Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto la nascita della tragedia, Appunti di Estetica

sunto per l'esame di estetica, basato su appunti personali e studio del testo consigliato dal prof cattaneo: la nascita della tragedia di nietzsche

Tipologia: Appunti

2015/2016
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 01/06/2016

Francesca.Porta
Francesca.Porta 🇮🇹

4.5

(30)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto la nascita della tragedia e più Appunti in PDF di Estetica solo su Docsity! LA NASCITA DELLA TRAGEDIA F. Nietzsche CAPITOLO I Concetto logico che lo sviluppo dell'arte è legato alla dicotomia dell' APOLLINEO e del DIONISIACO. Ad entrambe le divinità artistiche greche, Apollo e Dionisio, si collega la nostra conoscenza che nel mondo greco esiste un contrasto, per origine e per fini, fra L'ARTE FIGURATIVA di Apollo e quella NON FIGURATIVA di Dionisio: impulsi diversi, che procedono l'uno accanto all'altro, in aperto dissidio fra loro; eccitandosi reciprocamente a nuove creazioni per perpetuare l'antagonismo, finché grazie ad un atto metafisico della “VOLONTÁ” ellenica appaiono accoppiati l'uno all'altro e generano l'opera d'arte dionisiaca e apollinea della TRAGEDIA ATTICA. Pensiamoli come i mondi artistici del SOGNO (Apollo) e dell' EBBREZZA (Dionisio). Nel sogno apparvero per la prima volta alle anime degli uomini, secondo Lucrezio, le splendide figure degli dei. La bella parvenza dei mondi dei SOGNI, in cui ogni uomo è un perfetto artista, è il presupposto di tutta l'arte figurativa e di una essenziale metà della poesia. Tuttavia anche nella realtà del sogno riusciamo a percepire ancora il suo carattere di appartenenza. IL NOSTRO INTIMO ESSERE SPERIMENTA IN SÉ IL SOGNOCON PROFONDO PIACERE E GIOIOSA NECESSITÁ. Questa gioiosa necessità dell'esperienza del sogno è stata espressa dai Greci nel loro dio Apollo: lo “splendente”, la divinità della luce, governa anche la bella parvenza del mondo interiore della fantasia. L'Apollineo si esprime nell'equilibrio armonico fra le parti; è come il sonno, il velo di Maya di Schopenhauer, in quanto è la rappresentazione illusoria, ordinata e armoniosa della vita. Apollo dio della luce e la razionalità dispiegata, come la magnifica immagine del PRINCIPIUM INDIVIDUATIONIS (principio di individuazione). Il rapimento estatico che per l'infrangersi del principio di individuazione sale dall'intimo dell'uomo, anzi dalla natura, allora gettiamo uno sguardo sull'essenza del DIONISIACO. Con l'incanto dionisiaco non solo si rinsalda il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata ritrova la conciliazione con l'uomo. Nell' UNIVERSALE ARMONIA ognuno si sente riunito con il prossimo e con se stesso, come se il velo di Maya fosse stato strappato. L'UOMO NON È PIÚ ARTISTA, È DIVENUTO OPERA D'ARTE: la potenza artistica dell'intera natura, con il massimo appagamento estatico dell'unità originaria si rivela qui fra i brividi dell'ebbrezza. Il dionisio si esprime nella musica, nell'immedesimazione con la natura, nell'ebbrezza orgiastica; il dionisiaco è il carattere originario della grecità. Per Schopenhauer la conoscenza della cosa in sé, della Volontà, fa venir meno la certezza e la sicurezza del principium individuationis, rendendo palpabile l'orrore di un mondo dominato da un principio a-razionale, in cui la individualità si nullifica. Questa condizione è per Schopenhauer fonte di angoscia. Per Nietzsche, invece, è ambivalente: è orrore ma contemporaneamente rapimento estatico. CAPITOLO II Finora abbiamo considerato l'apollineo e il dionisiaco come due forze artistiche che erompono dalla stessa natura, SENZA LA MEDIAZIONE DELL'ARTISTA UMANO, in cui trovano soddisfazione : da una parte come mondo d'immagine del sogno, la cui perfezione è con l'altezza intellettuale o la cultura artistica del singolo; dall'altra