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Riassunto La letteratura russa antica - Riccardo Picchio, Sintesi del corso di Letteratura Russa

Sommario: Le origini letterarie e la civiltà di Kiev; Le traduzioni; Sviluppo di una letteratura autonoma; Rovina della terra russa; La rinascita slava ortodossa; Il sentimento della letteratura nel XVI secolo; La grande difesa; Il tesoro nascosto del folclore russo

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto La letteratura russa antica - Riccardo Picchio e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! LE ORIGINI E LA CIVILTA' DI KIEV L'Europa cristiana si spinge oltre le rive del Mar Nero e, grazie ai missionari bizantini e all'azione cristianizzatrice, inizia la conquista d'un mondo nuovo, rimasto favoloso per l'antichità classica. La rivalità bizantino-occidentale indusse l'Impero Bizantino e la Chiesa d'Oriente a volgere lo sguardo là dove gli antichi non avevo portato le loro leggi, verso il mondo dei barbari pagani che diventavano oggetto potenziale di conquista religiosa. Dal Baltico all'Adriatico e al Mar Nero, dal Don sino all'Elba si erano stanziate popolazioni – gli Slavi - unite da una comunanza etnica e linguistica. La Slavia venne percepita, sia dalla Chiesa Romana, sia dall'Impero bizantino che da quello germanico, come un campo di espansione politica, economica e religiosa. Bisanzio organizzò nel IX secolo l'evangelizzazione degli Slavi moravi per contrastare l'avanzata romano-germanica nell'Europa centrale, (tra l'Elba e l'Oder, verso la pianura della Vistola), in modo da controllare la situazione nella regione danubiano-balcanica prossima ai suoi confini. Bisanzio e la Nascita della Slavia ortodossa L'Impero d'Oriente conobbe gli Slavi già nei primi secoli dopo Cristo. Gli Slavi non si presentavano in organizzazioni politiche e militari autonome, ma al seguito di altri popoli conquistatori ed è anche a causa di questo carattere passivo e anonimo che la loro realtà linguistico-geografica rimase a lungo nascosta da diverse dominazioni – i Goti, gli Unni, gli Avari. L'amminisrazione bisantina, già nel VII-VIII secolo, incominciò a reclutare fra di loro gli interpreti per i rapporti con le popolazioni d'oltre Danubio. In seguito Bisanzio incominciò ad usare in Europa le missioni evangelizzatrici come strumento di influenza spirituale e materiale. I missionari della Chiesa orientale predicarono il nuovo verbo nella locale lingua slava, mentre la Chiesa Romana imponeva ai convertiti il latino come lingua liturgica. La Chiesa bizantina, grazie al suo impero plurinazionale a contatto con le civiltà alloglotte d'Asia e d'Africa, disponeva di interpreti e di traduttori; mentre Roma riconosceva nel latino lo strumento del proprio dominio supernazionale. Verso la metà del IX secolo, le missioni latine e bizantine si scontrarono fra l'Elba, la Morava ed il Danubio. Nell'anno 863 giunsero in Moravia Costantino e Metodio, i quali organizzarono una predicazione presso la popolazione slava. Costantino – il quale nome monastico era Cirillo – e suo fratello Metodio conoscevano la lingua degli slavi poichè erano nati a Salonicco, dove lo slavo era al tempo di uso corrente. Per la cristianizzazione del principato di Moravia essi tradussero alcuni testi sacri e crearono un alfabeto adatto alla nuova lingua. In tal modo iniziò la prima tradizione scritta slava, grazie alla scrittura cirillo-metodiana. In una civiltà che attingeva dalla Rivelazione cristiana la vita morale e politica, la diretta partecipazione alla organizzazione della chiesa equivaleva alla conquista dei diritti sociali. Fino a che i nuovi convertiti adottavano la liturgia di lingua latina e greca, la cristianizzazione continuava l'antico processo d'espansione della civiltà mediterranea tramite romanizzazione ed ellenizzazione. Se invece il cristianesimo introduceva nuove genti nella vita della Chiesa, lasciando loro la lingua nazionale, l'evangelizzazione garantiva il perpetuarsi delle forze barbariche, preservandole dalla completa assimilazione. Il principato di Moravia si trovava nell'860 nella più vicina area di influenza del cristianesimo occidentale e l'azione dei missionari greci offrì ai locali pagani la possibilità di un cristianesimo di lingua slava. La lotta si risolse a favore dell'Occidente. Gli allievi dei due missionari portarono però con sè i primi testi dei libri liturgici tradotti in slavo e continuarono l'opera dei due maestri più a sud, nello stato bulgaro di Boris I, abitato pure dagli Slavi. I libri che essi ricopiarono e quelli che vennero, per loro impulso, tradotti in slavo costituirono il nucleo di una letteratura nuova. I testi religiosi tradotti in slavo erano un'arma potente, scoperta da Bisanzio e combattuta dall'Occidente ed in seguito assimilata dalla Bulgaria, appena cistianizzata, la quale aveva sogni di conquiste verso Costantinopoli. Nel IX e nel X secolo i testi slavo-cristiani si moltiplicarono in Bulgaria, rinsaldando l'autorità della nuova lingua nella sfera della chiesa orientale. Bisanzio, minacciata dallo stato bulgaro, cercò di frenare il moto autonomista del cristianesimo slavo, ma l'impulso della prima azione di Cirillo e Metodio era sfuggito al controllo della stessa chiesa di Costantinopoli da quando era stato accolto dagli Slavi indipendenti di Bulgaria. Bisanzio decise cosi di servirsi della liturgia cristiana di lingua slava per ulteriori penetrazioni nella Slavia pagana. Il mito cirillo-metodiano dopo la Bulgaria, conquistò la Serbia e si estese agli slavi orientali, mentre il cristianesimo romano si affermava nelle terre di Moravia (Cechi e Slovacchi), fra gli Slavi balcanici a nord dei Serbi (Sloveni e Croati) e nella pianura della Vistola, dove sorgeva lo stato polacco. Per lungo tempo gli Slavi della Russia, di Serbia e di Bulgaria furono accomunati dalla stessa letteratura che in quella lingua si andava formando. Viene definita Paleoslava, Slava ecclesiastica o anche Antico Bulgara la lingua fissata nei testi cirillo-metodiani. Prima influenza slava = Gli slavi orientali non crearono inizialmente una autonoma cultura cristiana, ma si inserirono in quella della Slavia ortodossa, già affermatasi nell'area balcanica, sotto la diretta influenza del cristianesimo bizantino. La Rus kieviana: slavi e varjaghi Nelle terre dell'oriente europeo a nord del Bosforo, dal Dniestr e dalla Dvina ai corsi superiori del Don e del Volga, sin presso il golfo di Finlandia, si stava formando una grande organizzazione statale. Fino al IX secolo gli slavi di quell'area non avevano avuto contatti autonomi col mondo cristiano. Bisanzio cominciò a preoccuparsi maggiormente di quella zona quando, dal Dniepr, si intensificarono le scorrerie di pirati che, varcando su legni il Mar Nero, potevano giungere sino al Mar di Marmara. I duci delle incursioni erano di origine scandinava, ma insieme a loro si muovevano elementi slavi. Nel volgere d'un secolo al posto dei capi corsari si presentarono alle porte di Costantinopoli veri e propri sovrani d'un vasto principato. Nel X secolo la forza militare della Rus' (complesso statale estero esteso dal sud di Kiev sin quasi al Ladoga) aveva un peso tale da rendere urgente il suo controllo per via