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RIASSUNTO LA DIOCESI DI MILANO DAL 1954 AL 1958 DI GIORGIO ALDO DEL ZANNA, Schemi e mappe concettuali di Storia Contemporanea

Riassunto del libro "La diocesi di Milano: dal 1954 al 1958" di Giorgio Aldo Del Zanna richiesto per l'esame del secondo semestre per i frequentanti del corso Storia Contemporanea tenuto dal docente Giorgio Aldo Del Zanna nell'Università del Sacro Cuore di Milano.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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LA DIOCESI DI MILANO DAL 1954 AL 1958 Sulla cattedra di Ambrogio a) La nomina a Milano b) Montini, Roma e Pio XII c) La città come sfida per la Chiesa d) L’incontro conMilano La questione religiosa nel contesto milanese a) Il cattolicesimo italiano tra egemonia e crisi b) Di fronte all’irreligiosità c) Montini e il mondo del lavoro Tra centro e periferia a) Trasformazione urbana e nuove periferie b) La Milano dei “periferici” c) Le tante periferie di Milano La Missione di Milano a) Lontani e vicini b) La lettera pastorale del 1957 c) Missione nella città Dopo la Missione a) Economia e Vangelo b) Rinnovare la liturgia c) Nuove Chiese Sulla cattedra di Ambrogio a) La nomina a Milano Alla metà degli anni 50 l’importanza e il ruolo del Monsignor Montini erano ampiamente noti perché era il punto di riferimento della dirigenza democristiana. La sua nomina ad arcivescovo di Milano fu una vicenda rilevante per la storia della Chiesa e del cattolicesimo italiano contemporaneo. Egli era infatti il più stretto collaboratore del Papa Pio 12 ed era l’interlocutore privilegiato del laicato cattolico. Rimasero tutti sorpresi perché lo pensavano destinato all’interno del Vaticano e non vescovo di una Diocesi. Giulio Andreotti, molto vicino a Montini, pensava che l’esperienza in una Diocesi servisse a diventare Papa. Si pensava che l’allontanamento di Montini da Roma fosse forzato dato un affaire impenetrabile negli ambienti vaticani e il clima difficile che gli si era creato attorno. La sua nomina a Milano fu una tappa molto importante che gli ha permesso di giungere al cuore del governo del cattolicesimo mondiale. La linea montiniana sosteneva la politica centrista di Alcide De Gasperi, anche se per il Papa la politica di quest’ultimo non dava garanzie di contenere l’ascesa della sinistra al governo italiano. L’allontanamento di Montini da Milano è stata una vittoria per il partito romano, ma che al protagonista aprì la strada al cardinalato e quindi lo proiettava tra i candidati più autorevoli al pontificato. Papa Pio 12 era sempre più malato e stanco e voleva normalizzare la curia romana per cui al posto di Montini fi nominato Monsignor Angelo Dell’ Acqua molto vicino a Montini. Montini fu mandato a Milano per succedere all’ Arcivescovo Schuster che era morto perché era necessario una personalità capace di colmare il vuoto lasciato da quest’ultimo. b) Montini, Roma e Pio XII Montini giunto a Milano portò alcune sue idee innovative poiché aveva un bagaglio culturale ed intellettuale europeo ed un'intelligenza curiosa ma curata nel contatto coi mondi e con le persone diversi. Egli non visse questo trasferimento serenamente perché non si sentiva preparato per un compito così gravoso dato che non aveva mai gestito una Diocesi prima d’ora anche se negli edifici vaticani si era confrontato con situazioni e contesti differenti. La Segreteria di Stato per lui è stata un osservatorio privilegiato sulla Chiesa universale e il suo lavoro precedente era un bagaglio più che adeguato ai nuovi compiti pastorali. Nominato a 57 anni Arcivescovo di Milano è stato un sacerdote fedele e al servizio della Chiesa. Il suo bagaglio di esperienze segnarono il suo episcopato milanese e il suo carattere “romano” rese difficile l’incontro con il contesto milanese, anche se era nato a Brescia. Montini era riuscito a splendere di luce propria raffreddando i rapporti tra lui e Papa Pio 12 per le diverse vedute e la differente sensibilità verso molte questioni. Montini decise di non fare più ritorno a Roma per allontanarsi dalle cose romane. Gli era spiaciuto il fatto di essere stato messo in cattiva luce presso il Papa (persona debole) ma Montini lo elogiava e gli dava riconoscenza ed allo stesso tempo il Papa gli fece attestati di stima e di vicinanza. Papa Pacelli fu il primo a