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l'Italia dei consumi - Emanuela Scarpellini, Sintesi del corso di Sociologia dei Consumi

Dire che la nostra società è definita e plasmata dai consumi non è un'affermazione sorprendente. Lo diventa quando si sostiene che le pratiche del consumo hanno influenzato la struttura sociale e politica del nostro paese sin dalle sue origini unitarie, ben prima che si cominciasse a parlare dell

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

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Scarica l'Italia dei consumi - Emanuela Scarpellini e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia dei Consumi solo su Docsity! Emanuela Scarpellini – L'Italia dei consumi. Dalla Belle Epoque al  nuovo millennio. Capitolo 1­ L'ITALIA LIBERALE Le imprese industriali sono una condizione generale dell'industria  del nostro tempo. Sono nate fuori  dall'Italia e ci sono venute  addosso minacciando d'ingoiare tutte le nostre industrie nazionali. I primi venditori che si sono affermati sin dal 1865 sono i fratelli  Bocconi, che con il loro emporio a Milano (Alle città d'Italia) si  sono fatti conoscere ovunque. Il periodo 1870­1913 è stato definito quello della “grande  trasformazione” riferendosi agli effetti della rivoluzione  industriale. È una trasformazione si, ma lenta. Il reddito non è molto alto e le scelte di consumo sono ridotte,  perchè vengono spese per le spese basilari per la sopravvivenza. Il XIX secolo vede la fine del regime demografico d'Ancien Régime,  caratterizzato da alti tassi di natalità e di mortalità, e l'inizio  di un nuovo equilibrio, tipico dei paesi avanzati odierni, con bassi  tassi di natalità e lunga aspettativa di vita. Le ragioni sono varie:  non solo si legano alla rivoluzione industriale o ai progressi in  agricoltura, ma anche a fattori socioculturali e all'avanzamento  delle conoscenze tecniche e scientifiche. La pressione demografica  rompe i legami abituali e spinge a un esodo verso i nuovi centri  industriali o all'emigrazione. Quindi si abbandonano i tradizionali  modelli di consumo e si favoriscono nuove pratiche. In sintesi, un percorso più individualizzato e autonomo, una libertà  maggiore e uno spazio mai visto prima per le scelte di consumo. Cosa si consumava? L'alimentazione era il 60% della spesa nel periodo  giolittiano, ed era in lieve ascesa, seguivano le spese per  abitazione ed energia, per il vestiario, trasporti. Ovviamente la  forte spesa per il vitto non comportava una ricca e variegata dieta. 123kg di frumento, 11 risone, 25 patate, 16 legumi, 16kg di carne e 4  di pesce fresco. Scarsi condimenti e grassi, ma grande quantità di  vino (100L l'anno). I CONTADINI erano il 62% della popolazione attiva nel 1911, le loro  condizioni erano molto dure. Le entrate scarse erano destinate all'alimentazione, alla casa e al  vestiario. La loro alimentazione si basava su: polenta di granoturco,  legumi, patate e castagne. Niente carne se non in particolari feste o  in malattia. C'è da dire che le condizioni erano molto variabili da una zona  all'altra e dipendevano dalla disponibilità di prodotti locali, dai  contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. Il fatto che potessero avere una varietà molto limitata di cibo non  significava che questi avessero meno significato simbolico; il tempo  della festa è scandito da una quantità e qualità di alimenti (dolci)  diversi da quelli del tempo del lavoro, allo stesso modo cibi diversi  distinguono le fasi di normalità nel ciclo di vita da quelle di  eccezionalità (tipo la malattia, cerimonie religiose..). Le varie tipologie di cibo assumono molti significati: un valore  positivo è collegato a tutto ciò che è “grasso”, che rappresenta un  privilegio negato ai contadini, e di qui passa alla grassezza come  allegoria di una vita felice; oppure a tutto ciò che cresce o vive in  “alto”, come gli uccelli o i frutti degli alberi, di contro a tutto  ciò che è “basso” come i tuberi o i maiali che si rotolano nel fango. Anche la religione ha il suo peso: le norme alimentari legate al  calendario liturgico impongono una separazione tra il mangiare di  “grasso” e il mangiare di “magro” che bandisce la carne a favore di  ortaggi e pesce. Le modalità di consumo del cibo non erano meno significative: si  trattava di un atto collettivo, magari introdotto dalla preghiera,  che confermava le differenziazioni sociali e di genere, come era  testimoniato dall'ordine seguito nel distribuire le portate, dalla  selezione delle porzioni migliori e dalla disposizione gerarchica dei  posti a tavola. Mangiare e bere costituivano un'importante pratica culturale, che  accompagnava molti momenti di socializzazione: le visite al mercato o  alle fiere, le feste del villaggio ecc. Es. Carnevale, la festa della trasgressione per eccellenza, avviene  una totale inversione: la privazione si trasforma in abbondanza, la  penuria in spreco, e anche il mondo contadino si lascia andare al  bere e al mangiare. È un momento veloce, perchè poi arriva la  Quaresima (momento di digiuno) a rimettere a posto le cose. Per quanto riguarda le abitazioni contadine molte si concentravano in  una unica “corte” o casale, dove vivevano più famiglie. La cucina, l'ambiente centrale della casa e l'unica stanza  riscaldata, contiene oggetti di uso quotidiano: pentole di coccio,  paioli in rame, tegami di latta per cucinare, un corredo semplice di  posate e in genere la cucina è usata per svolgere vari lavori: le  donne tessono, preparano il cibo, accudiscono i bambini ecc. in poche  parole è uno spazio di produzione e consumo insieme. Gli OPERAI vivono un'altra realtà, ma non si può dire sia del tutto  migliore rispetto a quella dei contadini. Il loro reddito derivava  esclusivamente dal salario, era quindi monetizzato, e l'autoconsumo  era molto più basso. Nei consumi: al Nord si consuma poca carne, poco pesce (merluzzo  salato), latte in abbondanza e derivati di bassa qualità e, alimento  principe, il mais; al Sud la carne è scarsa, salvo i visceri usati  per soffritti e ciccioli, così come il pesce, consumato  prevalentemente salato, latte e uova sono evitati perchè costosi,  mentre c'è una discreta varietà di verdure e cereali. Esiste quindi una specifica cultura operaia del consumo, anche se gli  standard di vita in molti casi sono simili a quelli dei contadini,  quello che cambia è il modo di comportarsi: nelle città più  industrializzate la natalità è inferiore anche del 30% alla media  nazionale, i matrimoni sono meno frequenti e contratti in età più  tarda e la natalità illegittima è molto elevata. In secondo luogo  essere operai significa condurre una vita di continui spostamenti sul  lavoro, dovuti alla notevole instabilità occupazionale che coinvolge  gran parte dei lavoratori. In terzo luogo c'è più contatto con le  altre classi e gruppi sociali. C'è da dire che l'età influiva notevolmente sul lavoro, spesso gli  operai venivano dai campi e lavoravano in fabbrica fino ai 40­45  anni, poi venivano licenziati e cercavano lavoro nel facchinaggio,  nelle portinerie e per le donne nei servizi domestici. italiana sembra attribuire un peso maggiore a questo aspetto, e  quindi al suo modo di apparire sulla scena sociale.  