Scarica l'Italia dei consumi - Emanuela Scarpellini e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia dei Consumi solo su Docsity! Emanuela Scarpellini – L'Italia dei consumi. Dalla Belle Epoque al nuovo millennio. Capitolo 1 L'ITALIA LIBERALE Le imprese industriali sono una condizione generale dell'industria del nostro tempo. Sono nate fuori dall'Italia e ci sono venute addosso minacciando d'ingoiare tutte le nostre industrie nazionali. I primi venditori che si sono affermati sin dal 1865 sono i fratelli Bocconi, che con il loro emporio a Milano (Alle città d'Italia) si sono fatti conoscere ovunque. Il periodo 18701913 è stato definito quello della “grande trasformazione” riferendosi agli effetti della rivoluzione industriale. È una trasformazione si, ma lenta. Il reddito non è molto alto e le scelte di consumo sono ridotte, perchè vengono spese per le spese basilari per la sopravvivenza. Il XIX secolo vede la fine del regime demografico d'Ancien Régime, caratterizzato da alti tassi di natalità e di mortalità, e l'inizio di un nuovo equilibrio, tipico dei paesi avanzati odierni, con bassi tassi di natalità e lunga aspettativa di vita. Le ragioni sono varie: non solo si legano alla rivoluzione industriale o ai progressi in agricoltura, ma anche a fattori socioculturali e all'avanzamento delle conoscenze tecniche e scientifiche. La pressione demografica rompe i legami abituali e spinge a un esodo verso i nuovi centri industriali o all'emigrazione. Quindi si abbandonano i tradizionali modelli di consumo e si favoriscono nuove pratiche. In sintesi, un percorso più individualizzato e autonomo, una libertà maggiore e uno spazio mai visto prima per le scelte di consumo. Cosa si consumava? L'alimentazione era il 60% della spesa nel periodo giolittiano, ed era in lieve ascesa, seguivano le spese per abitazione ed energia, per il vestiario, trasporti. Ovviamente la forte spesa per il vitto non comportava una ricca e variegata dieta. 123kg di frumento, 11 risone, 25 patate, 16 legumi, 16kg di carne e 4 di pesce fresco. Scarsi condimenti e grassi, ma grande quantità di vino (100L l'anno). I CONTADINI erano il 62% della popolazione attiva nel 1911, le loro condizioni erano molto dure. Le entrate scarse erano destinate all'alimentazione, alla casa e al vestiario. La loro alimentazione si basava su: polenta di granoturco, legumi, patate e castagne. Niente carne se non in particolari feste o in malattia. C'è da dire che le condizioni erano molto variabili da una zona all'altra e dipendevano dalla disponibilità di prodotti locali, dai contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. Il fatto che potessero avere una varietà molto limitata di cibo non significava che questi avessero meno significato simbolico; il tempo della festa è scandito da una quantità e qualità di alimenti (dolci) diversi da quelli del tempo del lavoro, allo stesso modo cibi diversi distinguono le fasi di normalità nel ciclo di vita da quelle di eccezionalità (tipo la malattia, cerimonie religiose..). Le varie tipologie di cibo assumono molti significati: un valore positivo è collegato a tutto ciò che è “grasso”, che rappresenta un privilegio negato ai contadini, e di qui passa alla grassezza come allegoria di una vita felice; oppure a tutto ciò che cresce o vive in “alto”, come gli uccelli o i frutti degli alberi, di contro a tutto ciò che è “basso” come i tuberi o i maiali che si rotolano nel fango. Anche la religione ha il suo peso: le norme alimentari legate al calendario liturgico impongono una separazione tra il mangiare di “grasso” e il mangiare di “magro” che bandisce la carne a favore di ortaggi e pesce. Le modalità di consumo del cibo non erano meno significative: si trattava di un atto collettivo, magari introdotto dalla preghiera, che confermava le differenziazioni sociali e di genere, come era testimoniato dall'ordine seguito nel distribuire le portate, dalla selezione delle porzioni migliori e dalla disposizione gerarchica dei posti a tavola. Mangiare e bere costituivano un'importante pratica culturale, che accompagnava molti momenti di socializzazione: le visite al mercato o alle fiere, le feste del villaggio ecc. Es. Carnevale, la festa della trasgressione per eccellenza, avviene una totale inversione: la privazione si trasforma in abbondanza, la penuria in spreco, e anche il mondo contadino si lascia andare al bere e al mangiare. È un momento veloce, perchè poi arriva la Quaresima (momento di digiuno) a rimettere a posto le cose. Per quanto riguarda le abitazioni contadine molte si concentravano in una unica “corte” o casale, dove vivevano più famiglie. La cucina, l'ambiente centrale della casa e l'unica stanza riscaldata, contiene oggetti di uso quotidiano: pentole di coccio, paioli in rame, tegami di latta per cucinare, un corredo semplice di posate e in genere la cucina è usata per svolgere vari lavori: le donne tessono, preparano il cibo, accudiscono i bambini ecc. in poche parole è uno spazio di produzione e consumo insieme. Gli OPERAI vivono un'altra realtà, ma non si può dire sia del tutto migliore rispetto a quella dei contadini. Il loro reddito derivava esclusivamente dal salario, era quindi monetizzato, e l'autoconsumo era molto più basso. Nei consumi: al Nord si consuma poca carne, poco pesce (merluzzo salato), latte in abbondanza e derivati di bassa qualità e, alimento principe, il mais; al Sud la carne è scarsa, salvo i visceri usati per soffritti e ciccioli, così come il pesce, consumato prevalentemente salato, latte e uova sono evitati perchè costosi, mentre c'è una discreta varietà di verdure e cereali. Esiste quindi una specifica cultura operaia del consumo, anche se gli standard di vita in molti casi sono simili a quelli dei contadini, quello che cambia è il modo di comportarsi: nelle città più industrializzate la natalità è inferiore anche del 30% alla media nazionale, i matrimoni sono meno frequenti e contratti in età più tarda e la natalità illegittima è molto elevata. In secondo luogo essere operai significa condurre una vita di continui spostamenti sul lavoro, dovuti alla notevole instabilità occupazionale che coinvolge gran parte dei lavoratori. In terzo luogo c'è più contatto con le altre classi e gruppi sociali. C'è da dire che l'età influiva notevolmente sul lavoro, spesso gli operai venivano dai campi e lavoravano in fabbrica fino ai 4045 anni, poi venivano licenziati e cercavano lavoro nel facchinaggio, nelle portinerie e per le donne nei servizi