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Riassunto "La radio nella rete", Sintesi del corso di Storia Della Radio E Della Televisione

Riassunto "La radio nella rete"

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 16/09/2020

sara-cordera
sara-cordera 🇮🇹

4.6

(29)

49 documenti

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Scarica Riassunto "La radio nella rete" e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! Che cosa sta accadendo alla radio? Oggi la radio è nella rete, è in una rete dove gli scambi e i cosiddetti prestiti mediali sono continui, in questa rete può prosperare. La rivoluzione digitale è stata, ed è, per la radio una sfida radicale. È cambiata molto però non ha perso le sue caratteristiche. La radio è un medium che si è rivelato molto adatto alla conversazione approfondita, allo scambio delle idee, dove non ci sono troppe distrazioni e si presta bene al dialogo tra le persone. Questa è l'epoca della distrazione della disattenzione: il tempo di concentrazione, di attenzione, di attesa sia ridotto, o almeno è cambiato. Questa svolta porta indubbi progressi, qual è il prezzo che potrebbe pagare la radio e chi vi lavora? L'epoca del Convegno dei cinque, una trasmissione storica inaugurata nel secondo dopo guerra in cui si conversava su temi altissimi con poche interruzioni, sopravvive ormai in poche nicchie con cerchie ridotte di ascoltatori. Quegli stili e quei ritmi erano poco popolari ieri e lo sono ancora meno oggi. E soprattutto la radio è già stata trasformata dall'avvento delle altre radio: le radio libere, comunitarie e commerciali. La radio si è saputa adattare, ha saputo connettersi con i linguaggi del proprio tempo. La radio sta cambiando molto, intercetta bene le caratteristiche e le necessità del tempo presente. Ma quelle necessità permettono la sopravvivenza della radio di parola seria, della radio di contenuto, ovvero di uno dei prodotti più utili, maturi, pluralisti che i mass-media possono offrire oggi? E il modo in cui si fa la radio oggi quali effetti ha sulle trasmissioni e sulle condizioni di approfondimento? Usando un'espressione enfatica, può avere effetti anche sull'anima della radio, o almeno su una delle sue anime? Numeri, tendenze, previsioni. Un cambio di stagione si è compiuto, dettato dalle innovazioni tecnologiche. La radio ha un nucleo sempreverde e forse intramontabile, legato all'ascolto e alla voce, ma la tecnologia ha mutato il modo in cui si partecipa, ha inserito il medium radio in un campo cross mediale. La radio gode ancora di buona salute ed è coerente con l'innovazione tecnologica, rimanendo al passo con la trasformazione. Dopo la crisi determinata dall'avvento della televisione, la radio è riuscita a ritrovare se non centralità, una solida tenuta e a recuperare ascolti. A partire dal 2015 è particolarmente evidente nel nostro paese l'assorbimento da parte dei grandi gruppi di molte piccole emittenze, fenomeno comune a tutto le Occidente. Le fonti di finanziamento oggi si basano o su un sostegno interamente pubblico, o su sistemi misti (sostegno pubblico, abbonamento e raccolta pubblicitaria), o ancora su base solo commerciale, tramite i ricavi pubblicitari o finanziamenti privati. Il nuovo contesto sta imponendo anche un ripensamento degli assetti giuridici che regolamentano il settore: in Italia è il governo ad accordare le licenze di trasmissione terrestre e via cavo, mentre è l'Agcom a concederle per i canali satellitari. Restiamo comunque un paese dall’etere molto confuso e affollato. La trasmissione seria da noi non occupa mai i primi posti nelle classifiche di ascolto. Non va inoltre taciuto che la radio ha un mercato più piccolo di quelli degli altri grandi paesi europei. In alcune arie economicamente poco sviluppate è tutt'oggi il media più diffuso come ad esempio nell'Africa subsahariana o nel Brasile. C'è una correlazione stretta tra regimi politici e modello pubblico privato: nei paesi di debole libertà politica la radio è spesso centralizzata e controllata dei governi. Il web e le web radio stanno comunque ridefinendo il quadro anche fuori