Notiamo anche che gli strati più bassi della borghesia si  differenziano dall’aristocrazia operaia anche per l’utilizzo delle  magliette a maniche più corte rispetto alle pregiate camice a maniche  lunghe (simbolo di grossi sacrifici).  L’abitazione borghese in età liberale, due studiosi hanno studiato  l’argomento: 1) Simon Schama, studioso della cultura seicentesca olandese rileva  una dicotomia tra ricerca e godimento della ricchezza da un lato e  vergogna per il suo possesso e consumo dall’altro (non avrebbero  perduto così le loro anime?) ossessione per la pulizia e quindi  cercare rifugio dalla sporcizia del mondo. Qui la casa ha un valore  simbolico molto forte: sicurezza contro il mondo esterno, contro  libertà. Quindi il lavoro di Schama sviluppa un nuovo concetto di  domesticità, di spazio provato, visto come un valore centrale intorno  a cui costruire un’identità distinta sia dagli aristocratici sia  dalle classi inferiori.  2) Bordieu: si occupò di abitazioni in Algeria. Gli spazi abitativi  erano una trama che lascia trasparire la visione sociale sottostante,  una riproduzione nella struttura spaziale delle divisioni sociali, di  genere e di età presenti. Le dicotomie luce/ombra, interno/esterno,  alto/basso, rimandano ad altrettante divisioni presenti nel nucleo  sociale della famiglia.  QUINDI: le due analisi rilevano che le abitazioni sono luoghi molto  più centrali nella vita quotidiana, sono differenti per la loro  ampiezza, ricchezza ma anche per la specializzazione degli spazi e la  loro divisione e gerarchizzazione, che incarnano la struttura sociale  e culturale della famiglia.  Sono abitazioni spesso più funzionali, moderne nel senso che sono le  prime ad accogliere mobili e arredi industriali di serie.  La prima opposizione che notiamo è tra interno ed esterno: porte  chiuse, finestre, tende.. proteggono e separano l’ambiente interno  della casa da quello esterno, di modo tale da evitare eventuali  contaminazioni con il mondo esteriore.  Seconda opposizione è la separazione fra pubblico e privato: ci sono  spazi pensati per la vita in società, dove ricevere gli ospiti, e  spazi riservati a questa nuova intimità domestica fra coniugi e  figli. L’anticamera introduce gli estranei in casa, mostrando subito  con i suoi arredi il gusto e il livello sociale dei padroni di casa;  i corridoi separano le stanze pubbliche (salotto) da quelle private  (camere). Gli arredi migliori sono concentrati nel salotto (gli  oggetti non lasciano mai spazi vuoti), mentre le stanze private sono  misere e mal tenute.  La terza opposizione è quella maschile/femminile: lo studio del  padrone di casa è uno spazio maschile: tutti gli oggetti presenti  (taccuino, carte, sedie, calamai ecc) ci rimandano ad una attività  intellettuale e a un’attitudine di serietà e vigore. Anche le camere  da letto dei figli sono distinte tra maschi e femmine, generalmente  hanno pochi mobili anche se nelle camere dei maschi ci sono più  arredi e ancora più elevati se primogenito.  Un discorso a parte sui figli è dettato dal fatto che in questo  periodo non si ha molto in mente l’idea dell’infanzia, nella cultura  contadina ed operaia i bimbi dovevano lavorare fin da subito, ma  nella borghesia si mira all’educazione del bambino per far crescere  alcuni valori  come la creatività, la purezza e la vulnerabilità  (Maria Montessori esalta le capacità positive dei più piccoli).  Questo posta a una nuova valorizzazione dell’infanzia: i bambini  sono portatori di valori propri e pertanto necessitano di spazi  specifici. Quindi vanno ripensati anche i consumi: costi per  l’educazione, svaghi, giochi, abiti da gioco ecc. Nasce in questo  periodo una vera e propria industria di prodotti rivolti ai bambini e  nasce il consumismo per l’infanzia che porterà in pochi decenni a una  vera e propria corsa agli acquisti.  Ultima cosa da dire sui borghesi è come impiegarono il loro tempo  libero: i consumi culturali spesso trovavano spazio nei cafè e nei  gabinetti letterari (Habermas: spazio pubblico borghese nei cafè)  oppure trovano divertimento nel ballo (valzer e galop), nel mangiare  fuori al ristorante (magari in qualche albergo) o nel teatro. Altra  grande novità sono le associazione sportive, nate in Italia a fine  Ottocento e in questa attività si trovano diversi elementi: la  tradizione militare, lo spirito patriottico, la ricerca di status  sociale, ma non c’è dubbio che i fenomeni di massa come il ciclismo e  le gare automobilistiche rispecchino i valori della nascente società  di massa: competizione e divertimento; era nato lo sport­spettacolo.  GLI ARISTOCRATICI. Il potere ha bisogno di mostrarsi. Se è vero che si basa su forza e  consenso, esso ha bisogno di rappresentarsi così si può consentire la  sua legittimazione da parte del corpo sociale. Per le classi  aristocratiche il consumo sembra giocare un ruolo centrale nel  processo di legittimazione della loro posizione. Non si tratta  necessariamente di un consumo sfarzoso: in società dove il risparmio  e la parsimonia sono virtù apprezzate, uno stile di vita molto parco  e severo da parte di mercanti e imprenditori notoriamente ricchi può  svolgere per contrasto la stessa funzione ostentativa.  Il lusso è sottratto dal giudizio morale (prima era visto come “male”  ora riguarda principalmente i comportamenti e scelte private) e può  rientrare nella sfera economica pubblica come elemento positivo. Ma  resta comunque il fatto che il lusso è legato all’idea di sperpero e  di ozio.  I nobili in Italia all’inizio del Novecento erano all’incirca 8400  famiglie e il numero tendeva a diminuire, le loro ricchezze erano  legate a proprietà fondiarie e immobiliari ma anch’esse, con  l’avanzare del tempo non erano poi così frequenti.  