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Riassunto "La passione di Perpetua e Felicita", Sintesi del corso di Letteratura latina

Introduzione e riassunto dettagliato della passione di Perpetua e Felicita.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 29/01/2021

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9 documenti

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Scarica Riassunto "La passione di Perpetua e Felicita" e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! 1 Passio Perpetuae et Felicitatis Un giorno di marzo del 203 d.C. una giovane donna viene messa a morte nell’anfiteatro di Cartagine. La sua esecuzione è uno dei momenti culminanti di uno spettacolo che festeggia il compleanno di Geta, il figlio maggiore dell’imperatore. Alla giovane donna, come ai suoi compagni (una schiava di nome Felicita e quattro uomini, Revocato, Saturnino, Secondolo e Saturno) era stato chiesto di sacrificare all’imperatore. Ma la giovane donna è cristiana, la sua religione non glielo consente: insieme ai suoi compagni, per aver rifiutato viene condannata ad bestias. Una donna che affronta la morte per non rinnegare la sua fede. Il suo nome entra nella storia: si chiama Vibia Perpetua. E passa alla storia soprattutto grazie al diario nel quale, a partire dal momento in cui venne arrestata e gettata in carcere, annota fatti e sensazioni: l’arrivo in carcere, la vita all’interno di questo, i rapporti con i carcerieri, gli incontri con i familiari (soprattutto con il padre), le visioni che accompagnano i suoi giorni e le sue notti, i suoi stati d’animo, la certezza della sua determinazione e il dolore per le sofferenze che questa infligge ai suoi cari. Un diario straordinario, che in ambito cristiano farà di lei un modello della martire, e che per gli storici del mondo romano è un documento estremamente prezioso: in primo luogo perché i testi latini di mano femminile sono pochissimi, e nella totalità dei casi, pur fornendo importanti informazioni sulla condizione delle donne, non consentono di conoscere i pensieri, i sentimenti, il carattere e le scelte di vita di chi li ha scritti. Il diario di Perpetua, eccezion fatta, forse, per le poesie di Sulpicia, è il solo documento che consente di conoscere in modo così intimo e commovente la vita personale e i sentimenti di una donna romana. Le parole di Perpetua sollecitano varie riflessioni. La prima riflessione: Perpetua, però, non è l’unica donna romana che ha lasciato traccia scritta di sé. Le donne romane, a differenza di altre donne antiche (il riferimento è soprattutto alla donne ateniesi), ricevevano un’educazione. Nei primi secoli della città la loro educazione era articolata attorno all’apprendimento di attività come il lanificium, e di virtù che erano il naturale completamento di una donna dedita a questa attività: la castità, la riservatezza, la modestia, la pietà. Tuttavia con il passare dei secoli il mondo era cambiato, le donne si erano emancipate, partecipavano ampiamente alla vita sociale, e ricevevano una buona educazione. Ovviamente, il livello di questa era variabile, a seconda della classe sociale cui appartenevano. Nelle case di chi poteva permettersi di pagare un pedagogo, le figlie femmine venivano istruite insieme ai fratelli. Ma anche se appartenevano alle classi meno fortunate di regola sapevano leggere e scrivere. Ma quelli e quelle più fortunate, dopo l’istruzione elementare, ricevevano in casa un’educazione che comprendeva materie come la letteratura, la retorica o il diritto. Ma quello che queste e altre donne hanno scritto è andato quasi interamente perduto. Il diario di Perpetua, anche se scritto con intenti diversi, è un testo che può essere avvicinato alle poesie di Sulpicia. Figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo, a sua volta figlio e omonimo del giurista Servio Sulpicio Rufo, apparteneva a una delle famiglie più note e rispettate della città. Non meno altolocata la famiglia materna: la madre di Sulpicia era una Valeria, sorella di Marco Valerio Messalla Corvino, in gioventù compagno di studi ad Atene di Cicerone, e grande amico e protettore di Tibullo. 