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Riassunto La bibbia al rogo - G. Fragnito, Appunti di Numismatica

Riassunto La bibbia al rogo - G. Fragnito

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 25/09/2022

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Scarica Riassunto La bibbia al rogo - G. Fragnito e più Appunti in PDF di Numismatica solo su Docsity! LA BIBBIA AL ROGO – G. FRAGNITO CAPITOLO 1 La riforma e le traduzioni della Bibbia 1. La grande stagione delle traduzioni Nel 1546 durante il Concilio di Trento si svolse il dibattito intorno alle traduzioni in lingua volgare della: Sacra scrittura. Tra i vari argomenti avanzati a favore o contro la loro legittimità venne evocata la diversità delle tradizioni nazionali. Alcuni padri osservarono che: - Mentre in Spagna e in Francia: l’accesso alla Bibbia negli idiomi materni era stato vietato da molti anni - In alti vi era un uso consolidato di lettura del testo sacro nelle versioni in vernacolo (in dialetto di quel posto)  tra cui Italia, Germania e Polonia. A questa disparità di situazioni si appellarono i Legati per evitare: - Sia che lo scontro fra fautori e avversarsi delle traduzioni assumesse dimensioni incontrollabili - Sia che una deliberazione conciliare, favorevole o contraria, suscitasse le reazioni di quelle nazioni cui, contro le normative, venisse rispettivamente imposto il divieto o la liberalizzazione dell’accesso alla Sacra scrittura La questione della volgarizzazione della Bibbia fu per il momento accantonata. Ma un dato interessante però ci mostra come l’Italia a metà del 500 era annoverata tra i paesi europei in cui vi era una diffusa pratica di lettura del testo sacro. L’interesse principale degli studi sulla vita e sulla cultura religiosa del 500 per: - la ricostruzione delle vie e delle modalità di penetrazione del pensiero dei riformatori - e delle peculiari forme ed espressioni della sua ricezione nella penisola ha, necessariamente, privilegiato la documentazione di origine inquisitoriale. Il collegamento tra: - propagazione delle dottrine d’oltralpe - proliferazione delle traduzioni della Bibbia - moltiplicazione dei suoi lettoni non poteva che uscire fortemente rafforzato. Si è finito in tal modo coll’adottare la stessa ottica deformata che il Sant’Ufficio riuscì ad imporre alla Chiesa di Roma: - le versioni della Scrittura nelle lingue parlate erano all’origine dell’espandersi dell’eresia. Che una forte domanda ci fosse stata molto prima della comparsa sulla scena europea di Lutero lo ha dimostrato di recente Edoardo Barbieri nella sistematica indagine sulle edizioni a stampa quattro e cinquecentesche della Bibbia in italiano. Infatti la prima traduzione del testo integrale della Bibbia ad opera del monaco camaldolese Nicolò Malerbi: conobbe entro la fine del secolo non meno di nove ristampe, di cui tre arricchite di innumerevoli illustrazioni. Se alle dieci edizioni del Malerbi si aggiunge la cosiddetta Bibbia d’ottobre (una versione anonima uscita a Venezia): - l’Italia con undici edizioni si colloca alla fine del 400 al secondo posto, dopo la Germania, nella produzione di Bibbie in volgare. All’immediato successo seguì una progressiva contrazione della domanda che toccò i limiti più bassi tra il 1500 e il 1530: la produzione si era dimezzata. Non vi è dubbio che responsabili di questo calo siano state: - sia la saturazione del mercato a seguito delle numerose edizioni quattrocentesche - sia le difficoltà incontrate nel reperire i capitali per un’impresa editoriale, quale la stampa del testo biblico, che necessitava di investimenti di una certa rilevanza, in anni in cui Venezia fu coinvolta nelle guerre che sconvolsero la penisola. Ma non bisogna escludere che questo declino fosse determinato anche da motivazioni di ordine culturale: - da un lato la nuova dignità data al toscano con il recupero della grande tradizione letteraria volgare da parte di Aldo Manuzio e Pietro Bembo - dall’altro i progressi della filologia biblica dovevano palesare a lettori dai gusti più raffinati e dalle esigenze più critiche tutta l’inadeguatezza e l’arretratezza della traduzione malerbiana. Solo nel 1532 uscì a Venezia, tramite Lucantonio Giunta, la versione integrale della Bibbia del fiorentino Antonio Brucioli. Pur non soppiantando quella del Malerbi: 2. I volgarizzamenti prima di Lutero Si è soliti collegare: - l’intensificarsi, a partire dal quarto decennio del 500, delle traduzioni - il moltiplicarsi della Bibbia e del Nuovo Testamento in volgare = alle ripercussioni in Italia della Riforma protestante e all’importanza assegnata dai suoi maestri alla conoscenza diretta e personale della Sacra Scrittura. Ma ad un’analisi meno superficiale sembra esservi all’origine di questa impennata della produzione ragioni assai più complesse: - che non consentono di interpretare il fenomeno solo come la risposta del mercato ad una domanda fortemente accresciuta in seguito alla penetrazione nella penisola delle idee riformate o alla diffusione degli scritti di Erasmo. Questi nel 1516 aveva insistito sulla necessità di rendere la Sacra Scrittura comprensibile a tutti gli strati della società, come aveva fatto Malerbi nel 1471. Il monaco aveva auspicato una divulgazione della Parola che non conoscesse barriere, rendendo la sua iniziativa di carattere “rivoluzionario”. Innanzitutto: - essa veniva a colmare una grave lacuna  grazie alle sue traduzioni integrali era riuscito a contribuire al processo di familiarizzazione dei fedeli con la Sacra Scrittura e a fare loro apprezzare la novità della disponibilità di una traduzione completa. Il successo di questa traduzione è testimoniato dalle 15 edizioni stampate prima del 1520 - anno in cui a Venezia cominciarono a diffondersi notizie sulla rivolta di Lutero e i suoi primi scritti – a merito del quale si faceva più intensa la necessità di iniziare un numero crescente di laici digiuni di latino alla lettura della Bibbia. Le pratiche di comunicazione contribuivano a moltiplicare il numero di fruitori di un singolo esemplare. Stando a questi dati, si può ipotizzare che la traduzione del Malerbi abbia conosciuto una discreta diffusione. Notiamo un’attenzione con cui si guarda da qualche anno anche in Italia al libro come mezzo di diffusione della cultura e come strumento indispensabile alla conoscenza della mentalità di una società nelle sue diverse stratificazioni. È impossibile individuare il posto occupato dai volgarizzamenti biblici nelle biblioteche del tempo. Una fonte, seppur limitata, giunge dai: - 582 inventari post mortem dei libri dei fiorentini redatti per il Magistrato dei Pupilli (1413-1608). Si nota che testi completi della Bibbia in volgare anteriori alla prima edizione a stampa erano rarissimi. La presenza di traduzioni bibliche non s’infittisce nemmeno per effetto della Riforma. Tuttavia, se a mancare sono le Bibbie e i Nuovi Testamenti, di certo si registra una intensa diffusione: - dei Vangeli - di singoli libri della Scrittura - di testi sulla materia biblica Per quanto scarsamente significativi per chi si prefigge di disegnare una linea evolutiva dei volgarizzamenti biblici all’interno delle biblioteche fiorentine tra il 400 e il 600, gli inventari del Magistrato dei Pupilli documentano il netto predominio dei libri del Nuovo Testamento, rispetto all’Antico. Questa predominanza dei testi di devozione dai contenuti biblici rispetto alle traduzioni della Scrittura può trovare una spiegazione: - sia nella circostanza che, accostarsi ai libri sacri era ancora alla portata intellettuale di pochi - sia che i costi di un esemplare manoscritto o a stampa erano accessibili a pochi Gli inventari evidenziano, inoltre, come le vie di accesso alla Scrittura fossero molteplici e passassero attraverso una ricchissima varietà di scritti. Spesso tradotti con intenti didattici in versi facilmente memorizzabili, questi testi che risalivano talvolta al 300 consentivano al fedele di entrare in contatto con più o meno consistenti frammenti della Bibbia. È altrettanto ipotizzabile che, fino all’apparizione delle versioni italiane cinquecentesche: - più dignitose stilisticamente - e corrette filologicamente le minoranze colte dipendessero per la conoscenza della Sacra Scrittura dalla