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Riassunto "la ricerca sociale: metodologia e tecniche" vol.3 le tecniche qualitative di P. Corbetta, Sintesi del corso di Tecniche Di Analisi Dei Dati

Riassunto del libro di Piergiorgio Corbetta "la ricerca sociale: metodologia e tecniche", volume 3 (le tecniche qualitative). Manca il capitolo numero 3.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto "la ricerca sociale: metodologia e tecniche" vol.3 le tecniche qualitative di P. Corbetta e più Sintesi del corso in PDF di Tecniche Di Analisi Dei Dati solo su Docsity! 1 PIERGIORGIO CORBETTA – La ricerca sociale: metodologia e tecniche, vol.3 Le tecniche qualitative Capitolo 1 – L’osservazione partecipante 1. Osservazione e osservazione partecipante Con «osservazione partecipante» intendiamo non una semplice osservazione, ma un coinvolgimento diretto del ricercatore con l’oggetto studiato, ci troviamo quindi nel paradigma interpretativo. Osservazione in quanto implica il guardare e l’ascoltare. Ma nello stesso tempo questa tecnica comporta un contatto personale e intenso fra oggetto studiante e soggetto studiato, con un coinvolgimento (partecipazione) del ricercatore nella situazione oggetto dello studio. Il ricercatore scende sul campo, si immerge nel contesto sociale che vuole studiare, vive come e con le persone oggetto del suo studio, ne condivide la quotidianità, le interroga, ne scopre le pene e le speranze. Due sono dunque i principi di fondo di questo approccio: 1) Che una piena conoscenza sociale si possa realizzare solo attraverso la comprensione del punto di vista degli attori sociali, mediante un processo di immedesimazione nelle loro vite; 2) Che questa immedesimazione sia realizzabile sono con una piena e completa partecipazione alla loro quotidianità. Possiamo definire dunque l’osservazione partecipante una strategia di ricerca nella quale il ricercatore si inserisce in maniera diretta e per un periodo di tempo relativamente lungo in un determinato gruppo sociale preso nel suo ambiente naturale, instaurando un rapporto di interazione personale con i suoi membri allo scopo di descriverne le azioni e di comprenderne, mediante un processo di immedesimazione, le motivazioni. La tecnica dell’osservazione partecipante nasce dalla ricerca antropologica con il grande antropologo inglese B. Malinowski, che mise definitivamente in crisi il modello tradizionale dell’antropologia ottocentesca (che vedeva i nativi come “selvaggi primitivi” da educare alla civiltà occidentale), introducendo l’obiettivo di afferrare il punto di vista dell’indigeno, il suo rapporto con la vita, rendersi conto della sua visione sul mondo. Il suo modello consisteva in lunghi periodi di soggiorno nelle società primitive, interrompendo per tutta la durata dell’osservazione ogni contatto con il mondo occidentale. Le caratteristiche principali di questo metodo sono: la residenza in loco dello studioso, la sua condivisione della vita dei soggetti studiati, l’osservazione nell’ambiente naturale dell’interazione sociale, uso di personaggi chiave come informatori. Nel contesto della ricerca ti tipo antropologico-etnografico (o studio sul campo) l’osservazione partecipante non rappresenta l’unico strumento del quale il ricercatore si serve. L’osservatore partecipante deve osservare, ascoltare e chiedere, e nel chiedere gli strumenti che adotta sono quelli dell’intervista. Nello stesso tempo deve documentarsi sui fatti che accadono e su quelli accaduti, esplorare il materiale documentario che già esiste sulla comunità oggetto di studio e quello che essa produce e in questo caso la sua indagine si serve degli strumenti dell’analisi documentaria. 