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Riassunto la devianza. teorie e politiche di controllo (Scarscelli Vidoni), Sintesi del corso di Sociologia della Devianza e della Criminalità

Riassunto completo (49 pag) del libro di Scarscelli e Vidoni "La Devianza. Teorie e politiche di controllo"

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 17/03/2016

pooky87
pooky87 🇮🇹

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Scarica Riassunto la devianza. teorie e politiche di controllo (Scarscelli Vidoni) e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia della Devianza e della Criminalità solo su Docsity! RIASSUNTO La devianza. Teorie e politiche di controllo INTRODUZIONE Questo manuale nasce dall’esperienza didattica gli autori hanno maturato in questi anni strutturando i nostri corsi di sociologia della devianza intorno a tre questioni fondamentali: -chi è il deviante, sulle sue rappresentazioni -come e perché si diventa devianti, sulle teorie -come la società reagisce alla devianza, sulle prassi operative Questi tre livelli sono tra loro fortemente intrecciati. GLI OBIETTIVI DEL LIBRO Gli obiettivi formativi di un corso di sociologia della devianza dovrebbero consentire agli studenti di: -comprendere e confrontare tra loro le principali teorie della devianza e della criminalità -acquisire alcuni strumenti di analisi dei fenomeni devianti e delle politiche di controllo sociale e penale -decostruire gli stereotipi relativi ad alcune forme di devianza -individuare le rappresentazioni sul deviante e i modelli di spiegazione della devianza alla base delle principali politiche di prevenzione e controllo. I manuali permettono di perseguire i primi due obiettivi, raramente il terzo Il manuale si pone quindi due obiettivi didattici: -promuovere la capacità di intraprendere sociologicamente la devianza utilizzando le diverse teorie -promuovere la capacità di valutare quali siano i modelli di spiegazione della devianza alla base delle diverse politiche di intervento LA STRUTTURA DEL LIBRO Il volume si articola in cinque capitoli che descrivono i principali modelli di connessione tra rappresentazione del deviante, spiegazioni sociologiche del comportamento deviante e politiche di intervento. Cap.1-presenteremo le spiegazioni della devianza che si basano sull’assunzione generale che la ricerca del piacere è la causa di ogni azione degli individui. Per questo il deviante è un attore che sceglie deliberatamente facendo un calcolo costi/benefici, il “male”. La devianza si previene e si contrasta alzando i costi dell’azione deviante. Cap.2/3-vengono illustrate le spiegazioni della devianza che focalizzano l’analisi sulla struttura di una società e che si fondano sul meccanismo esplicativo dell’affinità, secondo cui certe condizioni strutturali della società predispongono le persone e i gruppi ad adottare certi comportamenti. L’idea è che l’ordine sociale, la stabilità e l’integrazione di una società inducono la conformità, mentre la disorganizzazione sociale e l’anomia conducono la devianza e alla criminalità. Secondo queste teorie il deviante è un soggetto il cui comportamento è condizionato da fattori sociali, ambientali e culturali:rappresentato come una vittima della società. Cap.4-illustra la spiegazione procedurale della devianza che incentra l’analisi sul processo attraverso cui si diventa deviante: lo si diviene affiliandosi a gruppi in cui le definizioni favorevoli alla violazione delle norme prevalgono a quelle sfavorevoli. Secondo questa prospettiva il deviante è un soggetto che esposto a determinati modelli di comportamento, ha appreso la propria condotta deviante. Devianti si diventa, in altre parole, nel corso del processo di apprendimento. Cap.5-la devianza presenta deviante e controllo sociale: la reazione sociale non è semplicemente una risposta alla condotta deviante, allo scopo di ottenere che il soggetto riprenda a comportarsi in modo conforme alle norme e di impedire che altri soggetti assumano lo stesso comportamento deviante, ma contribuisce a strutturare e a rafforzare le carriere devianti. Il deviante è rappresentato come un soggetto a cui l’etichetta è stata applicata con successo. Secondo questa prospettiva inoltre la strutturazione della carriera deviante si previene e si contrasta riducendo il controllo sociale attraverso politiche di depenalizzazione. Il manuale non è pensato come una storia della sociologia, ma si configura come uno strumento didattico con lo scopo di sviluppare negli studenti da un lato la capacità di analizzare i fenomeni devianti e dell’altro la capacità di decostruire analiticamente e criticamente le politiche di intervento individuando le rappresentazioni sociali del deviante. Ogni capitolo è strutturato nel seguente modo: nella prima parte sono descritte le prospettive teoriche; nella seconda le implicazioni politiche delle teorie e nella terza sono applicate le teorie all’analisi di tre casi e sono individuati gli interventi che si potrebbero realizzare. DEVIANZA Devianza: È una condotta di una persona o di un gruppo che viola le aspettative di ruolo, le norme sociali e i valori della maggioranza dei membri di una collettività e che per questa ragione suscita una qualche forma di reazione sociale. • è un atto, un’azione, anche verbale • è relativo ad uno specifico contesto normativo • produce una reazione sociale. PRESENTAZIONE DEI CASI Tre tipi di condotta deviante: • il consumo di droghe illegali, molto diffusa nella società, che suscita diversi tipi di reazione sociale in quanto non vi è un consenso unanime nell’opinione pubblica sulla necessita di sanzionare il consumo • un reato di un colletto bianco • un reato predatorio commesso da un giovane immigrato Gli ultimi due fanno riferimento a crimini che hanno caratteristiche differenti: diversa l’appartenenza di classe sociale, la loro nazionalità, diversa è la reazione sociale che i due tipi suscitano, diverso è il potere di cui dispongono i due criminali per contrastare il processo di criminalizzazione. 1-IL CASO DEL TOSSICODIPENDENTE Mario otto mesi fa viene fermato al volante della sua automobile ad un posto di blocco della polizia, gli agenti lo fermarono perché la sua auto fu segnalata un’ora prima nei pressi di una casa i cui i proprietari avevano denunciato il furto di alcuni oggetti e di denaro. La sua auto fu perquisita e fu trovata una bustina contenente una dose di eroina. Poiché la quantità era inferiore al limite che la legge prevede per differenziare l’uso personale dalla spaccio, Mario fu segnalato al prefetto. Dopo di che le assistenti sociali del NOT lo convocarono per un colloquio come prescrive la legge. Tale colloquio ha avuto come scopo, oltre che accertare le ragioni della violazione della normativa, quello di affidare Mario al servizio pubblico per le tossicodipendenze per un programma terapeutico, se non si presenterà verranno applicate delle sanzioni amministrative, invece se terminerà il programma il procedimento amministrativo sarà archiviato. Durante il colloquio sono emersi alcuni dati di Mario: ha 26 anni vive con i genitori, i quali hanno una casa di proprietà in un quartiere periferico nel sud Italia. Il padre ha 52 anni, ha un diploma di scuola media superiore ed è impiegato presso l'ufficio del personale di un'azienda di medie dimensioni. la madre ha 50 anni ed è insegnante in una scuola elementare. Mario ha conseguito la maturità scientifica, si era iscritto alla facoltà di matematica, ma ha poi interrotto i suoi studi. Successivamente si è iscritto e ha frequentato con profitto un corso di formazione regionale per programmatori informatici, ha poi lavorato per diverse aziende contratti a tempo determinati, da circa un anno è disoccupato. 1 - l’analisi dell’insieme di tutti i vincoli giuridici, fisici, economici del contesto in cui l’individuo sceglie. Le possibili azioni non impedite dai vincoli sono le opportunità (sempre filtrate dalle nostre credenze e mai oggettive). 2 – meccanismo che determina quale azione, all’interno delle opportunità, l’individuo effettivamente sceglierà, sulla base di almeno due criteri: - Seguire determinate regole sociali - In base ai propri desideri: azione diventa un bilanciamento tra opportunità (ciò che si può fare) e desideri (ciò che si vuole fare). Def. azione razionale: quando l’attore sociale, di fronte a diversi corsi d’azione, intraprende quello che pensa darà il risultato migliore. Quindi ci sono 3 elementi: - L’azione uno strumento per realizzare determinati fini - Gli individui scelgono l’alternativa che, in base alle loro credenze, è la migliore, che dà il miglior saldo costi/benefici - Nessun individuo è in grado di raccogliere tutte le info possibili per scegliere il corso d’azione ritenuto migliore né di prevedere con certezza gli esiti del corso d’azione scelto. 1.3. La teoria della scelta razionale Fine anni ’60: articolo di Gary Becker sul “Journal of Political Economy” interessa anche gli studiosi dei fenomeni devianti e criminali: MODELLO TEORICO DELLA SCICENZA ECONOMICA: decisione di compiere atto criminale è razionale, facendo un calcolo costi/benefici per massimizzare il proprio piacere. Formula di Becker: “O = (P, F, U)” - O: numero di reati commesso da una persona in un determinato momento - P: probabilità di essere individuati e condannato per quel reato - F: sanzione prevista - U: tutti gli altri fattori che possono influenzare la decisione P e F sono i costi ipotetici del comportamento criminale, mentre i benefici sono i vantaggi materiali e immateriali ottenuti dalla commissione del crimine. Limiti di questo modello teorico degli economicisti: - I vantaggi sono considerati prevalentemente in senso materiale - La metafora del mercato non può essere usata per spiegare molti tipi di crimine, dove, se è vero che c’è un elevata offerta di vittime, non è detto che queste domandano di essere vittimizzate - L’immagine di un individuo perfettamente razionale che valuta costi e benefici trova scarso riscontro nella realtà. TEORIA RAZIONALE DELLA DEVIANZA Cornish e Clarke: teorici della scelta razionale (abbandonando pensiero economico) spiegano il processo decisionale che conduce a compiere un reato tenendo conto di: 1. i vantaggi che le persone possono ottenere dalla commissione di un reato non sono solo strumentali, ma anche immateriali (piacere sessuale, divertimento,…) 2. razionalità umana è limitata: nessuno può raccogliere tutte le info possibili per agire massimizzando il proprio piacere, né prevedere con certezza l’esito del corso d’azione scelto- Il processo decisionale del criminale può essere scomposto in due momenti: a- le decisioni di coinvolgimento (criminality): con diversi passaggi e per un periodo prolungato b- le decisioni di evento (crime): strategiche, riguardano la selezione della tattica da usare nella commissione di un reato; sono di breve periodo, riguardano le modalità concrete di effettuazione del crimine. È su quest’aspetto che i teorici della scelta razionale focalizzano le loro attenzione, sulla spiegazione di quel particolare crimine in quel particolare contesto. Dunque in quest’ottica, si dà rilevanza alle circostanze esterne (il contesto situazionale del crimine): non è l’inclinazione individuale alla devianza a modificare l’atto deviante, ma sono le circostanze esterne mutevoli che possono renderlo più o meno probabile. Ci sono altre due teorie che spiegano i fenomeni criminali dando rilievo alle variabili di contesto: vedi 1.4. e 1.5. 1.4. La teoria degli stili di vita Hidelang, Gottfredson, Garofano 1978: concetto di rischio collegato alla scelta di stili di vita che possono lasciare più o meno spazio alla vittimizzazione. Gli stili di vita influenzati da 3 elementi: - Dal ruolo sociale che le persone ricoprono nella società (es. giovani rischano > vittimizzazione perché il loro ruolo li porta frequentemente fuori dalle mura domestiche) - Dalla posizione ricoperta nella struttura della società: in genere, più è alta, minore è i rischio di rimanere vittime - Dalla componente razionale del comportamento: in base al ruolo e posizione sociale si può decidere di evitare attività che ci espongono al rischio e alla vittimizzazione. Quindi: si rischia di essere vittimizzati quanto più si frequentano certi luoghi ad alto rischio criminale e si sta a contatto con individui inclini a compiere reati. Questa teoria spiega anche perché le donne, che trascorrono più tempo in mercati, messi pubblici, piazze sono più a rischio di subire i reati diffusi in quei contesti, come i borseggi e gli scippi. 1.5. La teoria delle attività abituali Cohen e Felson, 1979: vuole spiegare la variazione nello spazio e nel tempo dei tassi di criminalità e vittimizzazione, per quei reati in cui è previsto un contatto diretto tra aggressore e vittima. Ci sono tre condizioni del reato (contemporaneamente presenti in un luogo e momento): - Una persona disposta a compiere il reato - Un bersaglio interessante (un bene da danneggiare o sottrarre, oppure un soggetto da aggredire) - L’assenza di un guardiano che impedisca la commissione del reato. Un gruppo sociale sarà quindi a rischio quando è nelle vicinanze di potenziali criminali (criterio della prossimità), costituirà un bersaglio interessante simbolicamente o economicamente (remuneratività) e sarà meno difeso (accessibilità). Le attività abituali creando la convergenza spazio-temporale delle 3 condizioni, mettono in contatto gli aggressori con le vittime. Dunque il tasso di criminalità può aumentare (anche se non aumenta il numero di potenziali criminali) se si verificano mutamenti nelle attività abituali che rendono determinati bersagli appetibili meno protetti da un guardiano (es. se il tasso di disoccupazione diminuisce può aumentare il furto negli appartamenti perché i proprietari saranno a lavoro e nessuno baderà alla propria casa). Barbagli: le attività abituali delle persone dipendono dalla posizione strutturale che ricoprono nella società (lavoro, reddito, comune di residenza, quartiere), dall’età e dal genere. Le differenze nelle attività abituali e le diversità sociali, espongono gli individui a differenti rischi di vittimizzazione. 2. Le politiche Politiche di contrasto alla criminalità: far sì che le conseguenza del comportamento criminale procurino un danno maggiore dei benefici che si possono ottenere con tale atto. Per alzare i costi del comportamento criminale, sono coerenti con le teorie si ispirazione utilitaristica due forme di prevenzione del crimine: - DETERRENZA: chi condivide l’assioma della Scuola classica, pensa che il criminale deve essere punito con una sanzione che gli procuri un costo più alto del beneficio - PREVENZIONE SITUAZIONALE: i criminologi che si sono focalizzati sulle condizioni e opportunità che rendono possibile il comportamento criminale, ritengono che il crimine si può prevenire intervenendo sulla specifica struttura di opportunità collegata ai diversi tipi di reato, per rendere la scelta del crimine più difficile e costosa. 