politica, perciò l'Impero si alleò con la nuova potenza pagana contro i Bulgari e stipulò accordi diplomatici per garantire i traffici col retroterra del Dniepr. L'aristocrazia dominante nella Rus' era di origine nordica e derivava dai Varjaghi. Il capostipite è Rjurik, assurto al potere a Novgorod. Il suo successore, Oleg, avrebbe conquistato Kiev, trasferendo la capitale nel 882. Dopo Oleg, la Rus' kieviana fu retta dai principi Igor, Svjatoslav e Vladimir. Gli stessi nomi dei principi forniscono indicazioni in merito alla fusione etnica che caratterizzò il sorgere della Rus': Rjurik, Oleg e Igor' derivano da nomi scandinavi, mentre Svjatoslav e Vladimir sono nomi slavi. Ciò dimostra che i primi capi furono guerrieri nordici i cui discendenti si assimilarono alla popolazione slava. Teoria normannista e antinormannista I normannisti insistono sulle origine nordiche della Rus, mentre gli antinormannisti pensano che la formazione del complesso politico slavo orientale sia il prodotto di energie locali, inluenzate solo superficialmente dai guerrieri varjaghi. Le traduzioni Kiev si appropriò delle opere già tradotte in zona slavo meridionale derivate direttamente dai testi greci. Ci fu un processo di assimilazione stimolato dalla fede nella parola scritta come fonte di verità religiosa. I cristiani della Rus' volevano conoscere le vie della salvezza e la storia del creato. Bisanzio si presentò a loro come rivelatrice del Verbo divino, portatrice dei Vangeli e del messaggio biblico. Il Vecchio ed il Nuovo Testamento assunsero modello non solo religioso, ma anche estetico. Traducendo dal greco, i primi "scrittori" della Rus' crearono la base di uno stile, attraverso l'uso di determinate formule e strutture. La chiesa russa combattè il diffondersi di varianti, capaci di corrompere un testo ortodosso. Ciò portò all'irrigidimento stilistico. L'idea di originalità era estranea allo spirito religioso del tempo e una personale invenzione poteva resentare l'eresia. Anche gli autori di nuove opere non si distaccarono dalla tecnica dei traduttori. A livello tematico il santo dei testi greci esprimeva un ideale religioso e politico; la cristianità russa accentuò questo aspetto e in seguito lo stilizzò nella figura del principe ortodosso, difensore della santa Russia. Dall'agiografia greca, gli Slavi kieviani ereditarono personaggi dotati di virtù particolari esaltate dal monachesimo orientale: l'amore per la sofferenza, il disprezzo per i beni materiali, la prodigiosa conoscenza dei testi sacri. Le Vite dei Santi, tradotte dal greco o trasferite nella Rus' attraverso i testi slavo meridionali, entrarono in raccolte ad uso dei religiosi. I testi liturgici Le prime traduzione si ebbero al tempo della missione Cirillo Metodiana. Il lavoro di copiatura e di traduzione dei testi sacri venne affidato ai monaci di Bulgaria e di Macedonia e ai nuovi allievi kieviani: mentre però in Bulgaria il potere politico e quello religioso erano uniti nelle mani dell'amministrazione greca, nello stato kieviano i principi locali rivendicavano una parte dell'organizzazione della vita religiosa. Jaroslav il Saggio creò un centro di raccoglitori, traduttori e compilatori di libri slavi. Il più antico documento kieviano a noi pervenuto è una raccolta di Vangeli domenicali, trascritta da un precedente testo slavo-meridionale, negli anni 1056-'57, intitolato il Vangelo di Ostromir. Nel suo lavoro, il copista ha introdotto nel testo termini locali ed ha annotato al margine sue impressioni e appunti personali che ci forniscono indicazione sulla situazione linguistica a Novgorod all'inizio dell'età cristiana. Sviluppo di una letteratura autonoma Lo scrivere libri era arte monastica e la funzione di scrivere in senso "professionale" era riservata ai religiosi. I pochi autori che si sono potuti individuare non si presentano a noi con una chiara personalità. Si stacca dallo sfondo monastico la sola figura di Vladimir Monomach. Il documento letterario maggiormente diffuso sono le Cronache, in quanto poteva accogliere testi di ogni genere. La cronachistica è un genere diffuso in realtà in tutta l'Europa medievale, che svolge un ruolo di raccolta di informazioni, le quali molte volte non hanno un supporto documentale, ma si basano su qualcosa di tramandato in maniera orale e, di conseguenza, l'oralità diventa fonte di qualcosa che viene poi recepito come verità storica. Ilarjon e l'apoteosi di Vladimir La politica religiosa di Jaroslav il Saggio, tendente a creare una chiesa autonoma rispetto a Bisanzio, portò nel 1051 alla nomina di un metropolita di origine locale - contrapposto a quello designato dal Patriarca di Costantinopoli – nella persona di Ilarion, il quale dopo quattro anni dovette cedere il posto al greco Efrem. Ilarion fu ordinato monaco da Antonij, fondatore del convento delle Grotte di Kiev, al tempo il maggior centro della cultura nazionale. Egli è stato autore si due scritti: Professione di fede e Sermone sulla Legge e sulla Grazia (Slovo o Zakone i Blagodati), composto prima del 1050. Questo componimento tratta la superiorità del mondo cristiano rispetto al mondo giudaico, a cui seguono l'apologia del principe cristianizzato Vladimir e una preghiera a Dio. Ilarion sostiene che la luce cristiana giunse alla Rus', regno della vera fede, per effetto della grazia illuminante ricevuta da Vladimir. Il principe kieviano che portò il suo popolo al battesimo, ispirato direttamente da Dio dopo un periodo di cecità spirituale, da peccatore, avrebbe miracolosamente raggiunto la gloria di propagatore della verità angelica; la figura del principe viene così esaltata come pontefice della comunità linguistico-religiosa. Nella composizione troviamo anche l'esaltazione dinastica, infatti Ilarion ricorda le virtù degli avi Rjurikidi, nobili e vittoriosi pur se vissuti in età pagana. La Rus' appena entrata nella comunità europea era alla ricerca d'una sua legittimità storica. La storia vera, però, era quella registrata nella Sacra Scrittura perchè l'antichità pagana extrabiblica altro non era che tenebra e totale ignoranza di Dio. Il popolo slavo-cristiano in tal modo non si sentiva diminuito per essere rimasto escluso dalla civiltà Grecia e di Roma perchè anche esso era illuminato dalla Grazia. A livello stilistico Lo Slovo o Zakone ha una prosa oratoria ricercata, ricca di effetti ritmici e sonori, presenza costante di assonanze e di formule ripetitive. Boris e Gleb, Santi russi Con la canonizzazione di Boris e Gleb, figli di Vladimir fatti assassinare da Svjatopolk, la dinastia ottenne la prima aureola religiosa. Il nucleo narrativo dei componimenti che sorsero da queste vicende era il martirio, facilmente inquadrabile negli schemi dell'agiografia. Il più antico manoscritto (Uspenskij) contenente la leggenda di Boris e Gleb si trova in una raccolta moscovita del XII secolo, sotto il titolo di Skazanie (narrazione) di Boris e Gleb; il testo non è unitario e rivela inserti e rielaborazioni. Il racconto ha uno stile piano da cui si staccano solo le riflessioni ed i monologhi dei martiri e le citazioni bibliche. La morale ultima è che a nulla valgono la potenza politica e la ricchezza se prive dell'ispirazione religiosa. La saggezza cristiana di Boris