Vediamo il loro stile di vita: ­ Abitazioni: tendono ad ospitare famiglie allargate (famiglia,  parenti, fratelli, sorelle ecc) e molti servi. Nelle campagne i  palazzi avevano anche magazzini agricoli, stalle e persino  botteghe. L’architettura dell’edificio trasmetteva chiari  significati: la sua mole rimandava alla ricchezza della  famiglia, gli stemmi araldici ben visibili ne ricordavano la  continuità, torrette e imponenti facciate ne indicavano il  potere. All’interno molte stanze divise secondo giorno/notte,  pubblico/privato. La socialità domestica continua ad essere una  prerogativa di queste famiglie, che utilizzano buona parte dello  spazio domestico per ricevere e divertirsi in compagnia (sale,  saloni, stanze da gioco e da ballo). Arredamento molto ricco:  mobili di rappresentanza, quadri, tappeti, specchi, divani ecc  tutti molto preziosi.  La casa signorile non ha uno scopo di praticità, e neppure di  funzionalità: il piano nobile al primo livello, ogni camera un  colore (dalle tappezzerie alle pareti), gli oggetti non sono  disposti casualmente ma, dietro ai consigli di diffusi manuali,  seguono uno stile unitario.  Nelle dimore nobiliari c’erano numerosi bagni con numerosi  comfort. Igiene e pulizia divengono sinonimi di ordine e  disciplina e sono associate alle classi superiori, in  contrapposizione alla sporcizia materiale e morale dei ceti  subalterni.  La cucina doveva essere grande, in quanto doveva soddisfare le  necessità di molti individui, e ricca di utensili, pentole e  arredi.  ­ Cibo: la domanda non è tanto cosa mangiavano i nobili ma come  mangiavano. ELIAS ci fa notare che è in questo contesto che si  diffondono le buone maniere a tavola e nella vita quotidiana  all’interno di un più ampio processo di civilizzazione. La sua  tesi è: in età moderna, fin dagli aristocratici, si assiste a un  processo di autocontrollo verso tutte le manifestazioni di  impulsi ed emozioni, in particolare crudeltà, aggressività,  sessualità. Le regole che informano la vita quotidiana,  l’etichetta e il galateo non sono quindi semplici consuetudini o  curiosità del passato: modellano il processo di Civilizzazione  dell’Occidente e creano regole di condotta appropriate per la  vita negli Stati moderni.  ­ Le POSATE: il cucchiaio è molto antico, come il coltello ma qui  si cerca di evitarne la pericolosità suggerendo di usarlo con  attenzione, porgendolo solo dalla parte del manico, impiegando  lame arrotondate. Poi la forchetta che appare per la prima volta  nel 955 per mano della principessa greca Argillo per le sue  nozze.  Questo ci fa vedere come si sia costruito lentamente un reticolo  di regole e divieti per creare una certa disciplina di  comportamento.  L’etichetta, a tavola e fuori, era dunque un aspetto tutt’altro che  secondario nella vita nobiliare.  I ritmi dei pasti erano più o meno: colazione attorno alle 11 o 12 e  pranzo alle 18.00.  Molti nomi delle pietanze subiscono l’influsso della cucina francese  e alcuni di questi vengono italianizzati (ricorda che gli  aristocratici di questo periodo parlano correttamente il francese).  Per quanto riguarda il tempo libero degli aristocratici, abbiamo già  detto che essi si appassionano alle scuderie, alle corse ippiche. In  questo periodo entra in scena anche l’automobile, ma loro sembrano  preferire le corse a cavallo, perché? Probabilmente preferiscono  l’esibizione di arcaismi, oppure si differenziano da quella che  sarebbe stata la “moda” del momento per riaffermare la continuità con  il passato.  Parigi e Londra sono in competizione in quanto ricchezza e potenza.  Benjamin nel 1935 valuta Parigi come la capitale del XIX secolo, una  capitale moderna, con una nuova sensibilità, più nervosa e instabile,  tipica del FLANEUR: una nuova figura che si guarda intorno con lo  sguardo dell’estraniamento e, attraverso la folla, vede la città come  spettacolo, come fantasmagoria (una fantasmagoria che trova la sua  più compiuta realizzazione nel grande magazzino, il marciapiede dove  lo spettacolo è finalizzato alla vendita).  I PASSAGES, le prime gallerie commerciali apparse a Parigi a fine  settecento (Gallerie del Palais Royal) tutto appariva diretto a un  consumo spettacolarizzato. Sono luoghi coperti, di passaggio, di  lusso, l’ingresso non implicava alcun acquisto, sono luoghi di  ritrovo e incontro, dove però la funzione commerciale era inscritta  nella stessa architettura.  Il richiamo di questi luoghi era affidato anche alla tecnologia:  costruiti nell’800 con verro e vetro, lasciavano filtrare la luce  bianca di giorno e di sera si illuminavano con l’abbagliate chiarore  della luce a gas, che contrastava con al penombra della città.  L’idea di passages si diffonde anche in altre metropoli, anche in  Italia, dove negli ultimi decenni dell’800 si costruiscono varie  gallerie di grandi dimensioni. La più grande galleria del periodo  neoclassico è la GALLERIA VITTORIO EMANUELE II costruita da Mengoni  tra il 1865 e il 1877. È chiara la volontà di creare un monumento  rappresentativo delle ambizioni di una città in crescita, tanto che  quando la società privata che aveva iniziato i lavori fallì, fu il  comune ad acquisirne la proprietà e ad accollarsi le ingenti spese di  realizzazione. Resta significativo il fatto che l’architettura più  maestosa creata per dare decoro e prestigio alla Milano borghese non  sia stato un monumento civile o un palazzo del governo, ma una  galleria commerciale, dove presero subito posto i negozi più  prestigiosi della città e i bar alla moda.  Il commercio rappresenta un elemento fondamentale nel ciclo dei  consumi, per le sue connessioni da un lato con il mondo della  produzione, dall’altro con quello dei consumatori. La sua funzione è  di mediazione, ma è molto di più: esercita uno specifico influsso sul  mondo dei consumi, sulla qualità e quantità delle merci disponibili  sul mercato, sui modi e tempi degli acquisti. Oltre alla pubblicità è  anche il luogo dell’acquisto che influenza chi compra: fiere e  botteghe sono forme antichissime del commercio, che si sono evolute  in mercati al chiuso e negozi.  Da ricordare: il commesso, il bancone, non c’è l’uso di esporre il  prezzo. GRANDI MAGAZZINI: costituisce una unità. Il Bon Marché a Parigi è il  prototipo di questa tipologia, il più conosciuto e imitato. Allestito  in un grandioso edificio all’insegna della modernità, spalancava al  suo interno un sacco di merci lussuose, esotiche e ordinarie con una  meravigliosa coreografia di servizi. Presto questo modello si  espanderà in tutto il nord Europa. I contemporanei non hanno dubbi: il grande magazzino è una svolta  nella storia dei consumi e del commercio.  In Italia i fratelli Bocconi (ex commercianti di tessuti di Lodi)  aprono a Milano nel 1877 il primo grande magazzino “Alle città  d’Italia”. Rinascente: oltre a quello che già si sa, ricordati i cartelloni  pubblicitari di Dudovich  e la possibilità di far portare a casa gli  acquisti. Il prezzo segnato e la possibilità di non acquisto. A Napoli nascevano i principali concorrenti dei Bocconi, “ i Grandi  Magazzini Mele” di Emidio Mele.  