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Riassunto "La fine dell'Impero ottomano" - Giorgio del Zanna, Sintesi del corso di Storia dell'Europa Orientale

Riassunto manuale di Giorgio del Zanna, di Storia dell'Europa orientale

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 18/11/2019

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alessandro-ferrario-1 🇮🇹

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Scarica Riassunto "La fine dell'Impero ottomano" - Giorgio del Zanna e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Europa Orientale solo su Docsity! La fine dell'Impero Ottomano Introduzione: Pochi anni dopo la fine dell'impero asburgico e di quello zarista, nel 1923 cessò di esistere anche l'Impero Ottomano. Città come Vienna, San Pietroburgo e Instabul cessarono di essere il centro di stati ampi, multiculturali e multi etnici. Questi vasti e poco omogenei imperi ebbero difficoltà a fronteggiare le trasformazioni della prima globalizzazione ottocentesca e a tenere il passo degli stati nazione europei , molto più omogenei. Per tentare di tenere il passo con le altre potenze europee (Stati-nazione solidi e omogenei internamente), gli imperi avviarono vasti programmi di riforme, con esiti problematici. Questo tentativo di modernizzazione imperiale favorì inoltre l'emergere di nuove forze sociali, politiche e culturali che affermavano identità particolari portando alla disgregazione del pluralismo. Ciò porta a riconsiderare l'ottica storiografica tradizionale di ispirazione pregiudizievole orientalista (che identifica gli imperi con decadenza politica, stagnazione economica e conservatorismo culturale), che suggerisce l'idea di grande discontinuità tra impero ottomano e turchia repubblicana, con la modernità anticipata nel XIX secolo da elite illuminate che posero le basi per il medio oriente moderno di oggi. Oggi si crede infatti in un quadro più complesso che rende conto alle trasformazioni politiche, economiche e socioculturali avvenuti nell'area euromediterranea tra XIX e XX secolo. Con la fine dell'ottica eurocentrica, si è inserita la questione d'Oriente nelle dinamiche globali. Crisi ottomana quindi non fu prodotto di ritardi storici e limiti della civiltà ma frutto di progressivo inserimento nei flussi globali dovuti alla "comune modernità", a seguito della “grande divergenza” (XIX) che aveva creato un divario economico-tecnologico molto grande tra Asia ed Europa, ma che aveva anche “avvicinato” parti del mondo fino ad allora lontane sotto vari punti di vista (diffusione idee, conoscenze, …). In questo periodo l'Impero Ottomano si trasformò profondamente con rafforzamento dello Stato centrale , nuovo protagonismo dei ceti mercantili urbani e sviluppo economico/culturale (nuovi stili di vita e nuove idee politiche come nazionalismo e panislamismo). Per alcuni (es. élite balcaniche) lo Stato Ottomano andava cambiato perché "vecchio", mentre per altri andava riformato dall'interno (mantenendo l’integrità dell’impero: le élite balcaniche invece non volevano mantenerlo): a metà XIX secolo, l'ideologia ottomanista tentò di conciliare tali posizioni. Nel 1878 fallì il tentativo di realizzare una comune identità ottomana capace di trascendere le particolarità etnico-confessionali: la crisi della coabitazione portò insomma alla fine della fiducia nel poter creare una comune identità ottomana che andasse aldilà delle varie confessioni religioise si crearono nuove tensioni tra islamici nazional- patriottici e secessionisti dei nazionalismi anti-ottomani: per questo a inizio '900 nacque il movimento dei Giovani Turchi, ottomanisti più che nazionalisti perché volevano salvaguardare lo Stato imperiale in quanto strumento per la modernizzazione (gruppo etnico turco ancora non ben definito). Le vicende del 1908 furono viste dalla successiva storiografia kemalista come rivoluzionarie ma in realtà erano più una rivoluzione culturale operata dalla nuova generazione, espressione dei ceti emergenti musulmani modernizzati. Giovani Turchi erano culturalmente occidentalizzati ma politicamente antioccidentali, musulmani ma non panislamisti, prodotto di interazione tra Impero Ottomano e sistema Internazionale: un’assoluta novità (in un’epoca in cui il costituzionalismo divampava nel ondo: Russia, Persia, …). I GT puntavano a consolidare l'unità interna attraverso la riduzione del pluralismo anche attraverso l'uso della violenza 1912-1922: Crisi del pluralismo ottomano con la furia della WWI; le componenti ritenute incompatibili con l'unità dell'Impero vennero espulse o eliminate attraverso genocidi. Guerre balcaniche del 1912-13 assunsero carattere etnico e demografico ed innescarono una spirale di omogeneizzazione della società ottomana Con WWI e successiva Guerra Patriottica dei Giovani Turchi si realizzò cancellazione di comunità cristiane anatoliche e l'assimilazione forzata di comunità musulmane (come i curdi) ritenute poco leali nei confronti dello Stato. Trattato di Losanna del 1923 : pose fine alla violenza etnica e sancì il successo del movimento patriottico ottomano-turco nel difendere lo Stato anche se ridotto al territorio della Turchia odierna . I giovani Turchi preservarono il diritto della Turchia a esistere. Nacque il nuovo Stato nazionale turco, indebolito però al suo interno per l'eliminazione delle componenti più dinamiche (p.es. dal punto di vista economico) come le comunità cristiane e la borghesia ottomana. Fu un natiol building forzato in quello che fu più uno statualismo che un nazionalismo: si faticò a conciliare identità e pluralismo, e si dovettero necessariamente operare delle forzature, p.es. forzando comunità che non lo erano a “sentirsi turche”. Anche la religione fu statualizzata come accadeva in parte nel sistema imperiale. Con la fine del pluralismo venne meno la neutralità dello stato nella religione così che il regime repubblicano turco, benchè "laico", si confronta con l'Islam, religione dominante e unico potere alternativo allo Stato. Tale confronto, talvolta aspro, ha prodotto in Turchia un Islam radicato nella società e partecipe della dialettica istituzionale. Nel 2002 si afferma l'AKP, partito islamico ma non islamista , molto diverso da esercito e Islam, le 2 forze che si erano contese lo stato turco nel corso del '900 in ottica similmente antidemocratica. La novità dell’AKP è da mettere in connessione alle trasformazioni avvenute in Turchia dalla metà degli anni 80, quando a fine della guerra fredda ha aperto la strada a un nuovo protagonismo turco a livello internazionale. Tali mutamenti geopolitici e globalizzazione hanno riaperto il ruolo della Turchia come attore regionale aperto su più fronti. Si parla infatti di neo-ottomanismo per il tentativo della Turchia di ricollegarsi alla sua eredità ottomana, multiculturale e multireligiosa, e con una visione “universalista”. Capitolo I: Questioni d'Oriente: 1. Lo spazio intermedio ottomano: 1.1: La Russia in Oriente: 3/3/1878, fine guerra russo-ottomana, trattato di pace di Santo Stefano: indipendenza Serbia, Montenegro, Romania e Bulgaria. Balcani indipendenti sotto l'influenza russa. Per questo il Sultana ottomano Abdulhamid II sospese la costituzione del 1876 ponendo fine alla politica di riforme dei decenni precedenti. La cosiddetta "questione d'Oriente" fu un groviglio di questioni diplomatiche, economiche, geopolitiche, religiose, tutte diverse tra loro ma tenute insieme perché si irradiavano dai territori dell'Impero Ottomano. Il 1878 fu un passaggio cruciale perché fu il punto di convergenza della proiezione esterna della politica russa, la questione delle nazionalità e il processo di modernizzazione dello Stato Ottomano, ovvero dei tre assi che servono per comprendere gli ultimi decenni ottomani. Il 1878 per i russi segna la fine di una stagione storica, durata circa 1 secolo, cominciata con il trattato di pace di Kuchuk Kaynarji del 1774 che assegna alla Russia la tutela di una chiesa ortodossa di Istanbul (strumento per indebolire la Sublime Porta dall’interno), la libertà di navigazione del Mar Nero e il pieno controllo della Crimea (trattato frutto di una guerra tra Impero zarista – vittorioso – e Impero Ottomano) + accesso russo ai Dardanelli! Ciò contrappose i due imperialismi e fece iniziare l’espansione europea verso il Medio Oriente. Dunque si può far risalire a questo trattato la nascita della “questione d’Oriente”. La Turchia si trovava infatti in mezzo tra la Russia e l'Occidente a cui l'impero zarista aspirava (l’irruzione della Russia nel quadrante ottomano impose una prospettiva “orientale” alla politica europea i legami Russia-Occidente dipendevano dal controllo degli stretti, e dunque il conflitto ottomano-russo e quello russo-occidentale trovarono in questo la propria leva destini dell’Occidente dipendono anche da quelli dell’Oriente. Il nucleo della civiltà ottomana rimaneva imperniato tra Europa ed Asia, era spazio intermedio e controllava alcuni punti strategici come gli stretti e il mar Rosso importante anche per la grande stagione dell'Imperialismo e l'aumento dei flussi di scambio internazionali (Impero Ottomano si trova tra 2 mari: nero e bianco, ovvero nero ed Egeo, e tra Balcani e Anatolia: qui si trova Istanbul). In questo quadro si colloca la questione dei Balcani. lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it) Il Congresso di Berlino del 1878 ridefinì gli assetti della regione balcanica (termine ottomano che indicava l’intera regione sud-orientale del continente europeo ; ✔prima questa regione era detta Turchia d'Europa, zona intermedia tra est e ovest: area a maggioranza cristiana – occ. – ma dominata da impero ottomano – oriente) togliendo all'Impero ottomano gran parte dei suoi possedimenti europei. Balcani divennero non a caso epicentro del WWI: assumono centralità i Balcani considerata per secoli la periferia d'Europa, divenne con l'industrializzazione del XIX secolo, in un periodo di competizione globale tra potenze, la frontiera tra Europa, Russia, Nord Africa e Medio