Vulgata latina, piuttosto che dalla traduzione malerbiana. I due canali di accesso alla Parola divina, dovettero a lungo correre paralleli, per poi finire con l’intrecciarsi. È opportuno soffermarsi su due tipi di istituzioni: - i monasteri femminili - le confraternite all’interno delle quali s’intravede una penetrazione: della Sacra Scrittura, traduzioni della Bibbia, del Nuovo Testamento, e dei Salmi, oltre ai lezionari presenti nelle biblioteche comuni, ma anche nelle singole celle. Ciò testimonia un rapporto diretto e personale delle religiose con la Scrittura, cui non rinunciarono neppure dopo il 1559 quando i divieti iniziarono ad abbattersi sui volgarizzamenti. Tra le confraternite invece, spicca l’inventario dei libri della Compagnia dei Disciplinati di Santa Maria della Scala di Siena, redatto nel 1492, insieme quello della Confraternita di San Girolamo di Perugia, nel 1458. Se il corpus di testi biblici nutrito come quello delle due confraternite non sembra essere stato comune ad altre confraternite disciplinate o devozionali: - la lettura della Sacra Scirttura al loro interno non doveva essere del tutto inconsueta. Il fatto che le autorità ecclesiastiche, informate di queste pratiche di lettura, non siano intervenute immediatamente per reprimerle lascia pensare che si trattasse di pratiche accettate, prima che la Riforma ne venisse a modificare radicalmente lo spirito. 3. La Chiesa di fronte alla Scrittura in volgare Nonostante le lacune: - documentarie - storiografiche impediscano una precisa collocazione dei volgarizzamenti biblici, appare però evidente che, comunque, le traduzioni circolavano, segno che nessuna interdizione le aveva colpite né prima, né dopo Gutenberg. Roma non emanò condanne neppure nel momento in cui: - nell’ultimo quarto del XII secolo, i Poveri di Lione, più noti come Valdesi, con le loro traduzioni della Sacra Scrittura aprirono la secolare partita tra Chiesa e volgari. Occorrerà attendere il Concilio di Trento, perché il problema della liceità delle traduzioni bibliche fosse affrontato da una assise ecumenica e fosse da esso accantonato, per essere definitivamente e negativamente risolto solo nel 1596. - Invitava il credente a una più raccolta e più intima religiosità - Fondata sullo studio e sulla meditazione delle Sacre Scritture contrapposta alle pratiche collettive di pietà È assai probabile che nell’area veneziana la devotio moderna abbia esercitato un ruolo nella promozione della traduzione della Scrittura e della sua lettura da parte dei fedeli. Quest’intimo collegamento tra oralità e scrittura era destinato a trasformare molti ascoltatori in lettori e consumatori di traduzioni bibliche, mettendo in crisi: - la mediazione clericale tra testo e fedeli - la tradizionale netta distinzione tra chierici titolari del sapere e laici oggetti passivi dell’istruzione Questa abitudine a “prepararsi la predica” dovette essere fortemente incrementata: - dal progressivo distacco della predicazione dai temi scolastici - dalle sottili e cavillose questioni teologiche per avvicinarsi ai testi scritturistici. D’altronde non era su un terreno incolto che i predicatori “luterani”, fin dall’inizio del terzo decennio del secolo, cominciarono a diffondere il nuovo messaggio evangelico, trasformando le denunce contro la Chiesa, che da anni alimentavano la predicazione profetica, in una requisitoria ben più minacciosa contro una religiosità formalistica, fondata sul proliferare del culto dei santi e delle reliquie, su meccaniche devozioni e mortificazioni, su puerili superstizioni, contro una pietà che si era allontanata dalle fonti autentiche della Rivelazione. L’insistito richiamo ai vangeli ed alle lettere paoline nel trattare dai pulpiti dei grandi tempi della salvezza, e il seguito di discussioni e dibattiti che la predicazione “eterodossa” accendeva e che dal chiuso dei chiostri dilagavano su piazze, nelle case, nelle botteghe, moltiplicò inevitabilmente una domanda di conoscenza diretta della Scrittura da parte dell’uditorio. Ma a divulgare il messaggio evangelico non erano solo religiosi eterodossi. Infatti autorità civili e religiose, di fronte ad una domanda incontenibile di Sacra Scrittura, non si limitarono a reprimere la predicazione eterodossa, ma cercarono anche di proporre delle alternative. Il proliferare di predicatori eretici spinse la Signoria di Venezia ad ingaggiare nel 1532 il domenicano fra’Zaccheria da Fivizzano: perché tenesse letture sulla Sacra Scrittura. Questo esplicito collegamento tra: - diffusione dell’eresia - diffusione della Scrittura in volgare avrebbe fatto lunga strada. Di questa indiscriminata sete di conoscenza biblica, che la propagazione delle dottrine riformate aveva indiscutibilmente acuito: - sia in chi vi aveva aderito - sia in chi intendeva rimanere ma consapevolmente e criticamente, nel grembo della Chiesa di Roma, si avvide non soltanto Brucioli ma anche Lucantonio Giunta, stampatore delle sue prime edizioni bibliche. La voglia di interloquire nelle cose della fede: - facilitata dalla proliferazione di traduzioni bibliche - sollecitata dalla predicazione si era, infatti, estesa a segmenti della società per solito esclusi da una partecipazione attiva alle problematiche religiose: come ad esempio le donne. Se gli eterodossi hanno consegnato agli atti del Sant’Ufficio queste testimonianze sulle loro letture bibliche, i lettori ortodossi – che si avvicinarono alla Scrittura, oltre che per nutrire la loro fede, anche allo scopo di intervenire in quelle discussioni e in quei dibattiti che animarono la vita cittadina della prima metà del secolo e di contestare le dottrine innovatrici dei loro interlocutori – non hanno lasciato tracce documentarie. La storia complessa di questa lunga battaglia conclusasi nel 1596 con la loro disfatta, ebbe inizio a Trento nel 1546. CAPITOLO 2 La Sacra Scrittura in volgare nell’indice di Paolo IV (1559) e nell’indice tridentino (1564) 1. L’indice di Paolo IV Il problema delle versioni bibliche nelle lingue vernacole venne affrontato per la prima volta ufficialmente al: - Concilio di Trento  tra febbraio ed aprile del 1546, nell’ambito del dibattito sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione. Tale problema fu sollevato dal vescovo di Aix-en- Provence: Antoine Filheul Fin dalle prime battute si delinearono due schieramenti contrapposti: - l’uno guidato dall’arcivescovo di Jaèn, il cardinale spagnolo Pietro Pacheco: profondamente ostile alle traduzioni della Sacra Scrittura nelle lingue volgari - l’altro che si riconobbe nel vescovo di Trento, il cardinale Cristoforo Madruzzo: favorevole alla loro diffusione tra i fedeli. Di fronte al carattere acceso che stava assumendo il confronto, i Legati del Concilio ritennero più prudente non menzionare nel decreto sulla Vulgata, approvato nella IV sessione del 1546, i volgarizzamenti, lasciando irrisolta ed impregiudicata la questione sulla loro liceità. Le argomentazioni degli avversari dei volgarizzamenti erano condizionate: - sia dal progetto pedagogico che riservava alla Chiesa la funzione di mediatrice tra la Scrittura e il fedele - sia dalla più immediata preoccupazione di arginare la diffusione del protestantesimo. Essi vedevano nelle traduzioni una delle cause, se non la principale, della nascita e della propagazione dell’eresia. Era necessario, di fronte a questo dilagante diretto rapporto dei fedeli con il testo biblico: - vietare la lettura dell’Antico e del Nuovo Testamento nelle lingue vernacole - della repressione di ogni forma di dissenso, esterno ed interno alla Chiesa stessa. Parallelamente il papato si sarebbe impegnato in un’opera di rafforzamento delle strutture ecclesiastiche e di accentramento curiale del capillare controllo delle credenze e dei comportamenti morali del clero e del laicato. È su questo sfondo che si colloca la decisione di Paolo IV di: - preparare il primo catalogo romano dei libri proibiti - depurare a tale effetto una commissione composta di membri della Congresso dell’Inquisizione, presieduta da Michele Ghislieri, che ne era allora commissario generale. La scelta di affidare la preparazione dell’indice a funzionari del Sant’Ufficio è di per sé significativa: L’indice paolino è, infatti, il solo indice universale