2. Campi di applicazione e sviluppi dell’osservazione partecipante L’osservazione partecipante può essere applicata allo studio di tutte le attività umane e a tutti i raggruppamenti di esseri umani, soprattutto quando si vuole scoprire “dall’interno” quella che è la visione del loro mondo. Ci sono dei settori nei quali questa tecnica è particolarmente utile a motivo dei soggetti studiati: • Quando si sa poco di un certo fenomeno; • Quando esistono delle forti differenze fra il punto di vista dell’interno e quello dell’esterno; • Quando il fenomeno si svolge al riparo di sguardi estranei; 2 • Quando il fenomeno è deliberatamente occultato agli sguardi degli estranei. L’osservazione partecipante rappresenta una tecnica ci ricerca utilizzata soprattutto per studiare le culture. Essa è stata applicata fondamentalmente a due obiettivi. Per studiare in tutti i lori aspetti di vita microcosmi sociali autonomi collocati in ambienti territorialmente definiti e dotati di un loro universo culturale chiuso che investe tutti gli aspetti della vita. Oppure per studiare subculture sviluppatesi all’interno di segmenti sociali delle società complesse, che possono rappresentare aspetti della cultura dominante. Gli studi del primo tipo sono detti studi di comunità (ricerche condotte su piccole comunità sociali, territorialmente localizzate, che comportano il trasferimento del ricercatore nella comunità studiata); quelli del secondo tipo sono detti studi di subculture. Quindi l’osservazione partecipante resta la tecnica ideale per lo studio della devianza, della marginalità sociale, di minoranze etniche, di sette religiose, di organizzazioni chiuse, di gruppi alternativi in tutti i sensi. 3. Osservazione palese e dissimulata: l’accesso e gli informatori Un’importante distinzione che dobbiamo fare, parlando di osservazione partecipante, fa riferimento all’esplicitazione o meno del ruolo dell’osservatore. Egli infatti può rendere noti oppure dissimulare i suoi reali obiettivi: può dichiarare apertamente e preliminarmente di essere un ricercatore, oppure può inserirsi nella situazione sociale studiata fingendo di aderirvi e di essere un membro come gli altri. La principale giustificazione portata a sostegno dell’osservazione dissimulata sta nel fatto che l’essere umano, sa di essere osservato, si comporta presumibilmente in maniera diversa da quella abituale. Interviene il paradosso dell’osservatore, per cui l’osservazione dissimulata permetterebbe di catturare in maniera più genuina il modo di agire naturale. Ci sono tuttavia forti contraddizioni a questo proposito. La prima è di carattere morale. Presentare un’identità diversa dalla propria, assumere un ruolo che può essere assimilato a quello della spia è un fatto di per sé riprovevole, inoltre la consapevolezza di stare ingannando può creare nel ricercatore uno stato di disagio e di scarsa naturalezza faticosi da gestire. Occorre anche dire che nel caso dell’osservazione dissimulata è sempre presente il rischio di essere scoperti. Va infine detto che in certi casi la dissimulazione del ruolo del ricercatore può addirittura essere ostacolato all’obiettivo di fondo dell’osservazione: interviste esplicite oppure domande troppo insistenti volte a capire il punto di vista dell’attore sociale possono essere impossibili se l’osservatore non manifesta il suo ruolo e i suoi obiettivi. Mentre, all’opposto, l’osservatore partecipante riconosciuto come tale può approfittare della sua dichiarata incompetenza per fare domande più ingenue. Talvolta, il problema dell’esplicitazione del ruolo dell’osservatore non si pone. Quando l’ambiente osservato è pubblico, aperto, non è necessario rendere manifesta l’osservazione. Una volta scelto il caso da studiare e stabilita la modalità di osservazione (dissimulata o palese), il primo problema che il ricercatore si trova ad affrontare è rappresentato dall’accesso. La conquista dell’accesso all’ambiente studiato rappresenta probabilmente uno dei passaggi più difficili dell’osservazione partecipante. Il modo più comune per risolvere il problema è l’intervento di un mediatore culturale. Questa tattica si basa sul ricorso alla credibilità e al prestigio di uno dei membri del gruppo per legittimare l’osservatore e farlo accettare dal gruppo. Il mediatore culturale è una persona che gode della fiducia della popolazione in studio che, per le sue caratteristiche culturali e di personalità, è facilmente avvicinabile dal ricercatore, allo stesso tempo è in grado di capire le motivazioni e le esigenze dell’etnografo. Il mediatore culturale ideale è una persona che ha solidi legami con entrambe le culture protagoniste dell’incontro etnografico. Naturalmente, una