Oriente. Con la fine del XVIII secolo una corrente di cambiamento indotta dalla stagione napoleonica e dal globalismo economico, spinse gli stati a ristrutturarsi, rafforzandosi al loro interno per controllare meglio le trasformazioni in corso. Tale processo interessò anche l'Impero ottomano, di cui venne decantata la decadenza in ambienti europei (“il malato d’Europa”) anche per giustificare l'ingerenza europea nei confronti di un paese arretrato; tale definizione in realtà non rifletteva una realtà con aree diversamente sviluppate, similmente all'Europa. La modernizzazione infatti fu ovunque a macchia d'olio: le vie alla modernità furono differenti, e anche il mondo ottomano provò a elaborarne una sua. La Questione d'Oriente non fu indotta dalla crisi dell'Impero decadente ma dalla rivoluzione geopolitica dovuta alla globalizzazione; in altri termini, la crisi ottomana fu provocata dalla nuova collocazione dell'Impero al centro del grande gioco tra Europa e Asia. 1.2: I nuovi Balcani : L’età napoleonica giocò un ruolo decisivo all’interno dell’imp. Ottomano: la conquista dell’Egitto – 1798 – diede un forte impulso al processo riformatore intrapreso dal sultano Selim III (1789-1808), volto a centralizzare maggiormente lo Stato, modernizzandolo. Ciò provocò l’opposizione degli ayan – notabili delle province che volevano creare governi autonomi, sia dei giannizzeri (corpo militare divenuto insieme di piccoli signori locali). Difatti i terreni concessi nel tempo dallo Stato ai giannizzeri erano divenuti proprietà privata. Su queste terre i mezzadri serbi – trad. contadini liberi – erano divenuti schiavi. Per modificare questa situazione, tra 1804 e 1812 si verificarono le prime rivolte serbe, inizio di un percorso che in alcuni decenni condusse alla secessione dello Stato serbo. In seguito, sotto l'influenza della Russia, tali moti assunsero motivazioni anti-imperiali . Nel 1815 si giunse a un primo compromesso – le campagne, a maggioranza serba, sotto un’autorità propria, e le città sotto i governatori ottomani – che aprì un processo che condusse al trattato di Edirne del 1829 e all'autonomia delle province serbe (pur tributarie all’Impero ott.) sotto tutela zarista. Nel 1830 Milos Obrenovic, uno dei capi serbi, ottenne titolo di principe dei serbi segnando un ulteriore passo verso l'indipendenza. I serbi ottennero di amministrare in proprio fisco, ordine pubblico e sistema giudiziario, in cambio di un tributo e una presenza formale di guarnigioni ottomane. Questa formazione di un primo nucleo statuale serbo richiamò numerosi serbi nei Balcani dai territori asburgici, che portarono con sé loro mentalità occidentali. Nel frattempo negli anni '20 scoppiò la guerra per l'indipendenza greca che fu spinta dall'Europa che fomentò una turcofobia. Le vicende greche e serbe segnarono l'espulsione dei musulmani dai Balcani attraverso pulizie etniche. Nonostante la storiografia diverga in merito, artefici del movimento ellenico per l’indipendenza non furono tanto i greci della diaspora, né i mercanti più a contatto con l’Europa e le sue idee, ma fu l'Epiro di Tepeleni, Alì, pascià albanese, leader di un principato semiautonomo , che resistette al tentativo ottomano di imporre la propria sovranità, nel 1821, chiamando a raccolta il notabilato ellenico. La rivolta si estese e prese di mira i musulmani della regione, il che indusse l'Impero a una rappresaglia contro i greci di Istanbul. Tra 1825 e 1826 i disordini si diffusero e degenerarono, costringendo l’Impero a far intervenire le armate egiziane di Ibrahim pascià sul Peloponneso . Il Peloponneso (allora chiamato “provincia della Morea”) era stato affidato, infatti, da poco tempo, a Mehmet Alì, governatore dell'Egitto che pure ambiva all'autonomia da Istanbul. L’intervento egiziano mostra come la vicenda greca s’inseriva in una più ampia dinamica. Le potenze europee, sempre in disaccordo, trovarono nella questione greca un argomento di convergenza: da una parte favorire l’indipendenza ellenica, e dall’altra indebolire il potere egiziano: se la Morea fosse stata egemonizzata dall’Egitto, infatti, il controllo sul Mediterraneo orientale da parte delle potenze europee sarebbe risultato compromesso. La pressione europea pesò nel trattato di Edirne del 29 (frutto del conflitto russo-ottomano) e nell'accordo di Londra del 1830 portando all'imposizione dell'indipendenza greca. Il Nuovo Stato, il primo fondato su principio “etnico”, nasceva per concessione dalle grandi potenze. Atene, un piccolo centro, fu scelta come capitale per il valore simbolico e si sviluppò come città moderna ma dall'aspetto antico secondo i canoni occidentali sotto la guida del sovrano bavarese Ottone di Wittelsbach che avviò processo di centralizzazione e l'adozione di una nuova lingua, il greco moderno depurato di lasciti ottomani e slavi (il che favorì la definizione dell’identità ellenica). Gran parte dei greci però risiedevano ancora al di fuori dello stato, e la più grande città greca rimaneva Istanbul, l’antica Bisanzio. Ciò alimentò l'irredentismo e la Megali Idea di ripristinare l'antico regno bizantino. Nel frattempo nei principati di Moldavia e Valacchia la rivolta fallita nel 1821 da parte dei fanarioti, che dagli inizi del XVIII governavano le due province per conto del sultano ottomano, riaccese le ostilità tra popolazione rumena e governanti greci. I notabili locali (i boiari), con l'aiuto russo, approfittarono della situazione e ottennero che i governatori dei due principati fossero scelti tra le loro fila. Dopo Edirne i due principati divennero protettorati russi con un'autonomia di fatto: una condizione simile a quella del Montenegro. I russi nominarono i governatori ed emanarono costituzioni modernizzatrici (dagli anni 30), che prevedevano rafforzamento dell’autorità statale, creazione di un’assemblea rappresentativa, … società si trasforma e modernizza 1.3 Dalla Crimea a Berlino: A metà XIX sec. nelle élite balcaniche maturò un'idea di secessione dall'Impero Ottomano per via degli echi del 1848, che si fecero sentire tra serbi e rumeni. Le manifestazioni si diffusero in Valacchia e Moldavia, portando a un governo unitario tra i due principati, e spingendo la Russia a intervenire con il consenso della Sublime Porta, che si era riavvicinata all’Impero zarista per contrastare l’influenza anglo-francese sulle province arabe. L'ingerenza russa era invece mal accettata da popolazione moldavo-valacca e dall'Europa che temeva l'egemonia russa sulla regione. Intorno alla metà del secolo, i contrasti sorti in Palestina tra Francia e Russia si consumarono in campo Ottomano in una guerra combattuta in Crimea tra il 1854 e il 1856. Una guerra non per l'egemonia sull'Europa ma sull'extra-europa, in ottica quindi imperialista, per misurare i rapporti di forza e le sfere d’influenza europee. La russia occupò i principati danubiani e spinse così Francia e Inghilterra ad allearsi con la Sublime Porta e a conquistare Sebastopoli, principale porto russo sul mar Nero, vincendo così la guerra (1855). Il trattato di pace firmato a Parigi del 1856 limitava l'influenza russa in Oriente. Venne meno quindi il sistema d'alleanze anti francese sorto nel 1815 a Vienna, che fece posto a alleanze anti russe e anti nazionalismi centro-orientali . Con la sconfitta russa i principati danubiani passarono da tutela zarista a garanzia internazionale per poi passare, nel 1859, sotto la guida di un unico sovrano, Alessandro Cuza, per poi diventare uno Stato unico ma in termini ambigui e di semi vassallaggio con il governo ottomano che continuava a essere beneficiario di tributi. Nel frattempo emerse la questione bulgara, spinta dai russi che la ritenevano come una chiave per il mediterraneo saltando la chiusura degli stretti . Le province bulgare erano territori ottomanizzati dal XIV secolo con scarsi fermenti identitari. L'impero però non riuscì a soddisfare le aspettative di riforme modernizzatrici nelle campagne bulgare, e si sviluppò un ceto commerciale urbano che soppiantò la borghesia greca e che desiderava forme di autonomia come i serbi, ritenuta questa la sola via per il progresso nella regione. L’ indipendenza dell’esarcato ortodosso bulgaro, riconosciuta dalla Porta nel 1870 (ma contrastata dal Fanar, che la riconobbe solo nel 1954), favorì il rafforzamento dell’identità collettiva bulgara, ma senza uno Stato a cui rifarsi. La congiuntura internazionale portò nella crisi del 1875-78 alla formazione di un principato bulgaro autonomo sebbene ancora tributario della Porta. La transizione a stato nazionale fu guidata dai russi che favorirono lo sviluppo di una monarchia costituzionale. Vienna fu indebolita dalle spinte nazionaliste di tedeschi e italiani (erano nati lo Stato italiano e quello tedesco) , colte dalla russia come momento di debolezza per l'Europa proprio nel momento in cui crescevano fermenti rivoluzionari nei Balcani. Un primo effetto fu il carattere dualista assunto dal 1867 dell’Impero austriaco, che divenne austro-ungarico. Le speranze di Bismarck di consolidare il sistema delle potenze europee tramite un accordo tra i tre grandi imperi orientali – tedesco, ✔asburgico e russo -, si scontrarono con l’irrisolta “questione d’Oriente”. In Russia non mancavano sostenitori del panslavismo, secondo cui la Russia doveva lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it) un’apposita commissione. L'afflusso di ca. 1 milione di rifugiati determinò cambiamenti nel tessuto sociale. Spesso i profughi, pur essendo musulmani, erano di etnie e cultura diverse da quelle dei luoghi dove andavano ad abitare. A volte ciò fu uno stimolo per la formazione di una nuova classe media urbana musulmana. D'altra parte aumentò l'islamizzazione, con una conseguente riduzione della componente cristiana. Questo squilibrio che si venne a creare costituisce una delle radici della crisi della coabitazione. L’affermarsi di soggetti nazionali nei Balcani introdusse un elemento di rottura nel campo cristiano, creando un difficile terreno soprattutto