domestici. italiana sembra attribuire un peso maggiore a questo aspetto, e quindi al suo modo di apparire sulla scena sociale. Notiamo anche che gli strati più bassi della borghesia si differenziano dall’aristocrazia operaia anche per l’utilizzo delle magliette a maniche più corte rispetto alle pregiate camice a maniche lunghe (simbolo di grossi sacrifici). L’abitazione borghese in età liberale, due studiosi hanno studiato l’argomento: 1) Simon Schama, studioso della cultura seicentesca olandese rileva una dicotomia tra ricerca e godimento della ricchezza da un lato e vergogna per il suo possesso e consumo dall’altro (non avrebbero perduto così le loro anime?) ossessione per la pulizia e quindi cercare rifugio dalla sporcizia del mondo. Qui la casa ha un valore simbolico molto forte: sicurezza contro il mondo esterno, contro libertà. Quindi il lavoro di Schama sviluppa un nuovo concetto di domesticità, di spazio provato, visto come un valore centrale intorno a cui costruire un’identità distinta sia dagli aristocratici sia dalle classi inferiori. 2) Bordieu: si occupò di abitazioni in Algeria. Gli spazi abitativi erano una trama che lascia trasparire la visione sociale sottostante, una riproduzione nella struttura spaziale delle divisioni sociali, di genere e di età presenti. Le dicotomie luce/ombra, interno/esterno, alto/basso, rimandano ad altrettante divisioni presenti nel nucleo sociale della famiglia. QUINDI: le due analisi rilevano che le abitazioni sono luoghi molto più centrali nella vita quotidiana, sono differenti per la loro ampiezza, ricchezza ma anche per la specializzazione degli spazi e la loro divisione e gerarchizzazione, che incarnano la struttura sociale e culturale della famiglia. Sono abitazioni spesso più funzionali, moderne nel senso che sono le prime ad accogliere mobili e arredi industriali di serie. La prima opposizione che notiamo è tra interno ed esterno: porte chiuse, finestre, tende.. proteggono e separano l’ambiente interno della casa da quello esterno, di modo tale da evitare eventuali contaminazioni con il mondo esteriore. Seconda opposizione è la separazione fra pubblico e privato: ci sono spazi pensati per la vita in società, dove ricevere gli ospiti, e spazi riservati a questa nuova intimità domestica fra coniugi e figli. L’anticamera introduce gli estranei in casa, mostrando subito con i suoi arredi il gusto e il livello sociale dei padroni di casa; i corridoi separano le stanze pubbliche (salotto) da quelle private (camere). Gli arredi migliori sono concentrati nel salotto (gli oggetti non lasciano mai spazi vuoti), mentre le stanze private sono misere e mal tenute. La terza opposizione è quella maschile/femminile: lo studio del padrone di casa è uno spazio maschile: tutti gli oggetti presenti (taccuino, carte, sedie, calamai ecc) ci rimandano ad una attività intellettuale e a un’attitudine di serietà e vigore. Anche le camere da letto dei figli sono distinte tra maschi e femmine, generalmente hanno pochi mobili anche se nelle camere dei maschi ci sono più arredi e ancora più elevati se primogenito. Un discorso a parte sui figli è dettato dal fatto che in questo periodo non si ha molto in mente l’idea dell’infanzia, nella cultura contadina ed operaia i bimbi dovevano lavorare fin da subito, ma nella borghesia si mira all’educazione del bambino per far crescere alcuni valori come la creatività, la purezza e la vulnerabilità (Maria Montessori esalta le capacità positive dei più piccoli). Questo posta a una nuova valorizzazione dell’infanzia: i bambini sono portatori di valori propri e pertanto necessitano di spazi specifici. Quindi vanno ripensati anche i consumi: costi per l’educazione, svaghi, giochi, abiti da gioco ecc. Nasce in questo periodo una vera e propria industria di prodotti rivolti ai bambini e nasce il consumismo per l’infanzia che porterà in pochi decenni a una vera e propria corsa agli acquisti. Ultima cosa da dire sui borghesi è come impiegarono il loro tempo libero: i consumi culturali spesso trovavano spazio nei cafè e nei gabinetti letterari (Habermas: spazio pubblico borghese nei cafè) oppure trovano divertimento nel ballo (valzer e galop), nel mangiare fuori al ristorante (magari in qualche albergo) o nel teatro. Altra grande novità sono le associazione sportive, nate in Italia a fine Ottocento e in questa attività si trovano diversi elementi: la tradizione militare, lo spirito patriottico, la ricerca di status sociale, ma non c’è dubbio che i fenomeni di massa come il ciclismo e le gare automobilistiche rispecchino i valori della nascente società di massa: competizione e divertimento; era nato lo sportspettacolo. GLI ARISTOCRATICI. Il potere ha bisogno di mostrarsi. Se è vero che si basa su forza e consenso, esso ha bisogno di rappresentarsi così si può consentire la sua legittimazione da parte del corpo sociale. Per le classi aristocratiche il consumo sembra giocare un ruolo centrale nel processo di legittimazione della loro posizione. Non si tratta necessariamente di un consumo sfarzoso: in società dove il risparmio e la parsimonia sono virtù apprezzate, uno stile di vita molto parco e severo da parte di mercanti e imprenditori notoriamente ricchi può svolgere per contrasto la stessa funzione ostentativa. Il lusso è sottratto dal giudizio morale (prima era visto come “male” ora riguarda principalmente i comportamenti e scelte private) e può rientrare nella sfera economica pubblica come elemento positivo. Ma resta comunque il fatto che il lusso è legato all’idea di sperpero e di ozio. I nobili in Italia all’inizio del Novecento erano all’incirca 8400 famiglie e il numero tendeva a diminuire, le loro ricchezze erano legate a proprietà fondiarie e immobiliari ma anch’esse, con l’avanzare del tempo non erano poi così frequenti. Vediamo il loro stile di vita: Abitazioni: tendono ad ospitare famiglie allargate (famiglia, parenti, fratelli, sorelle ecc) e molti servi. Nelle campagne i palazzi avevano anche magazzini agricoli, stalle e persino botteghe. L’architettura dell’edificio trasmetteva chiari significati: la sua mole rimandava alla ricchezza della famiglia, gli stemmi araldici ben visibili ne ricordavano la continuità, torrette e imponenti facciate ne indicavano il potere. All’interno molte stanze divise secondo giorno/notte, pubblico/privato. La socialità domestica continua ad essere una prerogativa di queste famiglie, che utilizzano buona parte dello spazio domestico per ricevere e divertirsi in compagnia (sale, saloni, stanze da gioco e da ballo). Arredamento molto ricco: mobili di rappresentanza, quadri, tappeti, specchi, divani ecc tutti molto preziosi. La casa signorile non ha uno scopo di praticità, e neppure di funzionalità: il piano nobile al primo livello, ogni camera un colore (dalle tappezzerie alle pareti), gli oggetti non sono disposti casualmente ma, dietro ai consigli di diffusi manuali, seguono uno stile unitario. Nelle dimore nobiliari c’erano numerosi bagni con numerosi comfort. Igiene e pulizia divengono sinonimi di ordine e disciplina e sono associate alle classi superiori, in contrapposizione alla sporcizia materiale e morale dei ceti subalterni. La cucina doveva essere grande, in quanto doveva soddisfare le necessità di molti individui, e ricca di utensili, pentole e arredi. Cibo: la domanda non è tanto cosa mangiavano i nobili ma come mangiavano. ELIAS ci fa notare che è in questo contesto che si diffondono le buone maniere a tavola e nella vita quotidiana all’interno di un più ampio processo di civilizzazione. La sua tesi è: in età moderna, fin dagli aristocratici, si assiste a un processo di autocontrollo verso tutte le manifestazioni di impulsi ed emozioni, in particolare crudeltà, aggressività, sessualità. Le regole che informano la vita quotidiana, l’etichetta e il galateo non sono quindi semplici consuetudini o curiosità del passato: modellano il processo di Civilizzazione dell’Occidente e creano regole di condotta appropriate per la vita negli Stati moderni. Le POSATE: il cucchiaio è molto antico, come il coltello ma qui si cerca di evitarne la pericolosità suggerendo di usarlo con attenzione, porgendolo solo dalla parte del manico, impiegando lame arrotondate. Poi la forchetta che appare per la prima volta nel 955 per mano della principessa greca Argillo per le sue nozze. Questo ci fa vedere come si sia costruito lentamente un reticolo di regole e divieti per creare una certa disciplina di comportamento. L’etichetta, a tavola e fuori, era dunque un aspetto tutt’altro che secondario nella vita nobiliare. I ritmi dei pasti erano più o meno: colazione attorno alle 11 o 12 e pranzo alle 18.00. Molti nomi delle pietanze subiscono l’influsso della cucina francese e alcuni di questi vengono italianizzati (ricorda che gli aristocratici di questo periodo parlano correttamente il francese). Per quanto riguarda il tempo libero degli aristocratici, abbiamo già detto che essi si appassionano alle scuderie, alle corse ippiche. In questo periodo entra in scena anche l’automobile, ma loro sembrano preferire le corse a cavallo, perché? Probabilmente preferiscono l’esibizione di arcaismi, oppure si differenziano da quella che sarebbe stata la “moda” del momento per riaffermare la continuità con il passato. Parigi e Londra sono in competizione in quanto ricchezza e potenza. Benjamin nel 1935 valuta Parigi come la capitale del XIX secolo, una capitale moderna, con una nuova sensibilità, più nervosa e instabile, tipica del FLANEUR: una nuova figura che si guarda intorno con lo sguardo dell’estraniamento e, attraverso la folla, vede la città come spettacolo, come fantasmagoria (una fantasmagoria che trova la sua più compiuta realizzazione nel grande magazzino, il marciapiede dove lo spettacolo è finalizzato alla vendita). I PASSAGES, le prime gallerie commerciali apparse a Parigi a fine settecento (Gallerie del Palais Royal) tutto appariva diretto a un consumo spettacolarizzato. Sono luoghi coperti, di passaggio, di lusso, l’ingresso non implicava alcun acquisto, sono luoghi di ritrovo e incontro, dove però la funzione commerciale era inscritta nella stessa architettura. Il richiamo di questi luoghi era affidato anche alla tecnologia: costruiti nell’800 con verro e vetro, lasciavano filtrare la luce bianca di giorno e di sera si illuminavano con l’abbagliate chiarore della luce a gas, che contrastava con al penombra della città. L’idea di passages si diffonde anche in altre metropoli, anche in Italia, dove negli ultimi decenni dell’800 si costruiscono varie gallerie di grandi dimensioni. La più grande galleria del periodo neoclassico è la GALLERIA VITTORIO EMANUELE II costruita da Mengoni tra il 1865 e il 1877. È chiara la volontà di creare un monumento rappresentativo delle ambizioni di una città in crescita, tanto che quando la società privata che aveva iniziato i lavori fallì, fu il comune ad acquisirne la proprietà e ad accollarsi le ingenti spese di realizzazione. Resta significativo il fatto che l’architettura più maestosa creata per dare decoro e prestigio alla Milano borghese non sia stato un monumento civile o un palazzo del governo, ma una galleria commerciale, dove presero subito posto i negozi più prestigiosi della città e i bar alla moda. Il commercio rappresenta un elemento fondamentale nel ciclo dei consumi, per le sue connessioni da un lato con il mondo della produzione, dall’altro con quello dei consumatori. La sua funzione è di mediazione, ma è molto di più: esercita uno specifico influsso sul mondo dei consumi, sulla qualità e quantità delle merci disponibili sul mercato, sui modi e tempi degli acquisti. Oltre alla pubblicità è anche il luogo dell’acquisto che influenza chi compra: fiere e botteghe sono forme antichissime del commercio, che si sono evolute in mercati al chiuso e negozi. Da ricordare: il commesso, il bancone, non c’è l’uso di esporre il prezzo. GRANDI MAGAZZINI: costituisce una unità. Il Bon Marché a Parigi è il prototipo di questa tipologia, il più conosciuto e imitato. Allestito in un grandioso edificio all’insegna della modernità, spalancava al suo interno un sacco di merci lussuose, esotiche e ordinarie con una meravigliosa coreografia di servizi. Presto questo modello si espanderà in tutto il nord Europa. I contemporanei non hanno dubbi: il grande magazzino è una svolta nella storia dei consumi e del commercio. In Italia i fratelli Bocconi (ex commercianti di tessuti di Lodi) aprono a Milano nel 1877 il primo grande magazzino “Alle città d’Italia”. Rinascente: oltre a quello che già si sa, ricordati i cartelloni pubblicitari di Dudovich e la possibilità di far portare a casa gli acquisti. Il prezzo segnato e la possibilità di non acquisto. A Napoli nascevano i principali concorrenti dei Bocconi, “ i Grandi Magazzini Mele” di Emidio Mele. I COMMESSI: precari, stipendi a cottimo, precarietà e limitate possibilità di carriera. Perché sono così importanti? Il g.m. sembra incarnare il mito del progresso e la passione per le novità