappresentata da un certo punto di vista e delimitata da una cornice ideale costituita dai quattro bordi dell'inquadratura stessa, temporalmente dalla durata compresa fra il suo inizio, che segue la fine dell'inquadratura precedente, e la sua fine, che precede l'inizio dell'inquadratura seguente. Tre peculiarità fondamentali dell'inquadratura: essa è una rappresentazione, ed ha una dimensione spaziale e una temporale. Spazio e tempo sono due elementi fondamentali dell'immagine filmica. La dimensione spazio-temporale dell'inquadratura ci fa subito capire come questa può diversificarsi al suo interno lungo un asse che va da immagini che mostrano qualcosa molto da vicino, abbracciando una porzione di spazio assai limitata, a immagini che, all'opposto, mostrano qualcosa assai da lontano, abbracciando una porzione di spazio molto ampia (asse spaziale). Le inquadrature patiamo differenziarsi al loro interno fa immagini che hanno una durata molto breve e altre che possono, invece, protrarsi molto a lungo (asse temporale). Spesso il termine inquadratura viene sostituito con quello di piano. Quando parliamo di inquadratura, intendiamo un delimitare - la messa in quadro - che pone il problema del rapporto fra ciò che di un insieme è mostrato a ciò che invece non lo è, in quanto al di fuori dei bordi dell'immagine. Quando parliamo di piano, ci riferiamo invece alla porzione di spazio rappresentata e alla modalità della sua organizzazione e composizione che, sono determinate anche dalla cornice che racchiude tale spazio e dagli elementi che lo articolano. Un 'altra caratteristica dell'immagine filmica è la sua bidimensionalità. Eppure ogni spettatore sa che dinnanzi a un film egli reagisce come se fosse uno spazio tridimensionale.Questo effetto nasce dal ricorso a diverse tecniche: angolazione, profondità di campo, movimento. Ogni inquadratura è sempre il risultato di scelte relative a due livelli: - profilmico — tutto quello che sta davanti alla MDP, che è li appositamente per essere filmato e fa concretamente parte della storia narrante.ll profilmico è connesso alla messa in scena.Parlare di messa in scena significa parlare di quei codici che il cinema ha in comune con il teatro (scenografia, personaggi, luci e colori, recitazione e costumi).Un regista struttura dei materiali in funzione della ripresa, costruisce il suo profilmico sulla base di determinate finalità. - filmico — | modi in cui vengono rappresentati gli elementi profilmici.Qui sono messi in gioco codici più propriamente cinematografici come, l'angolazione e la distanza, la dialettica di campo e fuori campo, quella di piani oggettivi e soggettivi, l'uso dei movimenti ecc. Ogni inquadratura ci mostra qualcosa e ce lo mostra in un determinato modo.La ripresa non è una semplice operazione di registrazione tecnica.Il modo in cui si inquadra qualcosa, è determinato da un progetto e da una soggettività, da un modo di vedere. La parola piano non ha infatti lo stesso significato quando noi, parliamo di piano fisso, di primo piano o di piano sequenza.Il primo riguarda l'assenza di ogni movimento filmico, nel secondo la distanza fra la Mdp e il soggetto ripreso, nel terzo un criterio di ordine narrativo e di implicito rifiuto del montaggio. Il passaggio dall'epoca del cinema classico a quello della modernità ha ulteriormente minato la nozione di piano.Nel cinema classico il film era diviso in scene e sequenze, ognuna delle quali composta da più inquadrature facilmente identificabili e riconoscibili. Il cinema moderno ha fondato parte della sua estetica sull'uso del piano sequenza, che può dare vita, attraverso i movimenti di macchina e degli attori, a una serie di immagini, a diversi quadri profondamente differenti fra loro. Il formato dell'inquadratura: l'aspect-ratio Il formato di un'inquadratura è definito sulla base del rapporto fra la sua altezza e la sua larghezza.Il rapporto fra queste due dimensioni designa il formato dell'inquadratura, comunemente definito aspect-ratio. - Formato standard (academic ratio) — 1: 1,33. Utilizzato fin dai tempi dei fratelli Lumière a buona parte degli anni cinquanta e sessanta. - Cinemascope — 1: 2,35; 1: 2,55. della 20th Century Fa, si affidava all'uso di lenti anamorfiche, che comprimevano le immagini in fase di ripresa e le riespandeva in fase di proiezione. (l'aspect-ratio variava a seconda che la pista sonora fosse o meno presente). Ci fu la fine del vecchio formato standard (1: 1,33) con il nuovo formato standard 1: 1,85 oggi il tipo più in uso, da cui si ottiene una visione a schermo intero sulle tv a 16: 9. 