I COMMESSI: precari, stipendi a cottimo, precarietà e limitate  possibilità di carriera.  Perché sono così importanti? ­ Il g.m. sembra incarnare il mito del progresso e la passione per  le novità tra fine 800 e inizio 900: scale mobili, ascensori  idraulici, specchi, riscaldamento centralizzato. ­ Le merci vengono continuamente cambiate, trasformate,  migliorate. Quindi rappresenta la modernità urbana. ­ Qui si realizza il processo di spettacolarizzazione della merce:  la merce è accessibile e visibile in un solo colpo d’occhio. Il  contenitore è il luogo fisico del grande magazzino, costruito  per affascinare il visitatore per la sua grandezza, ricchezza,  comodità e piacevolezza (consumo+divertimento) ­ Ridefinizione dello spazio urbano: si crea un circuito legato al  consumo con empori, gallerie, vie commerciali, teatri, caffè,  impianti sportivi.  ­ Questi sono spazi che appartengono alla borghesia e riflettono i  suoi valori e le sue pratiche di consumo. L’ampia crescita di  questo settore per effetto dello sviluppo industriale porta nel  tempo a una stratificazione della clientela e a un allargamento  verso il basso (democratizzazione del lusso) ­ Assomiglia al teatro: lo spettacolo dei grandi magazzini diventa  come quello inscenato sulle ribalte teatrali; le artistiche e  scintillanti vetrine, come le scene, non fanno trasparire il  duro lavoro che c’è dietro; l’aspettativa di un’esperienza  piacevole e divertente, è identica. È per questo motivo che  viene capito e accettato subito.  Capitolo 2 – IL FASCISMO  Quadro storico: quasi tutti concordano nel ritenere che il periodo  del fascismo il paese diventa industrializzato (alla fine degli anni  30 avviene anche il sorpasso dell’industria sull’agricoltura come  valore aggiunto. L’Italia è entrata in una nuova fase economica e  culturale.  Quali fattori generali influenzano la crescita dei consumi nelle  economie moderne? Intanto la crescita del reddito pro capite, cioè un  consistente aumento delle risorse economiche a disposizione di ogni  famiglia. MA occhio che la crescita del reddito non vuol dire subito  aumento dei consumi. In passato i consumi eccessivi erano visti  negativamente, ma vediamo cosa cambia: ­ cambiamento notevole delle condizioni di vita (l’urbanizzazione  induce una crescita dei consumi commercializzati), molti dei  beni e servizi sono più costosi in città per via del trasporto e  distribuzione, infine la vicinanza con gruppi sociali differenti  inducono a nuovi consumi.  ­ Differente composizione sociale e mutamenti nelle  redistribuzione del reddito: il fatto che si sia formata una  classe piuttosto estesa di lavoratori dipendenti, a scapito di  artigiani, commercianti e agricoltori, ha fatto aumentare la  propensione al consumo.  ­ Progresso tecnologico: il fascino delle nuove merci ha spinto  verso consumi maggiori, da un lato, e verso una crescente  diversificazione delle merci acquistate, dall’altro.  A parte queste caratteristiche è prevalente il carattere politico:  quel fascismo che pone fini ai governi liberali, inaugura un regime  di propaganda e mobilitazione che gli italiani non avevano visto  prima, proclama l’avvento dell’economia corporativa e scende  esplicitamente anche nell’arena dei consumi.  I consumi sono aumentali meno del reddito: aumentano le quote di  spese per la casa, per l’igiene e la bellezza e più di tutte, per  beni durevoli e trasporti e si spende meno per il vestiario e  calzature. Per quanto riguarda frumento, grano, patate e legumi  secchi  rimangono nel primato, mentre ortaggi e frutta diminuiscono e  resta scarsa la presenza di alimenti ricchi come la carne, lo  zucchero e il caffè. Quindi una dieta meno ricca Nelle campagne si attuano vere e proprie battaglie combattute per la  nazione: battaglia per il grano, difesa della lira, bonifica  integrale. In realtà in un periodo caratterizzato da instabilità e  crisi ricorrenti, il fascismo compì nel 1929 una precisa scelta a  favore delle industrie, che aiutò con salvataggi, nuovi istituti  (come l’Iri), una politica di concentrazione industriale e un  accentuato protezionismo che incoraggiava la sostituzione dalle  importazioni con prodotti nazionali.  Il giudizio degli storici sull’autarchia è negativo perché si è  osservato che essa ha favorito alcuni settori a scapito di altri, ha  imposto ai consumatori prodotti italiani più costosi oppure surrogati  di scarsa qualità (caffeol) .  Che il fascismo non vedesse di buon occhio lo sviluppo dei consumi è  evidente. Altre erano le sue priorità. Quindi per sostenere  l’industria italiana e per controbattere le sanzioni, viene attivata  una campagna di sostegno ai prodotti italiani che assegnava un valore  aggiunto: l’italianità (comprare italiano era adempiere a un compito  patriottico. Quindi la politica si intromette nel mondo dei consumi  dicendo alle donne di comprare italiano, di risparmiare sulla spesa e  comprare surrogati. L’avanzare delle riviste e delle rubriche porta  la donna a sapere tutto di tutto su come si amministra una casa, come  si conservano i cibi ecc. La seconda considerazione riguarda i  confini di questo nuovo spazio dei consumi: è evidente lo sforzo di  creare uno spazio integrato comprendente l’Italia e il Mediterraneo.  Nasce la prima guida gastronomica dell’intera Italia, edita dal  Touring Club, che presenta il Paese come una sintesi di meraviglie  gastronomiche e turistiche, dove ogni regione e ogni paese possono  offrire un contributo specifico. Il Sud diviene centrale  nell’immagine dell’Italia dei consumi con le sue spiagge, il pesce  fresco, la pasta e l’olio.  Il treno resta il mezzo più utilizzato, per lavoro e per gli  spostamenti privati, comprese le prime vacanze delle classi medie. Il  vero mezzo per tutti è la bicicletta e per molti è questa la migliore  tecnologia acquistabile.  In ambito commerciale abbiamo ancora una vasta rete di piccoli  negozi. I negozi alimentari sono i più diffusi ma anche i più poveri.  I grandi magazzini che tanto avevano colpito l’immaginazione agli  inizi del secolo non hanno avuto espansione e le cose non vanno  meglio per le poche catene di negozi specializzati nella penisola.  Avendo meno persone che acquistano, il fascismo intraprende una  politica di controllo sugli ambienti economici; è del 1926 una legge  che stabilisce la necessità di una licenza per aprire un negozio,  licenza rilasciata dal comune in base a una valutazione sulla sua  effettiva necessità.  Una legge affine è stata emanata anche per le  fabbriche ma senza troppi risultati.  