dall'Occidente, perché le generazioni più giovani hanno stili di vita che le avvicinano a quelle occidentali. L'incremento portato dal web rende inoltre difficile un calcolo globale del numero delle web radio e indebolisce la divisione classica tra pubbliche, commerciali e comunitarie. In generale la radiofonia pubblica resiste meglio in quei paesi dove non si è investito in tecnologia e contenuti tematici, mentre è più debole laddove la liberazione è stata selvaggia e gli investimenti nel sistema pubblico scarsi. Bisogna soffermarsi sull'ingresso della radio nell'ecosistema di Internet: è un processo di profonda trasformazione, determinato dal digitale e dall'affermarsi dell'ecosistema comunicativo di Internet. Tutti i media ne escono profondamente cambiati, stanno vivendo una mutazione nei confronti di produzione, di fruizione, e nei contenuti. Ha cambiato anche il modo di produrre e ricevere informazioni. All'interno di questo campo in mutazione il broadcasting conosce dei cambiamenti specifici: innanzitutto il definitivo superamento della cosiddetta età della scarsità, anche se l’espressione usata dagli studiosi è età dell'abbondanza mediale. La radio aveva aveva conosciuto la scarsità in forma attenuata rispetto alla televisione, per ragioni di frequenze più abbondanti e meno costose, ma erano state queste caratteristiche a permettere alla radio di fornire un’offerta meno indifferenziata e massificata dalla televisione. L'avvento di Internet ha permesso di gestire tutto sotto forma di file di dati e allo stesso tempo l'introduzione di tecnologie avanzate nelle reti ha permesso di incrementare la velocità/quantità della comunicazione. Digitale e Internet hanno contribuito ad arricchire le piattaforme attraverso le quali si può ascoltare la radio. Tecnicamente gli strumenti attraverso i quali è possibile l'ascolto sarebbero diciotto, indichiamo qui principali: fm, onde medie, lunghe e corte, digitale, televisione digitale, tutti i tipi di telefoni mobili, satellite, web, social network. Tra i portati di maggior rilevanza della rivoluzione digitale c’è il podcast, che è una parola figlia della fusione tra il termine iPod e broadcasting, e che indica il sistema che permette di scaricare su qualsiasi dispositivo i contenuti audio delle trasmissioni, e di ascoltarle quando si desidera. Secondo diversi studiosi la radio avrà sempre uno zoccolo duro di ascolto live e local, da parte di un pubblico che è abituato e cerca le informazioni dell'ultimo minuto, ma la previsione più ragionevole sembra quella di una multi-piattaforma fatta di live, simulcast e on demand. Si diceva dell'età dell'abbondanza mediale; la digitalizzazione ha moltiplicato l'offerta in tutto l'audiovisivo. La rete offre dunque straordinarie opportunità alla radio, ma pone anche sfide difficili: quella del pubblico giovanile, quella della diffusione musicale (perché la radio non è più il canale prevalente attraverso il quale si scopre la musica), quella della multimedialità o ancora quella di servizi audio che non sono in radio, e quella dell’identità. La radio è antica, ha cent'anni, è parte delle abitudini di vita delle persone, quindi la speranza è che prima o poi divenga parte almeno di un frammento della quotidianità delle generazioni future. Quanto al futuro, qualche anno fa il destino della radio dal punto di vista della trasmissione sembrava chiaro: dall'Fm si sarebbe passati al digitale, in anticipo rispetto alla televisione. È dagli anni ’80 che si discute appunto di DAB e tuttavia il progresso è stato molto più accidentato di quello televisivo. Il trasloco dura da vent'anni e non si è ancora concluso. La radio digitale si sta diffondendo ma c'è tutto è un problema di standard condivisi e in parte già obsoleti al momento della presentazione, di costi eccessivi per le radio comunitarie locali, di abbandono delle poche ore amore remunerative aree rurali. L'ascolto nell'epoca della disattenzione. Oltre a questi ambiti per così dire tecnici c'è in realtà un campo più largo, che riguarda la metamorfosi sociale degli ultimi anni, ovvero la rivoluzione digitale, e quello che è stato