volta ottenuto l’accesso all’ambiente da studiare, il ricercatore deve ottenere la fiducia dagli osservati mediante una paziente costruzione del legame giorno dopo giorno. Entrano in gioco qui le caratteristiche psicologiche e caratteriali del ricercatore, la sua sensibilità, la sua capacità di gestire il rapporto non solo con gli altri ma anche con sé stesso. In alcuni casi può porsi 5 delle similitudini fra diversi oggetti sociali, che gli permetteranno di costruire delle classificazioni. Il caso forse più semplice di classificazione è quello consistente nell’individuazione di sequenze temporali. Un secondo modo di classificare è quello di mettere in ordine in una massa di oggetti sociali diversi, raggruppandoli in classi a seconda delle similarità/dissimilarità. Gli oggetti sociali che possono essere così classificati sono i più disparati: può trattarsi di persone, comportamenti, istituzioni, avvenimenti, ecc. Un passo successivo è quello dell’individuazione delle dimensioni della tipologia (o della classificazione). I tipi vengono in genere identificati dall’osservatore sulla base di valutazioni personali sulla somiglianza/dissomiglianza. Procedendo invece ora in modo analitico e concettuale, ci si propone di mettere a nudo la struttura della classificazione, individuando le caratteristiche che rendono i tipi differenti fra loro. Comunque, l’analisi del materiale empirico segue un itinerario specifico che va al generale; proporre delle spiegazioni generali a partire dalle specifiche situazioni osservate. Infine, per quanto riguarda lo stile di scrittura che caratterizza il rapporto esclusivo di una ricerca condotta con osservazione partecipante, bisogna utilizzare uno stile riflessivo e narrativo. Riflessivo in quanto il ricercatore è parte del mondo che sta studiando, ciò che osserva viene riportato in prima persona secondo uno stile informale e impressionistico. Il prodotto finale è infatti in una parte un assemblaggio di questi testi con le emozioni e le reazioni personali che diventano parte viva del racconto. Si tratta di un resoconto che ha una sua utilità metodologica, oltre che informativa. In un genere di ricerca così segnato dalle decisioni soggettive del ricercatore questa ricostruzione può aiutare il lettore a valutare meglio la validità del lavoro, interpretare il significato di certe conclusioni; stimare i possibili effetti di disturbo provocati dall’azione e dalla presenza stessa dell’osservatore. Lo stile inoltre deve essere narrativo in quanto è un modo di scrivere concreto e diretto, con descrizioni dettagliate, cronache particolareggiate di eventi, inserimenti di brani che riportano espressioni riprese dalla viva voce dei protagonisti; con personaggi come quelli di un racconto. 7. Osservare in «microsociologia» La tecnica dell’osservazione partecipante nasce all’interno dell’antropologia come strumento per studiare e descrivere una cultura “diversa” (da quella dell’osservatore). Nelle sue prime applicazioni si trattava di uno studio di “altre” culture. Dallo studio delle tribù primitive esso venne trasferito allo studio delle “tribù urbane”. Tuttavia, man mano che ci si spostava dallo studio di tribù più lontane a tribù via via più vicine, ci si rese conto che il metodo poteva essere utilizzato non solo per studiare i diversi, manche per studiare sé stessi. Si poteva analizzare qualsiasi campo nel settore umano che avesse una sua specificità culturale. L’ etnometodologia si riferisce all’analisi dei metodi ordinari che la gente ordinaria usa per mettere in atto le sue azioni ordinarie. L’etnometodologia rappresenta lo studio dei metodi e delle pratiche che le persone comuni utilizzano per decodificare il mondo, dargli un significato, compiere qualsiasi azione: essa è lo studio del ragionamento pratico del senso comune. Secondo questo approccio l’agire quotidiano è regolato da ben definite norme che regolano l’interazione fra gli uomini. Si tratta di norme implicite. 8. Limiti e risorse La tecnica dell’osservazione partecipante non è priva di problemi. Consideriamone 3: 1) Soggettività (del ricercatore) à il ricercatore è lo strumento della ricerca, nel senso che tutta la rilevazione viene filtrata attraverso i suoi occhi e i suoi sensi, la sua sensibilità e la sua capacità di immedesimazione. 