che sia stato stilato dall’Inquisizione romana e questa sua origine spiega: - non soltanto il carattere indiscriminato delle condanne - ma anche il ruolo esclusivo assegnato agli inquisitori locali nella sua esecuzione. Stampato nel dicembre del 1557, l’indice non fu approvato dal pontefice. I lavori per una nuova stesura, che si rivelerà assai più rigida della precedente: - ripresero nel gennaio del 1558 sotto la presidenza del cardinale Bernandino Scotti, membro della Congresso dell’Inquisizione - e si conclusero con la promulgazione dell’indice mediante un decreto della stessa Congregazione del 30 dicembre 1558. Il 13 agosto 1558 il Sant’Ufficio di Venezia vietava la stampa: - sia di testi della Bibbia - sia di trattati di argomento biblico non solo in italiano, ma in qualsivoglia lingua volgare, dando grande risonanza al provvedimento Erano anticipazioni del divieto generale che sarebbe apparso nella speciale appendice dell’indice del 1559 dedicata alle edizioni bibliche. Con questi provvedimenti che riguardavano tutta la cattolicità la Chiesa si pronunciava per la prima volta ufficialmente contro: - la stampa - la lettura - il possesso del testo sacro nelle lingue vernacole, salvo licenza speciale della Congregazione romana del Sant’Ufficio. Anche di fronte all’ampia diffusione dei volgarizzamenti biblici ad opera dei gruppi religiosi laicali nel dodicesimo e tredicesimo secolo, Roma non era intervenuta: - lasciando a provvedimenti dei vescovi, circoscritti all’ambito locale, la soppressione delle Bibbie. In tempi più recenti era stata addirittura scavalcata dalle autorità civili. Infatti: in Spagna: la lotta contro gli ebrei si era tradotta anche nel divieto emanato dai re cattolici nel 1492 dei volgarizzamenti biblici, assai diffusi tra i conversos. La battaglia contro le traduzioni fu così accanita da provocare interventi nella gerarchia ecclesiastica per bloccare iniziative promosse anche al di fuori della penisola iberica e dei domini spagnoli. In Inghilterra: - era stato prima l’arcivescovo Arundel, con una costituzione adottata nel 1408 dal concilio provinciale di Oxford, a condannare la lettura di traduzioni non approvate dall’ordinario diocesano o da un concilio provinciale - un secolo dopo il sovrano stesso nel 1530 fece seguire una Proclamation: vietava la lettura dei volgarizzamenti non soltanto in inglese, ma anche in tedesco e francese. Nonostante queste premesse, si impegnava a nominare una commissione di dotti cattolici a cui avrebbe affidato il compito di preparare una versione autorizzata dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Francia: l’enorme successo incontrato dalla traduzione francese del Nuovo Testamento di Lefèvre d’étaples, apparsa nel 1523, aprì un dibattito intorno alla facoltà di teologia sulle traduzioni bibliche che si trascinò per vari mesi e si concluse, dopo la richiesta da parte del Parlamento di Parigi di un parere sull’opportunità di autorizzare la pubblicazione della versione francese di Pierre Gringore della Horae beatae Virginis. Il verdetto del 1525 faceva obbligo a tutti gli stampatori di procurarsi la licenza di stampa: - non più soltanto dalla Facoltà di teologia, ma anche dall’autorità civile. Fu così che a Parigi non verrà pubblicata alcuna traduzione francese della Bibbia fino al 1566, quando apparve quella di Renè Benoist: - La Sainte Bible venne condannata nel 1567 dalla facoltà di teologia di Parigi e nel 1575 da Gregorio XIII. Mentre: in Spagna: l’intervento dei sovrani, teso a riportare sotto la propria giurisdizione la stampa e la lettura dei volgarizzamenti biblici, rientrava in un più vasto progetto politico-sociale di eliminazione non solo fisica, ma anche culturale degli ebrei in Inghilterra e in Francia: i provvedimenti, con le quali le autorità civili si affiancarono o si sostituirono alla Chiesa nel controllo di quel settore della produzione libraria, traevano certamente origine dal timore che il più facile accesso alla Scrittura, favorito: - dall’invenzione della stampa - da una più estesa alfabetizzazione potesse rinnovare le più o meno recenti tensioni sociali provocate dai movimenti ereticali medievali. Il timore di fronte alla carica socialmente eversiva che poteva assumere l’appropriazione da parte dei semplices e dei rudes del messaggio evangelico sembra, quindi, avere spinto le autorità civili dei territori che erano stato teatro di rivolte e sommosse ad intervenire con provvedimenti drastici e tempestivi, anticipando di alcuni decenni le decisioni pontificie. D’altro canto, gli indugi di Roma: riflettono l’esistenza, già emersa durante il dibattito tridentino, di orientamenti divergenti ai suoi vertici. Tali contrasti emergono anche dalle oscillazioni degli estensori dell’indice di Paolo IV, come si evince dal fatto che: - la prima edizione del 1557 non recava la condanna generale delle traduzioni bibliche in volgare - introdotta in quella pubblicata nel 1559. Tale scelta segnò una breve restituzione agli ordinari di quella funzione di vigilanza sulla vita intellettuale e religiosa dei fedeli che: - era stata loro sottratta da Paolo IV - e che alcuni di essi rivendicarono con energia nelle ultime sessioni del Concilio. Insieme all’alleggerimento della lista vera e propria di libri condannati e all’introduzione del principio dell’espurgazione, l’indice tridentino, attraverso queste disposizioni generali relative ad alcune categorie di libri ed alla censura preventiva delle opere da stamparsi: - non soltanto attenuava molti dei categorici divieti del 1559 e offriva direttive improntate a forte moderazione - ma affiancava agli inquisitori gli ordinari diocesani nell’attività censoria. Per quanto riguarda le Bibbie in volgare: l’indice tridentino introduceva criteri relativamente flessibili: invece della proibizione tassativa di leggere, possedere e stampare traduzioni, salvo licenza della Congregazione romana del Sant’Ufficio, la regola IV prevedeva che vescovi o inquisitori, sentito il parere dei parroci o dei confessori, potessero autorizzare, mediante licenze scritte, la lettura di versioni della Bibbia nelle lingue vernacole, tradotte da autori cattolici, a coloro ai quali, a loro giudizio, non avrebbe arrecato danno, ma sarebbe servita ad aumentare la fede e la pietà. La posizione dei membri della commissione tridentina si discostava in maniera sostanziale dalle direttive di Paolo IV. Ludovico Beccadelli ebbe un ruolo di spicco nell’elaborazione del nuovo indice: L’indice di Paolo IV, con la drasticità sul divieto delle traduzioni bibliche, aveva suscitato in lui incredulità e disprezzo, tant’è che si era rivolto al cardinale Ghislieri per chiedere delucidazioni. Aveva anche denunciato la situazione di grave imbarazzo e di impotenza in cui si era trovato a seguito della concessione agli inquisitori di poteri esorbitanti in materia di censura libraria. Testimonianza dell’ampia condivisione di pensiero da parte della commissione tridentina in materia censoria è la vicenda dei Comentarios sobre el Catecismo Christiano dell’arcivescovo Carranza. Condannati dall’indice dell’Inquisizione Spagnola del 1559, erano stati sottoposti alla commissione tridentina che, nel 1563, approvò il libro in quanto non solo era esente da errori, ma conteneva dottrine sane ed ortodosse. Scritti in Inghilterra, i Comentarios, destinati ai parroci: Affrontavano il problema dell’opportunità o meno di tradurre la Bibbia nelle lingue vernacole e di autorizzane la lettura ai laici, problema che era già stato risolto in Spagna con il divieto del 1492. Carranza, che aveva partecipato nel 1546 nel dibattito tridentino schierandosi tra i sostenitori delle traduzioni, esponeva nel Catecismo le ragioni a favore di una concessione strettamente vigilata della lettura della Bibbia ai laici. La Scrittura, sosteneva, è testo troppo oscuro e arduo perché lo si possa consegnare nelle mani di tutti. Solo alcuni libri potevano essere suggeriti ai laici, donne e uomini, purchè la loro traduzione non fosse letterale, ma parafrastica e purchè fosse accompagnata da annotazioni marginali. Carranza suggeriva ai vescovi un atteggiamento responsabile e prudente, affidando loro il compito di vagliare le capacità dei propri fedeli di trarre beneficio dal diretto