definito il mondo flusso della connessione costante, e ciò implica altre domande tra cui, che spazio resta per l'ascolto nell'età della disattenzione? Credo che la risposta debba essere duplice: la prima riguarda più in generale l'ascolto, la seconda la capacità della radio di trovare un suo ruolo in suo spazio in un territorio affollatissimo. La radio resiste e resisterà perché in ultima analisi la musica e la parola umana possiedono una loro completezza, risponde anche ad un altro bisogno, quello di essere connessi, di sentire la compagnia delle voci umane. La radio è il medium del racconto, del comunicare. Prima della scrittura c'era l'oralità, la comunicazione basata sulla parola parlata, e le riflessioni sulla contrapposizione oralità-scrittura sono antichissime. L’oralità ha una sua forza innegabile: quando qualcuno parla alla radio, lo ascoltiamo parlare, risuona la storia universale dell'umanità, risuonano le nostre radici, donne e uomini attorno al fuoco. Ma è sempre stato ribadito che la radio è un mezzo puramente acustico, è l'unico medium dove c'è soltanto un senso, che parla all'orecchio e si distingue per l'assenza di corporalità. Impegnare uno solo dei cinque sensi significa che la mente deve ricostruire, arricchire, completare ciò che l'orecchio ascolta. La radio è adatta ai nuovi territori, alle nuove frontiere. La radio è agile, leggera, ubiqua. È il linguaggio di massa del Novecento che si è ibridato più volte e ha cambiato se stesso. Si adatta in modo quasi naturale a questo tempo. Grazie podcast la pratica del consumo radiofonico è diventata ancora più elastica. La radio è stato il primo medium broadcast portatile. In estrema sintesi dunque la radio risponde a un bisogno umano e ha una leggerezza e agilità che le permettono di sopravvivere, persino di prosperare. Non resisterebbe però se non continuasse a fare bene quello che fa fin dalla nascita: informare, educare, intrattenere. Connessioni di ieri e di oggi. L'effetto più evidente dell'incontro tra radio e rete riguarda il rapporto tra chi parla e chi ascolta: la social radio. Tutti questi social rendono molto più interattivo il rapporto fra chi fa radio e chi ne fruisce. Gli ascoltatori non solo hanno molti più strumenti per intervenire ma possono proseguire le loro conversazioni su altre piattaforme. Gli ascoltatori connessi in rete vengono definiti i networked listeners. dalla radio e lo sviluppo di genere culturali meno legati alla tradizione scolastica e ottocentesca, e cioè il documentario. Cosa si intende per conversazione? Per conversazione intendiamo un colloquio, una discussione tra due o più persone, non un monologo. Dunque una conversazione radiofonica è la stessa cosa di un dibattito, di una discussione, di talk show? Forse no e accettare l'idea che usare la parola conversazione radiofonica significa usare un'espressione ombrello, l'epitome di un genere radiofonico, che è appunto quello di due o più persone che discutono, dibattono, conversano sull'argomento. Usare la parola conversazione ha poi un'altra utilità, che è quella di permetterci di prendere in mano gli arnesi della retorica. Essa c'entra molto perché alla base di una conversazione ci sono regole, arti e trucchi. Ci sono manuali e progetti: non ci si può affidare solo all'intuito e all'improvvisazione, occorre un corredo di saperi di competenze, occorre conoscere il mondo. È importante saper intuire la personalità di colui con cui ci si voglia intrattenere, il che implica una predisposizione a entrare in sintonia con l'intelligenza dell'interlocutore per incoraggiarlo a prendere la parola. Per avere successo nella conversazione bisogna in primo luogo lasciare brillare gli altri. Altrettanto essenziale è il tono, la modulazione, il volume della voce. Sono regole che valgono per la conversazione in senso lato, con la presenza fisica di chi parla. La radio è cosa diversa, e vuole una declinazione specifica. La conversazione radiofonica oggi risponde agli ideali illuministi, e quindi serve ad aprire gli occhi, a mettere in circolo le idee, ad arricchire la conversazione nazionale, a stimolare, a fornire strumenti per leggere il presente. Serve anche a questo ma non solo. Perché la conduzione radiofonica è attiva e proteiforme, che abbraccia gli stili e contenuti più diversi, e lo stesso vale per i conduttori: sono figure variegate. Le regole della conduzione radiofonica. A guidare la conversazione alla radio c'è il conduttore. Che cosa deve fare? Esistono decine di elenchi di regole. Uno dei primi testi indica le 10 regole di uno speaker radiofonico: 1. Parla come mangi. 