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Riassunto la GIUSTIFICAZIONE DELLA DECISIONE GIUDIZIALE di Canale Tuzet, Appunti di Teoria Dell'argomentazione Giuridica

Riassunto del libro LA GIUSTIFICAZIONE DELLA DECIZIONE GIUDIZIALE di D. Canale e G. Tuzet. 28 pagine di riassunto non troppo sintetico per preparare al meglio l'esame.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 05/06/2021

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Scarica Riassunto la GIUSTIFICAZIONE DELLA DECISIONE GIUDIZIALE di Canale Tuzet e più Appunti in PDF di Teoria Dell'argomentazione Giuridica solo su Docsity! 1 LA GIUSTIFICAZIONE DELLA DECISIONE GIUDIZIALE Di Damiano Canale e Giovanni Tuzet PARTE I: IL SILLOGISMO GIUDIZIALE Argomentazione e ragionamento giuridico Che cos’è l’argomentazione? L’argomentazione è un’attività linguistica e sociale per accrescere l’accettabilità di una tesi controversa tramite insieme di ragionamenti volti a giustificare la tesi. Si svolge attraverso l’uso del linguaggio, di cui il parlante abbia sufficiente competenza. Per iscritto od oralmente, attraverso lingua condivisa. La presenza di almeno un parlante e un ascoltatore destinatario dell’argomentazione implica che si tratta di attività sociale. Un argomento è la versione intersoggettiva o sociale di un ragionamento. Così argomentare è condurre un’attività che richiede almeno due partecipanti. Inoltre, il destinatario argomenta a propria volta nel momento in cui aggiunge ragioni o obietta all’interlocutore o sviluppa diverse argomentazioni. Più sono i partecipanti, più la situazione diviene complessa e si dovranno distinguere casi in cui il parlante cerca di convincere la controparte da casi in cui convince un terzo (uditorio). Chi argomenta in favore di certa tesi cerca di accrescerne l’accettabilità (pro), chi la contesta cerca di decrescerne l’accettabilità (contro). La tesi oggetto deve essere controversa. Allora si producono delle ragioni volte a giustificare/confutare una tesi. E’ vero che in alcuni contesti è importante sapere perché si è concordi: il consenso su una tesi non esclude del tutto che occorrano argomentazioni a riguardo. Nei contesti dell’argomentazione giuridica si discutono questioni controverse fra più partecipanti, avanzando ragioni a riguardo. Quindi l’argomentazione giuridica è un’attività linguistica e sociale finalizzata a giustificare/criticare una pretesa/decisione controversa. Si argomenta su pretesa giuridica quando una parte avanza una determinata richiesta supportandola con le ragioni che ritiene adeguate. Si può anche argomentare su una decisione giuridica già adottata, quado qualcuno vuole contestarla o revisionarla. I contesti dell’argomentazione giuridica Un contesto che confina con l’argomentazione politica è la discussione in sede legislativa. I partecipanti espongono le ragioni che a loro giudizio supportano o screditano una certa proposta legislativa o la pretesa di un certo gruppo sociale/politico. L’argomentazione si svolge nelle forme e tempi previsti da regolamenti parlamentari. Lo scopo è di convincere gli incerti. Riguardo al contesto processuale, la prima forma notevole di argomentazione è quella condotta dalle parti, tramite atti o vari interventi in cui esse espongono le proprie ragioni. Con la scansione dialettica della struttura processuale, le parti avanzano le ragioni che supportano le rispettive pretese per persuadere il terzo decisore. Sempre in sede processuale, è importante l’argomentazione dei giudicanti in sede decisoria, per determinare il dispositivo della sentenza. Casi in cui il giudice è collegiale, fatto interessante è che i giudicanti in disaccordo cercano la reciproca persuasione attraverso ragioni/argomenti di cui sono capaci. Non devono convincere decisore terzo o uditorio ulteriore, ma conquistare maggioranza o unanimità. Ciò accade a opposti vertici del fenomeno processuale: corti di ultima istanza e giurie popolari: da un lato l’argomentazione è estremamente tecnica e dall’altro prossima al senso comune. Ciò che è consegnato alla comunità giuridica e all’opinione pubblica interessata è insieme di ragioni decisorie raccolte nelle motivazioni dei provvedimenti. Si tratta dell’argomentazione dei giudicanti in sede giustificativa. I decisori argomentano per convincere le parti e la comunità della correttezza di quanto hanno stabilito. 2 Lo studio dell’argomentazione giuridica può essere svolto in varie prospettive. Una prospettiva consiste nell’approfondire le dinamiche argomentative che governano contesto decisorio; un’altra nel concentrarsi su argomenti giustificativi depositati nelle motivazioni o in altri atti ufficiali. Si può lavorare in una prospettiva di descrizione o di prescrizione:  Che argomenti usano gli operatori del diritto nel giustificare una certa pretesa/decisione? Indagine ha carattere descrittivo ed esplicativo delle pratiche argomentative seguite di fatto.  Che argomenti devono usare gli operatori del diritto per giustificare una certa pretesa/decisione? Indagine ha carattere normativo e giustificativo, mirando a valutare la correttezza e la qualità degli argomenti Logica e argomentazione La logica è intesa come disciplina normativa che indica i criteri di correttezza con cui condurre i nostri ragionamenti. La giustificazione di una pretesa/decisione controversa può essere condotta e valutata tramite l’appello ai criteri della logica o del ragionamento corretto. Nell’argomentare tramite ragionamenti, viene fatto appello a ragione dei partecipanti. E’ certamente qualcosa che si riscontra nella prassi giuridica e nei suoi profili argomentativi. Le argomentazioni in ambito giuridico si presentano come insiemi di enunciati orali/scritti strutturati in sequenze/periodi più/meno complessi/lunghi, di cui fare un’analisi logica per estrarne la forma di ragionamento. L’argomentazione giuridica ha anche aspetti dialettici. La scansione dialettica dell’argomentazione giuridica è in genere governata dal diritto stesso, che contiene norme come quelle processuali volte a stabilire chi può argomentare in dati contesti, quando ecc. Condizioni e modalità del genere non valgono per l’argomentazione quotidiana. L’argomentazione ha anche aspetti teorici, corrispondenti a sue finalità persuasive. Talvolta l’ordine in cui sono presentate le proprie ragioni ha un significativo effetto retorico; talora conviene prima esporre la conclusioni e poi le premesse, o viceversa passo dopo passo. Fra gli aspetti teorici includiamo i tratti linguistico-stilistici delle argomentazioni giuridiche, specie quelle negoziali, che sono suscettibili di analisi condotta con gli strumenti della linguistica e dell’estetica. La logica indica i criteri di correttezza del ragionamento, che è un processo che porta in maniera ritenuta giustificata a un altro enunciato, a partire da un insieme finito di enunciati assunti come premesse. Una distinzione fondamentale è fra inferenze deduttive e inferenze non deduttive. Deduttiva è l’inferenza la cui conclusione non può essere falsa se le premesse sono vere, in quanto tale è un’inferenza certa. Non deduttiva è l’inferenza la cui conclusione può essere falsa benché premesse vere, la sua conclusione sarà più/meno probabile/plausibile. 1. Tutti gli uomini sono mortali. Socrate è un uomo. Socrate è mortale.  Non è possibile conclusione falsa se premesse vere. E’ una deduzione. La prima premessa è maggiore, la seconda minore. 2. Il corvo 1 è nero. Il corvo 2 è nero. Il corvo 3 è nero. Il corvo n è nero. Tutti i corvi sono neri.  