tra fine 800 e inizio 900: scale mobili, ascensori idraulici, specchi, riscaldamento centralizzato. Le merci vengono continuamente cambiate, trasformate, migliorate. Quindi rappresenta la modernità urbana. Qui si realizza il processo di spettacolarizzazione della merce: la merce è accessibile e visibile in un solo colpo d’occhio. Il contenitore è il luogo fisico del grande magazzino, costruito per affascinare il visitatore per la sua grandezza, ricchezza, comodità e piacevolezza (consumo+divertimento) Ridefinizione dello spazio urbano: si crea un circuito legato al consumo con empori, gallerie, vie commerciali, teatri, caffè, impianti sportivi. Questi sono spazi che appartengono alla borghesia e riflettono i suoi valori e le sue pratiche di consumo. L’ampia crescita di questo settore per effetto dello sviluppo industriale porta nel tempo a una stratificazione della clientela e a un allargamento verso il basso (democratizzazione del lusso) Assomiglia al teatro: lo spettacolo dei grandi magazzini diventa come quello inscenato sulle ribalte teatrali; le artistiche e scintillanti vetrine, come le scene, non fanno trasparire il duro lavoro che c’è dietro; l’aspettativa di un’esperienza piacevole e divertente, è identica. È per questo motivo che viene capito e accettato subito. Capitolo 2 – IL FASCISMO Quadro storico: quasi tutti concordano nel ritenere che il periodo del fascismo il paese diventa industrializzato (alla fine degli anni 30 avviene anche il sorpasso dell’industria sull’agricoltura come valore aggiunto. L’Italia è entrata in una nuova fase economica e culturale. Quali fattori generali influenzano la crescita dei consumi nelle economie moderne? Intanto la crescita del reddito pro capite, cioè un consistente aumento delle risorse economiche a disposizione di ogni famiglia. MA occhio che la crescita del reddito non vuol dire subito aumento dei consumi. In passato i consumi eccessivi erano visti negativamente, ma vediamo cosa cambia: cambiamento notevole delle condizioni di vita (l’urbanizzazione induce una crescita dei consumi commercializzati), molti dei beni e servizi sono più costosi in città per via del trasporto e distribuzione, infine la vicinanza con gruppi sociali differenti inducono a nuovi consumi. Differente composizione sociale e mutamenti nelle redistribuzione del reddito: il fatto che si sia formata una classe piuttosto estesa di lavoratori dipendenti, a scapito di artigiani, commercianti e agricoltori, ha fatto aumentare la propensione al consumo. Progresso tecnologico: il fascino delle nuove merci ha spinto verso consumi maggiori, da un lato, e verso una crescente diversificazione delle merci acquistate, dall’altro. A parte queste caratteristiche è prevalente il carattere politico: quel fascismo che pone fini ai governi liberali, inaugura un regime di propaganda e mobilitazione che gli italiani non avevano visto prima, proclama l’avvento dell’economia corporativa e scende esplicitamente anche nell’arena dei consumi. I consumi sono aumentali meno del reddito: aumentano le quote di spese per la casa, per l’igiene e la bellezza e più di tutte, per beni durevoli e trasporti e si spende meno per il vestiario e calzature. Per quanto riguarda frumento, grano, patate e legumi secchi rimangono nel primato, mentre ortaggi e frutta diminuiscono e resta scarsa la presenza di alimenti ricchi come la carne, lo zucchero e il caffè. Quindi una dieta meno ricca Nelle campagne si attuano vere e proprie battaglie combattute per la nazione: battaglia per il grano, difesa della lira, bonifica integrale. In realtà in un periodo caratterizzato da instabilità e crisi ricorrenti, il fascismo compì nel 1929 una precisa scelta a favore delle industrie, che aiutò con salvataggi, nuovi istituti (come l’Iri), una politica di concentrazione industriale e un accentuato protezionismo che incoraggiava la sostituzione dalle importazioni con prodotti nazionali. Il giudizio degli storici sull’autarchia è negativo perché si è osservato che essa ha favorito alcuni settori a scapito di altri, ha imposto ai consumatori prodotti italiani più costosi oppure surrogati di scarsa qualità (caffeol) . Che il fascismo non vedesse di buon occhio lo sviluppo dei consumi è evidente. Altre erano le sue priorità. Quindi per sostenere l’industria italiana e per controbattere le sanzioni, viene attivata una campagna di sostegno ai prodotti italiani che assegnava un valore aggiunto: l’italianità (comprare italiano era adempiere a un compito patriottico. Quindi la politica si intromette nel mondo dei consumi dicendo alle donne di comprare italiano, di risparmiare sulla spesa e comprare surrogati. L’avanzare delle riviste e delle rubriche porta la donna a sapere tutto di tutto su come si amministra una casa, come si conservano i cibi ecc. La seconda considerazione riguarda i confini di questo nuovo spazio dei consumi: è evidente lo sforzo di creare uno spazio integrato comprendente l’Italia e il Mediterraneo. Nasce la prima guida gastronomica dell’intera Italia, edita dal Touring Club, che presenta il Paese come una sintesi di meraviglie gastronomiche e turistiche, dove ogni regione e ogni paese possono offrire un contributo specifico. Il Sud diviene centrale nell’immagine dell’Italia dei consumi con le sue spiagge, il pesce fresco, la pasta e l’olio. Il treno resta il mezzo più utilizzato, per lavoro e per gli spostamenti privati, comprese le prime vacanze delle classi medie. Il vero mezzo per tutti è la bicicletta e per molti è questa la migliore tecnologia acquistabile. In ambito commerciale abbiamo ancora una vasta rete di piccoli negozi. I negozi alimentari sono i più diffusi ma anche i più poveri. I grandi magazzini che tanto avevano colpito l’immaginazione agli inizi del secolo non hanno avuto espansione e le cose non vanno meglio per le poche catene di negozi specializzati nella penisola. Avendo meno persone che acquistano, il fascismo intraprende una politica di controllo sugli ambienti economici; è del 1926 una legge che stabilisce la necessità di una licenza per aprire un negozio, licenza rilasciata dal comune in base a una valutazione sulla sua effettiva necessità. Una legge affine è stata emanata anche per le fabbriche ma senza troppi risultati. I commercianti sono preoccupati di una novità: i magazzini a prezzo unico. UPIM (unico prezzo italiano Milano) è il primo magazzino, a fascia media, a prezzo fisso inaugurato a Verona nel 1928, si rivolge a una clientela popolarepiccolo borghese, ha