2. Sorridi mentre parli. 3. Parla poco, massimo due minuti, non essere prolisso. 4. Non impostare la voce, concentrati sui contenuti. 5. Pensa alle conseguenze di quello che dici. 6. Attenzione alle pronunce straniere. 7. Da giusto peso alle parole, non enfatizzare troppo. 8. Mai nominare radio concorrenti. 9. Non parlarti addosso, non parlare troppo di te stesso. 10. Scandisci bene le parole. Bisogna ricordare che molto dipende anche dal contesto e dal tipo di pubblico. Gli anglosassoni sono maestri di giornalismo, e hanno molto da insegnarci anche sulla radiofonia. Ecco quindi alcune regole di un saggio sulla radio e la conduzione: 1. Parla in modo che l'ascoltatore posso immaginare, usa dettagli e descrivi particolari. 2. Comincia sempre la trasmissione con qualcosa di interessante. 3. Di la verità perché l'ascoltatore si accorge quando non lo fai. 4. Non essere mai noioso, se sei annoiato lo sarà anche chi ascolta. 5. Ascolta la radio dove lavori anche quando non sei in onda. 6. Rendi significativo il tuo programma. 7. Seppellisci i morti, se il tema è vecchio lascialo perdere. 8. Se sei in diretta va tutto bene, sono i programmi registrati ad essere perfetti. 9. Va bene parlare del tuo programma e di quello dei tuoi colleghi. 10. Se non sai qualcosa va bene ammetterlo. 11. Lascia con attenzione e curiosità ii programmi degli altri. 12. Alla radio sì quello che sei. 13. Rischia. Sperimenta. Osa in grande. Non tutte queste regole sono applicabili in una radio pubblica ma per il resto sono suggerimenti preziosi. Accanto a questi due testi vorrei mettere due elenchi di regole pensati per radio di contenuto obiettivamente serio. Il primo è celeberrimo, sono Le norme per la redazione di un testo radiofonico di Carlo Emilio Gadda. Queste regole sono norme lontanissime da quelli applicabili a una conduzione di un programma in diretta, ma ci consegnano almeno tre lezioni che restano attuali: la chiarezza e il ritmo, la sopportabilità massima del parlato e la superiorità culturale. Un altro testo è quello scritto da Marino Sinibaldi: 1. Mai dare del tu agli intervistati. 2. Mai fare domande più lunghe delle risposte. 3. Mai fare domande la cui risposta è sì, certo, o simili. 4. Mai interloquire con sì, certo, assolutamente, come no o simili. 5. Mai lasciare incertezza sull'identità dell’interlocutore. Tutte queste regole che cosa ci dicono? Anzitutto che alcune norme sono valide per tutti, perché la radio ha una grammatica che va rispettata. Il ritmo, i tempi, la capacità di essere avvincenti, la chiarezza e la curiosità. Poi ogni radio pensa al proprio pubblico di riferimento. Nell'era della web radio, della cross-medialità molto resta in piedi delle regole di Gadda. Perché anche l'ascolto serio, la radio di contenuto deve rispettare certe norme, deve rispettare una struttura, a maggior ragione se vuole sopravvivere nell'era della frammentazione e della distrazione. Il giornalismo radiofonico vuole delle regole, anzi soprattutto il giornalismo radiofonico le vuole. Ci sono alcuni punti che non cambieranno mai, e che sono per così dire consustanziali al mezzo. In generale la manualistica insiste su alcune caratteristiche tipiche di questo tipo di giornalismo: sintesi, immediatezza, velocità, capacità di evocazione. Quindi la rivoluzione digitale cambia anche la conduzione radiofonica? No. La conduzione di oggi: genere e modelli. Se si studiano i manuali di radiofonia americani si trovano diverse classificazioni e sotto classificazioni, generi e sottogeneri, basati soprattutto sul target d'ascolto e sulle fasce orarie. Essendo un sistema che nasce privato e commerciale, si è sempre distinto