E’ un’inferenza non deduttiva, nella fattispecie un’induzione (ovvero inferenza che generalizza delle osservazioni) In ragionamento non deduttivo si richiede che le premesse conducano a una conclusione più probabilmente vera che falsa. In un ragionamento deduttivo si trasmette a conclusione la verità delle premesse. La giustificazione offerta da deduzione è più forte di quella non deduttiva; è bene porre le proprie argomentazioni in forma deduttiva, così che i destinatari dell’argomentazione si vedano obbligati ad accertarne le conclusioni una volta accettate le premesse. Si evince la differenza fra:  piano logico Piano delle inferenze che dobbiamo operare per ragionare correttamente  piano psicologico Piano delle inferenze che di fatto operiamo con pensiero, corrette/scorrette. Occorre una condotta mentale disciplinata da soggetto che ragiona. 5 PARTE II: LA GIUSTIFICAZIONE INTERNA La giustificazione interna Vantaggi e svantaggi di un modello Assumiamo che una decisione giurisdizionale non sia giustificata se la norma individuale che essa statuisce non è deduttivamente ricavata da norma generale e da descrizione veridica dei fatti rilevanti; è il modello di Beccaria. Quali sono i principali vantaggi di una giustificazione deduttiva della decisione giudiziale come configurata nel sillogismo? Innanzitutto, la chiarezza e il rigore logico. La sua forma logica sarò chiara e sarà possibile esaminarne facilmente il contenuto. La controllabilità della decisione è funzione della sua chiarezza. La sua forma sarà rigorosa se rispetterà il requisito della correttezza deduttiva. Un altro vantaggio è l’eguaglianza nell’applicazione del diritto. Se il diritto viene applicato deduttivamente in modo eguale, rispettando uno dei principi fondamentali degli ordinamenti giuridici: casi eguali trattati egualmente e casi diversi in modo diverso. Quando poi le premesse maggiori dei sillogismi sono di origine legislativa, il modello consente di rispettare il principio di separazione dei poteri. Non è consentito ai giudici la creazione di norme generali e astratte. Il giudice contemporaneo deve tenere conto di testi costituzionali, del diritto europeo in UE, di varie fonti di diritto sovranazionale e internazionale e di eventuali precedenti. Un discorso diverso va fatto per ordinamenti di common law, il cui giudice può e deve decidere secondo modello sillogistico, collocando come premessa maggiore la ratio decidendi di un precedente giudiziale vincolante e pertinente al caso come ricostruito nella premessa minore. Un vantaggio del modello è quello di porre sotto controllo la discrezionalità decisoria dei giudici. I giudici devono determinare premesse a partire da testi e materiali rilevanti per il caso. Devono interpretare le disposizioni rilevanti e ricavarne norma applicabile al caso. Se così eseguito, il giudice è vincolato ad applicarne deduttivamente il risultato. Il problema si pone soprattutto in sede penale. Un problema genuino del modello è che mette in ombra altre operazioni inferenziali che governano la decisione. Il sillogismo di Beccaria deve essere ampliato tenendo in considerazione la GE oltre che la GI. Fra le altre operazioni inferenziali che i giudici contemporanei pongono c’è il bilanciamento/ponderazione dei principi. Capita che il diritto, di rango costituzionale/legislativo, ponga delle finalità da perseguire con i mezzi più efficaci, idonei, economici. Allora le parti e il giudice dovranno effettuare un ragionamento pratico volto a individuare tali mezzi. Il modello di Beccaria è troppo debole perché non rende conto di giustificazione delle premesse, troppo forte perché richiede di presentare deduttivamente delle argomentazioni che non lo sono. E’ sempre possibile riformulare un argomento attribuendogli forma deduttiva, ma quando tale argomento di base non è deduttivo ci si chiede che senso abbia presentarlo in tale forma. Un’operazione cruciale per la decisione del giudice è la qualificazione giuridica dei fatti, fatti tradotti in termini giuridici. Non si tratta di mera descrizione dei fatti, poiché l’insieme degli accadimenti in questione deve essere inteso e inquadrato in termini giuridici. Ma la premessa minore non intende rappresentare un fatto bruto, bensì un fatto giuridicamente qualificato. Ci sono due modi di arricchire il modello per rendere conto della qualificazione giuridica dei fatti: come aggiungere una terza premessa; dire che la GE in fatto non comprende solo argomentazione probatoria ma anche processo di qualificazione giuridica dei fatti provati. Il modello pone la premessa maggiore come prima e quella minore come seconda. C’è una differenza che l’ordine può comportare? Le motivazioni giudiziali iniziano dai fatti perché senza non si saprebbe quale norma andrebbe applicata. Una certa configurazione normativa è presente fin da inizio. L’ordine delle premesse non fa differenza. C’è una differenza cognitiva, in quanto nel caso concreto è necessario partire dai fatti. 6 Deduzione, fallacie e problemi decisionali E’ bene che GI sia strutturata deduttivamente. Una decisione che non rispetti criterio deduttivo incorre in una fallacia formale. Le fallacie sono errori di ragionamento; sono formali quelle che consistono nella violazione di criteri del ragionamento deduttivamente corretto; sono materiali quelle che consistono nel considerare forte un argomento debole o viceversa. 4-bis. Tutti i danni ingiusti devono essere risarciti. D è un danno ingiusto. D non deve essere risarcito.  Conclusione deduttivamente scorretta, affetto da fallacia formale, oltre che erroneo da eguaglianza di trattamento. 1. Tutti gli uomini sono mortali. Socrate è uomo. Socrate è mortale.  conclusione logicamente inappuntabile 1-bis. Tutti gli uomini volano. Socrate è un uomo. Socrate vola.  conclusione falsa in quanto falsa la premessa maggiore. La correttezza di una premessa è cosa diversa da correttezza di un’inferenza. Devono quindi prodursi argomenti per giustificare l’assunzione di determinate premesse e non altre. Agli enunciati prescrittivi non convengono valori di verità, ma anche valori di validità e invalidità, o giustizia. Alcuni autori hanno negato che la logica si applichi a inferenze di tipo pratico/normativo, i cui enunciati sono prescrittivi. Altri ne hanno ricavato un dilemma. La descrizione effettuata nelle premesse maggiori di siffatte inferenze sarebbe una descrizione di norme. Così anche gli enunciati di inferenza sono suscettibili di verità/falsità. 3-bis. Tutti gli adulteri devono essere lapidati. Tizio è un adultero. Tizio deve essere lapidato.  Questa inferenza è logicamente corretta in quanto enunciati descrittivi e hanno relazione deduttiva, ma ha una premessa maggiore falsa se riferita all’ordinamento giuridico italiano. Un’altra via di uscita da dilemma è riformulare il criterio deduttivo come riferito a enunciati corretti/scorretti piuttosto che veri/falsi. In modo che anche le inferenze normative vi siano ricomprese senza intenderle come inferenze le cui premesse maggiori e le cui conclusioni descrivono norme. Occorre segnalare un problema del modello deduttivo quando applicato a una decisione collegiale. Supponiamo che la corte sia di 3 giudici e che un consenso su assunzione normativa per cui la responsabilità dipende da causazione e negligenza. Una matrice mostrerà che se la maggioranza dei voti viene calcolata su ciascuna premessa, per entrambe vi sarà maggioranza di 2 su 3; ma se la maggioranza è calcolata su conclusioni, non si dovrà inferirsi la responsabilità del convenuto poiché 2 su 3 giudici non ritengono soddisfatte entrambe le condizioni. Se si vota su premesse del sillogismo, la conclusione che ne deriva logicamente è sfavorevole al convenuto. Se si vota su conclusioni, la soluzione gli è favorevole. Questo paradosso viene superato per via normativa sarà una norma giuridica a stabilire se vale il criterio di maggioranza riguardo singoli aspetti dell’imputazione o nel suo complesso. Sotto profilo teorico il problema resta, le intenzioni garantiste del legislatore possono risultare frustrate se viene trascurata la logica nella disciplina dei processi decisionali. 