2.1. La deterrenza Elementi fondamentali delle strategie di prevenzione alla criminalità: certezza, prontezza e severità della pena. La sanzione ha effetto deterrente se i cittadini sono consapevoli dell’esistenza della sanzione (prevenzione generale) e se ritengono che la probabilità di essere sanzionati, commettendo il reato, sia elevata (prevenzione speciale). Gli studi sull’efficacia deterrente della pena hanno evidenziato un effetto deterrente minimo del livello di severità della pena ed un certo effetto deterrente delle due dimensioni della certezza e prontezza. Chi compie crimini senza essere sanzionato (o chi osserva questo), ripeterà (o adotterà) il comportamento criminale. Ricerche sulla criminalità giovanile: è l’esperienza soggettiva (diretta o indiretta) del rischio di essere catturati che ha un effetto deterrente. La pena ha un effetto deterrente nella misura in cui l’individuo, per raggiungere il proprio fine, consideri il comportamento deviante come un corso di azione alternativo alla condotta conforme; se invece l’individuo agisce per abitudine o se non fa un calcolo dei costi/benefici (es. per i reati di tipo espressivo), l’efficacia deterrente è minore. L’efficacia della pena varia in relazione alla natura dell’atto (strumentale o espressivo) e al grado di coinvolgimento nel delitto come stile di vita da parte del criminale: la pena è maggiormente efficace quando l’atto è strumentale e il potenziale reo ha un basso livello di coinvolgimento nel delitto come stile di vita (quando ha molto da perdere). Efficacia deterrente del controllo sociale informale: sanzioni informali hanno un maggior effetto deterrente, in particolare i controlli interni diretti (sentimenti di colpa e vergogna). Secondo la teoria della deterrenza, quando il criminale è sotto il nostro controllo, non possiamo fare altro che punire; dato che il comportamento criminale non è influenzato da fattori sociali, familiari, culturali, il trattamento (riabilitazione e prevenzione sociale) non rientra tra le finalità della politica penale. 2.2. La prevenzione situazionale Secondo la prospettiva della scelta razionale, la prevenzione sociale è inefficace perché chiunque potrebbe commettere un reato se l’occasione è favorevole. Per prevenire: si agisce sulle circostanze del crimine, riducendo le condizioni che lo rendono possibile e aumentando i rischi collegati alla commissione dei reati. Dunque la prevenzione situazionale è orientata verso forme specifiche di criminalità perché le decisioni di coinvolgimento di un evento dipendono dalla natura del crimine. I fattori della prevenzione situazionale mostrano un disinteresse verso il deviante, considerato come una sorta di presenza “naturale”, un soggetto che infrange le norme quando è fortemente tentato. I programmi di prevenzione situazionale si classificano in: - Programmi di design ambientale: scopo di ristrutturare gli spazi rendendoli più difendibili e quindi riducendo la possibilità di vittimizzazione - Programmi che proteggono i bersagli appetibili (es. obbligo dell’antifurto sulle macchine ha ridotto il furto d’auto del 60% in Germania) - Programmi che si basano sul coinvolgimento dei cittadini residenti nella sorveglianza del loro territorio - Programmi che prevedono un maggior controllo da parte della polizia La sanzione in questi casi funge da prevenzione per la sua caratteristica di “messaggio” dallo Stato ai cittadini (chi sbaglia, paga). Nell’interpretazione di questo messaggio, secondo Mathiesen, la deterrenza generale funziona per quelli che non ne hanno bisogno (con basso coinvolgimento nella devianza), ovvero proprio nel caso dei colletti bianchi, per cui il timore di compromettere la propria immagine pubblica di onesti cittadini attraverso l’arresto funge da deterrenza. Nel caso di Luca c’è la richiesta di affidamento in prova al Servizio sociale: ma secondo la teoria della prevenzione generale e speciale la pena non ha funzione rieducativa ma solo quella di alzare i costi del crimine, rendendo la condizione del criminale condannato meno preferibile di qualsiasi persona rispettosa della legge (less elegibility). Dunque è la detenzione la pena che il condannato soffre di più; invece, se adottate le alternative al carcere o la pena pecuniaria, si mina l’efficacia deterrente della pena. La prevenzione situazionale Intervenendo per la prevenzione situazionale del crimine sulle opportunità illegali (influenzate in questo caso dal contesto organizzativo) bisogna tenere conto dei fattori organizzativi. Si dovrebbe intervenire per potenziare il controllo sociale sul comportamento dei dirigenti, attraverso due tipi di intereventi: 1- interventi che aumentino la percezione del rischio di essere scoperti in coloro che sono responsabili dello smaltimento dei rifiuti industriali, con forme di controllo esterno (ispezioni) 2- interventi che sensibilizzano le potenziali vittime e quindi favoriscano la loro mobilitazione per vigilare sul comportamento dei dirigenti. 3.3. Il caso dell’autore del reato predatorio L’immigrato irregolare che adotta un comportamento criminale è un individuo razionale che sceglie liberamente di infrangere la norma penale quando i benefici sono superiori ai costi. Il caso di Mohamed: spiegazioni e intervento Le scelte di spacciare e scippare sono state l’esito di un processo decisionale in cui per il conseguimento di un determinato beneficio (avere denaro), tra le soluzioni da lui percepite, questa massimizza i benefici in rapporto ai costi. Ricostruire il processo decisionale in relazione alle decisioni di coinvolgimento e a quelle di evento; quindi gli interventi da attuare per alzare i costi degli scippatori sono: - certezza della pena: ogni criminale sia punito (il costo deve eccedere il beneficio) - prevenzione situazionale: operare sulla specifica struttura di opportunità collegata ad ogni tipo di reato per rendere la scelta del crimine più difficile e costosa. La deterrenza Dato che Mohamed è stato punito, per la teoria della prevenzione speciale non dovrebbe più commettere reati per non incorrere in nuove sanzioni. Ma l’efficacia deterrente della pena dipende dalla natura dell’atto (strumentale o espressivo) e nel grado di coinvolgimento nel delitto come stile di vita (se si, il crimine era diventata un’abitudine, dunque l’effetto deterrente della pena sarà minore). Qual è il messaggio della pena? Non ha funzione rieducativa, ma deve punirlo, trasmettendogli il messaggio della stato che il crimine si paga. Se Mohamed ha recepito questo messaggio come “il crimine non paga, devi rispettare la legge” la sanzione avrà avuto effetto deterrente, se l’ha interpretato come “sei un rifiuto sociale da reprimere e rendere inoffensivo” la sanzione avrà avuto effetto criminogeno in quanto contribuisce a strutturare una carriera criminale. La prevenzione situazionale La criminalità degli immigrati non si previene migliorando le loro condizioni socio-economiche ma intervenendo sulle condizioni che rendono possibili i singoli atti criminali. Quindi le strategie si prevenzione si concentrano sulla vittima e sul guardiano capace e sulla conoscenza dei processi decisionali alla base della pianificazione e realizzazione dei vari tipi di reato. Nel caso di scippo (con vittima), gli interventi di prevenzione situazionale hanno due finalità: 1- rendere la vittima più difficilmente raggiungibile: interventi che sensibilizzano le potenziali vittime, per individuare le situazioni a rischio e adottare comportamenti che le rendano bersagli designati meno appetibili o che riducano i danni di un eventuale scippo. 2- prevedere la presenza di un guardiano capace: interventi che rafforzano il controllo sociale nelle zone in cui ci sono più facilmente gli scippi (hot spots). Diverse strategie di intervento: rendere il territorio maggiormente controllabile e difendibile, prevenzione comunitaria (coinvolgendo i residenti nella sorveglianza degli hot spots), sorveglianza della polizia degli hot spots e maggior contatto tra polizia e residenti. CAPITOLO 2 IL PARADIGMA SOCIALE: DURKHEIM E LA SCUOLA DI CHICAGO 1. LE TEORIE Nel capitolo precedente (quello di Ile) le teorie della scelta razionale considerano il comportamento deviante un atto intenzionale, liberamente scelto da individui che perseguono i propri scopi. Nel corso del XIX secolo (situazione critica in cui i processi di industrializzazione, urbanizzazione, immigrazione di massa favoriscono l’insorgenza nella città di problemi igienico-sanitari, di alti tassi di criminalità e di devianza) emerge una visione (un paradigma sociale) che considera la devianza (come ogni altro cambiamento) un prodotto sociale, “un fatto sociale”. Questo paradigma sociale individua le radici del comportamento deviante soprattutto in quelle condizioni (sociali, materiali ed ambientali) che gli individui non possono controllare e che li predispongono a certi comportamenti. Secondo questa prospettiva, le cause della devianza e della criminalità non sono riconducibili a spiegazioni di tipo biologico o psicologico, ma andranno ricercate in condizioni (caratterizzanti la società) che, non solo si pongono al di fuori della coscienza del soggetto, ma che sono anche dotate di “ un potere coercitivo in virtù del quale s’impongono a lui con o senza il suo consenso” (Durkheim). All’interno del paradigma sociale della devianza e del crimine troviamo tre importanti tradizioni teoriche e di ricerca: - la prima interpretazione sociologica della devianza nella società industriale è opera di Durkheim: il sociologo francese individua nell’anomia (che è una specifica condizione della società), la causa degli alti tassi di devianza e di criminalità; - un gruppo di ricercatori del Dipartimento della Sociologia dell’Università di Chicago, noto come Scuola di Chicago, evidenziano come la devianza e la criminalità non siano caratteristiche degli individui ma piuttosto dei contesti sociali in cui tali individui vivono; - la teoria struttural-funzionalista che esamina il rapporto tra la devianza e la struttura sociale e culturale di una società; In questo capitolo verranno presentati i contributi di Durkheim e della scuola di Chicago. Nel capitolo 3 (quello di Manu) verrà presentato l’approccio struttural-funzionalista. 1.1 DEVIANZA E ANOMIA: IL CONTRIBUTO TEORICO DI DURKHEIM Egli propone una concezione relativistica della criminalità: è criminale un comportamento che viene giudicato negativamente dalla maggior parte dei membri di una collettività poiché viola le norme e i valori di tale collettività. Un atto può essere considerato deviante soltanto facendo riferimento al contesto sociale e culturale in cui si manifesta: non esistono comportamenti “intrinsecamente” devianti, ma comportamenti che sono giudicati tali perché urtano “l’insieme delle credenze e dei sentimenti dei membri di una società”. La devianza è un fatto sociale normale_ Secondo Durkheim la criminalità (nella misura in cui non sorpassi un certo livello) è un fenomeno sociale “normale” poiché è presente in ogni tipo di società. Se è presente in ogni tipo di società la criminalità svolge una funzione ben specifica: il mantenimento della coesione sociale. Infatti un atto criminale, determinando una reazione della società, rafforza i sentimenti collettivi contro la trasgressione della norma e quindi indirettamente contribuisce a rafforzare l’ordine sociale, ricordando ai membri della società ciò che (in quel momento storico e in quella determinata società) è lecito e ciò che non lo è. La reazione della società non serve (o serve secondariamente) a correggere il colpevole o intimidire i suoi possibili imitatori poiché la sua “vera funzione” è quella di mantenere intatta la coesione sociale. La devianza non si verifica soltanto quando la società funziona male, ma al contrario (in dosi controllate) può contribuire alla stabilità della vita sociale. Sarebbe anormale una società senza devianza. Il mantenimento della coesione sociale non è però l’unica funzione della devianza: se non vi fossero comportamenti che, trasgredendo la morale vigente, anticipassero la morale futura, le società non potrebbero progredire. Quindi secondo D. la devianza è un fatto sociale “normale” perché rende le società aperte al mutamento sociale: “Dove il reato esiste i sentimenti collettivi hanno la plasmabilità necessaria per assumere una nuova forma”. Anomia e devianza_ Deve essere considerato un fatto sociale patologico il rapido incremento del tasso di devianza nell’ambito di una determinata collettività. Secondo la regola del metodo sociologico, se “la causa determinante di un fatto sociale deve essere cercata tra i fatti sociali antecedenti e non già tra gli stati della coscienza individuale”, l’amento del tasso di devianza dovrà essere spiegato ricorrendo ad uno specifico fatto sociale: questo specifico fatto sociale per D. è la deregolamentazione (ANOMIA) che avviene nella società quando i legami sociali si indeboliscono e la società stessa non è più in grado di regolare i sentimenti e le attività degli individui. D. sviluppa il concetto di anomia nel suo studio sul suicidio. Egli, osservando come non esistano società in cui il suicidio non si verifichi, si propone di dimostrare come tale fenomeno, che “sembrerebbe dover dipendere da fattori individuali, e perciò di esclusiva competenza della psicologia”, qualora lo si consideri come fenomeno aggregato, possa esser studiato come fenomeno sociale. Analizzando i tassi di suicidio nell’ambito di una stessa società per un periodo di tempo non troppo esteso, D. mette in evidenza come tali tassi non varino da un anno all’altro poiché le condizioni di vita dei popoli restano immutate. Se si considerano periodi di tempo più lunghi, si possono invece osservare mutamenti nei tassi che denotano la presenza di profondi cambiamenti strutturali della società. Secondo D. “ogni società, ad ogni momento della sua storia, ha dunque una caratteristica attitudine al suicidio”. D. elabora una tipologia del suicidio classificandone le cause e individua tre tipi di suicidio: - il suicidio egoistico - il suicidio altruistico - il suicidio anomico Nella prima parte del suo studio egli dimostra come il suicidio cambi “in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo”: i cattolici si suicidano in misura maggiore dei protestanti, i celibi dei coniugati, mentre nelle società attraversate da “grandi scosse sociali come le grandi guerre popolari” diminuiscono i tassi di suicidio. Si parla di suicidio egoistico quando esso deriva da una “eccessiva individualizzazione”. Vi sono però condizioni sociali che possono spingere le persone al suicidio a causa di un meccanismo sociale opposto a quello precedentemente indicato: in questo caso la spiegazione del suicidio, definito altruistico, Il modello di sviluppo della città con cerchi concentrici, che si irradiano dalla zona centrale, rileva la caratteristica principale dell’espansione: “la tendenza di ogni zona interna a estendere la propria superficie invadendo la zona esterna immediatamente successiva”. In seguito a questo processo gli usi e i costumi dominanti della zona che invade sostituiscono progressivamente quelli esistenti nella zona invasa. I processi continui di invasione e di assestamento suddividono la città in aree ben definite (aree naturali), ciascuna con una propria identità sociale, culturale o etnica. A causa di questo processo di “setacciamento della popolazione” urbana, le persone che vivono in aree naturali dello stesso tipo, essendo soggette alle stesse condizioni, presentano le stesse caratteristiche. Alcune aree naturali della città di Chicago erano comunità razziali o etniche come Chinatown o Little Italy. In altre risiedevano persone con caratteristiche simili (stesso reddito, stesso gruppo professionale). Alcune aree erano fisicamente separate dal resto della città da ferrovie, fiumi e autostrade. Relazioni simbiotiche esistono non soltanto tra coloro che vivono all’interno della stessa area naturale ma anche tra le diverse aree naturali della città. Analizzando serie storiche di dati di fonte secondaria (dall’inizio del secolo scorso al primo dopoguerra) Shaw e McKay osservano che i problemi sociali (povertà, abitazioni inadeguate, alcolismo, mobilità ed eterogeneità delle popolazioni, malattie mentali, disoccupazione) e i tassi di criminalità (il tasso di criminalità si ottiene calcolando il rapporto tra il numero di criminali residenti in una determinata zona e l’insieme della popolazione) sono più elevati nella zona di transizione e diminuiscono progressivamente se ci si allontana dal centro della città. Le variazioni nei tassi di devianza e criminalità non possono essere spiegate facendo riferimento alle caratteristiche degli individui ma tali variazioni possono essere spiegate soltanto facendo riferimento alle caratteristiche dei diversi contesti territoriali: è il livello di disorganizzazione sociale della zona in transizione che determina tassi di devianza e di criminalità così elevati. Thomas e Znaniecki con questo termine (disorganizzazione sociale) intendono una situazione caratterizzata “dalla diminuzione dell’influenza delle regole sociali di comportamento esistenti sui membri individuali del gruppo” e dall’assenza di nuovi modelli normativi e nuove istituzioni in grado di sostituire le regole esistenti. È questa condizione della società che spiega la correlazione tra i vari problemi sociali e la criminalità. I cambiamenti sociali (immigrazione, industrializzazione, urbanizzazione, spostamento dalle campagne alle città) non consentono più alla comunità locale di esercitare un efficace controllo sociale nei confronti dei propri membri. La delinquenza è in un certo senso la misura del mancato funzionamento delle organizzazioni della comunità. Nelle aree della città caratterizzate da alti livelli di disorganizzazione sociale, si affievolisce la capacità dei genitori di controllare i propri figli e il gruppo dei pari acquista maggiore importanza nell’orientare il comportamento dei giovani. I giovani che vivono in queste aree (in cui si sviluppano e si consolidano tradizioni culturali devianti) hanno la possibilità di interagire con soggetti devianti e criminali in misura maggiore rispetto ai coetanei che vivono in contesti territoriali non così disgregati. È attraverso il contatto con persone che adottano comportamenti devianti che avviene la trasmissione dei valori devianti (teoria della trasmissione culturale). Shaw studia il problema della delinquenza giovanile a Chicago. Nei suoi studi egli descrive il processo che struttura le carriere criminali, evidenziando la connessione tra devianza e spazio geografico: - i delinquenti non sono diversi dalle persone che adottano comportamenti non devianti per quanto riguarda l’intelligenza, le condizioni fisiche, etc.. - i ragazzi credono in un ambiente in cui la devianza è una forma di condotta accettata e in alcuni casi appropriata; - queste aree offrono molte opportunità per le attività criminali e poco incoraggiamento per attività lavorative convenzionali; - in questi contesti territoriali le attività criminali sono intraprese in età precoce; - i valori e le norma che regolano le attività ludiche sono trasmessi dai ragazzi più vecchi a quelli più giovani; - la normale attività delle agenzie di controllo sociale non può fermare questo processo; - si struttura una carriera criminale quando l’individuo incomincia ad identificare se stesso con il mondo criminale e ad assumere nella propria filosofia di vita i valori che prevalgono nei gruppi criminali con cui è entrato in contatto. Le regioni morali della città_ Park utilizza il concetto di “contagio sociale” per spiegare il processo attraverso cui i devianti si concentrano in determinate zone della città (regioni morali) accentuando determinati caratteri comuni di temperamento e sopprimendo quei caratteri che li avvicinano ai tipi normali che li circondano. Tale associazione con altri individui devianti è un tipico aspetto della vita urbana e consente agli abitanti della regione morale di sviluppare “disposizioni e talenti” che nelle piccole città sarebbero biasimati: l’attrazione per la metropoli è dovuta al fatto che, a lungo andare, l’individuo trova il tipo di ambiente in cui può svilupparsi e sentirsi a proprio agio. L’associazione con tipi devianti simili rafforza le disposizioni innate, offre le opportunità per lo sviluppo degli stili di condotta deviante e fornisce le razionalizzazioni necessarie per giustificare i modelli normativi difformi da quello dominante. La regione morale non è necessariamente un luogo di residenza, ma può essere un “semplice luogo d’incontro”, gli individui possono passare facilmente e rapidamente da un ambiente morale all’altro. Devianza e conflitto culturale_ La città può essere considerata un “crogiolo di razze e culture” nella quale vivono persone i cui comportamenti sociali sono regolati da valori e norme che sono espressione di differenti tradizioni culturali. La teoria del conflitto culturale viene elaborata da Sellin, un criminologo; egli sostiene che le definizioni legali, di ciò che è criminale e di ciò che non lo è, sono relative perché mutano nel tempo come risultato dei cambiamenti nelle norme di condotta (norme che regolano il comportamento degli individui nella loro vita quotidiana e il loro contenuto varia da cultura a cultura). I gruppi sociali che detengono il potere politico impongono le proprie norme di condotta ai gruppi subordinati. Le differenze nelle norme di condotta tra i membri della cultura dominante e i membri delle culture subordinate possono determinare una situazione conflittuale. Secondo la teoria del conflitto culturale il “deviante” non è un soggetto “patologico”, ma è un individuo che si è conformato alle norme di condotta della propria cultura. Sellin distingue due tipi di conflitto culturale: primario e secondario. Il conflitto culturale primario si verifica quando le norme di una determinata cultura sono considerate devianti nell’ambito di un’altra cultura (ciò può avvenire quando un gruppo impone il proprio sistema normativo nel territorio di un altro gruppo). Il conflitto culturale secondario si verifica nell’ambito della stessa cultura, quando i membri di una società definiscono “normale” e “non criminale” un comportamento che altri membri della stessa società considerano deviante. Per esempio il consumo di droga è considerato un comportamento lecito, non stigmatizzato, in alcune subculture, mentre è considerato illegale ed immorale nell’ambito della cultura dominante. La “rivalutazione” del deviante_ Secondo Thomas e Znaniecki i fenomeni sociali e i comportamenti individuali hanno sempre una causa composita che contiene sia un elemento soggettivo sia un elemento oggettivo, che influenza dall’esterno l’azione degli individui. Ogni azione è sempre preceduta da una atto di valutazione in cui l’attore definisce la propria situazione; il comportamento degli individui non dipende soltanto dalle caratteristiche oggettive della situazione in cui si trovano ma anche dal significato che essi attribuiscono alla stessa. Questo concetto è conosciuto come “Teorema di Thomas”: se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze. Con la conoscenza dei significati che i soggetti attribuiscono al loro mondo, la devianza cessa di essere considerata una patologia individuale. Attraverso la rivalutazione della visione che il deviante ha della propria esperienza si può confutare l’idea che la sua condotta sia insostenibile, poiché, ai suoi occhi, tale attività deve sembrare sufficientemente sostenibile. Al concetto di patologia individuale si viene così a contrappore quello di diversità. Come nota Matza, i sociologi della Scuola di Chicago dovettero affrontare un dilemma: come si poteva descrivere la diversità nell’America urbana, conservando l’idea di patologia? Il dilemma fu risolto con il concetto di disorganizzazione sociale. Essi studiarono la società discriminando tra i fattori che promuovono la stabilità e quelli che favoriscono la disgregazione sociale e che sono, pertanto, patologici, cioè insostenibili per la società. Ma rifiutarono “una patologia della persona”, poiché non sono gli individui ad essere patologici, ma la società o una parte di essa. Rifiutando una patologia della persona, essi poterono studiare le regioni morali della città con lo scopo di descrivere i diversi stili dei devianti e i loro mondi sociali. 2. LE POLITICHE Secondo le teorie descritte in questo capitolo sono le condizioni sociali e culturali, in cui vivono gli individui, che producono la devianza. La società produce devianza quando diminuisce l’influenza delle norme sociali che dovrebbero regolare il comportamento dei suoi membri. Nei contesti culturali caratterizzati dalla disorganizzazione si sviluppa una tradizione delinquenziale che viene trasmessa ai più giovani. Infine i processi di urbanizzazione e immigrazione hanno contribuito a creare contesti sociali caratterizzati dalla convivenza di persone che abbracciano differenti tradizioni culturali. La devianza si previene e si controlla intervenendo sulla società o su parti di essa, non sui singoli individui. Le politiche, ispirate alle prospettive teoriche descritte in questo capitolo, hanno le seguenti finalità: - Promuovere lo sviluppo di programmi che abbiano lo scopo di riorganizzare le condizione di vita in particolari contesti territoriali per rafforzare i legami sociali e rendere più efficace il controllo sociale informale; - Promuovere lo sviluppo di programmi che rimuovano o riducano il conflitto culturale, favorendo l’integrazione degli immigrati nella società in cui vivono. 2.1 LO SVILUPPO DI PROGRAMMI PER RAFFORZARE I LEGAMI SOCIALI Se si considera la devianza come il prodotto di una situazione di disorganizzazione sociale in cui i legami sociali sono deboli, si devono realizzare interventi di prevenzione finalizzati a modificare le condizioni di vita nella comunità e a potenziare i legami tra i soggetti a rischio di devianza e le istituzioni comunitarie, i gruppi sociali, le associazioni, le reti di vicinato. Lo scopo di tali interventi è quello di rafforzare il controllo sociale informale attraverso il consolidamento delle relazioni sociali che legano le persone alla comunità locale. Shaw e McKay applicarono le loro teorie nella realizzazione di un programma di prevenzione: il Chicago Area Project. Il progetto (gestito da comitati locali a disposizione dei quali fu messo uno staff di consulenti) promosse una serie di iniziative che avevano lo scopo di riorganizzare i quartieri. Furono realizzate attività creative per i ragazzi, campagne per sensibilizzare i residenti sulla necessità di migliorare le condizioni di vita della comunità e di aiutare i giovani che erano a rischio di devianza o che avevano avuto problemi con la giustizia. Lo scopo principale di questo progetto era quello di sviluppare un positivo interesse dei residenti per la loro comunità e inoltre quello di promuovere un attivo coinvolgimento degli stessi nella gestione dei problemi delle zone in cui vivevano. In una ricerca realizzata nella città di Chicago, Sampson e Raundenbus, rifacendosi alla tradizione teorica della Scuola di Chicago, hanno dimostrato come la variazione dei tassi di criminalità nei diversi quartieri non sia soltanto attribuibile alle caratteristiche socio-demografiche dei residenti, ma soprattutto alla loro capacità di mobilitarsi per affrontare questioni di comune interesse e mantenere un efficace controllo sociale informale. Tale capacità, definita “efficacia collettiva”, dipende in larga misura dalle condizioni di mutua fiducia e solidarietà che si instaurano tra i residenti. I quartieri variano nella loro abilità di attivare forme Tale filosofia di intervento ha anche delle ricadute sul trattamento dei singoli consumatori. Nel caso di Mario si possono rafforzare i suoi legami sociali facendo in modo che: - investa più tempo ed energie in attività convenzionali, aiutandolo per es. nella ricerca di un lavoro. Così si può aiutare Mario ad acquisire uno status, quello di lavoratore, che potrà inibire il suo comportamento deviante per due ragioni: egli temerà, infrangendo la legge, di poter perdere la reputazione sociale collegata a tale status, inoltre il datore e i colleghi di lavoro potranno esercitare un efficace controllo informale sul suo comportamento; - dedichi più tempo a tali attività convenzionali (“coinvolgimento”) favorendo per es. il suo inserimento in attività ricreative e sportive che lo aiutino a trascorrere il suo tempo libero in attività non devianti (più tempo passerà in palestra, meno tempo trascorrerà con i suoi amici tossicodipendenti). - Si può prevedere una allontanamento di Mario dal suo contesto di vita e un suo inserimento presso una struttura residenziale (comunità