è un esempio per i principi russi: attraverso l'immagine del santo figlio di Vladimir, la chiesa kieviana cerca di ispirare un nuovo concetto del potere e una nuova morale per la capitale russa ortodossa, sempre minacciata da contese dinastiche. La stessa potenza di Vladimir e della sua Casa è frutto del peccato e delle passioni; unicamente seguendo le leggi cristiane i principi possono acquistare la vera gloria. Mentre il sermone di Ilarion riflette sulla superiorià del principe, fonte di verità religiosa e illustre di nascita anche se di famiglia pagana, la Skazanie sosteneva l'idea di una Rus' retta dalle verità di cui la Chiesa slavo ortodossa era custode, la quale aspirava non a sottomettersi ai Rjurikidi o a Bisanzio, ma voleva servirsi di prìncipi timorosi della sua legge. Un altro componimento che racconta la storia del martirio di Boris e Gleb è la Ctenie su Boris e Gleb, redatta secondo gli schemi dell'agiografia da uno dei più noti autori della Rus', il monaco Nestor. La Ctenie non ha grandi pregi formali, presenta una tipica applicazione di formule compilative. Nestor inizia dalla creazione del mondo e in poche decine di righe, l'esposizione giunge alla cristianizzazione della Rus'. Danil in Terra Santa Il pellegrinaggio che Daniil compì in Palestina (1106-1107) inaugurò il genere della letteratura di pellegrinaggio. Il suo soggiorno in Terra Santa durò sedici mesi quando Gerusalemme era sotto il dominio crociato. La popolarità dello scritto di Daniil è dovuta non solo al racconto evangelico, ma anche allo stile dell'esposizione. Egli si rende conto che il lettore non si aspetta la pura ripetizione di storie favolose, ma la prova che il mito esiste, che si può vedere e toccare. Per far sì che i suoi lettori vedano e tocchino ciò che egli ha veduto e toccato, usa delle descrizioni dettagliate e precise. Il testamento spirituale di Monomach Il principe Vladimir Monomach (1113-1125) produce una composizione didascalica, il Poucen'e (Insegnamento) che si pensa sia stato scritto negli utlimi anni della sua vita. Il testo si trova inserito nella Cronaca kieviana, fuori dalla sequenza cronologica della composizione annalistica, all'anno 1096. Questo testamento è la sintesi delle idee politice e religiose nonchè degli schemi stilistici elaborati dal primo secolo russo-cristiano. Il Poucen'e può essere considerato un testamento spirituale che vuole di trasmettere le norme morali e politiche a tutti coloro che dopo di lui fossero saliti alla responsabilità del governo. Il principe deve essere uomo di vera fede, solo la dottrina cristiana costituisce la legge. L'ultima parte del Poucen'e ha degli elementi di originalità in quanto è autobiografica; essa rievoca le imprese di Monomach. La figura idealizzata del principe devoto cede qui il posto a quella d'un uomo affaticato e non sempre animato da dolcezza e mansuetudine. In alcune pagine egli raccomanda di non uccidere e si dichiara contrario persino alla pena di morte nei confronti dei peggiori delinquenti. Questi pii propositi non valgono però fuori dalla comunità cristiana e il penitente annovera fra le gesta meritorie della sua vita il massacro degli infedeli Cumani. Il Poucen'e è seguito da una lettera di Monomach al principe Oleg, che aveva ucciso il figlio e teneva prigioniera la nuora dello stesso Monomach. Il sovrano scrive del concetto di fratellanza cristiana tra i principi, necessaria per il bene della terra russa e il trionfo divino sulla malvagità e sui pagani. La morale cristiana diventa strumento di controllo e anche una necessità politica per mantenere unito questo regno. In nome di questi ideali, Monomach chiede a Oleg di restituirgli la nuora. Monomach riprende il concetto, già visto in altri scritti, del diavolo che non vuole il bene del genere umano ed è responsabile di ogni sciagura. Il sovrano rinnega e condanna le passioni terrene e la cupidigia degli antennati. La Cronaca degli anni passati Tutta la letteratura kieviana può essere compresa in un unico libro, questo libro è rappresentato dalle Cronache dei Tempi Passati. Essa ci racconta le origini dei popoli slavi, racconta di come poi queste origini pagane siano già in tempo non sospetto (AC) legate alla stirpe di Israele e di come questi slavi siano destinati alla conversione al cristianesimo. E' chiaro che esistono delle forzature ideologiche quando si parla di una "stirpe slava che è legata già a figure mitiche", ma quando il testo viene compilato siamo già dentro ad una realtà cristiana. E' anche vero anche che da queste cronache emergono molti elementi del folklore pagano, della mitologia slava pre-cristiana, alcuni racconti bellici che riflettono la tradizione orale, leggende relative a principi varjaghi ed echi scandinavi. Questa Cronaca non è da intendere come indendiamo noi un testo letterario, ovvero come un romanzo che ha un suo inizio, uno sviluppo e una fine. Il testo di annalistica inizia nella notte dei tempi e di anno in anno si aggiunge una storia, si accumulano informazioni ed era su questa struttura che si fondava la cultura letteraria russa. Il primo di questi capitoli venne scritto in età kieviana; il nome dell'autore venne indicato con quello di Nestor, monaco del monastero delle grotte di Kiev. Nel 1113 questo monaco rielaborò l'intera annalistica, la completò e corresse in vari punti, secondo le concezioni difese dal suo monastero e vi inserì una introduzione generale. Il corpus nestoriano non è tuttavia giunto a noi; nel 1116 Monomach affidò l'incarico di stendere una seconda redazione della Cronaca al monaco Sil'vestr, nota a noi attraverso una tarda copia. rispetto dei tataro mongoli. Non è una sconfitta o un umiliazione totale e definitiva: la popolazione viene sottomessa e schiavizzata, eppure c'è rispetto verso la figura di Nevskij. Alexandr viene riconosciuto dallo stesso Batbl come un referente degno e si crea un patto di vassallaggio; Nevskij capisce infatti di essere inferiore dal punto di vista militare eppure da Novgorod riesce ad intavolare un accordo, quindi pone la questione su basi diplomatiche e lo può fare grazie alla sua contemporanea affermazione contro un altro nemico che è il nemico che viene dall'occidente. Ovvero i Tataro Mongoli gli riconoscono delle capacità politiche e militari che Alexander Nevskij non ha dimostrato solo nella resistenza su Novgorod, ma anche nelle sue battaglie vinte contro i cavalieri teutonici. La chiesa romana pone di nuovo l'attenzione su quei territori dell'est Europa che considera ancora pagani; in quella che era una campagna di rafforzamento sulla Polonia attraverso i due ordini teutonici, la chiesa tenta anche di ampliare la propria sfera di influenza fino a Skof e Novgorod. Questo è l'atteggiamento dell'occidente e Nevskij è quel principe che si oppone a questo tentativo di espansione della cultura latina occidentale di stampo romano cattolico. Quindi mentre nel 1240 cade Kiev e i tataro attaccano anche Novgorod, tra il 1240 e il 1242 la storiografia registra delle battaglie di Nevskij non contro i mongoli, ma contro gli svedesi e la vittoria contro i cavalieri teutonici. Sono battaglie che hanno come teatro dei territori particolarmente strategici: il fiume Neva era confine naturale tra