rivolgersi alle masse attraverso udienze pubbliche e Montini gli confidò che bisognava far giungere una parola a tutti e specialmente ai lontani. Pio 12 gli aveva affidato Milano nel momento in cui “la società stava uscendo da Dio”. Montini offri una pedagogia capace di orientare e mobilitare le masse al servizio del Papa. Il suo rapporto con le masse era una questione non solo per la distanza del movimento operaio ma anche per lo sviluppo della società. La Chiesa doveva valorizzare la persona singola inserendola in una comunità. La massa operaia aspettava l’impulso da fuori per entrare a far parte della comunità perché non bisognava conservare ma occorreva rinnovare, restaurare e rifondare il senso dell’autorità proponendo un senso religioso prima che le istituzioni raggiungessero le masse specie i lontani. Montini voleva trasformare le masse in popolo aggregandole in comunità dai tratti familiari per ricreare un popolo attorno alla fede cristiana. Le encicliche di Pio 12 avevano dei tratti montiniani attinenti ai problemi al centro delle attenzioni di Montini. Montini avvertiva di essere sotto la stretta osservazione del Santo Uffizio ed assunse anche iniziative innovative come la missione cittadine del 1957 invitando a predicare figure discusse come Mazzolari e Turoldo. Montini assunse un atteggiamento prudente con Roma per una sua scelta pastorale. c) La città come sfida per la Chiesa Montini aveva una visione positiva della città moderna anche se la città stessa era un ambiente corruttivo delle sane abitudini e delle tradizioni religiose della popolazione ed era anche un luogo negativo perché vi era un decadenza morale e sociale; ma Montini guardava la città con interesse e con molta attenzione perché vi si potevano dispiegare al meglio le potenzialità umane. Montini aveva ripensato alla presenza della Chiesa nelle grandi città moderne dopo le missioni del Vescovo di Parigi Suhard nelle periferie operaie poiché anche Milano ne aveva bisogno e la Piazza del Duomo ne rappresentava il punto nevralgico della città. Padre Turoldo amava la città così com'era nel suo groviglio perché riteneva che Dio fosse al di sopra di essa e si era incarnato abitando in mezzo al popolo perché Dio non era lontano da chi abitava nelle città: la città è uno spazio da ricristianizzare dove si incontrano le persone e si intrecciano i destini. Le lettere pastorali di Suhard conquistarono Montini e anche La Pira sindaco di Firenze si confrontò più da vicino con le sfide che poneva una grande città moderna ed offrì la visione della città come comune ed unità organica che favoriva una comunione fraterna di vita. Mentre Turoldo riteneva la città anche un luogo conflittuale in cui poneva una serie di sfide spirituali ai credenti. Nel suo insediamento a Milano Montini cominciò a delineare una personale visione della città a partire dal fatto che il cristianesimo passava dalle città: “la città reclama la religione come la religione reclama la città dato che nasce nelle scuole da una istruzione religiosa e la chiesa doveva tornare a parlare all’intera città”. d) L'incontro con Milano La Chiesa Ambrosiana fu sollecitata da Montini a uscire dal suo orgoglio e la distanza da Roma spinse diversi esponenti a coltivare grandi a sospettati e nei confronti del nuovo arcivescovo. quanto il lavoro fosse pienamente compreso nel mondo cristiano e che la religione era il canto del popolo. Le Associazioni Cattoliche Lavoratori Italiani erano il ponte fra la Chiesa e le masse lavoratrici e quindi dovevano occuparsi dei lavoratori in modo particolare con uno stile proprio e nei confronti del comunismo non ci doveva essere nessuna debolezza perché la loro impostazione risultava errata. Il problema del comunismo era tra i temi all’ordine del giorno nella conferenza a Pompei della Conferenza Episcopale Italiana del 1955 dove si condannava la distensione dei cattolici verso i comunisti. Suscitò un dibattito tra i vescovi e Montini sottolineò il fatto che c’era un’apertura da parte della Democrazia Cristi a Milano anche le Associazioni Cattoliche Lavoratori Italiani si aprirono a questi ultimi fi un accordo. Quindi Montini venne ritenuto inadeguato al suo lavoro. Si creò quindi una lacerazione nel mondo cattolico che solo con Papa Giovanni 23 si ricongiunse. Per Montini i comunisti non erano nemici ma semplicemente erano persone