terapeutica) con lo scopo di promuovere quei legami in grado di favorire un più efficace controllo sociale informale. - Si potrebbe anche agire su un altro elemento del legame sociale, la “convinzione”, cercando, cioè, di “convincere” Mario a non infrangere più norme sociali perché esse hanno un senso e devono essere rispettate. La teoria del conflitto culturale_ Adottando la prospettiva del conflitto culturale, si dovrà valutare se il consumo di droghe illegali di un individuo sia un comportamento non stigmatizzato o addirittura promosso dalle norme di condotta della cultura (o della subcultura) a cui egli fa riferimento: il consumo di droghe potrebbe essere lecito per i membri di una subcultura e illecito per i membri della cultura dominante. Secondo questa prospettiva teorica il consumo di droghe viene sanzionato perché alcuni gruppi sociali hanno il potere di definire questo comportamento come illegale, deviante e di applicare con successo le relative sanzioni ai trasgressori. IL CASO DI MARIO: SPIEGAZIONE E INTERVENTO Come prima cosa occorre valutare se il consumo di droga da parte di Mario sia espressione di una determinata subcultura e quali siano le norme di condotta che orientano il comportamento di consumo dei membri di tale subcultura. Qualora si verificasse l’esistenza di una o più subculture a cui Mario ha aderito nel corso della propria carriera di consumo, si dovrà valutare se, e in quale misura, il comportamento di consumo di Mario si sia conformato alle norme di condotta di tale subcultura. Poiché Mario non ha mai avuto problemi con la giustizia, si dovrà valutare se lo stile di consumo che ha adottato, che potrebbe essere definito “controllato” (stile di consumo, anche dipendente, che non ha conseguenze negative sui funzionamenti sociali dei consumatori), sia stato acquisito nell’ambito di una specifica subcultura (possiamo già escludere che Mario non è mai stato uno street addict, cioè un tossicodipendente di strada). Le politiche finalizzate ad affrontare il consumo di droghe come espressione di un conflitto culturale possono essere orientate da due logiche che sono idealmente collocabili ai due estremi di un ipotetico continuum: - La prima ispira tutte quelle politiche caratterizzate da un atteggiamento tollerante nei confronti degli autori di un “reato senza vittima”, quale è quello del consumo di droghe illegali (la depenalizzazione e la legalizzazione sono politiche ispirate da tale logica), nella convinzione che la reazione sociale a tale comportamento possa produrre effetti sulla società e sui consumatori più negativi della tolleranza (è la tesi dei teorici dell’etichettamento _ cap 5): nel nostro caso si dovrà essere attenti a contenere gli effetti negativi della reazione sociale su Mario. - La seconda ispira tutte quelle politiche caratterizzate dall’assimilazione dei valori e delle norme di condotta della cultura dominante da parte dei membri delle subculture: nel nostro caso si cercherà di favorire l’assimilazione da parte di Mario delle norme di condotta della cultura dominante affinché egli adotti uno stile di vita accettabile dalla maggior parte dei membri della società. 3.2 IL CASO DEL CRIMINALE DAL COLLETTO BIANCO La teoria dell’anomia e della disorganizzazione sociale_ La prospettiva ecologica della Scuola di Chicago non viene utilizzata per spiegare la criminalità dei membri delle classi superiori, dei colletti bianchi e dei corporate crimes, poiché è una teoria eziologica che considera il crimine come il prodotto dell’assenza di controllo sociale informale in ambiti territoriali caratterizzati da condizione di deprivazione sociale ed economica, degrado ambientale, immigrazione, ecc.. Il concetto di anomia di Durkheim può spiegare tanto la devianza dei “poveri” quanto quella dei “ricchi”. Le persone seguono le loro inclinazioni egoistiche quando la società non è più in grado di regolare il comportamento dei propri membri. La capacità di una società di regolare il comportamento dei propri membri dipende dalla forza dei legami sociali (cioè dal grado di solidarietà) che intercorrono tra di essi. Una società ben regolata è una società che è in grado di contenere gli appetiti insaziabili dell’uomo, stabilendo il modo con cui tali appetiti debbono variare a seconda delle condizioni sociali e delle professioni degli individui. Quindi se tutti possono violare le regole di una società, per seguire le proprie passioni, quando il grado di solidarietà si affievolisce, la devianza non è necessariamente collegata alla povertà. Anzi, la povertà per alcune ragioni può preservare dalla devianza. Durkheim descrive anche un meccanismo psicosociale che può spiegare la devianza dei ricchi (anche in una società ben regolata): la ricchezza con i poteri che conferisce ci dà l’illusione di far capo esclusivamente a noi stessi e, diminuendo la resistenza che le cose ci oppongono, ci induce a pensare che esse possono essere conquistate all’infinito. Meno ci si sente limitati, più insopportabile ci appare ogni limitazione. Non è senza ragione che tante religioni hanno celebrato i benefici e il valore morale della povertà, che è, infatti, la migliore scuola per insegnare all’uomo a contenersi. Costringendoci ad esercitare su di noi una costante disciplina collettiva, mentre la ricchezza, esaltando l’individuo, rischia sempre di risvegliare quello spirito di ribellione che è la fonte stessa dell’immoralità. IL CASO DI LUCA: SPIEGAZIONE E INTERVENTO Secondo la prospettiva durkheimiana, la spiegazione del comportamento criminale di Luca può essere ricondotta da un lato ad uno specifico fattore strutturale (l’anomia), dall’altro al fatto che il potere e la ricchezza, esaltando l’individualismo, lo abbiano reso meno vincolato ai propri obblighi morali verso gli altri. Se si spiega la condotta di Luca utilizzando il concetto di anomia, si deve verificare se il crimine di Luca sia un caso isolato o se vi sia nella società una propensione ad infrangere le norme. Se tale fenomeno fosse statisticamente rilevante e in presenza di altri indicatori (tassi di divorzio, tasso di suicidi), si potrebbe spiegare la condotta criminale di Luca come sintomo di anomia. Adottando invece il secondo tipo di spiegazione si deve valutare se e in quale misura la sua posizione sociale, lo abbia indotto a perseguire le sue ambizioni (di ricchezza, di potere e di carriera) in modo immorale, trascurando cioè le proprie responsabilità verso gli altri. Le politiche d’intervento dovrebbero agire su due livelli: - A livello strutturale, promuovendo le condizioni affinché, attraverso il consolidamento dei legami sociali (della solidarietà), la società sia in grado di controllare le passioni dei propri membri; - A livello culturale, promuovendo nei membri potenti della società un’etica della responsabilità, cioè l’uso responsabile delle risorse e del potere di cui dispongono Intervento di tipo strutturale_ Per quanto riguarda il livello strutturale, si devono realizzare interventi che, rafforzando i legami sociali, promuovano modalità di controllo che le persone e le organizzazioni ad assumere comportamenti conformi alle norme. Braithwaite, facendo riferimento alla teoria del controllo sociale, descrive una specifica forma di regolazione del crimine, in generale, e dei colletti bianchi e del corporate crime, in particolare, che si fonda sull’importanza dell’interdipendenza tra gli individui. Poiché i criminali dal colletto bianco (avendo una posizione sociale medio-alta) hanno molto da perder in rispettabilità sociale assumendo comportamenti criminali nell’esercizio delle loro mansioni, i loro crimini possono essere pervenuti e/o contrastati attraverso espressioni di disapprovazione (la disapprovazione può essere di 2 tipi: un primo tipo, con cui si stigmatizza il comportamento e non l’autore di esso, ha lo scopo di reintegrare nella comunità il reo rendendolo consapevole di ciò che ha fatto; un secondo tipo, stigmatizzando l’autore del comportamento, esclude il reo dalla comunità rendendo più attraente per tale soggetto l’adesione alle subculture criminali) da parte degli altri significativi, che hanno lo scopo di provocare nella persona deviante il rimorso e la consapevolezza di ciò che ha fatto. E, poiché le persone interdipendenti sono più sensibili alla vergogna, per prevenire il crimine (anche quello dei colletti bianche e dei corporate crime) si devono rafforzare i legami sociali: la chiave per il controllo del corporate crime è quella di integrare bene le corporations nella comunità e renderle più sensibili alle pressioni del controllo sociale informale, favorendo modalità di autoregolazione. La teoria della vergogna integrativa di Braithwaite implica lo spostamento della responsabilità del controllo dell’illegalità verso la comunità insieme con la responsabilità di affrontare tale illegalità attraverso processi informali di controllo sociale. Lo Stato dovrebbe verificare l’efficacia di questi controlli e intervenire quando essi falliscono. Facendo riferimento al nostro caso, si dovrebbero adottare quelle iniziative che rafforzino il legame di Luca con la comunità, anche attraverso l’uso di strategie di disapprovazione reintegrativa: con l’affidamento in prova al Servizio sociale si potrebbe chiedere a Luca di svolgere un lavoro socialmente utile facendo in modo che, egli metta, al servizio della comunità, le sue competenze e capacità. Si dovrà inoltre agire sulle caratteristiche criminogene dell’impresa di Luca e prevedere forme di regolazione o di autoregolazione che rendano l’impresa più sensibile al controllo sociale informale e formale. Intervento di tipo culturale_ Facendo riferimento alle considerazioni di Durkheim sulla ricchezza, la detenzione e l’affidamento in prova al Servizio sociale possono diventare un’esperienza riabilitativa nella misura in cui si è in grado di costruire un percorso di risocializzazione attraverso cui Luca interiorizzi un’etica della responsabilità. La teoria del conflitto culturale_ Adottando la prospettiva teorica del conflitto culturale, si dovrà verificare se (e in quale misura), nell’ambito della cultura di un’impresa o di una subcultura di essa, le attività che la normativa definisce illegali siano considerate “normali” pratiche organizzative. I valori e le norme della cultura o della subcultura di un settore di essa possono promuovere e consolidare il comportamento deviante all’interno dell’organizzazione favorendo delle razionalizzazioni che lo giustificano. Una volta che tali pratiche siano state legittimate all’interno dell’organizzazione, molte di esse potranno essere successivamente adottate anche in assenza di pressioni strutturali: per esempio l’impresa che ha evaso le tasse in una particolare congiuntura economica sfavorevole potrà giustificare questo comportamento e metterlo in atto anche in situazioni più favorevoli. In alcuni casi i confini tra ciò che è legale e ciò che non lo è, tra ciò che socialmente accettabile e ciò che è socialmente disapprovato, sono resi più sfumati, indefiniti dai conflitti culturali che caratterizzano la società. IL CASO DI LUCA: SPIEGAZIONE E INTERVENTO Si dovrà verificare se l’inquinamento dell’ambiente sia stato un comportamento orientato da una cultura d’impresa la quale ha giustificato pratiche di smaltimento di rifiuti che avevano lo scopo di incrementare il profitto, espandere l’impresa e massimizzare il suo valore in Borsa. Il pubblico ministero dimostrò che l’azienda di Luca smaltiva illegalmente gli scarti di produzione da molto prima del suo arrivo in azienda. È probabile che esistesse un orientamento culturale d’impresa a cui Luca ha fatto riferimento nell’espletamento delle proprie mansioni, grazie al quale determinate attività, illegali per la normativa istituzionalizzate a cui la maggioranza dei membri della società attribuisce valore. La stratificazione sociale però non permette a tutti i membri della società di disporre dei mezzi per raggiungere le mete che la struttura culturale propone (i gruppi sociali più svantaggiati hanno limitate risorse per perseguire i loro fini). L'anomia è la condizione della società in cui è presente la dissociazione fra le mete prescritte culturalmente e le capacità dei membri di agire in modo conforme alle norme. La devianza è un sintomo di questa dissociazione. Nelle società in cui le mete e i mezzi istituzionali sono poco integrati si verifica la demoralizzazione, cioè le norme perdono il loro potere di regolare il comportamento e di conseguenza, per raggiungere i propri obiettivi, ogni mezzo diventa ammissibile. Merton fa l'esempio della società americana, nella quale tutti tendono al perseguimento di mete ambiziose (ricchezza economica). A questa situazione l'individuo può adattarsi in cinque maniere differenti: - CONFORMITÀ: gli individui perseguono le mete culturali utilizzando i mezzi istituzionalizzati a loro disposizione, è quindi un modo di adattamento non deviante. - INNOVAZIONE: gli individui ricorrono a mezzi istituzionalmente proibiti ma efficaci per il raggiungimento del successo. Questa forma di comportamento deviante caratterizza soprattutto le classi sociali inferiori, in quanto nonostante desiderino perseguire il successo economico sono limitate nei mezzi utili per conseguire tale meta. Non bisogna però pensare che la semplice mancanza di opportunità determini il crimine. In una società molto rigida, come una società stratificata per caste, questo fenomeno non avviene, in quanto anche le mete culturali qui sono stratificate per strato sociale. Invece il comportamento deviante si sviluppa in una società che spinge tutti i membri a perseguire la meta del successo economico per esempio, ma che non consente a tutti di accedere ai mezzi istituzionalizzati. - RITUALISMO: il ritualista è un individuo che, abbassando le sue pretese, rinuncia a perseguire la meta culturale del successo economico, ma continua a conformarsi al costume e quindi alle norme istituzionali. Questo tipo di adattamento è tipico della classe sociale media-inferiore, in quanto i suoi membri vorrebbero aderire al valore culturale del successo personale, ma, godendo di minori opportunità istituzionali, ridimensionano le proprie aspirazioni per uscire a gestire l'ansia che deriva da questa situazione. - RINUNCIA: è tipico di un individuo che ha interiorizzato sia i valori finali, sia le norme istituzionali, ma la sua posizione sociale non gli consente l'accesso ai mezzi per raggiungere il successo economico. La sua forte interiorizzazione delle norme non gli consente di scegliere vie illegali, quindi la sua unica soluzione è quella di rinunciare