per il patriarcato greco-ortodosso di Istanbul, che aveva sempre espresso una vocazione sovranazionale: il carattere filoimperiale e il profilo universalista del Fanar era destinato a scontrarsi con l’affermazione dei particolarismi nazionali, e la conseguente autocefalia delle gerarchie ortodosse. Nei nuovi stati balcanici identità nazionale e religiosa andarono a sovrapporsi, frammentando lo spazio ortodosso e indebolendo il Fanar. L’allentamento dei legami con Istanbul, d’altro canto, rese più fragili anche le diverse Chiese ortodosse balcaniche, sottomesse e spesso strumentalizzate in chiave “nazionale” dai rispettivi governi. Nel frattempo i cristiani rimasti nell'Impero (come gli armeni in Anatolia o i maroniti in Libano) guardavano con invidia l'autonomia dei cristiani dei Balcani. Da sottolineare è anche il fatto che Roma era preoccupata per le comunità cattoliche presenti nell'impero e gli equilibri politici e confessionali dello stesso. Si temeva che con una disarticolazione dell’Impero si aprisse la strada a un'egemonia russa dai Balcani al medio oriente (ovvero in tutto lo spazio imperiale). Per questo Leone XIII (1878-1903) difese il pluralismo religioso in oriente (p.es. adoperandosi affinché al Congresso di Berlino fossero inserite clausole a tutela della libertà religiosa nelle nuove nazioni a maggioranza ortodossa). Capitolo II: Islam e modernità: 1. Il regno di Abdulhamid II: 1.1 La modernizzazione dello stato: Berlino lasciò pesanti cicatrici. Si tentò di rinforzare ciò che non era stato tolto. Il clima generale era mutato: dopo l'ottimismo del Tanzimat ci fu un periodo di dubbi e perplessità. Dopo essere entrato nel concerto europeo nel 1856 (Congresso di Parigi), in poco più di un ventennio si trovava invece sotto “tutela” delle potenze europee. La guerra lasciò segni profondi nella coscienza collettiva ottomana. L'impero era ormai prossimo a cadere. Si diffuse il sentimento di pericolo esterno ma anche interno per la presenza di minoranze cristiane di cui non ci si poteva fidare. Insomma, il 1878 fu uno spartiacque sul piano politico, culturale e psicologico per l’Impero ottomano. Erano anche mutati gli equilibri internazionali. Dopo il 1870, con l’ascesa della DE, Inghilterra (Istanbul non più unica via per sbarrare alla Russia la strada verso l’India occupazione di Cipro, sostegno al naz. armeno, …) e Francia (troppo debole per compiere una politica incisiva in Oriente) avevano smesso di sostenere l'Impero Ottomano , abbandonato ormai alle pressioni russe che perseguivano le ambizioni panslave nei Balcani, regione che interessava anche all'Impero asburgico. Il 1878 fu anche la fine dei progetti di riforma di modernisti e filoeuropeisti e dei burocrati decentristi. Si stigmatizzò il ruolo dominante assunto dalla Sublime Porta e si rilanciò l'autorità del sultano ponendo fine al principio di uguaglianza che si pensava avesse favorito le secessioni balcaniche. Pareva chiaro che l'Ottomanismo fosse di difficile applicazione perché modificava tradizioni e identità consolidate e islamiche. Le riforme del Tanzimat avevano inoltre sì integrato l'economia imperiale in quella mondiale, ma ne avevano anche accresciuto la dipendenza dalle politiche coloniali occidentali. Avevano rafforzato la centralità statale ma indebolito le reti locali delle diverse comunità. La spinta all'uguaglianza aveva paradossalmente aperto conflitti identitari, confessionali e secessionisti (es. Balcani e Libano). Tutto ciò è alla base dell'ascesa al trono di Abdulhamid II. Abdulhamid II giunse al potere nel 1876 in un frangente turbolento, dopo la deposizione del fratello Murat V, giudicato mentalmente infermo. Sua prima preoccupazione fu rafforzare l'autorità sultanale indebolita durante il Tanzimat. Sospesa la Costituzione, non covocò più l’ass. parlamentare, ritenuta voce delle rivendicazioni nazionali e dei particolarismi: politica volta a ristabilire un potere forte e centralizzato. Emarginò la Sublime Porta, sede del governo ottomano, e concentrò tutti i poteri nelle sue mani. Emarginò/cacciò i riformatori. Fu figura controversa, dipinto come dispotico, carnefice (dopo i massacri armeni di fine secolo fu definito “sultano rosso”) e reazionario, anticostituzionale, islamico, illiberale. In realtà visse condizionato dal senso di insicurezza del periodo. Visse con la paura di un complotto, come quello che aveva deposto il fratello per circondarsi di una cerchia di fiducia aprì la strada al clientelismo a scapito della meritocrazia (funzionari scelti per la loro lealtà e non per le loro capacità). Censura e polizia in tutti gli ambiti furono due cardini del suo potere nel tentativo di rafforzare la coesione interna. Secondo lui la subordinazione dello Stato alla Legge, come sancito dal Tanzimat, era interpretabile come Stato che doveva farsi garante della giustizia ristabilendo l'ordine. Ciò implicava una concezione autoritaria dello stato e del sultano. Era autoritario ma non per questo conservatore, preoccupato dall'Europa ma non per questo anti-occidentale, proseguendo quindi in qualche modo almeno sulla strada di modernizzazione tracciata dal Tanzimat: aumentarono le vie di comunicazione, come la ferrovia (grazie a capitali FRA e GB) e la navigazione a vapore (ampliamento del mercato per i prodotti ottomani), e progredì anche l'agricoltura, es. ampliamento rete di canali per l’irrigazione (ampliamento rete telegrafo più rapporti centro-periferie più controllo sulle periferie; …). DE, FRA, GB grandi investitori. Dopo Berlino non solo molti territori andarono sotto il controllo europeo, ma anche l'economia ottomana andò a dipendere molto dall'occidente. Nacque un consiglio di amministrazione a controllo europeo (1881) che organizzò la raccolta di entrate, il che riuscì ad abbattere il debito ottomano nei confronti dell'Europa, ma indebolì la sovranità ottomana. Abdulhamid II sviluppò inoltre il sistema scolastico pubblico per formare quelle classi necessarie alla trasformazione alla maniera però islamica. L'alfabetizzazione (relativa) favorì l'espansione di giornali a cui si dovette poi porre freno con la censura. I giornali già con il Tanzimat erano diventati sempre più importanti sia per l'impero che per le sue comunicazioni con l'estero. La censura hamidiana però rappresentò una battuta d'arresto e la stampa divenne sotto di lui anche mezzo di propaganda di un Impero sulla via della modernizzazione. 1.2 La politica dell'Islam: Agricoltura si avviò verso il capitalismo. Dagli anni 70 negli ambienti musulmani più popolari, radicati nelle campagne ottomane, aveva messo radici il revivalismo , che associava l'ascetismo e l'attenzione allo sviluppo della società per rigenerare la società islamica , interpretando l'aspirazione a un maggior benessere materiale delle masse islamiche ottomane. Il movimento revivalista era portatore di istanze di rinnovamento abbastanza radicali, che lo avevano posto a volte in opposizione al potere ufficiale, specialmente durante il periodo Tanzimat. Molte delle sue idee, tuttavia, avevano sostenitori anche negli strati superiori. La loro diffusione era riflesso del diffuso malcontento delle masse musulmane deluse dagli esiti insoddisfacenti delle riforme. Anche la stampa ebbe un ruolo importante nell’orientare l’opinione pubblica: essa diffuse l'idea di una purificazione della società islamica, che si saldò con l’ostilità verso l'Europa, percepita come presenza invadente e interessata. Specialmente tra i Giovani Ottomani prese forma un discorso antieuropeo, che vedeva la rinnovata identità islamica come strumento per non cedere all’umiliante sudditanza all’Occ., fomentata anche dai racconti dei profughi islamici dei paesi europei. ✔In questo clima di risentimento e di paura verso l'Europa origina, nei primi anni settanta del XIX, durante il regno del sultano Abdülaziz, il movimento panislamista da sostituire a quello ottomanista, centrato sulla figura del sultano e sul rilancio del califfato Grazie ad alcuni giornali, le idee panislamiste dei Giovani Ottomani cominciarono a trovare eco negli ambienti intellettuali ottomani. Ciò crebbe con la perdita di Tunisia ed Egitto ad opera di Francia e Inghilterra. Gli ottomani guardavano con diffidenza anche il protettorato istituito dall'occidente sulle comunità cristiane all'interno dell'Impero, cosa che portò a sovrapporre l'imperialismo con il cristianesimo, visto ora come "religione straniera". Ciò non fu però l'avvio di una politica anticristiana. Dal 1882, dopo la conquista inglese dell’Egitto, Abdulhamid II procedette a una revisione dei principi su cui si era formato lo Stato nell’età delle riforme: l'Islam doveva essere il cardine della società ottomana per aggregare le masse al sultano-califfo: il panislamismo hamidiano si configurava in un disegno politico unitario che mirava a saldare l'ortodossia islamica con l’apertura alla modernizzazione, per rappresentare un nuovo riferimento identitario anche per i musulmani più dinamici. Inoltre il panislamismo mirava anche ad aggregare al centro quei territori più periferici. L’enfasi posta sul califfato fu la vera chiave di volta della politica interna ed estera di Abdülhamid II. Per accreditarsi come legittimo califfo il sultano mise in campo una politica filoaraba, riservando al notabilato e ai dignitari religiosi arabi un trattamento di particolare riguardo. In nome dell’Islam si puntò a realizzare una più forte coesione tra turchi e arabi, e così l’attenzione verso le province arabe e i loro abitanti divenne parte integrante del panislamismo hamidiano (es. personalità arabe furono chiamate a occupare posti chiave nel governo a corte, realizzazione di lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it) molte scuole nelle province arabe, …). Insomma, la politica di Abd. II mirò a riconciliare il potere turco con le classi dirigenti locali, rafforzando il carattere islamico dello Stato. Il disegno hamidiano era però debole a causa della mancanza di meccanismi istituzionali capaci di comporre in modo coerente le divisioni che segnavano la società ottomana nelle diverse province. Il nuovo ottomanismo era fondato sull'identità musulmana, ormai ampiamente maggioritaria, unitaria e ortodossa (es. stampa Corano divenne di monopolio statale, …) per comporre un patriottismo imperiale: “Islam non è solo una religione, è una nazionalità” (giornale “La Turquie”). Dal 1890 il sultano andò a identificarsi sempre più con l'impero, si ritirò dalla scena pubblica e ciò lo spinse a rendersi presenti attraverso una simbologia religiosa – sacralizzando la sua persona - che insieme alla lingua e al lavoro della stampa resero l'Impero più coeso al suo interno, creando un senso di appartenenza di tipo “imperial-nazionale”. 