civiltà occidentali cristianizzate secondo Roma, civiltà cristianizzate secondo Bisanzio ed aree pagane ed inoltre collega il più grande lago d'Europa, Ladoga, e il Golfo di Finlandia, che è sempre stato un punto di arrivo da conquistare per i russi perchè rappresenta uno sbocco sull'Europa, attraverso il mare. Nella storiografia ci sono stati dei passaggi in qui tale aspetto è stato addirittura negato,questo perchè in certi momenti storici non era conveniente parlare di diplomazia tra tataro mongoli e russi, ma di fatto è andata proprio cosi. Nel 1251 Baty stabilisce Saraj come capitale dell'Orda d'Oro e riorganizza le terre della Rus. Il popolo risponde alla loro volontà, paga loro le tasse ed è loro servo e queste sono le condizioni che permettono ad Aleksandr di stabilire che i vari pricipati russi continuino a parlare la propria lingua e a credere al proprio Dio. Questi patti permettono quindi di far sopravvivere una identità. La stessa cosa non avveniva rispetto all'altro nemico. Infatti, alla metà del 1200, sulle terre della Rus ci sono due nemici: uno che viene da Est ed uno da Ovest. Uno è talmente presente ed evidente che prende il potere e sottomette i russi, ma non è cosi pericoloso come quello che incombre da occidente, il quale prevedeva non solo la conversione ai dogmi di Roma, ma anche l'abbandono del cirillico. La resistenza sul fronte occidentale e la sottomissione sul fronte orientale determina due secoli di stasi letteraria e confessionale, in quanto, grazie ai patti stabiliti dall'Orda d'Oro, la religione degli slavi può sopravvivere. Ai Tataro-Mongoli non interessava a quale Dio rivolgessero le proprie preghiere i russi, a loro interessava che pagassero dazio e che fossero sottomessi. La chiesa quindi, in una prima fase, diventa particolarmente conservativa, si chiude nei monasteri a tal punto che i tataro-mongoli capiscono l'importanza del ruolo che svolge la chiesa. Essa diventa funzionale al tipo di governo dell'Orda d'Oro, verrà esonerata dal pagamento dei dazi perchè i dominatori capiscono che attraverso questa istituzione si riesce ad avere un migliore controllo sui vari principati. Quindi la letteratura che si riproduce in questi due secoli, fino all inizio del 1400, è una letteratura di tipo conservativo in quanto vengono meno molti contatti con l'occidente e quindi si riproducono testi e gli stessi errori su quei testi, ma è una fase di sopravvivenza fondamentale e Nevskij in tutto ciò ha un ruolo determinante. E' lui che stabilisce il nuovo equilibrio per le terre della Rus: quando nel 1255 muore Baty, Nevskij potrebbe tentare di riconquistare posizioni eppure non azzarda nessuna mossa di tipo militare perchè ormai i russi hanno riconosciuto la sovranità dei tataro-mongoli. Questa sottomissione significa che intere città vengono depredate, uomini russi vengono reclutati dai tataro mongoli, quindi devono combattere per loro, non contro di loro. Questo porta ad una fase di indebolimento e disgregazione politica e sociale. Nel 1257, si registra, proprio per il malcontento della popolazione, il primo tentativo di ribellione a Novgorod. Questo tentativo non consiste nell'armarsi di spade e scudi, ma nel rifiutarsi di pagare le tasse. Quando Nevskij muore, nel 1263, lui non è il principe di Novgorod, ma ha trasferito la sua sede a Vladimir. C'è un trasferimento di poteri da Kiev attraverso Novgorod su Vladimir. Nel 1299 a Vladimir sposterà la propria sede anche il metropolita, che si trovava prima a Kiev, quindi di fatto la nuova capitale, nella seconda metà del 1200 diventa Vladimir. Nevskij morirà in viaggio, ma la salma verrà portata a Vladimir dove verrà celebrato il funerale e l'estremo saluto. La chiesa celebra il santo principe Alexander e ne trae un testo agiografico con una duplice funzione: epica e politica. Diventa un testo manifesto di quella che sarà la nuova linea della chiesa ortodossa e della letteratura slavo ecclesiastica di questa epoca di dominazione tataro-mongola. C'è un altro elemento intratestuale oltre a quello della Morte della Terra russa che evoca questa battaglia sul fiume Kalka; L'altro testo che ritorna nell'agiografia di Alexander è quello di Boris e Gleb, la chiesa stabilisce un ideale ponte con i primi martiri principi russi e la figura di Alexander. Questo era un tentativo anche di riportare nella letteratura slavo ecclesiastica un elemento di continuità e unità tra quella che era stata la tradizione di Kiev e quella che invece adesso diventerà la tradizione di Vladimir in una fase in qui la disgregazione politica aveva portato anche ad una frammentazione letteraria, in cui ogni monastero produceva le sue cronache, i suoi testi agiografici, i suoi annali che rimanevano chiusi in quel circuito chiuso senza avere una dimensione nazionale, senza avere più la percezione di una tradizione letteraria comune. Dentro il testo della vita del Santo Aleksandr, che viene subito santificato, invece si vanno a recuperare elementi di quello che era l'archetipo letterario dell'agiografia russa, cioè la Vita e la Morte di Boris e Gleb e di ricollocare questi elementi dentro la storia di Nevskij. I due Santi appaiono in visione a Nevskij durante la battaglia sul lago Pejpus, lago dei Ciudi (contro gli svedesi e i cavalieri teutonici, 5 aprile 1242), gli indicano la strategia da seguire e gli danno coraggio. Sono due i testi che vengono prodotti dopo la morte di Aleksandr (1263), il più noto è Il racconto della vita di Aleksandr Nevskij, in questo racconto oltre al pattriottismo e al coraggio dimostrato, l'autore narra anche delle capacità diplomatiche di Aleksandr, un aspetto che di solito non veniva molto esaltato nella letteratura dell'epoca. C'è una descrizione meticolosa e dettagliata delle battaglie combattute da Aleksandr, dei suoi stati d'animo, alle tattiche militari, al numero dei suoi uomini. Questo ci fa intendere che il testimone occulare in questione abbia combattuto al suo fianco e abbia trasmesso oralmente ad un monaco i fatti e le sue impressioni. Questi dettagli sono una novità rispetto ai testi agiografici classici. Nella vita dei Santi non si sta a raccontare nel dettaglio come è avvenuta una vittoria sul campo di battaglia; è questo però l'elemento narrativo che ci da conferma su una commistione di generi tra vita del santo e vita dell'eroe militare, l'epica che si confonde alla agiografia. Il testo viene riempito di continui rimandi alla Bibbia attraverso le gesta di Aleksandr, con lo stesso schema speculare in cui i profeti che evocano la venuta del Messia in questo caso evocano la venuta del salvatore della Rus. Da una parte abbiamo quindi l'erore condottiero e dall'altra l'uomo di fede; questa è un po' la novità dell'agiografia di Nevskij, che diventa il canone letterario per i successivi due secoli. A differenza delle altre vite dei Santi quello che pare mancare sono le capacità trascendentali, nel suo caso non c'è nessun miracolo, anche se il fatto che abbia avuto in visione Boris e Klieb è sufficiente per attribuirgli delle qualità sopranaturali, un legame con Dio. Il primo film di propaganda che Stalin commissiona al più importante regista all'epoca vivente nell'unione sovietica è Aleksadr Nevskij. Nonostante l'unione sovietica