arredi interni funzionali, punta su articoli di ampio consumo, si sviluppa secondo una diversa geografia (le cittadine medie). In sostanza consentono ai consumatori colpiti dalla crisi e dalla compressione salariale di costruirsi un variegato paniere di consumi, di minor qualità e prezzo, ma ugualmente rispondente a uno schema di consumi oramai introiettato, a uno standard di vita occidentale. Nel 1931 viene proposta una concorrente: la Standa. Standa è stata una catena italiana di supermercati, attiva dal 1931 al 2012 nel settore italiano dei grandi magazzini di fascia media, il cui marchio è stato oggetto di numerose e profonde trasformazioni societarie. Franco Monzino, lasciando la direzione dell'UPIM e possedendo un capitale di 50.000 lire, insieme ai fratelli Ginia e Italo e Tullio Astesani fonda il 9 maggio 1931 un nuovo magazzino con il nome Magazzini Standard (Società Anonima Magazzini Standard) aperto, il 21 settembre dello stesso anno, in via Torino angolo via Valpetrosa a Milano. Il nome venne modificato nel 1938 in Standa (acronimo per Società Anonima Tutti Articoli Nazionali Dell'Arredamento e Abbigliamento) per volontà di Benito Mussolini, il quale, durante una parata a Roma in Via del Corso, vide l'insegna dei magazzini di Monzino e, visto che le leggi fasciste imponevano di italianizzare tutte le parole straniere, impose il cambio del nome. Capitolo 3 – IL MIRACOLO ECONOMICO. Gli anni 194573 sono l’età d’oro del capitalismo. Il reddito pro capite cresce in tutto il mondo del 2,9 % e ancora di più crescono i redditi nazionali e le esportazioni. Cause del miracolo economico: liberalizzazione dei mercati e l’integrazione dei sistemi produttivi in un unico spazio economico che innescano un flusso di merci e capitali senza precedenti. Altrettanto importante è la politica economica per lo sviluppo all’interno dei singoli paesi anche a livello internazionale. Lo sviluppo consiste essenzialmente in una crescita economica di tipo quantitativo, che porta a un più alto standard di consumi, migliora la qualità della vita, diminuisce la disoccupazione e la conflittualità sociale; pertanto gli obiettivi prioritari sono gli investimenti in capitale fisso e quelli in capitale umano (istruzione, formazione professionale). Un’esplosione di prosperità che, come la Germania postbellica illustra, è alimentata non dall’abbondanza delle materie prime ma dallo stesso processo di produzione e di consumo. Nelle condizioni moderne, non la distruzione, ma la conservazione appare come una rovina perché la durata degli oggetti conservati è il maggior impedimento al processo di ricambio, la cui costante accelerazione è la sola costante che rimanga valida quando tale processo abbia luogo. Inoltre, la generazione del dopo guerra dà vita al baby boom, un piccolo sconvolgimento demografico, che porta a un rapido aumento della popolazione e soprattutto a una crescita delle classi d’età più giovani, bambini e ragazzi. L’altro importante fenomeno demografico è la ripresa dei flussi migratori. Non si tratta più delle imponenti migrazioni di inizio secolo: ora ci si sposta dal sud al nord, dall’Europa meridionale a quella settentrionale, dalle regioni più povere a quelle più industrializzate. L’emigrazione è indotta dal boom industriale che spinge 1,7 milioni di persone ad abbandonare le campagne per cercare una occupazione nelle fabbriche. L’emigrazione è indotta dal boom industriale che spinge 1,7 milioni di persone ad abbandonare le campagne per cercare una occupazione nelle fabbriche o nel piccolo commercio. Questo porta a un mutamento nel profilo demografico dell'italiano medio: la presenza di giovani e di nuove coppie che si sposano, hanno figli, creano una famiglia nucleare, vivono in luoghi geografici lontani dalla famiglia originaria e si spostano con facilità, dà vita a una forte domanda di beni di consumo. Oltre al cambiamento economico e sociale c'è un cambiamento culturale: dopo il periodo passato a risparmiare, la gente era convinta di poter avere una vita piena di cose. Nell'Italia del miracolo economico era venuta l'ora di comprare la felicità. Magari per via della diffusione di un modello di benessere individualistico, dove il consumo privato è il vero segno del successo e dell'integrazione sociale; o magari perchè le premesse culturali di un consumo di massa erano state già poste durante il fascismo, senza che ci fossero i mezzi per il loro effettivo appagamento. Assistiamo ad un cambiamento di dieta: scendono gli alimenti "poveri" come il risone, i legumi secchi, il lardo e lo strutto, la carne ovina e salgono i consumi di alimenti "ricchi" prima troppo costosi e riservati alla élite. Rispetto agli anni Trenta, raddoppiano tutti i prodotti caseari (latte e formaggio) e le uova;cresce il consumo di vino e di birra, la carne bovina, lo zucchero e il caffè. Quello che ci troviamo davanti è un consumatore che apprezza una dieta ricca e variata, con molti alimenti dolci e calorici, e con un alto consumo di prodotti freschi. La principale novità tra gli acquisti è la presenza di beni durevoli nelle famiglie: frigorifero e televisioni, più avanti la lavatrice e l'automobile, quindi poi l'aspirapolvere, la motocicletta e la lavastoviglie. Ovviamente per fare questo discorso di preferenze si deve tenere conto della classe sociale di cui le persone fanno parte: le persone più povere privilegiano il televisore rispetto al frigorifero. Acquistando molto di più beni durevoli diminuiscono i consumi alimentari. Questo periodo viene visto come "miracolo economico e boom economico", anche le testimonianze orali di oggi ci rimandano a un tempo felice di solidarietà umana ora perduta, di nuovi consumi carichi di significato, di realizzazioni personali. C'è bisogno di fare un po' di chiarezza, perchè ci fu un lungo dopoguerra segnato da un tenore di vita modesto e da scarse speranze di cambiamento, ma il miglioramento avvenne in ritardo rispetto ad altri paesi europei (il miglioramento infatti in Italia avviene a fine anni Cinquanta) e quando avvenne fu selettivo. Questo è il punto centrale, non riguardó tutti. Le famiglie dei ceti medi spendono tre volte di più rispetto a quelle operaie per l'auto, il telefono e la tv. Quindi, nel pieno del miracolo, è la classe media a migliorare rapidamente i suoi consumi, mentre operai e agricoltori restano in gran parte esclusi (soprattutto nella zona meridionale). Milano, Torino e Genova sono le mete più comuni per i treni della speranza di un futuro