7 PARTE III: LA GIUSTIFICAZIONE ESTERNA IN FATTO La giustificazione esterna in fatto E’ la giustificazione della premessa minore del sillogismo giudiziale. Si tratta di dare ragioni per considerare vera/corretta la rappresentazione del fatto giuridicamente rilevante. Ci sono due generi di problemi:  I problemi del ragionamento probatorio sono quelli della ricostruzione del fatto rilevante su base di prove disponibili e processualmente ammissibili. Si tratta di ricostruire un fatto del passato a partire da prove risalendo alle cause. Ma ci sono anche casi in cui si discute di circostanze fattuali presenti e future. Si tratta di raccogliere prove che consentono di rappresentare correttamente il fatto rilevante. Il fatto rilevante è detto principale in quanto da esso dipende una determinata conseguenza giuridica stabilita da una norma; il fatto secondario è quello da cui si può inferire il primo.  I problemi della qualificazione giuridica del fatto problemi di traduzione dei fatti provati in fatti giuridicamente connotati. La qualificazione giuridica del fatto mette in comunicazione il ragionamento probatorio con quello interpretativo, poiché richiede di considerare quegli aspetti del fatto che sono giuridicamente rilevanti e guida l’interpretazione delle disposizioni per ricavarne delle norme significative per il fatto. Con riferimento alla motivazione in fatto, il suo controllo nei successivi gradi di giudizio è limitato. E’ limitata la competenza della Cassazione, che ha il compito di valutare la tenuta argomentativa della decisione senza entrare nel merito della ricostruzione fattuale, ma controllando se assunzione prove, loro valutazione e conseguente decisione siano state effettuate in conformità di diritto. Prove e verità Le prove sono ragioni per considerare vera la rappresentazione del fatto giuridicamente rilevante. L’analisi filosofica standard di questo uso di “verità” consiste nel dire che c’è verità quando c’è corrispondenza fra un enunciato e il fatto su cui verte l’enunciato. Se l’enunciato corrisponde al fatto, è vero. Come se c’è una relazione di corrispondenza fra un fatto giuridicamente rilevante e un enunciato che lo rappresenta, l’enunciato è vero. Il problema è che i giudicanti non hanno quasi mai un accesso diretto al fatto: possono solo ricostruirlo/rappresentarselo per mezzo di prove e inferenze probatorie. Per tali difficoltà conoscitive, in ambito filosofico sono state sostenute anche altre concezioni della verità, come quella di coerenza. Vi sarebbe verità quando sussisterebbe una relazione di coerenza fra un enunciato e l’insieme di enunciati cui esso appartiene. La concezione coerentista però ha il problema di mantenere una relazione con il mondo. Semmai la coerenza è uno dei criteri con cui noi riteniamo vera una rappresentazione dei fatti, ma vera nel senso di corrispondente ai fatti. Di una testimonianza incoerente pensiamo sia falsa, mentre accettiamo come vera una testimonianza coerente, benché non si debba dimenticare che una testimonianza coerente potrebbe narrare fatti inventati. Qualcosa di simile vale per concezione di verità come provabilità: è vero ciò che può essere provato. Chi dice ciò non dice che una certa pretesa è falsa poiché non può essere provata: dice che non è giustificata in quanto non può essere provata. Dunque, la concezione di verità come provabilità confonde il significato di vero con gli strumenti che abbiamo per sapere cosa è vero. La difficoltà di ricostruire veridicamente i fatti in giudizio ha fatto distinzione tra  verità processuale  verità stabilita all’esito del processo. Consiste in ciò che i decisori hanno stabilito.  verità materiale  verità dei fatti, a prescindere da processo. Intesa in senso corrispondentista. 10 La regola di inferenza qui utilizzata si chiama modus tollens in quanto, a partire da negazione del conseguente FS del condizionale come premessa maggiore, conduce a inferire la negazione dell’antecedente (FP). Un tale argomento è avanzato da difesa che voglia persuadere i giudicanti della volontarietà del rapporto sessuale. L’accusa dovrebbe formulare ulteriore abduzione che spieghi assenza di segni di colluttazione. Ancora più persuasivo sarebbe un modus tollens seguente, con cui si negherebbe il coinvolgimento dell’imputato: 8. Se Tizio avesse compiuto tale violenza a Milano il tale giorno a tale ora, sarebbe stato a Milano anche dopo poco. Risulta che poco dopo Tizio era a Roma. Tizio non ha compiuto tale violenza. Questa è la forma logica dell’alibi, consistente nel mostrare qualcosa di incompatibile con ipotesi assunta. Sotto profilo logico il modus tollens è una deduzione. La sua conclusione segue necessariamente da premesse. Il modus tollens non deve confondersi con l’affermazione del conseguente. Forme corrette  Modus ponens: se p allora q/p//q  Modus tollens: se p allora q/non q//non p Fallacie formali  Affermazione del conseguente: se p allora q/q//p  Negazione dell’antecedente: se p allora q/non q//non p Nelle dinamiche processuali non tutti devono argomentare su tutto. Ai fini di strutturazione della controversia e ai fini decisori i sistemi processuali stabiliscono oneri argomentativi e probatori. Il diritto può prevedere una diversa ripartizione di oneri a seconda di fattispecie. L’argomentazione giuridica segue la scansione dialettica prevista da norme giuridiche che ne regolano fasi e atti. Che ruolo per l’induzione? Abduzione e induzione sono inferenze non deduttive. In una deduzione è impossibile che la conclusione falsa e premesse vere, mentre in inferenza non deduttiva è improbabile ciò. L’induzione è un’inferenza che generalizza delle osservazioni, mentre l’abduzione è un’inferenza che formula delle ipotesi esplicative. Le conclusioni dell’induzione sono generali, mentre quelle abduttive sono particolari. L’induzione così intesa non può figurare nelle conclusioni della GE in fatto, dato che questa ha conclusioni particolari che vertono sul particolare fatto oggetto di giudizio. L’obiettivo della GE in fatto è giustificare la premessa minore del sillogismo. Le induzioni svolgono ruolo nella GE: esse forniscono le premesse maggiori degli argomenti probatori o contribuiscono a loro formazione. Le premesse maggiori di inferenza probatoria sono costituite da regole- ponte che consentono il passaggio da fatti di un tipo a fatti di altro tipo. Le massime d’esperienza hanno valore probatorio inferiore a leggi scientifiche, ma sono il denso terreno su cui si svolgono molte controversie probatorie. Deduzione e fallacie formali nella giustificazione esterna In molti casi è difficile pervenire a una giustificazione deduttiva nel contesto della giustificazione esterna. E’ bene che anche la GE, in fatto e diritto, sia strutturata deduttivamente. Il mancato rispetto dei criteri deduttivi, quando applicabili, configura una fallacia formale. L’affermazione del conseguente e negazione dell’antecedente sono formalmente scorrette ma possono essere giustiziate con criteri meno stringenti di quelli deduttivi. Ecco un esempio di inferenza deduttivamente, manifestamente e irrimediabilmente scorretta, nell’ambito della GE in fatto: 11 9. Tutte le testimonianze coerenti sono credibili. T è una testimonianza coerente. T non è credibile. La conclusione è manifestamente scorretta in quanto la conclusione giustificata da premesse è che la testimonianza T è credibile 10. Tutti gli atti pubblici fanno piena prova, fino a querela di falso, della provenienza dal pubblico ufficiale che li ha formati. A è atto pubblico e non c’è querela di falso. A non fa piena prova della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato.  