sia un paese che dichiari i principi dell'ateismo, del materialismo scientifico, Eisenstein ha il coraggio utilizzare un testo agiografico, della tradizione slavo ecclesiastica, e di raccontarci non la vita del santo Alexander, ma esclusivamente la vita dell'eroe epico. Estrapola gli elementi epici dal testo agiografico e li fa diventare funzionali alla propaganda sovietica anti-occidentale, anti-Hitler. L'inizio del film replica esattamente Lo Slovo o pogibeli rouskyja zemli attraverso scene di desolazione, morte e distruzione. Eisentzein pone la figura di Njevski come oppositiva a quella dei tataro-mongoli; quando viene invitato ad essere comandante egli risponde che preferebbe morire. Alexandr è la prima figura della letteratura antico russa che viene riportata in auge in epoca sovietica, fino a quel momento di quello che era stato il passato russo antico non c'era traccia ed era stata una volontà di segnare un limite netto e mettere sotto chiave tutta quella che era stata la simbologia della russa passata legata al potere dello Zar e al potere della Chiesa. La novità di questo film è l'andare a ripescare una figura dell'antica russa e renderla funzionale alla politica sovietica in quanto la mancanza di un sentimento patriotico aveva creato un vuoto ideologico. Dopo la Rivoluzione Russa del 1917 ci si rende conto che l'mporre il concetto di Soviet, di stato sovranazionale ad un impero che non è solo russo, ma che include i Kazaki, gli Armeni, gli Ucraini significava ridefinire anche il concetto di patria. Il ristagno letterario del XIV secolo Come i monaci delle Grotte di Kiev raccontano storie e prodigi nel loro monastero, cosi altri scrittori si rinchiudono nella propria città, considerandola una semplice comunità diocesana, vista dall'interno, in ristretta cerchia ecclesiastica. L'universalità della tradizione cronachistica si dissolve in narrazioni episodiche; l'agiografia non è più ispirata da maggiori ideali di lotta cristiana, ma adegua la propria narrazione ai vecchi schemi bizantino-slavi. Gli scrittori facevano in modo che le parole si distaccassero il meno possibile da quelle delle altre Vite. Questo conduce lo stile ad irrigidirsi e, da metodo creativo, si trasforma in ostacolo ad ogni innovazione. Molti componimenti agiografici del XIII si sono probabilmente perduti, anche perchè non diffusi fuori o tramandati dalla zona di origine. L'esaurimento della tradizione kieviana e panrussa nel XIII secolo coincise con il tramonto di una civiltà. L'età che segue al crollo delle terre russe e alla loro inclusione nell'impero dell'Orda non offre elementi di continuità. I pochi testi trecenteschi che conosciamo paiono solo ripetere qualche frammento dei vecchi motivi. Traducendo e compilando, gli scrittori del XIV secolo non vanno al di là dell'esercizio tecnico. La loro passività artistica ha però un pregio, in quanto conserva le figure, i procedimenti della vecchia letteratura slavo ortodossa. Perciò il vero strumento della continuità letteraria anticorussa, nell'epoca di transizione fra il tramonto di Kiev e il sorgere della Moscovia, è rappresentato dallo stile. DA MOSCA ALLA MOSCOVIA – La rinascita slava ortodossa Nel XIV secolo praticamente non esiste una letteratura russa, cosi come non esiste una civiltà di tutte le terre russe. Sotto l'Orda, i vari principati si disputano piccole egemonie provinciali e i più potenti aspirano ad esercitare, a danno dei loro vicini, il potere in nome del Khan, da cui dipende la designazione del gran principe. La vecchia Rus' è scomparsa. Sulle sue rovine, i vassalli dell'Orda s'adoperano ciascuno a creare una nuova potenza. A metà del XIV secolo incomincia a delinearsi il predominio di due centri: Tver' e Mosca. Alla fine il successo andrà a Mosca; la potenza moscovita è un prodotto dell'età tartarica. Prima dell'anno 1147, nessuna cronaca aveva neppure registrato il nome di Mosca. In meno di un secolo, dalla fine del 200, grazie all'azione dei principi ben ambintati nel regime delle violenze e di intrighi dell'Orda, Mosca si afferma come la prima città russa, sede del granduca, del Metropolita, ossia della massima autorità spirituale. L'età del primo risveglio della creatività russa coincide con l'inizio dell'epoca moscovia. L'egemonia moscovita si contrappone a quella dello stato lituano; la dinastia della famiglia di Ladislao Jagellone modificherà i rapporti di forza nell'Europa orientale. La politica jagellonica mira a creare un grande impero slavo estendendosi dai confini del mondo germanico a tutta la Slavia ortdossa. La lotta di Mosca contro l'avanzata polacco-lituana assume un significato superiore agli Gli scrittori desideravano esaltare le glorie locali, in concorrenza con i miti di Mosca. L'arcivescovo Eutimio, attorno al 1432, curò la rielaborazione delle cronache conservate nella cattedrale di Santa Sofia. In ogni racconto c'è un protagonista esprimente la tradizione della città, le sue aspirazioni, i suoi orientamenti religiosi. Il ciclo sull'arcivescovo Il'ja, il quale resse la cattedrale di Santa Sofia, è il più ricco e vario. "Storia del segno miracoloso dell'icona della Madonna" – quando le milizie di Suzdal' assediano la città, l'arcivescovo Il'ja pone a difesa del suo popolo un'immagine della Madonna; questa volge miracolosamente lo sguardo verso gli aggrediti e dall'icona sgorgano lacrime che lo stesso Il'ja raccoglie. Nel componimento troviamo una documentazione storica della tesi autonomistica di Novgorod: Jaroslav il Saggio concede ai suoi fedeli sudditi di Novgorod il diritto di autogovernarsi. In tal modo, gli scrittori quattrocenteschi reclamano dei privilegi di Novgorod nei confronti di Mosca. L'arcivescovo Il'ja è il tutelare della città.(165) La presa di Pskov Se nel 1200 l'avanzata dei Tartari era stata interpretata dagli oratori e dai cronisti come la fine di un evo di prosperità della terra russa e come punizione per i peccati del popolo cristiano, l'affermarsi dell'egemonia di Mosca all'inizio del XVI secolo apparve ai cittadini dei vari principati sottomessi un evento non meno grandioso e crudele, pure attribuibile all'ira divina. Troviamo memoria della caduta di Pskov e dell'abolizione delle sue vecchie libertà nel racconto "La presa di Pskov, come la prese il gran principe Vasilij Ivanovic". Il racconto della presa di Pskov si apre col ricordo delle antiche libertà e con la constatazione del graduale espansionismo di Mosca. La fine di Pskov è narrata con un senso di rassegnata mortificazione di fronte allo strapotere di Mosca ed al volere divino. Vasilij III è spietato e non rispetta neppure chi cede alla forza. Afanasij Nikitin in India Dalla carenza di opere nate da impulsi individuali ed illustranti la civiltà anticorussa nella sua interezza nasce l'interesse di quei pochi scritti che rivelano la mano non d'un frate cronista, ma di un laico che scrive per sè, senza commissioni di autorità superiori. Nikitin è un uomo che trascorre anni in paesi lontani, che assimila costumi stranieri e quasi smarrisce il senso della propria fede religiosa. Le sue esperienze individuali si collocano al di fuori delle tendenze politiche e letterarie della sua città. Nikitin è un mercante di Tver'. Dal 1466 al 1472 compì un avventuroso