migliore. Il passaggio da una cultura contadina a una cultura urbana: gli immigrati non lasciano indietro solo una grande casa contadina, ma una struttura organizzata su gerarchie ben definite, lasciano una economia legata all'autoconsumo, oltremodo non si allontanano da cibi familiari serviti in ampie cucine, abiti semplici, ben differenziati tra quelli per il lavoro e quelli per la festa. La provenienza di questi immigrati è varia: moltissimi sono ex salariati agricoli, piccoli proprietari rurali. Le prime ondate sono soprattutto giovani uomini, ma presto seguono donne e bambini. Questi immigrati al nord non vivono un balzo traumatico, perchè in fondo trovano ospitalità da amici o parenti partiti prima di loro. C'è sostegno che ricrea luoghi e spazi di sociabilità legati alla memoria di origine. C'è una cosa che attira subito l'attenzione, racchiude tutti i significati attribuiti alla mobilità e diviene simbolo del "sogno italiano": l'automobile (o meglio, l'utilitaria Fiat 600 che appare nel 1955). Gli immigrati, comprandola, aderiscono ad uno status symbol, tornano a casa per le vacanze con il segno della vittoria, del successo di una vita piena di cose. Con l'auto non si tratta di passare da un prodotto all'altro, ma di modificare valori e atteggiamenti di cui quel particolare prodotto è espressione. L'automobile è l'icona del nuovo paesaggio urbano e industriale della contemporaneità; esprime mobilità spaziale e sociale; afferma il valore dell'individualità; inaugura nuove modalità di consumo diffuso, ecco che si sollevano critiche e obiezioni. L'auto rappresenta la velocità e quindi è pericolosa, velocità che si contrappone alla lentezza contadina, velocità che provoca morti dando la colpa ad automobilisti smodati, quindi si cercherà di esorcizzare i pericoli con la benedizione di Santa Rita. Secondo alcuni storici gli anni Cinquanta/Sessanta sono stati centrali nella costruzione di nuove identità maschili, perchè la sua costruzione della realtà che prelude a un futuro impegno sociale e politico. Le industrie vedono nei giovani nuovi potenziali clienti e iniziano a produrre beni specifici per le loro esigenze (bibite, dolciumi, sigarette, motociclette ecc.). La maggiore ricchezza materiale e l'ostentazione dei beni di consumo sono certamente forti incentivi ai reati, così come l'aumento delle leggi conseguente a una vita sociale sempre più regolamentata fa aumentare le infrazioni alla legge. I giovani, da part loro, vedono le cose molto diversamente. Il loro comportamento è un modo per esprimersi come soggetti, per divertirsi e stare insieme. La loro identità trova una prima costruzione intorno ad alcuni oggetti e intorno ad alcuni luoghi. La cameretta è il primo luogo: diverso dalla casa, posto dove sottrarsi agli sguardi dei genitori, dove leggere, studiare, ascoltare musica ecc. però lo spazio giovanile è soprattutto nondomestico, fuori (vanno al cinema, fanno un giro con la Lambretta, giocano a flipper in un bar, ascoltano musica da un jukebox). La musica è il vero linguaggio dei giovani, è il momento dei boogie woogie, dei Beatles, del Twist and Shout. Presto arriva anche in Italia il movimento hippy con il suo gusto per l'esotico e l'orientale, e si diffondono camicie, casacche, pantaloni, gonne, bandane, tutto a fiori. L'abbigliamento mostra chiaramente la ricerca di nuovi modelli estetici, oltre che politici, insegue il diverso, l'antitradizionale come forma espressiva autonoma, rifiuta rigidità nel vestiario come quelle sociali. Ci sono alcuni consumi che non sono approvati dalla società ed alcuni consumi non sono leciti, ad esempio le case chiuse ( abolite con la legge Merlin nel 1958), la droga. È negli anni Cinquanta che avviene un fatto nuovo nel dibattito pubblico e in quello politico: compare la parola "consumi". Non che prima non fosse esistente questo concetto prima, ma ora assume una centralità rilevante. Tornando al consumo della tv, capiamo che questa non è vista dai contadini come un consumo superfluo e opulento, ma come un bene che consente una migliore conoscenza del mondo, un modo per ascoltare l'italiano e per poterlo imparare. Un secondo aspetto che emerge è che sulle trasmissioni più diffuse c'è un continuo dialogo: si parla, si discute, si ricorda, si ripetono insieme frasi e motivi musicali. Nuovi consumi culturale stimolano la comunicazione e nuove forme di socialità fra gli spettatori. Risalta infine la centralità del divertimento: una centralità che riflette forse una nuova valorizzazione dell'individuo e delle sue necessità, rispetto alla tradizionale etica fondata solo sul dovere del lavoro e il valore del sacrificio. Quindi, per tornare a quello che si diceva prima, abbiamo una nuova cultura del consumo. È una cultura che nasce dai nuovi oggetti, si sviluppa sul piano della quotidianità, investe famiglie e individui, forma identità trasversali, crea differenti priorità di valori, dà voce a nuovi soggetti, inventa linguaggi e simbolismi. È questa cultura che spiega perchè gli italiani acquistano nuovi beni di consumo seguendo modelli di comportamento simili a quelli di paesi più ricchi. Rivoluzione studentesca del 1969: gli studenti scendono in strada per manifestare, parlano di diritto allo studio, chiedono di cambiare i corsi di studio obsoleti, di educare in maniera non nozionistica, di sostituire insegnanti autoritari,d i sganciare lo studio dal "sistema di potere" vigente. La crescita dei consumi privati e il lancio di nuovi prodotti sul mercato spingono molte più imprese a utilizzare forme pubblicitarie; in realtà, è qualcosa di più, è lo spostamento da una strategia industriale principalmente incentrata sul prodotto a una più attenta al lato della vendita, al mercato. È insomma il trionfo di quel complesso di politiche relative alla vendita che comprendono ma non si limitano alla pubblicità, coinvolgendo prezzi, modalità di vendita, marca, studi sui consumatori e via dicendo, che vanno sotto il nome di marketing e che dall'America si diffondono in tutta Europa. Il risultato è che l'aumentano gli studi e analisi che la definiscono come specchio o stimolo dei cambiamenti, meccanismo di suggestione, incanto, manipolazione. Ci sono più pubblicità di automobili costose che di beni comuni poco costosi. Inoltre iniziano a formarsi seriamente con compiti ben precisi le agenzie pubblicitarie (Armando Testa a Torino, la Thompson a Milano). Numerosi sono stati gli studi psicologici riguardo la pubblicità. Si riteneva che il manifesto