ed individuale contatto con la Parola divina e, quindi, di consigliare o di sconsigliare la lettura integrale o parziale delle traduzioni bibliche. Per coloro che essi non reputavano idonei, Carranza proponeva un programma di insegnamento dei testi biblici che doveva servire a divulgare la Sacra Scrittura e a trasformarla in fonte di catechesi cristiana. La tregua data da Pio IV era, però, destinata a durare pochi anni: il tempo che al moderato papa Medici succedesse l’intransigente Ghislieri. Promulgato il 24 marzo 1564 con la bolla Dominici gregis, l’indice tridentino consentì la ripresa della stampa delle traduzioni della Scrittura. Nel 1566 usciva a Venezia: - una nuova edizione della Bibbia del Malerbi, autorizzata dall’inquisitore - un’altra edizione del Malerbi - oltre che il Nuovo Testamento nella traduzione dell’Anonimo della Speranza Saranno queste le ultime traduzioni integrali pubblicate nella penisola fino alla seconda metà del 700. Le notizie scarne e contraddittorie di cui si dispone non permettono di stabilire con sicurezza se tra coloro cui spettava la facoltà di rilasciare licenze sia prevalsa la linea dell’intransigente rifiuto o quella della moderata apertura. Tuttavia, l’astuzia e l’accanimento con cui le autorità romane preposte alla censura libraria si adopereranno per svuotare la regola IV dell’Indice tridentino negli anni a venire testimoniano come la volontà di eliminare la Sacra Scrittura in volgare incontrasse forti resistenze, che verranno schiacciate solo dopo un trentennio di lotte più o meno sotterranee. CAPITOLO 3 I volgarizzamenti biblici e la censura tra il 1564 e il 1583 1. L’indice del Sirleto Ricerche recenti e meno recenti sulla censura ecclesiastica rivelano un’immagine statica della Chiesa postridentina: - in cui gli uomini e gli organismi preposti al controllo della stampa e della circolazione dei libri avrebbero perseguito unanimemente, in un inarrestabile crescendo, il loro disegno distruttore. L’analisi delle posizioni della Chiesa intorno alle versioni bibliche mette in luce come il dibattito sulla loro liceità: - avviato e bruscamente sospeso nel 1546 a Trento sarebbe stato definitivamente chiuso, almeno per quanto concerne le traduzioni in lingua italiana, solo 50 anni dopo con la promulgazione nel 1596: dell’indice clementino. La ricostruzione delle circostanze che portarono alla condanna dei volgarizzamenti è, quindi, strettamente connessa alla lunga e complessa vicenda dell’indice clementino. All’indomani della promulgazione dell’indice tridentino la Chiesa si trovò a dover affrontare l’espurgazione delle opere la cui lettura era stata sospesa. Ma Roma dovette far presto i conti con: - l’inadeguatezza delle esistenti strutture di controllo - accompagnata dalla necessità di aggiornare l’indice tridentino 2. La censura tra il 1571 e il 1583 Non sono note le ragioni che suggerirono: di non dare alle stampe e, quindi, di non promulgare l’indice predisposto dal Sirleto. Tuttavia, alla sua mancata promulgazione non corrispose il mantenimento in vigore, nella sua integrità, dell’indice tridentino, sia pure con gli aggiornamenti resi necessari dalla pubblicazione posteriore al 1564 di scritti giudicati pericolosi. Nei 32 anni che intercorrono tra il secondo (1564) ed il terzo indice universale, promulgato da Clemente VIII nel 1596, si assiste ad una profonda modifica, se non ad un vero e proprio stravolgimento, dell’indice tridentino. Questo processo di svuotamento e di progressivo accantonamento conobbe una fase di forte accelerazione proprio negli anni in cui Sirleto dirigeva i lavori della Congregazione dell’Indice. La creazione della Congregazione dell’Indice nel 1572 non comportò, infatti, una delimitazione dei poteri di controllo esercitati dalla Congregazione dell’Inquisizione. I cardinali del Sant’Ufficio, gelosi delle loro prerogative consolidate in 30 anni di incontrastata attività, continuarono: - sia ad espurgare opere sospese - sia a pronunciare condanne di libri e di autori ed a trasmetterle alle inquisizioni locali. Questi interventi appaiono dettati dalla necessità di un’azione tempestiva, volta a bloccare immediatamente la circolazione di opere ritenute sospette, in attesa di più mature decisioni, basate su un attento esame delle opere stesse da parte della Congregazione dell’Indice. Il 14 aprile 1606 la Congregazione dell’Indice pervenne ad esercitare un controllo sull’attività del Sant’Ufficio. In seguito a tale decisione le condanne pronunciate dal Sant’Ufficio verranno trasmesse per ratifica alla Congregazione dell’Indice che pubblicherà i relativi editti. La Congregazione dell’Inquisizione non era, però, il solo organo la cui attività censoria si affiancasse o si sovrapponesse a quella della Congregazione dell’Indice. = Svolgeva un ruolo rilevante anche il Maestro del Sacro Palazzo Consultore ex officio di entrambe le Congregazioni, sebbene i suoi poteri si estendessero solo alla città di Roma e al suo distretto, egli sembra aver assunto, sia pure ufficiosamente, la funzione di organo di trasmissione delle decisioni prese all’interno del suo ufficio e nelle due Congregazioni: - redigendo liste di libri proibiti - emanando editti e bandi - ed inoltrando le une e gli altri agli inquisitori periferici. Quando, a partire da 1603, si renderà necessario l’aggiornamento dell’indice clementino, il Maestro del sacro Palazzo, prima di mandare in stampa i relativi editti, dovrà sottoporli al rigoroso esame della Congregazione. Negli anni in cui Sirleto dirigeva i lavori della Congregazione dell’Indice, che furono anni determinati per la sorte delle traduzioni della Sacra Scrittura si era ancora lontani da questa situazione di relativa chiarezza di ruoli. Solo a partire dal pontificato di Sisto V le due Congregazioni sembrano essersi attrezzate più adeguatamente per assolvere le loro funzioni. È attraverso un susseguirsi di interventi frammentari e dilazionati nel tempo che si giunse allo svuotamento della regola IV, diventato ufficiale nel 1582. Mentre: la Congregazione dell’Indice attendeva alla preparazione del catalogo dei libri proibiti che avrebbe dovuto sostituire quello del 1564 e che non verrà pubblicato prima del 1596 la Congregazione dell’Inquisizione dall’interno della quale provengono: - sia la revoca della facoltà concessa a vescovi ed inquisitori di rilasciare licenze per la lettura dei volgarizzamenti biblici - sia gran parte delle direttive agli inquisitori locali era pervenuta a riacquistare quel controllo sulle opere di contenuto biblico in volgare che l’indice tridentino le aveva sottratto affidandolo agli ordinari e agli inquisitori locali. Il disegno che aveva perseguito con tenacia fin dai tempi di Paolo IV di strappare dalle mani dei laici il testo volgare della Scrittura, ritenuto fomite della ribellione contro la Chiesa di Roma, si era sommato, dopo la chiusura del Concilio, al più generale processo di accentramento da parte delle Congregazioni romane del controllo sulle chiese periferiche e sui loro pastori. Lo svuotamento della regola IV rientrava, infatti, in un progetto più vasto attraverso il quale l’Inquisizione romana mirava a sostituirsi agli ordinari diocesani nella direzione religiosa e culturale e ad erodere progressivamente, a tal fine, i poteri loro riconosciuti dalla legislazione conciliare. Agli inizi degli anni 80 quella che si configura come una vera e propria offensiva contro il volgare attraverso la condanna: - sia delle traduzioni bibliche - sia di gran parte della letteratura italiana può dirsi compiutamente messa a punto. In quegli anni appare saldamente avviata una politica tesa a privare agli ordinari diocesani della vigilanza e della guida spirituale e culturale del proprio gregge, sostituendoli con gli inquisitori. L’accelerazione del cammino verso questa duplice meta era stata favorita dalla stretta e piena sintonia in cui sembrano aver lavorato: - le due Congregazioni ed il Maestro del Sacro Palazzo Ma la scomparsa del Sirleto e la “rinascita” della Congregazione dell’Indice sotto Sisto V avrebbero segnato una momentanea pausa in questa inarrestabile marcia, aprendo un nuovo capitolo della storia della censura e dei volgarizzamenti biblici. CAPITOLO 4 Due indici non promulgati: il sistino (1590) e il sisto-clementino (1593) 1. L’indice sistino L’8 febbraio 1587 la Congregazione dell’Indice veniva ripristinata da Sisto V. Anche su singoli autori le posizioni della Congregazioni divergevano profondamente da quelle del pontefice: Anche sotto questo profilo il pontefice modificava radicalmente le decisioni prese all’interno della Congregazione dell’Indice. I cardinali, dando prova di grande indipendenza rispetto ai passati pronunciamenti, non avevano esitato a riaprire il dibattito sullo spinoso problema. Nell’ambito dell’esame della regola IV dell’indice tridentino, avevano dimostrato: - da un lato, di non ritenere vincolanti e definitivi i divieti emanati dopo il 1564 dalle autorità romane - dall’altro, di avere non poche esitazioni a confermare la linea di rigorosa preclusione perseguita da Roma in anni recenti. Tuttavia: - nonostante le riserve nei confronti di una facile circolazione dei volgarizzamenti - nonostante la tendenza all’accentramento a Roma del controllo su vecchie e nuove edizioni volgari della Sacra Scrittura = la posizione assunta dalla Congregazione divergeva sostanzialmente dalle misure adottate negli anni precedenti. Restituiva: agli ordinari e agli inquisitori locali la facoltà di accordare ai fedeli, nell’ambito della loro giurisdizione, la lettura delle traduzioni – facoltà di cui erano stati espropriati da Gregorio XIII. In pratica la congregazione faceva proprie le posizioni assunte dai padri tridentini. Le divergenze tra gli orientamenti di Sisto V, e quelli che ispirarono, tra il 1587 e il 1590, la Congregazione, decisi a ripristinare le linee di fondo dell’indice tridentino, non potevano che sfociare in un durissimo conflitto, che si risolse solo con la scomparsa del pontefice e solo temporaneamente. 2. L’indice sisto-clementino Dopo avere interrotto per qualche mese ogni attività, la Congregazione dell’Indice tornò a riunirsi, sotto Gregorio XIV, il 23 marzo 1591. Il problema della promulgazione dell’indice sistino venne, tuttavia, momentaneamente accantonato di fronte a quello ben più urgente della revisione della Vulgata sistina, cui vennero consacrate tutte le riunioni tenutesi durante il pontificato di Gregorio XIV. Solo il 27 aprile 1592, nella prima riunione convocata sotto Clemente VIII, i cardinali ripresero il progetto di promulgazione: - di un indice proibitorio e di un indice espurgatorio. A quella riunione, la presenza su sette cardinali di cinque che avevano partecipato alla contrastata stesura dell’indice sistino non poteva non condurre a rimetterne in discussione l’impianto, che era stato profondamente alterato dagli interventi del papa. Nelle numerose riunioni dedicate alla struttura del nuovo indice fu determinante il ruolo del gesuita Roberto Bellarmino: - Il parere scritto, in cui il gesuita aveva elencato le difficoltà che sarebbero potute sorgere nell’applicazione delle regole dell’indice sistino, convinse la Congregazione dell’opportunità di ripristinare l’impianto dell’indice tridentino, con le sue dieci regole immodificate. - Quanto ai dubbi che l’interpretazione delle regole stesse avrebbe potuto suscitare, i cardinali, prendendo a modello la Congregazione del Concilio, stabilivano la loro competenza a dirimere i casi controversi. Una decisione mediante la quale la Congregazione contava di esercitare un ruolo più incisivo che avrebbe potuto controbilanciare quello della Congregazione del Sant’Ufficio  restio ad appesantire il testo con lunghi elenchi di norme. Bellarmino, che trovò un valido appoggio nel Maestro del Sacro Palazzo, Bartolomeo de Miranda, propose inoltre: - che le regole relative all’espurgazione ed alla censura preventiva fossero condensate in un’apposita “istruzione” collocata in appendice alle dieci regole tridentine. Il 20 novembre: - accolte alcune correzioni di Clemente VIII  venne fissata definitivamente la struttura del nuovo indice. Il 5 dicembre 1592: il testo, sotto la supervisione del cardinale Allen, era stato stampato fino alla lettera I, pur se si continuava, in stretto collegamento con Clemente VIII, a discutere: - sull’opportunità di inserirvi alcuni autori o alcune opere - di stampare o meno la prefazione del Maestro del Sacro Palazzo. Il 6 febbraio 1593: - terminata la stampa dalla I alla Z - venne affrontato il problema degli indici delle opere nelle lingue parlate e dell’indice espurgatorio, al quale i consultori avevano lavorato intensamente nell’ultimo anno. - Per quanto riguarda gli scritti in volgare si decise di riprendere gli elenchi già predisposti sotto Sisto V, di integrarli e di sottoporli al vaglio dei cardinali. Il 17 maggio 1593: - Clemente VIII approvava l’indice. L’8 luglio 1593: in una riunione della Congregazione del Sant’Ufficio  Girolamo Bernieri: - presentò il nuovo indice al pontefice - lo distribuì nella Congregazione dell’Indice. Ma il giorno dopo giunse a quest’ultima l’ingiunzione di Clemente VIII di non divulgarlo fino a nuovo ordine. È legittimo pensare che a bloccare la promulgazione fosse stato il Sant’Ufficio. In seguito alla sospensione, la Congregazione non tornò a riunirsi prima del 20 novembre. Clemente VIII tergiversò a lungo prima di inoltrare alla Congregazioni le obiezioni per iscritto.Quando finalmente il 12 febbraio 1594 i cardinali poterono prenderne visione, si dovettero convincere dell’impossibilità di introdurre nell’indice già stampato le modifiche suggerite dall’Aldobrandini: - decisero, quindi, di risarcire lo stampatore camerale e di sequestrare tutti gli esemplari acquistati. Ebbe allora inizio tra la Congregazione e l’Aldobrandini un vero e proprio braccio di ferro. Le contro-obiezioni della Congregazione furono presentate al pontefice dal Maestro del Sacro Palazzo in una seduta della Congregazione del Sant’Ufficio. Palese ammissione da parte della Congregazione dell’Indice della propria sconfitta fu l’invio di istruzioni ai nunzi ed alle università perché dessero applicazione all’indice Le obiezioni di cui il pontefice si fece portavoce, provenivano dai cardinali del Sant’Ufficio, i quali, qualche giorno dopo, ordinavano la sospensione dell’indice a Roma e informavano il Pico di aver già trasmesso lo stesso ordine ai nunzi ed agli inquisitori. Iniziarono immediatamente trattative tra le due Congregazioni: - quella del Sant’Ufficio rappresentata da Giulio Antonio Santoro - quella dell’Indice dal Maestro del sacro Palazzo e dal segretario Pico, con la probabile partecipazione dell’Antoniano. Il 17 maggio il Maestro del Sacro Palazzo poteva finalmente pubblicare l’editto a Roma. Questa breve sospensione dell’indice clementino gode di una documentazione attestante le cause: Esattamente un mese dopo l’invio dell’indice da parte del Valier a nunzi ed inquisitori, il Santoro, scavalcando la Congregazione dell’Indice, informava a sua volta nunzi ed inquisitori che il Pico lo aveva distribuito senza avvisare la Congregazione del Sant’Ufficio e quella dell’Inquisizione. In conseguenza di questa negligenza, il pontefice aveva dato istruzioni di scrivere agli ordinari ed agli inquisitori di soprassedere alla pubblicazione fino a nuovo ordine. Precisava poi i “mancamenti” della Congregazione dell’Indice raccolte sotto il titolo di Observatio in due fogli, inviati dalla stessa Congregazione e da quella dell’Indice ai nunzi ed agli inquisitori con l’ordine di inserirli nei volumi precedentemente spediti. Con la spedizione a nunzi e inquisitori della Observatio e del primo foglio ristampato della Instructio il 3 indice romano poteva dirsi giunto definitivamente in porto. La sua laboriosa, complessa, contrastata redazione, costellata da un susseguirsi di scontri ai vertici del governo ecclesiastico, era durata ben 25 anni. 2. La sospensione dell’indice clementino La frammentarietà della documentazione e il silenzio dei verbali consentono solo ipotesi sulle motivazioni che costrinsero Clemente VIII a piegarsi a quella che può essere considerata una vera e propria intimazione al papa stesso da parte della Congregazione del Sant’Ufficio. L’Aldobrandini: - aveva seguito personalmente la stesura dell’indice in ogni sua fase - rinviandolo ripetutamente agli estensori con correzioni e modifiche - approvandolo dopo mesi di discussione e promulgandolo Si può ritenere che