2 Sulpicia, insomma, apparteneva alla buona società: e aveva, tra gli altri, il privilegio di frequentare gli intellettuali che si raccoglievano intorno a Messalla, suo zio, e anche suo tutore. E Sulpicia sfruttò le circostanze favorevoli della sua nascita e delle sue frequentazioni: dotata di buona sensibilità poetica, scrisse delle elegie. Nella loro radicale diversità, le sue poesie sono, insieme al diario di Perpetua, gli unici due testi latini in cui, di loro pugno, due donne parlano di sé, esprimono la loro personalità e sensibilità, i loro sentimenti. Dai suoi versi esce il ritratto di una giovane donna diversa, radicalmente diversa da Perpetua, ma come questa determinata a vivere secondo le sue scelte; o nel caso di Perpetua, a difenderle a costo della vita. Perpetua e Sulpicia sono le uniche due donne del cui carattere e della cui vita ci resta documentazione che non proviene da mano maschile, ambedue sono, ciascuno a modo suo, due ribelli. Anche nella vita familiare: invano il padre di Perpetua la prega di piegarsi al potere, per salvarsi la vita. Perpetua soffre per lui, capisce il suo dolore, ma non lo ascolta; Sulpicia non presta alcun ascolto ai divieti del tutore, che non approva la sua reazione con Cerinto. Non rispetta i suoi ordini, vede l’amante di nascosto. In modo diverso, ambedue contestano uno dei principi fondamentali alla base della vita familiare romana, l’autorità del capofamiglia o di chi ne fa le veci. La seconda riflessione è legata al singolare, non chiarissimo stato di famiglia di Perpetua. Di lei sappiamo che apparteneva a una buona famiglia di Thuburbo Minus, a poco più di 50 km da Cartagine, dove venne arrestata; che aveva un padre e una madre, due fratelli; che aveva venti anni, aveva da poco partorito un bambino e lo stava allattando al momento dell’arresto. Dunque, doveva avere o quantomeno doveva aver avuto un marito. Ma Perpetua non fa alcun riferimento al padre di suo figlio, vivo o morto che fosse. L’assenza di questi dalla scena del carcere si può spiegare ed è stata spiegata pensando che, essendo contrario alla conversione della moglie e di fronte all’ostinazione di questa, l’uomo si fosse totalmente disinteressato della sua sorte. O anche pensando che fosse morto nei mesi tra il concepimento del figlio e l’arresto della moglie. Ma quel che appare singolare è il fatto che il neonato fosse affidato a Perpetua o, a seconda dei momenti e delle circostanze, ai genitori di lei. Per rendersi conto della singolarità della situazione, bisogna pensare alle regole in materia di matrimonio, di poteri maritali e di patria potestas. All’epoca in cui visse Perpetua, i poteri del marito sulla moglie si erano molto attenuati. A partire dal II secolo a.C. era caduto in disuso il matrimonio cosiddetto cum manus, a seguito del quale la moglie usciva dalla famiglia d’origine ed entrava in quella del marito e sottoposta al potere personale di questi, detto manus. Anche se coniugata, dunque, nel II secolo d.C., la donna continuava a far parte della famiglia d’origine, e non era più sottoposta alla manus maritale. Ma i suoi figli “appartenevano” esclusivamente al marito: la patria potestas sui figli nati da un’unione legittima, infatti, spettava esclusivamente al padre. Posto che sembra decisamente da scartare l’ipotesi che il figlio di Perpetua fosse illegittimo, perché, allora, il bambino era affidato a lei? È possibile pensare che la singolarità della situazione fosse legata al fatto che il matrimonio di Perpetua era stato sciolto dal divorzio? Che Perpetua fosse divorziata è cosa non solo possibile ma quasi certa. Il racconto inizia con un’introduzione del redattore il quale rivolge una preghiera a Cristo per esaltarne la beatitudine. Introduce brevemente il gruppo di martiri soffermandosi su Vibia Perpetua, una donna nobile di nascita, aveva un padre, una madre, due fratelli e un figlio ancora piccolo che stava allattando nel momento dell’arresto avvenuto quando lei aveva 22 anni. Dopo
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