1.3 Panislamismo e sistema internazionale: La politica panislamica di Abdulhamid II ebbe riflessi a livello internazionale. Mentre progrediva la colonizzazione occidentale nel mondo musulmano, prese forma, sul finire del XIX, un senso di fratellanza interislamica transnazionale per contrastare tale dominio coloniale occ.. L'impero ottomano era rimasta intano l'unica grande potenza islamica indipendente dall'occidente e ciò rafforzò il profilo universale del califfato: gran parte del mondo musulmano si rivolge a Istanbul nella speranza di un possibile riscatto. Ciò nonostante Abdulhamid non cercò mai di creare un fronte globale islamico volto a contrastare militarmente l’espansione europea. Il suo panislamismo era rivolto più che altro all'interno del suo impero, per mantenere la coesione ottomana; un'ideologia non conservatrice che in contrasto con la tradizione islamica ottomana classica era teso alla costruzione di un consenso attorno la modernizzazione dello stato. Il panislamismo di Abdulhamid II era quindi modernista e basato sulla classe media musulmana emergente. Nonostante l’appello a riunirsi attorno al califfato per riaffermare la forza dell’Islam, le pressioni europee continuavano a pesare come dimostrato dagli episodi di Bulgaria (1885: riunificazione della Rumelia alla Bulgaria). Il venir meno del sostengo inglese all’Impero, e le difficoltà francesi a svolgere un ruolo rilevante in Oriente, spinsero Istanbul sempre più nelle braccia dell’Impero tedesco, con il conseguente accentuarsi delle rivalità tra Russia e Impero austro-ungarico nei Balcani. L’impossibilità di sciogliere a vantaggio di una singola potenza la questione degli stretti tese a spostare il confronto su altri scenari: in tal senso la partita sul controllo del canale di Suez, con l’occupazione britannica dell’Egitto, si ampliò alle coste ottomane del Mar Rosso, con la colonizzazione italiana dell’Eritrea (1890), ma con influssi anche sulla crisi di Creta (1897), avamposto cruciale tra Europa ed Egitto. Analogamente il confronto anglo-russo nel Caucaso e in Asia Centrale ebbe ricadute sulla “questione armena”: anche tra gli armeni, infatti, nacque l'idea di emanciparsi dalla Sublime Porta appoggiandosi all'Europa, anche se la situazione armena era diversa dai correligionari balcanici, trovandosi tra impero ottomano e zarista, dove esisteva già, dal 1828, una provincia autonoma armena, la loro situazione era particolare. Gli stati europei sfruttarono questo disagio dei cristiani ottomani per ritagliarsi spazi d’influenza in Oriente: l'imperialismo europeo condiziona politicamente, economicamente e culturalmente l'impero ottomano, in particolare nelle sue relazione con le proprie comunità cristiane emerge così la “questione armena”: il nazionalismo armeno fu risultato della competizione dei due imperi. A partire dal 1890 gli armeni cercarono il sostegno di Russia e Inghilterra, alimentando il timore ottomano di veder spartiti i territori dove stanziavano (terre anatoliche). L'impero ottomano optò quindi per un massacro su ampia scala che sconvolse le province orientali ottomane dal 1894 al 1896. Le stragi stroncarono il nazionalismo indipendentista armeno ma infersero un duro colpo anche alla coabitazione ottomana: i cristiani non ritennero più possibile convivere con i musulmani e viceversa aumento delle violenze interconfessionali e dei sussulti identitari es. crisi cretese, che culminò nella guerra greco-ottomana del 1897. L a crisi scoppiò per la questione cretese, contesa da Sublime Porta e Atene, che acquisì l'isola tramite sostegno internazionale nonostante la vittoria militare ottomana che intimorì l'Europa e inorgoglì gli ottomani (l’Impero non era così “morente”). In realtà l'emigrazione imposta ai musulmani da Creta sancì la fine della presenza musulmana sull'isola mediterranea e un ulteriore colpo alla coabitazione tra islam e cristianesimo. I nuovi profughi raggiunsero i territori ottomani, rinfocolando ostilità contro i greco- ortodossi di Istanbul e malcontento delle masse musulmane verso il sultano, causa impero in crisi economica e politica. La vicenda armena e quella cretese alimentarono il patriottismo islamo-ottomano e il nazionalismo dei cristiani ottomani. Questi ultimi, specie in Albania e nelle province arabe, vedevano la prospettiva nazionale come un'identità collettiva capace di trascendere le appartenenze confessionali, favorendo la creazione di uno spazio comune per unire musulmani e non. A spingere verso l'unificazione delle province albanesi fu quindi la volontà locale, ma anche le potenze europee come Austria e Italia, interessate ad esercitare influenza sulla regione. Nelle province arabe nacquero movimenti proto-nazionali basati sul rinnovamento culturale, che portò albanesi e arabi a valorizzare lingua e letteratura come elementi fondanti di una nuova identità. Misero così radici spinte tese all’affermazione di identità etniche particolari, che nella visione hamidiana dovevano essere contrastate dall’Islam, concepito come ultimo baluardo contro gli effetti corrosivi del nazionalismo. Queste pulsioni identitarie innescarono una spirale di crescente diffidenza che esacerbò le relazioni tra le differenti comunità, minando quindi le fondamenta dell'Impero, dato che coabitazione e dimensione imperiale costituivano 2 elementi inscindibili e intrinsecamente connessi tra loro. 2. Unione e Progresso: 2.1 Una generazione emergente: All’inizio XX secolo: situazione precaria per l'impero ottomano a causa delle questioni nazionali aperte in Armenia, Creta e Macedonia, che creavano tensioni. In particolare, uno degli scenari più instabili era costituito dalle 3 province macedoni, caratterizzate fa un forte pluralismo etnico che intrecciava serbi, greci, bulgari, albanesi, turchi e rom. In particolare, la Macedonia era in tensione a causa del rapporto tra ortodossi greci e bulgari. I cristiani macedoni di origine slava , che avevano subito nel tempo un processo di grecizzazione religioso-culturale, avevano maturato nel corso del XIX una propria identità specifica, grazie a correnti slaviste e alla nascita di una Chiesa ortodossa bulgara autocefala dal 1870. Il contrasto tra Esarcato bulgaro e il Fanar spinse molti a prendere posizione per uno dei due centri ecclesiastici: essere “bulgari” iniziò a voler dire parteggiare per l’Esarcato. La Macedonia divenne il principale campi di scontro tra le due Chiese, impegnate in questa “battaglia per le anime”. Sullo sfondo agivano soggetti politici intenti a perseguire precisi disegni irredentisti, sfruttando la “guerra religiosa”: da una parte i comitati bulgaro-macedoni puntavano all'emancipazione della Macedonia dall'Impero per una nazione indipendente o annessa al regno di Sofia, dall'altra la parte ellenica voleva la secessione macedone. Ci fu guerra, che accrebbe l’instabilità nella regione. Salonicco era la principale città macedone e durante il XIX secolo aveva avuto uno sviluppo cosmopolita, che divenne terreno fertile per nuovi movimenti politici, ✔ nazionalisti o etnici che accelerarono la disgregazione imperiale sul territorio: comitati rivoluzionari bulgaro-macedoni presero avvio nella metropoli, così come dal consolato ellenico cittadino iniziarono a giungere dritte che ispiravano le azioni dei gruppi irredentisti greci. Tutto ciò preoccupava molto la popolazione musulmana sul territorio, intimorita dal rischio di “perdere l’Impero”. In questo clima, nel 1906 venne fondata a Salonicco l’Associazione della Libertà ottomana, volta a ripristinare la costituzione del 1878; l’ultima espressione di un movimento sorto tra gli studenti delle moderne scuole superiori: es. nel 1889 un gruppo di studenti di Istanbul aveva fondato l’Associazione per l’Unità ottomana, con l’intento di restaurare il regime parlamentare; negli anni seguenti tali fermenti si diffusero a diverse città ottomane, finché si decise di organizzare meglio la rete del movimento: creazione del Comitato Unione e Progresso (1896). Accusati di cospirazione, molti membri si rifugiarono in Europa, dove a Parigi venne fondato il giornale “La Jeune Turquie”, e da qui l’appellativo Giovani Turchi. I fondatori del CUP esprimevano una nuova generazione (età media 27 anni), con un’elevata istruzione e una comune fede musulmana, ma paradossalmente appartenevano in gran parte a gruppi non turchi (albanesi, curdi, …) e non avevano legami con gli apparati statali ottomani. Ciò li differenziava dalla cellula di Salonicco, composta sia da un gruppo di civili sia da un nucleo di giovani ufficiali dell’esercito, che tra 1906 e 1908 giunsero a costituire 2/3 dei membri (tra essi, Mustafa Kemal). Nel settembre 1907 , tale cellula decise di confluire nel CUP, preparandosi alla campagna che, l’anno seguente, avrebbe reintrodotto la Costituzione ottomana. I Giovani Turchi appartenevano alla generazione post 1878 caratterizzato da insicurezza che gravava su province balcaniche e sull'islamismo modernizzante ma anche autoritario del regime hamidiano. Furono testimoni dell'ascesa sociale ed economica della borghesia cristiana che provocarono mutamenti nei costumi, nella mentalitè, ecc. In quel periodo crebbero le differenze con i musulmani, che rimasero ai margini dei cambiamenti e in una posizione di inferiorità. I Giovani Turchi quindi si ponevano