2.1 Il profilmico e la messa in scena 2.1.1 L'ambiente e la figura Lo spazio ambientale di un 'inquadratura, può essere naturale, fondato sull'utilizzo di uno spazio già esistente, parzialmente modificato o interamente ricostruito. Solo nella seconda e terza delle possibilità è corretto parlare di scenografia. La scenografia è la modificazione o la creazione di un ambiente in funzione dellaripresa cinematografica e della realizzazione di un film.La scenografia è un elemento di origine teatrale, ma vi è una differenza con quella cinematografica.Ogni inquadratura di un film, rappresenta un aspetto particolare della scenografia nella sua complessità, che si potrebbe chiamare scenografia madre. La possibilità di ricorrere a piani fortemente ravvicinati permette al cinema di evidenziare determinati arredi scenografici, che invadono tutto lo schermo. ben delineati.Drammatizza lo spazio, cattura l'attenzione dello spettatore, conferisce particolare rilievo narrativo all'evento.A determinare certe immagini contrastate in primo piano c'è la luce dinamica, un'illuminazione creata attraverso delle fonti di luci in movimento che determinano una rappresentazione dello spazio caratterizzata da un continuo processo di reversibilità tra le zone di luce e quelle in ombra. - illuminazione diffusa — dà vita a una rappresentazione più omogenea dello spazio. Maggior frequenza in situazioni narrative meno forti, più distese o dal carattere pacifico. La direzione, invece, pone il problema del rapporto spaziale, del percorso che la luce compie fra la sua fonte e il suo oggetto: - luce frontale + tende a eliminare le ombre e appiattisce l'immagine. - luce laterale — tende a scolpire i tratti del volto e ad accentuarne il gioco di ombre e luci. - controluce + stacca la figura dallo sfondo e ne evidenzia i contorni - luce dal basso + distorce i tratti del volto creando forti effetti drammatici - luce dall'alto — suggerisce la presenza di una luce diegetico posta al di sopra del personaggio Lo spazio profilmico raramente è illuminato da una sola sorgente di luce: - Key light — è la fonte di luce primaria, che determina l'illuminazione dominante e struttura le ombre principali - fill light — serve a riempire l'immagine, e a attenuare a eliminare le ombre create dalla Key light. - back light — controluce, stacca il soggetto dallo sfondo. La Key light viene posta frontalmente, la fill light lateralmente e la back light alle spalle del personaggio e leggermente più in alto. la Key light mette in evidenza il personaggio, la fill light lo scolpisce, e la back light lo stacca dallo sfondo. AI cinema classico assegna alla potenza espressiva della luce un ruolo di primo piano nei suoi processi di significazione e coinvolgimento emotivo dello spettatore.Secondo D'Allons ci sono tre imperativi su cui si costruisce la fotografia classica: - simbolizzazione — la luce si metaforizza, impone allo spettatore un solo senso "massiccio", al quale non può sfuggire. - gerarchizzazione — pone come suo elemento d'elezione primaria l'attore e che determina all'interno di ogni inquadratura ciò che è più importante e ciò che lo è meno. - imperativo della leggibilità — la luce deve servire a rendere ogni immagine chiara e riconoscibile. E solo negli anni Cinquanta e Sessanta che il colore si afferma in modo decisivo sul bianco e nero, sebbene la sua effettiva introduzione risalga già alla metà degli anni Trenta, per non parlare dei numerosi tentativi di colorazione della pellicola alle origini del cinema. L'avvento del colore fu pensato inizialmente come un accrescimento delle potenzialità realistiche del cinema.Tuttavia, anche a causa del tipo di pellicola vergine usato, i vini di colori degli anni Cinquanta avevano poco a che vedere con quelli della realtà. Più che dare un effetto di realismo, il colore si caratterizzò inizialmente per la sua natura decorativa e spettacolare. In privilegiato dai generi: musical o western. Con il perfezionamento