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Riassunto "La nascita del nuovo teatro in Italia 1959-1967", Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Riassunto capitolo per capitolo, dettagliato del manuale

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 28/01/2023

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Scarica Riassunto "La nascita del nuovo teatro in Italia 1959-1967" e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! La nascita del nuovo teatro in Italia 1959-1967 Capitolo 1: l’esordio di un nuovo teatro 1.1 1959: una data di inizio Alla fine del 1959 si assiste a tre esordi importanti a Roma. A partire da questo momento si comincia a parlare di nuovo teatro in Italia. In questo periodo abbiamo dunque l’esordio di Claudio Remondi che con la Compagnia del teatro Vocazionale allestisce la Moschetta di Runzante, poi quello di Quartucci che con la Compagnia universitaria Latino-Metronio mette in scena il suo primo Aspettando Godot (sue sono la regia e le scene e sua la parte di estragone, è sia regista che attore), infine Carmelo Bene che con la Compagnia de I Liberi debutta come attore nel Caligola di Albert Camus, con la regia di Alberto Ruggero. Questi artisti saranno i punti di riferimento del teatro di ricerca negli anni ’60. Questi spettacoli pongono sulla scena una questione fondamentale, cioè la questione del rinnovamento del teatro  questo rinnovamento doveva avvenire sul piano del linguaggio. Remondi, Quartucci e Bene intraprendono ciascuno il proprio percorso, ma tutti e tre fanno un’opera di rinnovamento del linguaggio e delle convenzioni del teatro ufficiale , contestandone i metodi, le finalità e ponendosi fuori dalla logica commerciale. Per Quartucci un importante punto di riferimento è sicuramente Beckett. La drammaturgia di Beckett gli da ispirazione e gli permette di sperimentare un uso non narrativo, non realistico della parola, del gesto e della scenografia, che vengono considerati come mezzi autonomi. La scrittura di Beckett ha una qualità molto scenica, cioè il testo è una macchina di teatro, che al di fuori della scena resta incompleto. La didascalita usata da Becket quindi da corpo concreto alla scena. Carlo Quartucci di origine siciliana si è trasferito a Roma per frequentare la facoltà di architettura e proprio nell’ambiente universitario trova gli attori della sua compagnia. Comincia a provare Aspettando Godot all’interno della Chiesa della Natività, non avendo mezzi per prendere in affitto una stanza. Egli sceglie di mettere in scena Aspettando Godot senza in realtà conoscere a fondo la drammaturgia di Beckett, solo in un secondo momento scopre il valore della sperimentazione del testo. Quartucci in realtà non è nuovo nel teatro, perché fin da piccolo ha vissuto al seguito della compagnia teatrale con cui il padre e la madre viaggiavano nel meridione dell’Italia (tra Sicilia e Calabria), allestendo farse (all’interno della compagnia il padre faceva il capocomico, l’attore, l’amministratore, mentre la madre era un’attrice e faceva principalmente le parti da uomo). Un fattore importante per la formazione di Quartucci è anche la scoperta della pittura moderna di Mondrian, Van Gogh, ecc. la cui influenza è visibile in Aspettando Godot, in cui è usato un linguaggio astratto e altamente formalizzato nella parola, nel gesto e nella scenografia. Questo spettacolo anticipa i principi su cui si fonderà il percorso artistico di Quartucci fino alla metà degli anni Sessanta. Abbiamo la volontà di rifondare il linguaggio teatrale, la volontà di rinnovare la drammaturgia, l’utilizzo di un linguaggio stilizzato, l’attore che diventa elemento equivalente alle altre componenti spaziali e sonore, infine la concezione del teatro come un’esperienza di compagnia , di gruppo . Nel percorso artistico di Quartucci, infatti, l’elemento collettivo è essenziale. Al contrario Carmelo Bene tende a porsi come protagonista assoluto già ai tempi del suo debutto con Caligola. Egli aveva cominciato a lavorare a questo spettacolo all’interno dell’Accademia Silvio d’Amico con il collega Ruggiero. La preparazione dello spettacolo dura due anni. Carmelo Bene partecipa anche alle polemiche mosse contro l’accademia Silvio d’Amico (in cui tuttavia si forma). Bene si impone subito sulla scena italiana come un’alternativa. La compagnia teatrale dei Liberi è il primo gruppo più ribelle nel teatro italiano e per questo incuriosiscono il teatro ufficiale  in effetti alla prima rappresentazione del Caligola ci sono tutti i grandi nomi del teatro. Il debutto di Carmelo Bene è contrassegnato da una volontà di provocazione che lo farà subito emergere dall’anonimato e che accompagnerà anche i suoi spettacoli successivi. È il primo artista di un teatro non ufficiale a comparire in una recensione sulla rivista “Sipario” (rivista che verso la metà degli anni ’60 comincerà a interessarsi degli spettacoli più sperimentali). Carmelo Bene si pone subito sulla scena italiana come il “caso” che fa discutere per diverse sue qualità. I critici registrano nei suoi primi spettacoli già qualcosa di scandaloso e grande. L’attenzione dei critici si concentra soprattutto sul tipo di recitazione di Bene. Le informazioni sul sorprendete modo di recitare di Bene oscillano tra posizioni opposte: da un lato vi è chi sottolinea lo sconcerto nei confronti di questo personaggio inclassificabile, dall’altra chi riconosce in lui un esponente continuatore della grande tradizione dell’attore all’italiana . Ma ciò che colpisce più i critici è la sperimentazione sulla voce – “non c’erano né microfoni, né amplificazione, ma era come se ci fossero”. Inoltre, Bene è al suo debutto, ma ostenta già un’indifferenza verso il pubblico, una sicurezza enorme. Questo si può dedurre anche dal nome che decide di utilizzare per il suo primo spettacolo: Carmelo Bene Junior  si presenta quindi come il doppio di sé stesso, ma di minore età e meno celebre. È una sfida. L’artista sceglie di mostrarsi al pubblico come doppio minore di un eventuale grande artista. Avrebbe abbandonato questo nome quando il successo lo avrebbe portato verso una fase di maturità maggiore in modo da diventare un grande artista. Il suo esordio fece si che da quel momento in poi poteva già smettere di definirsi Junior. L’esordio di Remondi sulla scena italiana è sicuramente meno eclatante rispetto a quella di Bene. Egli, a differenza di Bene e di Quartucci, non segue degli studi accademici e non ha rapporti con l’università, ma giunge al teatro per altre vie, ad esempio ascoltando Sivlio d’Amico alla radio, guardando tutti gli spettacoli più importanti che arrivavano a Roma, ecc. Intraprende quindi un percorso di ricerca più faticoso, la sua preparazione si basa su uno studio disorganico dei testi teatrali che gli capitano sottomano. Ad un certo punto viene profondamente colpito da La Moscheta di Ruzante e decide di provare con questo testo le sue abilità registiche. Crea quindi una compagnia teatrale denominata I Vocazionali, costituita da giovani dilettanti e una sola attrice. Con questa compagnia allestisce La Moscheta sotto un tendone da circo (Teatro La tenda). Con questa rappresentazione girano diverse zone di Roma, anche la periferia, inseguendo il sogno di un teatro popolare e accessibile, ma anche di qualità. Lo spettacolo ha un piccolo riscontro, ma grande se si tiene conto del fatto che Remondi fosse sconosciuto. Inoltre, negli stessi giorni La Moscheta era in scena in un’edizione di Cesare Baseggio e Elsa Vazzoler. I critici mettono in evidenza la scelta di Remondi di fornire il testo in traduzione italiana: è una decisione molto discussa e considerata filologicamente scorretta, irrispettosa del testo e inadeguata. Nonostante ciò, questi giudizi negativi hanno un valore formativo forte per Remondi, offrendogli un’occasione per un primo confronto con la realtà. Sebbene questi tre artisti siano molto diversi tra di loro per formazione, gusto, obiettivi, la loro apparizione contemporaneamente sui palcoscenici rappresentano un segnale forte della volontà di cambiamento all’interno del mondo teatrale istituzionale . Alla fine degli anni ’50 infatti si assiste a un esaurirsi della spinta creativa degli artisti che avevano fondato la regia in Italia nel dopoguerra e che ora erano insediati alla guida alla guida dei teatri stabili . Questo tipo di teatro, quindi, comincia ad entrare in crisi anche se si continuano a produrre spettacoli importanti fino agli anni ’70 (es. le produzioni di Strehler). Inoltre, si assiste anche a una crisi economica dovuta al calo della vendita dei biglietti  ciò porta i funzionari e i responsabili dei teatri stabili a dare una maggiore importanza alla promozione e alla organizzazione, dando quindi minore importanza alle questioni artistiche-culturali dei registi/autori. Pandolfi sia per il dottor Jekyll che per Gregorio. Secondo Pandolfi “Bene continua nella sua solitaria protesta contro il teatro convenzionale…” attraverso “penose esibizioni”. L’opera di Bene pone fin dai suoi esordi un problema interpretativo: il suo scandalo non è culturale ma tecnico. Egli è un grande attore, un regista, saggista. La sua arte, come sottolinea Petrini, si richiama alla tradizione del grande attore all’italiana rendendola in modo antipoetico. Anche dal punto di vista organizzativo e produttivo le sue scelte si pongono in linea di continuità con la tradizione italiana del capocomicato . Bene esordisce nel 1959 con Caligola in uno spazio tradizionale come il Teatro delle Arti. La novità della figura di Bene sta proprio nell’ambiguità della sua opera, divisa tra tradizione e rivoluzione. Questo ne fa fin da subito una figura scomoda. Carlo Quartucci invece ha un’inclinazione più “collettiva”. Abbandonata la sua prima compagnia (Latino-Metronio) ne crea subito una nuova insieme a Claudio Remondi . Dopo l’esperienza del Teatro La Tenda, che presto fallisce per mancanza di pubblico, Remondi affitta un teatrino a Trastevere che chiama “Il Leopardo”. Nello stesso periodo frequenta un teatrino chiamato “Il Millimetro”, dove un regista dilettante gli chiede di preparare sua figlia per le selezioni dell’Accademia Silvio d’Amico e di farle da partner in un pezzo degli Innamorati di Goldoni. Nel giorno degli esami di ammissione dell’Accademia, Remondi conosce Quartucci e, scoperti i comuni interessi e obiettivi artistici, gli mostra il teatrino che aveva affittato. Quartucci allora decide di lavorare insieme a Raimondi per allestire Le Sedie di Ionesco. Lo spettacolo debutta al Teatro Goldoni nel 1961 (il Leopardo viene dichiarato inagibile). Il 1961 segna per Quartucci e Remondi l’inizio di un sodalizio destinato a durare anni. Allo spettacolo assistono Anna d’Offizi e Rino Sudano. Al CUT Quartucci conosce anche Leo de Berardinis. Questi giovani, poco più che ventenni e entusiasti del teatro, si uniscono in una compagnia che viene chiamata “della Ripresa”, perché intendono ripartire da zero. I principi di rinnovamento estetico di questa compagnia si fondano sulla ricerca di un nuovo uso del linguaggio e si oppongono al vecchio naturalismo, ai vecchi codici teatrali inadatti a comunicare con il pubblico. La ricerca sul linguaggio si proietta anche in una prospettiva politica. Dunque, in Italia cominciano a circolare nuove idee, determinate in gran parte dall ’insoddisfazione verso il sistema teatrale ufficiale . Di questa situazione si rende conto Bartolucci  il critico che darà maggiore sostegno teorico al teatro di ricerca in questi anni . A favorire questo sviluppo culturale, contribuiscono, nel 1962, alcuni fattori strutturali: l’abolizione ufficiale della censura preventiva, che determina una proliferazione di esperimenti; la presenza di Franco Quadri , un critico molto aperto al rinnovamento, nella direzione della rivista “Sipario”; l’istituzione dell’insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo presso l’Università di Roma. Inoltre, in Italia cominciano a circolare saggi sul teatro europeo che contribuiscono ad aggiornare le teorie sceniche e drammaturgiche (Brecht, Majakovskij, Antonin Artaud). Il testo di Marotti “Gordon Craig” (1961) ha il merito di diffondere in Italia il pensiero del teorico molti anni prima della pubblicazione dei suoi scritti tradotti. Mario Ricci invece legge gli scritti di Craig in francese durante il suo soggiorno a Parigi, dove si era recato alla fine degli anni Cinquanta per approfondire le sue conoscenze artistiche. Sarà proprio la conoscenza delle teorie di Craig a indirizzarlo verso il teatro. Al suo ritorno in Italia, infatti, Ricci intraprende una ricerca scenica orientata verso il visivo. Si pone in questo modo tra i protagonisti della sperimentazione teatrale degli anni Sessanta e come precursore delle nuove tendenze che si sviluppano successivamente. Nelle sue opere è chiaro il legame con il futurismo. Un altro punto di riferimento è Prampolini  Prampolini porta alle estreme conseguenze la sperimentazione nei confronti dell’attore di Craig. Prampolini, infatti, esclude dalla scena non solo la presenza umana, ma anche il sostituto artificiale, cioè la marionetta, affidando la creazione dello spettacolo ai giochi cromatici e al dinamismo tra elementi architettonici. Di fondamentale importanza per il percorso artistico di Ricci è anche l’esperienza a Stoccolma, dove nel 1961 assite a uno spettacolo di Harry Kramer, che sostituisce le normali marionette con il movimento di macchine e sculture. Ritornato a Roma nel 1962 Ricci presenta il suo primo spettacolo, Movimento n.1 per marionetta sola. Con questo spettacolo Ricci intendeva realizzare un’azione visiva utilizzando materiali eterogenei e oggetti vari, le luci e il sonoro non fanno da semplice accompagnamento alla parola e all’azione, ma si integrano con esse. Il problema del rinnovamento linguistico è affrontato da Ricci attraverso l’introduzione di nuove tecniche e di nuovi materiali. La sua forma spettacolare è anti-mimetica, anti-narrativa. Secondo Ricci l’essenza del teatro è il movimento: il teatro nasce cioè da una sintesi di spazio e tempo, che produce movimento. Lo scopo della sperimentazione di Ricci è giungere, attraverso un teatro di sola visione, a provocare una reazione nello spettatore. Queste immagini sono collegate tra di loro non da un filo conduttore ma solo tecnicamente  questo costringe lo spettatore a delle reazioni. Questa ricerca, quindi, mira a un coinvolgimento diretto del pubblico, che non deve cercare di interpretare i segni scenici, ma deve limitarsi a recepirli come immagini. Nel percorso di Ricci assume un grande rilievo la componente ludica oltre all’aspetto sperimentale. Gli elementi scenici non comunicano una storia, ma rimandano a sé stessi  si tratta di un puro atto visivo. Si tratta di una rappresentazione astratta che ha come obiettivo una comunicazione non narrativa. Nello stesso periodo comincia a circolare in Italia la Teoria del dramma moderno di Peter Szondi. Questo libro pone la questione della “morte del dramma”. L’elemento principale del dramma viene posto in crisi. Il processo si completa con l’opera di Bertolt Brecht, in cui abbiamo una contrapposizione tra soggetto e oggetto anche nella forma (non solo nel contenuto). Il 1962 è un anno cruciale per la conoscenza di Brecht in Italia. Nello stesso anno Eco pubblica il libro con cui espone l’idea di opera aperta . Eco parte dall’analisi degli esperimenti della nuova musica per illustrare la poetica dell’opera aperta. In questo contesto riconosce le nuove tendenze di ricerca del campo della musica, delle arti figurative, della letteratura. L’arte, secondo Eco, non ha il fine di raccontare e di far conoscere il mondo, ma produce delle forme autonome, con leggi proprie. Allo stesso tempo però ogni forma artistica riflette il modo in cui la cultura dell’epoca vede la realtà. In questo periodo le opere di Husserl, Sartre, ecc, mettono in crisi il principio di causalità  si afferma quindi una logica a più valori. La conoscenza diventa sempre più indeterminata e ambigua. L’arte cerca di dare espressione a questa indeterminatezza e ambiguità, se ne vedono i segni nella musica, nella pittura, nel romanzo. Da queste pratiche emerge una nozione più articolata del concetto di forma  non più intesa in senso tradizionale ma come campo di possibilità. Questo indica una visione nuova dei rapporti causa-effetto unidirezionali  è un interagire di forze più complesso. La nozione di “possibilità” invece è una nozione filosofica che propone l’abbandono del concetto di ordine. Secondo Eco un’opera d’arte rappresenta un campo di possibilità quando l’autore trasmette un messaggio aperto e pulrivoco. Il termine plurivoco non indica solo la libertà interpretativa del fruitore, ma la volontà dell’autore di realizzare attraverso l’opera un messaggio aperto. Il fruitore poi può interpretare liberamente questa forma. In alcuni casi, come nella musica, il fruitore è chiamato a collaborare, diventando così co-autore. Il concetto di opera aperta si adatta bene anche al Nuovo Teatro . Negli spettacoli di Bene, Quartucci, Ricci abbiamo un’apertura polisemica, che si realizza attraverso alla voce, il gesto, il movimento e che richiede la decodifica dello spettatore. 1.3 La neoavanguardia letteraria Mentre l’avanguardia teatrale sta ancora nascendo, i gruppi dell’avanguardia musicale e letteraria si sono già sviluppatili Nel 1963 si svolge l’incontro tra i poeti, i narratori e gli autori di teatro che si raccolgono sotto il nome di “Gruppo 63”. Durante questo convegno vengono discusse alcune problematiche legate alla letteratura e vengono lette opere inedite di poesia, di narrativa, di teatro. Secondo Anceschi per quanto riguarda la narrativa e il teatro sarà necessario pensare a una vitalità nuova. Il dibattito si concentra in seguito su alcuni esempi concreti di teatro: per l’occasione il Gruppo 63 presenta uno spettacolo-saggio chiamato “Teatro gruppo 63” composto da testi di autori diversi. Bartolucci parte da questo spettacolo per analizzare la questione della rifondazione dello statuto linguistico del teatro. Bartolucci intuisce l’importanza che la sperimentazione può avere anche in ambito teatrale, in quanto rappresenta un’occasione per smuovere il teatro ufficiale e mostrare nuove possibili maniere di costruzione scenica. Bartolucci e molti sperimentatori del teatro sono consapevoli però della differenza e la distanza tra le finalità del loro tipo di ricerca e quelle del gruppo dell’avanguardia letteraria. Per questo i rapporti tra sperimentazione teatrale e gruppo del ’63 si interrompono in fretta. In una testimonianza Rino Sudano afferma che: “il termine avanguardia non ci interessava…”. Il termine avanguardia entra nel dibattito del Nuovo Teatro in una duplice accezione: da un lato descrive le nuove possibilità del teatro, dall’altra viene negato come concetto, perché gli sperimentatori teatrali rifiutano di riconoscersi in un movimento e hanno anche un rapporto conflittuale con il Gruppo 63. Il termine avanguardia quindi per alcuni artisti assume un significato negativo, in quanto non rispecchia la volontà di rinnovamento  che si basa sul rinnovamento della forma scenica e non semplicisticamente sulla distruzione della forma linguistica tradizionale. Questi artisti, quindi, prendono le distanze dal Gruppo 63 e guardano all’ avanguardia nella sua declinazione primo novecentesca. 1.4 Il nuovo spettacolo: un’organizzazione di segni “materiali” Gli esponenti della nuova avanguardia teatrale, cioè Quartucci, Bene e Ricci, partono da presupposti diversi, ma la loro ricerca va nella stessa direzione. Infatti, tutti e tre si allontanano dal linguaggio tradizionale del teatro per inventarne uno nuovo. Per la ricerca linguistica di Quartucci un ruolo importante è giocato dalla drammaturgia di Beckett. Proprio a partire dal ’63 il regista, con la compagnia della Ripresa, comincia a sviluppare la sua idea di rinnovamento. In questi anni in Italia abbiamo un dibattito importante sulla drammaturgia dell’assurdo (come Beckett). Alcuni critici considerano la drammaturgia di Beckett come la nuova strada da seguire per allontanarsi dal linguaggio teatrale tradizionale e cercare nuove forme drammaturgiche e sceniche. Bartolucci invece mette in evidenza l’aspetto problematico di questa nuova visione. Egli trova nella drammaturgia di Beckett il mezzo per dare vita a un nuovo linguaggio, però la considera un’avanguardia che va superata. La scelta di Beckett, quindi precluderebbe un tipo di sperimentazione più matura. Probabilmente Bartolucci in questo caso ha in mente la sperimentazione estrema di Carmelo Bene. Questa testimonianza dimostra che in questo periodo, sulla scena della sperimentazione italiana, stanno cominciando ad affermarsi due “atteggiamenti”: - Uno più moderato, per cui il testo è punto di partenza imprescindibile - Uno più radicale, per cui esiste un'unica scrittura, quella di scena. Scrittura scenica è un termine che viene introdotto in Italia da Giuseppe Bartolucci in riferimento agli esperimenti scenici degli anni Sessanta. Si tratta di un termine essenziale per prendere in considerazione i nuovi spettacoli, costituiti da un insieme di segni materiali indipendenti dalla presenza di un testo. l’impossibilità di rappresentare un personaggio in scena (affabula, racconta). Il modo di operare di Bene si traduce nell’impossibilità di rappresentare un personaggio se non attraverso la contraddizione parodica. La chiave di lettura degli spettacoli di Bene quindi è la parodia, nel senso etimologico di contrapposizione, deviazione, alterazione e allo stesso tempo vicinanza della rappresentazione  per dimostrare infine la sua irrapresentabilità. Fin da subito attorno agli spettacoli di Bene si accende quella polemica che lo accompagnerà per tutta la vita e che pare determinata (almeno negli anni iniziali) dallo sconcerto un’operazione artistica che non fornisce riferimenti a modi e pratiche teatrali più o meno riconoscibili. 1.5 L’ombra di Brecht Il 1964 segna l’inizio di un momento di passaggio sia sul piano delle operazioni artistiche che del dibattito critico. Si assiste alla comparsa sulla scena italiana dell’opera di Antonin Artaud , che diventa un nuovo modello di riferimento. Si dissolve nei discorsi sul teatro la centralità di Brecht  si parla di “sazietà brechtiana”. Bertolucci imputa la “sazietà brechtiana” al cattivo approccio all’opera di Brecht che si ha in Italia. Per questo motivo, dunque, la drammaturgia brechtiana non avrebbe provocato nel nostro paese una svolta. Sicuramente, afferma Bertolucci, una parte delle colpe sarebbe da attribuire ai registi che non hanno saputo estendere l’area “formale” brechtiana, contaminandola con altre aree. Proprio negli anni in cui si parla di sazietà brechtiana si comincia a parlare di teatralità in termini artaudiani. 