dovesse colpire il consumatore grazie a un messaggio forte e continuamente ripetuto, di modo da esercitare un grande potere persuasivo. L'effetto dipendeva quasi tutto dall'efficacia dello stimolo, il ricevente era facilmente condizionabile. Dopo di ché questi studi si sono evoluti dando al consumatore un ruolo non più passivo ma attivo (filtrava i messaggi, prende consapevolezza di ciò che vede). La cucina degli anni Sessanta è molto diversa da quella di inizio secolo: tutti gli alimenti hanno una marca e sono tutti ben riposti negli armadietti. È interessante come le strategie commerciali prestino molta attenzione al genere e all'età. I prodotti per cucinare, finiti o più spesso semilavorati (conserve, condimenti, paste secche, lieviti, preparati per torte e budini), sono decisamente indirizzati alla casalinga. Sono identificati da un packaging "tecnico", comunicativo e funzionale, usa e getta. I prodotti dolciari sono invece dedicati ai bambini: lo mostrano le promozioni pubblicitarie, spesso con pupazzi e cartoni animati, le confezioni vivaci e colorate in cartone o derivati plastici; sarà solo dagli anni SettantaOttanta che il comparto dolciario, il secondo per importanza nell'alimentare, cercherà una maggiore crescita fra i consumatori adulti. I bambini non devono essere privati di qualcosa, devono mangiare ed essere felici. Vi sono poi prodotti alimentari che si indirizzano ai giovani: i gelati Algida, gomme da masticare Brooklyn. Nel frigo regna il fresco a discapito di alimenti secchi e quindi troviamo pesce (poco) e carne già tagliata. C'è persino la Coca Cola e il latte conservato in tetrapak. Rispetto alla vecchia dispensa, troviamo qui vari cibi industrializzati e di marca. Questo passaggio porta a prodotti più standardizzati per forma, colore e sapore; tutti gli odori forti sono scomparsi. I nuovi prodotti, spesso mirati selettivamente a una certa clientela, non soppiantano del tutto le tradizioni culinarie; l'accresciuto consumo di zuccheri e carne non scalza la pasta dalla dieta quotidiana. Anzi, l'industria valorizza prodotti alimentari tipici, in particolare quelli meridionali, e li lancia sul mercato nazionale. Qui inizia la sua storia la "dieta mediterranea", proposta nel 1962 dal nutrizionista americano Angel Keys (meno proteine, più carboidrati, frutta e verdura). DESIGN: nel momento in cui le lampade di Artemide, le sedie di Cassina, la Bialetti, gli attrezzi da cucina di Kartell entrano in casa, questa casa acquista significato attraverso le forme del design industriale. Le origini del design sono da ricercare negli anni 5060, quando gli architetti contemporanei a Gio Ponti collaborano sempre più con piccoli produttori semi artigianali e grandi imprese o creano essi stessi nuove società: la parola d'ordine è coniugare creatività e produzione di serie. Si afferma una tendenza estetica basata sull'essenzialità delle forme e il rigore del disegno, che abbatte i costi ed esalta il contenuto tecnologico e i materiali dell'oggetto. È l'italian design di Castiglioni e molti altri. I designer progettano oggetti per la vita quotidiana che modificano l'estetica del paesaggio domestico, valorizzando insignificanti oggetti d'uso comune e trasformandone il significato all'interno dell'ambiente. SUPERMERCATI. Nella seconda metà degli anni 50 gli americani impongono la loro strategia che punta una diffusione internazionale dell'American way of life. Nel 1956 a Roma il dipartimento dell'agricoltura USA fa costruire un supermercato di mille metri quadri. Perchè? Perchè favorendo la costruzione di questi spazi gli USA sono in grado di assicurare beni di consumo in quantità e qualità superiori a chiunque altro: i bisogni e i desideri della gente comune nella sfera della vita quotidiana sono altrettanto importanti per l'amministrazione usa. La sua spettacolare esposizione di ogni prodotto, a portata di mano, è un po' l'incarnazione dell'idea di un benessere e un'abbondanza senza limiti; inoltre costituisce un nuovo importante spazio di consumo che trasforma abitudini e routine quotidiane. Tradizionalmente si indica nel King Kullen di Long Island (1930), il primo supermercato moderno, in Europa si diffondono nel secondo dopoguerra, quando importanti catene di negozi alimentari (Tesco e Sainsbury, aziende inglesi) adottarono il sistema americano, più efficiente e gradito al pubblico. In Italia le cose sono più complicate, abbiamo già visto le difficoltà e i ritardi nello sviluppo di grandi magazzini ed empori a prezzo unico. All'inizio degli anni 70 il mondo del commercio è ancora decisamente caratterizzato dalla rete di piccoli negozi che ha conosciuto una nuova espansione con le migrazioni interne (molti trovano occupazione qui e non nelle grandi fabbriche). nuovo ruolo della pubblicità è potenziato dalla comparsa delle televisioni private che, con una strategia abile e pragmatica, promuovono un forte sviluppo degli investimenti pubblicitari. Il gruppo Fininvest di Berlusconi già nel 1984 si configura come un’impresa di rilievo con tre canali nazionali, una società di produzione, una per la gestione della rete di trasmissione e infine una per la pubblicità (publitalia ’80). Il consumo tv raggiunge in Italia picchi elevatissimi e passa dalla visione familiare a quella individuale. Il tasso di natalità cala e la dimensione della famiglia va sempre più riducendosi. La famiglia cambia culturalmente e tipolgicamente, e sappiamo che contemporaneamente cresce l’attesa di vita media, determinando l’invecchiamento della popolazione. Se all’inizio del Novecento potevamo notare benissimo se fosse stato un contadino o un commerciante ora è un po’ più difficile. Le persone scelgono il loro modo di essere, e i consumi esprimono le loro scelte. Consideriamo il trentennio 19732003, durante il quale i consumi delle famiglie continuano a crescere, il primo dato eclatante è la diminuzione delle spese alimentari, che passano dal 38 al 20 %, con una discesa continua, particolarmente accentuata negli anni Ottanta. La “nuova” dieta della famiglia italiana è sempre meno a base di carne; ad essa susseguono fruttaverdura e panecereali, più distanziati latte e formaggi, pesce, bevande, zucchero e caffè, oli e grassi. Si tratta di un forte riequilibrio quantitativo e qualitativo: qualitativo per lo spostamento verso una dieta più vegetariana e più variata; quantitativo perché l’Italia negli anni Novanta si avvicina a modelli di tipo nordeuropeo (GB, Germania, Olanda, Francia) con bassa incidenza