parte come realtà piena di ebbrezza, che non tiene conto del singolo, anzi tenta persino l'annientamento dell'individuo e di redimerlo attraverso un mistico senso di unità. Nei confronti di questi stati artistici della natura, ogni artista è IMITATORE, o artista apollineo o artista dionisiaco, o infine artista contemporaneamente del sogno e dell'ebbrezza. Impulsi artistici della natura sviluppati dai Greci: dei sogni dei Greci è possibile parlare soltanto per congetture; non ci si potrà trattenere dal presupporre una causalità logica di linee, profili, colori e gruppi la cui perfezione ci autorizzerebbe a designare i Greci Sognanti come Omeri e Omero come Greco Sognante. L'immenso abisso che separa i Greci Dionisiaci dai Barbari Dionisiaci non abbiamo bisogno di congetture. Da tutte le estremità del mondo antico, da Roma a Babilonia, possiamo dimostrare l'esistenza di feste dionisiache. Quasi tutte queste feste consistevano in una esuberanza sessuale: contro tali eccitazioni i Greci furono per qualche tempo difesi dalla figura di Apollo e nell'arte DORICA si è eternato quel sentimento di maestosa ripulsa. Con la riconciliazione fra i due e il momento più importante nella storia del culto greco. Nel mondo omerico dei Greci, suscitò spavento la MUSICA DIONISIACA; diversamente da quella apollinea, che era architettura di suoni, nel DITIRAMBO DIONISIACO l'uomo viene stimolato al massimo potenziamento di tutte le sue facoltà simboliche: l'essenza della natura viene espressa simbolicamente nella danza; ed è possibile comprendere l'espressione simbolica solo a quel vertice di alienazione di sé. CAPITOLO III Il dualismo Apollineo e Dionisiaco rappresenta una caratteristica profonda dell'anima greca. Gli dei olimpici sono il mezzo con cui i greci sopportano l'esistenza, soffrendo in modo profondo a causa della loro sensibilità e grazie all'armonia delle forme ispirate da Apollo, riuscirono a vincere l'orrore delle forze titaniche e ad erigere l'ordine degli dei olimpici. Gli dei olimpici “giustificano la vita umana vivendola essi stessi”, perché la vivono fuori dall'angoscia della morte. In sintonia con Schopenhauer, il mondo è volontà di vivere con i suoi impulsi producenti dolore e tragedia, per cui sarebbe stato meglio non essere mai nati, o se nati morire al più presto possibile. Ciò viene detto da Sileno ( figura filosofica, mezzo uomo e mezzo animale, precettore di Dionisio) dice a re Mida. Questo detto non è un elemento isolato. Insieme al principio apollineo è presente quello dionisiaco, che rende conto di elementi di saggezza come quello espresso da Sileno. Il detto di Sileno quindi, oltre a rischiarsi al principium individuationis schopenhaueriano - da cui dipende il costituirsi del mondo come sistema ordinato di rappresentazioni -, ci richiama ad un altro principio, l'elemento dionisiaco che è insieme l'azione e la consapevolezza oscura del movimento vitale e originario, il quale è insieme principio di vita e di morte. Va precisato che nella nascita della tragedia c'è il rifiuto del pessimismo e dell'ascetismo schopenhaueriano. L'idea della natura come dimensione dell'ingenuo e della spontaneità, come stato originario che parla di musica. MUMSICA E TRAGEDIA VIVONO IN SIMBIOSI. La musica appare come volontà, nel senso schopenhaueriano, in antitesi alla disposizione estetica contemplativa e priva di volontà. Il lirico ha bisogno di esprimere il contenuto della musica (dionisiaco) con delle immagini (apollineo). È un po' quanto avviene in una sinfonia di Beethoven: quando si designa una sinfonia come “pastorale” o un movimento con un'immagine simbolica come “scena in riva al ruscello”, sono solo immagini nate dalla musica stessa. L'artista per riuscire a racchiudere dentro di se le due nature, dionisiaca e apollinea, deve compiere uno sforzo immenso che rasenta la follia; il lirico