1.6 I modelli stranieri nel segno della crudeltà di Artaud. Il secondo passaggio del Living theatre in Italia. Nel 1964 compaiono sulla rivista Sipario alcuni servizi dedicati alla sperimentazione di artisti stranieri. Un altro evento importante è il ritorno del Living theatre in Italia. La compagnia giunge nel nostro paese nel 1965 in una tournée che tocca varie città italiane e mette in scena Mysteries and Smaller, Pieces, The brig e Frankenstein (che viene rappresentato la prima volta alla Biennale di Venezia). Questi spettacoli giocano molto sulla contaminazione tra arte e vita , inoltre impongono un nuovo modello linguistico e comunicativo, che implica un rapporto con il pubblico che viene chiamato a collaborare alla creazione, colpito e sconvolto. La reazione del pubblico, quindi, è parte integrante dello spettacolo. Ovviamente questi esperimenti colgono impreparato il mondo teatrale italiano, che non possiede ancora gli strumenti per decodificare queste opere. A dimostrazione di quanto il Living rappresenti una novità in grado di sconvolgere l’assetto teatrale del nostro paese, possiamo prendere in considerazione la reazione a Frankenstein. Lo spettacolo come sappiamo ha come riferimento il libro scritto da Mary Shelley. Il testo però non rappresenta un vincolo, ma solo un punto di partenza per la creazione. Frankenstein del Living tocca il tema della creazione dell’uomo nuovo, che si libera dalle catene costrittive dei ruoli sociali per attuare una trasformazione, sulla base di un piano rivoluzionario non violento, dando vita a un nuovo ordine, a un nuovo sistema. Il gruppo, quindi, propone un testo noto ma sorprende il pubblico, in quanto il romanzo viene decostruito e filtrato da una lettura ideologica. Lo spettacolo divide la critica italiana presente al Festival di Venezia, allo stesso modo di Zip di Quartucci e Scabia. Si tratta di un’edizione del Festival che per la prima volta ospita esperimenti che mettono in discussione l’idea di spettacolo come messa in scena di un testo. La maggior parte dei critici, infatti, legge gli spettacoli del Living secondo un rapporto di dipendenza tra testo e scena. Queste reazioni sono interessanti perché rivelano l’insufficienza degli strumenti metodologici necessari per comprendere la portata rivoluzionaria della sperimentazione del Living. La critica italiana, non sapendo come classificare quel lavoro, lo nega. In questo contesto comincia ad assumere sempre più importanza la presenza del critico Bartolucci (insieme a Quadri, Fadini), che è tra i pochi ad appoggiare l’operazione del gruppo americano e a sostenere che Frankenstein sia uno spettacolo superiore rispetto agli altri rappresentati al Festival. Il ricorso del Living a esclamazioni e gesto a scapito della parola  sono secondo Bartolucci strumenti espressivi teatrali. Il Frankenstein va considerato in rapporto a ciò che il Living accetta e rifiuta della società da cui proviene (e con la quale spesso è in lotta). Si tratta di un’apertura del teatro verso la vita, che Bartolucci prospetta per l’Italia sin dall’inizio degli anni ’60. Bartolucci non approfondisce solo l’analisi degli spettacoli, ma la poetica del gruppo. Il Living theatre è un veicolo importante del pensiero di Artaud in Italia e inoltre fa emergere quell’inquietudine sul senso del teatro di rappresentazione che si era diffusa in Italia a partire dal 1959. Il loro lavoro prende in considerazione la questione dell’autonomia del linguaggio , l’idea di pensare in maniera nuova la presenza dell’attore e la relazione dell’attore con lo spettatore . Il lavoro del Living, quindi, prende in considerazione tre elementi fondamentali del teatro: il rapporto tra palcoscenico e platea, il rapporto tra regista e testo, la funzione dell’attore. Il rinnovamento proposto dal Living è così radicale da provocare uno smarrimento ideologico. Le tournée del Living saranno contrassegnate da una serie di episodi scandalosi, il che porterà all’espulsione del gruppo dal nostro paese, avvenuta dopo la messinscena di Frankenstein. Il Living fa scandalo perché si presenta come una comunità di vita e di lavoro legata a degli ideali anarco- pacifisti, di cui cerca di promuovere l’affermazione nell’intera società, oltre che praticare al suo interno. Il gruppo si presenta come il caso esemplare di una compagnia capace di far corrispondere la ricerca artistica con la lotta politica e di rinnovare il mondo e le tecniche teatrali. Le tecniche teatrali sono costituite come forme di intervento politico rivolto a realizzare una rivoluzione . Dal punto di vista artistico gli spettacoli inglobano il testo, il gesto, il suono, gli elementi scenici, ecc  essi cioè mostrano l’emergere di una nuova concezione del teatro che si oppone all’assetto scenico tradizionale. Insieme a Bartolucci anche Franco Quadri contribuisce alla penetrazione in Italia del Living theatre redigendo un numero doppio di “Sipario” completamente dedicato ad Artaud (che ancora non era stato tradotto in italiano). In questo numero vengono pubblicati il “Primo manifesto della crudeltà” di Artaud e “Il teatro e la peste”, inoltre la biografia del teorico francese e un suo testo drammatico, Cenci. Inoltre, vengono riportati alcune sperimentazioni della scena straniera riconducibili al teatro della crudeltà , come Il Living theatre, Brook , ecc. In seguito sulle pagine dello stesso numero abbiamo un’indagine che intende verificare l’influenza del pensiero di Artaud in Italia. Nell’ambito del XIV Festival Universitario di Parma del 1966 si tiene il primo convegno di studi dedicati alla figura di Artaud che vede la partecipazione di studiosi e uomini di teatro. Deridda nel suo intervento tenta una codificazione del teatro della crudeltà , elencando in sei punti i caratteri del teatro di crudeltà per negazione. Secondo Deridda è senza dubbio estraneo al teatro della crudeltà: - Qualsiasi teatro non sacrale - Qualsiasi teatro astratto che escluda qualche cosa nella totalità dell’arte, quindi della vita e delle sue risorse di signifcazione: danza, musica, volume, profondità, plastica, immagine visiva, sonora, fonica, ecc. - Qualsiasi teatro che di un prima alla parola o piuttosto al verbo - Qualsiasi teatro della distanziazione della non partecipazione degli spettatori all’atto creatore. - Qualsiasi teatro non politico. La festa deve essere un atto politico e non la trasmissione più o meno eloquente, pedagogica, educata di un concetto o di una visione politico-morale del mondo. - Qualsiasi teatro ideologico, qualsiasi teatro di cultura, qualsiasi teatro di comunicazione, di interpretazione, che cerchi di trasmettere un contenuto, di diffondere un messaggio (quale che sia la sua natura: politica, religiosa, psicologica, metafisica, ecc.) che dia da leggere a un uditorio il senso di un discorso, che non esaurisca completamente con l’atto e col tempo presente della scena, che non si confonda con essa, che possa essere ripetuto senza di essa. Il saggio di Deridda e le testimonianze riportate dai due numeri di Sipario concorrono a portare concretamente sulla scena il teatro della crudeltà. Il codice linguistico che viene promosso da Artaud è quindi un punto di riferimento fondamentale di quella categoria critica e metodologica che si stava diffondendo in quegli anni in Italia (grazie anche a Bartolucci). Questa implica anche un ripensamento dello statuto drammaturgico dell’opera teatrale  il senso dell’opera prescinde dall’uso di un testo scritto e della parola, determinandosi invece attraverso una pluralità di linguaggi che vanno dalla danza, alla musica, alla pittura. Questo tipo di teatro è politico in quanto i suoi strumenti linguistici determinato un nuovo rapporto tra platea e pubblico. Questo rapporto non si basa più su una comunicazione passiva, ma attiva e partecipe. Il teatro della crudeltà è un evento che si consuma nell’hic et nunc e agisce direttamente con i suoi mezzi sui sensi degli spettatori. Per questo motivo il lavoro del Living Theatre ha il grande merito di veicolare le teorie di Artaud in Italia e allo stesso tempo di codificare il linguaggio specifico del Nuovo Teatro, stimolando l’affermarsi di un nuovo approccio allo spettacolo, mostrando quello che era possibile fare dello spettacolo allontanandosi dalle convenzioni. In altre parole, il Living rappresenta per l’Italia il punto di riferimento per la rivoluzione scenica in atto e allo stesso tempo conferisce valore ai percorsi di sperimentazione che si stanno diffondendo (il lavoro di Brook e di Grotowski non può essere assunto come modello in Italia perché i loro spettacoli non arrivano ancora nel territorio italiano). 1.7 I materiali di scena in funzione di un nuovo punto di comunicazione Nello stesso periodo in cui il mondo della critica italiana comincia a riflettere suoi nuovi modelli di ricerca stranieri, Mario Ricci conduce una sempre più consapevole sperimentazione sui materiali scenici, presentando nel 1965 alcuni spettacoli nuovi (Pelle d’Asino, Balletto a due, ecc.). Pelle d’Asino è la prima azione scenica, nel repertorio di Ricci, a basarsi su un testo, cioè Pelle d’Asino di Pagliarini e Giuliani, che riadattano la favola di Perrault. Inoltre, qui le marionette sono marionette nel senso tradizionale, e mimano gli atti dell’uomo, mentre per le altre azioni sceniche Ricci ha trovato espedienti diversi. Marionette e materiali comuni sono anche presenti nei tre spettacoli successivi: Balletto a due, Flash Fiction, Por no. Alla fine del 1965 Ricci realizza Verità, il primo spettacolo in cui introduce la figura umana, che viene considerata all’interno dell’accadimento scenico come oggetto, facendo perno sulle sue capacità di movimento. Per rendere “oggetto” l’attore Ricci fa ricorso a due elementi fondamentali: ritualità e gioco . Per gioco si intendono proprio i giochi infantili che vengono riproposti in scena come movimento (non significano altro che sé stessi); per ritualità si intende il ritmo delle singole azioni, che deve essere in alcuni momenti veloce e in altri momenti lento. Attraverso il movimento, la figura umana si fa dunque elemento della scena. L’attore, entrando a far parte di questo organismo contribuisce a realizzare, insieme ad altri segni visivi, uno spettacolo basato non soltanto su un significato portante, ma aperto alla libera interpretazione degli spettatori. accentuare questa atmosfera rituale concorre anche il fatto la Compagnia della Ripresa vive insieme per un mese in una condizione di condivisione totale in un accampamento. La sera Quartucci organizzava dei laboratori a cui prendevano parte gli attori. Questi laboratori erano di grande importanza per la ricerca che la compagnia stava conducendo, in quanto avevano lo scopo di allenare gli attori ad allontanarsi il più possibile da una gestualità e una mimica quotidiana e far acquisire al corpo un’espressività extra-quotidiana. La compagnia prepara contemporaneamente lo spettacolo Zip per la Biennale di Venezia, insieme a Giulio Scabia , che è presente nell’accampamento . L’atmosfera di queste serate, la drammaturgia di Beckett rappresentata en plein air, i laboratori sperimentali, fanno di Prima Porta un momento fondamentale del nuovo fenomeno teatrale. Allo stesso tempo stimola gli artisti presenti a intraprendere nuovi percorsi di ricerca. Tuttavia, Prima Porta segna anche la fine di un percorso : rappresenta il punto di arrivo della ricerca di Quartucci dopo anni di sperimentazione sulla drammaturgia di Beckett. Il regista sente ora l’esigenza di mostrare a sé stesso e al pubblico il risultato del lavoro compiuto fino a quel momento per intraprendere in seguito una ricerca diversa , che si pone in linea di continuità con la sperimentazione avviata con Cartoteca. 1.9 La messinscena “acentrica” di Zip: la questione dell’avanguardia divide la critica A Prima Porta viene provato per la prima volta Zip, un progetto di drammaturgia in progress  si tratta di una messinscena “in collettivo”, realizzata attraverso la collaborazione tra l’autore, il regista, gli attori, lo scenografo, i tecnici, anche in fase di stesura del testo. Insieme a “All’improvviso”, Zip rappresenta l’esordio di Scabia come autore di teatro. L’incontro con Quartucci lo induce a cercare una nuova forma drammaturgica in linea con gli esperimenti scenici dello stesso regista (il cui obiettivo era superare la linea di demarcazione tra palcoscenico e platea). A stretto contatto con Quartucci e con la sua sperimentazione, Scabia scopre la vocazione “acentrica” della sua scrittura . “All’improvviso” viene scritto nel 1965 ed è il testo con cui Scabia imposta le basi del suo lavoro drammaturgico. Già in fase di scrittura immagina di avere a disposizione tutto lo spazio del teatro, in cui utilizzare gli oggetti in modo ironico e ambiguo e in cui utilizzare l’attore come un “oggetto animato”. L’autore, dunque, si allontana dalla concezione tradizionale del palco e trasforma la sala teatrale in un luogo poco rassicurante, insidioso. Scabia comincia a porsi anche il problema del rapporto tra testo e scena , scrittura e spazio . Scabia inventa un nuovo tipo di spazio scenico, che chiama “ acentrico ”  in questo caso muta radicalmente il rapporto tra palcoscenico e platea e si crea una situazione fruitiva plurima , che rende possibile un riavvicinamento dello spettatore all’evento teatrale. In questo modo avviene anche una rivoluzione della scrittura drammatica, che si trasforma in “acentrica”. Mutando l’idea di spazio, quindi, muta anche l’idea di scrittura, di testo drammatico, in quanto lo spazio è parte integrante della scrittura drammatica. Per questo la scrittura deve contenere , oltre ai dialoghi , un elenco di tutto quanto può accadere sulla scena (descrizione di luce, tono, gesti, movimenti). L’autore crea così una scrittura completa, in cui nessun elemento viene privilegiato . Questo tipo di ricerca sul linguaggio, sullo spazio, mostra un’affinità con gli esperimenti intrapresi da Quartucci. Nasce così l’idea di creare un progetto di scrittura collegata alla regia  cioè stendere direttamente il testo sulla scena, elaborato attraverso un lavoro collettivo. In Zip abbiamo questa ricerca di uno spazio senza centro, plurimo , aperto alla partecipazione . L’idea è quella di far vivere sulla scena dieci maschere contemporanee : dieci forme capaci di racchiudere ognuna più tipi. Non si tratta quindi di maschere fisse, come nella commedia dell’arte, ma di maschere mobili , aperte, in continua crescita durante tutto lo spettacolo… Il periodo di realizzazione di questo progetto può essere diviso in tre fasi: La prima fase di preparazione inizia nel gennaio 1965, quando Scabia comincia a strutturare il progetto in base ad alcuni suggerimenti di Quartucci. L’idea iniziale è quindi quella di creare dei personaggi che siano delle maschere aperte, che abbiano una definizione aperta: delle maschere in evoluzione . Queste maschere sono aperte sulla realtà contemporanea e questo permette agli spettatori di entrare in questo gioco scenico. La seconda fase del progetto risale mesi di febbraio-marzo del 1965, quando Scabia e Quartucci, con l’appoggio dello Stabile di Genova, propongono Zip al Festival del Teatro di Venezia. Il Festival di Venezia accetta di fare Zip. Il testo di Zip è consegnato alla Biennale con la clausola della modificabilità. È un testo che deve adattarsi alla scena, ai singoli attori, quindi può cambiare anche sostanzialmente. La terza fase risale al momento dell’incontro tra Scabia e gli attori della compagnia di Quartucci. È il momento della realizzazione concreta del progetto, il cui testo viene provato per la prima volta con gli attori. Il lavoro si svolge a Prima Porta, presso l’accampamento dove si sono trasferiti gli attori impegnati nell’allestimento del festival dedicato a Beckett. Qui Scabia ha la possibilità di far interagire l’idea iniziale da cui era partito con i personaggi a cui aveva pensato nella sua immaginazione. Il testo si sviluppa gradualmente. La scrittura di Scabia agisce sulle maschere- personaggi, sulle loro azioni. Inoltre, c’è un rimando continuo alla contemporaneità. Scabia però è scontento di come procedono le cose in quanto avverte che negli attori ci sono delle resistenze, “vecchi residui della tradizione dell’attore…”. Il lavoro collettivo in scena, quindi, tradisce le sue aspettative. Nell’idea iniziale, infatti, Zip e i suoi compagni dovevano vivere in un mondo fantastico, mentre durante la realizzazione Scabia nota che gli attori cominciano a credere troppo a queste maschere. Grande parte della critica che si presenta alla prima dello spettacolo non comprende la portata sperimentale dello spettacolo e ne rifiuta il risultato. Il testo è un insieme di monologhi, filastrocche, brevi dialoghi e che fanno satira sulla vita della società attuale. Lo spettacolo è diviso in due atti: inizia con la fuoriuscita sul palcoscenico, da una specie di uovo, dei personaggi elencati nel titolo. All’inizio sono solo dieci clown, poi a poco a poco assumono la loro identità di personaggi-maschere alle prese con la società contemporanea (quelli che la controllano, quelli che la servono, ecc.). Si tratta quindi di maschere-personaggio che una volta nate prendono contatto con il mondo fisico e gradualmente vengono assorbite dalla società dei consumi. La società è rappresentata sulla scena dalla Grande Mam, una specie di robot. Lo spazio scenico è prolungato fino alla platea (no delimitazione netta)  questo suggerisce che in questa società, insieme a Zip e gli altri attori ci sono anche gli spettatori. Gli attori, quindi, invadono quasi completamente la platea, spostandosi in continuazione accanto al pubblico. Solo dopo aver preso dimestichezza con lo spazio le maschere cominciano ad usare il linguaggio. Nella prima parte dello spettacolo, infatti, abbiamo semplicemente dei fonemi privi di connessione logica, in seguito i suoni si fanno sempre più articolati fino alla scoperta della parola nella seconda parte. Inizialmente quindi gli attori mimano, urlano, fanno versi dando vita a un’atmosfera clownesca, nella quale si cerca di esprimere la rivolta e il rifiuto del conformismo. Nella seconda parte dello spettacolo invece gli elementi gestuali e linguistici diventano di stampo più realistico. Questo appiattimento del linguaggio verrà considerato come un elemento di debolezza dello spettacolo. Lo spettacolo viene criticato soprattutto per quello che avrebbe dovuto costituire il suo maggiore punto di forza, ovvero l’uso della scrittura “acentrica”. Molti critici denunciano come limite l’assenza di un testo scritto. La critica inoltre respinge altri due elementi fondamentali su cui si basa lo spettacolo, ovvero la ricerca di uno spazio “acentrico” e il tipo di recitazione. Secondo alcuni critici lo spettacolo pieno di cose, voci, salti, giochi, non diverte e diventa dispersivo. Molti dei critici ancora pensano che Zip presenti le caratteristiche di un’esercitazione tecnica priva di valore. Dall’altra parte ci sono altri critici che evidenziano l’importanza dello spettacolo. Ad esempio, Talamini coglie pienamente il senso del progetto e afferma che si tratta di un teatro di ricerca che “espone una situazione facendola scaturire dalla scena e consegnandola alle riflessioni dello spettatore”. Coglie, inoltre, l’importanza della nuova strutturazione spaziale “acentrica”, che rompendo con una caratteristica fondamentale della scena tradizionale (il punto di vista unico) tende anche ad inglobare lo spettatore e sollecitarlo. La storia, quindi, rappresenta dei clown alle prese con la società contemporanea. Si tratta di una società che presenta caratteristiche molto simili a quelle dei contemporanei. La situazione drammatica che viene rappresentata è un elemento fondamentale anche per l’esperienza dello spettatore  il palcoscenico evoca la situazione contemporanea nei suoi diversi aspetti, a volte in modo ironico, clownesco. Nella seconda parte invece, pur essendo ancora presente una certa “aggressività” che colpisce lo spettatore, lo spettacolo perde quel carattere di giocoso che faceva da contrappunto alla tragicità dello spettacolo. La polemica contro i potenti diventa più diretta e provocatoria e i discorsi si fanno sempre più espliciti. Capriolo nota, come aveva già notato Scabia, che nella seconda parte gli attori smettono di essere maschere e si chiudono in un personaggio più naturalistico. Di fatto quindi lo spettacolo risulta incompiuto, ma questa incompiutezza è dovuta alla difficoltà di iniziare un percorso teatrale nuovo. Spesso la critica prende come riferimento, nel valutare questi esperimenti, le neoavanguardie letterarie. Si riconoscono però le distinzioni di questi due fenomeni: alcuni critici notano ad esempio che a differenza di una sperimentazione di tipo “irrazionale” come quella proposta dalla neoavanguardia letteraria, questi spettacoli inaugurano una nuova linea di ricerca “razionale”. Mentre la neoavanguardia persegue una sperimentazione velleitaria e alla moda, il testo di Scabia si pone concretamente come un punto di partenza per la creazione di un nuovo linguaggio scenico. Da una parte della critica italiana è negata però l’esistenza di un teatro d’avanguardia autonomo, ovvero che non ricalchi modelli stranieri. Dall’altra parte invece vi è chi considera Zip una tappa fondamentale nel cammino del nostro teatro: un primo capitolo, un’introduzione all’avanguardia. Zip diventa così un caso che solleva polemiche e discussioni, soprattutto riguardo al concetto di avanguardia. A queste discussioni prendono parte anche gli stessi Quatucci e Scabia, che redigono un manifesto intitolato “ Per un’avanguardia italiana”, in cui tracciano una breve storia della nascita di Zip e chiariscono i rapporti tra la nuova avanguardia e le avanguardie storiche. In questo manifesto gli autori pongono Zip come esperimento in continuità con l’avanguardia storica per la concezione dello spazio e del tempo, ma allo stesso tempo Zip rappresenta anche un esempio della nuova Queste parole però vanno considerata nel loro contesto, non come qualcosa di assoluto. In questo periodo storico il termine avanguardia comincia a caricarsi di significati negativi soprattutto per il confronto con l’avanguardia letteraria del Gruppo 63. 2.2 L’antipoetica di Carmelo Bene e l’impatto culturale con la critica 2.3 L’evoluzione artistica di Carlo Quartucci dopo il 1965. La questione del pubblico. La creazione di un modello teatrale di riferimento va di pari passo la sua accettazione da parte della critica, che ne interpreta e diffonde il valore. Bene è accusato di fare teatro per pochi ma riesce a crearsi strategicamente un posto all’interno del sistema ufficiale , attirando l’attenzione della critica e quindi del pubblico attraverso l’uso di un codice linguistico originale ed eversivo. Bene riesce ad entrare, anche se forzatamente nell’ambito dell’ufficialità. Dall’altra parte invece l’idea di un teatro contemporaneo avanzata da Quartucci non comporta una radicale opposizione alle regole teatrali vigenti, presentandosi quindi come una “proposta altra” che non crea opposizione con il sistema linguistico ufficiale, ma piuttosto porta a un’apertura verso nuove sperimentazioni. Nella prima fase del suo lavoro, Quartucci prende molto ispirazione delle arti visive, in particolare da Kandinskij, Vang Gogh, Mondrian . Il suo stile registico risente molto di questa influenza che si riflette in primo luogo sulla scenografia, nel modo di concepire la recitazione e in generale nella costruzione dello spettacolo. Un altro elemento fondamentale nella sua concezione registica è la volontà di eliminare la distinzione platea-palcoscenico, al fine di realizzare uno spazio scenico acentrico. La ricerca di Quartucci non utilizza la provocazione, dunque il pubblico e la critica non sentono la necessità di schierarsi né a favore e neanche contro. Dopo alcuni anni, Quartucci rinuncia all’interazione con il sistema ufficiale, per inseguire l’utopia di un teatro contemporaneo e popolare decentrato, vicino ai bisogni concreti della gente di periferia. Si tratta di un pubblico che non conosce i codici e le convenzioni del teatro ufficiale, ma neanche quelli dell’avanguardia. Quando Quartucci allestisce Libere Stanze di Roberto Lerici, rifiuta la definizione di avanguardia, perché questo contribuiva a far si che l’opera venisse considerata “per pochi”, mentre il discorso era potenzialmente rivolto a un pubblico molto più vasto e imprecisato. Avanguardia , nella visione di Quartucci, è un termine che richiama a un pubblico elitario, e questo non corrisponde alle sue intenzioni di rivolgersi ad un pubblico più ampio e indifferenziato. Facciamo un passo indietro. Dopo la rappresentazione di Zip al Festival di Venezia nel 1965, Quartucci insieme alla Compagnia della Ripresa torna a lavorare presso il Teatro Stabile di Genova, per la stagione 1965-66. La maggior parte del pubblico, composto soprattutto da giovani, era interessato a vedere Zip, spettacolo che stimola dibattiti accesi, cui prendevano parte anche gli attori, il regista, l’autore, per spiegare il loro metodo di lavoro. Contemporaneamente Quartucci e il Teatro Studio sono coinvolti in Emmetì (testo e regia di Squarzina), che segna la fine della collaborazione con lo Stabile genovese. Terminata quest’esperienza il Teatro Studio si scioglie e Quartucci crea il Teatro gruppo , che aspira ad essere una compagnia indipendente dal circuito ufficiale. Di fatto però il Teatro gruppo presenta molti dei suoi spettacoli nel circuito ufficiale. Uno degli spettacoli che viene portato in tournée è Libere Stanze. Libere Stanze di Lerici si divide in due atti. Il primo atto è Gioco dei quattro cantoni, ispirato ai costumi della società capitalistica. Presenta la forma propria del dramma borghese, ma ponendosi in una dimensione critica nei suoi confronti. Il secondo atto è intitolato Un fatto d’assassino e l’azione principale è l’inchiesta di un omicidio, legata all’ambiente della mafia. Quartucci opera quindi su un testo strettamente legato alla realtà italiana. Anche in questo caso Quartucci prende ispirazione dell’arte figurativa, in particolare dalla pop art (i ready made di George Segal). Il riferimento figurativo è quindi Segal, le sue statue di gesso. In termini non è una ricostruzione naturalistica, ma neanche una pura astrazione. Lo scopo è impedire che l’attenzione dello spettatore si riduca alla ricerca di un modello verosimile, o che al contrario lo spettatore consideri ciò che sta accadendo sulla scena come totalmente distaccato dalla realtà. Quartucci, quindi, tocca alcune tematiche di attualità attraverso una sintesi di realismo e astrazione. Un’altra tappa significativa è costituita dallo spettacolo Majakovskij e C. alla rivoluzione d’Ottobre, allestito nel 1967 in occasione del cinquantesimo anniversario della Rivoluzione sovietica e presentato in occasione di una tournée che attraversa tutta l’Italia. Quartucci vuole porsi al di fuori di qualsiasi definizione teatrale riconosciuta. Per il regista è sempre più importante il rapporto con il pubblico  per Quartucci il rapporto con il pubblico è la prova per verificare la validità dell’operazione teatrale. Quartucci vuole riferirsi a un pubblico popolare, sprovveduto. Vuole iniziare uno scambio efficace e duraturo con un pubblico popolare. Il suo obiettivo è rendere accessibile ad un pubblico non convenzionale la comprensione di eventi teatrali contemporanei, al fine di scuotere le coscienze e creare un evento culturale autentico , che non si basi solo sullo spettacolo, ma anche sui dibattiti e le discussioni che lo seguono. All’inizio degli anni ’70 la ricerca di Quartucci ha un ulteriore svolta . L’artista compra un’autodemolizione nei pressi di Torino che dipinge di bianco e comincia a chiamare “camion”. Con questo mezzo si mette in viaggio per strade, campagne, colline, piazze, borgate, ecc. Camion rappresenta allo stesso tempo un edificio teatrale mobile , ma anche un’operazione politica culturale, un veicolo mentale che penetra nei territori di periferia. Questo veicolo compie azioni di “ carico ” = raccolta dei materiali, persone, storie vere o immaginate ; e un’operazione di “ scarico ” = cioè di diffusione sul territorio del bagaglio culturale accumulato, dopo averlo sottoposto a un processo di reinvenzione e di riscrittura. L’intenzione di Quartucci è realizzare una struttura teatrale non più statica, ma continuamente plasmabile e adattabile alle condizioni che si incontrano nei diversi territori. La stessa cosa per il linguaggio utilizzato. Questo consente la diffusione di uno spettacolo teatrale tra un pubblico popolare. Quartucci, quindi, fa sua l’idea rivoluzionaria e utopica che, come vedremo, sarà contenuta negli Elementi di discussione di cui si parlerà al Convegno di Ivrea. Questa idea è anche centrale nell’ambiente di sviluppo del Nuovo teatro. Infatti, c’è la volontà di attuare una rivoluzione linguistica per opporsi al sistema ufficiale, al fine di creare anche un teatro popolare, che abbia una connotazione politica. Camion si presenta come un’operazione di intervento teatrale. Si tratta di un’operazione teatrale che determina un mutamento radicale nella struttura e nei ruoli all’interno della compagnia, ma anche all’esterno, per quanto riguarda il pubblico. Gli interpreti diventano “i viaggiatori ”, l’attore- narratrice è Carla Tatò che riassume le situazioni vissute da Camion durante il suo viaggio. Il regista è servo di scena . Il regista, dunque, da un lato inventa la scena, ma dall’altro è al servizio della scena come coordinatore che assembla i materiali, prende in considerazione le intuizion i degli attori , ecc. Una volta raggiunto un territorio Camion confronta questi materiali con gli elementi e le particolarità del luogo, realizzando uno scambio e un confronto culturale (operazione di carico). L’operazione di carico, quindi, determina un coinvolgimento del pubblico che vive in un luogo . Camion, dunque, non ha uno spazio determinato, ma si determina in diversi luoghi, attraverso scambi, in base al luogo. Qualsiasi tipo di spazio può rappresentare camion. Camion spesso compie l’operazione di “ carico” anche viaggiando : ascoltando, filmando, fotografando e tenendo quindi a mente tutto ciò, annotandolo e in seguito reinventandolo, ecc. Nel 1973 Quartucci è invitato a Rovereto per rappresentare Histoire du soldat di Strawinsky . La sua intenzione in questo caso è quella di “scaricare un attore-soldato, un attrice-narratrice, una ballerina-principessa, due camionisti servi di scena” perché questi sono gli strumenti con cui Camion viaggia. Non è propriamente un testo teatrale, ma è un’opera che però si adatta perfettamente al progetto di Camion. Viene progettato a metà degli anni ’10 come opera che possa essere mostrata in movimento, un’opera ambulante con pochi attori, musicisti e danzatori. Prevede delle parti recitate che si mescolano a delle parti coreutiche con poche presenze in scena  questo si adatta al progetto di Camion. Histoire du soldat coincide con la prima volta di Carla Tatò nel progetto di Camion (Histoire du soldat prevede già la figura di un narratore). Il pubblico a sua volta è invitato a viaggiare insieme a Camion con la propria immaginazione. Camion è quindi un’utopia, un’idea rivoluzionaria, ma allo stesso tempo cerca di riflettere il clima politico, sociale, culturale in cui si forma e con cui viene in contatto  si tratta di un rapporto tra società diverse, tra la società teatrale, portata in un altro ambiente. Molti sono i viaggi che Camion effettua nel giro di pochi anni: Rovereto, Bologna, Roma, Catania, Lecce, Pesaro, ecc. Nel 1975 però smette di essere un veicolo di comunicazione in movimento per trasformarsi nel Centro Culturale Polivalente Decentrato , il primo spazio in periferia utilizzato come punto di incontro, di aggregazione per chi vuole sapere e fare cultura. Questa sede è l’occasione per dare alla periferia romana uno strumento di formazione, d’informazione, di conoscenza attraverso gli strumenti del teatro, del cinema, il video, le assemblee, i dibattiti, ecc. 2.5 Le cantine storiche (1964-1968): la nascita di un sistema teatrale alternativo, i segni del nuovo e l’impatto con la critica Già prima del 1964 alcuni artisti tentano di insediarsi in spazi estranei e al di fuori delle regole del teatro istituzionale. Da questa data il termine cantina (non si tratta solo di cantine ma anche di scantinati, garages, magazzini) diventa un nome in codice per indicare il luogo in cui vengono elaborati progetti teatrali alternativi rispetto al sistema teatrale ufficiale. I primi spazi che aprono i battenti sono nella zona di Trastevere, dando vita a un fenomeno che sarà tipicamente romano. Questi si presentano come circoli privati svincolati dalle istituzioni ufficiali, sia per tipo di organizzazione interna, sia per la gestione economica. Si tratta quindi di strutture autonome rispetto al teatro ufficiale. Questa autonomia è data anche dal fatto che queste strutture sono concepite come club privati e perciò sono esenti dalle verifiche che la legge impone sui luoghi pubblici in cui si fa spettacolo (la responsabilità di ciò che vi accade all’interno è quindi dello spettatore). Inoltre, in questi spazi, gli artisti realizzano tutto ciò che le strutture ufficiali non permettono, progettando una diversa elaborazione della rappresentazione, sia in termini di spazio, che di processo artistico. Insomma, non si tratta semplicemente dell’apertura di piccoli spazi marginali, ma piuttosto dell’avvio di un vero e proprio sistema teatrale alternativo  in effetti al suo interno si definiscono norme, principi del tutto autonomi rispetto a quelli ufficiali, allo stesso tempo si sviluppa una configurazione dello spazio, del pubblico, del linguaggio diversa. “Lo spazio-cantina si lega ad un tipo ti spazio mentale nuovo: si pensa diversamente al luogo della rappresentazione e al modo in cui questa si vuole realizzare”. Una nuova impostazione del messaggio scenico è quindi strettamente legata a una modalità organizzativa della struttura diversa. A questo concorre anche la mancanza di mezzi economici, per cui gli artisti emergenti autonome, perché hanno ancora un legame forte con il testo. Legame che negli spettacoli di Quartucci, Bene e Ricci non è più presente. La sperimentazione degli anni ’60 presenta dunque atteggiamenti molto diversi tra loro, anche se possiamo individuare uno scopo generale comune che consiste nella volontà di rinnovamento dello statuto formale del teatro. In seguito, sono differenti i modi in cui i singoli artisti decidono di attuare questo rinnovamento. Abbiamo quindi una tensione al nuovo, una linea più marcata, ma le direzioni non sono tutte ugualmente definite. Bartolucci definisce questo percorso “scrittura scenica”. Principalmente Bartolucci associa questa tendenza alla ricerca di Bene, ma lo usa in realtà come termine di riferimento indicare il Nuovo teatro in modo più ampio. La scrittura scenica è una direttrice lungo la quale possiamo trovare una serie di sperimentazioni dello statuto teatrale, che vanno dalla radicalità di Bene, alla sperimentazione più legata alla tradizione del nuovo, come quelle di Calenda, Raimondi, Molè. Il teatro 101, il teatro del Leopardo, Alla Ringhiera, il Porcosipino, il Dioniso Club, il Beat 72 L’esperienza delle cantine che analizzeremo, che va dal 1965 al 1968, può essere suddivida in tre fasi, che corrispondono ai momenti salienti della storia dei gruppi: - La prima fase (1965-66) corrisponde al momento della fondazione dei luoghi e l’inizio della ricerca - La seconda fase (1967) corrisponde al momento del riconoscimento da parte della critica - La terza fase (1968) corrisponde al momento critico, quando una parte dei gruppi scelgono di emigrare nell’ambito dell’ufficialità mentre altri continuano a lavorare nell’ambito delle cantine Nel 1965 Calenda inaugura un locale con 101 posti, per questo denominato “Teatro 101”. Calenda rileva questo spazio al cui interno intende fare un teatro “diverso, proporre la drammaturgia europea, che non si pratica in Italia, far conoscere gli autori contemporanei” in particolare Beckett e Pinter. Si propone un modo diverso di recitare, che si allontana dal naturalismo. Il lavoro di Calenda al 101 si concentra sul recupero delle fonti storiche dello sperimentalismo drammaturgico europeo e sulla promozione dei testi italiani contemporanei. L’importanza del 101 consiste quindi nell’operazione di aggiornamento culturale, più che in un’innovazione registica. Come il Nuovo teatro presenta una configurazione molteplice e diversificata, così anche le critiche sul nuovo teatro sono diversificate. Ad esempio, Corrado Augias, considera di primaria importanza il ruolo rivestito, nel processo di innovazione dalla scrittura letteraria e dal teatro dell’assurdo europeo. Augias mette in risalto che la sperimentazione drammaturgica non nasce solo da un’esigenza puramente “formale”, ma è determinata anche dalle problematiche che la realtà pone. La sperimentazione linguistica di Apollinaire, ad esempio, assume un valore di metafora rispetto alla realtà contemporanea. Questo vuol dire che grazie al rifiuto della descrittività e alla disarticolazione delle strutture drammatiche, questi autori riescono a fornire uno spaccato della realtà contemporanea. Gli elementi rivoluzionari in questi testi sarebbero quindi un riflesso della situazione storica. Visti in quest’ottica gli spettacoli di Calenda assumono un valore diverso. Nel contesto degli anni ’60 quest’intuizione rivelerebbe una carica ancora più importante, in quanto il disordine linguistico di questi testi assumerebbe un valore diverso, diventando quindi una metafora d ell’angoscia che contraddistingue il mondo contemporaneo . L’abilità del regista in questo caso consiste nel dare alle parole del testo ambiguità e allo stesso il valore di premonizione. In questo periodo, dunque, anche la critica si mette in gioco di fronte ai percorsi di ricerca in cui si imbatte. Si tratta di percorsi di ricerca che sono riconducibili almeno a due tendenze (che a loro volta presentano molte sfumature all’interno): - Una tendenza più radicale, che Bartolucci individua come “scrittura scenica ” - Una tendenza che ibrida scrittura scenica e tradizione del nuovo, un tipo di sperimentazione che non ha ancora delle caratteristiche ben precise. Di questa tendenza fanno parte gli spettacoli di Calenda, Remondi, Molè, che conservano i segni della tradizione del nuovo, ma si aprono anche alla radicalità della scrittura scenica. Prendiamo in considerazione il caso di Remondi . Remondi si confronta con una drammaturgia europea ancora poco conosciuta in Italia e si cimenta nella scrittura di testi drammatici (La Moscheta). Parallelamente all’inaugurazione del Teatro Laboratorio di Carmelo Bene, nel 1961, nasce il primo spazio teatrale alternativo di Remondi, Il Leopardo, che però non viene mai utilizzato per problemi di agibilità. A distanza di cinque anni e dopo diverse esperienze con Quartucci e la Compagnia della Ripresa, nel 1966 Remondi si separa dal gruppo e acquista uno scantinato a Roma. Questa è la prima cantina “decentrata”, che denomina, Teatro Leopardo. L’iniziativa di creare uno spazio teatrale in periferia viene accolta favorevolmente dalla critica. Il teatro del Leopardo viene inaugurato nel 1966 con l’allestimento di due atti unici di Mrozek, In altro mare e Karol. La regia di entrambi gli spettacoli è di un collettivo composto da Remondi, Orfeo, Campanelli, ecc. Purtroppo, le recensioni che sono arrivate a noi non chiariscono bene quello che succedeva in scena. Sembra in ogni caso che gli spettacoli risentissero molto dell’influenza di Quartucci, soprattutto per la recitazione di tipo marionettistico e clownesco, piena di saltelli e capriole, con costumi incredibili. Questa impostazione però risultava eccessiva rispetto al testo di Mrozek. La maggior parte della critica era abituata a vedere lo spettacolo in modo classico, per cui apprezza soprattutto i passaggi in cui testo e scena corrispondono. Tutto ciò che si discosta dal testo e si fa scrittura scenica autonoma è invece considerato eccessivo e discordante. I giudizi, quindi, oscillano tra l’apprezzamento e il rigetto, cosa che accade anche per lo spettacolo successivo, Prima del falò (1966). Il linguaggio drammaturgico utilizzato da Remondi, che in questo caso è anche l’autore del testo, porta in scena temi e problematiche della tradizione europea del nuovo. Il testo è collocabile nell’ambito di una tradizione vicina a Beckett, ma il linguaggio scenico di Remondi sembra fare più riferimento al giovane teatro italiano e a Quartucci, in quanto si esprime in maniera non naturalistica, ma irrazionale, con i giochi di bambini, tra fantasia e realtà. Anche in questo caso si tratta di un esperimento importante dal punto di vista drammaturgico secondo la prospettiva di Augias, per cui il disordine linguistico, la disarticolazione del linguaggio comune, si fa metafora della complessità del reale e quindi espressione della contemporaneità. Ovviamente siamo lontani dalla radicalità della scrittura scenica. Come nel caso di Calenda, la scrittura drammaturgica di Remondi non determina un’innovazione tale da mettere in discussione i fondamenti della scena. Si configura quindi come una sperimentazione, ma è una sperimentazione mutuata dalla tradizione del nuovo e quindi finalizzata principalmente alla rivoluzione del linguaggio drammaturgico e non scenico. Il caso dell’autore e regista Franco Molè: nel gennaio 1966 mette in scena il suo testo Settanta volte sette, insieme a Leo de Berardinis e Cosimo Cineri (conosciuto in occasione del festival di Prima Porta). La novità dello spettacolo è sottolineata da Mango e Savioli, che ritengono che la drammaturgia di Molè sia influenzata dalla scrittura di Beckett, ma che in un certo modo superi sé stessa in quanto c’è un interazione con la gestualità attoriale. Settanta volte sette si può definire un’opera sperimentale perché, secondo Mango, il testo ri-propone qualcosa di nuovo, sia rispetto alla sperimentazione italiana (che in questo momento è impegnata in una ricerca sul piano della forma e non sul piano del linguaggio verbale), sia rispetto al modello drammaturgico di Beckett, perché Molè sintetizza nella sua opera i canoni del teatro dell’assurdo però con l’uso del movimento, dell’azione scenica e del corpo dell’attore, alla maniera del Living Theatre. Mango sottolinea quindi l’influenza nello spettacolo non solo di Beckett, ma anche del Living theatre, in riferimento soprattutto alle immagini e al gesto. Diverso ancora è il caso della Compagnia del Porcospino. Qui la presenza di una drammaturgia letteraria e moderna produce, dal punto di vista teatrale, delle soluzioni spettacolari diverse, in quanto il testo non è creato in funzione della scena, ma mantiene una sua valenza letteraria. E’ interessante inoltre notare come anche questo gruppo di letterati scelga una cantina come spazio ideale per la sperimentazione di un nuovo rapporto tra letteratura e teatro. Questa è la dimostrazione che un clima di fermento investiva tutti i campi dell’espressione artistica. Il luogo che ospita questa compagnia è un seminterrato all’interno di una chiesa sconsacrata. Si tratta di uno spazio in cui Gian Maria Volontè qualche anno prima aveva tentato di rappresentare un’opera teatrale. La compagnia del Porcospino inaugura la sua attività nel 1966 con La scappatella di Walser, con la regia di Roberto Gucciardini. Promotore dello spettacolo è Mario Bussolino. Il sodalizio Bussolino-Guicciardini però ebbe vita molto breve e subito dopo questo spettacolo si sciolse. Tra coloro che scelgono di restare in seguito emerge un’idea radicalmente diversa. La compagnia sarebbe diventata una “sociale di letterati (romanzieri che scrivono per il teatro) e attori” – vi fanno parte Moravia, Siciliano, Montagna, ecc. La configurazione della compagnia rimane tale per due stagioni, durante le quali continua a esibirsi in quello stesso spazio. Vengono rappresentati alcuni testi scritti o tradotti dagli scrittori coinvolti nel progetto, tra cui Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo di Emilio Gadda, considerato dalla critica la prova più felice della Compagnia. A differenza degli spettacoli di Remondi e Calenda, dove abbiamo un’ibridazione tra tradizione del nuovo e scrittura scenica, in questo caso lo spettacolo asprira ad essere una fedele messa in scena del testo. Non è sicuramente un’operazione semplice, perché la regia deve confrontarsi con un testo di Gadda, ma una volta trovata la chiave di lettura per metterlo in scena il lavoro di regia è finito e il testo acquista corpo scenico. Il lavoro della Compagnia del Porcospino, quindi non aspira alla ricerca di una sintassi autonoma della scena, rispetto al testo, ma al contrario si concentra proprio sulla letteratura, cercando di incentivare il rapporto tra letteratura e teatro. A partire dal 1967 la critica comincia a diventare più attenta al fenomeno delle cantine ed a interrogarsi sul valore di questi spazi e gli spettacoli che vi vengono prodotti. Questo anche grazie ad alcuni pionieri come Augias, Bartolucci, Fadini, Mango, Quadri. Durante il 1967 Molè sente la necessità di avere uno spazio stabile in cui esprimersi, va quindi alla ricerca di una sede fissa e trova una piccola grotta a Trastevere. Molè quando si trasferisce in questi spazi decide di cambiare completamente la struttura. “Alla ringhiera” viene inaugurata nel 1967 con l’allestimento di un testo di Molè, Concerto Grosso di Brugh. In quest’opera emerge la critica al sistema dittatoriale. La recitazione degli attori è una sorta di automatismo, recitano a scatti e sillabando, facendo leva sulla mimica che spesso è in contraddizione con le battute. Si tratta quindi di una recitazione che si distacca dai vincoli e dalle convenzioni realistiche. La regia dello spettacolo è innovativa anche per alcuni elementi come l’utilizzo in chiave anti-tradizionale (cioè non rappresentativa) delle coordinate spazio-temporali. Tuttavia, anche questo spettacolo si inserisce nella tradizione del nuovo. Come notano i critici lo spettacolo non presenta un’innovazione radicale dello statuto linguistico, ma più che altro una sorta di ibridazione tra la tradizione del nuovo e la scrittura scenica. In questa forma di spettacolo ibrida Mango trova le potenzialità che arriveranno a scardinare/rompere con le abitudini linguistiche vigenti. Secondo Mango, infatti, i segni dell’avanguardia si possono trovare anche nello sforzo compiuto da alcuni autori sperimentali. Secondo questa concezione anche gli errori e le contraddizioni non vanificano i percorsi di avanguardia ma sono utili al conseguimento dell’obiettivo. Bisogna quindi essere in grado di presentarsi al pubblico e alla critica. Questo scambio tra critici e operatori del teatro è stato importantissimo nello sviluppo del Nuovo Teatro. Benedetti quindi si presenta come una sorta di mecenate moderno, perché si fa tutore di lavori teatrali ancora poco noti. Con il Beat si entra nella storia del Nuovo Teatro degli anni ’70, periodo in cui emerge una seconda ondata di gruppi e di cantine contrassegnati da diversi ideali estetici. 2.6 L’emersione del teatro sperimentale dallo stato di marginalità. Preparazione al Convegno per un Nuovo Teatro: il programma manifesto e gli Elementi di discussione Il fenomeno delle cantine che esplode a Roma verso la metà degli anni ’60 rappresenta il sintomo di una volontà di modernizzazione del linguaggio scenico, che viene gestito in modo alternativo rispetto ai teatri tradizionali. Nel saggio Dentro e fuori la sperimantazione (1966) Bertolucci prende in considerazione il problema della sperimentazione italiana da un punto di vista storico. Bartolucci colloca questi esprimenti nell’ambito di un percorso artistico, in particolare nella tradizione del nuovo. Inoltre, Bartolucci porta avanti la tesi secondo cui la condizione di marginalità in cui gli artisti operano nell’abito delle cantine è solo apparente, in quanto essa genera una nuova mentalità che può costituire il modello di un teatro nuovo (sia a livello drammaturgico che registico). Il teatro sperimentale può quindi rappresentare nella situazione italiana un modello per nuova sperimentazione, ponendosi in opposizione all’organizzazione ufficiale e allo stesso tempo come forza complementare che si pone in un rapporto di collaborazione con l’organizzazione ufficiale stessa. Nello stesso periodo anche altri esponenti della Nuova critica cominciano a riflettere sulla situazione del teatro italiano. Con il tempo nasce l’idea di un convegno in cui gli artisti di un teatro non ufficiale possano confrontarsi e discutere delle loro problematiche. L’invito a partecipare al convegno viene comunicato attraverso una sorta di programma-manifesto intitolato Per un convegno sul nuovo teatro, pubblicato da Franco Quadri su Sipario nel ’66 . L’idea di un convegno nasce dall’insoddisfazione che da qualche tempo esisteva nell’ambiente della nuova critica. Questa insoddisfazione viene espressa chiaramente nella prima parte del manifesto, in cui si specifica che: “la lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica”. Si vuole sottolineare quindi che il problema del rinnovamento dello statuto linguistico del teatro dipende anche dal contesto sociale e politico del luogo di riferimento. Si parte dal presupposto che in Italia una serie di fattori (come il mancato adeguamento delle strutture, la crescente imposizione di burocrazia, l’indifferenza verso il repertorio internazionale, ecc.) hanno posto una grande distanza tra il teatro e la società. Esisteva quindi un’arretratezza rispetto alle nuove tecniche e modi espressivi elaborati in altri paesi. In questa situazione la critica istituzionale avrebbe potuto ricoprire un ruolo importante, al contrario essa si è allineata alle posizioni ufficiali, rinunciando al suo compito di ricerca e interpretazione. Per questi motivi il teatro italiano si è trovato in una situazione di arretratezza e isolamento, impermeabile a ogni innovazione culturale. Nella seconda parte del manifesto invece vengono esposti i punti fondamentali di un ipotetico programma da discutere al convegno di apertura, che sarebbe stato tra la stagione del ’66-67. In primo luogo, si dichiara di non voler costruire un gruppo di potere, in seguito si esprime la volontà di valorizzare e difendere nuove tendenze del teatro, creando un rapporto di continuo scambio con le altre manifestazioni artistiche. Infine, si afferma la necessità di adeguare gli strumenti critici agli elementi tecnici dello spettacolo. Nella parte finale del manifesto si definiscono le modalità con cui si affronteranno questi cambiamenti. Viene affermata la necessità di estendere i margini d’errore. Inoltre, viene rifiutata l’idea di dare vita a un teatro per pochi eletti. Queste idee dimostrano quanta importanza aveva in questo periodo la questione del circuito. Gli intellettuali del nuovo teatro si interrogano sulle vie da percorrere in una contingenza storica in cui sembra controproducente il rifiuto radicale dell’organizzazione pubblica. Si sceglie di adottare una “ strategia riformista ” (definizione di De Marinis): gli artisti non devono cambiare lo stato di cose esistente nel teatro italiano, non devono rompere tutti i ponti con lo statuto del teatro italiano, ma rivendicare un proprio spazio all’interno delle strutture organizzative . Il manifesto nasce da uno scambio di incontri tra i critici attivi sul territorio italiano. Dopo aver stilato il manifesto i critici lo sottopongono a una serie di intellettuali. Alla fine, lo sottoscrivono in molti: Augias, Bartolucci, Bellocchio, Bene, Calenda, Leo de Berardinis, Quadri, Quartucci, ecc. Accanto a i teatranti e ai critici di cui abbiamo già parlato, quindi, tra i firmatari del manifesto ci sono anche alcuni artisti che partecipano in maniera più indiretta al clima di fermento creativo che si sviluppa a Roma durante la metà degli anni ’60. Ad esempio, Ambrosino e De Vita provengono da Milano, dove hanno dato vita a una compagnia denominata “Teatro d’ottobre”. Ancora Guicciardini e Liberovici invece dirigono il Teatro Libero e collaborano con la Compagnia del Porcospino. Il manifesto viene inoltre sottoposto all’attenzione di esponenti del teatro ufficiale, come Ronconi, Trionfo, Luzzani. È evidente, dunque, da parte dei promotori dell’iniziativa, la volontà di fare riferimento a un contesto più ampio rispetto al gruppo di lavoro che opera nelle cantine e alla sperimentazione. Purtroppo, però molte adesioni furono di fatto solo formali e non produssero il clima di collaborazione che si voleva creare. Infatti, al convegno una parte dei firmatari non si presentò. Dall’altra parte però alcuni tra cui Ricci, Mango, che non avevano firmato il manifesto (pur condividendo il programma) si presentarono al convegno e furono tra i protagonisti delle giornate. Nel manifesto è chiara l’intenzione di non creare un gruppo marginale/chiuso , proprio perché si tratta di personalità con ideologie molto diverse. La partecipazione però è estesa a tutti coloro che si sentono estranei ai modi e alle esperienze del teatro ufficiale, e che quindi si trovino ad affrontare problemi analoghi nell’ambito di una realtà dominata dal teatro ufficiale. Per comprendere l’ideologia su cui si fonda il manifesto, è necessario ritornare su un concetto di cui abbiamo già parlato: “la lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante che una questione estetica”. La lotta per il teatro, quindi, non ha a che fare solo con una questione estetica, ma è il simbolo di una volontà globale di cambiamento del rapporto tra arte e società. Si tratta quindi di una lotta anche politica, che immagina una rivoluzione del teatro in chiave popolare . L’opposizione tra il sistema ufficiale e il nuovo teatro si nota anche nel significato che assume il termine “politica” in questi ambiti: - Da un lato il mondo del teatro riscopre il senso profondo della politica, risalendo alla sua radice etimologica di polis, cioè comunità - Dall’altra il sistema ufficiale vede nella politica la base dei propri interessi economici, amministrativi e artistici. Negli Elementi di discussione vengono individuati i principi di una rivoluzione che ha l’obiettivo di trasformare il rapporto esistente tra teatro e società attraverso la realizzazione di un teatro “politico”, cioè aperto ai bisogni di un pubblico popolare . Nell’arco di tempo che va dalla redazione del manifesto (novembre 1966) al Convegno di Ivrea (giugno 1967), i critici redigono un documento da sottoporre agli artisti invitati al convegno, al fine di utilizzarlo come programma di ragionamento. Bartolucci, Capriolo, Fadini, Quadri redigono allora gli Elementi di discussione in cui elencano alcune questioni riguardo il Nuovo teatro. I critici tentano di dare un nome e una forma alla molteplicità delle proposte che si stanno sviluppando, precisando anche quali sono le tendenze (anche se era molto difficile individuare dei punti di riferimento, delle categorie astratte valide per tutti). Essi partono da un’osservazione della società contemporanea e deducono che una serie di fenomeni che la stanno attraversando stanno modificando radicalmente le esigenze del pubblico, a cui si deve adattare anche l’organizzazione teatrale. Si assiste a una maggiore capacità di diffusione del prodotto culturale da parte di organismi non specializzati (circoli di cultura, scuole, associazioni popolari). A questo corrisponde la nascita di gruppi teatrali fortemente legati a problemi sociali, economici, culturali. Dal cambiamento sociale, dunque, si sviluppa la necessità di rinnovare anche la struttura dei teatri, per favorire un’effettiva penetrazione del teatro nel corpo sociale, attraverso nuovi canali di diffusione e di distribuzione. Questo rinnovamento poteva avvenire attraverso la realizzazione e la diffusione di un modello di teatro formativo, che assolva la funzione di ricerca (teatro laboratorio) e quella di formazione (teatro collettivo). Il modo di operare politico del Nuovo teatro quindi si si fonda su due aspetti fondamentali: - L’innovazione, intesa come ricerca di laboratorio - La popolarità Per teatro laboratorio si intende un luogo di studio e ricerca, nel quale si intraprende un percorso che non è finalizzato esclusivamente alla realizzazione di uno spettacolo, ma che ha anche l’obiettivo di sperimentare con il linguaggio teatrale, sperimentare nuovi modi di comunicazione. È una struttura teatrale aperta sia sul piano del linguaggio, sia su quello dei mezzi e degli strumenti scenici, perché da voce alla complessità della realtà contemporanea. Nel teatro laboratorio, quindi, entra in rapporto dialettico con la realtà. I due aspetti fondamentali del modus politico del nuovo teatro a questo punto si congiungono. L’intervento del teatro nel vivo della società è infatti possibile attraverso l’uso di tematiche popolari, argomenti che toccano da vicino i problemi attuali, comuni a una grande parte del popolo. Per teatro collettivo si intende una struttura dove è abolita qualsiasi gerarchia al fine di realizzare un lavoro che vede partecipi tutti allo stesso modo e con lo scopo di provocare il pubblico in modo rivoluzionario. Il pubblico viene sollecitato con l’utilizzo di tematiche popolari. Il teatro collettivo si concretizza quindi non solo sulla scena, ma anche attraverso l’eliminazione della distanza tra palcoscenico e pubblico e attraverso l’uso di tematiche popolari. Da questo punto di vista quindi il teatro laboratorio non è in contraddizione con il teatro collettivo, perché in entrambi i casi vengono introdotti elementi di vita, appartenenti alla contemporaneità e ad un pubblico popolare. La tematica popolare, fondamentale nel modus politico del nuovo teatro, deve realizzarsi sulla scena attraverso l’uso di strumenti tecnici nuovi, sperimentati in sede di laboratorio. L’idea di un teatro laboratorio e collettivo confluisce quindi in un progetto più ampio, che prevede la nascita di un teatro formativo, un teatro che aspira ad avere come referente un pubblico da formare, eliminando qualsiasi distanza tra creatore e fruitore. In questo modo si crea una funzione di scambio tra teatro e società. Bartolucci chiarisce come si crea questa circolarità tra teatro e società e afferma come il linguaggio specifico che esprime questo rapporto tra teatro e realtà è la scrittura scenica. Gli elementi della scrittura scenica, che non hanno alcuna preminenza l’uno sull’altro, sono: il gesto, l’oggetto, la scrittura drammaturgica, il suono, lo spazio scenico. Negli Elementi si precisano anche le condizioni generali essenziali alla creazione di un teatro che faccia uso della dialettica teatro-società. Secondo questi critici queste sono le modalità che conducono al rinnovamento della scrittura scenica, perché questa sembra l’unica risposta possibile ai mutamenti in atto nella società. Se questo rinnovamento non si realizzerà ci si dovrà accontentare di una riforma più moderata. Nella parte conclusiva del documento si parla di questa ipotesi (di una riforma più moderata) e vengono dunque esposte le riforme da attuare in attesa che i segni di un più grande rinnovamento Questo teatro non si pone quindi in concorrenza con il teatro ufficiale, né pretende di prendere il suo posto, ma si fonda su principi nuovi e risponde ai bisogni di un nuovo pubblico. Rispetto al teatro ufficiale si presenta come un teatro libero, perché favorisce la libera discussione della collettività, che può intervenire e riconoscersi nella scena. Questa interpretazione della realtà teatrale in chiave “popolare” costituisce la base della riflessione del Convegno di Ivrea. Da questo punto di vista quindi il rinnovamento non è attuabile solo con l’immissione di qualche nuovo fattore nell’ambito del sistema vigente. La realizzazione di un’alternativa al teatro ufficiale può attuare invece attraverso la creazione di nuovi spazi in cui condurre la ricerca. Fadini collega la nascita del Nuovo teatro ai fattori di cambiamento che attraversano la società italiana. I territori culturali in cui si afferma il Nuovo teatro (i circoli di cultura, le fabbriche, i teatri, i club) sono tutti luoghi alternativi ai teatri stabili, dunque Fadini prospetta la creazione di una cooperativa che potrebbe essere affiancata a questi luoghi, per rispondere alle esigenze del nuovo teatro. La cooperativa rappresenta quindi una soluzione alle trasformazioni in atto nella società e nel pubblico. Secondo Fadini quindi la questione linguistica, quella organizzativa e quella produttiva devono essere strettamente collegate. 