percentuale del cibo sui consumi totali. Anche l’immigrazione di stranieri ha influenzato la percezione del paesaggio urbano. Nelle città sono fioriti negozi, supermercati e ristoranti di varie etnie: rappresentazioni di culture lontane materializzate fisicamente nello spazio cittadino. Anch’esse sono responsabili, insieme al turismo e i media, della scoperta della cucina internazionale e del gusto “etnico” e contribuiscono a integrare nel paesaggio dei consumi quello che una volta era solo qualcosa di “esotico” e “diverso”. In conclusione, in questo periodo i consumi sono aumentati e si sono diversificati merceologicamente: abbiamo tutti più cose e cose diverse, a volte siamo spinti a comprare un oggetto dietro l’altro. Ma nel tempo è mutato il loro significato culturale. Alcuni beni che avevano il sapore dell’eccezionalità o del lusso si sono trasformati in oggetti comuni o comfort necessari grazie al loro inserimento nella nostra vita quotidiana. Tecnologia. Il computer viene visto con due facce della stessa medaglia: uso ludico per i figli/uso educativo e lavorativo per i genitori. In Italia la diffusione del computer, presente nel 2005 in più del 40% delle famiglie, risente fortemente delle differenze di genere e d’età. Questo principale strumento di comunicazione tecnologica e simbolo di una nuova era, abbia uno schema di diffusione simile a quello che a suo tempo ha avuto l’automobile: simbolo del miracolo economico e da tutti desiderato, si diffuse solo progressivamente nella società italiana nel giro di diversi decenni. Il vero “stampo” è stato il cellulare, che nel 2005 era posseduto dal 78% degli italiani. Ha provocato una vera e propria rivoluzione della comunicazione, soppiantando l’apparecchio fisso, che invece aveva impiegato molto tempo ad affermarsi rispetto agli standard europei: ha aperto l’accesso al mondo della comunicazione globale. Prodotti nuovi non sono apparsi solo nel settore tecnologico, ma un po’ in tutti i settori del consumo: nell’industria alimentare si affacciano prodotti salutari, barrette nutritive ecc. inoltre prodotti a marchio Dop (prodotti della tradizione gastronomica italiana) e prodotti molto strani (prodotti OGM). Alla fine del Novecento c’è un’ondata di ansietà riguardo al cibo: avvelenamenti, cibi non sani, non naturali. Malattie e scandali fanno il resto, contribuendo a un sempre più diffuso desiderio di “ritorno alla natura” e alla rivalutazione di alimenti semplici e non sofisticati (movimento Slow Food). Attraverso la pubblicità del prodotto si cerca di rassicurare il consumatore. La scommessa ora è di portare buoni alimenti alla gran parte dei consumatori, superando lo scoglio della distribuzione che è da sempre il problema centrale dei piccoli produttori, e a un prezzo competitivo. Saranno i consumatori alla fine a operare un loro personale mix di scelte, rispondente alle loro esigenze, fra prezzi e tipologie di prodotti diversi. Il consumo non si esaurisce con l’atto di comprare e utilizzare il prodotto, ma prosegue nello scarto residuo, con conseguenze altrettanto gravi sull’ambiente fisico circostante. Il problema dei rifiuti e dell’inquinamento sono reali e non ci sono facili soluzioni. I nuovi luoghi di consumo come Las Vegas o Disneyland, dice Ritzer, servono a re incantare il consumatore ormai assuefatto a consumi iperrazionalizzati, ovvero omogenei, prevedibili, il cui simbolo perfetto sono gli hamburger di McDonald’s: uguali in ogni negozio, preparati con lo stesso identico metodo, serviti nello stesso modo. Ecco perché si devono inventare sempre nuove modalità per affascinare i clienti. Quindi gli ultimi sviluppi di luoghi del commercio sembrano andare proprio nel senso della spettacolarizzazione. I centri commerciali apparti negli Usa nei primi decenni del Novecento, ma che assumono un assetto preciso solo nel secondo dopoguerra, quando vengono create strutture commerciali lontane dalle città. Nel 1956 l’architetto Victor Gruen costruisce una struttura unica in grado di contenere tutti i negozi, con aria condizionata e molto verde: è il Southdale Center di Edina, il primo mall. Lui puntava a ricreare l’atmosfera della città: sembra un centro urbano con tanto di vie, e piazzette con bar e ristoranti. È una città ideale, un simulacro, come direbbe Baudrillard. La Mall of America è il più grande centro commerciale degli Stati Uniti. In Europa i centri commerciali arrivano più tardi, in Italia non prima degli anni Settanta. A volte i centri commerciali sorgono intorno a una nuova formula, l’ipermercato, una megastruttura periferica che offre insieme alimentari e altro con prezzi abbordabili. Questi erano nati nel 1963 in Francia con Carrefour, seguito da Auchan. Si recuperano vecchi porti, fabbriche e magazzini dismessi. La presenza dei centri commerciali incide profondamente sul paesaggio urbano, ne cambia la geografia e i riferimenti gerarchici. Caratteristiche: richiamo alla natura con fiori, piante, laghetti; momento spettacolare e ludico dello shopping. In Italia la grande distribuzione organizzata assume dimensioni di rilievo solo a partire da metà anni Ottanta, in concomitanza con la ripresa economica e la diffusione dei consumi fra tutte le classi sociali. Altra formula statunitense sono i factory outlet, negozi controllati direttamente dai produttori che offrono al pubblico le rimanenze di merci di marca, quelle che una volta finivano sulle bancarelle o nei canali di vendita secondari. Si sono sviluppati negli anni Settanta e rispondono al desiderio dei consumatori di acquistare merce firmata d’occasione, magari della stagione precedente, e alla volontà delle imprese di salvaguardare immagine e quote di mercato. Il primo outlet italiano ha aperto nel 2000 a Serravalle Scrivia (somiglia ad un centro storico ligure del Settecento) ed è il più grande d’Europa. Tutti questi luoghi hanno una logica inclusiva, sono pensati per accogliere sempre più clienti e allargare a tutte le classi sociali i consumi anche più elitari; ma a guardar bene è presente anche una logica del tutto opposta, cioè esclusiva, che punta sulla differenziazione e la valorizzazione degli stili di vita di particolari segmenti di pubblico. In altri casi c’è il concept store: negozio tematico: per comunicare la marca e la filosofia aziendale si creano spazi che concretizzano una certa atmosfera, uno stile di vita, adottano una narrativa. Negli Show room le cose cambiano, l’elemento chiave è la distanza per valorizzare le merci preziose.