che si erano allontanate dalla fede. Quindi ai sacerdoti era dato il compito di amare gli operai senza diventare come loro: crebbero così i “preti operai” ma fu un fallimento perché i preti dovevano solo aiutare la popolazione più fragile e lontana andando in mezzo a lei e quindi dovevano essere più servitori e meno esattori. Di fronte al nuovo la Chiesa doveva avere un atteggiamento positivo e le discussioni sulle condizioni sociali avevano introdotto nella società italiana una forte conflittualità. Papa Pio 12 aveva detto di non accontentarsi di un passivo anticomunismo ma di costruire una società con l’ordine morale, mentre Montini sottolineava la necessità di combattere la disoccupazione e la mancanza di abitazione dando una stabilità ai rapporti lavorativi poiché stava entrando di più nella realtà e nelle visite pastorali incontrava più da vicino i lavoratori ed avvertiva l’urgenza di colmare le distanze con le tante realtà percepite come “lontane”. C’era una grande distanza dalle domande e dalle esigenze dei ceti popolari da parte della Chiesa. La Chiesa doveva svuotare il socialismo prendendo una propria iniziativa sociale. Montini era portatore di una concezione sociale della carità intesa come attenzione alle relazioni personali e come costruzione di una dimensione comunitaria e sottolineò la forte proiezione sul futuro della retorica comunista rimarcando il desiderio di migliorare la società nelle anime semplici. Si parlava di “due Italie”: una nazione materialistica o pagana formata non solo da comunisti o marxisti ma da tutti coloro che avevano una concezione materialistica della vita mescolata alla nazione cristiana. Tra centro e periferia a) Trasformazione urbana e nuove periferie I parroci di periferia fecero presente l’esigenza di dotare nuovi quartieri di chiese e di strutture per l’assistenza religiosa. Montini invitò le autorità cittadine a dotare i quartieri di edifici di culto e di educazione e portò alla conclusione alcuni cantieri in corso perché per lui era importante conoscere la realtà della Diocesi, parlare coi parroci ed incontrare i fedeli studiando le situazioni e conoscerle prima di prendere le decisioni. Egli avviò quindi l’Ufficio di Statistica Religiosa e dotò la Chiesa di strumenti moderni per comprendere i vari fenomeni poiché aveva compreso che la questione della periferia era un problema urgente da affrontare dato che gli abitanti giungevano spesso da altre regioni e da contesti agricoli e quindi c’era difficoltà ad inserirsi nel contesto urbano milanese. Anche la nebbia era l’espressione di una città in cui era difficile inserirsi e sembrava nascondersi ai nuovi arrivati persino per Montini che appena arrivato nella Diocesi affermò che “la terra ambrosiana era fredda e bagnata”. Le periferie erano composte da case senza nient’altro intorno in mezzo a prati e a orti e con una rete stradale carente (“villaggi abissini”) quindi i migranti provenienti dal Veneto, dall’Istria e dal Meridione si autocostruivano case che erano chiamate “coree” e dicevano che gli mancava tutto poiché distavano 8 km dal centro e non avevano luce né corrente né strade. A Montini la periferia appariva “pagana” e “soffocata dall’irreligiosità” perché era lontana dagli uomini e da Dio e quindi alla Chiesa spettava il compito di riunire le due città in un solo corpo. b) La Milano dei “periferici” Vennero costruite delle baracche oltre che in diverse zone della periferia milanese come Lambrate anche vicino al Duomo: erano prefabbricati allestiti dal comune in cui abitavano molte famiglie indigenti. La promiscuità e il disagio abitativo incidevano sulle relazioni familiari. Intorno alla cerchia ferroviaria di Bovisa esistevano borghi che avevano sviluppato una specifica identità con un proprio centro ed una propria parrocchia. Nel 1953 la città di Milano venne dotata di un piano regolatore generale che suddivideva il territorio in aree specifiche secondo una logica e che spostava le aree produttive in periferia cosicché quest’ultime finissero per saldarsi ai comuni limitrofi. Le periferie si distinguevano per la mancanza di servizi pubblici, di luoghi di aggregazione, di strade pubbliche, di fognature, di scuole, ... Negli anni Cinquanta Fanfani col suo piano costituì l’Istituto Autonomo Case Popolari per dar lavoro ai disoccupati e fornire una casa dignitosa ai ceti