in opposizione ai non musulmani ma trassero dalla borghesia cristiana il modello di moderna way of life tipica di ceti urbani più occidentalizzati. Come l'esercito, anche il sistema educativo fu canale di politicizzazione dei ceti medi musulmani, in una fase in cui nasceva la politica come fenomeno di massa. In tal senso, i GT rappresentarono l’ingresso nello scenario imperiale del 1° movimento politico organizzato, che tentò d’interpretare le aspirazioni di quei settori della società ottomana più aperti alla modernità occidentale. lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it) I Giovani Turchi frequentarono scuole di tipo occidentale, il che li spinse ad ambire a un costituzionalismo liberale (anche a seguito di quanto successo in Russia e poi in Persia) , si ritenevano legittimamente sovversivi perché consapevoli che la tradizione apparteneva ormai al passato in rottura con generazioni precedenti (ancora convinte che ci fosse un nesso tra maturità anagrafica ed esercizio del potere). Erano convinti che lo Stato rappresentasse il principale strumento di cambiamento della società soprattutto attraverso l'uso delle armi e del militarismo, frutto della cultura prussiana che aveva orientato le riforme dell’esercito nel corso del XIX e della vittoria giapponese sui russi nel 1905 GT coltivano idea che uno Stato si può dire moderno solo se concepito come “nazione in armi”, la cui forza risiede in un popolo di cittadini-soldati (concezione popolare specie dopo la 1° guerra balcanica). Agli inizi del XX, la necessità di garantire il diritto di esistere all’Impero, si misurava con le crescenti pressioni delle potenze occidentali e soprattutto con l’azione delle bande irredentiste che nelle province balcaniche puntavano alla secessione degli ultimi territori ottomani. Lo scontro con tali bande costituì l’esperienza che accomunò molti membri del CUP, i quali tesero ad associare le bande irregolari con le popolazioni cristiane locali. L’esperienza della guerriglia suscitò dunque da una parte una crescente ostilità del CUP verso le comunità cristiane ottomane, ma portò anche gli unionisti a far proprie le tecniche di combattimento dei guerriglieri balcanici, di cui si ammirava lo spirito combattivo alimentato dal nazionalismo 2.2 La strana rivoluzione giovane-turca: Nel 1908 i giovani turchi uscirono allo scoperto e rigettarono le richieste di riforme in Macedonia avanzate dalle grandi potenze. Il governo ottomano, come risposta, aumentò le indagini sul CUP (Comitato Unione e Progresso, aka Giovani Turchi). Nazim Bey , incaricato delle indagini, fu assassinato da un unionista. Intanto le grandi potenze stavano per istituire protettorato int. sulla Macedonia. Il CUP decise di rompere gli indugi e organizzò bande di guerriglieri per forzare il governo ottomano a reintrodurre la costituzione. Le bande entrarono in azione il 03.07.1908. Il CUP guadagnò ampi consensi e arrivò a minacciare una marcia su Istanbul se il governo centrale non avesse accolto le sue richieste. Il sultano Abdulhamid II fu costretto quindi a reintrodurre la Costituzione (24.07) . Per l'Impero si apriva una nuova stagione. La gioia fu sia dei musulmani che dei cristiani che degli ebrei per quella che fu definita la rivoluzione francese d'oriente. Il CUP sembrava voler rilanciare l'ottomanismo e il cosmopolitismo in opposizione alla spinta disgregante dei nazionalismi: lo Stato però, differentemente dalla “vecchia” concezione di ottomanismo, non era più emanazione del sultano, ma della nazione ottomana e della loro costituzione. Il CUP sottolineò l'uguaglianza giuridica di ogni cittadino, senza distinzioni di nessun genere. L'ottomanismo riscosse larghi consensi ma mostrò i suoi limiti alle prime elezioni parlamentari, quando emersero attriti con i greci e gli armeni che sostenevano di essere sottorappresentati; preponderanti infatti erano le comunità minoritarie non turche, anche se la maggioranza era per i deputati unionisti. Il CUP era improvvisamente diventato molto potente e il regime hamidiano con la svolta costituzionale del luglio 1908 era stato delegittimato. Gli unionisti però non vollero prendere il potere ma preferirono puntellare il potere precedente con un sultano delegittimato in favore di una costituzione utile a riformare lo Stato salvandolo dalla dissoluzione rivoluzione culturale, nulla più (non venne abbattuto l’ancien régime, ma fu restaurato nella forma della monarchia costituzionale del 1876). I giovani turchi erano antieuropei sul piano politico ma profondamente occidentalizzati su quello culturale; non a caso la svolta dei Giovani Turchi si inserì in un contesto costituzionalista che avvenne anche in Russia, Persia, Messico e Cina in quegli stessi anni. Fu una rivoluzione culturale occidentale che trasformò i sudditi in cittadini. Il CUP era egemone in parlamento ma non controllava la maggior parte dei suoi deputati. Molti di questi si schierarono con l’opposizione (Partito dei liberali ottomani) , dunque contro la tendenza centralizzatrice del CUP in favore di una maggiore autonomia delle comunità locali. Il CUP allora, essendo l’ass. parlamentare meno controllabile, tese a sviluppare la propria azione politica prevalentemente preferì nell'ombra, avendo come interlocutori il sultano e il governo ottomano , senza evolvere in un partito politico moderno, il che creò una difficile commistione tra politica civile e azione militare. I membri del CUP, oltre a questi limiti strutturali, si rivelarono incapaci di trovare efficaci soluzioni per affrontare i problemi imperiali; una debolezza che apparve evidente poche settimane dopo la svolta costituzionale, quando, approfittando dell'instabilità, la Bulgaria si rese definitivamente indipendente, Creta si unì alla Grecia e l'Impero Austro-ungarico assimilò la Bosnia aumentando le tensioni in Serbia. Il governo ottomano reagì duramente per paura che si potessero diffondere rivendicazione irridentista altrove. Il CUP promosse una stretta repressiva nelle province macedoni dimostrando di essere incline a un regime autoritario a partito unico: tradimento degli ideali costituzionali per i quali il CUP si era battuto. Ciò provocò la reazione di una controrivoluzione specie tra le fila di generali militari della vecchia generazione e delle scuole religiose, che temevano di perdere la loro autonomia e dai liberali. Nel 1909 scoppiò l'insurrezione da parte delle forze controrivoluzionarie (ammutinamento di alcuni battaglioni di soldati anti-unionisti nella capitale), ma venne sedata. I tribunali militari condannarono a morte i ribelli, il sultano fu reso capro espiatorio quindi deposto ed esiliato. Terminò così il regno di Abdulhamid II, sostituito dal fratello Mehmet V In pochi mesi il CUP era passato da essere accolto come liberatore ad essere isolato e addirittura osteggiato dopo un'insurrezione che ne aveva esposto le vulnerabilità. Inoltre si rafforzò la consapevolezza che l'Islam poteva essere una facile arma politica per agitare le masse non istruite così come avevano fatto gli insorti diffid. verso i mov. che si richiamavano all’Islam per fini politici. 2.3 Ottomani, musulmani e turchi: Nel 1909 il CUP ristabilì l'ordine grazie all'esercito, che ora si trovava in posizione di potere mentre il CUP veniva criticato anche perché non si trasformava da movimento che agisce nell'ombra a partito politico vero e proprio. Così, nell’autunno 1909, il CUP decise di evolvere, provando a dare al movimento i caratteri di un moderno partito politico, per cercare di riportare un po' di sereno pochi mesi dopo l'inserruzione. Ma il CUP non riuscì a diventare un vero e proprio partito, rimanendo un'organizzazione politica militarizzata (ci fu un rafforzamento degli organi e delle gerarchie interne, ma non ci fu l’elaborazione di ✔una compiuta ideologia politica). I giovani turchi, dopo la riv. del 1908, avevano due problemi connessi al salvataggio dello Stato ottomano: 1) l'esigenza di modernizzare per fronteggiare le potenze europee conciliando scienza occidentale e tradizione islamica; 2) su quale base e identità edificare l'Impero? I giovani turchi furono pragmatici e non ebbero un vero disegno politico e ideologico a cui guardare per rispondere a queste 2 questioni, quindi si rifecero a ottomanismo, islamismo o turchismo a seconda delle circostanze. In questa prospettiva si colloca la complessa questione del nazionalismo turco, nato nei circoli parigini giovane-turchi negli anni precedenti la riv. del 1908. (nascita: ceppo linguistico, studiosi Asia centrale: v. anche sotto “profughi prov. russe”, guerra russo- giapp. Che mette in discussione la superiorità dei “bianchi”, …). L'etnia turca era spinta a livello scientifico (addirittura come una razza), ma non aveva grossa corrispondenza sulla realtà sociale; perlomeno finché non giunsero nell'Impero i profughi delle province russe, che introdussero il concetto di identità turca: si cominciò così a prospettare un'unione panturca. Per questi popoli di profughi l'identità etnica turca era una risposta alla dominazione zarista, prospettiva però molto diversa da quella degli ottomano-turchi, per i quali risultava invece cruciale la salvaguardia dello Stato ottomano, nel quale l'Islam costituiva il grande asse portante: per questo l'identità turca ha faticato ad affermarsi nel contesto ottomano. Nel corso dei secoli la prevalenza dell'identità religiosa, tipica dei millet, aveva fatto sì che l'identità dei turchi ottomani venisse assorbita nell'Islam e non in un’etnicità specifica. Le identità etniche furono sfumate dalla dinastia ottomana imperiale ritenendo più facile governare diverse identità religiose di carattere sovranazionale piuttosto che entità etniche più difficili da mischiare (si pensava che l’Impero, per sopravvivere, non dovesse identificarsi né in un solo popolo né in una sola comunità etnica). Da qui derivò la diffidenza dei sultani per i nazionalismi. Neanche la lingua turco-ottomana era un marcatore etnico, perché era spec. Utilizzata, nel contesto