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Riassunto “La casa di Puškin” Bitov, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Russa

Riassunto di tutti i capitoli del romanzo “La casa di Puškin” di A. Bitov.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 27/06/2023

Casdsj
Casdsj 🇮🇹

4.6

(8)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto “La casa di Puškin” Bitov e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! SEZIONE PRIMA: PADRI E FIGLI [Il padre:]La prima sezione, "Padri e figli. Un romanzo di Leningrado" racconta il rapporto di Lyova Odoevtsev con i suoi genitori: POV di un bambino, che è geloso di sua madre e non ha un rapporto col padre. Nasce in una famiglia di scienziati/ intellettuali. Lui è contento del fatto che uno dei suoi primi libri sia una lettura “per adulti”, ovvero Padri e figli di Turgenev. Suo nonno è un famoso filologo (linguista), represso negli anni di Stalin, che Lyov non ha mai conosciuto. Anche il padre è un filologo, docente universitario. A Lyova non piace; il posto del padre nella mente di Lyova è occupato dall'amico di famiglia zio Mitja, o zio Dickens, che ha partecipato alla Prima Guerra Mondiale, alla Guerra Civile, alla Grande Guerra Patriottica ed è stato un campeggiatore. [In particolare su Dickens] [Il padre, seguito:] Dopo un po’ Ljova scopre che il nonno è vivo, ed è stato rilasciato. Il padre gli va incontro un giorno, ma torna da solo e turbato. Ljova cresce e supera questo suo desiderio di essere figlio di qualcun altro. Affronta suo padre e si rende conto che adesso è fragile; entrambi i suoi genitori sono legati ad un passato che non c’è più, legati a segreti che non vanno rivelati e persone che vanno dimenticate. Ljova non ha conosciuto davvero le regole del terrore e non li capisce, li supera perché non appartiene al loro tempo. Supera anche il bisogno che ha dello zio Dickens, uomo fragile che per sopravvivere non deve avere bisogno di nessuno, e deve accertarsi che nessuno abbia bisogno di lui. Non vede più nello zio Dickens l’uomo perfetto, l’uomo dal gusto proprio e raffinato. [Il padre del padre:] Adesso si attacca alla “ipotesi del nonno”, ovvero l’ipotesi che l’affinità tra ‘maestro’ e giovane che deve essere iniziato alla vita lui la possa condividere col nonno. In università in biblioteca trova, in segreto, alcune delle pubblicazioni del nonno e inizia a studiare: fa fatica, ma in compenso i corsi che segue gli sembrano più facili. Questa bellezza che ritrova negli studi del nonno rafforza la sua ‘ipotesi’. Il nonno chiama da ubriaco la madre e dice che non prova rancore per lei. Le chiede anche di far venire il giorno dopo il nipote, vorrebbe conoscerlo. Ljova va in un quartiere che non ha mai visto. Entra in un appartamento con due vecchi, e un giovane ragazzo. Non riconosce il nonno, anzi pensa che il signore che assomiglia allo “zio Mitja” (zio Dickens) sia suo nonno, il che confermerebbe la teoria che in realtà Mitja è suo padre. In realtà il nonno è l’altro signore: era ubriaco quando ha chiamato, non si ricordava di aver invitato il nipote. Gli chiede cosa ci fa qui. Il nonno si chiama Modest Platonovič Odoevzev. L’altro signore è Koptelov, capo del campo dove si trovava il nonno. Invece il ragazzo è Rudik, un poeta alle prime armi. Ljova stesso si chiede cosa ci fa qui. Si inserisce poi l’autore stesso in corsivo ‘Il corsivo è mio AB’, che meta-narrativamente ci parla del realismo formale (quello che non vuole l’intervento del narratore) e di come sia inefficace, falso. Il vero realismo psicologico sta nel fatto che l’autore osserva i personaggi e parla del loro ‘io’ secondo la loro prospettiva. Il POV di Ljova in questo momento è particolarmente difficile da raccontare perché è ancora un bambino, e gli adulti non possono comprendere veramente i bambini, così come i sobri non possono parlare di cosa voglia dire essere ubriaco, quindi la scena in cui Lev, bambino, è circondato da ubriachi è particolarmente difficile da raccontare. L’autore ci