alla meta. Con questa scelta l'individuo diventa asociale (un disadattato), che non condivide il comune sistema di valori. - RIBELLIONE: i ribelli sono coloro che rifiutano le mete e i mezzi istituzionali e si adoperano per trasformare la struttura sociale. Sono quindi i rivoluzionari. Riassumendo: - gli esseri umani sono socializzati a perseguire determinate mete culturali adottando specifici mezzi istituzionali - in una società in equilibrio stabile le persone adottano una condotta conforme alle aspettative - in una società caratterizzata dall'anomia gli individui sono indotti ad una condotta non conformista - il comportamento deviante è una normale risposta a particolari condizioni sociali 2. La teoria della subcultura di Cohen: frustrazione di status e subculture delinquenti Questo autore sottolinea come molti comportamenti criminali sono commessi da gruppi di ragazzi, che condividono una subcultura cioè un insieme di norme e di valori (diversi da quelli della cultura dominante) che orienta le loro azioni (la teoria di Merton non è in grado di spiegare questi comportamenti messi in atto dalle gangs giovanili). Molti fatti della delinquenza quindi sono commessi da bande di ragazzi che condividono un complesso di intendimenti, di sentimenti comuni. Le teorie della trasmissione culturale (cap. 2) e dell'associazione differenziale (cap. 4) descrivono il processo attraverso cui i giovani assimilano i valori e le norme della subcultura. Resta da spiegare la genesi della subcultura delinquente giovanile. Per fare questo occorre descriverne le caratteristiche: i comportamenti dei giovani appartenenti alle bande sono orientati: - dalla gratuità: questi comportamenti criminali non sono motivati da considerazioni razionali, ispirati alla ricerca dell’utile. Spesso sono attuati per evitare l’isolamento o la riprovazione dei compagni. - della malignità: che si manifesta nella ricerca della provocazione e nella <soddisfazione di battere il prossimo>. - dalla distruttività: in quanto prende le norme dalla più vasta cultura circostante e le capovolge. La teoria di Cohen poggia su un postulato psicogenetico che afferma che gli esseri umani, posti di fronte un problema, mettono in atto delle strategie per affrontarlo. Ogni individuo vorrebbe raggiungere una posizione sociale di riguardo, ma non sempre dispone delle risorse e delle capacità necessarie. La sua cultura delinquente quindi rappresenta una soluzione collettiva ai problemi di adattamento determinati dalla distribuzione ineguale dell'opportunità. I problemi di adattamento quindi hanno la loro origine nell'incapacità di raggiungere un determinato status. Coloro che condividono tale problema lo possono affrontare fissando nuove norme, nuovi criteri che rappresentano quindi dei valori sottoculturali in antitesi con quelli della cultura dominante. Cohen si domanda perché i membri di tali subculture siano soprattutto i giovani maschi appartenenti alla classe operaia. Secondo quest’autore i giovani di questa classe sono sottoposti a maggiori tensioni nel raggiungimento di una posizione sociale di riguardo. Quindi se per Merton la fonte principale di tensione era dovuta alla difficoltà nel raggiungere il successo economico, secondo Cohen è la difficoltà nel raggiungere uno status e quindi la considerazione sociale. I giovani della classe operaia sono più in difficoltà nel raggiungere una condizione sociale di riguardo perché i criteri di valutazione sono quelli della classe media. Però i valori della classe media (ambizione, fiducia in se stessi, riluttanza a chiedere aiuto, ascetismo mondano cioè posporre le gratificazioni immediate per il conseguimento di mete a lunga scadenza, progettazione consapevole delle azioni, pratica delle buone maniere, controllo dell'aggressività, disposizione competitiva impersonale, occupazione costruttiva del tempo libero, rispetto della proprietà) sono molto diversi da quelli della classe operaia (reciprocità, uso della forza fisica per imporsi, maggiore attenzione al piacere immediato, senso della collettività). Per riuscire ad avanzare nella condizione di status e raggiungere una posizione sociale di riguardo occorre conformarsi alle norme della classe media e interiorizzare questi valori. Questo è naturale per il ragazzo di classe media ed è invece un ostacolo per i ragazzi di classe operaia che vivono un problema di adattamento (e questo genera anche un disagio psicologico caratterizzato da tensioni, frustrazioni, risentimenti, colpa, amarezza, angoscia, disperazione). Per risolvere questo problema i ragazzi della classe operaia hanno tre diverse soluzioni: - soluzione del ragazzo di college, che studiando spera di poter aprire le porte del successo. La scuola è, infatti, uno dei luoghi dove tutte le classi cercano di ottenere le capacità per migliorare la propria condizione sociale. Questa istituzione però è permeata dei valori della classe media (alla quale appartengono insegnanti e dirigenti) e quindi i giovani di classe operaia hanno maggiori probabilità di essere valutati negativamente dagli insegnanti (perché non riescono a conformarsi ai valori dominanti: interesse per lo studio, comportarsi in modo disciplinato, controllare l'aggressività...) e minori probabilità di conseguire le credenziali (titolo di studio) per migliorare la propria posizione. - soluzione del ragazzo di strada, che adotta lo stile di vita della classe operaia, senza entrare in conflitto con i valori della cultura dominante - soluzione delinquente La sottocultura è quindi un modo di affrontare i problemi di adattamento che abbiamo descritto. I contenuti della subcultura sono l'immediatezza dei progetti, la gratuità, la distruttività, la malignità e la dipendenza dal gruppo. Questi criteri sono alternativi a quelli della cultura dominante e rappresentano un rifiuto esplicito dei valori della classe media. Cohen spiega le caratteristiche di questa subcultura utilizzando il meccanismo psicodinamico della formazione reattiva, illustrato da Freud. Per affrontare lo stato di angoscia, il ragazzo di strada risponde alla situazione con una risposta violenta, di un'intensità esagerata. Questa risposta non ha solo la funzione di far fronte alla situazione-stimolo esterna, ma serve anche per rassicurare l'agente contro la minaccia interna. Nel caso del ragazzo delinquente, la formazione reattiva rappresenterebbe una forma di ostilità irrazionale verso le norme della società. Il rubare, per esempio, non è solo un modo illegittimo per perseguire le mete culturalmente prescritte (come sostiene Merton), ma è un atto con cui si rifiutano sia le mete, sia le procedure istituzionali, è un gesto che esprime il disprezzo vissuto dal ragazzo. Il fascino della subcultura delinquente sta proprio nel fatto di non dover venire a patti con le norme e valori della classe media. Rifacendosi alle teorie della trasmissione culturale e dell'associazione differenziale, Cohen afferma che la probabilità che un ragazzo con un problema di adattamento diventi un criminale dipende dal tipo di legame che intreccia con i membri della subcultura delinquente. Se avrà relazioni stabili con questi membri acquisterà uno status elevato ed è probabile che inizierà a considerare la subcultura come un’efficace soluzione ai problemi di adattamento. 3. La teoria di Cloward e Ohlin: struttura illegittima delle opportunità e bande delinquenti Mentre Merton e Cohen avevano considerato soltanto la struttura di opportunità, quella legittima, Cloward e Ohlin ritengono che i giovani della classe inferiore, che risiedono negli slums (baraccopoli), per realizzare le loro aspirazioni hanno a disposizione anche la struttura illegittima delle opportunità. Questi autori quindi introducono una nuova variabile, ossia l'accesso differenziato alle opportunità illegittime. Infatti il soggetto che non riesce a raggiungere il fine con mezzi legittimi può anche non avere accesso ugualmente alla miriade di mezzi illegittimi. La natura della risposta deviante, che si sviluppa come ricerca collettiva di soluzioni a determinati problemi di adattamento, è influenzata dall'ambiente in cui si vive. Infatti nei quartieri in cui la criminalità è endemica è stabile, i giovani apprendono determinati ruoli criminali e possono stabilire rapporti con alcune categorie di persone che gli permettono di mantenere uno stile di vita criminale protetto e stabile. In conclusione l'interesse degli autori è rivolto alle differenze socialmente strutturate di accesso alle possibilità illegittime. Se Cohen aveva individuato solo una forma di subcultura delinquente (maligna, distruttiva e gratuita), Cloward e Ohlin ne esaminano tre: - subcultura criminale: i membri della banda utilizzano mezzi illegali come furto, estorsione, rapina per procurarsi il denaro - subcultura conflittuale: in cui membri ricorrono alla violenza per acquisire uno status - subcultura astensionista: dove nella banda si consumano droghe Secondo questi due autori i giovani della classe inferiore sono stati indirizzati a desiderare mete per loro irraggiungibili con i mezzi legittimi. Nella società americana i canali legittimi utili per migliorare la propria posizione sociale e per ottenere il successo economico (i giovani non necessariamente ambiscono ad adottare lo stile di vita della classe media, come diceva Cohen, ma vogliono acquisire uno status più elevato all'interno del loro ambiente) sono la scuola, lo sport e lo spettacolo. Queste strade però sono limitate a causa di ostacoli strutturali che determinano una profonda tensione e frustrazione in quei giovani che vivono queste limitazioni. Quindi si cerca di perseguire il successo attraverso alternative non conformi. La devianza quindi deriva dalla conformità, in quanto è il desiderio di raggiungere scopi socialmente approvati che produce l'adattamento deviante (questi giovani non sono quindi stati socializzati inadeguatamente). Le differenze tra i membri delle subculture delinquenti e non delinquenti non sono psicologiche, biologiche, legate a presunti deficit di socializzazione, infatti anche i delinquenti si conformano alle loro norme del loro gruppo delinquente. Come per Merton, la devianza e la conformità sono originate dalle stesse condizioni sociali. Cohen riteneva che la soluzione collettiva ai problemi di adattamento si sviluppi quando più persone interagiscono fra loro. Secondo Cloward e Ohlin gli adattamenti collettivi emergono quando il fallimento nel perseguire gli scopi convenzionali è attribuito all'ordinamento sociale e non a incapacità personali (le persone non si associano con le altre se ritengono che il loro problema sia dato dalla loro incapacità a perseguire le mete convenzionali). Questi due autori ritengono che il processo attraverso cui si forma una subcultura delinquente è il seguente: - prima di tutto i giovani devono ribellarsi alla credenza della legittimità di certi aspetti - poi devono unirsi ad altri per risolvere i loro problemi di adattamento (non risolverli da soli) - devono possedere i mezzi adeguati per controllare le emozioni di colpa e timore che spesso le nuove reclute vivono - infine non ci devono essere gravi ostacoli alla comunicazione fra i malcontenti perché in questo caso le probabilità di sviluppare una soluzione risultano scarse In questo processo di sviluppo delle subculture delinquenti occorre tenere in considerazione la reazione sociale degradante ed escludente della comunità degli adulti che spesso favoriscono l'adozione di una soluzione collettiva di tipo criminale. Citando lo studio di Tannenbaum essi descrivono la carriera del giovane membro di una banda. Quando il giovane inizia a compiere i primi atti devianti trova il sostegno degli individui che hanno avuto esperienze simili alla sua, ma agli occhi di tutti gli altri questo ragazzo diventa malvagio. Questo crea un circolo vizioso di violazione delle norme che, a causa del risentimento del giovane, favorisce sempre più gravi violazioni. In questo modo il processo di alienazione accelera e l'abisso fra il trasgressore e penali non ha alle spalle una carriera criminale fallita. Il consumo di droga di Mario quindi non può essere spiegato facendo riferimento alla teoria del doppio fallimento di Cloward e Ohlin. 2- IL CASO DEL CRIMINALE DAL COLLETTO BIANCO LA TEORIA DELLA TENSIONE Nonostante Merton ritenesse che il modo di adattamento dell'innovazione fosse scelto soprattutto dai membri delle classi sociali inferiori, la teoria della tensione è stata utilizzata anche per spiegare il comportamento deviante nelle classi sociali superiori, l'adozione di comportamenti criminali nell'esercizio della propria professione ed infine da parte delle imprese. La scelta dell'innovazione è possibile quindi nel momento in cui i tentativi legittimi di migliorare la propria posizione sociale sono scarsi. Anche le organizzazioni, così come gli individui, possono adottare dei comportamenti devianti. L'impresa "criminogena" nasce dal fatto che essa opera in un ambiente incerto in cui le opportunità legittime sono limitate o poco accessibili. I dirigenti quindi utilizzano mezzi alternativi per raggiungere determinati fini culturalmente approvati (crescita del valore di mercato dell'azienda). All'enfasi sullo scopo si affianca una perdita dell'importanza delle norme e dei mezzi usati. IL CASO DI LUCA Luca ha adottato un comportamento criminale per ridurre i costi di smaltimento dei rifiuti ottenendo così dei benefici per la propria impresa. Prima di tutto occorre comprendere il contesto organizzativo, che può attribuire molta importanza al perseguimento della massimizzazione del profitto e poca importanza alle norme istituzionali usate per raggiungerla. Se la criminalità d'impresa non è una questione di persone, ma il prodotto della struttura stessa allora occorre affrontare le cause strutturali che producono l'anomia. Queste cause devono essere individuate analizzando la struttura sociale delle imprese (strutture dei mercati in cui le imprese operano, ideologie che orientano e giustificano le loro azioni, tipi di regolazione istituzionale). Se, per esempio, il comportamento criminale è favorito da un determinato modo di produzione, lo Stato dovrebbe rendere le imprese più responsabili delle conseguenze delle loro azioni. In questo caso il modello di autoregolazione è inefficace, in quanto è il sistema stesso ad essere criminogeno. Nel caso di Luca sarebbe utile attuare un percorso rieducativo che lo aiuti ad interiorizzare i valori istituzionali. LE TEORIE DELLE SUBCULTURE DELINQUENTI I modelli teorici di Cohen e di Cloward e Ohlin si focalizzano sui giovani maschi, di classe inferiore, che risiedono in quartieri urbani degradati. Quindi queste teorie non possono essere utilizzate per spiegare i reati dei colletti bianchi. Esiste però una prospettiva teorica del crimine che analizza le subculture organizzative. Le subculture possono favorire il comportamento criminale o fornendo ai propri membri le razionalizzazioni per compiere il reato oppure isolando i propri membri dai modelli normativi convenzionali. Nel primo caso la subcultura consente ai membri di neutralizzare la norma che deve essere violata sospendendo temporaneamente il legame morale con essa. Nel secondo caso l'isolamento dalle definizioni favorevoli alla legge è simile alla condizione che caratterizza i giovani che partecipano alle bande giovanili (le norme non vengono più considerate vincolanti). In questo caso i soggetti possono essere resistenti alla rieducazione, perché non vivono sentimenti di colpa. IL CASO DI LUCA Luca forse ha scelto di conformarsi alle regole della subcultura non ritenendo vincolanti le norme sociali. Questo meccanismo è diverso da quello della neutralizzazione (cap 4) perché Luca ha violato la norma, non ritenendola più vincolante, per conformare la sua condotta alla norma della subcultura. La logica che dovrebbe caratterizzare l'intervento è simile a quella usata per la teoria del conflitto culturale (cap 2). 