meno abbienti e realizzò in pochi anni centinaia di interventi con alti standard urbanistici. La speculazione dei privati che costruivano grandi case non rappresentava una soluzione adeguata perché erano come “dormitori con mancanza di ogni rapporto col mondo lavorativo” e perché vi era una difficile convivenza tra persone di origine diversa che giungevano a Milano da contesti rurali e si guardavano con diffidenza. La Chiesa, quindi, riteneva la necessità di fare più salda la dimensione comunitaria: la presenza di un sacerdote che viveva a contatto con le famiglie era fondamentale per abbattere la diffidenza. Si evidenza l’allontanamento degli adulti dalla religione per ragioni politiche e a causa della confusione tra Chiesa e Democrazia Cristiana. Dunque dare un parroco alla periferia era molto urgente perché in quel periodo la Messa veniva celebrata in luoghi provvisori e bisognava costruire una Chiesa capace di diventare il centro di quartiere, di integrare persone di ceti diversi e di essere una grande famiglia. Inoltre occorreva creare un’unità di fedeli per educarli alla comunità spirituale. Per Montini invece la Chiesa era concepita come luogo attorno a cui si consolida il territorio perché per lui la periferia non era una gravosa sfida che chiamava la Chiesa ad un rinnovamento ma rappresentava un’occasione per sperimentare la pastorale. Accanto al Piano Fanfani si affiancò il Piano Montini, ma costruire chiese era molto difficoltoso per mancanza di sacerdoti e di denaro. Quindi Montini si rivolse alla Diocesi per avere un contributo. Anche i poveri della baraccopoli di Porto di Mare fecero un’offerta e nel Natale 1956 Montini celebrò la notte di Natale a Ponte Lambro, il rione più povero e umile della città. Le possibilità lavorative che offriva la città di Milano la resero un approdo per tanti e per questo più di 20.000 persone all’anno arrivavano e abitavano in stanze subaffittate. La difficoltà più grande era la convivenze tra persone con abitudini, dialetti e tradizioni diverse e famiglie più povere e numerose abitavano in appartamenti insufficienti creando problemi di igiene e di promiscuità. c) Le tante periferie di Milano Gli immigrati si autocostruivano abitazioni con pochi mezzi e una scarsa attenzione a qualsiasi criterio urbanistico: si iniziava dalla cantina che veniva subaffittata e si terminava col secondo piano dove abitava il padrone. A costo di sacrifici e di cambiali si costruivano giorno dopo giorno la loro casetta. I sacerdoti si trovarono a competere con le tradizioni religiose del paese di origine di ognuno. Non esisteva nessun tipo di scuola e si cercava di realizzare degli asili cosicché le donne potessero andare a lavorare. Nelle periferie “coree” gli abitanti non si conoscevano tra loro e la parrocchia come chiesa era spesso l’unico punto di riferimento. La Bassa era una periferia molto particolare: prevalentemente agricola e concentrata lungo la Via Emi Alcuni giovani preti presso il Santuario di Santa Maria alla Fontana di Locate Triulzi diedero vita ad una sorta di fraternità lasciandosi sollecitare dalle condizioni di povertà e dalla crescente irreligiosità presente tra le popolazioni e puntarono ad andare a cercare i parrocchiani nei cascinali facendo una catechesi dialogata presso le famiglie. La Bassa era un’area formata da ampie proprietà di famiglie nobili milanesi e di enti di beneficienza che erano lavorate da fittavoli che sfruttavano il terreno e dai braccianti che lavoravano privi di qualsiasi garanzia e che si trasferivano da una cascina all’altra. Quando ci fu la meccanizzazione molti furono spinti a trovare lavoro come operai nelle fabbriche spopolando così la campagna. Il ministero sacerdotale era difficile perché i parrocchiani risultavano dispersi in un vasto raggio di territorio con strade impraticabili e quindi molti preti rifiutarono di andarci perché la ritenevano una sorta di punizione. I preti del Santuario di Santa Maria alla Fontana cercarono di occuparsi di quei contadini più lontani in cui vedevano elementi positivi. I contadini cominciarono a pensare ad una vita migliore nelle città lavorando nelle industrie. Montini avvertì che il nodo religioso era legato alle difficili condizioni di vita dei contadini perché nella Bassa c’era anche il popolo zingaro il cui mondo era estraneo alle attenzioni pastorali della