11 giugno Il convegno: durante la seconda giornata viene posta la questione del linguaggio e delle modalità di sperimentazione con i materiali scenici. Abbiamo gli interventi di Mango, Augias, Bajini, Fo, Fadini, ecc. Una delle argomentazioni principali è che la contrapposizione tra Nuovo teatro e teatro ufficiale ha a che fare soprattutto con la ricerca, cioè il rinnovamento costante del linguaggio, che è la soluzione per entrare in sintonia con la società contemporanea e i cambiamenti che la stanno attraversando. Il Nuovo teatro segue questa linea e rappresenta un’alternativa ai teatri stabili. Accanto ai teatri ufficiali si affianca dunque ora un “teatro libero” che può interpretare la realtà contemporanea e farsi espressione della sua complessità, attraverso un nuovo linguaggio teatrale, scenico, drammaturgico. L’opposizione ai canoni del linguaggio tradizionali è infatti dovuta anche ad alcune trasformazioni profonde della realtà contemporanea. Mango individua in alcuni eventi di grande importanza storica i motivi di queste trasformazioni profonde della società: la tragedia della guerra, gli scoppi di Hiroshima e Nagasaki, la guerra fredda, dall’altra anche il progresso scientifico, le conquiste tecnologiche, ecc. Allo stesso modo Augias sottolinea che la rifondazione e dello statuto formale del teatro è dovuta ai cambiamenti che hanno rivoluzionato il mondo e che hanno posto l’uomo di fronte a nuove angoscie. L’argomento della centralità del linguaggio si afferma nel processo di individuazione delle caratteristiche peculiari del nuovo teatro. Questo argomento però crea spaccature e tensioni. Fadini afferma che i gruppi e i singoli che hanno Nuovo teatro hanno un'unica aspirazione, cioè quella di “rifare il teatro”, quindi rifondare gli elementi del linguaggio teatrale. Dall’altra parte Bajini si batte per un teatro basato sui contenuti e finalizzato alla propaganda politica. Bajini si oppone all’intervento di Bene secondo cui “nel teatro non interessano i fini, ma solo i modi”. Secondo Bajini invece interessano solo i fini. Secondo Bajini l’unico scopo che ha il teatro, come tutta l’arte, è la propaganda politica . Il teatro deve essere dunque comizio, non deve perseguire l’arte. Nel gruppo degli artisti di Ivrea cominciano dunque a delinearsi due opposizioni contrappoteste: da un lato le avanguardie formali (capeggiate da Bene), che si concentrano sui problemi dell’immagine, del linguaggio. Dall’altra parte un teatro che si concentra sui contenuti. Il confronto teorico ha dunque delle difficoltà a trovare una sintesi, dei punti di contatto anche a causa dell’eterogeneità e ideologica dei componenti del Nuovo Teatro. Diventa allora importante la questione organizzativa. Arbasino e Lerici prendono in considerazione la questione della costituzione di una struttura organizzativa. Arbasino in particolare mette in evidenza le modalità e le potenzialità di una futura cooperativa, facendo un confronto tra il modello americano (in cui sono nati i teatri off Broadway) e quello italiano. Abrasino spiega che in Italia si sta producendo la medesima situazione che si era verificata in America: un teatro di minoranza che emerge in opposizione a uno di maggioranza. Questo teatro di minoranza trova terreno fertile, perché il teatro ufficiale non tiene in considerazione le trasformazioni avvenute nella società e nel pubblico e quindi finisce per lasciare scoperta una fetta del mercato , costituita da un pubblico giovanile . Il Nuovo teatro deve dunque proporre la sua offerta teatrale a questo pubblico. Per questo motivo il teatro di minoranza non va a sostituire il teatro ufficiale, ma lo affianca. In questa circostanza assume importanza il luogo in cui si debbano sviluppare le premesse per la creazione di un nuovo linguaggio teatrale (politico e popolare). La questione è sollevata da Dario Fo, il quale afferma che questo nuovo linguaggio nasce per comunicare all’interno di spazi specifici. Emerge quindi la questione della creazione di un circuito indipendente , che secondo Fo si lega all’individuazione di un mercato. Si deve dunque superare l’approccio elitario, impostare il Nuovo teatro su una base organizzativa non marginale. Per farlo secondo Fo si deve in primo luogo definire una fetta di mercato a cui riferirsi e poi effettuare una ricerca di nuovi spazi e un territorio alternativo a cui il nuovo teatro può adeguare i propri spettacoli. Da questo momento in poi quello che doveva essere un convegno di studio diventa un convegno organizzativo. Gli artisti allora, tralasciando le riflessioni sugli Elementi si concentrano unicamente sulla progettazione di nuove strutture e di un circuito indipendente . Venuta meno la possibilità di creare un progetto comune dal punto di vista ideologico ed estetico, si cerca quindi di realizzare un programma organizzativo. Le conferenze spettacolo Venendo meno in sede di convegno i momenti di riflessione sui materiali scenici, Fadini sprona gli artisti a recuperare spazi di discussione in occasione delle conferenze spettacolo. Il pomeriggio del 11 giugno erano programmate le conferenze spettacolo del Teatro del 101 e del Teatro Gruppo. Il Teatro 101 però non presenta il suo lavoro. Viene a mancare quindi un altro momento di confronto utile e di discussione sugli elementi del nuovo linguaggio. Come abbiamo visto nella fase di preparazione è stato difficile per i critici pensare a delle categorie astratte per definire il fenomeno che è in continua evoluzione del nuovo teatro. È ancora più difficile farlo durante il convegno. La Nuova critica, che voleva fare luce sulla situazione del nuovo teatro e introdurre un discorso globale che comprendesse sia l’aspetto linguistico, che quello organizzativo e produttivo, ora si trova a confrontarsi con gli errori commessi durante la fase di preparazione del convegno. Nell’ambito del convegno si viene dunque emerge una totale mancanza di punti di riferimento per definire i principi linguistici del nuovo teatro. Gli Elementi dovevano essere un punto di riferimento ideologico da cui partire per analizzare le evoluzioni del nuovo teatro. Questi punti dovevano essere verificati a contatto con gli artisti e l’alleanza tra nuova critica e nuovo teatro avrebbe dovuto creare una definizione, una linea comune. Invece di teorizzare gli artisti avrebbero dovuto tirare fuori dalle tasche i loro progetti per creare una base concreta di confronto. Questo però non avvenne probabilmente perché non si era ancora maturi abbastanza per affrontare un discorso di questo genere. I gruppi, dunque, non si aprono al confronto, limitandosi a presentazioni generiche o a descrizioni della propria attività. Le proposte di spettacolo La sera dell’11 giugno dovevano esibirsi tre gruppi, il Teatro Orsoline, il Teatro d’Ottobre, la compagnia di de Berardinis – Peragallo. Alla fine, solo gli ultimi presentarono il loro spettacolo. Gli esiti dei due spettacoli sono molto diversi. Leo e Perla, che ebbero il primo contatto con un pubblico più vasto e qualificato ad Ivrea (debuttano qualche mese prima a Roma), sono una grande scoperta per il convegno. Mettono in scena la Faticosa messa in scena dell’Amleto di William Shakespeare e hanno anche un grande successo . Risulta molto interessante la contaminazione tra cinema e teatro, con l’utilizzo di mezzi tecnici contemporanei, microfoni, amplificatori, strumenti elettronici, ecc. Al contrario lo spettacolo del gruppo d’Ottobre (composto da Ambrosino, Bajini, Franceschi) delude molto. All’interno di questo spettacolo veniva detta in termini ironici la famosa poesia di Marinetti sulla guerra: L’assedio di Adrianopoli. Allora Bene si alza affermando che non si poteva assolutamente tollerare una simile ironia su Marinetti ad un convegno di questo genere. A questo punto ci furono prese di posizione a favore o contro Bene e lo spettacolo venne interrotto. La reazione di Bene a questo spettacolo fa emergere le differenze tra gli artisti del nuovo teatro. Si comincia a creare un’alleanza tra Bene, Ricci, Quartucci e de Berardinis , in base a una visione comune del metodo e degli scopi della sperimentazione. Quest’alleanza ha un valore storico in quanto segna la prima linea di tendenza nell’ambito del nuovo teatro. Questo gruppo sostiene dei principi di rinnovamento che si sono in contrasto con quelli del Gruppo d’Ottobre, cioè con un teatro che si definiva politico. Viene quindi alla luce il contrasto riguardo alla concezione del rinnovamento teatrale , che per alcuni doveva avvenire attraverso una rivoluzione dei modi, per altri attraverso una trasformazione dei fini. Emerge quindi una nuova declinazione della dimensione politica del teatro, che non ha a che fare con i contenuti ideologici, ma più che altro con una rivoluzione linguistica. L’opera teatrale si apre verso la contemporaneità attraverso una nuova configurazione dei segni e del linguaggio scenico. La rifondazione del linguaggio teatrale è quindi una conseguenza delle trasformazioni del rapporto tra arte e società, che ora è un rapporto “popolare”. La scrittura scenica è dunque l’elemento che differenzia le due fazioni che si formano nel convegno: quella guidata da Bene, che cerca una rifondazione dello statuto formale del teatro; e quella guidata dal Gruppo d’Ottobre, che si concentra sui contenuti politici del teatro. Dal punto di vista storico questa opposizione ha un significato importante: testimonia infatti come all’interno di questo nuovo teatro esistessero delle differenze inconciliabili. 12 giugno L’ultima mattina del convegno Bartolucci pronuncia un discorso mettendo in evidenza come era mancata la discussione sul linguaggio critico, sulla scrittura scenica… inoltre i vari gruppi si erano scontrati sul modo di fare, sul procedimento e questo ha acceso gli animi. In effetti l’ultima giornata del convegno registra pochissime presenze ed è condizionata dagli avvenimenti della giornata precedente. Il tema del giorno avrebbe dovuto essere: acquisizione di un pubblico nuovo attraverso nuove strutture organizzative. Si era persa un’occasione di confronto, secondo molti dei critici. Ma in realtà non si trattava semplicemente di un’occasione di confronto perduta, ma era in gioco la possibilità di sopravvivenza del teatro sperimentale. In questo contesto la critica costituisce un ponte di comunicazione tra i gruppi e le istituzioni, che è essenziale per avere consenso e tutela. Il testo degli Elementi era stato preparato dai critici come un programma teorico di discussione e conteneva le indicazioni da cui partire per la riflessione, il dibattito e il confronto tra gruppi. “Rifare il teatro” su basi completamente diverse da quelle del teatro ufficiale significava trovare un nuovo linguaggio che rispondesse ai bisogni della società. Non si tratta quindi di un rinnovamento del linguaggio fine a sé stesso, ma si tratta di un impegno diretto del teatro nella società. In questo
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