l’Aldobrandini fosse favorevole ad una vigilata circolazione dei volgarizzamenti e determinato a imporre la propria linea. È pertanto lecito interpretare la sospensione dell’indice e le rettifiche che vennero inserite nella Observatio non come un possibile suo ripensamento, ma come un atto strappatogli dal Sant’Ufficio  che da un’ulteriore conferma dei pesanti condizionamenti che la Congregazione dell’Inquisizione riusciva, in determinate circostante, ad esercitare sui poteri papali. Tuttavia restano da chiarire le ragioni che indussero l’Inquisizione romana ad opporsi alla Congregazione dell’Indice sulla specifica questione dei volgarizzamenti biblici. = Innanzitutto è evidente che la Congregazione del sant’Ufficio, cui era stata solo più tardi affiancata la Congregazione dell’Indice – i cui i compiti erano inizialmente limitati alla sola compilazione di un nuovo indice proibitorio e alla preparazione di un indice espurgatorio – non intendeva rinunciare alla vigilanza sulla produzione e sulla circolazione libraria che aveva effettuato sin dalla sua istituzione nel 1542 e che aveva continuato ad esercitare anche dopo la creazione della nuova Congregazione nel 1572. I cardinali dovevano essere allarmati dalla forte rilevanza che la divulgazione delle traduzioni della Bibbia aveva avuto nel fomentare la ribellione contro la Chiesa di Roma. Da tempo avevano maturato la convinzione che era necessario limitare l’accesso alla sacra Scrittura solo a coloro che conoscevano il latino ed affidare alla mediazione del clero l’annuncio della Parola di Dio tra coloro che di latino erano digiuni. Santoro godeva di una religiosità certamente sincera, ma priva di spessore e caratterizzata da forme di culto che rasentavano la superstizione, da slanci superficiali quanto emotivi, da uno spirito quantitativo, che lo portava a contabilizzare ogni pratica liturgica, devozionale o ascetica cui si era dedicato. Sono intuibili le perplessità che questo linguaggio e questi gesti potevano suscitare in chi, come il Valier o l’Antoniano o il Paleotti, rimaneva profondamente legato: - ad una aristocratica formazione umanistica - e ad una concezione individualistica della fede Inoltre, nel quadro più vasto della strategia curiale tesa alla centralizzazione a Roma del controllo sulle chiese locali e alla progressiva erosione degli ampi poteri riconosciuti dal Tridentino ai vescovi, la Congregazione del Sant’Ufficio aveva perseguito con perficacia il disegno di espropriarli della tutela della cultura, sui comportamenti morali e sulle credenze del loro gregge. A prescindere, quindi, da una radicata avversione dell’Inquisizione romana nei confronti di una più ampia circolazione dei volgarizzamenti biblici, affiorano nella tormentata vicenda che approdò alla promulgazione dell’indice del 1596 profonde divergenze tra le due Congregazioni sulla funzione e sui poteri episcopali. Sotto questo profilo, gli orientamenti dell’Indice furono fortemente condizionati dall’appartenenza della maggioranza dei suoi membri, di volta in volta, al clero secolare o a quello regolare. Dopo il rinnovamento della Congregazione dell’Indice attuato da Sisto V e fino alla promulgazione dell’indice clementino, i membri religiosi furono, invece, solo tre e solo per un brevissimo periodo colleghi. La predominante presenza di membri del clero secolare e, fra questi, di vescovi che si erano impegnati nel governo delle loro diocesi, o che erano cresciuti nel culto delle virtù pastorali di san Carlo, dovette far prevalere la linea, già indicata dalla commissione tridentina, di rivalutazione dei poteri e delle prerogative dell’episcopato nella direzione delle anime. Indipendentemente dalla propensione verso un accesso vigilato ai volgarizzamenti, questi autorevoli e prestigiosi pastori ritenevano che ai vescovi spettassero il compito ed il diritto di valutare l’idoneità delle anime loro affidate alla lettura della Bibbia, e più in generale, il controllo sulla loro religiosità e cultura. Intorno alle versioni volgari della Bibbia si erano, quindi, coagulate ed erano esplose tensioni che avevano marcatamente condizionato il percorso accidentato del terzo indice universale e che travalicavano il problema del posto da assegnare alla Parola divina nella formazione e nella spiritualità dei cattolici. Ad alimentare il conflitto tra la Congregazione dell’Indice e Sisto V, prima, e Clemente VIII, poi, aveva contribuito in maniera decisiva l’Inquisizione. Queste posizioni, la cui forza condizionante si era già manifestata prima dell’apparizione dell’indice del 1559 si sarebbero irrigidite nel momento in cui debellati gli ultimi focolai di eresia in Italia, la Chiesa: - avrebbe impegnato tutte le sue energie nella moralizzazione e nel disciplinamento della società - e sarebbero andate a costituire le linee portanti della politica censoria delle Congregazione dell’Indice e dell’inquisizione. Ma questa avversione alla mescolanza tra sacro e profano si sarebbe riversata anche sulle opere profane e analoghe condanne si sarebbero abbattute su gran parte della lirica italiana che: - divinizzando la donna e l’amore - ed attribuendo al fato ed alla fortuna un ruolo preminente verrà reputata veicolo di “bestemmie orrende”, mentre gli autori sarebbero stati accusati di “peccati mortali gravissimi”. Sulla poesia sacra come su quella profana: graverà, inoltre, l’accusa di aver attinto tematiche, stilemi e lessico dal Petrarca. Tale diffidenza era condivisa anche dalle Chiese riformate di Francia, che vietavano: - l’uso della Sacra Scrittura nelle commedie o nelle tragedie - l’inserimento di favole pagane - o l’impiego di nomi di divinità pagane nelle versificazioni bibliche. Alle aperture dei cardinali dell’Indice verso una religiosità più interiorizzata ed individuale corrispose una totale chiusura verso creazioni artistiche che non si attenessero alle rigide prescrizioni di: - decoro - dignità - separazione tra sacro e profano che alcuni degli stessi membri della Congregazione si accingevano a codificare. Fu quindi il timore della petulantia dei poeti: la cui ripresa si verificherà solo a metà del 700, in coincidenza con la maggiore apertura di Benedetto XIV nei confronti della lettura della Sacra Scrittura, testimoniata anche dalla sospensione del divieto delle traduzioni. 2. I volgarizzamenti biblici in Europa All’alba del 600 la Congregazione dell’Inquisizione era riuscita a sottrarre al controllo del Sant’Ufficio la lettura: - delle pericopi evangeliche per l’anno liturgico - e di alcune traduzioni dei salmi: purché accompagnate da annotazioni di autori di provata ortodossia restituendo a vescovi ed inquisitori locali la facoltà di concedere le relative licenze, facilitando in tal modo l’accesso ai fedeli. Gli scarsi risultati riportati per quanto riguardava i volgarizzamenti biblici italiani sarebbero stati, tuttavia, controbilanciati dall’esito positivo dell’impegno della medesima Congregazione a favore della lettura della Sacra Scrittura in volgare nel resto dell’Europa cattolica – con l’esclusione della penisola iberica, dove vigevano i divieti emanati dall’Inquisizione spagnola e dall’Inquisizione portoghese. Giunsero, infatti, alle due Congregazione dai paesi in cui venne applicato l’indice clementino richieste di: - revisione del divieto - di autorizzazione a pubblicare nuove traduzioni Si procedette valutando le singole richieste caso per caso, alla luce delle situazioni e degli usi locali. Il 16 marzo del 1603: I cardinali, su mandato di Clemente VIII, riesaminarono globalmente il problema, esprimendosi a favore di traduzioni approvate dalle università cattoliche delle singole nazioni. La decisione sarebbe stata sottoposta all’approvazione del pontefice, che avrebbe dovuto dare le necessarie istruzioni alle università ed ai nunzi apostolici. Solo il 31 luglio 1604: I cardinali incaricavano il cardinale Bernieri di presentare in concistoro quanto era stato decretato ed approvato in seno alla Congregazione. Questa decisione non apriva nuovi spazi alle traduzioni bibliche. Prendeva semplicemente atto dell’impotenza di Roma, senza il valido appoggio dell’autorità civile, ad arginare la loro vasta diffusione: - sia che fosse fondata su antiche consuetudini - sia che fosse