3- IL CASO DELL'AUTORE DEL REATO PREDATORIO LA TEORIA DELLA TENSIONE Adottando la teoria della tensione di Merton il comportamento deviante di molti immigrati deriva dalla tensione che essi sperimentano per non riuscire realizzare le loro aspettative ricorrendo ai mezzi istituzionali. Il modo di adattamento mezzi/fini di tali criminali dovrebbe essere quello dell'innovatore. Per quanto riguarda gli immigrati di prima generazione essi conoscono lo stile di vita dei paesi occidentali dai mezzi di comunicazione, dalla scuola e dal racconto di persone che vi sono state (socializzazione anticipatoria). L'enfasi di questa socializzazione è posta prevalentemente sulle mete e non sui mezzi istituzionali. Anche gli immigrati di seconda generazione assumono come modello quello degli autoctoni e ne interiorizzano le mete, ma spesso non dispongono delle risorse per raggiungerle e ricorrono a mezzi illegali. IL CASO DI MOHAMED È probabile che Mohamed sia emigrato per adottare lo stile di vita occidentale che ha interiorizzato con il processo di socializzazione anticipatoria, nella quale la meta è presentata come facilmente raggiungibile. Nella realtà poi le opportunità illegali si sono dimostrate più accessibili delle vie istituzionalizzate. Gli interventi devono interessare i due livelli: quello strutturale e quello culturale. Dal punto di vista strutturale si possono istituire dei programmi che favoriscono il processo d’integrazione sociale e economica degli immigrati e che permettano di contrastare la criminalità. Dal punto di vista culturale si dovrebbe favorire una socializzazione anticipatoria che ponga l'accento non solo sulle mete, ma anche sui mezzi istituzionali concretamente accessibili. LE TEORIE DELLE SUBCULTURE DELINQUENTI Secondo queste teorie il reato predatorio di un immigrato può essere considerato espressione della reazione collettiva a problemi di adattamento. La risposta deviante non è influenzata solo dalla difficoltà di accesso ai mezzi istituzionali, ma anche dal tipo di opportunità illegittime a cui le persone sono esposte. Alcuni studi hanno evidenziato come gli stranieri hanno accesso a determinati mezzi illegittimi piuttosto che ad altri, per esempio alcuni si collocano negli strati inferiori nella rete di distribuzione della droga (spacciatori di strada). IL CASO DI MOHAMED Occorre valutare se il suo comportamento è espressione di una modalità di adattamento collettiva oppure individuale. In più bisogna valutare in quale misura questo comportamento ha una valenza espressiva o strumentale. Mohamed potrebbe aver maturato la convinzione che per lui non ci sia alcuna possibilità di migliorare la propria condizione sociale rispettando le norme e quindi l'unica soluzione che ha è conformarsi alle norme e ai valori della subcultura delinquente. Gli interventi sono simili a quelli proposti dalla teoria di Merton: attuare politiche che promuovano l'integrazione sociale ed economica. Spesso i membri della subcultura delinquente si allontanano dalla società convenzionale, per questo può essere utile adottare strategie d’intervento per avvicinare questi soggetti al contesto territoriale. Le modalità di intervento del lavoro sociale di strada hanno proprio lo scopo di favorire il contatto dei membri delle gangs con i rappresentanti (assistenti sociali, educatori professionali…) delle istituzioni che promuovono programmi di integrazione sociale. Se si accertasse che Mohamed fa parte di una subcultura delinquente, l'intervento potrebbe essere rivolto a tutti i membri del gruppo. 4. L’apprendimento del comportamento deviante 1. Le teorie Finora ci siamo focalizzati sul rapporto relazione-struttura sociale senza però spiegare come gli individui diventino devianti. A questo rispondono le teorie: esse spiegano che il comportamento deviante e quello conforme vengono appresi nello stesso modo (cioè attraverso l’interazione sociale). Ciò che si apprende però, dipende dai modelli di comportamento ai quali si è esposti e, in certi contesti, si entra in contatto con soggetti devianti. Parleremo della teoria dell’associazione differenziale di Southerland che considera il crimine un comportamento appreso attraverso l’interazione. Analizzeremo poi una parte più specifica del suo modello, estesa, la teoria della neutralizzazione di Matza e Sykes secondo cui le persone agiscono in modo deviante quando riescono a neutralizzare la forza delle regole culturali tramite scuse e giustificazioni. 1.1 Southerland e la teoria dell’associazione differenziale La sua teoria rifiuta la spiegazione secondo cui il criminale è tale perché psicologicamente/biologicamente inferiore; si basa su tre concetti coi quali si propone di spiegare a criminalità ai vari livelli (società, gruppi, individuo): 1. Conflitto normativo: siccome la società è caratterizzata da molti gruppi sociali, è conseguenza diretta che i gruppi che adottano stili di vita regolati da valori/interessi diversi da quelli del gruppo al potere, hanno più probabilità di mettere in atto comportamenti definibili devianti perché in conflitto con le norme vigenti. Inoltre, oggi soprattutto, la società è socialmente molto differenziata e con essa anche i pareri delle persone da cui un individuo è attorniato: per taluni le regole vanno osservate e per altri vanno violate; viviamo così un conflitto culturale (l’autore si rifà alla teoria del conflitto culturale) in relazione ai codici legali. Dunque più sub-culture devianti avremo in società, più alti saranno i tassi di reato. 2. Organizzazione sociale differenziale: Southerland ritiene che le “varianzioni nei tassi di reato” tra i diversi gruppi sociali siano espressione della loro diversa organizzazione sociale (cioè la % di devianza nei loro comportamenti) rispetto alla legge vigente.  Teoria generale del crimine: perché alcuni hanno comportamenti criminali ed altri no? I criminali non hanno intelletto/personalità diverse dai non criminali, semplicemente hanno appreso i comportamenti da soggetti a loro volta criminali. Anche se la statistica individua alcuni fattori come povertà, malattia mentale, razza, disorganizzazione familiare come causali della criminalità, secondo Southerland queste spiegazioni sono sbagliate perché si basano sulla errata convinzione che “mala causa male”. Infatti non tutti coloro con i suddetti disagi commettono reati e viceversa, ne commettono coloro che vivono nell’agio. Bisogna dunque trovare condizioni e processi comuni tra ricchi/poveri, maschi/femmine etc… Due tipi di spiegazioni: i. Spiegazione situazionale/dinamica: i criminali sono accomunati dai processi che agiscono nel momento in cui il reato si verifica (es: il ladro può decidere di rubare quando un appartamento è incustodito e di non farlo quando qualcuno lo può vedere) ii. Spiegazione evolutiva/storica: i criminali sono accomunati da una storia antecedente (es: a seconda dell’esperienza di vita che il criminale ha avuto, non sempre deciderà di non rubare se qualcuno lo può vedere, anzi…) 3. Associazione differenziale (teoria): in base al precedente assunto Southerland individua 9 punti che spiegano la teoria evolutiva secondo cui un individuo arriva a intraprendere un comportamento criminale: 1. Il comportamento criminale è appreso 2. Il comportamento criminale è appreso tramite comunicazione e interazione 3. Il comportamento criminale è per lo più appreso da gruppi di persone in stretto rapporto 4. L’apprendimento del comp. Crim include: a. Tecniche di commissione del reato (il “come”) b. Moventi, iniziative, razionalizzazioni e atteggiamenti (il “perché”) 5. Le iniziative avvengono a seconda delle favorevolezza/sfavorevolezza ai codici della legge 6. Si diventa delinquenti quando la sfavorevolezza alla legge supera la favorevolezza alla legge (cioè associazione differenziale) 7. Le associazioni possono variare in base a: frequenza, durata, priorità (= momento in cui la persona si è associata ai modelli criminali) ed intensità emozionale di esposizione alla compagnia di soggetti devianti 8. L’apprendimento criminale avviene attraverso gli stessi processi coinvolti in ogni altro apprendimento 2.3 La prevenzione del comportamento deviante: intervenire sul contesto sociale e culturale Le teorie di questo capitolo attribuiscono importanza al contesto sociale e dunque per prevenire: - Secondo la teoria dell’associazione differenziale (Southerland): bisogna agire a livello di gruppi - Secondo la teoria della neutralizzazione: si può prevenire la devianza modificando i modelli dominanti in una società tramite leggi o politiche educative (es: bisogna cercare di sfavorire i pensieri che tendono a dare la colpa della criminalità a: genitori, comunità, società perché questo non fa altro che confermare al delinquente che la colpa non è sua e alimentare il suo senso di ingiustizia (così egli non ha più una morale e è facile che delinqua). 3.0 Applicazione delle teorie ai casi Analisi di tre casi alla luce delle teorie dell’associazione differenziale e della neutralizzazione 3.1 Il caso del tossicodipendente - secondo la teoria dell’associazione differenziale il consumo di droghe illegali può essere appreso tramite l’interazione (apprende tecniche e razionalizzazioni). Questa teoria spiega inoltre che la % di consumatori di droghe in una data popolazione ne esprime le credenze/valori etc..: sia l’uomo d’affari che l’emarginato sono stati dunque esposti a modelli favorevoli alle droghe (magari di tipo diverso) nella stessa città. - Il caso di Mario: spiegazione di intervento: o bisogna capire:  Come ha appreso il comportam deviante (domandandosi se, visto che ha cambiato tipo di droga, i gruppi con stava erano gli stessi e se le sue razionalizzazioni fossero cambiate o meno passando a droghe che creano dipendenza)  Cosa ha appreso durante l’interazione o Si può intervenire su:  La comunità in cui Mario vive promuovendo modelli sfavorevoli alla droga organizzando programmi di comunità → non semplicemente a singoli o piccoli gruppi (prevenzione primaria). Es: attività ricreative, di formazione professionale etc.. svolgono azione:  Preventiva perché dovrebbero isolare i soggetti da quelli devianti  Di reinserimento sociale perché dovrebbero fare entrare in contatto i soggetti con nuovi gruppi rispettosi della legge  Rieducare Mario (con psicoterapia, mutuo aiuto, lavoro): questo funzionerà solo se poi potrà stare con persone del suo ambiente che non si drogano (astinenza). Se nel suo ambiente questo non fosse possibile dovrà esserne allontanato (inserendolo per es. in comunità)  Rieducare Mario facendo poi stare con persone che lo inducono ad usare droghe meno dannose per sé e gli altri (strategia di riduzione dei danni).Questo si può fare solo se Mario non è stato inviato a operatori SERT ma è stato “trovato in strada” dagli operatori mobili. Esistono delle “unità mobili” che insegnano tramite dei “pari” come usare le droghe in modo meno dannoso in modo da non giustificare i reati col fatto che si era “sotto effetto della droga”. - Secondo la teoria della neutralizzazione: molti consumatori non si definiscono “devianti” poiché apprendono le giustificazioni del loro comportamento che servono a neutralizzare determinate norme della cultura dominante, a cui continuo, comunque a fare riferimento. Inoltre l’uso di droghe è anche in comportamento regolato da regole sociali “sotterranee” presenti anche nella cultura dominante. - Il caso di Mario: spiegazione di intervento: o bisogna capire:  le giustificazioni alle quali Mario è ricorso (cioè le sue tecniche di neutralizzazione)  se e in quale misura i valori sotterranei hanno agito (cioè quanto è stato influenzato dall’idea che va bene drogarsi per: divertirsi, quando si sta male o per migliorare le proprie prestazioni) o si può agire su:  la convinzione che l’uso di droghe non è un comportamento rischioso: rendendo inefficaci le tecniche di neutralizzazione usate dai soggetti (prevenzione primaria)  (riduzione dei danni) possibile solo se non insieme a operatori SERT. Si cerca di modificare la struttura motivazionale in modo da farlo agire più responsabilmente per sé e per gli altri. 