viaggio che, benchè non fruttuoso dal punto di vista del commercio, gli permise di acquistare conoscenze eccezionali. Egli avrebbe voluto recarsi in Persia per via fluviale, lungo il Volga, unendosi – insieme ad altri uomini d'affari di Tver' e Mosca. - al seguito di un ambasciatore di Semacha (Azerbajgian), Papin, che rientrava in patria dopo aver visitato la corte moscovita di Ivan III. Papin partì invece un po' prima. Nikitin, insieme con l'ambasciatore arzebajgiano, tentò la fortuna armando in proprio due navi che, però, finirono male: una venne caturata dai Tartari e una si infranse contro le coste danesi. Perdute navi e merci, il ricco mercante divenne un naufrago. Ospitato sul vascello dell'ambasciatore di Semacha, continuò il viaggio per mare sino al Caspio. Poi, raggiunse Persia e India, dove visse a lungo, unendosi ad abitanti locali, assimilando le loro abitudini e le loro credenze religiose. Tornò in patria ormai semi-islamizzato. La relazione di viaggio intitolata "Viaggio oltre i tre mari" entrò in raccolte annalistiche. La parte centrale del racconto, la più ricca e vivace, riguarda l'India. Nikitin narra le sue peripezie nel continente favoloso, descrive costumi e paesaggi indiani. Il mercante di Tver' usa sì frasi e vocaboli che ricordano lo stile dei "palmisti", ma questo dimostra tutt'al più che certe formule non erano dominio esclusivo di un genere letterario, bensì patrimonio linguistico comune del medioevo slavo ortodosso. L'eccezionalità del componimento consiste nell'assenza di motivi obbligati, nell'essere ogni descrizione di meraviglie giustificata dalla meraviglia dell'oggetto in sè, senza allusioni simboliche. Nel mare dell'India il viaggiatore russo quasi si perde: la fede musulmana non gli sembra peggiore di quella cristiana, poichè anche i musulmani adorano un Dio Padre e, tra l'altro, credono in Adamo. Nikitin è divorato da dubbi e rimorsi, si rende conto di aver perduto la fede dei padri e ne soffre sinceramente. In molti passi del racconto Nikitin parla e prega in lingue imparate durante il lungo peregrinare, a volte utilizzando anche un miscuglio di dialetti turchi. Ormai per lui "Allah" significa "Dio". Il profugo russo, nutrito di fede, non può vivere senza una quotidiana pratica religiosa. Il suo smarrimento documenta un atteggiamento spirituale connaturato con la civiltà russa in cui il settarismo slavo ortodosso era uno strumento politico: la massa devota della terra russa era nutrita soltanto da religiosità. La sua vita era scandita dalle ricorrenze sacre, dall'alternarsi dei digiuni e delle feste del trionfo cristiano. Chi, come Nikitin, veniva a trovarsi nell'impossibilità di vivere secondo le tradizionali norme liturgiche ortodosse doveva sottomettersi ad un'altra guida, abbracciare una fede ed obbedire a non importa quale legge pur di non restare abbandonato in un mondo sul quale scendevano dal Cielo quotidiani comandamenti. Nikitin è un mercante, non un prelato e neppure un principe, egli non conosce gli intrecci lessicali o le formule dotte, ma è pur sempre uno scrittore. La sua posizione economica nella società di Tver' gli aveva permesso di farsi una cultura; possiamo perciò considerare la sua maniera di esprimersi uno specchio della lingua comune vigente tra i ceti superiori delle città. LE ERESIE Il primo massiccio movimento ereticale sorse nella zona di Novgorod ed in quella di Pskov tra la fine del XIV secolo e i primi anni del XV secolo. Il fatto che l'eresia si sia diffusa da territori russo-occidentali, a contatto con la Polonia-Lituania e quindi con il mondo cattolico, ci fa pensare ad una migrazione ideologica. A Novgorod, verso il 1470, ossia negli ultimi anni della sua indipendenza, si diffuse l'eresia giudaizzante, la quale era critica nei confronti della Chiesa ortodossa ufficiale. Questi eretici insorgevano non solo contro l'organizzazione ecclesiastica, legata agli interessi terreni, ma anche contro i dogmi fondamentali: negavano la Trinità, Cristo come il Messia, l'autorità indiscriminata delle Scritture e del clero. Criticavano pratiche come il culto delle immagini e delle reliquie, il conservatorismo della metropolia Moscovita e dell'alto clero dominante. Gli eretici, le loro opere ed i loro centri vennero condannati e distrutti. Quando gli eretici incominciarono a proclamare alcune loro tesi, rifacendosi, a passi della Bibbia , la Chiesa Ufficiale si trovò spesso nell'impossibilità di replicare a dovere, perchè non esisteva ancora una versione completa della Bibbia in slavo. L'arcivescovo di Novgorod, Gennadij, sostenitore della centralità moscovita, si mise allora all'opera perchè la Chiesa avesse una versione tradotta ufficiale della Bibbia. Gennadij ricorse a fonti extrarusse, cercò traduttori dal greco, dal latino e dal tedesco. Tutto il materiale a disposizione nella biblioteca della cattedrale di Santa Sofia a Novgorod e negli archivi russi venne utilizzato. Si fece inoltre ricorso alla Bibbia tedesca nella versione quattrocentesca. Ne risultò un'opera di grande valore, anche se spesso inesatta. Vari passi della Bibbia gennadiana rivelano la mano di traduttori stranieri non perfettamente padroni del linguaggio ecclesiastico slavo. Talvolta il termine latino o germanico è lasciato nella forma originale. La grande repressione delle sette dissidenti venne guidata da Gennadij e da Iosif da Volokalamsk, fu quest'ultimo ad identificare l'eresia giudaizzante con il partito polonofilo di Novgorod. A lui si contrappose Nil Sorskij, il quale rimase volontariamente lontano dalle grandi passioni politiche e cercò di condurre i fratelli di fede ad una vita cristiana basata sulla preghiera, sull'umiltà e sulla povertà. Dopo aver trascorso un periodo di studio sul Monte Athos, tornò in Russia e diventò un eremita in una terra solitaria oltre il Volga. In breve molti altri lo seguirono e vennero detti i "Monaci d'oltre Volga". Contro i metodi violenti, contro il rogo e la spada, i monaci d'oltre Volga difesero la tesi dell'umile preghiera e della fiducia nel Signore al quale soltanto è permesso di stroncare una vita umana. Importante fu anche la discussione fra le due correnti sul tema delle proprietà ecclesiastiche: le comunità religiose possedevano, nello stato di Ivan III, terreni immensi. Lo stesso principe dovette, in un certo momento, favorire le critiche dei monaci d'oltre Volga, per far fronte ad una potenza economica che minava la sua sovranità. Nil e i suoi seguaci affermavano che il religioso non ha bisogno di ricchezza, che deve rinunciare ai possessi materiali per dedicarsi completamente alla sua missione spirituale. Cultura del riso Il nostro medioevo aveva i saltinbanchi. Queste figure della cultura medievale europea, ma anche orientale sono accettate dalla chiesa originariamente. Anche i grandi principi della Rus si contornano di questi saltinbanchi. Essi hanno la funzione specifica di tramandare storie, attraverso anche i canti popolari, grandi contenitori di memoria che danno la possibilità di trasmettere ed evocare gesta del passato, avvenimenti che hanno reso glorioso il popolo. Gli Skomoroxi portano anche storie di quotidianità e la loro ilarità in molti casi è determinata dalla rivisitazione satirica di certe