tiene a sottolineare che la narrazione vera e sincera è quella che tiene conto del punto di vista e dell’interiorità del soggetto che viene preso in considerazione. [Il padre del padre, seguito]: giornata trascorsa col nonno, Rudik e Koptelov. Sono una serie di scene nella stanza in cui abitano i tre. Tutti bevono e sentiamo parlare a voce alta solo il nonno praticamente, che cerca di spiegare ai due giovani cosa significa vivere in russia in quest’epoca, il fatto che non potranno mai essere liberi in quanto in qualche modo saranno sempre legati al contesto. Parla del consumismo e dello sfruttamento che noi uomini stiamo compiendo in terra, dalle risorse naturali agli animali. Poi parla della propria ‘riabilitazione’, di come sia offensiva dopo 30 anni di prigionia in cui aveva accettato il suo destino in quanto conseguenza naturale delle sue azioni ‘sovversive’. Non ha le forze di cambiare tipo di vita una terza volta, e non ha modo di tornare ad essere l’uomo studioso brillante di 40 anni che era prima della prigionia. Dopo aver bevuto ancora chiede a Ljova di raccontargli del padre, suo figlio, e di sé stesso. Ljova cerca di avvicinarsi il più possibile al nonno, lusingandolo, raccontandogli di come ha preso esempio dai suoi scritti; al contrario rifiuta il padre, distaccandosi in maniera totale da lui. Non sappiamo mai cosa dice Ljova, sappiamo però invece le sue sensazioni, ciò che pensa: si vergogna perché sa di aver sbagliato traiettoria, discorso, approccio. Non riconosce il nonno, e quando questo si arrabbia per le parole su suo figlio, Ljova, ubriaco, scappa e torna a casa, confuso e disorientato. Non ne aveva ricavato niente, ma qualcosa in lui si era mosso, lui si era appannato, come se si fosse ricoperto di una patina. [Versione e variante]: Il nonno muore, in una serie di modi possibili (o subito, o riescono a curarlo, ma fugge e muore per strada). Si tiene il suo funerale, solenne, con persone che lo ricordano solo per l’uomo che era stato prima del gulag. nasce tra gli intellettuali un vero e proprio culto del nonno, alimentato anche dalla pubblicazione dei suoi articoli, cosa di cui si occupano sia Ljova sia suo padre: si avvicinano grazie a questo. Muore anche lo zio Dickens, nel suo appartamento. Nessuno viene al suo funerale, ma la sua morte colpisce Ljova più di quella del nonno, perché lo zio Dickens gli era caro. → entrambi questi uomini erano stati marchiati dallo stesso periodo storico, ma ne erano usciti in modi completamente diversi. Due facce della stessa medaglia.→ pagina 118: “Forse, forse tutto quello che ho descritto avveniva o era avvenuto…”: momento metanarrativo in cui l’autore parla della possibile variante per questa biografia dell’eroe. Nella sua infanzia appena raccontata la famiglia è segnata da spaccature generazionali bugie e silenzi. Ma la sua variante potrebbe essere (pag 125) un’infanzia in una famiglia amorevole, numerosa, unita, legata da sincerità. Sarebbe cresciuto negli ideali aristocratici che facevano parte del suo retaggio, ma comunque sarebbe stato figlio del suo tempo quindi sarebbe cresciuto insieme ad altri bambini, di altre ‘classi’, non avrebbe mai capito che i suoi ideali erano diversi perché erano ideali aristocratici. Il nonno sarebbe tornato accolto a braccia aperte, avrebbe avuto un’amante e un figlio, avuti nell’ultimo luogo di confino prima del suo ritorno, e sarebbe morto comunque. (anche in questa variante il nonno non sopporterebbe il ritorno). Comunque la prima variante è quella di cui terremo conto. [Il discendente. In servizio]: Ljova lavora come filologo nella Casa di Puskin. Ha ormai ottenuto una reputazione di ragazzo studioso, intelligente, affidabile e cauto nelle sue opinioni. Non si espone mai troppo, non prende posizioni controverse e si cura sempre di non avere mai scontri o discorsi ambigui con nessuno. Rischia di perdere tutto quando un suo amico viene processato per idee anti-sovietiche, e lui sarebbe stato tirato in ballo da questo suo amico, avrebbe dovuto prendere posizione o attaccando le sue idee o difendendole. Avrebbe perso la sua reputazione e il suo conformismo. Alla fine però a causa di una serie di eventi, tra cui la morte del nonno, Ljova non prese mai parte al processo.