I commercianti sono preoccupati di una novità: i magazzini a prezzo  unico.  UPIM (unico prezzo italiano Milano) è il primo magazzino, a fascia  media, a prezzo fisso inaugurato a Verona nel 1928, si rivolge a una  clientela popolare­piccolo borghese, ha arredi interni funzionali,  punta su articoli di ampio consumo, si sviluppa secondo una diversa  geografia (le cittadine medie). In sostanza consentono ai consumatori  colpiti dalla crisi e dalla compressione salariale di costruirsi un  variegato paniere di consumi, di minor qualità e prezzo, ma  ugualmente rispondente a uno schema di consumi oramai introiettato, a  uno standard di vita occidentale.  Nel 1931 viene proposta una concorrente: la Standa. Standa è stata  una catena italiana di supermercati, attiva dal 1931 al 2012 nel  settore italiano dei grandi magazzini di fascia media, il cui marchio  è stato oggetto di numerose e profonde trasformazioni societarie.  Franco Monzino, lasciando la direzione dell'UPIM e possedendo un  capitale di 50.000 lire, insieme ai fratelli Ginia e Italo e Tullio  Astesani fonda il 9 maggio 1931 un nuovo magazzino con il nome  Magazzini Standard (Società Anonima Magazzini Standard) aperto, il 21  settembre dello stesso anno, in via Torino angolo via Valpetrosa a  Milano. Il nome venne modificato nel 1938 in Standa (acronimo per Società  Anonima Tutti Articoli Nazionali Dell'Arredamento e Abbigliamento)  per volontà di Benito Mussolini, il quale, durante una parata a Roma  in Via del Corso, vide l'insegna dei magazzini di Monzino e, visto  che le leggi fasciste imponevano di italianizzare tutte le parole  straniere, impose il cambio del nome. Capitolo 3 – IL MIRACOLO ECONOMICO. Gli anni 1945­73 sono l’età d’oro del capitalismo. Il reddito pro  capite cresce in tutto il mondo del 2,9 % e ancora di più crescono i  redditi nazionali e le esportazioni. Cause del miracolo economico: liberalizzazione dei mercati e  l’integrazione dei sistemi produttivi in un unico spazio economico  che innescano un flusso di merci e capitali senza precedenti.  Altrettanto importante è la politica economica per lo sviluppo  all’interno dei singoli paesi anche a livello internazionale. Lo  sviluppo consiste essenzialmente in una crescita economica di tipo  quantitativo, che porta a un più alto standard di consumi, migliora  la qualità della vita, diminuisce la disoccupazione e la  conflittualità sociale; pertanto gli obiettivi prioritari sono gli  investimenti in capitale fisso e quelli in capitale umano  (istruzione, formazione professionale). Un’esplosione di prosperità  che, come la Germania postbellica illustra, è alimentata non  dall’abbondanza delle materie prime ma dallo stesso processo di  produzione e di consumo. Nelle condizioni moderne, non la  distruzione, ma la conservazione appare come una rovina perché la  durata degli oggetti conservati è il maggior impedimento al processo  di ricambio, la cui costante accelerazione è la sola costante che  rimanga valida quando tale processo abbia luogo.  Inoltre, la generazione del dopo guerra dà vita al baby boom, un  piccolo sconvolgimento demografico, che porta a un rapido aumento  della popolazione e soprattutto a una crescita delle classi d’età più  giovani, bambini e ragazzi.  L’altro importante fenomeno demografico è la ripresa dei flussi  migratori. Non si tratta più delle imponenti migrazioni di inizio  secolo: ora ci si sposta dal sud al nord, dall’Europa meridionale a  quella settentrionale, dalle regioni più povere a quelle più  industrializzate. L’emigrazione è indotta dal boom industriale che  spinge 1,7 milioni di persone ad abbandonare le campagne per cercare  una occupazione nelle fabbriche.  L’emigrazione è indotta dal boom industriale che spinge 1,7 milioni  di persone ad abbandonare le campagne per cercare una occupazione  nelle fabbriche o nel piccolo commercio. Questo porta a un mutamento  nel profilo demografico dell'italiano medio: la presenza di giovani e  di nuove coppie che si sposano, hanno figli, creano una famiglia  nucleare, vivono in luoghi geografici lontani dalla famiglia  originaria e si spostano con facilità, dà vita a una forte domanda di  beni di consumo. Oltre al cambiamento economico e sociale c'è un cambiamento  culturale: dopo il periodo passato a risparmiare, la gente era  convinta di poter avere una vita piena di cose. Nell'Italia del  miracolo economico era venuta l'ora di comprare la felicità. Magari  per via della diffusione di un modello di benessere individualistico,  dove il consumo privato è il vero segno del successo e  dell'integrazione sociale; o magari perchè le premesse culturali di  un consumo di massa erano state già poste durante il fascismo, senza  che ci fossero i mezzi per il loro effettivo appagamento. Assistiamo ad un cambiamento di dieta: scendono gli alimenti "poveri"  come il risone, i legumi secchi, il lardo e lo strutto, la carne  ovina e salgono i consumi di alimenti "ricchi" prima troppo costosi e  riservati alla élite. Rispetto agli anni Trenta, raddoppiano tutti i  prodotti caseari (latte e formaggio) e le uova;cresce il consumo di  vino e di birra, la carne bovina, lo zucchero e il caffè. Quello che ci troviamo davanti è un consumatore che apprezza una  dieta ricca e variata, con molti alimenti dolci e calorici, e con un  alto consumo di prodotti freschi. La principale novità tra gli acquisti è la presenza di beni durevoli  nelle famiglie: frigorifero e televisioni, più avanti la lavatrice e  l'automobile, quindi poi l'aspirapolvere, la motocicletta e la  lavastoviglie. Ovviamente per fare questo discorso di preferenze si  deve tenere conto della classe sociale di cui le persone fanno parte:  le persone più povere privilegiano il televisore rispetto al  frigorifero. Acquistando molto di più beni durevoli diminuiscono i consumi  alimentari. Questo periodo viene visto come "miracolo economico e boom  economico", anche le testimonianze orali di oggi ci rimandano a un  tempo felice di solidarietà umana ora perduta, di nuovi consumi  carichi di significato, di realizzazioni personali. C'è bisogno di fare un po' di chiarezza, perchè ci fu un lungo  dopoguerra segnato da un tenore di vita modesto e da scarse speranze  di cambiamento, ma il miglioramento avvenne in ritardo rispetto ad  altri paesi europei (il miglioramento infatti in Italia avviene a  fine anni Cinquanta) e quando avvenne fu selettivo. Questo è il punto  centrale, non riguardó tutti. Le famiglie dei ceti medi spendono tre  volte di più rispetto a quelle operaie per l'auto, il telefono e la  tv. Quindi, nel pieno del miracolo, è la classe media a migliorare  rapidamente i suoi consumi, mentre operai e agricoltori restano in  gran parte esclusi (soprattutto nella zona meridionale). Milano, Torino e Genova sono le mete più comuni per i treni della  speranza di un futuro migliore. Il passaggio da una cultura contadina  a una cultura urbana: gli immigrati non lasciano indietro solo una  grande casa contadina, ma una struttura organizzata su gerarchie ben  definite, lasciano una economia legata all'autoconsumo, oltremodo non  si allontanano da cibi familiari serviti in ampie cucine, abiti  semplici, ben differenziati tra quelli per il lavoro e quelli per la  festa. La provenienza di questi immigrati è varia: moltissimi sono ex  salariati agricoli, piccoli proprietari rurali. Le prime ondate sono  soprattutto giovani uomini, ma presto seguono donne e bambini. Questi immigrati al nord non vivono un balzo traumatico, perchè in  fondo trovano ospitalità da amici o parenti partiti prima di loro.  