per l'attenzione al rapporto tra prodotto e pubblico. Ma la questione del pubblico è sempre stata centrale per chi deve pensare, costruire una programmazione. Le classificazioni servono soltanto a fare ordine. La più grande distinzione è quella tra radio di palinsesto e radio di flusso: la prima è tendenzialmente generalista ed è costruita su una griglia di programmi pensati per un pubblico dai gusti indifferenziati, vasto ed eterogeneo, e quindi con distinzioni abbastanza leggibili; la seconda, detta anche format radio, è basata su un flusso che in generale prescinde dalle fasce orarie e dall'offerta per genere di pubblici, e che è costruito su un sistema di elementi fissi, ripetitivi, riconoscibili (clock, la cui struttura interna di un'unità di misura temporale). L'ascoltatore si accorge subito dell'ambiente nel quale entrato. Il format dell'emittente impronta di sé il clock. Così come è il tipo di pubblico della singola radio a orientare il tipo di format. La parola format si usa anche relazione singoli programmi. Una certa vaghezza e ambiguità appartengono anche all'uso di un altro termine, quello di genere: un insieme di tratti distintivi che consentono al pubblico di orientare le sue attese nei confronti di un testo o di uno spettacolo. È una definizione generale, poi ogni medium ha un proprio specifico sistema dei generi. La stagione d'oro dei generi coincide con la stagione d'oro della radio di programma. I generi variano moltissimo ma la distinzione classica è tra parlato di accompagnamento e parlato di contenuto. La prima è stata la forma tipica delle radio commerciali giovanili o d’evasione, la seconda delle radio pubbliche. Non scordiamo inoltre che tutto dipende dal contesto e che le classificazioni di genere sono discutibili. La moltiplicazione dei format riguarda soprattutto l'offerta musicale, per la radio di parola si può distinguere tra all news, talk, news&talk, music&news. Negli stati uniti è abbastanza diffuso il format all news radio, canali caratterizzati dalla presenza fissa e costante di notiziari, di durata varia, inframmezzati da brevi rubriche sempre di taglio informativo. In Italia questo modello non si è mai davvero affermato. Le stazioni che gli somigliano di più sono radio1 e radio24 che andrebbero però classificate tra le radio news&talk o news&music&talk. È un format che in generale si rivolge a un pubblico adulto e con una buona scolarizzazione. Un modello leggermente diverso e di buon successo è 5live della BBC, che mette assieme news e sport, tutto in diretta. La talk radio è la radio di parola, sui temi più diversi. L'espressione parlato di contenuto purtroppo è vaga, può voler dire tutto e niente. La qualità del contenuto, il tipo di contenuto può essere davvero molto diverso. Anche l'espressione parlato di accompagnamento in incombe negli stessi problemi. Ospita i programmi e le voci più diverse, da talenti della lingua a conduttori brillantissimi ma accompagna cosa? Accompagna la musica. Da decenni le radio Music&talk hanno imposto ai parlanti delle griglie rigidissime, il conduttore ha vincoli sia in entrata che in uscita. L'idea è quella di accompagnare la frammentazione contemporanea, magari con una tonalità di voce accattivante. Ci sono software che sono per il conduttore una specie di countdown, e quando si avvicina il lancio deve chiudere, lanciare il brano. Ci sono altri software che l'aiutano in questa piccola impresa come ad esempio Radiolog. Questo modello tracima ovunque e va a colpire anche le trasmissioni che sono sia un flusso di parlato e musica ma che nel parlato troverebbero le vere ragioni dell'ascolto. E invece la musica ha quasi sempre il primato e va a inficiare un intrattenimento di vera qualità. Sarebbe più corretto definirlo come un contenitore di intrattenimento, una sorta di figlio del varietà radiofonico, che in ultima analisi è il genere più diffuso e di maggiore successo. Lo spazio per il parlato negli ultimi anni non è andato diminuendo, anzi ha ripreso minuti, perché nel frattempo si è alzata la sfida contro le app solo musicali e allora parlato e musica possono essere