3.2 Il caso del criminale dal colletto bianco: Luca - secondo la teoria dell’associazione differenziale - Il caso di Luca: spiegazione di intervento: o bisogna capire:  Come ha appreso il comportam deviante (l’azienda di Luca smaltiva illegalmente gli scarti già prima del suo arrivo in essa, è quindi probabile che lo abbia appreso dai colleghi)  Cosa ha appreso durante l’interazione o Si può intervenire su:  Variabili strutturali: il passaggio di sistema economico libero a statale ma privo di organizzazioni contro il crimine incide sulla tendenza alla devianza; servono dunque delle leggi che contrastano certe condotte così da non permettere giustificazioni a certi comportamenti  Culture organizzative: bisogna capire se esiste o meno una sub-cultura del “laissez faire” che permette a Luca di giustificare lo scarico di rifiuti tossici nelle falde acquifere. Se c’è bisogna sensibilizzare Luca e le organizzazioni sulla gravità di determinati comportamenti etc…)  Rieducazione e affiliazione con persone che non conducono condotte criminali (per esempio facendo fare a Luca il servizio sociale con volontari e persone che seguono la legalità per rendere inefficaci le sue precedenti razionalizzazioni evitando che al lavoro abbia a che fare con persone sfavorevoli alla legge) - Secondo la teoria della neutralizzazione: molti consumatori non si definiscono “devianti” poiché apprendono le giustificazioni del loro comportamento che servono a neutralizzare determinate norme della cultura dominante. Ecco alcune tipiche tecniche di neutralizzazione: o Negazione dell’offesa: ho fatto qualcosa di illegale ma non ho danneggiato nessuno per cui non sono un criminale o Le norme violate sono ingiuste: queste leggi le ho violate perché altrimenti la mia azienda ne usciva danneggiata o Lealtà all’organizzazione di appartenenza: l’ho fatto per l’azienda perché sono leale ad essa o Trasferimento responsabilità ad un gruppo di riferimento vagamente definito: tutti lo fanno, questo è il sistema! o Bisogno di denaro. Mi pagano troppo poco! Più la giustificazione del colletto bianco è coerente con le motivazioni tipiche di una certa società, tanto più essa sarà accettata e dunque egli potrà comunque godere di una buona reputazione. Si tende inoltre a credere, giustificando i colletti bianchi, che la loro criminalità sia meno dannosa di quella di tipo predatorio. Questo evidenzia quanto sia importante intervenire proprio a livello culturale più che a livello di singoli individui problematici… - Il caso di Luca: spiegazione e intervento o Bisogna:  Intervenire sulla società: facendo in modo che l’opinione pubblica inizi a non accettare tali condotte criminali  Intervenire sui gruppi di riferimento: programmi educativi aziendali che contrastino l’efficacia delle frasi usate per giustificarsi. Ricerche dimostrano che il risentimento porta a condotte criminali e la soddisfazione a condotte normali  Intervenire sul singolo autore di reato: nel caso si Luca si dovrò promuovere un codice che sanzioni determinati comportamenti ed in più lo si dovrò rendere consapevole di aver danneggiato numerose persone. 3.3 Il caso dell’autore del reato predatorio - con la teoria dell’associazione differenziale si può spiegare il processo con cui si arriva a comportamenti devianti - con il principio dell’organizzazione sociale differenziale invece spiega la presenza diversa di tassi di criminalità diversi nei vari gruppi etnici. - I ragazzi migranti possono: - Migrare in base a un progetto di famiglia che sostiene economicamente il ragazzo - Migrare autonomamente, solitamente provengono da contesti disagiati e già nel paese originario sono stati esposti a modelli criminali. - Il caso di Mohamed: spiegazione di intervento: o bisogna capire:  Come ha appreso il comportam deviante (ha iniziato ad esserlo perché era “irregolare” e in ambienti di lavoro irregolari è possibile conoscere modelli sfavorevoli alla legge  Cosa ha appreso durante l’interazione (si evince dal fatto che sia già stato arrestato in precedenza per spaccio/scippo che abbia frequentato gruppi diversi e da essi abbia acquisito razionalizzazioni diverse) o Si può intervenire su:  Promozione modelli positivi nella sua comunità  Rieducazione affiliandolo a persone che lo convertiranno a una condotta conforme (altrimenti il trattamento individuale non sarà efficace)  Prevenzione sociale tramite:  Migliorare condizioni sociali/sanitarie delle comunità  Riconoscimento di diritti e cittadinanza E’ dimostrato che se più ci sono persone che si comportano legalmente più, in una comunità ce ne saranno altre così. Devono però ottenere il consenso degli altri gruppi e utilizzare i mezzi di comunicazione per sviluppare un clima favorevole. Il Marijuana Tax Act mostra come un comportamento sociale tollerato (il consumo di marijuana) divenne un crimine, questo esempio è stato esaminato da Becker soprattutto per il ruolo di imprenditori morali che hanno giocato alcuni dirigenti del Bureau of Narcotics. Essi hanno fatto passare questa scelta come rafforzamento di alcuni valori dell’etica protestante e valori caratterizzanti uno spirito umanista: nessun individuo dovrebbe perdere il controllo di sé, né dovrebbe assumere comportamenti finalizzati ad ottenere stati di estasi e poi le persone dipendenti dall’uso di alcol e oppio avrebbero tratto beneficio da una legge che non avrebbe consentito loro di accedere in modo legale a sostanze dannose per la loro salute. Far rientrare nella loro sfera di competenza la cannabis avrebbe dato loro più risorse e più potere. Per poter far ciò si assicurarono l’appoggio delle altre organizzazioni interessate dal punto di vista morale, sociale e religioso e attraverso i mezzi di comunicazione di massa crearono un atteggiamento favorevole nell’opinione pubblica. 1.2 L’APPLICAZIONE DELLE NORME Le norme che sono state create devono essere applicate. La loro applicazione richiederà l’individualizzazione delle organizzazioni che hanno il compito di rilevare i comportamenti devianti e di etichettare gli individui devianti e di applicare loro il trattamento appropriato. L’applicazione delle norme è selettiva perché non è orientata da criteri oggettivi ma è espressione delle scelte di chi ha il potere di “etichettamento” (la reazione sociale può essere di due tipi informale se è quella delle persone che vivono insieme a lui, oppure formale se espressa dai membri delle agenzie deputate al controllo e al trattamento sociale). Non tutti quelli che violano le norme sono etichettati come devianti, così come possono essere etichettati come devianti persone che non hanno violato le norme (secondo Becker quando la natura del comportamento e la percezione sociale dello stesso coincidono si hanno i tipi devianti del conforme e del deviante puro. Quando il comportamento deviante non viene percepito come tale sarà un soggetto segretamente deviante, quando un atto conforme viene visto come deviante può rischiare di essere etichettato come deviante, falsamente accusato). È questione di differenze di potere: i gruppi che dispongono di più potere di altri possono perseguire i propri interessi. Non sono le forme del comportamento in sé a determinare la reazione societaria, ci dovrà esser qualcuno che reagisca a tale comportamento attivando l’intervento delle agenzie del controllo sociale. Il sociologo deve dunque studiare non solo l’origine delle etichette devianti, ma anche i meccanismi sociali che condizionano la loro applicazione. Coloro che hanno minore potere nella società sono i soggetti più a rischio ad essere stigmatizzati, sono più esposti alla reazione sociale. Chambliss esamina la reazione sociale di una comunità nei confronti di due differenti bande di ragazzi: The Saints, della classe sociale media, The Roughnecks, della classe sociale operaia. Anche se entrambi adottino comportamenti devianti soltanto i membri del secondo gruppo ricevono considerevole attenzione da parte della scuola e delle agenzie di controllo sociale. Alcuni fattori spiegano le differenze nella reazione sociale delle comunità: - una gang (la seconda) è molto più visibile dell’altra (la relazione tra osservabilità e devianza è molto importante, i poliziotti adottano particolari strategie per dedurre dall’aspetto di un individuo una probabilità di comportamento criminale tale da giustificare la procedura di indagine e di arresto)i The Saints si muovono in macchina e non trascorrono il tempo libero in strada. - le reazioni dei membri delle due gang sono differenti agli interventi della comunità nei loro confronti: i primi si dimostrano pentiti e collaborativi, i secondi mostrano ostilità e disprezzo. - alcuni pregiudizi della comunità sui membri delle classi meno abbienti portano i poliziotti a definire il comportamento trasgressivo dei primi come meno pericoloso di quello dei Roughnecks. - la risposta della comunità ai Roughnecks rinforza il comportamento deviante. Ci sono, dunque, dei meccanismi selettivi che orientano la reazione sociale. Le statistiche ufficiali, quindi, non ci permettono di descrivere le caratteristiche della criminalità e di specifici fenomeni sociali, ma piuttosto le modalità con cui viene esercitato il controllo sociale. 1.3 LE CONSEGUENZE DELL’ETICHETTAMENTO SUGLI INDIVIDUI Occorre dunque studiare le conseguenze del processo di etichettamento sulle persone: che cosa succede a coloro che sono stati identificati e definiti come devianti? La persona etichettata riorganizza la propria identità sulla base della devianza. Si può distinguere tra devianza primaria e secondaria. La devianza primaria è poligenetica, è causata da una varietà di fattori socioculturali, psicologici e fisiologici. Presenta implicazioni marginali per lo status e la struttura psichica della persona interessata. Il soggetto razionalizza il proprio comportamento come una deviazione temporanea. La deviazione diventa secondaria quando una persona incomincia ad usare il proprio comportamento deviante o un ruolo basato su di esso come un mezzo di difesa, attacco o adattamento nei confronti dei problemi creati dalla conseguente reazione sociale ad essa (i passaggi che portano dalla devianza primaria a quella secondaria sono: devianza primaria - sanzioni sociali – ulteriore devianza primaria – sanzioni ed emarginazione più forti – ulteriore devianza primaria accompagnata da ostilità e risentimento nei confronti di coloro che penalizzano – la crisi raggiunge la soglia della tolleranza attraverso la stigmatizzazione formale del deviante da parte della comunità – rafforzamento della condotta deviante come reazione alla stigmatizzazione e alle sanzioni subite – accettazione finale dello status sociale di deviante e adattamento al ruolo sociale associato a tale status). Se ciò che la sociologia deve spiegare è il processo attraverso cui le persone etichettate acquisiscono uno status e un’identità deviante, il comportamento deviante deve essere studiato ricorrendo a modelli processuali (diacronici) La carriera deviante: con il termine di carriera si fa riferimento al percorso seguito da una persona in una determinata posizione o esperienza con il trascorrere del tempo. I passaggi da una posizione all’altra possono dipendere da fattori casuali e contingenti e possono essere più o meno improvvisi e radicali. Becker presenta un modello di carriera deviante articolato in quattro fasi: 1^ fase della carriera deviante: commissione di un atto non conforme in maniera consapevole o inconsapevole. 2^ fase della carriera deviante: sviluppo delle motivazioni, interessi definizioni favorevoli alla trasgressione di determinate norme sociali. Le motivazioni non necessariamente preesistono al comportamento deviante. 3^ fase della carriera deviante: etichettamento pubblico del soggetto come deviante. Cambiamento nell’identità pubblica del soggetto: da persona screditabile a persona screditata. (la carriera deviante può essere studiata secondo due approcci: positivista e interazionista. La prospettiva positivista tenta di individuare i fattori produttivi della carriera deviante che possono spiegare le varie fasi di tale carriera: coinvolgimento iniziale, la durata, la frequenza e la gravità degli atti devianti e la conclusione. Nella prospettiva internazionalista i fattori biologici, individuali e ambientali influenzano e condizionano, ma non determinano, le future traiettorie dell’azione. Considerano il ruolo della reazione sociale nella costruzione delle carriere devianti.) Le caratteristiche primarie di una persona costituiscono gli status egemoni che mettono in ombra le caratteristiche giudicate meno importanti. L’etichettamento può contribuire a fare in modo che lo status deviante diventi quello egemone. Verrà reinterpretato retrospettivamente il suo comportamento passato per trovare una conferma della sua natura deviante. In seguito a questo processo, che si configura come una vera e propria profezia che si auto adempie, il deviante assume lo status e l’identità veicolata dall’etichettamento: la persona finisce per divenire quello che è stato descritto essere. Anche il trattamento può contribuire ad ampliare la devianza. Determinate istituzioni consolidano lo status e l’identità deviante dei soggetti che trattano:  impedendo loro lo scambio sociale e l’uscita verso il mondo esterno  spogliandoli dei ruoli sociali abituali a causa delle barriere che li separano dal mondo esterno  mortificando il loro sé in quanto li privano della possibilità di gestire la propria facciata essendo sottratti loro il corredo e gli strumenti necessari per la gestione  attribuendo loro l’etichetta di persone istituzionalizzate, limitandone in questo modo le opportunità di vita il trattamento può influenzare le credenze degli utenti/clienti fornendo loro vocabolari motivazionali per spiegare e giustificare ex post i loro comportamenti devianti. Ad esempio la medicalizzazione di determinati comportamenti fornisce ai soggetti trattati una serie di frames attraverso cui essi potranno attribuire un senso al proprio comportamento, giustificandolo. Un esempio legato alla remissione assistita e spontanea dall’uso dipendente di eroina ha evidenziato come il processo di remissione sperimentato condizioni lo sviluppo della carriera deviante. Il trattamento fornendo interpretazioni della tossicodipendenza facendo riferimento a fattori che sono ritenuti fuori dal proprio controllo può indurre un senso di insicurezza, vulnerabilità individuale e di dipendenza dal trattamento. Questa è un’evidenza empirica che esemplifica il paradosso del trattamento, cioè la “strana proprietà” delle pratiche istituzionali: quella per cui esse creano il proprio oggetto perché è il modo con cui viene impostata la ricerca della soluzione che dà forma al problema plasmandolo a propria immagine e somiglianza. 