dinamiche e figure politiche e spitiruali. Nella prima fase della Rus c'è un grado di accettabilità che sparisce in un momento di conservazione radicalizzazione da parte della Chiesa ortodossa. Dobbiamo quindi considerare dei passaggi in un cui lo Skomorox è perfettamente integrato a corte e nella società medievale, e altri passaggi storici in qui la stessa figura con le stesse funzioni viene censurata e repressa. Da questo punto di vista nascono interpretazioni sulla funzione dello skomorox nella letteratura russa antica: qual è la funzione di queste figure? Sono personaggi rappresentanti quel mondo per come è o lo capovolge e ce lo restituisce in una chiave satirica? Lo skomorox è un musicante, si accompagna con diversi strumenti e dimostra anche doti circensi, è cantastorie e buffone a corte, perchè è accettato ed invitato dentro ad un contesto privilegiato della classe dirigente, ma anche tra il popolo. E' una figura che ha la capacità di trasferirsi da centro e periferia, popolo e potere. La sua funziona era quella di instaurare dei momenti polemici di derisione e di beffa che si risolvevano nel riso. Lo scopo dello skomorox e del fenomeno che porta con sé è il fenomeno della satira, parodia che in una fase di repressione e censura dei costumi, saranno quei generi assolutamente proibiti nella letteratura. In particolare nel 1200, l'ultima fase della Rus di Kiev, e nella fase di passaggio dalla Rus di Kiev e quella di Mosca, da tutto '300 alla metà del 400 (fase coincide con la dominazione tataro-mongola). In questa fase, la chiesa, che è detentrice esclusiva di tutto ciò che è letteratura, interpreta in chiave conservativa l'idea della letteratura come necessità di tramandare ciò che era stato già prodotto o di narrare ciò che sta accadendo. Tutto ciò che viene percepito come estraneo alla cultura scritta slavo ecclesiastica viene emarginato come pericoloso, contaminato con altre civiltà. Infatti fenomeni di satira e parodia diventano frutto di qualcosa che non è più riferibile solo alla cultura pagano slava, c'è una contaminazione con altri elementi di paganesimo non slavo. Tutto ciò favorisce la censura delle derisioni dei costumi e delle autorità da parte degli Scamaroxi. Saranno Ivan III e Ivan IV a restituire una parziale libertà al fenomeno. Prese posizione contro le proprietà ecclesiastiche e osò dichiarare illegitima l'autocefalia proclamata dalla Chiesa russa senza il consenso del Patriarca bizantino. Denunciò il potere politico nella terra russa e i soprusi dei potenti e degli avidi a danno della vera legge. Tutte queste opinioni lo ridussero in disgrazia; fu giudicato, condannato e rinchiuso in un monastero per 31 anni. L'influenza di questo illuminato umanista ortodosso stimolò la Russia nel maturare una nuova coscienza letteraria; Maksim Grek propose modelli stilistici elevati, servendosi di metafore, dotte citazioni. ANDREJ KURBSKIJ Andrej Kurbskij era un principe bojaro discendente dei Rjurikidi. Dopo essersi più volte urtato con Ivan IV il Terribile, del quale non accettava la politica interna di assoggettamento dei principati russi e la politica estera per la guerra di Livonia, abbandonò il suo paese e chiese asilo al re di Polonia, Sigismondo Augusto. Partecipò anche ad azioni militari contro la sua patria. Fra il bojaro ed Ivan il Terribile vi fu uno scambio epistolare che costituisce un documento di letteratura polemica del tempo. Dal suo asilo polacco, Kurbskij rinfacca allo Zar varie colpe, quest'ultimo, offeso, gli risponde con una lunga argomentazione che il bojaro giudica severamente sia per il suo contenuto che per lo stile. In queste epistole si incrociano motivi di interesse generale e motivi personalissimi; nel progredire della polemica le guerre, le vittorie e le sconfitte sembrano diventare fatti privati. Quando Ivan IV riesce a conquistare la città di Wolmar, dove Kurbskij aveva fissato la sua residenza sotto la protezione polacca, lo zar si affretta a scrivere all'avversario come per umiliarlo. D'altra parte Kurbskij si rivolge al sovrano ricordandogli il periodo della prima adolescenza in cui il signore moscovita seguiva gli insegnamenti dei consiglieri ed era animato da altri pensieri. Kurbskij lo esorta a ravvedersi per salvare l'anima e la patria. Ivan, però, reagisce inveendo contro i bojari, che avrebbero solo voluto approfittare della sua giovane età per renderlo un insignificante strumento nelle loro mani. Kurbskij accusa Ivan di avere distrutto la nobiltà e la religiosità russa, ma lo zar insiste con mille argomentazioni sul suo diritto di autocrate di disporre della vita e della morte dei suoi sudditi. Il bojaro ostenta la sua cultura letteraria e critica lo stile usato da Ivan IV, per lui indegno d'un sovrano. Il principe profugo teme di essere disprezzato per la rozzezza dei patri costumi. L'immagine di una Moscovia incolta e tirannica, opposta alla libera e cattolica Polonia latineggiante, andava diffondendosi nell'Europa orientale. Kurbskij si preoccupa di far apparire ogni possibile inciviltà moscovita come risultato di un regime tirannico e di dimostrare che la voce della cultura russa sarebbe ben diversa se al potere non ci fosse un autocrate fanatico ed una schiera di cortigiani, ma ci fossero invece uomini della sua statura spirituale e sociale. L'EPOCA DEI TORBIDI La storiografia russa definisce gli eventi del primo Seicento col termine "torbidi". Le trasformazioni imposte da Ivan il Terribile, come la dipendenza della Chiesa dallo Stato, crearono le premesse per il distacco della vita russa dalle norme antiche della legge slava ortodossa. Alla morte dello Zar Ivan IV (1584) ci fu una crisi interna dovuta interna dovuta alla temporanea vacanza del potere. Infatti lo Zar, Fëdor Ivanovič, che seguitò Ivan il Terribile non era capace di rinsaldare il prestigio dell'autocrazia e, dopo di lui, Boris Godunov su sopraffatto dalle rivolte interne, dalle rivalità tra bojari e dall'intervento polacco armato. L'avanzata della Polonia verso Mosca avrebbe dovuto realizzare il sogno di un grande impero slavo retto dai sovrani cattolici di Varsavia, in cui si sarebbero annullate le rivalità fra cristiani d'Occidente e d'Oriente, l'unità polacco-russa doveva porre le basi di una nuova unità europea. La lotta contro gli invasori polacchi assunse in Russia l'aspetto di una grande difesa della Slavia ortodossa, della sua tradizione religiosa e politica, dalle mire annessionistiche della cristianità occidentale. Il sogno cattolico-polacco non venne realizzato e, non molto dopo la ritirata dalla Moscovia, la Polonia andò verso il declino. I torbidi parvero chiusi quando, nel 1613, venne eletto Michail Romanov, anche se la stabilità politica non si raggiunge fino alla metà del secolo. Sotto Michail, capostipite della seconda grande dinastia russa, (i Rjurikidi s'erano estinti con Fëdor Ivanovič) continuarono le guerre contro la Polonia per il possesso di Smolensk, mentre da Sud incombeva la minaccia dei Tartari di Crimea e dei Turchi. Nel volgere di pochi decenni lo stato costruito da Ivan il Terribile si sfascia e si ricostruisce, stenta a ritrovare l'equilibrio interno e intanto si ingrandisce. Ricercando nuove terre e nuovi sbocchi commerciali, i condottieri