→ alla fine di tutta questa faccenda Su Ljova nessuno contava molto, ma tutti sapevano che non avrebbe creato fastidi. Nella vita privata: Ljova aveva 3 ‘amiche’: 1. Faina, di cui era sempre stato innamorato, ma senza essere ricambiato. Cercava sempre di avvicinarsi a lei, ma lei ogni volta lo respingeva. anche perché il suo amore per lui gli fa realizzare che Faina, trovandosi nella sua posizione ora, non lo ha mai amato e accetta di vederlo per guadagno personale o compassione. Quando Faina scopre che Ljova era uscito con Al’bina (appuntamento in cui avevano solo camminato), per ripicca forse decide di passare la notte fuori casa, con Mitišat’ev (fa sesso con lui). Ljova quando lo scopre impazzisce di gelosia, e per farle un torto e leccarsi le ferite allora fa sesso a sua volta con Al’bina. Faina poi se ne va per un mese e Ljova si calma. Non sente più la gelosia possessiva e vive anche più serenamente la sua relazione con Al’bina. Muore lo zio Dickens, al funerale scopre che Al’bina era davvero sua amica e per questo la rispetta di più, la prende un po’ più a cuore. Ritorna Faina, e Ljova grazie alla distanza adesso si rende conto che con lei si comporta in modo completamente diverso, è un’altra persona. Entrambe le donne sono orfane di padre, ma Faina è sostanzialmente sola, né suo marito né sua madre le fanno compagnia. Invece Al’bina è cresciuta nel culto del padre, sempre accudita amorevolmente dalla madre. Ljova sa che Al’bina è più bella, ricca interiormente, intelligente, colta. Sa che è meglio di Faina, ma Faina è la vita. Faina è la bellezza, Faina è la passione, Faina è il destino… e Al’bina? Alla fine, preso dai sensi di colpa e dal rimorso di non sentirsi bene con Al’bina, di non avere avuto un comportamento corretto nei suoi confronti decide di lasciarla. Un giorno la va a trovare, passeggiano fino al parco e su una panchina le parla francamente sul sentimento che non prova per lei. Al’bina è ferita, gli dice che non lo ama più. Si lasciano per sempre. [Ljubaša]: terza ‘amica’. Donna non amata e amata. Non era l’amore ossessivo che aveva per Faina. Ma quando andava a trovare Ljubaša non era mai triste, anzi se lo era il suo umore cambiava quando suonava il campanello. Era Ljubaša che determinava il carattere passionale e ‘gioioso’ del loro rapporto. Vedono entrambi altre persone, e la cosa non disturba Ljova. Ogni uomo che va a trovare Ljubaša sente il bisogno di lei. il fatto che lui cambiasse umore prima di vederla ci dice qualcosa non tanto di Ljova quanto di Ljubaša. In lei c’era quella sorprendente capacità di determinare, senza averlo concordato prima, senza aver dovuto ricorrere a chiarimenti, la misura, il carattere e l’unicità dei rapporti. !!!Alla fine della sezione Ljova la va a trovare, lei lo accoglie dicendo che c’è qualcun altro. Nella sua stanza c’è Mitišat’ev. [Il mito di Mitišat’ev]: Anche Mitišat’ev, che sembra invecchiato prima del tempo (soprattutto se paragonato a Ljova, suo compagno di scuola), ha la capacità di adattarsi al suo interlocutore: per questo è molto rispettato anche da persone effettivamente più anziane di lui, ma anche e soprattutto da Ljova.→Mitišat’ev ha molto potere ed influenza su Ljova: riesce ad infilarsi nella sua vita come Faina, in maniera radicata, riuscendo a ‘sottometterlo’. Naturalmente vinceva… e la sua non era solo violenza o superiorità fisica, ma un’autentica vittoria su tutti i livelli possibili, morali e intellettuali. Così Mitišat’ev presentava la sua vittoria e così la sentiva Ljova. Faina tradisce Ljova con Mitišat’ev, ma anche quando Faina è lontana per lunghi periodi, e Ljova sembra riuscire a costruirsi una vita felice e soddisfacente lontano da lei, ricompare Mitišat’ev a riportarlo nel meccanismo di invidia, disperazione, tristezza e ossessione. E’ come se fosse intrappolato tra due fuochi, e col passare del tempo la frustrazione di Ljova inizia a manifestarsi apertamente: sfoga la sua insoddisfazione su altre persone. I torti che gli fanno Faina e Mitišat’ev, Ljova a sua volta li fa a qualcun altro, ma mai con cattiveria. Senza rendersene conto un po’ per volta, diventava capace di infliggere agli altri le stesse sofferenze che aveva patito lui. Ljova arriva a voler tentare di ripararsi dai colpi di Mitišat’ev, cercando di prepararsi all’attacco, armandosi e proteggendosi con un’armatura di cartone, ma Mitišat’ev trova sempre il modo di disorientarlo e farlo cadere nelle proprie trappole.→ Era stato come aspettarsi un veleno esotico e invece prendersi semplicemente un pugno nei denti. Un giorno Mitišat’ev lo va a trovare e gli confessa di credere di essere in messia, di aver raggiunto l’apice e di essere in grado di capovolgere il mondo. Crede anche di essere più forte ‘dentro’ rispetto a Ljova, deve schiacciarlo, perché è ideologicamente il suo nemico. Mitišat’ev continua ad affermare che sente di essere più forte di Ljova e che lo dovrà schiacciare, Ljova all’inizio pensa che sia semplicemente un’affermazione senza senso, ma poi Mitišat’ev continua a ‘ingigantirsi’. Gli chiede se ‘sente la sua forza’ e Ljova non può fare a meno che annuire e sentirsi distrutto, come ammalato. Dopo questo episodio Mitišat’ev inizia il corso all’Istituto, mentre Ljova stava già finendo di scrivere la sua tesi di dottorato→ tanto più che adesso Ljova vedeva Mitišat’ev quasi tutti i giorni e non pensava più a lui, affatto. Anzi arriva persino a provare una sorta di benevola compassione per Mitišat’ev, che oggettivamente aveva avuto meno traguardi di Ljova. Tutti noi siamo in parte dei Mitišat’ev… si diceva Ljova, come per tranquillizzarsi, e già non si sentiva più obbligato a provare una sensazione particolarmente negativa di fronte alle persone vili. Gli altri sono così… si diceva con rammarico, usando l’espressione favorita di Mitišat’ev. Gli altri sono così… [Versione e Variante]: La realtà esiste. Noi possiamo o non possiamo capirla, descriverla, interpretarla e alterarla, non ha importanza: la realtà esiste. Smette di esistere non appena tentiamo di guardarla con gli occhi di un altro… Improvvisamente allora tutto si vela di una nebbia tremolante, la realtà si sfibra come una stoffa logora e restano soltanto la sua versione e la sua variante, versione e variante. Il narratore sottolinea l’importanza dell’influenza degli altri su noi stessi: Non esiste mai una sola versione della realtà, come non esiste mai un solo protagonista, isolato da tutti gli altri: Ljova è se stesso proprio perché è attraversato dai ‘vettori’ di tutti gli altri personaggi. Ljova si stupisce che la sua vita giorno per giorno si allontani nel passato, senza fermarsi da nessuna parte, saltando le stazioni intermedie del presente, sulla strada che parte dal futuro, diretta verso la sua assenza. Ljova è convinto che le persone possano essere di due tipi, quelle con ‘vitalità’ e quelle con ‘mancanza di vitalità’: si sentiva pericolosamente privo di vitalità. Cerca di sfuggire alle sfide, ritirandosi ancora prima di cominciare. Nessuno è colpevole se la vitalità si incarna ai giorni nostri nelle forme più ripugnanti e soprattutto nelle più vili. Pag 260: ripreso l’incontro con Mitišat’ev a casa di Ljubaša→ Ljova entra in casa sua e lì vede M, ma anche il Marito di Al’bina→ Ljova preso dal panico fugge da questa versione, da questa variante. Ed entra subito in un’altra: si incontrano tutti in un caffè, ‘Caffè Molecola’. E a questa serata elegante ed organizzata dove tutti cercano di comportarsi in modo civile Ljova ha una rivelazione: sono tutti dei pezzi, come di un puzzle, e finalmente sono riusciti tutti a incastrarsi perfettamente. Come se fossero delle molecole: pag 266: vengono riportati i disegni veri e propri di incastro dei personaggi.