4^ fase della carriera deviante: entrare a far parte di un gruppo deviante organizzato. Il soggetto può subire varie forme di discriminazione che possono condizionare le opportunità di vita, allentare il legame sociale con i membri dei gruppi convenzionali e favorire il legame con le persone contrassegnate dallo stesso stigma. L’affiliazione al gruppo deviante consente alle persone stigmatizzate di consolidare l’identità devainte. UNO STUDIO DI CARRIERA DEVIANTE: LE DONNE ANORESSICHE E BULIMICHE Gli autori focalizzano l’attenzione sui processi sociali che influenzano la definizione di sé e l’accettazione di sé come anoressica o bulimica. Nella nostra società le donne con determinate caratteristiche fisiche vengono viste come donne di successo. Nel tentativo di conformarsi ad esse alcune donne sviluppano un disordine alimentare. All’inizio della carriera il comportamento alimentare viene visto come transitorio, non si percepivano come persone con disordine alimentare e quel comportamento non condizionava la loro vita sociale e relazionale. Quando i sintomi sono stati visibili da famigliari e amici sono state etichettate come anoressiche o bulimiche compromettendo la loro identità non deviante e la loro capacità di interpretare i ruoli sociali convenzionali. I loro ruoli, assunta questa nuova identità, cambiarono sostanzialmente e gli sforzi diretti nei loro confronti per curare la malattia favorirono la loro perseveranza nella devianza e l’associazione con altre bulimiche e anoressiche. LA CARRIERA DEVIANTE NON E’ SOLO DISCENDENTE: EVITARE IL DETERMINISMO SOCIOLOGICO Il sociologo non dovrebbe concentrarsi solo su chi percorre una carriera di devianza in continuo crescendo ma anche di coloro che intrattengono rapporti più transitori con la devianza e la cui carriera li allontana da essa verso un modo di vivere convenzionale. La carriera deviante non deve essere vista come qualcosa di deterministico perché le carriere devianti non sono simili, né il loro sviluppo segue fasi predeterminate e inevitabili. La prospettiva internazionalista interpreta le carriere devianti nei termini di un processo dialettico in cui i fattori ambientali e individuali influenzano e condizionano, ma non determinano le traiettorie future dell’azione. Le persone reagiscono all’etichettamento interpretando e non assorbendo semplicemente. Poiché la devianza è il prodotto del processo interattivo tra chi crea e fa applicare le norme e chi le infrange e viene etichettato e trattato come deviante, la relazione tra coloro che sono etichettati e gli agenti del controllo sociale si configura come una relazione di dominio. Gli sviluppi delle carriere devianti sono condizionati dalla capacità dei soggetti di contrastare i processi di criminalizzazione primaria e secondaria. Gli individui si differenziano per la loro capacità di evitare che determinati comportamenti sociali siano etichettati come devianti, inoltre quando adottano comportamenti giudicati devianti si differenziano per la loro capacità di evitare di essere scoperti e di controllare le impressioni degli altri. Se scoperti, si differenziano per il loro potere di contrastare l’etichettamento attraverso l’occultamento dei propri reati, la neutralizzazione della disapprovazione sociale e l’adozione di La legge prevede forme di intervento alternative alla custodia detentiva in caso di processa mento quali la liberazione condizionale, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà. La finalità del procedimento penale minorile dovrebbe essere la rieducazione del minore. Il principio della diversion orienta anche il procedimento penale degli adulti quando i membri di determinate categorie di soggetti sono “allontanati” dalla sanzione penale per essere collocati in programmi di reinserimento sociale, di trattamento riabilitativo. Due effetti delle politiche della diversion:  allargamento della rete di controllo sociale  il carattere selettivo delle misure di diversion L’ALLARGAMENTO DELLA RETE DI CONTROLLO SOCIALE Le politiche di diversion non hanno ridotto le carcerazioni e l’etichettamento ma hanno esteso le maglie del controllo sociale anche verso quei soggetti sui quali precedentemente non veniva applicata alcuna sanzione. Le misure della diversion si sono quindi aggiunte a quelle penali invece di sostituirle. IL CARATTERE SELETTIVO DELLE MISURE DI DIVERSION Le misure di diversion sono utilizzate tendenzialmente nei confronti di coloro che sono meno deprivati da un punto di vista sociale, familiare ed economico, mentre si ricorre maggiormente al carcere per sanzionare i soggetti appartenenti ai gruppi sociali più svantaggiati. La giustizia minorile nel nostro paese è caratterizzata da un “doppio processo penale minorile”: uno per i minori italiani, l’altro per quelli stranieri e nomadi. Le misure alternative alla detenzione previste per i minori finalizzati al reinserimento sociale e alla rieducazione richiedono la presenza di risorse nell’ambito del contesto sociale e familiare del minore stesso. Se il minore è privo di questo capitale sociale difficilmente potrà beneficiare delle misure di diversion. Il fatto che siano necessarie queste risorse fa si che il controllo sociale venga esercitato in modo selettivo attraverso pratiche istituzionali differenziate, le quali si fondano sulle disuguaglianze sociali che a loro volta contribuiscono a riprodurre. 2.3 LA DEISTITUZIONALIZZAZIONE Le istituzioni totali sono luoghi in cui le persone rinchiuse sono impossibilitate allo scambio sociale e all’uscita verso il mondo esterno. Tutte le attività quotidiane si svolgono nello stesso luogo, sono organizzate per adempiere allo scopo dell’istituzione e sono coordinate dalla stessa autorità. Al loro interno le persone sono trattate nello stesso modo e sono obbligate a fare le stesse cose. In questi luoghi le persone subiscono un processo di mortificazione del sé attraverso il quale l’identità viene sostituita dall’identità dell’istituzione ed un processo di spoliazione dei ruoli tramite il quale perdono progressivamente le capacità per interpretare adeguatamente i loro ruoli abituali. Le persone internate con il passare del tempo assimilano norme, valori, atteggiamenti che consentono loro di adattarsi alla vita dell’istituzione, ma contemporaneamente perdono le risorse identitarie, il capitale sociale e le capacità per vivere nel mondo esterno. Favoriscono processi che producono esiti esattamente opposti agli scopi ufficiali dell’istituzione. Viene attivato un processo di spersonalizzazione: le persone internate, una volta etichettate,assumono lo status collegato alla definizione della situazione e dell’identità che ne dà l’istituzione, mentre tutte le altre caratteristiche personali son messe in ombra. I teorici dell’etichettamento hanno ispirato le politiche di de istituzionalizzazione. Queste politiche hanno:  promosso pratiche di lavoro sociale che consentono alle persone di essere curate e assistite rimanendo a vivere nel proprio ambiente sociale e familiare  istituito luoghi aperti di trattamento, luoghi in cui è favorito lo scambio sociale con il mondo esterno, tali luoghi sono destinati a quelle persone che non possono, per varie ragioni, essere curate ed assistite nel proprio ambiente. 3. APPLICAZIONE DELLA TEORIA AI CASI 3.1 IL CASO DEL TOSSICODIPENDENTE La prospettiva teorica dell’etichettamento e della relazione sociale ha come oggetto di studio i processi sociali attraverso i quali i membri di una società definiscono e trattano determinati comportamenti come devianti e le conseguenze di tale etichetta mento sui consumatori e non tanto le cause del consumo di droga e/o le caratteristiche dei consumatori. Considerando il consumo di droghe come un atto “intrinsecamente deviante” si trascura il fatto che i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è sono relativi, dipendono dalle definizioni normative che prevalgono in un dato periodo di tempo nell’ambito di una determinata società. Se la devianza è una qualità che viene conferita a determinati comportamenti dalla reazione sociale di coloro che vengono a contatto con essi, non si può spiegare il consumo di droghe illegali individuando le caratteristiche biologiche, psicologiche, sociali dei consumatori prescindendo dalla definizione giuridico- sociale di tale comportamento. Spostando l’analisi dai comportamenti alle caratteristiche di quelli che infrangono le norme sociali ai processi attraverso i quali certi individui finiscono con l’essere etichettati da altri come devianti, è necessario considerare in termini problematici quanto generalmente viene assunto come scontato e cioè che il consumo di droghe sia un comportamento intrinsecamente deviante e che i consumatori di droghe siano soggetti che hanno caratteristiche sociali e psicologiche differenti dai consumatori. IL CASO DI MARIO: SPIEGAZIONE E INTERVENTO In primo luogo bisogna chiedersi se Mario sia un deviante. Se la risposta è affermativa si dovrebbero individuare le norme sociali che ha trasgredito. Ha violato la norma giuridica che proibisce il consumo di eroina ed è per ciò che è stato segnalato alla prefettura e inviato al servizio pubblico per le tossicodipendenze. Come consumatore di eroina ha violato altre norme sociali? Bisogna valutare quali differenze vi siano tra Mario e un consumatore di una droga legale (antidepressivo o alcolici..). Il consumo di determinate sostanze psicoattive non viene stigmatizzato se non procura danni a terzi, mentre non si tollera neanche l’uso strettamente personale di altre sostanze. Poiché è una costruzione sociale più che il prodotto di differenze “oggettive” la distinzione tra “droghe buone” e “droghe cattive” bisogna individuare:  quali sono i criteri che si adottano per definire ciò che è “deviante” da ciò che è “normale”  chi ha il potere di “definire la situazione” del consumatore, cioè di etichettarlo come deviante si considererà il processo attraverso cui il consumo di droghe viene costruito come un processo sociale e i consumatori vengono visti come soggetti “devianti”, “malati”. Secondo le teorie dell’etichettamento si deve considerare l’origine sociale e giuridica della reazione sociale del consumo di droghe. Dopo aver stabilito che il consumo di sostanze psicoattive illegali non può essere visto come “naturalmente deviante e patologico” il focus dell’analisi si sposta sul processo attraverso cui si diventa consumatori di droghe illegali e sul ruolo delle interazioni sociali. Si deve quindi ricostruire la carriera di consumo di Mario guardando i cambiamenti e i meccanismi di interazione sociale, non si cercheranno le cause del consumo di droga. Anche la carriera morale dovrà essere ricostruita valutando come egli definisce se stesso e la propria situazione e se tale definizione sia stata influenzata dalla reazione sociale sperimentata, quale impatto ha avuto quest’ultima. Mario non si è mai rivolto agli operatori di un servizio specialistico e non ha mai avuto problemi con la giustizia precedentemente alla segnalazione alla prefettura. È stato in gado di evitare che la condizione di tossicodipendente diventasse lo status egemone. L’eroina non ha compromesso i suoi funzionamenti sociali. Secondo la prospettiva dell’etichettamento bisogna distinguere tra problemi primari prodotti dalla tossicità della droga e problemi secondari causati dalle politiche di tipo proibizionista. La compromissione dei funzionamenti sociali non è l’esito naturale della loro tossicodipendenza ma è una costruzione sociale, perché i problemi collegati all’uso delle droghe non sono causati direttamente dagli effetti sul sistema nervoso centrale di tali droghe, ma attribuibili alle politiche sulle tossicodipendenze. Si dovrebbe ridurre l’impatto della reazione sociale sulla vita dei consumatori di droghe illegali:  depenalizzando il consumo  evitando l’esperienza stigmatizzante del carcere a coloro che hanno subito una condanna penale  prevedendo forme di trattamento in strutture “aperte” per evitare che le persone siano soggette ai processi di mortificazione del sé e di spoliazione dei ruoli tipici delle istituzioni totali il passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria può modificare l’identità sociale di Mario? Lo status di tossicodipendente diventerà quello egemone? E se tale status diventasse egemone Mario potrebbe acquisire progressivamente un’identità deviante e compromettere le normali opportunità di vita e di relazione? La legge impone agli operatori del servizio pubblico per le dipendenze di aiutare Mario sottoponendolo ad un programma terapeutico, si deve però valutare in che modo sia possibile fare ciò senza mettere in atto un processo di etichettamento. Bisogna capire quale fase della carriera Mario stia attraversando e cercare di aiutarlo a non varcare soglie che potrebbero compromettere il suo capitale sociale, le sue capacità di funzionare. Nel caso in cui Mario non avesse ancora acquisito un’identità deviante si potrà promuovere un processo di remissione in cui si valorizzano quegli aspetti dell’identità sociale non collegati al ruolo di tossicodipendente, se Mario fosse un uomo con molti anni di tossicodipendenza alle spalle che ha trascorso diversi anni in carcere e che delinque abitualmente si dovrà aiutarlo a reinserirsi socialmente ed uscire dal ruolo di deviante. 3.2 IL CASO DI CRIMINALE DAL COLLETTO BIANCO Secondo la prospettiva teorica dell’etichettamento e della reazione sociale non sono tanto le cause dei reati dei colletti bianchi e/o le caratteristiche dei criminali l’oggetto di studio, quanto piuttosto i processi sociali attraverso i quali i membri di una società definiscono e trattano determinati comportamenti come devianti/criminali e le conseguenze di tale etichettamento sugli autori di tali azioni. La criminalità dei colletti bianchi sembra essere un tema largamente rimosso dall’opinione pubblica. I cittadini temono soprattutto la criminalità convenzionale (scippi, furti, rapine), mentre il rischio di esser vittima di un reato del colletto bianco non sembra allarmare la popolazione, non viene percepito come un problema reale. Con ciò si ritiene che i criminali appartengano prevalentemente a determinati gruppi sociali. La criminalità dei colletti bianchi non soltanto è nascosta e invisibile, ma a coloro che sono accusati di aver commesso un reato dei colletti bianchi quasi mai sembra essere attribuito lo status di criminale. L’attenzione non si deve focalizzare sul processo di etichettamento, quanto piuttosto sui meccanismi che consentono ai criminali dal colletto bianco sia di evitare che scatti la reazione sociale, sia di gestirla in modo tale che non produca la loro stigmatizzazione. IL CASO DI LUCA: SPIEGAZIONE E INTERVENTO È necessario ricostruire la carriera deviante di Luca indirizzando l’attenzione sia sui cambiamenti che sono avvenuti nel tempo, sia sui meccanismi di interazione sociale che egli ha sperimentato e che hanno influenzato tali cambiamenti. Anche in questo caso bisognerà ricostruire anche la carriera morale valutando come definisce se stesso e la propria situazione e se tale definizione sia stata influenzata dalla reazione sociale sperimentata. I criminali dal colletto bianco spesso adottano particolari strategie di negazione o neutralizzazione per contrastare gli effetti della stigmatizzazione sulla definizione del sé: negano di aver commesso un reato, che il loro comportamento abbia procurato danni… anche in tutte quelle forme di etichettamento che potrebbero dare origine ad una carriera deviante.
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