2) Non generalizzabilità (dei casi studiati) à le difficoltà a generalizzare le acquisizioni di una ricerca condotta attraverso l’osservazione partecipante, oltre che derivare dalla soggettività del ricercatore studiante, discendono anche dalla soggettività dei casi studiati. 6 3) Non standardizzazione (delle procedure utilizzate) à tali studi non sono replicabili. È importante affermare che soggettività del processo osservativo, unicità del caso studiato, irripetibilità del percorso di ricerca seguito, sono un limite ma allo stesso tempo anche una risorsa dell’osservazione partecipante. Capitolo 2 – L’intervista qualitativa La tecnica dell’intervista qualitativa si pone l’obiettivo di rilevare dati interrogando le persone, seguendo l’approccio tipico della ricerca qualitativa, consistente nell’entrare nell’individualità della persona intervistata al fine di vedere il mondo con i suoi occhi. 1. Rilevazione mediante interrogazione L’immersione nella realtà sociale che il ricercatore opera con l’intervista qualitativa non è così profonda come quella compiuta con l’osservazione partecipante. Ma l’obiettivo di fondo resta comunque quello di accedere alla prospettiva del soggetto studiato: cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le sue percezioni e i suoi sentimenti, i motivi delle sue azioni. Possiamo definire l’intervista qualitativa come una conversazione provocata dall’intervistatore rivolta a soggetti scelti sulla base di un piano di rilevazione e in un numero consistente, avente finalità di tipo conoscitivo, guidata dall’intervistatore, sulla base di uno schema flessibile e non standardizzato di interrogazione. Quindi innanzitutto, l’intervista è provocata dall’intervistatore, e in questo si differenzia dalla conversazione occasionale. In secondo luogo, essa è rivolta a soggetti scelti in base a un piano sistematico di rilevazione, nel senso cioè che non è occasionale nemmeno l’intervistato: egli viene scelto sulla base delle sue caratteristiche. Questi soggetti devono essere in numero abbastanza consistente. Tale conversazione è finalizzata a uno scopo, che è lo scopo conoscitivo dell’intervistatore. Infine, non si tratta di una normale conversazione, ma di una conversazione guidata, nella quale l’intervistatore stabilisce l’argomento e controlla che lo svolgimento corrisponda ai fini conoscitivi che egli si è posto. 2. Intervista quantitativa e intervista qualitativa È possibile interrogare tramite un questionario standardizzato oppure mediante un’intervista libera. Si tratta di due tecniche solo apparentemente simili: nella sostanza sono molto diverse, in quanto hanno alle spalle due filosofie di ricerca - due paradigmi – divergenti. A tal proposito, le caratteristiche dell’intervista qualitativa sono: • Assenza di standardizzazione: questa è la differenza fondamentale fra questionario e intervista. Mentre nel caso del questionario l’obiettivo è collocare l’intervistato entro schemi prestabiliti dal ricercatore, nel caso dell’intervista l’intento è cogliere le categorie mentali dell’intervistato, senza partire da idee e concezioni predefinite. L’approccio quantitativo (questionario) costringe l’intervistato a limitare le proprie risposte, mentre l’intervistatore gli insegna ad autocontrollarsi. Se l’intervistato vuole parlare più diffusamente di un argomento, questo non gli è concesso, poiché lo schema di interrogazione è rigido: l’intervistatore deve porre a tutti le stesse domande, non può saltarne alcune per gli uni e toccare nuovi argomenti per gli altri. In tutti questi casi la voce dell’intervistatore sovrasta quella dell’intervistato. Nell’intervista (qualitativa) invece, resta il fatto che la voce sovrastante deve essere quella dell’intervistato. Se dunque l’obiettivo è quello di accedere alla prospettiva del soggetto studiato, ne consegue necessariamente l’individualità del rapporto di intervista: questo strumento deve essere flessibile, deve potersi adattare alle diverse personalità degli intervistati. Lo strumento dell’intervista non può essere standardizzato: dal che consegue che produrrà dati fra loro 7 disomogenei, difficilmente confrontabili. • Comprensione contro documentazione: possiamo parlare dell’interrogazione sia come strumento di rilevazione di dati, sia come strumento di comprensione della realtà sociale. Nel primo caso – e siamo nell’approccio quantitativo – l’interrogazione viene utilizzata per raccogliere informazioni sulle persone in merito alle loro opinioni, ai loro comportamenti, ai loro tratti sociali. Nel caso qualitativo, invece, l’intervista non viene utilizzata, in prima istanza, per raccogliere dati sulle persone, ma per farle parlare e per capirle dal di dentro. La differenza fra questi due approcci ha riflessi anche sul numero di persone da intervistare. • Assenza di campione rappresentativo: la ricerca condotta mediante questionari dà come punto qualificante il fatto che venga condotta su un campione costituito in modo da poter essere definito rappresentativo. L’intervista qualitativa non aspira a questo obiettivo, in quanto vi è più l’esigenza di coprire le varietà delle situazioni sociali che da quella di riprodurre su scala ridotta le caratteristiche della popolazione. • Approccio centrato sul soggetto contro approccio centrato sulle variabili: l’interesse del ricercatore è rivolto alla comprensione dei fatti sociali a partire da una lettura globale dei fenomeni e, soprattutto, dei soggetti studiati. L’obiettivo non è quello di cogliere le relazioni fra le variabili, ma di capire le manifestazioni nella loro individualità: alla categoria del nesso casuale si è sostituita quella dell’esperienza vissuta. Si vogliono ricostruire dei modelli, delle tipologie, delle sequenze, a partire da casi analizzati nella loro interezza. E quindi il punto di partenza è rappresentato dall’individuo, non dalla variabile. 3. Tipi di intervista Le interviste si differenziano per il loro grado di standardizzazione, cioè per il diverso grado di libertà/costrizione concesso ai due attori, l’intervistatore e l’intervistato. Ci sono 3 tipi base di interviste: interviste strutturate, semistrutturate e non strutturate. Intervista strutturata à a tutti gli intervistati sono poste le stesse domande nella stessa formulazione e nella stessa sequenza. Essi hanno invece totale libertà nell’esprimere la loro risposta. Intervista semistrutturata à in questo caso l’intervistatore dispone di una traccia che riporta gli argomenti che deve toccare nel corso dell’intervista. L’ordine con il quale i vari temi sono affrontati e il modo di formulare le domande sono tuttavia lasciati alla libera decisione e valutazione dell’intervistatore. La traccia dell’intervistatore può avere diversi livelli di accuratezza e di dettaglio. Può semplicemente essere un elenco di argomenti da affrontare, oppure può essere più analiticamente formulata in forma di domande. l’intervistato è però libero di sviluppare temi che nascono nel corso dell’intervista e che egli ritiene importanti ai fini della comprensione del soggetto intervistato, anche se non sono previsti dalla traccia. Questa flessibilità è propria di questo strumento, mentre era assente nel caso precedentemente visto dell’intervista strutturata. Intervista non strutturata à in questo caso e neppure il contenuto delle domande è prestabilito, e può variare da soggetto a soggetto. La specificità dell’intervista non strutturata (chiamata anche intervista in profondità, intervista libera, intervista ermeneutica) sta nell’individualità degli argomenti e dell’itinerario dell’intervista. L’intervistatore lascerà che l’intervistato sviluppi il suo modo di vedere, che mantenga l’iniziativa della conversazione, limitandosi a incoraggiarlo oppure a spingerlo verso approfondimenti quando sfiora argomenti che sembrano interessanti. Naturalmente l’intervistatore svolge, oltre a questa funzione di incoraggiamento e di stimolo, anche un compito di controllo, arginando le divagazioni eccessive. La scelta fra i tre strumenti dipende dagli obiettivi della ricerca e dalle caratteristiche del fenomeno studiato. È necessario ricorrere all’intervista strutturata quando il disegno della ricerca prevede che
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