una strada per differenziarsi. Nel parlato di contenuto ci sono naturalmente i giornali radio e gli approfondimenti su qualsiasi tema. L'approfondimento può essere un programma chiuso e concluso o essere parte di un cosiddetto contenitore. Il contenitore è uno spazio radiofonico solitamente lungo almeno un'ora e contenente appunto materiali diversi, accomunati o meno. Quest'ultimo modello è molto presente nella radio francese ma ci vuole una scaletta piuttosto dettagliata. Nei suoi inizi, nella radio italiana dei primi decenni, il contenitore è stato spesso disorganico, poi col passare degli anni si è cercato di dare coerenza contenutistica o stilistica. Vicino è il talk show, o programma di discussione, di dibattito, di conversazione. È un po' il prototipo di tutte le trasmissioni di parola, ed è la casa del conduttore, il suo luogo più tipico, quello dove conduce la discussione, intervista, media, accompagna e dirige. Il dibattito radiofonico, il confronto a più voci ha trovato uno spazio più limitato di quello che si crederebbe, pensando anche al successo che il modello incontrato in televisione. Il punto è che in televisione gli ospiti si vedono mentre in radio no e quindi non sarebbe facile il processo di riconoscimento. Ma si è rafforzato in questi ultimi anni. Il grosso della programmazione radiofonica italiana, quella di maggior successo, è comunque ascrivibile nella famiglia music&talk o music&news con la musica affidata a un dj di forte personalità e il talk e che è un grosso modo tutto stavolta ascrivibile nel genere intrattenimento, chiacchiera leggera. Il tipo di conduzione dipende moltissimo dal genere di radio o di programma nel quale il conduttore si trova a condurre. Le radio di programma erano e sono più scritte e più formali e il conduttore è spesso anche uno degli autori dei programmi. Nelle radio di flusso no e nelle radio di flusso di taglio giornalistico ancora meno. Una distinzione di altri tipi di conduzione, oltre alla distinzione tra parlato di contenuto e parlato di accompagnamento, è quella basata sui format, ce n'è un'altra che ha una sua utilità e si appoggia agli impegni fissati dal servizio pubblico britannico: educare, informare, divertire. Non a caso sono stati talvolta definiti super generi. Se ci si può più o meno intendere sull'informazione, più difficile è capire cosa è educativo e cosa no, e ancora più difficile è intendersi sul concetto di intrattenimento. Dai modelli alla realtà: cosa fanno i conduttori. Questi modelli sono stati cambiati dalla rivoluzione digitale, dalla radio nella rete? Non è una risposta semplice perché va innanzitutto ricordato che i conduttori e il modo di condurre si incastrano nelle griglie, nelle classificazioni. In linea teorica il conduttore è colui o colei che ha il compito di condurre un programma radiofonico, cioè di assicurare con dei suoi interventi la fluidità dei passaggi tra le diverse parti del programma stesso. La guida del programma avviene improvvisando oppure leggendo testi propri o improvvisando ma sulla base di scalette più o meno dettagliate. Possiamo cercare delle classificazioni consapevoli però che il tipo di condizione subisce influenza e vincoli a seconda del genere della trasmissione e del tipo di canale nel quale si va in onda. Renzo Arbore ha parlato di prototipi radiofonici, e potrebbe essere una strada da seguire, ma torniamo sempre lì, ai format, alle caratteristiche di un programma. E quindi avremo conduttori per gli approfondimenti giornalistiche, per le rassegne stampa, per gli speciali, per i fili diretti, per le interviste, per la musica, per il varietà radiofonico, e figure professionali molto diverse. Il dj, il disc-jockey, è un conduttore musicale, nato decenni fa negli stati uniti e si afferma grazie alle radio pirata nei primi anni ’60. È un mestiere versatile se ce n'è uno, c’è chi si specializza e chi invece allarga lo spettro e diventa qualcos'altro. I dj italiani si sono spesso mossi tra un genere e l'altro e molti celebri conduttori della radio italiana nascono come dj, e diventano nel corso della carriera figure più duttili; spesso escono