C'è sostegno che ricrea luoghi e spazi di sociabilità legati alla  memoria di origine. C'è una cosa che attira subito l'attenzione, racchiude tutti i  significati attribuiti alla mobilità e diviene simbolo del "sogno  italiano": l'automobile (o meglio, l'utilitaria Fiat 600 che appare  nel 1955). Gli immigrati, comprandola, aderiscono ad uno status  symbol, tornano a casa per le vacanze con il segno della vittoria,  del successo di una vita piena di cose. Con l'auto non si tratta di passare da un prodotto all'altro, ma di  modificare valori e atteggiamenti di cui quel particolare prodotto è  espressione. L'automobile è l'icona del nuovo paesaggio urbano e  industriale della contemporaneità; esprime mobilità spaziale e  sociale; afferma il valore dell'individualità; inaugura nuove  modalità di consumo diffuso, ecco che si sollevano critiche e  obiezioni. L'auto rappresenta la velocità e quindi è pericolosa,  velocità che si contrappone alla lentezza contadina, velocità che  provoca morti dando la colpa ad automobilisti smodati, quindi si  cercherà di esorcizzare i pericoli con la benedizione di Santa Rita. Secondo alcuni storici gli anni Cinquanta/Sessanta sono stati  centrali nella costruzione di nuove identità maschili, perchè la sua  costruzione della realtà che prelude a un futuro impegno sociale e  politico. Le industrie vedono nei giovani nuovi potenziali clienti e iniziano a  produrre beni specifici per le loro esigenze (bibite, dolciumi,  sigarette, motociclette ecc.). La maggiore ricchezza materiale e l'ostentazione dei beni di consumo  sono certamente forti incentivi ai reati, così come l'aumento delle  leggi conseguente a una vita sociale sempre più regolamentata fa  aumentare le infrazioni alla legge. I giovani, da part loro, vedono le cose molto diversamente. Il loro  comportamento è un modo per esprimersi come soggetti, per divertirsi  e stare insieme. La loro identità trova una prima costruzione intorno  ad alcuni oggetti e intorno ad alcuni luoghi. La cameretta è il primo  luogo: diverso dalla casa, posto dove sottrarsi agli sguardi dei  genitori, dove leggere, studiare, ascoltare musica ecc. però lo spazio giovanile è soprattutto non­domestico, fuori (vanno al  cinema, fanno un giro con la Lambretta, giocano a flipper in un bar,  ascoltano musica da un juke­box). La musica è il vero linguaggio dei giovani, è il momento dei boogie­  woogie, dei Beatles, del Twist and Shout. Presto arriva anche in Italia il movimento hippy con il suo gusto per  l'esotico e l'orientale, e si diffondono camicie, casacche,  pantaloni, gonne, bandane, tutto a fiori. L'abbigliamento mostra  chiaramente la ricerca di nuovi modelli estetici, oltre che politici,  insegue il diverso, l'antitradizionale come forma espressiva  autonoma, rifiuta rigidità nel vestiario come quelle sociali. Ci sono alcuni consumi che non sono approvati dalla società ed alcuni  consumi non sono leciti, ad esempio le case chiuse ( abolite con la  legge Merlin nel 1958), la  droga. È negli anni Cinquanta che avviene un fatto nuovo nel dibattito  pubblico e in quello politico: compare la parola "consumi". Non che  prima non fosse esistente questo concetto prima, ma ora assume una  centralità rilevante. Tornando al consumo della tv, capiamo che questa non è vista dai  contadini come un consumo superfluo e opulento, ma come un bene che  consente una migliore conoscenza del mondo, un modo per ascoltare  l'italiano e per poterlo imparare. Un secondo aspetto che emerge è  che sulle trasmissioni più diffuse c'è un continuo dialogo: si parla,  si discute, si ricorda, si ripetono insieme frasi e motivi musicali.  Nuovi consumi culturale stimolano la comunicazione e nuove forme di  socialità fra gli spettatori. Risalta infine la centralità del  divertimento: una centralità che riflette forse una nuova  valorizzazione dell'individuo e delle sue necessità, rispetto alla  tradizionale etica fondata solo sul dovere del lavoro e il valore del  sacrificio. Quindi, per tornare a quello che si diceva prima, abbiamo una nuova  cultura del consumo. È una cultura che nasce dai nuovi oggetti, si  sviluppa sul piano della quotidianità, investe famiglie e individui,  forma identità trasversali, crea differenti priorità di valori, dà  voce a nuovi soggetti, inventa linguaggi e simbolismi. È questa  cultura che spiega perchè gli italiani acquistano nuovi beni di  consumo seguendo modelli di comportamento simili a quelli di paesi  più ricchi. Rivoluzione studentesca del 1969: gli studenti scendono in strada per  manifestare, parlano di diritto allo studio, chiedono di cambiare i  corsi di studio obsoleti, di educare in maniera non nozionistica, di  sostituire insegnanti autoritari,d i sganciare lo studio dal "sistema  di potere" vigente. La crescita dei consumi privati e il lancio di nuovi prodotti sul  mercato spingono molte più imprese a utilizzare forme pubblicitarie;  in realtà, è qualcosa di più, è lo spostamento da una strategia  industriale principalmente incentrata sul prodotto a una più attenta  al lato della vendita, al mercato. È insomma il trionfo di quel  complesso di politiche relative alla vendita che comprendono ma non  si limitano alla pubblicità, coinvolgendo prezzi, modalità di  vendita, marca, studi sui consumatori e via dicendo, che vanno sotto  il nome di marketing e che dall'America si diffondono in tutta  Europa. Il risultato è che l'aumentano gli studi e analisi che la  definiscono come specchio o stimolo dei cambiamenti, meccanismo di  suggestione, incanto, manipolazione. Ci sono più pubblicità di  automobili costose che di beni comuni poco costosi. Inoltre iniziano a formarsi seriamente con compiti ben precisi le  agenzie pubblicitarie (Armando Testa a Torino, la Thompson a Milano). Numerosi