→ questi loro incastri dovrebbero poter aiutare a rispondere alla domanda CHI E’ LJOVA? CHI E’ FAINA? CHI E’ MITISAT’EV? L'autore scrive in corsivo: teme di aver iniziato a presentare i personaggi senza poi riuscire ad arrivare al nocciolo della storia, al motivo per cui aveva iniziato a scriverla. Io sono sempre più consapevole, per quanto riguarda il mio eroe, che sempre di più si trasforma in un eroe collettivo, che se anche riuscirò a scrivere la storia ci sarà un’esplosione immaginaria (p 268). Vuole raccontare la vera storia di Ljova, anche se questo significa farlo morire, deve riuscire a raccontare Ljova, non un ‘eroe’ qualsiasi. La terza parte, la terza parte…! Signore, dammi la forza di completare la mia opera… [La Signora Bonacieux, In servizio. (Capitolo nel quale la prima e la seconda parte si fondono e danno origine alla terza)]: Inizia con una prolessi: anticipazione che Ljova durante i giorni di festa per l’anniversario della rivoluzione era dovuto rimanere di guardia all’Istituto (la Casa di Puskin). Mentre dormiva sul divano del direttore viene svegliato da una chiamata di Mitišat’ev che gli dice che sta organizzando una festa per il 14esimo anniversario della loro licenza liceale. Terminata la telefonata Ljova sente l’impulso di affacciarsi alla finestra. Era una scena dei Tre Moschettieri [...] Nella scena la signora Bonacieux, in veste monacale, correva verso la stretta finestra del monastero…→ Affacciatosi Ljova vede camminare sotto la finestra, lungo la sponda del fiume che scorreva lì sotto, Faina, accompagnata da un uomo sconosciuto. Era alto, con i capelli ricci e la giacca da operaio. Ljova si sorprende perché quest’uomo così palesemente ‘al di sotto’ di Faina, sia per status sociale che per bellezza, non si vergogna ad andare in giro con lei. E nemmeno Faina sembra vergognarsi di lui, anzi. E Ljova improvvisamente, quasi in un momento di chiarezza spirituale, sente di approvare della scelta di Faina. Sembra quasi che la veda per la prima volta, libera di scegliere ed amare un uomo così ‘non degno’ di lei. Libera e sicura nella sua scelta, e Ljova non può far altro che rimettersi a questa scelta. Forse era il suo compagno che riusciva a farle sentire di avere un significato, e lei faceva altrettanto con lui. Ljova è felice per Faina in questo momento, e sembra quasi che la ami davvero per la prima volta. Poi Ljova improvvisamente si tira via dalla finestra, spaventato al pensiero che loro due possano vederlo, si immagina Faina notarlo e scappare via col suo compagno. E Ljova vorrebbe solo ritrovare il momento dello ‘strappo’ tra lui e Faina e riparare tutto, chiederle scusa. Non riusciva a trovare lo strappo del filo della sua vita, non riusciva a sentire il nodo sotto le dita. Non avrei dovuto prendere l’anello, quella sera… disse tra sè, senza alcuna convinzione. Ama Faina, la considera sua moglie, non c’è niente che può fare a riguardo. [Supplemento seconda Parte. La professione dell’eroe]: Aspettavamo il momento giusto per raccontare in modo più particolareggiato a che cosa si dedicava Ljova, che cosa faceva.Ma attenzione, forse il lavoro, l’occupazione che abbiamo scelto per lui non gli piace del tutto, non lo soddisfa completamente. Per quanto lo nasconda accuratamente anche a se stesso. (Se sapesse quanto è pericolosa per lui, nei miei piani, questa mancanza di sincerità!) O forse siamo noi a non essere soddisfatti della sua professione mentre a lui va benissimo. La professione dell’eroe è un argomento delicato per l’autore, deve sceglierne una che rappresenti un elemento importante o della personalità o della crescita dell’eroe. Ljova scrive, ma l’autore non può e non è sovrapponibile a Ljova. Questa somiglianza dell’eroe con una persona cara o vicina all’autore è un qualcosa di tipico nella letteratura del passato, da Defoe a Tolstoj a Proust. Un tempo l’autore poteva scegliere una professione e attraverso essa riflettere la e sulla società. Adesso invece, in questa epoca contemporanea è difficile delineare una verità della vita per l’autore. L’autore, scrivendo, si stacca dal popolo (chi ha più tempo di