delle sue qualità tecniche, negli anni Sessanta, il colore inizia ad affermarsi anche nell'ambito del cinema d'autore. In "Deserto rosso" (1964), Antonioni, usa i colori per esprimere l'interiorità dei suoi personaggi. Si possono così distinguere diverse tendenze nell'uso del colore: - realistica contrapposta a quella immaginaria - decorativa-estetizzante - espressivo-psicologica Il colore gioca, insieme alla luce e in stretta connessione con essa, un ruolo di primo piano nella composizione dell'immagine, nella sua articolazione significante. E noto che i colori chiari attirino lo sguardo più di quelli scuri, come i toni caldi ci attraggano maggiormente di quelli freddi. Non bisogna pensare all'uso espressivo del colore al cinema in un rapporto troppo stretto con la semantica dei colori, ovvero col loro significato simbolico. AI cinema la funzione significante del colore, più che su relazioni definite una volta per tutte, poggia su un processo di costruzione proprio a ogni specifico film.Si costruiscono delle associazioni arbitrarie fra un colore e un determinato personaggio o motivo, in modo che le apparizioni successive di quel colore inviino all'elemento a cui in precedenza era stato associato. Macchine da presa, videocamere digitali, obiettivi e formati della pellicola Il compito essenziale delle tradizionali macchine da presa è quello di far scorrere la pellicola al proprio interno, da una bolina debitrice a una ricevitrice, in modo che durante il suo percorso essa venga a trovarsi davanti un otturatore, che consente di volta in volta l'impressione dei singoli fotogrammi (velocità standard 24 fps). Componente fondamentale della macchina da presa è la lente dell'obiettivo.Le lenti si differenziano soprattutto per la loro lunghezza focale (ovvero la distanza tra il centro ottico della lente e il piano della pellicola). Ci sono tre tipologie di lenti fondamentali: - lente" normale" — è fra i 3s e so mm, viene considerata normale in quanto il campo di vista ripreso è simile a quello dell'occhio umano. - grandangolo + lunghezza focale ridotta, dai 35 mm in giù. Consente di rappresentare ampie porzioni di spazio. Accentuano la distanza fra ciò che è sull'avampiano e ciò che è sullo sfondo. Risaltano la profondità dell'immagine e provocano una distorsione delle linee rette (es. film Quarto potere). - teleobiettivo — lunghezza focale maggiore, da 75mm fino ai 250mm. Consentono di vedere come fosse vicino qualcosa che invece è lontano dalla MDP. Accentuano la piattezza e bidimensionalità del piano, schiacciano fra loro i diversi elementi dell'immagine, azzerano le distanze, danno vita a inquadrature sgranate. Il formato standard del cinema professionale è il 35mm.La Pathé introdusse il 9,5mm per uso professionale. La Kodak introdusse poi il 16mm.La Kodak poi sostituì il 9,5mm nell' 8mm. L '8mm si diffuse per l'uso amatoriale, mentre il 16mm nella realizzazione dei documentari, film didattici, scientifici e poi nelle fiction indipendenti.Poi c'è il 7Omm, che consentiva una miglia definizione e nitidezza dell'immagine, si diffuse con l'uso degli schermi panoramici, però il costo era troppo alto. L'avvento e il diffondersi delle videocamere digitali e il loro ingresso nel cinema professionale, ha determinato un progressivo calo dell'uso delle MDP tradizionali e della pellicola. Le videocamere digitali convertono il segnale analogico proveniente dall'obiettivo, lo catturano su chip elettronici e lo immagazzinano infine sull'hard-disk di un computer. Le immagini che ne risultano potranno poi essere digitalmente riprese e rielaborate. Direttore della fotografia Il direttore della fotografia è colui che pratica la" scrittura con la luce".Il suo compito è quello di garantire coerenza figurativa dell'immagine, componendo l'inquadratura in linea con le esigenze narrative e stilistiche del film, attraverso la disposizione delle fonti naturali e artificiali di luce sul set, il controllo dei movimenti della macchina da presa, le scelte dell'angolo di ripresa, la selezione dei negativi e degli obiettivi, il piano di messa a fuoco, l'apertura del diaframma per l'esposizione voluta, la distanza e la profondità di campo, fino, eventualmente, al processo di sviluppo e stampa. E il secondo ruolo più importante, e collabora insieme al regista, allo scenografo e al direttore di produzione.Partecipa ai sopralluoghi per la scelta delle locations. Viene consultato dal costumista, scenografo e sceneggiatore. 