plurilinguistico imperiale, per l'ambito amministrativo. I termini turco e turchia faticarono quindi molto ad affermarsi (identità turca piuttosto debole). I Giovani Turchi negli anni pre-insurrezione del 1908 avevano sposato la dottrina ottomanista del Tanzimat, basata sull'uguaglianza di tutti gli ottomani. La discriminante per i Giovani Turchi era la politica, non l'etnia, e consisteva nella contrapposizione tra unionisti e secessionisti - chi voleva mantenere l’Impero e chi puntava a staccarsene. Il CUP, come dice il nome, puntava sull'unità dell'impero e non sull'affermazione di un gruppo nazionale su un altro. Dopo il 1908 emerse però come lo spirito nazionalista si stesse ormai diffondendo in tante comunità ottomane (specie greche, bulgare e armene). Un chiaro segnale di ciò venne da greci e bulgari, che si ribellarono all’introduzione della coscrizione obbligatoria universale (1909): i cristiani ritenevano inaccettabile essere inquadrati lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it) Transgiordania , per evitare conflitti, fu tenuta separata dalla Palestina, contrariamente a quanto volevano i sionisti. Venne creato l'Iraq riunendo aree disomogenee sul piano economico, sociale e demografico, inglobando curdi e assiri, ignorando le loro aspirazioni nazionali, rendendo sempre più instabile una compagine statuale dove vivevano all'interno diverse etnie e confessioni. I britannici, infine, intendevano difendere i loro interessi sul Golfo persico, considerato la porta al dominio indiano, e quindi favorirono la costituzione di un regno unitario nella penisola araba, affidato alla dinastia saudita. Il nuovo assetto del Medio Oriente arabo fu percepito dalle popolazioni come un dominio coloniale la conferenza di Parigi, dunque, si rivelò per molti aspetti, una pace senza pace. Nel corso del 1919 , il movimento della Società per la Difesa dei Diritti Nazionali, aveva acquistato crescente rilevanza, diventando un soggetto politico influente, con cui doveva fare i conti anche il governo ottomano a Istanbul. Fu in questo periodo, durante i congressi della Società, che si mise in luce MK. Mustafa Kemal non aveva fatto parte del gruppo di giovani ufficiali che aveva subito aderito al CUP, e dunque non era stato protagonista tra 1908 e 1918. Distintosi in guerra e nazionalista unionista convinto, guidò la resistenza nazionale, che rivendicava la sovranità dell'Impero e l'indivisibilità di territori "abitati da maggioranza ottomana musulmana , che costituiva un'unità religiosa, tenica e storica" (cit. Patto Nazionale – 1920 – comprendente gli obiettivi del mov. Nazionale). L'identità tecnica turca era quindi concepita legata al carattere islamico, con una sovrapposizione tale che "millet" passò da significare una comunità confessionale a significare una nazione. Tale passaggio si spiega principalmente con il carattere reattivo che ebbe il nazionalismo ottomano-musulmano, nato in risposta ai nazionalismi sorti tra i cristiani ottomani. Esso fu originato da uno spirito di rivalsa dei musulmani, i quali, tra XX e XX, contro le comunità cristiane ottomane, erano risultati perdenti. Dunque, per gli unionisti, la nazione non poteva che essere lo spazio dominato dalla maggioranza musulmana. Il criterio per definire la nazione fu socio-politico: essa coincideva con il territorio difeso dall'esercito ottomano al momento dell'armistizio all'interno del quale vivevano come popoli dominanti i turchi e i curdi . Gli arabi erano "fratelli" e “correligionari”, ma non partecipi della nazione per deboli vincoli culturali, sociali e politici tra province arabe e centro ottomano. Con il trattato di Sèvres del 1920 venne sancita la fine di fatto dell'Impero Ottomano, che sopravvisse solo nominalmente. La Sublime Porta conservò solo la capitale, Istanbul, circondata ora da territori passati in mano europea. In Anatolia orientale nacque inoltre uno stato armeno indipendente. Il trattato parve inaccettabile al mov. Naz. ottomano, dato che metteva in discussione l’integrità dell’Anatolia, ma la Sublime Porta non aveva più il potere di ribellarsi. L'Intesa, per evitare rappresaglie, occupò anche la capitale ottomana, ma priva di forze sufficienti per presidiarne l’entroterra affidò alle forze militari greche il compito di far rispettare le decisioni assunte in sede internazionale; scelta che alimentò un nuovo conflitto greco turco in Anatolia occidentale per i successivi due anni. Dall'estate del 1920 infatti i greci si erano spinti ben oltre i limiti stabiliti dagli accordi (Asia Minore nord-occ. + Tracia), mentre la resistenza ottomana procedette a rafforzare il proprio controllo sul resto del territorio imperiale, praticando l'espulsione degli armeni. Contro la repubblica armena venne scagliato un attacco per riconquistare, tramite atrocità, alcune province orientali. Ripresero quindi le pulizie etniche. Sulla frontiera caucasica, un’importante svolta avvenne nel 1921, quando la sovietizzazione della repubblica armena creò i presupposti per un trattato di amicizia ottomano-sovietico. L'accordo permise alla resistenza di riarmarsi e dare filo da torcere ai greci, in cambio del porto di Batumi (Georgia) Per affrontare la situazione, l’Intesa convocò una conferenza a Londra, nel 1921, che vide per la 1° volta la delegazione ottomana guidata da esponenti del mov. Nazionale. La nuova legittimità politica assunta dalla resistenza cambiava nettamente le prospettive politiche nei territori ottomani, tanto da indurre FRA e ITA a stringere con i nazionalisti ottomani accordi separati che prevedevano il ritiro dall’Anatolia in cambio di concessioni economiche. Sul fronte anatolico i greci attaccarono Ankara, nuovo quartier generale dei nazionalisti. Ma la resistenza resistette, guidata da MK, e il prestigio di Mustafa Kemal aumentò. I greci si ritirarono ma la debolezza militare ottomana impedì una controffensiva fino al 1922 quando finalmente vinsero la guerra. I greci fuggirono ma lungo il tragitto lasciarono una scia di distruzione e saccheggi anche ai danni di civili. Per questo la popolazione greca, per paura di ritorsioni ottomane, seguì l'esercito greco. Gran parte della pop. ✔Greca, all’avanzare dei nazionalisti, per timore di ritorsioni etniche decise di seguire l’esercito ellenico: l'esodo dei greci dell'Asia minore fu preludio della tragedia di Smirne. La città venne occupata dai nazionalisti nel settembre 1922, subì saccheggio e distruzione nei quartieri cristiani, con uccisioni di civili. Venne appiccato un incendio che durò quattro giorni. Per i greci segnò la fine della Megali Idea, ma a tramontare fu soprattutto la storia di coabitazione plurisecolare. Greci e armeni fuggirono dalla Tracia per paura che gli ottomani volessero riprendersela. In questo terreno maturò il trattato di Losanna del 1922-23. Il movimento nazionale aveva ormai consenso in patria, tanto da costringere il sultano all'esilio. Il desiderio dei nazionalisti di recuperare gran parte dei territori perduti faticò a raccogliere consensi tra le diplomazie. Nel corso delle trattative, fin dall’inizio difficoltose, tra le varie soluzioni fu proposto di risolvere il contenzioso greco-ottomano sulla base di uno scambio di popolazioni. I nazionalisti ottomani, favorevoli, chiesero che i turco-musulmani della Tracia fossero esclusi dall’accordo, e analogamente i greci chiesero di esentare la comunità greca di Istanbul 1923 greci e turchi-ottomani attuano queste deportazioni legalizzate. Il criterio dell'identificazione delle popolazioni da scambiare fu esclusivamente religioso, a testimonianza del fatto che religione e identità nazionale tendevano a sovrapporsi. Lo scambio sradicò comunità ben impiantate nelle terre natali come fossero stranieri, e coinvolse più di un milione e mezzo di persone. Losanna fu un successo agli occhi dei nazionalisti turchi perché si affermò l'esistenza di un nuovo stato sovrano su un territorio comprendente l'Anatolia e la Tracia, un passo importante verso la creazione di uno stato musulmano omogeneo. Lo stato venne liberato dall'interferenza straniera, con l’abolizione delle capitolazioni (insieme ai protettorati religiosi sulle comunità cristiane). Sulle ceneri dell'Impero ottomano era nata la Turchia. 2.Una complessa eredità: 2.1 Pluralismo e nazionalismo: Il 29 Ottobre 1923 venne proclamata la Repubblica di Turchia. Un aspetto cruciale nella formazione del nuovo Stato fu la definizione delle frontiere: per fissare i confini, a Losanna, nel 1923, furono considerati i territori controllati dagli ottomani all'armistizio 1918, senza prendere dunque in considerazione criteri etnico-nazionali (escludendo comunità turco-ottomane della Tracia occidentale p.es.), ignorando i principi wilsoniani di autodeterminazione dei popoli. La Turchia era quindi ancora uno Stato plurietnico e multiculturale con ampia maggioranza di Turchi e consistenti comunità di curdi e arabi, oltre diverse minoranze. Tale pluralismo era retaggio ottomano, anche se ormai stravolto a livello demografico. Dopo la guerra, la Turchia era un paese fortemente spopolato, con buona parte delle campagne abbandonate. A ciò si aggiunse l'emigrazione degli armeni e dei greci, espulsi dopo Losanna. In pochi anni la Turchia aveva perso 1/3 degli abitanti. Dal punto di vista confessionale erano stati perduti la maggior parte di cristiani e ora la popolazione era per 98% musulmana. In controtendenza con la situazione pre-bellica la maggioranza della popolazione era rurale (per via della perdita dei cristiani, più urbanizzati dei musulmani) e a livello culturale-linguistico i turchi e i curdi erano dominanti. L'eliminazione dei cristiani indebolì lo Stato perché la Turchia nacque senza figure professionali necessarie alla modernizzazione, dato che i cristiani controllavano pressoché completamente i settori più avanzati dell’economia ottomana. La crisi del pluralismo e della coabitazione fu causa, dunque, di problemi politici, economici e sociali, che segnano le società mediorientali contemporanee. Tale tesi