sono stati gli studi psicologici riguardo la pubblicità. Si  riteneva che il manifesto dovesse colpire il consumatore grazie a un  messaggio forte e continuamente ripetuto, di modo da esercitare un  grande potere persuasivo. L'effetto dipendeva quasi tutto  dall'efficacia dello stimolo, il ricevente era facilmente  condizionabile. Dopo di ché questi studi si sono evoluti dando al  consumatore un ruolo non più passivo ma attivo (filtrava i messaggi,  prende consapevolezza di ciò che vede). La cucina degli anni Sessanta è molto diversa da quella di inizio  secolo: tutti gli alimenti hanno una marca e sono tutti ben riposti  negli armadietti. È interessante come le strategie commerciali  prestino molta attenzione al genere e all'età. I prodotti per  cucinare, finiti o più spesso semilavorati (conserve, condimenti,  paste secche, lieviti, preparati per torte e budini), sono  decisamente indirizzati alla casalinga. Sono identificati da un  packaging "tecnico", comunicativo e funzionale, usa e getta. I  prodotti dolciari sono invece dedicati ai bambini: lo mostrano le  promozioni pubblicitarie, spesso con pupazzi e cartoni animati, le  confezioni vivaci e colorate in cartone o derivati plastici; sarà  solo dagli anni Settanta­Ottanta che il comparto dolciario, il  secondo per importanza nell'alimentare, cercherà una maggiore  crescita fra i consumatori adulti. I bambini non devono essere  privati di qualcosa, devono mangiare ed essere felici. Vi sono poi  prodotti alimentari che si indirizzano ai giovani: i gelati Algida,  gomme da masticare Brooklyn. Nel frigo regna il fresco a discapito di alimenti secchi e quindi  troviamo pesce (poco) e carne già tagliata. C'è persino la Coca Cola  e il latte conservato in tetrapak. Rispetto alla vecchia dispensa, troviamo qui vari cibi  industrializzati e di marca. Questo passaggio porta a prodotti più  standardizzati per forma, colore e sapore; tutti gli odori forti sono  scomparsi. I nuovi prodotti, spesso mirati selettivamente a una certa clientela,  non soppiantano del tutto le tradizioni culinarie; l'accresciuto  consumo di zuccheri e carne non scalza la pasta dalla dieta  quotidiana. Anzi, l'industria valorizza prodotti alimentari tipici,  in particolare quelli meridionali, e li lancia sul mercato nazionale.  Qui inizia la sua storia la "dieta mediterranea", proposta nel 1962  dal nutrizionista americano Angel Keys (meno proteine, più  carboidrati, frutta e verdura). DESIGN: nel momento in cui le lampade di Artemide, le sedie di  Cassina, la Bialetti, gli attrezzi da cucina di Kartell entrano in  casa, questa casa acquista significato attraverso le forme del design  industriale. Le origini del design sono da ricercare negli anni 50­60, quando gli  architetti contemporanei a Gio Ponti collaborano sempre più con  piccoli produttori semi artigianali e grandi imprese o creano essi  stessi nuove società: la parola d'ordine è coniugare creatività e  produzione di serie. Si afferma una tendenza estetica basata  sull'essenzialità delle forme e il rigore del disegno, che abbatte i  costi ed esalta il contenuto tecnologico e i materiali dell'oggetto.  È l'italian design di Castiglioni e molti altri. I designer  progettano oggetti per la vita quotidiana che modificano l'estetica  del paesaggio domestico, valorizzando insignificanti oggetti d'uso  comune e trasformandone il significato all'interno dell'ambiente. SUPERMERCATI. Nella seconda metà degli anni 50 gli americani impongono la loro  strategia che punta una diffusione internazionale dell'American way  of life. Nel 1956 a Roma il dipartimento dell'agricoltura USA fa costruire un  supermercato di mille metri quadri. Perchè? Perchè favorendo la costruzione di questi spazi gli USA sono  in grado di assicurare beni di consumo in quantità e qualità  superiori a chiunque altro: i bisogni e i desideri della gente comune  nella sfera della vita quotidiana sono altrettanto importanti per  l'amministrazione usa. La sua spettacolare esposizione di ogni prodotto, a portata di mano,  è un po' l'incarnazione dell'idea di un benessere e un'abbondanza  senza limiti; inoltre costituisce un nuovo importante spazio di  consumo che trasforma abitudini e routine quotidiane. Tradizionalmente si indica nel King Kullen di Long Island (1930), il  primo supermercato moderno, in Europa si diffondono nel secondo  dopoguerra, quando importanti catene di negozi alimentari (Tesco e  Sainsbury, aziende inglesi) adottarono il sistema americano, più  efficiente e gradito al pubblico. In Italia le cose sono più complicate, abbiamo già visto le  difficoltà e i ritardi nello sviluppo di grandi magazzini ed empori a  prezzo unico. All'inizio degli anni 70 il mondo del commercio è ancora decisamente  caratterizzato dalla rete di piccoli negozi che ha conosciuto una  nuova espansione con le migrazioni interne (molti trovano occupazione  qui e non nelle grandi fabbriche). nuovo ruolo della pubblicità è potenziato dalla comparsa delle  televisioni private che, con una strategia abile e pragmatica,  promuovono un forte sviluppo degli investimenti pubblicitari. Il  gruppo Fininvest di Berlusconi già nel 1984 si configura come  un’impresa di rilievo con tre canali nazionali, una società di  produzione, una per la gestione della rete di trasmissione e infine  una per la pubblicità (publitalia ’80). Il consumo tv raggiunge in  Italia picchi elevatissimi e passa dalla visione familiare a quella  individuale.  Il tasso di natalità cala e la dimensione della famiglia va sempre  più riducendosi. La famiglia cambia culturalmente e tipolgicamente, e  sappiamo che contemporaneamente cresce l’attesa di vita media,  determinando l’invecchiamento della popolazione.  Se all’inizio del Novecento potevamo notare benissimo se fosse stato  un contadino o un commerciante ora è un po’ più difficile. Le persone  scelgono il loro modo di essere, e i consumi esprimono le loro  scelte.  Consideriamo il trentennio 1973­2003, durante il quale i consumi  delle famiglie continuano a crescere, il primo dato eclatante è la  diminuzione delle spese alimentari, che passano dal 38 al 20 %, con  una discesa continua, particolarmente accentuata negli anni Ottanta.  La “nuova” dieta della famiglia italiana è sempre meno a base di  carne; ad essa susseguono frutta­verdura e pane­cereali, più  distanziati latte e formaggi, pesce, bevande, zucchero e caffè, oli e  grassi. Si tratta di un forte riequilibrio quantitativo e  qualitativo: qualitativo per lo spostamento verso una dieta più  vegetariana e più variata; quantitativo perché l’Italia negli anni  Novanta si avvicina a modelli di tipo nordeuropeo (GB, Germania,  Olanda, Francia) con bassa incidenza percentuale del cibo sui consumi  totali.  