2.1.4 Il discorso dell'attore, la costruzione del personaggio L'attore, il cui compito è quello di garantire la rappresentazione cinematografica dell'umano. La recitazione al cinema discende da quella teatrale, ma se ne distanzia per alcuni aspetti. L'attore cinematografico non recita davanti a un pubblico, ma a una cima o videocamera.Lo spettatore cinematografico non ha davanti a sé il corpo vivente dell'attore ma una sua immagine.Nella recitazione cinematografica manca dunque il rapporto diretto dell'attore col suo pubblico. La performance cinematografica, si ripete uguale a se stessa a ogni proiezione. Non cambia di volta in volta come al teatro. Il lavoro dell'attore cinematografico è sottoposto a un più massiccio intervento di codici che ne determinano la sua resa espressiva.Deve fare i conti con un discorso filmico, quali: movimenti di macchina, la scala dei piani e il montaggio. La recitazione cinematografica è molto più vincolata alle scelte di regia. Il montaggio determina un'evidente frammentazione della recitazione cinematografica non solo per lo spettatore, ma anche per l'attore, costretto a recitare in modo discontinuo, inquadratura per inquadratura, ripresa per ripresa. - ilmezzo primo piano — dal petto in su. - primo piano — dalle spalle in su. - primissimo piano — solo il volto umano - particolare + riferito a una parte del volto o del corpo umano. - dettaglio — riguarda il piano ravvicinato di un determinato oggetto. Aggiungiamo pure il campo totale, è una figura abbastanza vicino a un campo medio o lungo, il suo elemento fondante è quello di rappresentare per intero, o quasi, un ambiente e in particolare di mettere in campo tutti i personaggi che prendono parte alla scena rappresentata. Il dettaglio e il particolare nel cinema contemporaneo Il cinema contemporaneo, e in particolare quello postmoderno, accenti la dimensione virtuosistica del linguaggio cinematografico, proponga un cinema delle attrazioni, come successione di "immagini-fuochi d'artificio". L'intento è quello di colpire lo spettatore, di catturarlo. Di qui il diffondersi anche di immagini ravvicinatissime, che punta a trasformare in spettacolo anche un piccolo fatto quotidiano. Ne consegue un uso ipertrofico che non mira tanto a dare allo spettatore una certa informazione, o a evidenziare un elemento drammatico, quanto a coinvolgerlo fisicamente attraverso immagini giocate su una prossimità fisica di tipo eccezionale. Talvolta, queste processioni di dettagli possono avere anche una funzione drammatica e contribuire a definire il senso di una scena o, addirittura, di un intero film. 2. 2.2 Angolazioni e dintorni Il punto di ripresa, o della MDP, non riguarda solo la distanza in rapporto ai soggetti inquadrati, ma anche le angolazione, l'inclinazione e l'altezza della stessa MDP. La scelta dell'angolo di ripresa determina un modo sempre diverso di rappresentare lo spazio allo spettatore. È possibile ipotizzare una serie infinita di riprese di uno stesso soggetto che, riguardano appunto l'altera, l'angolazione e l'inclinazione della MDP. Ogni mutazione del punto di vista rispetto al piano di base è già esplicito segno del lavoro di un'istanza che mira a conferire una particolare dimensione al soggetto rappresentato. Tali scelte possono anche diventare emblematiche dello stile di un autore o di certi momenti della storia di un genere. | film noir degli anni Quaranta e Cinquanta, tendono a ricorrere a riprese oblique in occasione di situazioni narrative particolarmente drammatiche. Quando si parla di angolazione si finisce sempre col mettere a confronto le inquadrature angolati dal basso con quelle che lo sono dall'alto. Le prime tendono a conferire un carattere di potenza, superiorità, esaltazione, minacciosità. Le seconde tendono ad enunciare una dimensione di debolezza, soggezione, costrizione. Il senso di un'inquadratura non si dà mai in sé e per sé, ma sempre in rapporto al senso generale dell'opera che la comprende.Non tutte le inquadrature dal basso significano potenza, cosi come quelle dall'alto non devono per forza implicare