dal cerchio della radio e diventano personaggi di rilievo della televisione e più in generale dello spettacolo della musica. La struttura di questi programmi, è un confronto a più voci su una notizia o un tema di attualità. Dirette e speciali legati a breaking news o grandi eventi o disgrazie collettive ci sono da decenni, ma oggi alla triangolazione studio-invitati-esperti si sono aggiunte le voci dei testimoni. Ovviamente sono conduttori anche gli intervistatori e anche quelle che potremmo definire affabulatori, coloro che puntano sulla capacità di raccontare, sullo storytelling, sulla modulazione elemento decisivo. Ma cos'è il ritmo? Non è la velocità dell’eloquio ma la sua dinamica. Nel ritmo c'è un po' di spettacolarità. Si deve essere sempre consapevoli che c'è un pubblico, quel pubblico devi interessarlo. I pubblici sono naturalmente diversi e hanno predisposizione all'ascolto molti differenti. Connessa al ritmo c’è l'espressività, che potremmo descrivere come la forza, l'intensità, l'efficacia con la quale si dicono le cose. Un conduttore deve cercare di lavorare sull'intonazione. La parola è tutto, ma cosa significa? Che alla radio l’eloquenza conta, e conta soprattutto nella radio in diretta, in cui si improvvisa. In generale nelle radio commerciale di flusso il lessico è piuttosto semplice e si evitano frasi complesse con molte subordinate. Occorre quindi lavorare sul lessico, la ricchezza lessicale, la terminologia, la fantasia linguistica, anche per attivare meglio l'immaginazione di chi ascolta. I conduttori delle radio più istituzionali, in particolare delle radio pubblico, corrono un altro rischio: quello dell'eccesso di allusioni o di enfasi. Altro rischio, il parlare sentenzioso, frasi memorabili, in qualche caso accumulazioni. Il rischio incombe soprattutto nei primi secondi trasmissione, quando bisogna attivare la funzione fatica e prendere l'ascoltatore. La figura che si usa più spesso per rafforzare ciò che si vuole dire o per trovare un appoggio psichico è probabilmente la ripetizione appositiva. Più in generale ci si potrebbe chiedere: che tipo di parola vuole la radio, che tipo di lessico, che tipo di lingua? Dipende dal contesto. Il registro in altre parole segue il contesto, e avremo un linguaggio informale, giovanile e regionale, talvolta molto gergale, ma molto di rado, anche dialettali, nelle radio locali, nelle radio commerciali, nelle radio calcistiche. Registri neutri spontanei nel network nazionali per un pubblico generalista, e registri e controllati, curati e in qualche caso specialistici nelle radio pubbliche e nelle radio comunitarie. Il conduttore deve essere informato, deve essere colto? È difficile rispondere a questa domanda con un secco e certo, perché la realtà, il successo, le carriere ci smentirebbero subito: il conduttore deve conoscere il mondo. Esperienze. Un tema eterno: leggere o improvvisare. Arnheim scriveva che nella comunicazione radiofonica la cosa più naturale non è quella di leggere da un foglio di carta un testo già compiuto. Il presentatore dovrebbe piuttosto comunicare ciò che gli viene in mente o che prova attualmente. In questo senso parlare significherebbe improvvisare e non riprodurre. Ha ragione? No se si tratta di notiziari dove leggere è quasi indispensabile. I conduttori potrebbero trovarsi a improvvisare nel caso di una notizia che arriva mentre sono in onda in diretta. Ha parzialmente ragione se ci riferiamo alle trasmissioni in diretta. L’improvvisazione e la spontaneità costeggiano rischi, trappole: le interiezioni e riempitivi sono brutti, si notano, e ci si può lavorare. Al posto delle interiezioni il silenzio, meglio una pausa di un secondo, due. Ai riempitivi bisogna pensare, farci caso, notarli. L'emozione gioca brutti scherzi. Ci sono poi le conduzioni di fili diretti, speciali, dirette legate a emergenze, grandi eventi. Tutto è teoricamente più difficile perché la notizia è arrivata da poco, ed è spesso di contenuto drammatico. Condurre i fili diretti aiuta a far tesoro di una necessità dell'ascoltatore, che può essersi messo all'ascolto in qualsiasi momento: ha bisogno