giustificata da più recenti esigenze controversistiche. Le tradizioni locali: cui ci si era appellati a Trento nel 1546 e la necessità, di cui si era fatto portavoce Guglielmo Allen, di attrezzare i cattolici domiciliati nei paesi passati alla Riforma di una conoscenza della Scrittura adeguata a quella dei loro interlocutori protestanti = avevano finito coll’imporre una revisione del divieto “universale” delle traduzioni e col ridisegnare la mappa della loro circolazione. Autorizzati nei paesi dell’Europa centro-settentrionale ed orientale, essi continuarono ad essere tassativamente vietati dalle tre Inquisizioni: - nella penisola iberica e sul territorio italiano. Solo per l’Italia, che pure era stata inclusa al Concilio di Trento, con la Germania e la Polonia, tra i paesi che avevano una lunga consuetudine di lettura delle traduzioni, non valse il criterio della tradizione. Ma, nell’ottica del Sant’Ufficio, la Bibbia: - ridotta da oggetto di conoscenza e non di nutrimento spirituale - equiparata ad un testo di controversia religiosa - fu tollerabile solo nelle aree multi confessionali Tuttavia, il fatto stesso che tutta la questione fosse stata affidata all’esame della Congregazione dell’Indice sembra indicare che all’inizio del secolo si fosse verificato un miglioramento dei rapporti con l’Inquisizione. La stretta connessione che si venne a creare tra i due organi, grazie alla identicità di gran parte dei loro membri, portò ad uno svilimento del ruolo della Congregazione dell’Indice, testimoniato dalla sempre minore regolarità e frequenza delle sue sedute. CAPITOLO 7 L’applicazione dell’indice clementino 1. Pubblicazione ed esecuzione dell’indice clementino (1596-1603) La lunga, tormentata storia dei tre indici “insabbiati” sembra suggerire la necessità di adottare un’ottica che, accanto alla dimensione culturale e politica, non trascuri le - Dopo le guerre di religione in Francia  forte alleanza tra autorità statali ed ecclesiastiche. L’introduzione del terzo indice romano non sembra, infatti, aver incontrato ostacoli: - se non nel ducato di Savoia - nella Repubblica di Venezia Sebbene la frammentarietà e la disorganicità della documentazione relativa ai due precedenti indici universali non consentano di ricostruire procedure e metodi seguiti per la loro applicazione, non sembra, tuttavia, che essi siano stati oggetto di una campagna di informazione estesa e capillare quanto quella che fu messa a punto nel 1596. Al di là delle diverse procedure adottate veniva, comunque, avviata una “disinfestazione”: - delle biblioteche dei laici, del clero secolare e del clero regolare - delle botteghe dei librai che non sembra aver avuto precedenti La ferma determinazione di Roma che l’indice fosse applicato ovunque con rapidità ed efficacia è, del resto, testimoniata anche: - dalla decisione di revocare il privilegio concesso agli stampatori camerali - di autorizzare chiunque a stamparne il testo Per incoraggiare i detentori di opere proibite o sospese a denunciarne il possesso: - la Congregazione dell’Indice chiedeva a Clemente VIII di concedere agli ordinari ed agli inquisitori, come già a suo tempo aveva fatto Pio IV, la facoltà di assolvere chi avesse letto e tenuto libri proibiti. - La Congregazione si accinse a seguire puntigliosamente le varie fasi dell’applicazione, sollecitando ripetutamente l’impegno di vescovi ed inquisitori e chiedendo la collaborazione dei nunzi pontifici. Fu l’irrigidimento della Congregazione di fronte alle resistenze dei regolari a mettere in moto quella che viene impropriamente chiamata “l’inchiesta clementina”: - sulla consistenza e sulla qualità del patrimonio libraio degli ordini religiosi - ed a produrre quello straordinario e cospicuo corpus di inventari. Nel 1603, ad oltre 7 anni dalla promulgazione, poteva dirsi conclusa l’applicazione delle prescrizioni clementine. 2. Aspetti della pratica censoria Prima di affrontare: - il problema della permanenza dei volgarizzamenti biblici nelle biblioteche di laici, chierici e regolari al momento dell’applicazione dell’indice del 1596 - e quello della sorte che fu loro riservata = sembra opportuno delineare gli esiti di questa vasta operazione negli altri settori della produzione libraria: - sia per ricostruire lo spirito con cui venne condotta - sia per isolare tale problema dal generale contesto della repressione culturale attuata dalla Chiesa di Roma attraverso la censura libraria L’indagine sul materiale rinvenuto da vescovi ed inquisitori nel corso dell’esecuzione delle direttive romane si fonda: - oltre che sulle liste di libri contenute nei cataloghi dei libri delle biblioteche di case, conventi e monasteri di congregazioni e ordini religiosi - su una serie di altri elenchi conservati nell’Archivio della Congregazione dell’Indice Le liste: - registrano il materiale librario proibito o sospeso depositato presso gli archivi dei conventi che ospitano l’inquisitore generale o i suoi vicari. - Si tratta, inoltre, di elenchi cumulativi, in cui non viene quasi mai indicata la provenienza geografica delle opere registrate e in cui, salvo rarissime eccezioni, non è mai espressamente indicato il nome del proprietario. Quello che emerge dalla documentazione consultata: - è uno spaccato incompleto del libro proibito e sospeso circolante a fine secolo - anche senza voler tenere conto di coloro che avevano preferito eliminare clandestinamente o nascondere i libri più pericolosi piuttosto che denunciarne il possesso agli inquisitori o agli ordinari. Se le liste documentano una situazione pressoché normalizzata dal punto di vista della circolazione del libro “eretico”, i verbali della Congregazione registrano, in alcune zone il reperimento di opere ereticali di tale qualità ed in tale concentrazione da allarmare le autorità romane: - Temendo che la sopravvivenza di queste opere, vietate in termini inequivocabili già nei primi due indici universali, potesse essere indizio della permanenza di focolai d’eresia, i cardinali dell’Indice decisero di trasmetterle ai colleghi del Sant’Ufficio. L’ispezione aveva portato alla luce, tra laici e chierici: gruppi di libri in alcuni casi coerentemente ispirati “da una vocazione critica personale e da una religiosità interiore appartenente ad un’età ormai tramontata”, in cui alle traduzioni bibliche si affiancavano scritti religiosi di Erasmo. Tutta l’opera di Erasmo, indiscriminatamente, era stata, infatti, vietata in alcune liste aggiuntive distribuite: - dai Maestri del Sacro Palazzo e dall’Inquisizione tra il 1574 e il 1583 - nelle istruzioni inviate ai tribunali locali dall’ufficio del Maestro del Sacro Palazzo. Questa fitta sopravvivenza dei libri di Erasmo nell’Italia tardo-cinquecentesca potrebbe avvalorare la tesi di una censura dalla mano leggera, ma si tratterebbe di una conclusione affrettata ed incauta. Occorre, infatti, innanzitutto rilevare che alla loro permanenza nelle biblioteche non corrisponde una loro presenza sul mercato. Erasmo era riuscito a sopravvivere nelle biblioteche non tanto in virtù di un certo lassismo nell’applicazione della normativa censoria, quanto a causa delle incertezze e delle oscillazioni che avevano caratterizzato la politica degli organi censori romani tra il 1564 e il 1596. Quasi del tutto assenti, del resto, sono anche: - sia le opere dei riformati d’oltralpe in lingua originale o nelle traduzioni e rielaborazioni che ne vennero fatte in italiano - sia gli scritti di autori italiani che avevano aderito alla Riforma o ne avevano raccolto alcuni dei motivi fondamentali. Più presenti, anche se in maniera molto limitata: - le opere di autori che avevano aderito alla Riforma o che si erano avvicinati in vario modo al suo patrimonio di idee e di dottrine e quelle dei due fratelli Valdés. Inoltre ci fu una fortissima resistenza da parte dei proprietari a privarsi di testi familiari. A molti di loro dovette riuscire incomprensibile un divieto che colpiva testi a lungo autorizzati dalla Chiesa e, quindi, difficilmente assimilabili agli occhi del comune fedele ad opere tassativamente proibite. Le liste inviate alla Congregazione dell’Indice a seguito della richiesta nel marzo del 1597 – dopo che i primi roghi avevano già ridotto in cenere molti libri proibiti – documentano