Conclusione manifestamente scorretta 10bis. Tutti gli atti pubblici fanno piena prova. A è un atto pubblico. A fa piena prova.  premessa maggiore è enunciata universale affermativa. Deduttivamente corretta e da premessa maggiore e minore vera, trae conclusione vera. 10ter. Nessun atto pubblico fa piena prova. A è un atto pubblico. A non fa piena prova.  premessa maggiore è enunciata universale negativa. Deduttivamente corretta ma da premessa maggiore falsa, e una minore vera, trae conclusione falsa. 12 PARTE IV: LA GIUSTIFICAZIONE ESTERNA IN DIRITTO La giustificazione esterna in diritto La giustificazione esterna in diritto è la giustificazione della premessa maggiore del sillogismo giudiziale: dare ragioni per considerare come valida e applicabile al caso una certa norma. La norma assunta in premessa maggiore è generale e astratta; la sua applicazione al fatto genera una norma particolare e concreta. Si adducono ragioni essenzialmente interpretative, in quanto il giudice parte da disposizioni giuridiche il cui contenuto deve essere determinato e calibrato in relazione al caso. Le norme sono il risultato dell’interpretazione di disposizioni. La determinazione e giustificazione del contenuto delle disposizioni avviene tramite gli argomenti interpretativi (AI). Mentre la struttura essenziale della GE in fatto è costituita da fatto secondario da cui si inferisce il fatto principale (FS/RP//FP); la struttura essenziale della GE in diritto consiste in una disposizione da cui si inferisce la norma applicabile al caso (D/AI//N). Nel ragionamento probatorio si muove da elementi probatori per arrivare a conclusione sul caso tramite regola-ponte. Nel ragionamento interpretativo si muove da una disposizione per arrivare a una norma applicabile al caso tramite argomento interpretativo. Tali due ragionamenti sono strettamente intrecciati tra loro nella prassi. A una prima ricostruzione del fatto, l’operatore giuridico ricerca una/più disposizioni da cui sia ricavabile, per via interpretativa, una norma idonea a disciplinare il caso. La norma porta l’operatore a perfezionare, progressivamente e congiuntamente, entrambe le premesse, così da consentire la sussunzione del caso individuale sotto la norma generale. I ragionamenti sono caratterizzati da procedimenti inferenziali diversi. Le strutture inferenziali indicate in figura sono schematiche ed essenziali: indicano il contenuto minimo della giustificazione di una decisione giudiziale. Nella prassi l’argomentazione è più complessa, perché diverse le inferenze probatorie, molteplici le disposizioni rilevanti. Si possono aggiungere argomenti integrativi, quando ordinamento presenta lacune colmabili con il ricorso ad argomenti che integrano il diritto esistente. Un argomento integrativo serve a giustificare la costruzione di una norma implicita/inespressa: muovono da norme espresse per giungere a costruzione di norme inespresse. Se si concepiscono gli argomenti interpretativi come direttive per l’interprete, le premesse maggiori delle inferenze interpretative assumono carattere prescrittivo che si trasmette alle conclusioni. Le inferenze interpretative hanno stessa struttura logica del sillogismo giudiziale. Se direttive indicano risultati diversi, l’interprete si trova nell’antipatica situazione di doverne ottemperare una e violarne altre. Se le inferenze interpretative si concepiscono come tentativi di pervenire al significato più corretto attribuibile alla disposizione relativamente al caso, il loro carattere è essenzialmente abduttivo. Ci sarebbe con la GE in diritto uno sforzo epistemico volto a ricostruire il miglior quadro normativo in vista dell’applicazione al caso. 15 L’argomento letterale Massima Questa è la massima dell’AL è giustificata l’interpretazione che attribuisce alla disposizione il suo significato letterale (o proprio, grammaticale, ovvio, palese, testuale, immediato, chiaro, stretto, appropriato, corrente ecc.). Al ha funzione contenitiva. Si propone di impedire che alle disposizioni venga attributi significato diverso da quello letterale, si parla di funzione limitativa e indicativa dell’interpretazione letterale. Il limite del significato letterale è centrale per la certezza del diritto e la protezione delle aspettative che i destinatari del diritto si formano ragionevolmente sulla base di disposizioni e del loro tenore letterale. La preoccupante lista di varianti rinvenibili in dottrina, giurisprudenza e legislazione solleva dubbi sulla tenuta come argine a discrezionalità. Varianti Possiamo distinguere 4 varianti principali, due distinte in base a criterio temporale, le altre in base a tipo di linguaggio considerato: 1. Significato letterale al momento della promulgazione (loro produzione giuridica) Si cerca di ancorare il diritto al suo momento originario. E’ una maniera di vincolare il presente e il futuro alle decisioni passate. E’ un modo di rispettare volontà di autorità normative, fino a nuove decisioni. E’ un modo per proteggere aspettative formate su base di decisioni passate e tradizione. Il sostenitore di tale significato chiama il legislatore ad assunzione di responsabilità, se testo inidoneo a fronteggiare certi problemi, il legislatore deve aggiornarlo o sostituire nuovo testo. Con alcuni espressioni quali “diligenza buon padre di famiglia” il legislatore stesso lascia aperto campo a mutevole sensibilità sociale e incarichi implicitamente i giudici di condurre valutazioni. In ambito costituzionale ha preso corpo la posizione originalista (Antonin Scalia). I testi costituzionali vanno interpretati alla luce del loro pubblico significato originale. La Costituzione va interpretata in base a significati che le parole usate avevano per il comune parlante al momento del loro utilizzo originario 2. Significato letterale al momento dell’applicazione (al caso)  Cerca di adeguare il diritto alle mutate circostanze sociali. E’ una maniera di svincolare presente e futuro da decisioni passate. E’ un modo di fronteggiare direttamente nuovi problemi. E’ un modo di aggiornare il diritto e rispondere a nuove istanze. Il sostenitore di tale significato chiama i giudici a rinnovare, considerando costi e difficoltà dei processi legislativi. In ambito penale tale direttiva preoccupa. Il sostenitore può replicare che un testo costituzionale è intenzionalmente redatto in modo indeterminato, per consentire a interpreti futuri quelle determinazioni di senso consone a mutata coscienza sociale. 3. Significato letterale in base a linguaggio ordinario  Il progetto delle grandi codificazioni aveva intento di rendere disponibile il diritto ai cittadini, tramite formulazioni chiare e semplici garantendo la certezza di applicazione. 4. Significato letterale in base a linguaggio tecnico (giuridico o tecnico-scientifico)  Ma nei codici e talora in disposizioni costituzionali possono trovarsi vocaboli ed espressioni con significato tecnico, che nel linguaggio giuridico hanno significato distinto da quello che si ha nel linguaggio ordinario. Non è sensato interpretare secondo la comune competenza linguistica ma considerando i particolari significati che tali espressioni/termini veicolano per il parlante dotato di speciale competenza. Il linguaggio giuridico è “amministrato”, intermedio fra il linguaggio ordinario e quello tecnico, poiché è comprensibile da non addetti ma amministrato da giuristi. 