è molto più fondata della presunta incompatibilità tra Islam e Modernità. La Turchia subì il retaggio ottomano a lungo come tutti gli altri stati post-ottomani, ma a differenza degli altri fu creato dalla comunità etnica dominante dell'ex- impero , fornendo al nuovo Stato buona parte della classe dirigente ottomana. La Turchia, inoltre, ereditò il centro politico e culturale dell'impero . Per questo il percorso storico della Turchia fu differente da quello degli altri stati musulmani del medio-oriente, facendo del caso turco un modello al quale oggi guardano con interesse molti paesi della regione. Le ragioni del successo turco attuale sono da ricercare nella storia di un paese che da stato si è fatto nazione, mentre i paesi vicini hanno faticato a creare un'identità nazionale e costruire una struttura statuale . La nazione turca invece nacque dallo Stato ottomano più che da una visione etnica, come avvenne invece per i popoli balcanici, quindi il percorso di nation building turco è più vicino a quello delle grandi monarchie territoriali europee come Francia e Inghilterra, che si sono nazionalizzate a partire da un nucleo statuale già esistente da tempo. Certo la costruzione di un'identità nazionale post-ottomana fu più complessa che in altri paesi (causa la forte eredità della statualità ottomana in Turchia) dove la presa di distanza dal passato ha favorito tale processo. I turchi, che si erano concepiti fino al 1923 come sudditi musulmani di un Impero islamico, dovettero cominciare a pensarsi in termini nuovi, ovvero come “turchi”. Nonostante i lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it) Giovani Turchi abbandonarono l'ottomanismo nel 1913 per il nazionalismo turco, solo con Kemal nel 1923 nacque il vero turchismo per sostituire l'identità ottomana. Con l'omogeneità i kemalisti intendevano agganciare l'Europa attraverso un processo di occidentalizzazione. Kemal infatti faceva parte di quel gruppo dei Giovani Turchi più sensibile al positivismo occidentale scientifico da realizzare attraverso la laicizzazione dello Stato e della società. Cominciò quindi la turchizzazione, anche se rimaneva ambiguità nella nozione di turchicità: l’art. 88 della Cost. del 1924 definisce “turchi” i nativi della Turchia, senza distinzione etniche o confessionali. Tale definizione non risolve la contraddizione insita nella concezione della nazione turca divisa tra identità e pluralismo. Per favorire la nazionalizzazione, fu escluso ogni autonomismo, a cominciare da quello curdo, e fu imposta la lingua turca, riformata nel '28. Negli anni 30, veniva definito dal kemalismo “turco” chi parlava la lingua turca e aveva adottato la cultura e gli ideali turchi concezione volontaristica della nazione. Tuttavia il concetto ambivalente di “cultura” rendeva poco chiaro cose fosse l’identità nazionale turca: tale indeterminatezza dipende dal fatto che quello turco era più uno statualismo che un nazionalismo (la nazione tende a essere assorbita dallo Stato, che è il vero titolare della “turchicità”). In tal senso, la politica nazionale kemalista colpì le minoranze solo quando queste sembravano minacciare lo stato: rivolte curde tra anni '20 e '30 e nemici interni come greci, armeni e arabi sono degli esempi. Negli anni '30 crebbe l'antisemitismo e gli ebrei furono espulsi dalla Tracia. Nel '37 l'ideologo del nazionalismo turco, Tekin Alp, tentò di dare al concetto di cultura turca una valenza biologica, avvicinandola al concetto di razza, tagliando quindi fuori curdi, circassi, arabi, ecc. Tale questione non fu mai risolta. Ancora oggi il nazionalismo turco si misura con il problema delle minoranze interne a causa della difficoltà dello stato a imporre un'identità in cui possano riconoscersi tutte le diverse componenti della società. La repubblica turca, infatti, è oscillata tra l'idea universalistica della cittadinanza e un atteggiamento di diffidenza spinto fino a equiparare i membri delle comunità minoritarie a cittadini stranieri. Alcune minoranze sono state riconosciute subito come minoranze, come armeni, greci ed ebrei. Altri gruppi, come assiri, siriaci e caldei invece non sono considerati minoranze sebbene godano di statuto analogo alle comunità riconosciute. Il criterio religioso è il principale fattore per identificare una minoranza, benché ciò valga solo per i non- musulmani: infatti, nessun gruppo musulmano è riconosciuto come tale seppure abbia differenze etniche e confessionali. In tal senso, gruppi etnici non turchi come curdi e arabi sono stati forzatamente considerati turchi. Altri gruppi come abkhazi, lazi, albanesi, bosniaci, circassi, gerogiani, pomaki e tatari, sebbene compongano un terzo della popolazione turca, non godono di alcuno statuto particolare. A Losanna la dirigenza nazionalista intendeva dare a tutte le comunità etniche e religiose all'interno del territorio pari dignità e uguaglianza di diritti in quanto cittadini ottomani . Ciò comportava, per contro, il non riconoscere particolarismi etnici, culturali e religiosi, guardati con sospetto perché potevano mettere a rischio la coesione dello stato. Furono le diplomazie occidentali a voler imporre uno statuto particolare per le minoranze , memori di quanto accaduto con i cristiani; statuti che regolano ancora oggi le comunità non musulmane in Turchia. Gli esiti nel lungo periodo furono però controproducenti perché posero un limite all'assimilazione delle minoranze e crearono le condizioni per la loro emarginazione e discriminazione in momenti critici della storia turca, quando lo stato ha agito contro di loro (es. crisi di Cipro) come a ripetere la storia di quanto fatto contro le comunità cristiane nel passaggio tra XIX e XX sec. Oggi si avverte il bisogno di una soluzione globale ai problemi posti dalle minoranze etniche e religiose. Conflitti e contrasti finiranno solo quando lo stato si aprirà al modello più democratico di pluralismo culturale, riconoscendo al cittadino il diritto alla differenza. 2.2 Tra laicità e islamismo: A quasi 90 anni dall’inizio delle riforme di modernizzazione e laicizzazione di MK, l'Islam è ancora tratto fondante dell'identità turca. ✔All'apparenza la Turchia è un modello di laicità da contrapporre invece all'Arabia saudita, all'Iran, all'Afghanistan. In occidente è stata sottolineata la discontinuità con il regime ottomano effettuata da Kemal per contrapporre la modernità della Turchia laica di MK al medioevo dei fondamentalisti musulmani. Secondo questa visione, la Turchia moderna sarebbe sorta spazzando via quanto restava legato alla “tradizione”, a partire dalla religione. Tuttavia, il nuovo protagonismo delle religioni sullo scenario globale e la laicità messa a repentaglio dal nuovo partito d'ispirazione islamica, il partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), alla guida del paese dal 2002, ha messo in discussione questa prospettiva. La laicizzazione della Turchia non è lineare come è stata rappresentata. Molti hanno sostenuto una permanenza del fattore religioso nelle strutture istituzionali anche dopo le riforme di Kemal. Queste visioni si fondano sul fatto che era difficile individuare quale fosse l’idea di laicità a cui s’ispiravano i fautori delle politiche riformiste, anche alla luce del fatto che nella lingua ottomana non esisteva neanche il termine "laicità". L’assenza del termine, e dunque del concetto, dipendeva probabilmente dalle particolari caratteristiche del sistema ottomano, che si presentava con un profilo originale non assimilabile neppure agli Stati confessionali europei: p.es. le fonti del diritto non erano solo quelle religiosi, ma accanto al diritto islamico vi era pure quello statale. La stessa lealtà al potere sultanale da parte dei non-musulmani non si fondava su criteri religiosi, ma secondo il pagamento d’imposte ll regime ottomano non era tanto teocratico o confessionale quanto fiscale . Presentava infatti una distinzione tra sfera politica e religiosa, per alcuni aspetti più marcata rispetto molti Stati europei moderni. Inoltre, mentre in Europa laicità e tolleranza si imposero in risposta ai conflitti confessionali per gestire l'inedito pluralismo religioso, nell'Impero ottomano il pluralismo era un elemento intrinseco. L'idea della teocrazia ottomana fu in realtà veicolata dai Kemalisti , che intendevano legittimare la loro modernizzazione e laicizzazione in modo da prendere le distanze dall'ancien régime ottomano. Per scongiurare qualsiasi privilegio alle minoranze non musulmane, durante le trattative di Losanna i membri della delegazione nazionalista parlarono per la prima volta di separazione religione-Stato : si superò il sistema dei millet, si abolirono capitolazioni e protettorati religiosi delle potenze europee e si separarono religione e stato. La laicità turca si realizzò inizialmente anche per evitare interferenze occidentali attraverso comunità non musulmane ottomane. Nonostante l'Islam fu individuato nell'atto fondante della repubblica come religione di stato nel 1923 , nel 1924 si ridussero gli spazi della religione nella società (es. abolizione califfato fine era “ottomana”), perché si riteneva l’Islam come un freno alla modernizzazione e per evitare contropoteri. Il califfato rappresentava un'istituzione antiquata e pericolosa per il nuovo stato kemalista. La dinastia osmanli, che si temeva potesse coagulare attorno a sé oppositori al potere kemalista, fu espulsa dal paese. Fu la fine dell'ultima istituzione universalistica e sopranazionale musulmana, che lasciò il mondo islamico privo di un'autorità centrale riconosciuta e senza un punto di coesione, esponendolo maggiormente alla pressione del colonialismo occidentale. Per questo il 1924 è da considerare una data chiave per comprende le dinamiche che hanno agitato il mondo islamico nel 900. La volontà di MK era quella di eliminare istituzioni appartenenti al vecchio ordine che, al tempo stesso, rappresentavano centri di potere in grado di contrapporsi al nuovo regime repubblicano (es. confraternite sufi, … che comunque, entrate