russi si spingono nella Siberia orientale, minacciano le frontiere cinesi, si affacciano al Pacifico. Quete imprese favoriscono l'estensione dell'impero. A causa di questi avvenimenti, nel primo Seicento, il processo evolutivo della letteratura del XVI secolo pare interrompersi. Come ai tempi dell'invasione tartarica e di quella germanica arrestata da Nevskij, un unico tema ed un'unica preoccupazione sovrastra ogni altra: difendere la patria slava ortodossa. Le opere scritte nella Moscovia durante e subito dopo le invasioni polacche appaiono ispirate dalle tradizionali forme stilistiche del lungo medioevo slavo ortodosso. Il loro motivo principale è il patriottismo a sfondo religioso: gli scrittori si lanciano contro i Polacchi, contro i cattolici utilizzando l'antica tecnica delle citazioni e dei riferimenti biblici. Terza influenza slavo meridionale Il secondo zar della famiglia Romanov, Aleksej Michailovic, consolidò il potere centrale. L'ingrandimento territoriale dell'impero moscovita insieme alle nuove correnti culturali portò ad una trasformazione interna della civiltà russa. L'influenza culturale di territori ucraini e bielorussi, i quali erano stati a contatto con la civiltà umanistica di Polonia, accelerò l'evoluzione della letteratura e della vita spirituale russa verso forme meno tradizionali. Dall'Ucraina affluiscono nella Moscovia prelati e monaci che diffondono concezioni religiose e politiche spesso in contrasto con quelle moscovite. Il clero ucraino, a partire dalla fine del Cinquecento, veniva istruito in scuole fondate da varie confraternite sul modello occidentale. A Kiev, nel 1631, Pëtr Mogila, di Metropolita origine moldava, creò un Collegio in cui si insegnavano non solo teologia e filosofia, ma anche retorica e varie discipline di letteratura profana. Nella Moscovia, molto spesso gli immigrati dalle terre occidentali vennero accolti con diffidenza perchè sospettati di condiscendenza verso l'Occidente cattolico. Ma le loro stesse doti culturali li portarono a posizioni gerarchiche di primo piano. Per loro iniziativa, anche nella Moscovia vennero istituite scuole analoghe al Collegio mogiliano di Kiev dove, per la prima volta, accanto allo slavo ecclesiastico e al greco, si insegnò anche il latino. Simeon Polockij e la poesia sillabica Nel 1664 si stabilì a Mosca un monaco bielorusso nativo di Polock: Simeon Polockij, il quale si formò nel Collegio mogiliano di Kiev e in collegi polacchi. Scrisse inizialmente in polacco ed in latino, poi si cimentò in componimenti nella lingua letteraria siffusa allora in Ucraina e Bielorussia e, infine, adottò stabilmente lo slavo ecclesiastico. Simeon Polock fu il primo poeta della Moscovia, ovvero il primo autore che concepì la poesia come autonoma forma espressiva, con precise regole di versificazione. Sulla base di precedenti tentativi in polacco e bielorusso, egli introdusse la "poesia sillabica". Simeon usò un numero fisso di sillabe, l'accento non aveva una funzione essenziale poichè il sistema del verso era concepito secondo le leggi linguistiche del polacco, dove di norma tutte le parole sono piane. Questo fece sì che l'effetto musicale finale fosse non armonioso e monotono. l risultato finale ricorda la poesia occidentale barocca. Nelle sue poesie si esaltano virtù, si condannano vizi con riferimenti sia alla dottrina cristiana che alle tesi politiche e sociali dello stato autocratico. La prima raccolta di Polockij conviene una lunga serie di componimenti, suddvisi secondo il tema e disposti in ordine alfabetico. La formazione occidentale, prevalentemente latina, di Polockij risulta evidente per la trattazione dei temi storici. Al posto di personaggi biblici come nelle povesti slave orientali, troviamo personaggi della classicità. La Grecia invece è rappresentata da figure dell'età pagana. IL RASKOL E AVVAKUM La crisi della Chiesa moscovita raggiunge il culmine tra il 1650 ed il 1670. Tutti i partiti volevano salvare la Chiesa ed il suo patrimonio spirituale: il Patriarca voleva riportarla alla dignità di erede di Bisanzio, i religiosi anticonformisti erano pronti al martirio per essa, lo Zar Aleksej Michajlovic – che conduceva una vita pressochè monacale nella reggia – era nutrito da ideali slavo ortodossi, per cui òa sia politica di espansione vero la Slavia meridionale e Costantinopoli era presentata come difesa della vera Chiesa. Dunque, non fu il contrasto tra energie laiche ed ecclesiastiche che provocò il tramonto slavo ortodosso, quanto la scissione interna del complesso ideologico confessionale che era la Chiesa. L'alleanza tra Chiesa e monarchia era stata consacrata nel 1619, dalla nomina a patriarca moscovita di Fëdor Nikitič Romanov. Nel 1652 Nikita Minov, di origine contadina, divenne patriarca; si scontrò spesso con lo zar Aleksej Michajlovic. Nel 1652 Nikon, per protestare contro il potere laico, si ritirò in volontario esilio nel Monastero della Resurrezione, sperando che il suo gesto creasse una crisi tale per cui lo stesso zar si sarebbe dovuto piegare al suo volere. Cosi non fu. Aleksej Michajlovic non richiamò il Patriarca e lo fece deporre da un cincilio nel 1666-'7. Così tramontò l'ultimo sogno di governo ecclesiastico nella Moscovia. Dopo Nikon, prevalse sempre più il potere laico, sino alle riforme di Pietro il Grande. Altrettanto sfortunata fu la politica di Nikon: volendo elevare l'ortodossia russa al livello di ortodossia universale egli impose una serie di riforme liturgiche. Queste suscitarono una violenta opposizione fra quei religiosi russi per cui la fede era espressione di una tradizione spirituale indigena. Le riforme ecclesiastiche di Nikon vennero approvate da un Concilio nel 1656, ma vari dissidenti non rinunciarono alla lotta e si staccarono dalla Chiesa ufficiale. Sorse cosi il grande "Raskol", ovvero "Scisma" che oppose il patriarcato di Mosca ad una Chiesa autonoma. Gli aderenti al "Raskol" vennero detti "raskol'niki"; essi rifiutarono di accettare i libri liturgici con le correzioni introdotte da Nikon, di fare il segno della croce con due dita anzichè tre etc. Al loro fianco si schierarono una parte della nobiltà conservatrice, della borghesia cittadina, del popolo contadino. I vecchi credenti si batterono contro le riforme di Nikon. I loro capi, come Avvakum, subirono il martirio pur di non rinunciare alla propria fede. I vecchi fedeli polemizzarono a lungo con il patriarcato moscovita e poi si rivolsero direttamente alla massa dei fedeli per difendere i loro "Raskol". I loro testi inoltre riflettono più un disorientato sentimento d'ostilità verso la nuova cultura che una consapevole fedeltà alla tradizione. Molto spesso mancano le basi critiche del loro rigorismo, valido solo sul piano affettivo. Il primo martire dei vecchi credenti e loro capo spirituale fu Avvakum Petrovic, un prete di campagna che si era da sempre impegnato nella lotta contro Nikon. Nel 1647, a Mosca, acquistò fama nell'ambiente dei difensori della Chiesa, che lo stesso zar Aleksej Michajlovic raccoglieva intorno a sè. Avvakum condannava ogni peccaminosa forma laica di vita e la violenta opposizione alla riforme di Nikon gli procurò l'esilio in Siberia, nel 1653.
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