una dimensione di debolezza. Visioni impossibili La storia del cinema è piena di inquadrature riprese da un punto di vista anomalo ed eccezionale, con angolazioni e inclinazioni molto accentuata. Questo tipo di inquadrature si chiamano oggettive irreali: l'immagine mostra una porzione di realtà in modo anomalo o apparentemente ingiustificato, segno di un'intenzionalità comunicativa che va esplicitamente oltre la semplice raffigurazione.Cosa che accade quando la MDP si colloca in una posizione ardita. Il cinema contemporaneo, presenta un uso molto più diffuso di immagini riprese da punti di vista eccezionali.Insieme alle angolazioni, propone anche con certa frequenza visioni impossibili, o perlomeno audaci. Questa molteplicità di punti di vista del cinema postmoderno è testimone di una dinamica di “ipervisibilità" e di un regime di "omnivedenza", che danno vita a una successione di sguardi audaci proposti da un "occhio unico e ubiquitario, a seconda dei casi incarnato, reificato o dematerializzato". 2. 2.3 La cornice e i due spazi In quanto racchiusa in una cornice immaginaria, l'inquadratura è definibile sulla base di un doppio criterio spaziale: lo spazio in campo e quello fuori campo.L'inquadratura può suddividersi in diversi quadri o immagini.Si puo definire: -. Incampo — ciò che ci viene mostrato. -. fuori campo — tutto ciò che non ci viene mostrato, ma che fa parte dell'ambiente di cui quell'inquadratura non è che un prelievo. Il fuori campo è dunque composto da quella serie di elementi profilmici non inclusi nel campo, ma che con questo hanno una relazione spaziale di contiguità. Campo e fuori campo sono spesso in un rapporto di reversibilità: è infatti sufficiente un movimento di macchina o un effetto di montaggio per esplicitare il fuori campo, o per relegare nel fuori campo ciò che prima era in campo.Compito della narrazione filmica è anche quello di mettere in comunicazione e di rendere reversibili questi due spazi. Burch indica come lo spazio fuori campo sia suddivisibile in sei diverse aree: quattro che stanno ai lati dell'inquadratura (Dx, sx, alto e basso), una che è oltre la scenografia e un'ultima che sta dietro la MDP.Diversi sono i modi con i quali è possibile creare all'interno di un'inquadratura una sorta di dialogo col fuori campo, di rendere cioè lo spettatore consapevole dell'esistenza di quest'altro spazio. Il primo di essi è quello dell'entrate e uscite di campo. Possono avvenire da/verso ognuna delle sei aree che rappresentano lo spazio fuori campo, sebbene quelle più comuni siano le aree poste ai lati dell'inquadratura e quella oltre la scenografia. Un' altro modo per esplicitare il fuori campo è quello che passa attraverso lo sguardo del personaggio, ma anche tramite i suoi gesti e le sue parole, in senso generale le sue interpellazioni. Per esempio una conversazione tra due personaggi. Nasce così una dialettica tra il poter vedere e il sapere del personaggio e il non poter vedere e il non sapere dello spettatore. Unaltro modo è il suono-off, ovvero alla presenza di una componente sonora diegetico di cui però l'inquadratura non mostra la fonte Un ultimo e più elementare modo è quello costituito dall'uso di inquadrature che tagliano il capo di un personaggio, tenendone solo una parte.Qui bisogna distinguere fra inquadrature che tengono in campo parti del corpo 'che ci consentono di riconoscere il personaggio, da altre che invece le nascondono. Il fuori campo va distinto in: -. fuori campo attivo — è quello proprio alle inquadrature a struttura centrifuga, che tendono verso l'esterno, rimandano a qualcosa sito oltre i bordi dell'immagine, e costringono lo spettatore a. interrogarsi su di esso. - fuori campo passiva — quello delle inquadrature a struttura centripeta, dare tutto converge verso il proprio interno, e niente rinvia a ciò che sta oltre i bordi dell'immogi . -. fuori campo esterno — ciò di cui sin qui ci siamo a conati. -. fuori campo interno — quel fuori campo che è sotto un certo aspetto in campo, perché interno all'inquadratura, ma celato allo sguardo dello spettatore da un elemento profilmico che, per un certo tempo, lo nasconde. Un'altra distinzione proposta da Burch è quella tra: - fuori campo concreto — è quello spazio che è escluso dal piano di ripresa, ma che noi abbiamo avuto modo di vedere in precedenza. - fuori campo immaginario — è quel fuori campo a cui allude una determinata inquadratura ma che non abbiamo potuto ved e che, al limite, non vedremo mai. Esiste il fuori campo della sequenza, attraverso il passaggio da un'inquadratura a un'altra, lo spazio in campo e quello fuori campo si scambiano continuamente di ruolo. Bonitzer propone l'idea di un fuori campo anti-classico, potrebbe definirsi come lo spazio della produzione occupato dalla troupe e dalle macchine necessarie alla lavorazione di un film, suggerito attraverso gli sguardi in macchina. 