16 Le 4 varianti dell’AL vanno rilette: il significato letterale può essere:  Il significato proprio, stipulato da autorità o in base a linguaggio tecnico  Il significato corrente, in base a linguaggio ordinario, al momento della promulgazione  Il significato proprio, stipulato da autorità o in base a linguaggio tecnico, al momento dell’applicazione  Il significato corrente, in base al linguaggio ordinario, al momento dell’applicazione I dizionari registrano una serie di usi linguistici in un dato contesto. Essi vengono presi in considerazione come fonti di cognizione capaci di rendere conto di usi linguistici. In alternativa si possono impiegare metodi filosofici come quello inferenzialista o metodi della linguistica o sociolinguistica. E’ frequente sostenere che l’argomento letterale non è sufficiente per giustificare l’interpretazione di una disposizione per ricavarne la norma che disciplina il caso. L’interpretazione letterale è inaggirabile punto di partenza del lavoro interpretativo, per sua funzione di contenimento della discrezionalità del giudice e perché l’interpretazione lo è sempre di qualcosa. Il significato letterale semantico di una disposizione, ricavato da regole di lingua, non è sufficiente per individuare la norma espressa. Ciò dipende da aspetti contestuali, pragmatici, della comunicazione L’argomento a contrario Massima L’AAC è strettamente imparentato all’argomento letterale. La sua massima è: “è giustificata l’interpretazione che non attribuisce alla disposizione un significato più ampio rispetto a quello letterale”. E’ giustificata l’interpretazione che non oltrepassa tali confini. La funzione è contenitiva, frenante. In caso di lacune gli interpreti non possono colmarle con elementi/contenuti di provenienza esterna al diritto, in forza del divieto di eterointegrazione del diritto. I valori tutelati sono la certezza del diritto e la protezione delle aspettative formate sulla base del suo tenore letterale. Occorre considerare la questione dell’economia legislativa. Se per ogni disposizione il legislatore dovesse esplicitare ciò he segue a contrario, i testi normativi sarebbero lunghi il doppio. Un principio di economia legislativa suggerisce di lasciare implicito quanto è derivabile a contrario da una disciplina. Se il silenzio riguarda fattispecie rilevanti, rese tali da circostanza che taluni loro elementi sono fatti oggetto di attenzione da parte del legislatore, si deve capire se tale silenzio vada trattato a contrario oppure a simili. Non necessariamente il silenzio equivale a una lacuna. Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit: dove il legislatore ha voluto intervenire in un certo modo, si è così espresso; dove non ha voluto ha taciuto. Expressio unius est exclusio alterius: dove il legislatore si esprime sull’uno, esclude l’altro. Giuridicamente ci sono forme di silenzio-assenso e silenzio-diniego. Non si può rispondere il generale, ma si deve considerare il contesto del silenzio. Varianti Sono ammesse almeno 3 varianti di AAC. La prima è quella forte, che consiste nel ricavare una norma implicita di contenuto contrario rispetto a quella esplicita ricavata mediante AL. Nella sua variante forte l’argomento a contrario assume un’interpretazione letterale della disposizione e ne ricava una norma implicita. Tale uso è plausibile ma rischioso. La fallacia rischiosa è la negazione dell’antecedente. Si tratta di fallacia formale che consiste nell’inferire qualcosa che non segue deduttivamente da premesse. Lo schema è se p allora q/non p//non q. Si nega antecedente del condizionale e se ne inferisce la negazione del conseguente. L’inferenza è fallace poiché il conseguente potrebbe dipende da altre cose. E’ un’abduzione che da negazione dell’antecedente congettura la negazione del conseguente. L’inferenza sarebbe 17 deduttivamente corretta se la sua premessa maggiore fosse formulata con un bicondizionale: se e solo se p allora q. Ci sono casi in cui non pare di poter leggere un bicondizionale in una disposizione e in cui di conseguenza si apre il problema di come intendere il silenzio del legislatore. La versione debole dell’argomento a contrario assume che non vi sia norma implicita di contenuto contrario, ma anche ne conclude che non vi sono sufficienti ragioni giuridiche per estendere alla fattispecie non regolata la disciplina prevista per quella regolata. Viene rilevata una lacuna nel sistema e che essa è colmabile a contrario, in quanto contano le differenze e non le somiglianze. L’argomento è integrativo. L’AAC debole individua una lacuna nel sistema e consente di rilevare che non ci sono sufficienti ragioni giuridiche per colmarla estendendo alla fattispecie non regolata quanto previsto per quella regolata. C’è poi una versione debolissima dell’AAC, che consiste nel ricavare una lacuna da un AL e lasciare aperta la questione di come la lacune possa essere colmata, ammesso che sia giustificato farlo. C’è chi parla di uso meramente interpretativo dell’argomento a contrario. C’è anche chi ne dubita, parendo piuttosto una mera riformulazione dell’AL. Si rileva che avrebbe almeno la funzione di escludere da un lato la possibilità di interpretazione estensiva della disposizione senza escludere il ricorso a un argomento analogico che ne integri la disciplina. Nella sua versione debolissima, l’AAC funge da argomento interpretativo, nel senso che esso giustifica la tesi secondo la quale la norma frutto dell’interpretazione letterale della disposizione non disciplina il caso. In ambito penale, “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”, si tratta del principio di legalità penale, che sotto profilo argomentativo richiede di usare un argomento a contrario forte per tutte quelle condotte/fatti non espressamente previsti come reati dalla legge. Si tratta di AAC forte. Nel diritto penale non vi sono lacune, poiché tutte le condotte non espressamente sanzionate sono lecite. Resta comunque il problema dell’interpretazione estensiva in ambito penale. Una direttiva di adeguamento del significato alla mutata coscienza sociale permette di includere nella disciplina penale condotte che AAC forte escluderebbe se interpretazione fosse stretta. L’argomento psicologico I limiti dell’argomento letterale Le conclusioni giustificate tramite argomento letterale siano contrarie a buon senso, o contrarie a ragionevolezza. Il ricorso a un’interpretazione letterale sembra un modo di aggirare la disciplina, frustandone il senso e gli intenti. L’interpretazione letterale, anche se ritenuta sufficiente per giustificare la premessa maggiore del sillogismo giudiziale, può portare a conclusioni contrarie a buon senso, ragionevolezza, giustizia. L’argomento letterale viene solitamente integrato/sostituito da altri argomenti in grado di giustificare conclusioni diverse. Un ruolo importante è giocato da argomento psicologico e da quello teleologico, ossia da appello all’intensione del legislatore e allo scopo della disciplina. Ai limiti dell’AL rispondono argomenti come AP e AT. Massima La massima dell’AP: “è giustificata l’interpretazione che attribuisce alla disposizione il significato corrispondente all’intenzione del legislatore”. L’argomento viene usato per preservare il contenuto della disposizione da ambiguità e vaghezza dei testi normativi, oltre che da modificazioni di significati linguistici, nel rispetto del principio di separazione dei poteri. L’argomento si riferisce a intenzione di qualsiasi autorità normativa che abbia prodotto la disposizione. I testi normativi sono spesso indeterminati sotto qualche aspetto. Il ricorso all’AP permette di selezionare una norma come corretta. 