quindi di una ricapitolazione, è opportuno farlo in quasi tutte le trasmissioni, specie se sono lunghe. Quanto alle interviste bisognerebbe cercare di avere lo stesso rispetto e la stessa mancanza di soggezione con tutti, ma non è facile. Bisogna saper interrompere, con formule formali e educate, ma bisogna imparare a farlo. Testimoni, protagonisti di un evento di cronaca, e anche ascoltatori dovrebbero essere messi nelle condizioni di esprimersi senza titubanze e preoccupazioni, e la responsabilità del conduttore è alta, perché può aiutarli, incitarli, stimolarli in modo non invasivo. Quando si può dire che una trasmissione è riuscita? La prima parte della trasmissione è decisiva, è lì che si cattura chi sta ascoltando, è lì che bisogna lavorare sulle espressioni, sul montaggio, sulla struttura. Poi una volta che il tema è avviato occorre stimolare, fare domande, cogliere gli spunti, cosa facile a dirsi ma difficile a realizzarsi. Condurre nel tempo della disattenzione. Si potrebbe dedurre che il campo è così complesso e vario che tutto va bene, che c'è spazio per tutti, che la radio è sempreverde, invece no, non è sufficiente. Che spazio c'è oggi per la radio di contenuto, per l'ascolto serio? Che cosa c'è in gioco? In ultima analisi in gioco c'è la qualità del dibattito pubblico, che non è esattamente un elemento secondario della democrazia. Il campo è più largo di come la rivoluzione digitale e l'ecosistema di Internet stiano modificando il modo in cui si discute delle questioni di interesse comune, si forma l'opinione pubblica. All'interno del campo bisogna analizzare ciò che sta accadendo ai singoli media, e noi abbiamo cercato di farlo con la radio, che è stato e resta uno dei media più aperti, democratici, dove lo spazio per la conversazione è stato e resta un elemento forte della sua identità. Ma adesso? Sta crescendo la radio di accompagnamento della frammentazione e sta arretrando quella seria, di contenuto? Accanto ai processi appena elencati dobbiamo porre gli elementi nuovi portati dal cambio di paradigma digitale, che accelera alcuni di questi processi e ne crea di nuovi, come il continuo bisogno di connessione. Qual è la difficoltà per la radio, per la radio di contenuto serio? Che oggi, oltre a seguire la concorrenza della radio di intrattenimento e accompagnamento, chi fa quel tipo di radio deve tararsi su un essere umano che è cambiato, che ha una soglia dell'attenzione bassissima, che è continuamente distratto. Se questo è un rischio generale, poi ce n'è uno per così dire autoctono, italiano. Cosa viene ascoltato? Quali sono i programmi con pubblico? I programmi più ascoltati sono contenitori di intrattenimento e musica. L'unica trasmissione della radio pubblica in classifica è il Gr delle sette. Le analisi dell'ascolto ci dicono che soltanto la mattina presto l'informazione compete con i morning shows, o l’intrattenimento. Ma non è così dappertutto. Perché queste differenze? Le ragioni sono le più diverse, in primis il modo in cui è stato regolato il mercato, in Italia particolarmente anarchico, con poche o nulle barriere di ingresso, e poi la mancanza di investimenti della radio pubblica. Potrebbero confrontarci i numeri dei podcast, che vedono spesso ai primi posti tra i programmi Rai le trasmissioni culturali. Ma potrebbero confortarci solo in parte perché anche lì nelle classifiche generali le trasmissioni serie sono raramente ai primi posti mentre in altre realtà sono tra le prime 20. La radio italiana è in linea con il resto dei consumi culturali di un paese culturalmente fragile come il nostro. Bisogna riuscire a trovare un punto di caduta onorevole tra queste forze, perché la radio ha regole, e quindi è inutile fingere che non occorra il ritmo, l’espressività, la sorpresa, la curiosità, ma bisogna salvare serietà e contenuti. Il pubblico va raggiunto dove si trova, attraverso gli strumenti che usa oggi, e quindi anche sulla rete, sugli smartphone, ma preservando i contenuti, perché la connessione indifferente dei contenuti ci impoverisce, impoverisce la comunità.
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