2. 2.4 Soggettiva e sguardo Esse esprimono un punto di vista ben determinato che non è solo quello dell'istanza narrante, bensì quello di un personaggio.In una soggettiva noi vediamo quello che vede un determinato personaggio. La struttura base del sistema su cui si costruisce una soggettiva secondo Branigan: 1) in una prima inquadratura è rappresentato un punte 2) il punto è nello spazio dove si trova un personaggio che guarda. 3) poi vi è una transizione, di solito attraverso uno stacco, a una seconda inquadratura in un rapporto di simultaneità o continuità temporale con la precedente Un'importante modalità dei movimenti di macchina subordinati è quella della correzione di campo o re-inquadratura, si tratta di veri movimenti della MDP, rapportati a quelli di un personaggio che si sposta all'interno di uno spazio limitato.Il loro compito è quello di mantenere l'equilibro e la centralina del piano nonostante gli spostamenti profilmici. I movimenti di macchina implicano sia una dimensione relativa allo spazio (che si possono suddividere sulla base della loro estensione), sia una relativa al tempo (che si possono suddividere sulla base della loro durata e la velocità del movimento). I movimenti di macchina possono essere distinti fra: - continui — propri di quelle inquadrature che si danno in forma dall'inizio alla fine - interrotti — quei piani in cui un movimento può di tanto in tanto interrompersi e poi riprendere. Le principali funzioni espressive dei movimenti di macchina: -. funzione descrittiva — ha il compito di dare ad un determinato ambiente una sorta di descrizione. - funzione connettiva — stabilisce un legame filmico tra due elementi profilmici. -. funzione cognitiva — riguarda il regime di focalizzazione di un film, potendo rivelare allo spettatore l'esistenza di qualcosa di rilevante di cui questi era precedentemente ignaro. -. funzione selettiva — implica l'evidenziazione di un qualcosa a partire dal contesto in cui esso era inizialmente inserito. -. funzione estensiva — inserisce un elemento particolare in un contesto che può conferirgli un determinato senso. -. funzione tensiva — un movimento percorre con una certa lentezza uno spazio, creando nello spettatore una situazione d'attesa per ciò che finalmente sarà rivelato alla fine di quello stesso movimento. - funzione affettiva — concerne il sentimento di desiderio e brama di questo stesso personaggio verso ciò cui il movimento, generato dal suo sguardo, si avvicina. - funzione estetica — contribuisce alla valorizzazione artistica. - funzione semantica — contribuisce alla definizione del senso della situazione rappresentata. Ebbrezza, vertigine e iperspettacolo:i movimenti di macchina nel cinema contemporaneo Il cinema contemporaneo, postmoderno e digitale ha indubbiamente dato un notevole impulso all'uso dei movimenti della macchina da presa e della dinamicità delle inquadrature.Spesso sono di carattere vertiginoso e iperspettacolare. 2. 2. 6 inquadrature multiple e "finestre": verso il montaggio La frammentazione dello schermo in due o più immagini, viene denominata col termine split-screen. Non si ricorre a una successione alternata di immagini, ma le si mostra insieme in un unico piano diviso in due o più parti. Ciò invita lo spettatore a farsi da sé una sorta di montaggio personale, con la libertà di concentrarsi, di volta in volta, su uno degli elementi in gioco. Nel cinema contemporaneo si sta diffondendo una particolare forma di inquadratura multipla, che però non è un vero e proprio split-screen. Mostra diversi monitor in azione presenti all'interno di uno stesso piano.
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