Chiesa. Per aiutare Don Mario Riboldi, prete degli zingari, Montini gli regalò una lambretta per poter visitare meglio le famiglie di zingari sparse per la Lombardia. La missione di Milano a) Lontani e vicini Montini sentì che la condizione spirituale dei lontani non fosse disgiunta da quella dei vicini. Per l’arcivescovo il “problema religioso” non riguardava tanto l'assenza di fede, quanto una condizione particolare della popolazione animata per così dire istintivamente da un bisogno spirituale e ribadiva la necessità di riprendere consapevolezza di che cos'era la vita cristiana. La questione religiosa era più qualitativa che quantitativa: non era il battezzare o frequentare le messa domenicale perché la gente era ancora per la maggioranza battezzata e frequentante. I due termini qualità e quantità non si escludevano a vicenda ma erano strettamente intrecciati ed era il momento di formare gruppi propagandisti non isolazionisti. Interiorità e preghiera erano gli aspetti centrali della nuova sensibilità religiosa. Il racconto del viaggio dei Magi durante una predica di Montini era l’espressione di un movimento spirituale per scuotere l’inerzia dei vicini e dei lontani poiché i Magi essendo i più lontani erano i più vicini alla fede perché i vicini sono indifferenti ed ignari mentre i lontani sono più pensosi e solleciti. I lontani erano i preferiti proprio perché irrequieti e in ricerca della fede. La Chiesa aveva bisogno dei lontani anche se critici per far sì che i cattolici non restassero estranei alle dinamiche perché i lontani non erano gli oggetti dell’evangelizzazione ma dovevano partecipare al processo in uno scambio di idee. Montini pensava di ricorrere a predicatori esterni e l’idea di una missione cittadina era per lui un colloquio con l’intera città raggiunta nelle sue diverse articolazioni. L’idea montiniana di colloquio era il metodo e la sostanza della missione cittadina perché bisognava smettere un atteggiamento oppositivo e violento nei confronti dei tanti errori che avevano allontanato molte persone ed assumere un’attitudine più indulgente non considerando gli altri come nemici ma come malati da curare. Restava però aperta la domanda di come restituire autenticità al vissuto cristiano nel confronto del mito comunista e del benessere borghese. Nel 1956 l’incontro col Cardinale Roncalli con cui Montini condivideva un rapporto di amicizia e di stima offrì a quest’ultimo l’occasione per parlare delle missioni di Milano. In sintonia con le idee di Roncalli Montini constatò che la Chiesa era ancora sulla difensiva e da qui nacque l’esigenza di una convinta militanza dei cattolici per rispondere ad un contesto ostile e nemico. L’apostolato doveva andare al di là delle soglie dell’ Associazione e deve essere portato nella scuola, nella piazza, negli uffici, nelle officine e così via. Bisognava imitare San Paolo che si fa greco con i greci, romano coi romani e giudeo coi giudei ossia assimilarsi agli altri e dare un apostolato che sia innestato nelle condizioni e nelle esperienze della vita. Ai lontani furono dedicati alcuni significativi interventi durante l’anno delle missioni 1957 che si conclusero poi con la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. I cristiani non-cattolici erano anche loro dei lontani. b) La lettera pastorale del 1957 La lettera pastorale all” arcidiocesi ambrosiana per la Quaresima 1957 definisce il “senso religioso” come l’attitudine naturale dell’essere umano ovvero la disposizione dell’anima a un'impennata dei consumi. Il 27 novembre 1957 fu inaugurato a Milano il primo supermercato italiano chiamato “Supermarket”. L’automobile divenne l’icona di affermazione del valore dell’individualità ed un simbolo giudicato immorale. Dopo la missione a) Economia e Vangelo La missione di Milano del 1957 rappresentò un’immersione nella realtà della città venendo a contatto con tutte le sue sfaccettature e aveva suscitato più domande che risposte. L’ Arcivescovo aveva riconosciuto il rapporto di Dio con la gente di quel tempo tormentata dal dubbio e logorata dalle cento crisi dello spirito. La massa aveva dubitato troppo e si era abituata a intristirsi nell’incertezza e a divertirsi nel cominciare ogni giorno da capo. Montini era convinto che la dimensione spirituale fosse la bussola per navigare nelle tempeste culturali e sociali e che la Chiesa