20 Per fare esempio tecnico, l’art. 195 CPP esclude la testimonianza indiretta di chi abbia appreso informazioni coperte da segreto professionale e da segreto d’ufficio. E’ una svista del legislatore. Sarebbe un’integrazione a minori ad maius, data la forte esigenza di proteggere il segreto di stato rispetto a quello d’ufficio. Segreto d’ufficio può essere interpretato estensivamente in modo da coprire, a minori ad maius, anche segreto di stato. L’AT importante nel ragionamento analogico, poiché serve a giustificare una premessa fondamentale dell’analogia. Sono due argomenti diversi, il primo interpretativo, il secondo integrativo. Mentre analogia serve a colmare una lacuna, l’AT giustifica l’interpretazione di una disposizione. Tra i significati che una disposizione può esprimere, l’interprete che ricorre all’AT prediligerà il significato che consente di realizzare lo scopo della disciplina. L’uso dell’AT presuppone l’applicazione previa di altri argomenti interpretativi, tipicamente di tipo testuale/psicologico. Varianti In primo luogo, la variante soggettiva, che consiste nell’interpretare la disposizione a luce dello scopo del suo autore, o secondo le intenzioni teleologiche di chi l’ha posta. Lo scopo è soggettivo, perseguito da autorità che ha prodotto la disciplina/disposizione. Qui AP e AT finiscono col sovrapporsi. C’è poi la variante intersoggettiva, che consiste nell’interpretare la disposizione a luce di scopo che essa ha nel contesto sociale. Se una disciplina risalente ha acquisito uno scopo condiviso nel contesto sociale dell’applicazione, il giudice è giustificato a interpretarne il testo alla luce di questo scopo. Le ragioni sono le solite dell’interpretazione evolutiva o secondo il diritto vivente. La giustificazione è meno solida quando il contesto sociale non è uniforme. C’è infine la variante oggettiva, che consiste nell’interpretare la disposizione alla luce del suo scopo oggettivo. Si trovano in giurisprudenza richiami a finalità intrinseca, o a sua ratio oggettiva, o finalità che essa perseguirebbe oggettivamente. Questa variante è la più problematica sotto profilo teorico-filosofico. Scopi oggettivi non esistono, essendo necessariamente relativi ad agenti. Il vocabolario degli scopi oggettivi servirà talora all’interprete per chiarire che non ci sta mettendo del suo, che la finalità imputata alla disciplina è quella che si trova oggettivamente in essa. L’equivoco nasce da ambiguità del termine oggettivo, che può significare intrinseco o di fatto. Il rischio è che in accezione forte quale intrinseco, si finisca con il manipolare il diritto. Una maniera più debole di intendere l’oggettività di uno scopo è quella di riferirla a scopo di autore ragionevole. L’idea di un legislatore ragionevole serve a determinare delle finalità accettabili nel contesto sociale e alla luce dell’OG; ciò rischia di essere strumento fittizio che maschera mere preferenze di interprete. Inoltre, le varianti AT acquistano rilievo diverso in relazione ai diversi tipi di testi giuridici, senza trascurare dimensione temporale. Problemi Problemi come punti deboli di cui tenere conto nell’usare l’argomento o criticarne l’uso. Non vediamo scopo in quanto tali. Se atto normativo enuncia chiaramente i propri scopi, la via di AT è spianata qualora sorga dubbio interpretativo. Ma se non indicati, la loro abduzione diventa suscettibile di abusi interpretativi. Infatti, un’omessa indicazione di scopi da parte del legislatore può comportare l’intervento manipolativo dell’interprete che ascrive a disciplina gli scopi che personalmente predilige. I nostri fini sono mezzi per fini ulteriori. Considerata una disposizione, pare corretto distinguere fra scopo immediato e scopo ulteriore della disciplina e considerare, come limite, quanto si potrebbe chiamare il suo scopo ultimo, non trascurabile. Con una costituzione rigida che incorpora principi e valori fondamentali, il legislatore non è più libero nei fini. Gli scopi che la legislazione si prefigge devono essere in linea con quanto previsto in costituzione, o compatibili con il suo contenuto. 21 Non esistono di norma gerarchie teleologiche predefinite cui l’interprete possa ricorrere per capire come è più corretto interpretare. L’interprete non potrà sottrarsi al difficile compito di valutare cosa è più importante, nella prospettiva dell’OG e della complessa pluralità di scopi, principi e valori. L’argomento sistematico Massima Le disposizioni normative esistono in combinazione con altre disposizioni il cui insieme di significati costituisce un sistema normativo di tipo giuridico. Ogni sistema normativo è un tutto costituito da parti con funzioni diverse e diverse connessione funzionali. La massima dell’argomento sistematico (AS) recita: “è giustificata l’interpretazione che attribuisce alla disposizione normativa il significato desunto dalla sua collocazione entro il sistema giuridico”. E’ essenziale identificare il contesto normativo ed eventuale cotesto. Il contesto è ambito del sistema in cui si colloca la disposizione. Il suo cotesto è la parte restante dell’atto normativo cui la disposizione appartiene, la parte restante della disposizione cui appartiene un’espressione o termine da interpretare. Si usano metafore olistiche. Ad esempio, nel mosaico le tessere non hanno importanza di per sé ma solo nell’insieme, da cui emergerà la figura. Il tutto abbisogna delle parti, ma queste non hanno senso fuori di esso. Così non c’è sistema senza disposizioni normative, ma il loro senso non è atomisticamente determinabile. Gli elementi da prendere in considerazione sono tanti e vari, con rischio che l’AS si dimostri debole sotto qualche profilo. Ma se l’interpretazione sistematica riesce a dimostrarne le connessioni con altre parti del sistema, il risultato argomentativo è molto persuasivo. Talora si parla di sistema in riferimento a un tutto di disposizioni interpretate, come se prima dell’interpretazione non possano darsi sistemi o connessioni sistematiche. Altre volte si utilizza il termine in senso più lasco, in base al quale possono darsi sistemi di disposizioni ancora non interpretate. Per alcuni i sistemi sono coerenti e completi; per altri antinomici e incompleti. Tipi di argomentazione sistematica A caratterizzazioni diverse del sistema giuridico in sede interpretativa corrispondono tipi diversi di argomentazione sistematica:  Connessione delle parole  Combinato disposto  Sedes materiae  (In)costanza terminologica  Costruzioni dogmatiche  Coerenza  Congruenza  Defettibilità Lista incompleta, potrebbero esservi argomenti più fini. Almeno alcuni di questi argomenti non indicano essi stessi il significato da attribuire a una disposizione ma servono da selettori di significati attribuibili con altri argomenti. Connessione delle parole Essa è indicata da art. 12 Preleggi come uno dei canoni da usare nell’interpretazione e applicazione della legge. E’ il canone interpretativo che richiede di leggere porzione di testo assieme al cotesto. Strumento comune a interpretazione giuridica e letteraria. La massima: “è giustificata l’interpretazione che attribuisce alla disposizione normativa il significato delle sue parole nella loro connessione”. E’ un canone di olismo semantico, opposto a idea che si debbano prima determinare i significati di singole parole e poi nel complesso. Richiama il principio del contesto, secondo cui è il contesto enunciativo a determinare significati delle espressioni che vi compaiono. Principio in tensione con quello di composizionalità, secondo cui il significato di espressione complessa è determinato da significato dei suoi costituenti e da modo in cui sono sintatticamente combinati. Michael Dummett privilegia il principio del contesto senza trascurare il ruolo 22 delle singole parole. E’ solo nella loro connessione che le parole hanno significato, che consiste nel contributo che esse danno alla determinazione del senso complessivo delle strutture linguistiche in cui sono utilizzate. Combinato disposto Il combinato disposto comporta di combinare il dettato di una disposizione con il dettato di altre, per ricavarne una disciplina completa che non sarebbe ricavabile da ciascuna delle disposizioni individualmente considerata. La massima: “è giustificata l’interpretazione che combina tra loro norme o parti di norme così da ricavarne una disciplina (più) completa da applicare al caso”. Si può dubitare che il combinato disposto sia a tutti gli effetti un argomento interpretativo, esso non sembra giustificare il significato attribuito a una disposizione giuridica ma combina tra loro più disposizioni già interpretate su base di relazioni di tipo lessicale/funzionale che l’interprete individua tra esse. Ma lo si può ritenere un argomento interpretativo laddove il rinvio ad altre norme sia orientato a precisare il significato della disposizione intrepretata e non costruirne una nuova. Sedes materiae La collocazione di un testo all’interno del sistema è indubbiamente importante per determinarne il contenuto in maniera giustificata. L’argomento della sedes materiae consiste nel rilevare la sede della materia: il contesto normativo in cui una certa disposizione è collocata. La massima: “è giustificata l’interpretazione che attribuisce alla disposizione il significato desunto dalla sua collocazione entro il discorso del legislatore”. Tale argomento sottende l’uso di altri argomenti interpretativi, come quello piscologico-teleologico. In Holy Trinity la Corte suprema USA doveva stabilire se disposizione che vietava di importare stranieri per far svolgere lavoro di qualsiasi tipo si applicasse a sacerdote giunto per lavorare a Holy Trinity Church di NY. Risposta affermativa in teoria, ma l’AL venne sconfitto da argomenti comprendenti lo spirito della legge (AP), il tutolo del provvedimento legislativo (AS), il male cui la legge poteva rimediare con legislazione protezionista (AT) e riferimento a principi incorporati nella storia della nazione (APP). La Corte fece riferimento al titolo dell’atto non semplicemente per individuare la materia regolata da disposizione ma per individuare la ratio, ovverosia lo scopo che era intesa realizzare. Costanza e incostanza terminologica Se all’interno di atto legislativo compare in più disposizioni lo stesso termine, gli si dovrà attribuire stesso significato, mentre significati diversi a termini diversi. Secondo questo canone, alla costanza terminologica corrisponde una costanza semantica e all’incostanza terminologica un’incostanza semantica. Sempre che stesso autore e stesso contesto normativo. La massima: “è giustificata l’interpretazione che attribuisce a un medesimo termine o espressione linguistica il medesimo significato (e a diversi termini/espressioni attribuisce significati diversi), ovvero significati diversi in contesti normativi diversi”. Il trucco argomentativo è di ritagliare a proprio vantaggio il contesto. Se i contesti sono così macroscopicamente diversi, è giustificata l’attribuzione di incostanza semantica a costanza terminologica. Costruzioni dogmatiche Per fare ordine nell’intrico di disposizioni normative e dei loro rimandi la dottrina o dogmatica giuridica introduca delle costruzioni concettuali che non compaiano come tali nel discorso del legislatore. Esse possono essere utilizzate nel momento in cui una disposizione deve essere interpretata. L’obiettivo è quello di interpretarla in modo conforme al contesto come delineato e messo in ordine dalla costruzione dogmatica. La massima: “è giustificata l’interpretazione ricavabile da concetti o distinzioni concettuali proposte da dogmatica giuridica e applicabili al caso”. 25 esempio qualora mostri che il caso non rientri nell’applicazione della ratio decidendi. Tale pratica argomentativa viene denominata distinguishing. Si ha overruling, se una corte abrogare un precedente per costruirne uno nuovo. Inoltre, il precedente può vincolare le decisioni successive dei giudici con diversi gradi di intensità, si distinguono:  Precedenti persuasivi Utilizzati da operatori giudici per rafforzare le loro argomentazioni a sostegno di una certa soluzione del caso in modo da renderla più convincente. Tali precedenti non sono mai sufficienti per giustificare la decisione, fondata su regole e principi ulteriori. Svolgono funzione meramente retorica. Favoriscono, sotto profilo argomentativo, una sorta di dialogo tra corti operanti in giurisdizioni diverse.  Precedenti vincolanti in senso debole Esprimono principi decisionali che il giudice è tenuto a considerare, in sede argomentativa, nella soluzione della controversia, sebbene la decisione possa fondare in altre regole/principi. Non generano obblighi decisionali ma argomentativi.  Precedenti vincolanti in senso forte Esprimono principi decisionali che il giudice è obbligato ad applicare in base a criterio stare decisis. Il giudice non è autorizzato a discostarsi da precedente/disapplicarne la ratio decidendi se non su base di distinguishing o overruling. Il precedente nei sistemi di civil law In questi sistemi la ratio decidendi di un precedente non è fonte di diritto. Il giudice è sottoposto solo alla legge. I principi decisionali hanno caratteristiche e funzioni diverse rispetto a quelli di sistemi di common law. Un principio decisionale è il risultato dell’interpretazione di una disposizione giuridica fornita da giudice con rifermento a fatti di causa. Giudice muove da disposizione per ricavare, tramite interpretazione, una norma generale e astratta che di tale disposizione esprime il significato. I vincolo del precedente riguarda interpretazione delle disposizioni normative. I precedenti possono così fungere da premessa di argomento interpretativo. Nei sistemi di civil law si esclude solitamente che una singola sentenza abbia valore di precedente ma si da calore a pluralità di decisioni. Si parla di giurisprudenza costante o orientamento consolidato. Il diritto vivente è il risultato dell’elaborazione interpretativa convergente/prevalente delle norme realizzata da corti operanti in certo OG in certo momento storico. Inoltre, i principi decisionali non sono vincolanti in senso formale per ragioni di rango costituzionale. I precedenti delle corti superiori esercitano un’autorità di fatto su decisioni delle corti di grado inferiore. Il vincolo informale/di fatto del precedente assume consistenza nella dinamica interna della giurisprudenza, grazie a norme procedurali che disciplinano l’accesso a diversi gradi di giudizio e impugnazione delle sentenze. Per ragioni di opportunità ed economia decisionale, il giudice tende a uniformare la sua interpretazione a quella delle corti superiori. Sono state progressivamente introdotte norme procedurali finalizzate a rafforzare il vincolo del precedente, senza trasformarlo in vincolo formale; per uniformare interpretazione delle disposizioni giuridiche da parte della giurisprudenza, salvaguardare principi di certezza del diritto ed eguaglianza di fronte alla legge. Mediante la l. 69/2009 il legislatore ha introdotto nell’ordinamento una disposizione che vincola i giudici di merito a adeguarsi all’orientamento consolidato della Cassazione, prevendendo l’inammissibilità del ricorso per Cassazione qualora il giudice di merito abbia deciso tenendo conto di diritto di supremi giudici. Precedente e analogia E’ frequente la considerazione secondo cui il ragionamento basato su precedente costituirebbe una forma di ragionamento analogico. A vincolare il giudice sarebbe la somiglianza tra le fattispecie regolate. Tesi erronea/imprecisa. L’analogia è strumento integrativo che serve a colmare lacuna. Qualora il caso da decidere non sia regolato, il giudice può applicarvi la disciplina prevista per un caso diverso che presenta caratteristiche simili. La ratio decidendi del precedente è una norma generale e astratta. Il vincolo del precedente in senso forte consiste nell’obbligo per il giudice di applicare medesima ratio decidendi in caso 26 