Anche l’immigrazione di stranieri ha influenzato la percezione del  paesaggio urbano. Nelle città sono fioriti negozi, supermercati e  ristoranti di varie etnie: rappresentazioni di culture lontane  materializzate fisicamente nello spazio cittadino. Anch’esse sono  responsabili, insieme al turismo e i media, della scoperta della  cucina internazionale e del gusto “etnico” e contribuiscono a  integrare nel paesaggio dei consumi quello che una volta era solo  qualcosa di “esotico” e “diverso”.  In conclusione, in questo periodo i consumi sono aumentati e si sono  diversificati merceologicamente: abbiamo tutti più cose e cose  diverse, a volte siamo spinti a comprare un oggetto dietro l’altro.  Ma nel tempo è mutato il loro significato culturale. Alcuni beni che  avevano il sapore dell’eccezionalità o del lusso si sono trasformati  in oggetti comuni o comfort necessari grazie al loro inserimento  nella nostra vita quotidiana.  Tecnologia. Il computer viene visto con due facce della stessa medaglia: uso  ludico per i figli/uso educativo e lavorativo per i genitori.  In Italia la diffusione del computer, presente nel 2005 in più del  40% delle famiglie, risente fortemente delle differenze di genere e  d’età. Questo principale strumento di comunicazione tecnologica e  simbolo di una nuova era, abbia uno schema di diffusione simile a  quello che a suo tempo ha avuto l’automobile: simbolo del miracolo  economico e da tutti desiderato, si diffuse solo progressivamente  nella società italiana nel giro di diversi decenni.  Il vero “stampo” è stato il cellulare, che nel 2005 era posseduto dal  78% degli italiani. Ha provocato una vera e propria rivoluzione della  comunicazione, soppiantando l’apparecchio fisso, che invece aveva  impiegato molto tempo ad affermarsi rispetto agli standard europei:  ha aperto l’accesso al mondo della comunicazione globale.  Prodotti nuovi non sono apparsi solo nel settore tecnologico, ma un  po’ in tutti i settori del consumo: nell’industria alimentare si  affacciano prodotti salutari, barrette nutritive ecc. inoltre  prodotti a marchio Dop (prodotti della tradizione gastronomica  italiana) e prodotti molto strani (prodotti OGM).  Alla fine del Novecento c’è un’ondata di ansietà riguardo al cibo:  avvelenamenti, cibi non sani, non naturali. Malattie e scandali fanno  il resto, contribuendo a un sempre più diffuso desiderio di “ritorno  alla natura” e alla rivalutazione di alimenti semplici e non  sofisticati (movimento Slow Food).  Attraverso la pubblicità del prodotto si cerca di rassicurare il  consumatore. La scommessa ora è di portare buoni alimenti alla gran  parte dei consumatori, superando lo scoglio della distribuzione che è  da sempre il problema centrale dei piccoli produttori, e a un prezzo  competitivo. Saranno i consumatori alla fine a operare un loro  personale mix di scelte, rispondente alle loro esigenze, fra prezzi e  tipologie di prodotti diversi.  Il consumo non si esaurisce con l’atto di comprare e utilizzare il  prodotto, ma prosegue nello scarto residuo, con conseguenze  altrettanto gravi sull’ambiente fisico circostante. Il problema dei  rifiuti e dell’inquinamento sono reali e non ci sono facili  soluzioni.  I nuovi luoghi di consumo come Las Vegas o Disneyland, dice Ritzer,  servono a re incantare il consumatore ormai assuefatto a consumi  iperrazionalizzati, ovvero omogenei, prevedibili, il cui simbolo  perfetto sono gli hamburger di McDonald’s: uguali in ogni negozio,  preparati con lo stesso identico metodo, serviti nello stesso modo.  Ecco perché si devono inventare sempre nuove modalità per affascinare  i clienti. Quindi gli ultimi sviluppi di luoghi del commercio  sembrano andare proprio nel senso della spettacolarizzazione.  I centri commerciali apparti negli Usa nei primi decenni del  Novecento, ma che assumono un assetto preciso solo nel secondo  dopoguerra, quando vengono create strutture commerciali lontane dalle  città. Nel 1956 l’architetto Victor Gruen costruisce una struttura  unica in grado di contenere tutti i negozi, con aria condizionata e  molto verde: è il Southdale Center di Edina, il primo mall. Lui  puntava a ricreare l’atmosfera della città: sembra un centro urbano  con tanto di vie, e piazzette con bar e ristoranti. È una città  ideale, un simulacro, come direbbe Baudrillard.  La Mall of America è il più grande centro commerciale degli Stati  Uniti.  In Europa i centri commerciali arrivano più tardi, in Italia non  prima degli anni Settanta. A volte i centri commerciali sorgono  intorno a una nuova formula, l’ipermercato, una megastruttura  periferica che offre insieme alimentari e altro con prezzi  abbordabili. Questi erano nati nel 1963 in Francia con Carrefour,  seguito da Auchan. Si recuperano vecchi porti, fabbriche e magazzini  dismessi.  La presenza dei centri commerciali incide profondamente sul paesaggio  urbano, ne cambia la geografia e i riferimenti gerarchici.  Caratteristiche: richiamo alla natura con fiori, piante, laghetti;  momento spettacolare e ludico dello shopping.  In Italia la grande distribuzione organizzata assume dimensioni di  rilievo solo a partire da metà anni Ottanta, in concomitanza con la  ripresa economica e la diffusione dei consumi fra tutte le classi  sociali.  Altra formula statunitense sono i factory outlet, negozi controllati  direttamente dai produttori che offrono al pubblico le rimanenze di  merci di marca, quelle che una volta finivano sulle bancarelle o nei  canali di vendita secondari. Si sono sviluppati negli anni Settanta e  rispondono al desiderio dei consumatori di acquistare merce firmata  d’occasione, magari della stagione precedente, e alla volontà delle  imprese di salvaguardare immagine e quote di mercato.  Il primo outlet italiano ha aperto nel 2000 a Serravalle Scrivia  (somiglia ad un centro storico ligure del Settecento) ed è il più  grande d’Europa.  Tutti questi luoghi hanno una logica inclusiva, sono pensati per  accogliere sempre più clienti e allargare a tutte le classi sociali i  consumi anche più elitari; ma a guardar bene è presente anche una  logica del tutto opposta, cioè esclusiva, che punta sulla  differenziazione e la valorizzazione degli stili di vita di  particolari segmenti di pubblico.  In altri casi c’è il concept store: negozio tematico: per comunicare  la marca e la filosofia aziendale si creano spazi che concretizzano  una certa atmosfera, uno stile di vita, adottano una narrativa.  Negli Show room le cose cambiano, l’elemento chiave è la distanza per  valorizzare le merci preziose. 
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