doveva tenere insieme le classi sociali di realtà e mondi diversi. Il contatto diretto tra le diverse realtà aveva evidenziato il peso di una mentalità materialistica che si scontrava con la proposta pastorale dell’arcivescovo, senza impedire di provare a penetrare i complessi meandri dell’economia perché nella metropoli ambrosiana il senso economico metteva in discussione l’umanesimo cristiano. Il senso economico veniva descritto come il senso dell’esistenza umana. Il senso moralista di Montini denunciava come la mentalità economicista conducesse ad un inaridimento progressivo del senso di umanità ed era pericoloso perché coinvolgeva i credenti dato che il senso del povero e il senso di Dio erano connessi. Chi pensava che la questione sociale fosse passata in realtà ignorava le vere condizioni in cui si trovavano i lavoratori cioè una grandissima parte del popolo italiano, anche se gran parte del pubblico colto italiano le ignorava. In quel tempo gli operai delle fabbriche milanesi erano sottoposti a dure pressioni da parte dei datori di lavoro ed anche il mondo rurale era travolto dalla modernizzazione. Quindi Montini aveva individuato i ceti che dovevano essere al centro dell’attenzione della Chiesa: i lavoratori, i poveri e i lontani. Gli affari non sarebbero affari se prescindevano dall’obbligo morale perché la vita morale e le istanze sociali dovevano andare insieme; ma la Chiesa tollerava poco questo pensiero di Montini perché secondo lui doveva uscire da un’eccessiva imparzialità schierandosi con i poveri. Il vero prete doveva stare con gli zingari (lontani) non compassionarli ma avvicinarli e simpatizzare. La povertà diffusa spinse Montini ad interrogarsi maggiormente sull’economia e sugli effetti di un’iniqua distribuzione della ricchezza e a chiedersi se fosse possibile un’amicizia tra Madonna Economia e Madonna Povera. L’idea che la ricchezza toglie la libertà interiore e chi possiede si isola era valida anche per la Chiesa perché solo una Chiesa che si presentava povera poteva avvicinare tutti. Il concetto di carità era associato a povertà perché la carità era un gesto che rendeva povero chi lo faceva, invece la carità doveva essere una grande ricchezza perché la carità e il legame coi poveri erano l’elemento aggregante della coesione sociale. La carità è la forza del popolo perché la carità unisce, crea simpatia e crea amicizia. b) Rinnovare la liturgia Montini aveva una propria visione della liturgia: doveva favorire la partecipazione e l’inserimento del popolo nella celebrazione liturgica e si trattò di un processo di grande rilievo. Questo rinnovamento spinse la Chiesa ad interrogarsi su come connettere la liturgia ad una fede vissuta superando l’esteriorità del ritualismo. In questa formazione di idee di Montini fu il contatto col mondo benedettino che tendeva ad unire in modo più stretto teologia e liturgia, fede e vita. Secondo i benedettini la preghiera individuale non era adeguata a rispondere alle esigenze spirituali delle me mentre la liturgia con il suo carattere di culto pubblico era capace di toccare gli animi. Restava la questione se le masse fossero più sensibili ai sentimenti o alle parole. Questo periodo fu molto importante per la formazione liturgica di Montini poiché vennero costituiti i fondamenti della proposta educativa montiniana. Nel 1958 al Congre: Nazionale di Federazione Universitaria Cattolica Italiana il tema era il dogma nella liturgia, Montini considerava la liturgia come una risposta al problema individualista e individuò nel modello monastico benedettino centrato sulla liturgia e su una spiritualità personale ma non individuale un'alternativa efficace al “monismo individualista” dominante nelle correnti di pensiero del tempo. In quel periodo nel centro del cattolicesimo il rito era vissuto tra esteriorità e devozionismo, quindi occuparsi di liturgia era diventato problematico poiché suscitava dei sospetti. Nell’enciclica papale “Mediator Dei” del 1946 si delineò una liturgia con precisi confini dottrinali: si riconosceva nella liturgia la piena realizzazione dell’unità della Chiesa limitandosi a suggerire la partecipazione dei fedeli alla Santa Messa. Le Settimane liturgiche istituite dal 1949 rappresentarono passaggi importanti per lo sviluppo della liturgia nella pastorale delle Diocesi italiane. Montini però era consapevole che la teologia liturgica era un terreno assai scivoloso negli ambienti vaticani ed aveva il senso del carattere unitivo della liturgia, così ripropose il significato sociale e il valore aggregante della liturgia anche per il contesto più frammentato della società industrializzata e cercò di dare sostanza pastorale a queste riflessioni. Il problema era rispondere al bisogno di catechesi e di evangelizzazione del popolo superando la scissione tra liturgia e istruzione religiosa. La riforma montiniana della liturgia doveva essere orientata prevalentemente dalle esigenze pastorali (partecipazione attiva alla liturgia, orari delle S. Messe, ...). Questa sollevò una serie di problemi da parte dei parroci perché le sacre funzioni erano frequentate da persone libere da impegni professionali escludendo i contadini e gli operai. Per Montini bisognava rispettare i ritmi della città moderna perché orari non adatti avrebbero dissuaso e scoraggiato le persone, quindi per avvicinare i lontani era necessario adeguare i tempi della Chiesa con quelli della vita urbana. Il popolo ha bisogno di osservanze facili e adatte alle esigenze della sua vita laboriosa. Questa riforma era un elemento che favoriva la più profonda unità con la Chiesa universale. Nel dibattito liturgico dell’epoca il confronto era tra “cultori” della liturgia e chi come Montini aveva una preoccupazione di carattere pastorale con l’intento di recuperare l’adesione del popolo alla celebrazione dei riti religiosi (pietà eucaristica). Per Montini la liturgia rappresentava il mezzo per la rigenerazione della vita religiosa sia dei sacerdoti che nella liturgia avrebbero potuto rinnovare il loro rapporto con Dio sia del popolo. La dimensione comunitaria della Chiesa imponeva che il popolo partecipasse alle celebrazioni liturgiche non limitandosi a restare un pubblico passivo e in ascolto. Perciò più che l'abbandono del latino nelle Sante Messe bisognava spiegare per far comprendere i simboli del rito. La Missione del 1957 fu l’occasione per applicare alcune di queste indicazioni e fece scaturire una rinnovata educazione liturgica per comprendere e partecipare alla bellezza del culto, quindi anche l’orario delle Messe doveva adattarsi alle esigenze dei fedeli e aiutare il popolo a comprendere l’alfabeto della liturgia che era fatto solo di segni. La liturgia esprimeva in forma simbolica e complessa la sua identità. La sfida più difficile era quella di ridare ai fedeli la capacità di capire le preghiere nel loro significato più profondo attraverso il canto, la lettura in italiano di alcune parti e la recitazione a voce alta di alcune preghiere. Tutto ci rappresentava lo strumento principale per educare spiritualmente il popolo e il clero. c) Nuove chiese Questo rinnovamento implicava anche un ripensamento dello spazio sacro perché si sentiva il bisogno di ridurre le distanze tra il clero e il popolo. Ma si faticò a farlo recepire nel contesto italiano. Novità significative per il rinnovamento strutturale della Chiesa vennero da alcuni giovani architetti milanesi sensibili al tema del sacro. La realizzazione della Triennale di Milano del 1947 fu l’occasione per bandire un concorso per una nuova chiesa. La chiesa di Santa Maria Nascente al QT8 è un edificio decisamente fuori dai canoni che fece di Milano il centro dell’architettura sacra contemporanea. Venne creato il Centro studi di architettura per la comunità cristiana a Milano. Montini diede un notevole contributo alla politica delle nuove chiese, al rapporto con gli artisti, all’interlocuzione con le amministrazioni pubbliche, alla comunicazione e al coinvolgimento di soggetti vari. Per lui bisognava dare assistenza religiosa alle masse della periferia e la mancanza di chiese e la costruzione di nuove era il più grande problema pastorale della città. La mancanza di terreni per la costruzione di nuove chiese portò alla realizzazione di decine di cappelle che raggiungevano capillarmente la popolazione nei diversi quartieri. Nel 1957 si completò in periferia la chiesa di San Gabriele Arcangelo in Viale Monza che rappresenta una delle prime chiese montiniane. La chiesa di Nostra Signora della Misericordia di Baranzate inaugurata nel 1958 e soprannominata “la chiesa di vetro” fu l’edificio sacro più ardito e più noto del piano Montini.
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