scrivere, chi ha più tempo di dedicarsi alla letteratura come nei secoli passati? Aspettandosi di vedersi specchiati nelle storie dei grandi autori?), e staccandosi rischia di non riconoscersi più in esso. Forse è uno scrittore proprio chi non ha perso la sua ‘coscienza popolare’ pur essendosi staccato dal popolo. Cristo, Maometto, Napoleone e ora io. Tutto è maturo e il mondo è maturo, tutto ciò che serve è un uomo che si senta forte dentro di sé". Il barone von Gottich scrive poesie ai giornali patriottici, il che offre a Mitishtiev un pretesto per deridere le schegge aristocratiche. A rallegrare la presunta solitudine di Ljova, ignaro dei suoi ospiti, arriva Isaiah Borisovich Blank. È un impiegato in pensione dell'Istituto, una delle persone più nobili che Leva abbia mai incontrato in vita sua. Blank non solo è estremamente ordinato nell'aspetto, ma non può parlare male delle persone. Blank, Mitisatev, Gottich e Ljova bevono qualcosa con lui. Parlano del tempo, della libertà, della poesia, del progresso, degli ebrei, del popolo, dell'ubriachezza, di come purificare la vodka, degli appartamenti cooperativi, di Dio, delle donne, della moneta, della natura sociale dell'uomo e del fatto che non c'è un posto dove andare... Si discute se Natalya Nikolaevna amasse Pushkin. Adesso Ljova è annebbiato dall’alcol e ci vengono riportati solo degli sprazzi della serata, che sono quello che la coscienza di Ljova è riuscita a registrare (tutto il resto è caduto in un oblio alcolico) Entrano due ragazze di nome Natasha. In uno dei vuoti dei momenti di vuoto, Mitisat’ev trova il modo di insultare Blank e di screditare Ljova ai suoi occhi, tanto che questo se ne va indignato. Mitishitiev dice che non può vivere sulla terra finché c'è Ljova. Insulta anche Faina e questo Leva non lo sopporta più. Lui e Mitisat’ev litigano e M. rompe la maschera mortuaria di Pushkin. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso: Ljova lo sfida a duello con le pistole da museo. Si sente uno sparo e Leva cade a terra. Mitisat’ev se ne va, portando con sé il calamaio di Grigorovich, proprietario dell’ufficio dove sta avvenendo la scena. L’autore poi ci descrive il cadavere di Ljova, e pian piano ci mostra come questo riprende conoscenza. Dopo aver ripreso conoscenza, Ljova scopre con orrore che i locali del museo sono stati messi a soqquadro. Ma, nella versione in cui Ljova appunto non è morto, grazie all’aiuto di Albina, che lavora nello stesso istituto, e dello zio Dickens, tutto viene rapidamente rimesso in ordine. Il calamaio di Grigorovich viene ritrovato sotto una finestra, un'altra copia della maschera di Puškin viene portata dalla cantina. Il giorno dopo, Ljova scopre che nell'istituto non c'è nessuno che presti attenzione ai nuovi segni di pulizia e riparazione. Il vicedirettore lo convoca solo per incaricarlo di accompagnare uno scrittore americano in giro per Leningrado. Ljova porta l'americano in giro per Leningrado, gli mostra i monumenti e gli parla della letteratura russa. Una volta solo, Ljova si trova sopra la Neva di fronte al Cavaliere di bronzo e gli sembra che, dopo aver descritto un ciclo morto di esperienze, dopo aver catturato con una rete lunga e pesante un sacco di acqua vuota, sia tornato al punto di partenza. Si trova in questo punto e sente di essere stanco. In un momento metanarrativo il narratore ci mostra come questo momento della vita di Ljova gli sia difficile da descrivere, in quanto il presente del personaggio è anche il presente dell’autore. E’ difficile riuscire a costruire un futuro plausibile, se entrambi ora vivono sullo stesso piano temporale. I confini si offuscano a tal punto tra i due, che il narratore stesso entra nella storia: va alla Casa di Puskin e riesce a parlare con Ljova, che è ancora particolarmente scossa. E’ il momento in cui non solo il narratore ci propone una versione e variante, ma ci dice anche come non sa come portare avanti la storia della vita del suo eroe.
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