successivo appartenente a medesima classe di casi. Nel campo del ragionamento analogico, per caso simile si intende un caso che non rientra nella classe di casi disciplinati da norma generale e astratta ma con caratteristiche simili sotto profilo giuridicamente rilevante. Riguardo al precedente, caso simile indica caso successivo che rientra nella classe di casi disciplinata da ratio decidendi. Argomentazione costituzionale La costituzionalizzazione di OG ha comportato che il loro contenuto sia stato implicitamente riconfigurato alla luce dei principi costituzionali, rendendo costituzionalmente illegittimi i contenuti delle fonti sottordinate incompatibili con i principi e valori della Costituzione. Tale processo comporta una riconfigurazione del ruolo di testo costituzionale in OG. Il costituzionalismo contemporaneo non pensa alla costituzione come mero limite, essa viene concepita come documento che delinea sistema di valori etico- politici, espressi in principi. La costituzione acquista ruolo propulsivo nell’ordinamento. Tanto cresce importanza dei principi, tanto cresce quella del ragionamento giuridico e dell’argomentazione. Possono distinguersi 3 principali tecniche di argomentazione costituzionale: 1. Interpretazione adeguatrice/conforme interpretazione di una disposizione legislativa alla luce dei principi costituzionali 2. Controllo di ragionevolezza a confronto art. 3 Cost 3. Bilanciamento confronto tra due principi costituzionali chiamati in causa da norma di legge Interpretazione adeguatrice o conforme Con questo argomento si interpreta una disposizione legislativa in modo da renderla congruente o coerente con i principi costituzionali. La massima: “è giustificata l’attribuzione di significato conforme alla Costituzione”. Si tratta di una forma di AS. Supponendo che da disposizione D siano ricavabili significati N1 e N2, l’interpretazione adeguatrice/conforme seleziona fra essi quello più compatibile con dettato costituzionale. Nella prassi della nostra Corte costituzionale rilevano a questo proposito le sentenze interpretative, di queste si distinguono due tipi: di accoglimento, quando una norma ricavabile da disposizione non è conforme a Costituzione; di rigetto, quando va attribuito a disposizione il significato conforme a costituzione. Nei casi in cui prima si aveva sentenza di rigetto, oggi si tende a ritenere inammissibile la questione che il giudice di merito poteva risolvere tramite interpretazione adeguatrice/conforme. La prassi pare in linea con l’idea di costituzionalizzazione dell’OG, ponendo in essere un controllo diffuso di costituzionalità che si estrinseca nel rilevare dubbi di legittimità e risolverli. Fra gli svantaggi conta il diminuito ruolo di guida della Consulta. Sorge rischio di interpretazione troppo decentrata del testo costituzionale, lasciata alla mercè dei giudici ordinari, con possibili divergenze che neppure pervengono all’attenzione della Corte. Controllo di ragionevolezza Questa tecnica consiste nell’esame comparativo di due norme di legge alla luce dell’art. 3 Cost, cioè del principio di eguaglianza giuridica. Sotto profilo di struttura logica, il controllo di ragionevolezza vincolato all’eguaglianza richiede almeno 3 elementi: art. 3 Cost, una norma legislativa di cui si discute e un’altra norma di legge che funge da tertium comparationis. Si tratta di stabilire se il legislatore abbia legiferato ragionevolmente, in negativo, se la disciplina legislativa comporti irragionevoli disparità di trattamento o delle irragionevoli parificazioni di situazioni diverse. Il problema di fondo è che le scelte del legislatore comportano sempre preferenze per qualcosa a discapito di altro. Si tratta di vedere se la disparità di trattamento sia irragionevole. Un ulteriore profilo del controllo di ragionevolezza riguarda gli automatismi legislativi, quelle disposizioni che imputano in modo rigido a una fattispecie precisamente determinata una conseguenza giuridica altrettanto precisamente determinata. Laddove il verificarsi della fattispecie venga accertato, in sede probatoria, in virtù di presunzioni che 27 lasciano rilevanti margini di incertezza, il collegare alla fattispecie una conseguenza giuridica rigidamente determinata può generare disparità di trattamento. Il principio di uguaglianza impone di consentire al giudice di modellare la sanzione, alla luce di apprezzamento del caso concreto. Proporzionalità e bilanciamento Per bilanciamento si intende il confronto tra due principi costituzionali chiamati in causa da una norma di legge. La struttura logica minimale è costituita da 3 elementi, qui ci sono due principi costituzionali e una norma di legge. Si tratta di determinare quale tra essi debba fungere da criterio di legittimità di una norma legislativa. Se il sacrificio che la norma comporta per un principio sia più che compensato dal beneficio rispetto a un altro principio. Il giudice dovrà determinare cosa pesi maggiormente su metaforica bilancia, se il sacrificio di un principio sia giustificato da realizzazione del principio concorrente. I critici del bilanciamento sostengono che questa tecnica argomentativa indebolisce i diritti fondamentali e non si basa su alcun criterio razionale. I critici sostengono che il bilanciamento non sia governato da criteri razionali e consista in ultima istanza in fumo che copre le preferenze del decisore. Secondo Alexy, invece, dall’operato di tale Corte può essere ricavato un modello di giudizio costituzionale che risponde alle critiche sopra richiamate. Il modello di Alexy è governato da Principio di proporzionalità, ossia idea che i diritti fondamentali siano dei precetti di ottimizzazione. Tale principio è costituito da 3 sotto principi.  Il principio di adeguatezza, che richiede di non utilizzare mezzo legislativo M che non realizza principio costituzionale P1 e che lede il P2.  Il principio di necessità: tra due mezzi che realizzano P1 più/meno allo stesso modo, deve essere scelto quello che meno penalizza P2.  Il principio di proporzionalità in senso stretto: se non è possibile scongiurare l’insorgere di limitazioni/costi a carico di altri principi/diritti costituzionalmente protetti, occorre procedere a bilanciamento. Questo deve avvenire secondo la “legge del bilanciamento” (Alexy): “Quanto maggiore è il grado di non realizzazione o violazione di un certo principio, tanto maggiore deve essere l’importanza associata alla realizzazione del principio concorrente”. Il bilanciamento ha 3 fasi che ne mostrano il carattere razionale:  Determinare grado di non realizzazione di un certo principio P2  Determinare importanza della realizzazione del principio concorrente P1  Determinare se importanza associata a realizzazione di P1 giustifichi grado di non realizzazione di P2 L’argomento analogico, o argomento a simili Massima Esso non è un argomento interpretativo, ma integrativo. Presuppone lacune determinata da previa argomentazione. La lacuna viene colmata passando da caso regolato a uno non regolato. La massima può essere così formulata: “è giustificata l’integrazione analogica del diritto che estende una disciplina da casi regolati a casi non regolati aventi con i primi una somiglianza rilevante”. L’art 12 Preleggi, al c2, prevede il ricorso all’analogia per le controversie che non possano essere decise in base a una precisa disposizione. Il ricorso a casi simili è detto analogia legis; il ricorso a principi generali analogia iuris. La somiglianza deve essere rilevante. Ma non in tutti gli ambiti del diritto può essere utilizzato AAS. Si tratta del divieto di analogia in malam partem, non vedendosi ragioni per escludere applicazione analogia di norma a favore (analogia in bonam partem).
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