interpretando l musica con immagini si mette al sicuro, nel senso che anch'egli si mette tranquillamente nell'ottica della contemplazione apollinea. Ma il rapporto fra musica ed immagini, quindi fra musica e lirica, è impari: mentre la lirica ha assolutamente bisogno della musica, la musica nella sua illimitatezza non è assolutamente legata ad un rapporto di dipendenza con le immagini e quindi con la lirica. La musica è come il Dio dei cristiano: inesprimibile. Il linguaggio è assolutamente limitato per esprimere anche solo una parte di quanto racchiude entro di sé la musica. Il linguaggio è lo strumento di cui c'è bisogno per esprimere le apparenze, ed è quindi totalmente inadatto e limitato per esprimere la più profonda interiorità della musica e neanche tutta l'eloquenza lirica riesce ad avvicinarsi al senso più profondo della musica. La conclusione è che il lirico sia l'ultimo passaggio prima della nascita della tragedia. CAPITOLO VII L'ORIGINE DELLA TRAGEDIA. Tradizione ci dice con piena risolutezza che la TRAGEDIA È NATA DAL CORO TRAGICO e che originariamente era solo coro e nient'altro che coro, questo è quello che ci dice la tradizione antica, ma non ha alcuna attinenza con la formazione originaria della tragedia. Schelgel ci raccomanda di considerare il coro come la quintessenza e l'estratto della massa degli spettatori come lo “spettatore ideale”. Il coro riconosce davanti a sé figure concrete e non rimane consapevole di avere davanti un'opera d'arte. Il perfetto spettatore ideale lascia agire su di sé il mondo della scena in maniera empirica e non estetica. Schiller: il coro è come un muri vivente che la tragedia traccia intorno a sé per isolarsi dal mondo reale e per difendere la libertà poetica. L'effetto immediato della tragedia dionisiaca era che lo Stato e la società cedono ad un soverchiante sentimento di unità che riconduce al cuore della natura. In un certo qual modo l'uomo dionisiaco assomigli ad Amleto; entrambi hanno gettato uno sguardo vero nell'essenza della cose, hanno conosciuto e provano nausea di fronte all'agire, giacché la loro azione non può mutare nell'essenza eterna delle cose. L'arte soltanto può piegare quei pensieri nauseanti per l'orrore o l'assurdità dell'esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il SUBLIME come addomesticamento artistico dell'orrore e il COMICO come sfogo repressione artistica del disgusto per l'assurdo. IL CORO DEI SATIRI DITIRAMBO È L'AZIONE SALVATRICE DELL'ARTE GRECA. CAPITOLO VIII Il greco nel satiro vede l'immagine originaria dell'uomo, l'espressione delle sue passioni più alte e forti, come simbolo dell'onnipotenza sessuale della natura, qualcosa di elevato e divino: così doveva apparire alo sguardo di dolore dell'uomo dionisiaco. Il pastore agghindato e falso lo avrebbe offeso. L'illusione della civiltà era cancellata dall'immagine originaria dell'uomo, qui si svela l'uomo vero, il Satiro barbuto che osanna il suo Dio. Davanti a lui l'uomo civile si contrae in una menzognera caricatura. Schiller ha ragione: il coro è un muro vivente contro l'assalto furioso della realtà, poiché esso- Coro dei Satiri- riflette l'esistenza in modo più verace e reale che non l'uomo civile. Il Coro dei Satiri mostra già in un'allegoria quel rapporto originario tra cosa in sé e apparenza. L'idilliaco pastore dell'uomo moderno è soltanto un'effige della somma di illusioni culturali che per lui vale come natura; il Greco dionisiaco vuole la verità e la natura nella loro massima forza e si vede trasformato d'incanto in satiro. La posteriore costituzione del coro tragico è l'imitazione artistica del fenomeno naturale; si deve tener conto che il PUBBLICO DELLA TRAGEDIA ATTICA RITROVAVA SE STESSO NEL CORO DELL'ORCHESTRA; il tutto è solo un grande sublime Coro di Satiri danzanti e cantanti o di uomini che si fanno rappresentare da