la strenua difesa dei volgarizzamenti biblici da parte dei loro proprietari. La povertà̀ dei dati sulle edizioni superstiti, pur confermando che, in ottemperanza alle direttive contenute nell’Observatio, non si fece distinzione tra versioni eterodosse e versioni ortodosse, non consente di valutare, neppure in maniera approssimativa, quali fossero le traduzioni più diffuse tra quelle sequestrate al momento dell’applicazione dell’indice clementino. Se Bibbie e Nuovo Testamento erano, quindi, ancora presenti in maniera consistente nelle biblioteche dei laici e probabilmente anche in quelle del clero secolare, rari erano invece i librai che al tramonto del 500 e all’alba del 600 si azzardarono a venderli, anche se non mancarono del tutto. Chi non si curava delle sanzioni spirituali e non temeva denunce poteva trattenere presso di sé opere condannate o da sottoporre a emendazione. Solo in caso di reati di eresia o nel caso di cospicue raccolte le biblioteche erano, infatti, oggetto di perquisizioni. Le biblioteche degli ordini religiosi, invece, erano state, prima del 1596, sistematicamente setacciate a più riprese dagli inquisitori locali o da membri degli ordini stessi. Esemplari della Bibbia integrale, o del N.T. sono infatti pressoché assenti e, comunque, elencati in maniera così generica da non essere identificabili se non in rari casi. 2. Le edizioni parziali e gli scritti di contenuto biblico Se gli esecutori dell’indice clementino – fossero essi vescovi o inquisitori o regolari – non dovettero avere esitazioni di fronte agli esemplari superstiti di edizioni integrali della Bibbia o del N.T. in volgare, in quanto la chiarezza della normativa non offriva alternativa al sequestro, assai più complessa si rivelò l’applicazione dell’indice in relazione a quel settore assai più vasto e meno definito di opere di contenuto biblico, rappresentato da quella ampia tipologia di scritti che ricadeva sotto la normativa prevista dalla Observatio circa quartam regulam, in quanto, sia pure in diversa misura e forma, presentava materiali di derivazione scritturale in volgare. Infatti, degli scritti appartenenti a questa categoria solo i Compendi del vecchio e del nuovo Testamento erano espressamente vietati nell’Observatio: - I Compendi costituivano una delle voci più presenti nelle liste di libri sequestrati, nonostante fossero stati vietati dal Sant’Ufficio nell’inverno del 1584-1595. Due sono gli autori menzionati: - Cristoforo Miliani che non riscosse un successo pari a quello i Bartolomeo Dionigi da Fano, scritto proprio per venire incontro alle difficoltà sempre maggiori dei fedeli di ottenere licenze per la lettura del testo integrale. L’ampia divulgazione del Compendio deve aver indotto gli estensori delle liste ad omettere spesso il nome dell’autore. Se gli esecutori dell’indice procedettero senza oscillazioni al sequestro dei Compendi della sacra Scrittura, espressero, invece, non pochi dubbi circa altri gruppi di opere in volgare nelle quali erano stati inseriti brani biblici o parafrasi della Scrittura. Le perplessità nascevano: - non soltanto dalla genericità dell’Observatio - ma anche dalla vastità e dalla eterogeneità della produzione che il divieto intendeva colpire. Ad alimentare la prevenzione del Sant’Ufficio nei confronti di testi che proponevano traduzioni parziali della Scrittura o che ne parafrasavano i contenuti vi erano molte motivazioni rispetto a quelle che avevano portato al divieto delle edizioni integrali della Sacra Scrittura: - innanzitutto il testo nudo poteva offrire una traduzione non eseguita sulla Vulgata, ma condotta direttamente sul testo greco o sul testo ebraico - inoltre, scritti che parafrasavano brani della Scrittura potevano veicolare dottrine non ortodosse o credenze superstizione, oltre a mescolare sacro e profano, introducendo elementi parodistici. Operare una selezione all’interno di questo vastissimo settore poneva indubbiamente nodi problematici di non facile soluzione, che vennero al pettine al momento dell’esecuzione dell’indice, soprattutto in relazione alle Epistole ed evangeli per l’anno liturgico. Tra i testi contenenti estratti della Scrittura: - i lezionari avevano conosciuto già dalla fine del 200 una diffusione che non trova riscontro per nessun altro tipo di volgarizzamento biblico. - La loro popolarità era stata incrementata dall’essere uno dei testi più utilizzati nelle scuole di abaco fino al tardo 500  questa duplice funzione devozionale e scolastica non soltanto spiega il numero impressionante di edizioni, ma giustifica anche le reazioni dei fedeli di fronte alla prospettiva di dovere privarsi di un testo tra i più familiari. Non sorprende, quindi, che all’indomani della promulgazione dell’indice clementino la richiesta che venne più insistentemente avanzata dalla Congregazione dell’Indice fu quella di scorporare i lezionari dal divieto generale relativo alle versioni bibliche. Nel 500 furono sempre più frequenti edizioni con annotazioni, commenti ed aggiunte di sermoni, parabole, episodi della vita di Cristo. Questa evoluzione rispondeva ad una duplice esigenza: - da una parte, queste edizioni annotate compensavano la progressiva sottrazione del nudo testo della Scrittura da parte delle autorità censorie romane e frapponevano la mediazione del magistero ecclesiastico tra il lettore e la Parola - dall’altra, offrivano al clero con cura d’anime, spesso digiuno di latino gli strumenti necessari per poter spiegare ai fedeli le lezioni della messa. Roma, di fronte alle proteste dei fedeli cui si fecero portavoce alcuni vescovi ed inquisitori incaricati dell’esecuzione dell’indice clementino, fu costretta ad operare una selezione, autorizzando solo la versione annotata di Remigio Nannini. Sebbene il 2 gennaio 1597 Valier avesse comunicato agli esecutori dell’indice che i lezionari del Nannini erano da ritenersi esclusi dal divieto della Observatio e, quindi, autorizzati previa licenza scritta del vescovo o dell’inquisitore, come prevedeva la regola IV, l’applicazione di queste direttive non fu uniforme. La disinvolta approssimazione con cui procedettero alcuni esecutori rende poco probabile l’ipotesi che, accertatisi del loro errore, i responsabili restituissero i libri ai Ad una religione critica e consapevole: - si preferì la passiva recezione di un indottrinamento elementare ed essenziale. Ad un popolo religiosamente maturo: - si preferì un popolo fanciullo, a cui somministrare piccole dosi misurate della Scrittura. Ma anche per quei pochi testi di cui era stata permessa la lettura individuale, vi era un atteggiamento di scoraggiamento nella lettura di quell’esiguo numero di scritti che era stato scorporato dal divieto generale. Se formalmente aveva ceduto alle pressioni della Congresso dell’Indice, il Sant’Ufficio sembra aver mantenuto un atteggiamento guardingo anche nei confronti dei testi di cui aveva autorizzato la lettura. La lotta ai volgarizzamenti biblici non si esaurì, peraltro, con la loro sistematica distruzione all’indomani: - della promulgazione dell’indice clementino - e con gli ingenti ed irrimediabili danni che essa arrecò al patrimonio librario. Roma, infatti, non abbassò il livello di vigilanza  alcune testimonianze rivelano infatti come roghi e divieti non avessero del tutto spento negli italiani il desiderio di procurarsi il testo della Scrittura nella lingua materna, anche a costo di altissimi rischi. La separazione forzata da opere religiose di facile accesso e di largo consumo imposta dal divieto dei volgarizzamenti fu parzialmente attutita dalla proposta di testi che si ponevano, fin dal titolo, in continuità con la linea devota precedente e che si rivolgevano allo stesso potenziale lettore. Proibita e rimossa perché fonte d’eresia, la Sacra Scrittura finì col confondersi, nel vissuto degli italiani, con gli scritti degli eretici. Ad alimentare questa assimilazione sarebbero stati sufficienti gli spettacolari rochi dei libri. Se queste periodiche rappresentazioni di grande incisività simbolica favorivano la maturazione nell’immaginario collettivo della sostanziale equivalenza tra Sacra scrittura e libri degli eretici, l’atteggiamento del clero contribuì a corroborarla.
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