in clandestinità, continuarono a esercitare una profonda influenza sulla società turca). Con la riforma kemalista si avviò anche l'unificazione del sistema educativo laddove con l'Impero ottomano le scuole erano appannaggio delle singole comunità religiose. Già dal Tanzima alla tarda età hamidiana (XIX) si era cominciato a riformare le scuole per rafforzare il ruolo dello Stato, similmente a quanto avvenuto sotto il piano giuridico. Tuttavia ciò non fu frutto di una volontà laicista, ma piuttosto di una volontà modernizzatrice. Il kemalismo non intendeva comunque eliminare l'influenza dell'Islam nella società, ma voleva creare un islam di Stato , ufficiale e contemporaneo, non superstizioso: non eliminare l’Islam ma sancire u forte controllo dello Stato sui diversi aspetti della vita religiosa. L'intento ultimo della rivoluzione kemalista era modernizzare il più rapidamente possibile la Turchia. La laicità turca non fu però priva di contraddizioni: le stesse evidenziate dal kemalismo, che si mostrava incerto tra la fedeltà al positivismo razionale e la consapevolezza del valore dell'Islam come fattore identitario per l’edificazione e la coesione del nuovo Stato repubblicano. Allo stesso mood i kemalisti oscillarono tra l’idea di una cittadinanza sganciata dall'appartenenza religiosa e un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei non musulmani. La laicizzazione di Kemal non deislamizzò la Turchia, né questo era il suo intento. L'islam rimase radicato nella società. Lo stato tentò di inglobare l'Islam, non distruggerlo. Ciò porta a riconsiderare il ruolo dell’Islam nella Turchia odierna: oggi non è che si sia operata una re-islamizzazione, semplicemente oggi l'identità islamica in Turchia ha ricominciato a giocare un ruolo nel protagonismo globale del paese. Si tratta di un processo iniziato nel 1960 con il colpo di stato militare che aprì uno spazio politico per l'islam popolare che portò alla nascita di formazioni politiche islamiste antioccidentali e antikemaliste. Tali forze, pur essendo ideologicamente contro alcuni principi fond. dello Stato, agirono sempre all'interno del sistema parlamentare turco. Il colpo di Stato del 1980 aprì una nuova fase durante la quale i militari appoggiarono i movimenti islamisti nell'ottica di contenere le formazioni marxiste e riportare l'ordine nella società turca. Dopo l'esperienza militare, le redini del governo passarono ad Ozal, per varare riforme in grado di aprire sul piano politico ed economico la Turchia che risentiva della globalizzazione. Ozal credeva nella possibilità della conciliazione tra laicità dello stato e rilevanza sociale dell'Islam, in opposizione all'islamismo anti-sistemico di un altro esponente politico importante come Erbakan, la cui esperienza politica fu conclusa dai militari nel 1997, che temevano una svolta fondamentalista in Turchia. Ciò lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it) spinse la classe dirigente musulmana emergente a fondare l'AKP (2001), partito che rifiuta l’etichetta di “islamista” pur considerando l’Islam centrale nell’identità trad. della nazione. L’affermazione dell’AKP costituisce un evento in rottura con il kemalismo solo in parte, perché fu il frutto della politica di nazionalizzazione della religione che ha contribuito a forgiare un islam propenso a vedere lo stato secolarizzato non come un nemico ma come uno spazio da conquistare in una logica democratica. In tal senso, la trasformazione dell'islamismo turco è frutto del kemalismo . Tuttavia né kemalismo né islamismo furono in grado di rispondere adeguatamente alle sfide della globalizzazione, e per questo è emersa una domanda di maggior democratizzazione. L'AKP si pone come primo partito postkemalista e postislamista capace di proporre una sintesi comunitario liberale in grado di conciliare le credenze religiose turche con il suo secolarismo, il mercato libero con i valori della comunità, … . Dopo la sintesi ottomanista della fine dell'Impero e quella nazionale Kemalista, che hanno puntato sulla modernizzazione, sta prendendo forma una nuova sintesi islamo-democratica che ambisce a orientare la Turchia nella globalizzazione. Ciò spiega anche perché il caso turco sia modello di molte società musulmane come esempio di conciliazione tra religione e modernità, tra Islam e democrazia. 2.3 Geopolitica turca e neo-ottomanismo: 2.3 La Repubblica di Turchia ha dovuto costruire la sua nuova identità sul discorso post-imperiale, prendendo le distanze dal suo passato recente. Anche la scelta di Ankara come capitale al posto di Istanbul, ormai periferica e vicina alle frontiere e troppo ancorata al passato imperiale e sacro considerato che era sede del califfato, ha segnato una rottura con il passato : la nazione turca doveva essere edificata su basi nuove, fuori dal retaggio imperiale ormai finito. Ankara era in posizione più centrale e fu una città concepita secondo canoni urbanistici europei. Il kemalismo anche attraverso questa scelta tentava di creare un nuovo uomo turco e una nuova nazione turca nazionalista, scolarizzata e rivolta al progresso. Tale discontinuità aveva radici profonde. La Turchia sorta a Losanna nel 1923 a Losanna non aveva confini naturali ma frontiere delimitate dai confini al momento dell'armistizio 1918. Il criterio fu quindi politico-militare e non etnico-territoriale. La Turchia si è edificata sull'idea di perdita territoriale e di mantenere quel poco che rimaneva (“costruzione in negativo”) piuttosto che sulla conquista come accaduto a Stati nazionali contemporanei come Germania e Italia. Questo influì sulla politica dei Giovani Turchi: la perdita di numerosi territori alimentò infatti l'ossessione di accerchiamento e della presenza ovunque di nemici pronti a favorire la dissoluzione dell’impero. Inoltre l'umiliazione della sconfitta suscitò una volontà di rivincita e di vendetta contro i responsabili del declino, primi tra tutti i cristiani ottomani. Dopo il 1923 però, finito l'Impero, il quadro cambiò notevolmente: la Repubblica Turca si concentrò sul processo di modernizzazione e costruzione nazionale, a cui corrispose la presa di distanza dal passato ottomano, visto non più come gloriosa pagina da recuperare ma come principale causa del ritardo turco sulla via della modernità. Il kemalismo criminalizzò l'ottomanismo. La rimozione del passato ottomano è da mettere, inoltre, in relazione anche alla sindrome di Sèvres la dirigenza kemalista temeva la spartizione del territorio ✔turco tra le potenze straniere. Questa paura ha segnato la psicologia della dirigenza kemalista per gran parte del 900, generando una politica estera di carattere difensivo (neutralità in WWII e adesione alla NATO) accompagnata da un nazionalismo autoritario per esercitare forte controllo sulla società. Libertà, diritti e pluralismo furono rimandati in nome del rafforzamento e della modernizzazione dello Stato. Tuttavia, man mano che il sistema fondato sull’ortodossia kemalista, negli anni, si è indebolito, si è ricominciato a parlare dei legami con l’impero ottomano. Per esempio, negli ultimi venti anni, una nuova storiografia ha ricercato gli elementi di continuità tra Impero Ottomano e Repubblica: è come se sia cresciuta l'attenzione della Turchia verso il proprio passato con l'allentarsi del sistema kemalista, portando all’emersione di aspetti e fattori che parevano cancellati, come la rilevanza dell'Islam nella società turca, elemento fino a pochi anni fa considerato residuale e destinato a essere cancellato dall’avanzare della modernità. Il cambiamento è derivato dal grande cambiamento geopolitico che ha investito la Turchia dopo il crollo del regime sovietico. La Turchia da terra periferica dell'URSS è tornata a giocare un ruolo centrale in una vasta regione che va dal Mediterraneo all’Asia centrale, in una fase di crescente interdipendenza prodotta dalla globalizzazione. Istanbul è tornata a essere uno snodo geopolitico e una delle grandi metropoli mondiali, il che ha favorito l'apertura della Turchia all'estero. Il merito dell'attuale leadership dell'AKP è stato quello di aver dato rappresentanza politica al nuovo dinamismo turco, espresso soprattutto dall’emergente borghesia anatolica, e di aver saputo orientare la Turchia nelle relazioni internazionali. In questo quadro va collocata la recente fortuna dei termini “neo-ottomano” e “neo-ottomanismo”, utilizzati per spiegare la proiezione internazionale della Turchia. “Neo-ottomanismo”, in realtà, è un termine coniato già dai greci durante la crisi di Cipro del 1974; tuttavia oggi riflette la percezione che si ha all'esterno del nuovo ruolo internazionale della Turchia. Il termine “neo-ottomano”, infatti, non è molto apprezzato dagli studiosi turchi, in quanto la Turchia oggi non ha alcuna ambizione “neo-imperiale”; tuttavia essa costituisce una potenza in ascesa che suscita timori. Il termine “neo-ottomanismo” dunque appare come la proiezione delle preoccupazioni coltivate dagli attori esterni di fronte all’affermazione sempre più marcata della Turchia sullo scenario internazionale. L'ottomanismo non riflette direttrici espansive ma il sogno, di richiamo imperiale, di un ruolo internazionale importante per la Turchia (l’impero ottomano come modello per la nuova ✔società turca, la quale ha acquisito maggiore fiducia in sé stessa e avverte la possibilità di giocare sullo scenario mondiale, come ai tempi dell’Impero). Secondo l'attuale ministro degli esteri Davutoglu, il neo-ottomanesimo si basa su Storia, geografia, demografia e cultura, le 4 costanti su cui si fonda la forza di un paese: il richiamo all’Impero, infatti, è possibile non tanto come discorso di potenza o aspirazione nostalgica, ma piuttosto come una “visione” di cui necessità la politica. Tale richiamo riflette l’animo di un paese che si sta riappropriando, in modo nuovo, del proprio passato e della propria identità. lOMoARcPSD|3037885 Scaricato da Alessandro Ferrario (a.lex_11@hotmail.it)
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