questi Satiri. IL CORO È LO SPETTATORE IDEALE IN QUANTO ESSO È L'UNICO SPETTATORE, LO SPETTATORE DEL MONDO DI VISIONE DELLA SCENA. Nel mondo greco lo spettatore abbracciava con lo sguardo l'intero mondo culturale intorno a sé e diventare coreuta. Il Coro AUTOSPECCHIAMENTO DELL'UOMO DIONISIACO: il processo dell'attore che se ha vero talento vede fluttuare davanti ai suoi occhi in maniera così sensibile da essere quasi afferrata la figura del personaggio che deve rappresentare. IL CORO DEI SATIRI È INIZIALMENTE VISIONE DELLA MASSA DIONISIACA. Il fenomeno estetico è semplice; la capacità di vedere un vivo gioco e di vivere attorniati da schiere di spiriti, allora si è poeti; se si sente l'impulso di trasformarsi e di parlare con altri corpi e anime allora si è drammaturghi. L'eccitazione dionisiaca è in grado di comunicare ad un'intera massa questa disposizione artistica, di vedersi cioè attorniati da una folla di spiriti, in uno. FENOMENO DRAMMATICO ORIGINARIO: vedere se stessi trasformati davanti a sé e agire adesso come se si fosse realmente entrati in un altro corpo. Qualcosa di diverso dal rapsodo, che non si fonde con le sue immagini, ma com il pittore le vede fuori di sé con sguardo contemplante, annullamento dell'individuo nell'allocarsi in una natura estranea. Il ditirambo è diverso da ogni altro canto corale, il coro ditirambo è un CORO DI TRASFORMATI,servitori senza tempo del loro dio; ogni altra lirico a dei Greci è soltanto un'enorme estensione del singolo cantore apollineo. DOBBIAMO INTENDERE LA TRAGEDIA GRECA COME IL CORO DIONISIACO CHE INCESSANTEMENTE SI SCARICA IN UN MONOD APOLLINEO DI IMMAGINI. CAPITOLO IX Il dialogo è dunque la parte apollinea, trasparente e bella. Soprattutto la lingua degli eroi sofoclei ci sorprende per la sua chiarità apollinea, e noi crediamo di giungere fino alla loro intima essenza. Ma quelle macchie luminose sono conseguenza dello sguardo gettato nel fondo terribile della natura, servono a salvare l'occhio offeso dall'orrenda notte. Il contrario di quello che succede dopo aver guardato il sole: quando ci volgiamo abbagliati vediamo scure macchie colorate. La SERENITÁ GRACE è questa. Edipo è la figura più dolorosa della scena greca: è concepito da Sofocle come l'uomo nobile che è destinato all'errore e alla miseria nonostante la sua saggezza, ma che alla fine, in virtù del suo immenso soffrire esercita intorno a sé un'azione magica e benefica che è ancora più efficace dopo la sua dipartita. Infatti Edipo è l'omo dell'errore, poi l'eroe della passività. Dal suo agire può essere compromesso l'ordine morale e perfino quello naturale, ma il suo agire traccia un superiore cerchio magico di effetti che fondano un mondo nuovo sulle rovine di quello crollato. L'intreccio aggrovigliato si scioglie e su tutta l'opera soffia una superiore serenità. Sofocle è poeta religioso e mostra che dalla sfera divina si irradia una serenità ultraterrena. L'eroe raggiunge la sua più alta attività con il suo comportamento passivo che si estende oltre la sua vita, mentre gli sforzi consapevoli nella fase precedente lo avevano condotto solo alla passività. La natura ci mostra quell'immagine luminosa dopo che abbiamo gettato gli occhi nel baratro. Edipo ha spezzato la legge dell'individuazione confondendo le generazioni. Il mito sembra bisbigliare che la sapienza, in particolare quella dionisiaca, è un orrore contro la natura. Alla gloria della passività si contrappone la gloria dell'attività di Prometeo di Eschilo, in cui la concezione del mondo eschilea vede troneggiare la Moira come eterna giustizia su dei e uomini. Necessità e Destino sono le divinità supreme, il predominio del fato non risparmia nessuno. Eschilo mette il mondo olimpico sulla sua bilancia della giustizia con stupefacente arditezza. Sfogava i suoi impulsi scettici sugli dei olimpici in quanto il suo pensiero metafisico era basato sui misteri. Prometeo è l'artista titanico che ha fede di poter creare uomini o di distruggere gli dei olimpici grazie alla sua superiore sapienza che deve però scontare con un'eterna sofferenza. Il suo è l'aspro orgoglio dell'artista. Invece Sofocle nell'Edipo intona il canto di vittoria del santo. Eschilo da del mito un'interpretazione che non ne scandaglia il sottostante abisso di terrore: la serenità del creare artistico è una luminosa immagine di nuvole e cielo che si rispecchia in un lago di nera tristezza. La leggenda di Promoteo rispecchia la profondità tragica dei popoli ariani; questo mito ha la stessa importanza di quello dl peccato originale per i semiti: i due miti sono come fratello e sorella. Il presupposto del mito di Prometeo è l'importanza del fuoco come il vero palladio di ogni civiltà ascendente. Ma che l'uomo ne disponesse liberamente apparve a quei contemplativi uomini arcaici come un sacrilegio, come una rapina ai danni di una natura divina. La conquista del fuoco avviene con un crimine che crea una contraddizione fra uomo e dio; tale delitto porta un intero flusso di dolori e di affinità all'umanità. La dignità conferita al crimine contrasta con il mito semitico del peccato originale, dove l'origine del male è dato dalla curiosità, dal raggiro, dalla menzogna. LA VIRTÚ PROMETEICA È IL PECCATO ATTIVO. Prometeo di Eschilo è una maschera dionisiaca quando vuole prendere sul dorsole singole piccole cime ondulate degli individui, mentre nella profonda tendenza alla giustizia Prometeo rivela la sua discendenza paterna da Apollo, dio dell'individuazione e dei limiti della giustizia. La sua natura insieme dionisiaca e apollinea: tutto ciò che esiste è giusto e ingiusto, ma in entrambi i casi è ugualmente giustificato. CAPITOLO X Le figure famose della scena greca come Edipo e Prometeo sono tutte maschere di Dionisio. L'unico Dionisio dunque appare in una molteplicità di personaggi che hanno la maschera dell'eroe in lotta preso nella rete della volontà individuale. Dionisio quindi appare come un individuo che lotta e che soffre. Ma è il dio che soffre il dolore dell'individuazione che è la fonte e la causa prima di ogni sofferenza. Dalle lacrime di Dionisio sono nati gli uomini, dal suo sorriso gli dei olimpici. Egli fu fatto a pezzi dai Titani e in questo stato venne venerato come Zagreus. In quanto dio smembrato Dionisio ha la doppia natura di un demone crudele e selvaggio e di un dominatore mite e dolce. L'epos omerico è la poesia con cui la cultura olimpica intona il suo canto di vittoria sui territori per la lotta dei Titani. Ma nella tragedia i miti omerici appaiono trasformati da una concezione ancora più profonda. Alla fine della trilogia prometeica, Zeus si allea con il Titano così la cultura titanica viene riportata dal Tartaro alla luce. Le religioni si estinguono quando i presupposti mitici vengono sistematizzati come eventi storici e il mito pretende di avere una fondatezza storica. Allora il mito morente fu afferrato dal genio della musica dionisiaca e fiorì ancora una volta mandando un profumo che suscitava il presentimento struggente di un mondo metafisico. Ma dopo questa rinascita il mito declina, le sue foglie appassiscono e i beffardi luciani dell'antichità cercano di ghermirne i fiori scoloriti e inariditi. La tragedia giunta al suo significato più profondo si solleva ancora una volta come un eroe ferito e nell'occhio gli arde un ultimo potente bagliore. L'empio Euripide cercò di costringere ancora una volta questo eroe a servirlo e il mito morì tra le sue braccia. Lo sostituì euripideo un mito mascherato che cercava di adornarsi con l'antica pompa come la scimmia di Ercole. Con Euripide moriva il mito e moriva anche il genio della musica, Dionisio e Apollo lo
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved