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Riassunto "La società di antico regime (XVI-XVIII secolo)", Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto del libro "La società di antico regime (XVI-XVIII secolo). Temi e problemi storiografici" per esami di Storia Moderna.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 09/11/2021

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Scarica Riassunto "La società di antico regime (XVI-XVIII secolo)" e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! CAPITOLO 1: IL LAVORO DELLO STORICO 1. STORIA E STORIOGRAFIA La parola “ storia” è piuttosto ambigua e possiede molteplici significati. Con lo stesso vocabolo della lingua italiana indichiamo infatti a) il concreto divenire degli eventi nel corso del tempo,ossia una realtà oggettiva b) la storia cos’ come è narrata e interpretata dagli uomini, ossia un prodotto soggettivo c) un racconto, non importa se fondato sulla realtà, o frutto di fantasia. Storia quindi come realtà oggettiva ,come evento; e storia come prodotto soggettivo,narrazione; in italiano possiamo distinguere, utilizzando nel primo caso il vocabolo “ storia” nel secondo “ storiografia”. Due sono i modelli che stanno alla base di due concezioni assai diverse della storia e della storiografia che dal mondo antico sono giunte fino a noi. Da un lato la storia come ricerca,osservazione, indagine;dall'altro lato la storia come narrazione di fatti per lo più politici e militari. AI primo modello si richiama la storia sociale multidimensionale affermatasi a partire dalla prima metà del 900,una storia strettamente collegata alla geografia e all'antropologia; al secondo modello si richiama la storia centrata sulle grandi narrazioni di fatti e di avvenimenti politici militari, istituzionali, assai meno attenta all'indagine dei mutamenti lenti delle società umane. Per chi non è storico di professione la storia è in primo luogo storiografia. Qualsiasi approccio alla conoscenza storica è infatti veicolato inizialmente dai libri degli storici; noi non conosciamo nulla della storia che non sia passato attraverso il filtro dell’interpretazione e della narrazione di uno storico. Ecco perché si può affermare che non è concepibile una storia che non sia prima di tutto storiografia. Fin dai tempi più antichi 3 sono le principali forme e funzioni dell'attività storiografica : ricordare, ammaestrare, spiegare. Dalla prima deriva la storiografia narrativa; dalla seconda la storiografia pragmatica;dalla terza la storiografia scientifica. La storiografia risponde pertanto ad un bisogno sociale fondamentale, presente in tutte le epoche e in tutte le civiltà : la ricerca di identità. L'identità è innanzitutto ciò che definisce tratti comuni con coloro che riteniamo nostri simili e ciò che ci differenzia da tutti gli altri. Oggetto della ricerca storica è dunque l’uomo, ma non l’uomo isolato, bensì gli uomini e le donne nelle loro relazioni reciproche, quindi la società umana,o meglio le società umane nel loro divenire e mutare, quindi nelle loro trasformazioni nel corso del tempo. Soggetti della storiografia sono gli uomini a ciò delegati dalle comunità: quelli che convenzionalmente chiamiamo gli storici. 2. STORIA E MEMORIA Una persona, se privata della propria memoria, è privata della propria identità. Il compito dello storico è come quello di chi ricostruisce i ricordi di uno smemorato: fornisce una lettura del passato,ma sempre in chiave soggettiva e suscettibile di essere smentita. La trasmissione della memoria è per le società umane qualcosa di essenziale e necessario e può manifestarsi sia attraverso la storiografia sia attraverso rii collettivi condivisi. La pratica storiografica si fonda dunque sulla memoria, ma non deve mai identificarsi con essa. Mentre nel mondo antico e nel medioevo lo storico era innanzitutto il testimone,o chi aveva avuto accesso alle testimonianze si chi era stato più vicino ai fatti, a partire dal Rinascimento, tra 500/600, si è fatta strada la consapevolezza che il sapere storico è fondato su altro che sulla semplice testimonianza o memoria dei fatti. La presenza dello storico-testimone non è più considerata una garanzia di veridicità; anzi, spesso è considerata un elemento di inquinamento delle prove. Oggi sappiamo che lo storico non è identificabile con il testimone e che la storia inizia laddove finisce la testimonianza. Il distacco è dunque necessario per poter formulare un giudizio critico. 3. SCRIVERE DI STORIA Secondo lo storico francese Francois Furet, lo storico - allontanandosi dall'approccio “artistico” o “letterario” - doveva avvicinarsi sempre di più all'approccio scientifico, lavorando più che sui singoli avvenimenti sulle strutture e sui quadri socio- economici di lungo periodo, sforzandosi di costruire modelli interpretativi multidimensionali. Furet proponeva una profonda e complessa questione epistemologica: se cioè la storia potesse avere uno statuto scientifico più forte rinunciando ad alcuni dei tratti che, nella coscienza comune, l'avevano caratterizzata fino a quel momento. Per convertirsi in scienza la storia avrebbe dovuto eliminare gli avvenimenti, o più esattamente ciò che per tanti storici ne costituiva l'aspetto più importante: il carattere singolare, unico, individuale. Nel 1979 lo storico inglese Lawrence Stone in un polemico articolo rilevava come gli stessi storici che negli anni 60 e 70 avevano teorizzato la fine della “storia narrativa” e la definitiva vittoria delle scienze sociali e dei metodi quantitativi (come Furet) avessero poi ripiegato sulla narrazione tradizionale , sulla storia politica e sulla biografia,addirittura enfatizzando i caratteri soggettivi dei processi storici. Da ciò Stone traeva una prima conclusione ovvero che la narrazione è un modo di scrivere la storia, ma è anche un modo che coinvolge ed è coinvolto dal contenuto e dal metodo; la narrazione l'eleganza stilistica rappresentavano componenti ineliminabili del “ discorso storico”. Alle spalle dell'articolo si Stone stava la secolare contrapposizione fra la storiografia intesa come arte e la storiografia intesa come scienza. La polemica fra “vecchia” e “ nuova” storia riproduceva, quindi, in un contesto mutato, un dilemma plurisecolare e ancora non risolto. La storiografia nasce infatti come racconto,strettamente congiunta con i generi letterari. Fare storia significa sempre e comunque, innanzitutto,raccontare una storia: storia vera anziché inventata,ma pur sempre storia. Un avvenimento o una biografia diventano tali solo quando sono narrati. “vero” o “falso” è il criterio che distingue la storia dalla narrativa ed è ciò che distingue il libro di storia ( con le note) dal libro di narrativa (senza note). Il primo si preoccupa di dichiarare le proprie fonti (le prove),il secondo no. Nel primo le immagini sono o dovrebbero essere documenti iconografici, nel secondo sono semplici illustrazioni. Il discorso storico si svolge,generalmente, su almeno due piani distinti: a) quello della descrizione o della narrazione,nel quale lo storico espone i fatti; b) quello dell'analisi o dell’Interpretazione,nel quale lo storico espone le proprie considerazioni. Anche se sulla pagina del testo storiografico i due piani sono spesso intrecciati e fusi,nella mente dello storico essi devono essere sempre distinti. Sul piano della narrazione lo storico ricorre in genere allo stile e alle tecniche mutuate dalla letteratura, può addirittura far gioco sulle emozioni del lettore. Su questo piano è del tutto legittimo sforzarsi di suscitare nel lettore l'illusione di un'esperienza diretta,evocando un'atmosfera o uno scenario. Sul piano dell'analisi lo storico ricorre invece allo stile più sobrio proprio della saggistica scientifica, fondata su rapporti consequenziali e su argomentazioni razionali. Ogni genere storiografico implica un'organizzazione del discorso storico diversa e quindi uno stile narrativo differente. La storia politica o diplomatica, o la biografia consentono un maggiore spazio al piano narrativo. La storia economica e sociale richiede invece un maggiore spazio al piano analitico. L'autore di un testo storico aspira, in ultima analisi, alla veridicità,ossia a far riconoscere il suo testo come veritiero e quindi storico. Ovviamente si tratta di una verità relativa e provvisoria,”fino a prova contraria”. Lo storico deve credere e far credere che ciò che dice è la verità,sapendo però che non si tratta di una verità assoluta. constaterà che i manuali di storia moderna indichino come data d'inizio il 1517: la data dell’affissione delle 95 tesi di Wittemberg da parte di Martin Lutero. Se si guarda poi alle date con le quali si chiude l'età moderna, anche qui le ipotesi interpretative sono diverse. In Francia, tradizionalmente, si indica la data del 1789 come fine dell’antico regime ma in Italia di preferisce la data del 1815 (Restaurazione) 4. ETA' MODERNA O ANTICO REGIME Gli storici della società europea impiegano abitualmente la categoria storiografica di “antico regime” per distinguere il modello sociale prevalente in Europa nell'epoca compresa tra XVI e XVIII secolo. Questo modello sociale - un vero e proprio “vecchio ordine”- presenta elementi di conflitto che ne segnano tutta la storia, ma che si fanno dirompenti solo con il 700 culminando con la Rivoluzione francese. Paradossalmente la nascita della categoria storiografica di antico regime rappresenta l'atto di morte di quella società. Infatti le due parole assieme vengono impiegate per la prima volta proprio nel 1789 dai costituenti francesi per definire la società che essi intendevano spazzare via. Nonostante l'origine francese del termine, la categoria di antico regime è ormai diventata una chiave storiografica in grado di caratterizzare un'epoca piuttosto lunga. Possiamo quindi affermare che se la categoria di età moderna è tendenzialmente dinamica, in quanto suggerisce di osservare alcuni grandi mutamenti in atto nelle società europee nell'arco di 3-4 secoli,quella di antico regime è invece tendenzialmente statica in quanto tenta di descrivere i tratti comuni di un sistema sociale e politico affermatosi nella maggior parte dei paesi europei fra 500 e 600. 5. I FATTORI DELLA MODERNITA’' Nello studio di qualsiasi società lo storico deve tener conto di almeno 4 fattori,ciascuno dei quali non può mai essere affrontato isolatamente dagli altri. Il 1° è quello economico: lo storico deve essere in grado di comprendere quali sono le basi economiche della società; quali le forme ed i modi della produzione; il 2° è quello sociale:lo storico deve domandarsi su cosa si fondano le gerarchie sociali e quale è la loro natura; se esistono forme di mobilità sociale; quali sono i conflitti sociali in atto. Il 3° fattore è quello politico : lo storico deve indagare quali sono i modelli prevalenti del potere politico. Il 4° fattore è quello culturale: lo storico deve comprendere quali sono i modelli culturali prevalenti di un’epoca; quale il livello di diffusione del sapere. In base a quanto detto è possibile incominciare a caratterizzare una società di antico regime sul: -piano economico: siamo in presenza di un regime a prevalente base agricola, fondato su un'economia preindustriale determinata dal commercio e dallo scambio di prodotti. Quasi ovunque in Europa prevale la grande proprietà feudale o ecclesiastica, ma sono presenti significative manifatture proto- capitalistiche,prevalentemente tessili. - sul piano sociale,la società di antico regime si riconosce per corpi, ceri,ordini e non per individui. Ciascun individuo ha personalità giuridica solo in quanto è parte di un gruppo mentre le qualità individuali raramente consentono di superare barriere sociali. Ogni corpo/ceto/ordine si distingue per i privilegi di cui gode. | privilegi hanno natura giuridica e non possono essere messi in discussione se non dal potere politico dominante. La mobilità sociale verticale è fortemente limitata e regolata da norme precise ed anche per questo sono presenti conflitti cetuali e conflitti sociali che a tratti esplodono con violenza. - sul piano politico, il modello prevalente di governo delle società di antico regime è l’assolutismo monarchico; tuttavia esistono o sopravvivono in regioni ad alta densità urbana governi repubblicani a carattere oligarchico, basati sul dominio dei patriziati. In questo quadro fa eccezione la monarchia parlamentare inglese che era nata dotata di organi di rappresentanza molto forti e consolidati che non perdono mai le loro funzioni. Sul piano giuridico il potere si fonda quasi ovunque sul diritto divino o sul diritto naturale ossia sulla convinzione che il potere monarchico e il diritto derivino direttamente dalla volontà di Dio o dalla natura. - sul piano culturale, con il termine cultura si intende innanzitutto il rispetto della tradizione. La cultura è elaborata e fruita quasi esclusivamente dalle elite alfabetizzate, di cui il clero rappresenta a lungo la componente più significativa. Gli intellettuali dipendono quasi sempre dal potere politico o ecclesiastico e hanno scarse possibilità di vivere del loro lavoro senza la concessione di generose pensioni. 6. SEI GRANDI CAMBIAMENTI CHE SEGNANO IL PASSAGGIO ALLA MODERNITA' Potremmo provare a definire l'età moderna in base ad alcuni grandi cambiamenti che segnarono la storia del mondo fra la metà del 400 e la fine del 700. 1. Le grandi esplorazioni geografiche portarono non solo alla scoperta del continente americano,ma alla mondializzazione della storia e dell'economia; alla prima grande crisi della coscienza europea (gli intellettuali si interrogano sulla validità delle Sacre Scritture, sulla natura delle popolazioni del Nuovo Mondo etc etc) . La comparsa di nuovo prodotti e generi alimentari provenienti dal Nuovo Mondo,come il pomodoro, la patata, il tabacco,la canna da zucchero etc etc portano nel medio periodo ad un mutamento profondo nel regime alimentare delle popolazioni europee. 2. La rottura dell’unità del mondo cristiano , in seguito alla riforma protestante e alla conseguente grave crisi del papato e della Chiesa di Roma, ha come conseguenza l’aprirsi di una stagione di conflitti religiosi gravissimi,ma anche la scoperta della possibilità di un pluralismo religioso all'interno del cristianesimo. 3. La nascita degli Stati moderni dotati di confini precisi e difesi da eserciti permanenti; governati da sovrani dotati di poteri sempre più ampi, amministrati da una rete di burocrati e funzionari permanenti; 4. La trasformazione dell'economia europea da agricola e commerciale e industriale e la nascita del capitalismo, con conseguente rivoluzione agricola e rivoluzione industriale in alcuni paesi più sviluppati, primo fra tutti l'Inghilterra. 5. L'invenzione della stampa e la sua diffusione. L'aumentata possibilità di ricorrere alla pagina scritta, la circolazione delle idee attraverso i libri a stampa, la rapida affermazione di una vera e propria industria editoriale,sono tutti fattori che rappresentano davvero una “rivoluzione inavvertita” . 6. La rivoluzione militare che trasforma completamente i modi di fare la guerra, a partire dall’invenzione della polvere a sparo. Dagli inizi del 500 si avvia la crisi della cavalleria, arma tradizionalmente nobile che aveva costituito il nerbo degli eserciti antichi e medievali, progressivamente soppiantata dall'artiglieriajarma borghese per eccellenza. CAPITOLO 3 : GLI SPAZI DELLA VITA E IL MONDO RURALE 1. QUADRI AMBIENTALI Descrivere la società di antico regime significa innanzitutto definire i principali quadri ambientali entro i quali si muovevano le donne e gli uomini del passato: la campagna e la città. La campagna è lo spazio di vita della stragrande maggioranza della popolazione europea. Le campagne europee tra 500 e 600 sono caratterizzate dalla presenza di aree coltivate e di aree incolte. Pianure e colline sono densamente abitate e coltivare,mentre le zone montagnose presentano rare isole insediative. Le vie di comunicazione sono assai limitate i mezzi di trasporto sono lenti, scomodi e costosi. Il mezzo più rapido - il cavallo - è appannaggio dei ceti superiori: la maggior parte della popolazione viaggia prevalentemente a piedi,coprendo quotidianamente brevi distanze. Le strade sono per lo più sterrate e solo le principali arterie di comunicazione prevedono alcuni tratti lastricati in pietra. Viaggiare è un'impresa scomoda e in molti casi rischiosa. Per raggiungere qualsiasi meta bisogna percorrere anche molti chilometri a piedi ,perdendo giorni interi in viaggio. Raramente i contadini vivono isolati, ma per lo più raggruppati in villaggi circondati da campi,prati e boschi. | villaggi possono essere di varie dimensioni e forma. La maggiore o minore dimensione delle case non è necessariamente legata al reddito dei suoi abitanti,ma piuttosto alla struttura della famiglia e alle sue condizioni lavorative:: abitazioni molto piccole, di uno o due vani, ospitano in genere famiglie nucleari,composte da un solo nucleo famigliare con genitori e figli, mentre case, casolari e fattorie più ampie accolgono famiglie numerose,composte da diversi nuclei parentali,o più famiglie co-residenti. Le abitazioni sono costruite con legno, terra e paglia, pietra, raramente in muratura. La casa contadina,inoltre, non è solo un luogo di lavoro o un deposito per generi alimentari,ma anche un riparo per gli animali ed un luogo di lavoro. Il panorama materiale della casa contadina è costituito per lo più da sostanze vegetali e animali lavorate a mano per ottenere sia gli attrezzi da lavoro,sia gli arredi e le suppellettili domestiche. La casa è dotata di un unico focolare, per lo più centrale e senza camino, utilizzato per illuminare l'ambiente, per cucinare e per riscaldarsi. Il letto è considerato un oggetto di valore, prerogativa della coppia dei padroni di casa, mentre gli altri membri della famiglia (figli, parenti, domestici) dormono su pagliericci. 2. NASCERE E MORIRE Per considerazioni che riguardano la realtà demografica dell’antico regime possiamo basarci solo sugli archi parrocchiali,presenti in tutte le parrocchie dell'Europa cattolica a partire dagli ultimi decenni del 500. È infatti solo con il Concilio di Trento che si impone a tutti i curati di compilare i registri del battesimo, di matrimonio e di sepoltura. Gli archivi parrocchiali sono oggi considerati dagli storici una fonte importantissima per la storia demografica. E' naturale che essi registrino solo la popolazione di origine cattolica e che quindi in territori multi confessionali si debba fare riferimento anche ai registri dei battesimi conservati nelle chiese protestanti ed in qualche caso ai rari registri delle comunità ebraiche sopravvissute alle molte persecuzioni. L'andamento demografico è un fenomeno al tempo stesso biologico e sociale,tutt’altro che indipendente dalla volontà delle persone,ma soprattutto determinato dalle condizioni sociali di vita dei vari gruppi umani. Il fattore determinante per comprendere l'andamento demografico di un paese è sempre dato dalla mortalità; essa,pur non dipendendo dalla volontà dell'individuo, è fortemente condizionata da fattori sociali e ambientali. In antico regime si moriva molto più frequentemente in giovane età e la stessa percezione della morte era assai diversa da quella attuale. Ciascuno metteva più facilmente in conto la morte di un coniuge, di uno o più figli,la morte di una donna per parto, di un soldato in guerra. Alla morte di un coniuge si reagiva molto spesso con un secondo matrimonio. Le cause di morte potevano essere diverse: si moriva molto più frequentemente di malattia (la maggior parte delle malattie erano incurabili). Si poteva distinguere fra malattie egualitarie (come la peste) che colpivano tutti indipendentemente dal ceto di appartenenza, e malattie (come la malaria) legate all'ambiente malsano delle paludi,che riguardavano solamente i poveri; patologie alimentari dovute alla sottoalimentazione che colpivano solo i ceti inferiori,e patologie alimentari (come la gotta) che interessavano solo i ceti più ricchi che si nutrivano esclusivamente di carne. Si poteva morire a causa del clima troppo freddo, troppo caldo o troppo umido. Si moriva anche di fame, in occasione di crisi alimentare 4.LE BASI AGRICOLE DELL'ECONOMIA. IL FEUDO In antico regime una gran quantità di prelievi si abbatte sulla terra lavorata dai contadini,a tutto vantaggio dei ceti superiori. Nei paesi cattolici la forma di prelievo più diffusa è la decima ecclesiastica,originariamente in natura e destinata alle parrocchie,ma successivamente estesa a tutti gli enti ecclesiastici presenti sul territorio. Un villaggio poteva dunque pagare anche 4 o 5 decime ecclesiastiche,oltre a quella destinata alla parrocchia, a seconda del numero di enti religiosi presenti sul territorio. Accanto alla decima, in tutti i paesi dove la presenza della feudalità si mantiene nei secoli dell'età moderna, troviamo la rendita signorile. Oltre alle corvees imposte ai contadini, ai signori spettano i ricavi dei pedaggi su strade e ponti,i diritti di transito su tutte le merci che attraversano il feudo, i diritti sui mulini, sui forni e sui frantoi,sulla produzione del vino e dell'olio. Nel caso di signori assenteisti le rendite vengono raccolte a loro nome dagli amministratori i quali,in molti casi, ne intascano a loro piacimento una parte consistente. Il rapporto contrattuale più avanzato elaborato in età moderna era l'affitto. Il grande affittuario era per lo più un imprenditore agrario che versava al padrone un canone fisso in denaro in cambio della possibilità di far fruttare il terreno e di vendere sul mercato i suoi prodotti. Oltre al canone fisso in denaro, l’affittuario era tenuto a fornire ogni anno al padrone anche alcuni prodotti agricoli in natura (regalie). La forza lavoro impiegata sui terreno dell’affittuario era costituita da braccianti salariati, ossia da contadini poveri o nullatenenti che vendevano il loro lavoro a giornata o a stagione. Un'ulteriore rendita è quella che potremmo definire “di usura”,ossia la rendita derivante da ipoteche sui terreni,o da crediti concessi precedentemente e mai interamente saldati. Una grande quantità di terreni agricoli era gravata da ipoteche,i cui interessi continuavano ad essere pagati per decenni e a volte anche per secoli. Guardiamo più da vicino il funzionamento di questo complesso sistema economico della grande proprietà terriera... Nella prima età moderna le forme del possesso terriero sono - come nel medioevo - essenzialmente due: il feudo e l’allodio. Il feudo appartiene originariamente al patrimonio della corona,viene concesso è quindi un bene detenuto in concessione e sottoposto al “doppio dominio” del feudatario e del signore. Feudatari possono essere solo i nobili o le istituzioni (le città : alloderi possono essere nobili o borghesi ed anche contadini. Da queste due forme di possesso si distingue il damanio come temporaneamente ad un vassallo in benefici o gli enti religiosi),non i borghesi. L’allodio è invece un bene goduto in piena proprietà insieme delle terre del principe territoriale. In età moderna il vassallaggio è ormai scomparso o si è trasformato in puro vincolo di dipendenza economica o giuridica tra un sovrano e la sua nobiltà, o tra un signore terriero e i suoi contadini. L'economia signorile è un sistema complesso. Innanzitutto la maggioranza dei produttori (i contadini) è di fatto esclusa dagli scambi commerciali perché non possiede eccedenze, perché ha difficoltà a raggiungere i mercati, o perché i mercati urbani sono regolati da vincoli e protezioni che escludono gli estranei. In secondo luogo, alla base delle scelte economiche dei signori terrieri non vi sono ragioni legate alla massimizzazione del profitto,bensì alla necessità di garantire alla propria “casa” il consueto livello di spesa secondo l’idea che chi più spende e spreca più è rispettato e considerato potente. Secondo il modello dello storico polacco Witold Kula una tenuta feudale col bilancio in attivo, ma fondata sul lavoro coatto dei contadini sottoposti a corvees,sarebbe risultata in forte passivo se avesse dovuto sottostare alle leggi del mercato retribuendo il lavoro contadino. Solo la natura gratuita e fuori mercato delle prestazioni lavorative salvava l'economia feudale dal collasso,che si sarebbe verificato puntualmente alla fine del 700 con l'abolizione dei diritti signor Una delle acquisizioni della storiografia più recente è la tripartizione dell'Europa feudale in un'area centro orientale, un'area settentrionale e un'area mediterranea,corrispondenti ciascuna, ad una variante dello schema comune. Nell'Europa settentrionale i vincoli feudali si sono per lo più trasformati in vincoli economici,ossia in censi rappresentati da contributi in denaro da consegnare periodicamente al signore,mentre i contadini possono disporre liberamente delle loro terre,venderle, dividerle, trasmetterle in eredità limitandosi a pagare una tassa al signore. In queste aree tra 500 e 700 si diffonde l'affitto capitalistico. Nell'Europa orientale e meridionale invece, i vincoli feudali sono più forti e duraturi e le condizioni di servaggio permangono gravose per i contadini, per lo più servi della gleba, che non possono disporre della terra,ma che sono tenuti,come nel medioevo, a svolgere le corvées,ossia le prestazioni obbligatorie di lavoro gratuite sulla terra del signore,comprensive anche dei servizi domestici nel palazzo signorile. Nello Stato Pontificio e nel Mezzogiorno italiano la feudalità è dominante sia a livello di possesso fondiario che a livello di giurisdizione baronale,costituendo in molti casi uno “Stato nello Stato”;inoltre i feudatari riscuotono quasi ovunque i diritti sulle diverse attività presenti sui loro territori::pascolo, caccia, pesca, allevamento,commercio, forno, mulino etc etc. Nel resto della penisola italiana, invece - soprattutto nel centro-nord - la feudalità rappresenta un elemento residuale, mentre il possesso della terra ed il suo sfruttamento economico sono regolati dal mercato. CAPITOLO 4: LA CITTA’ E IL MONDO DEL LAVORO 1. LO SPAZIO URBANO IN ETA’ PREINDUSTRIALE In una città di antico regime, entro la cinta muraria e all'esterno di un eventuale contro fortificato si distinguono quasi sempre: a)un centro amministrativo con palazzo municipale e relativa piazza; b) un centro commerciale con piazza del mercato o casa dei mercanti; c) un centro religioso con chiesa cattedrale, palazzo vescovile e relativa piazza. All'interno dello spazio urbano si distinguono spesso ampi spazi vuoti, coltivati ad orto,vigneto,frutteto utili ad alimentare la città in casa di assedio. Le dimore aristocratiche e borghesi posseggono quasi sempre orti e giardini, mentre le stalle per gli animali da trasporto sono presenti ovunque. Le strade ed i quartieri subiscono facilmente un processo di specializzazione dovuto alla necessità economica, all’abitudine o alla legislazione. | palazzi signorili si affacciano sulle vie principali mentre le povere abitazioni del popolo minuto,per lo più in legno, si ammassano nella zona attigua al mercato o alle zone più periferiche. In molti casi vere e proprie borgate popolari (i sobborghi) sorgono immediatamente fuori dalle mura. Nei sei lunghi secoli che separano gli inizi del Duecento dalla fine del Settecento,la società urbana del vecchio mondo fu profondamente segnata dalla presenza del lavoro. Attorno alle Arti e alle Corporazioni si disegnò infatti il quadro economico ed istituzionale dal quale emerse la civiltà moderna: l'economia monetaria, il capitalismo,l’idea di cittadinanza e di rappresentanza politica. Gli artigiani medievali forgiarono nelle loro botteghe non solo gli strumenti del lavoro,ma anche il linguaggio della politica e le categorie entro le quali l’uomo europeo si mosse fino alla vigilia della Rivoluzione francese. L'esercizio di un'arte ,o comunque il legame con le sue espressioni istituzionali, era il prerequisito essenziale per poter svolgere qualsiasi attività. L'iscrizione ad una Corporazione precedeva i diritti di cittadinanza. Una città in antico regime è degna di questo nome e si distingue da un semplice borgo o villaggio solo se possiede alcune caratteristiche quali la presenza di mura difensive,di una guarnigione, di uffici giudiziari o di magistrature territoriale, di un mercato. Può essere o meno sede di una corte o residenza di un principe, o di un vescovo. Ciò che caratterizza una città è innanzitutto la presenza di privilegi di carattere giuridico e fiscale concessi e riconosciuti dal sovrano e con esso ricontrattati periodicamente. Tutti i privilegi di una città sono menzionati negli statuti che rappresentano la carta fondamentale mediante la quale la città è riconosciuta in quanto potere amministrativo. Il privilegio più importante e distintivo di una città è il diritto all'autoamministrazione,ossia ad eleggere propri organi di governo. Questi dovranno rispondere all'autorità superiore (il principe, il re o l'imperatore), ma potranno esercitare autonomamente una serie molto importante di funzioni. La città,inoltre, esercita il suo potere sul contado. Il contado è in origine caratterizzato come lo spazio di terra coltivabile necessario alla sopravvivenza della città e alla sua difesa; in seguito esso si estende fin dove il potere della città viene riconosciuto e legittimata da “Atti di sottomissione” fino alla costruzione, fra XIV e XV secolo, di veri e propri Stati cittadini. 2. LA COMUNITA’ URBANA E LE SUE ISTITUZIONI Procedendo dall'alto verso il basso della gerarchia sociale possiamo distinguere ad un primo livello il principe ed i nobili di corte,il vescovo ed i canonici della cattedrale ,i signori feudali inurbati,gli esponenti del patriziato urbano, gli alti funzionari dello Stato; ad un livello inferiore troviamo i giuristi, i prelati, gli ecclesiastici di ogni livello,i professionisti, i mercanti; ad un livello ancora inferiore si collocano i segretari e gli impiegati della pubblica amministrazione o dell’amministrazione ecclesiastica, maestri artigiani,i bottegai; al gradino più basso,infine, troviamo i servi, i lavoratori stagionali, i piccoli venditori ambulanti, i lavoratori a giornata; al di sotto di questo livello sta la massa dei poveri e dei vagabondi. Gli abitanti della città non sono però da identificare con i cittadini. La cittadinanza è infatti un privilegio riservato a pochi. La comunità urbana è un soggetto giuridico ben definito ed articolato al suo interno e spesso si scontra con gli altri soggetti giuridici presenti sul suo territorio ed in primo luogo con il sovrano o il principe territoriale. All’interno dovrà trattare con gli enti ecclesiastici,gelosi dei loro privilegi, con le Arti e le Corporazioni di mestiere; all’esterno dovrà vedersela soprattutto con i signori feudali presenti nel contado e con le loro pretese, con le comunità rurali ad essa subordinate e con le altre comunità urbane. Il principale organo amministrativo cittadino è il Consiglio comunale del quale fanno parte solo gli esponenti delle famiglie più eminenti e che può esprimere a sua volta un Consiglio ristretto ed alcune magistrature cittadine. Nella maggior parte dei casi l’amministrazione cittadina recluta autonomamente una propria burocrazia (cancelleria) al cui salario deve provvedere. Ad un livello inferiore rispetto al patriziato urbano - che riunisce le famiglie più antiche e che domina la città - si distingue un ceto borghese formato dagli esponenti delle famiglie mercantili che si riconoscono nelle Corporazioni di mestiere o dei professionisti che si riconoscono nei Collegi delle arti. Le Corporazioni e i Collegi delle arti sono le vere articolazioni della società civile urbana; le Arti e le Corporazioni espressero fin dal Medioevo una propria autorità giurisdizionale, affiancandosi e spesso entrando in concorrenza con le giurisdizioni civili,signorili ed ecclesiastiche. 3. IL MONDO DEL LAVORO E IL SISTEMA CORPORATIVO Il lavoro artigiano, la vita rumorosa ed apparentemente disordinata delle botteghe, tutte aperte sulle strade cittadine,era una delle caratteristiche delle città del medioevo e della prima età moderna, prima che i grossi stabilimenti industriali si dislocassero verso i sobborghi o verso le cosiddette “zone industriali e artigianali”, spazi anonimi disseminati di capannoni e separati dalla strada da lunghe cancellate o da muri. Le città dell'Europa preindustriale sono dunque - per la maggior parte e quando non sono sede di corti principesche - essenzialmente città di commerci e di manifatture. in altri dominava ancora lo scambio in natura. La moneta stessa veniva utilizzata di preferenza per certi impieghi,ma non per altri: ad esempio per il pagamento di tributi e ammende ma non per l'acquisto di beni. 3. LE BASI DELL'ECONOMIA MONETARIA Parlare di economia monetaria in una società di antico regime significa fare riferimento ad un aspetto ini jalmente assai marginale dell'economia, seguendone le trasformazioni profonde nel coso dei 3 secoli dell'età moderna fino all'affermazione - verso la metà del 700 e solo in una parte d'Europa - di un'economia di mercato. Inoltre va ricordato che in antico regime non esisteva un'unità monetaria comune. Ogni territorio possedeva la propria moneta e tutte avevano libero corso ovunque. Nessuna moneta aveva un valore facciale, ossia un valore “scritto sulla sua faccia” : il suo valore ufficiale era stabilito dall'autorità regia o dal signore, ma il valore reale era intrinseco e corrispondeva al valore e al peso del metallo che la componeva e che poteva variare a secondo delle diverse funzioni. Operazioni come l'erosione e la limatura delle monete d’oro e d'argento, oppure la doratura o l’argentatura di monete di altro metallo erano facilissime da realizzare. Quella circolante in Europa era per lo più una cattiva moneta. Si ritiene ormai che la nascita del capitalismo coincida con l'emergere di un mercato organizzato per il credito a breve termine basato sulle lettere di cambio. Nell'Europa di antico regime non esisteva infatti un sistema bancario o creditizio. Il credito era per lo più gestito dai grandi mercanti che prestavano o anticipavano il denaro ad alti tassi d'interesse. Assai diffuso era il sistema delle lettere di cambio con le quali si compivano trasferimenti di denaro a distanza. | negozianti erano mercanti con sedi nelle principali città commerciali europee capaci di interloquire con i sovrani ai quali prestavano o anticipavano denaro contante in cambio di rendite fisse o in cambio della concessione di appalti. Se la finanza internazionale della prima età moderna ha origini indubbiamente italiane al punto che fino alla metà del 500 i banchieri italiani continuarono a dominare le fiere commerciali di Lione e di Francoforte, verso la metà del secolo lo spostamento del baricentro dell'economia mondiale ad Anversa,dove affluivano anche l'oro e l'argento americano, fece loro perdere il primato a favore dei banchieri dei Paesi Bassi. Il genovese Banco di San Giorgio (1408) fu di fatto la prima grande banca di Stato. 4. TELAI E ALTIFORNI. MANIFATTURA E PROTOINDUSTRIA E' abbastanza difficile determinare la data di nascita della fabbrica moderna. Grandi concentrazioni di lavoratori sono presenti già nel mondo antico,ma si tratta per lo più di lavoro schiavile,mentre in età moderna le più grandi concentrazioni di lavoratori sono in genere stabilimenti per i poveri : le cosiddette case di lavoro. Se definiamo “fabbrica”uno stabilimento industriale dotato di macchinari,nel quale è concentrato un gran numero di lavoratori salariati, allora ci riferiamo ad una tipologia che compare sporadicamente solo in Inghilterra alla fine del 600 che si svilupperà pienamente nell'800. Fino alla metà del 700 la tipologia più diffusa è quella della bottega artigiana o della manifattura diffusa, con ampio ricorso al lavoro a domicilio,ma non identificabile con una precisa struttura fisica dove si svolge la maggior parte del lavoro. Tutto incomincia a cambiare solo nel 700 con l’impetuoso sviluppo dell'industria tessile e con quel fenomeno che gli storici hanno chiamato la “rivoluzione industriale”. Con questo termine introdotto nel 1880 dallo storico britannico Toynbee , gli storici indicano la trasformazione epocale realizzatasi in Europa a partire dalla metà del 700,prima in Inghilterra e poi in gran parte del mondo occidentale, in seguito all'affermarsi dell'economia di mercato, del macchinismo e del sistema di fabbrica. La macchina a vapore è il simbolo più evidente di tale trasformazione. Negli ultimi decenni il concetto tradizionale di rivoluzione industriale è stato sottoposto a revisione critica e ad un notevole ridimensionamento: gli storici si sono accorti che l'affermazione del moderno sistema industriale non ha sempre e necessariamente comportato la rapida concentrazione della manodopera in grandi stabilimenti;non ha neppure comportato necessariamente la fine del lavoro a domicilio e la riduzione del numero delle piccole e medie imprese. L'attenzione degli studiosi di è spostata da un lato sulla cosiddetta “protoindustrializzazione “ e dall'altro sulle “molteplici vie verso l'industrializzazione”intraprese dai diversi paesi europei e dai mondi extraeuropei,dal 700 ad oggi, mostrando come la “rivoluzione industriale” inglese fosse soltanto una delle vie possibili. La categoria storiografica di proto industrializzazione si deve allo storico dell'economia americano Mendels che concentrò la sua attenzione sull'industria del lino nelle Fiandre settecentesche, che vedeva impiegate oltre 100,000 filatrici del Brabante in funzione di un mercato internazionale rivolto principalmente alle colonie americane. Contestualmente lo storico italiano Becattini ha proposto il concetto di distretto produttivo manifatturiero. La prospettiva nuova che si è aperta in seguito a queste ricerche ha consentito di valorizzare maggiormente casi di realtà periferiche precedentemente oscurate dal modello britannico. Si tratta di casi di produzioni manifatturiere con basi piantate nel mondo agricolo e ad esso complementari, caratterizzate da una produzione dispersa sul territorio e da un massiccio impiego dal lavoro a domicilio,ma in grado di rapportarsi con il mercato anche a livello internazionale. 5. LA RIVOLUZIONE DEI CONSUMI Il 700 è il secolo nel corso del quale di afferma un consumo tendenzialmente di massa. Abbigliamento, cibo, arredo, illuminazione diventano consumi di massa a disposizione di tutti i ceti sociali,pur con notevoli differenze nella qualità dei prodotti. Si impone via via anche presso i ceti inferiori la “necessità del superfluo”,ossia l'esigenza di possedere beni non strettamente necessari alla sopravvivenza quotidiana, mentre il lusso si conferma come un importante vettore dell'economia,il consumo di massa si afferma come il fattore più importante di rinnovamento e trasformazione non solo dell'economia, ma dei costumi. La diffusione nelle principali città europee di nuovi metodi di riscaldamento e di illuminazione è una delle più evidenti trasformazioni che investono larghe fasce di popolazione nel corso del XVIII secolo. L'illuminazione delle strade determina sia una percezione di maggior sicurezza, sia la possibilità di allungare in molti ambiti l'orario di lavoro. Le stufe in ceramica o in ghisa entrano a far parte dell'arredo domestico sostituendosi ai focolari e ai caminetti. Se spostiamo lo sguardo all’interno delle abitazioni, soprattutto in quelle del ceto medio urbano,ci accorgiamo che proprio nel corso del 700 avvengono quelle fondamentali trasformazioni nella dimensione dell'abitare che rendono le case più simili alle nostre. Innanzitutto compaiono i corridoi che collegano le diverse stanze. Appaiono i primi servizi igienici interni alla casa e le prime poltrone e i divani che sostituiscono i sedili, le panche, e le seggiole. Le cucine si ornano di credenze. Nelle dimore degli uomini di cultura non può mancare una biblioteca e la scrivania. Decisive, infine, le trasformazione nell’abbigliamento. In ambito urbano i borghesi diventano i protagonisti del mercato della moda. | prodotti in cotone soppiantano quelli in panno e in lana. Quasi tutti indossano biancheria e la camicia viene cambiata quasi ogni giorno. Il bottone soppianta la spilla e i lacci; il corpetto femminile si afferma anche tra le donne del popolo,così come le scarpe con i tacchi alti. CAPITOLO 6 : LE NOBILTA' EUROPEE 1. NOBILTA’: LA GENESI DI UN CONCETTO Nel mondo tardo antico e medievale con il termine “nobile” si indicava colui che per nascita, o per titolo concesso da un sovrano, godeva di un privilegio da cui derivavano prerogative che ad altri non erano concesse. | 3 elementi costituitivi della nobiltà antica erano : la NOBILITAS, ossia i natali illustri; la VIRTUS, ossia la virtù e il coraggio militare; la CERTA HABITATIO, ossia il possessori una casa e di una terra. In una parola la nobiltà è un ceto, o un ordine o uno stato. Che cosa distingue queste accezioni tra loro? Il concetto di “classe” distingue un gruppo sociale per la sua posizione economica all’interno del processo produttivo. Il concetto di “ceto” distingue un gruppo sociale per la sua posizione all’interno della gerarchia sociale. Il concetto di “ordine o stato” ,come è concepito in antico regime, distingue invece un gruppo sociale per la sua posizione giuridica all’interno di una gerarchia prestabilita. Le società di antico regime si autodefinivano in termini di ceti, ordini o stati. 2. L’ENIGMA DELLA NOBILTA’ Possiamo affermare che le nobiltà sono i ceti privilegiati che detengono l'egemonia politica e sociale nelle società di antico regime e che ne costituiscono l’elite. Che cosa distingue la nobiltà di antico regime? La nobiltà è un ceto distinto dal privilegio,i suoi tratti costituitivi sono la nascita, il ruolo sociale,il possesso. La sua propensione naturale è volta alla conservazione e alla difesa della tradizione. | titoli nobiliari hanno origine nell'alto medioevo, ma la loro definizione gerarchica, nell'ambito del Sacro Romano Impero, è posteriore al XII secolo. | principali titoli della nobiltà imperiale europea sono quelli di duchi, marchesi, conti, visconti e baroni. Duchi sono, in età romana e longobarda, i comandanti militari e poi i governatori militari dei territori conquistati; in età carolingia i grandi feudatari cui spetta il governo ereditario delle varie province o ducati, per conto del sovrano. Marchesi sono i governatori delle marche,ossia delle province di confine o di importanza strategica. Conti sono i più fedeli collaboratori del sovrano. Visconti sono feudatari con titolo ereditario di livello inferiore a quello dei conti. Baroni nel medioevo sono tutti i detentori di “alta signoria” : in età moderna il titolo viene ad indicare una nobiltà feudale di natura inferiore. Questo significato antico dei titoli nobiliari si trasforma con l’inizio dell'età moderna quando le monarchie territoriali si creano fedeltà distribuendo titoli alle maggiori famiglie. Che cos'è un privilegio? Un privilegio è qualsiasi esenzione o distinzione rispetto ad un insieme di leggi o norme valide per gli altri individui o gruppi sociali. Conseguenza ne è la diseguaglianza,che è uno dei fondamenti delle società di antico regime. Chi è nobile? E' nobile solo chi dimostra di possedere “titoli di nobiltà”,ossia privilegi o esenzioni sancite dal sovrano,dalla consuetudine o dal tempo. In età moderna però l’antichità delle origini è, per lo più, un mito. Come si diventa nobili? Si è nobili essenzialmente per nascita, per diritto ereditario; ma lo si può diventare anche per servizio,ottenendo dal sovrano un titolo in segno di ricompensa per i servizi prestati, o per venalità,acquistando un titolo in cambio di denaro. La mobilità sociale è un fenomeno tipico della modernità. Quali sono i principali tipi di nobiltà europea? Ne possiamo individuare almeno 5: 1) la nobiltà terriera di antica origine feudale 2) i patriziati urbani o nobiltà cittadina di origine comunale che deriva i suoi privilegi dall'esercizio delle più antiche cariche amministrative cittadine. 3) la nobiltà di toga acquisita in seguito all'esercizio di alte cariche di giustizia. 4) la nobiltà di servizio acquisita in seguito ai servizi resi al sovrano 5) 6. NOBILTA'EUROPEE A CONFRONTO 6.1 LA FRANCIA. LE DUE NOBILTA” Il caso francese si caratterizza per la presenza di due nobiltà ben distinte ed in competizione tra loro. Da un lato la nobiltà di spada, che deriva il suo potere dall’esercizio delle armi, dalle giurisdizioni feudali e dalla proprietà terriera,è dotata di titolo ereditario e gode di maggiore considerazione sociale, ma ormai da tempo non controlla più le leve del potere politico e amministrativo. Dall'altro lato la nobiltà di toga, di origine più recente, che deriva il suo potere dall'esercizio delle cariche di giustizia e di finanza, ha ottenuto il titolo nobiliare ereditario in virtù dei servizi resi al sovrano e gode di minor prestigio sociale,ma controlla le principali magistrature e le leve del potere politico e amministrativo. Essa dipende totalmente dal sovrano. 6.2 L'INGHILTERRA. UN’ELITE APERTA? Anche il caso inglese presenta due nobiltà distinte e indipendenti. Al vertice della gerarchia sociale troviamo i Lords,altrimenti detti Pari, nobiltà di antica origine feudale che gode di grande considerazione sociale e di considerevole potere politico e siede di diritto in uno dei due rami del Parlamento: la Camera dei Lords. Conservatori. AI di sotto dei Pari troviamo la gentry che è una nobiltà di fatto, non dotata di patenti sovrane; dotata di minor prestigio sociale rispetto ai Parti, esercita una notevole autorità in sede locale. Spesso svolge anche attività imprenditoriali, soprattutto nel settore tessile e minerario. E' autonoma rispetto al sovrano e in alcuni casi i suoi esponenti sono eletti deputati nella Camera dei Comuni; non di rado è di orientamento politico progressista (wigh). 6.3 LA RUSSIA. UNA NOBILTA’ DI STATO Il caso russo è del tutto particolare: infatti qui troviamo fino ai primi del700,un'aristocrazia di origine feudale (i Boiardi),dotata di immense proprietà terriere e giurisdizioni estesissime,in grado di armare piccoli eserciti da mettere a disposizione dello zar, e proprietaria di intere regioni disseminate di villaggi abitati da servi della gleba. A partire dal regno di Pietro | il Grande la situazione muta radicalmente con la costituzione di un'unica nobiltà di servizio, suddivisa in base alla Tavola dei ranghi in 3 livelli gerarchici e 3 diverse carriere (militare,civile e di corte) e 14 ranghi, sottoposta al potere assoluto dello zar. Quella che era stata l'aristocrazia feudale viene trasformata in pochi anni in un immenso ceto di funzionari al servizio dell’imperatore,vincolata ad un preciso percorso formativo. Il risultato di questa colossale operazione di riforma è la creazione di un sistema burocratico-militare su base aristocratica che consentirà alla nobiltà russa di acquisire sapere e cultura,ma non reale potere e capacità di governo. 6.4 LA POLONIA. UNA NOBILTA' EGUALITARIA E INFLAZIONATA Il caso polacco, unico in Europa, è quello di una nobiltà in soprannumero priva di gerarchie formalizzate,ma di fatto fortemente gerarchizzata. La Polonia è una monarchia elettiva, ma di fatto è una repubblica di nobili che eleggono il loro re. La Dieta nobiliare ha il potere di giudicare il re e i suoi sudditi e sorveglia, tramite il Senato,l'opera del sovrano. Al vertice della nobiltà polacca si distingue di fatto un'elite nobiliare,costituita dai Magnati che controlla la maggior parte delle terre e dei villaggi del paese e che domina politicamente la Dieta. CAPITOLO 7 : SOVRANITA’ E POTERE POLITICO 1. UNA DEFINIZIONE DI STATO MODERNO Definire cosa si intende per Stato moderno non è impresa facile; 6 sono le linee di tendenza che la maggior parte degli storici ha individuato come caratteristiche del cosiddetto Stato moderno. La 1° è la progressiva affermazione del monopolio statale della forza attraverso la costituzione di eserciti professionale e permanenti, in luogo delle milizie cittadine o feudali temporanee,reclutate prima di ogni campagna di guerra ed immediatamente sciolte alla fine del conflitto. | nuovi eserciti ,presenti in quasi tutti gli stati europei a partire dalla fine del 400,vedono infatti lo sviluppo della fanteria e dell'artiglieria, dotate di armi da fuoco leggere o pesanti,in luogo della cavalleria dotata solo di armi bianche. Questo mutamento epocale - determinato dall’invenzione della polvere a sparo - inizia a mettere in crisi il tradizionale ruolo della cavalleria e quindi della nobiltà che ne rappresentava il nerbo esclusivo. Sempre più spesso gli eserciti sono formati non già da volontari delle milizie cittadine, o da contadini reclutati a forza nei feudi dei signori,ma da professionisti della guerra, mercenari, in possesso di particolare esperienza e di competenza e soggetti ad ingaggi di lunga durata. La 2° è data dalla presenza di una burocrazia permanente e sempre più specializzata,dotata di competenza professionale ed esperienza amministrativa. La 3° di una diplomazia permanente presso le corti straniere,che sostituisce gli inviati temporanei o i funzionari incaricati di singole missioni di breve durata. L'invio di residenti stabili presso le corti straniere, destinati ad un soggiorno a volte molto lungo, implicava disponibilità di denaro, di conoscenze e soprattutto una capacità di agire e sapersi muovere in maniera adeguata negli ambienti di corte; la politica d'immagine di un sovrano utile ad intrecciare alleanze politiche o strategie matrimoniali,era determinata in molti casi dall’abilità o dalla magnificenza di un diplomatico e dalla sua capacità di stabilire buone relazioni presso la corte straniera di residenza. Da ciò deriva anche la codificazione delle regole della diplomazia da cui sorgerà il diritto internazionale. La 4° è la progressiva affermazione del monopolio statale del prelievo attraverso il fisco,ossia attraverso un sistema di tassazione unico e tendenzialmente esteso a tutto il territorio dello Stato. La 5° è data dal tentativo di affermare una legislazione unitaria su tutto il territorio dello Stato, a scapito delle diverse ed autonome giurisdizioni territoriali o delle giurisdizioni particolari di ceti o gruppi privilegiati. Si tratta di una linea di tendenza che verrà realizzata in pochi casi e solo nel corso del 700,in seguito all'avvio della codificazione attraverso il progressivo passaggio dal diritto comune ai codici scritti. La 6° è data dalla progressiva affermazione di un mercato ampio ed esteso e dalla tendenza dello stato a regolamentare l'economia. 2. DAL PATTO FRA POTERI AUTONOMI ALLA RAPPRESENTANZA POLITICA Se si prende in esame la storia plurisecolare della formazione dello Stato moderno si possono individuare 3 fasi successive: a) Una 1° fase - schematicamente corrispondente al medioevo - è caratterizzata dal patto sancito fra poteri autonomi,nessuno dei quali s'impone sull’altro; b) Una 2° fase - schematicamente corrispondente all’età moderna - è segnata dalla progressiva affermazione del dominio del sovrano sugli altri poteri. c) Una 3° - schematicamente corrispondente all’età contemporanea - è caratterizzata dall’affermazione del principio costituzionale di rappresentanza politica come base di ogni governo,riducendo il ruolo del sovrano a puro garante delle leggi dello stato. La storia dello stato moderno è dunque storia di lotte e di compromessi, fra poteri diversi, fino all'affermazione di un potere sovrano superiore. Nell'arco di alcuni secoli si passa da un’idea di sovrano come vertice della scala feudale ed incarnazione dello Stato ad un'idea di Stato sovrano come entità superiore,autonoma ed astratta. 3. IMONARCHIE COMPOSITE E STATI TERRITORIALI Se si esaminano le dinamiche della statualità di antico regime, tra 400 e 700, si possono individuare 4 tendenze di medio periodo: 1° la razionalizzazione del potere sul territorio che porta alla riduzione del numero dei piccoli stati regionali e all'affermazione di un ristretto numero di grandi stati territoriali spesso frutto dell'unione di più corone. 2° l’autonomizzazione dei più forti poteri territoriali rispetto alla suprema autorità feudale (l'Impero) e la contestuale affermazione dell'autorità di fatto dei medesimi poteri in sede locale,sebbene alla costante ricerca di una legittimazione dall'alto tramite le investiture imperiali. 3° la marginalizzazione dei poteri locali, delle magistrature e degli organi rappresentativi rispetto al potere dei principi sovrani. 4° nell'arco di un secolo (1440-1550) si manifesta quindi una spiccata tendenza alla concentrazione dei poteri, che suscita una serie di controspinte da parte di tutti i soggetti in vario modo colpiti. Lo storico inglese Elliott ha coniato il concetto di “monarchia composita” per indicare quelle monarchie solo apparentemente unitarie,ma all’interno delle quali sopravvive e si intreccia una molteplicità di giurisdizioni. Oggi è meglio dunque utilizzare la categoria di Stato territoriale per distinguere quegli stati dotati di confini definiti entro i quali erano in grado di battere monete,di imporre tributi e di reclutare truppe. Per mantenere e sviluppare uno Stato territoriale, in età moderna, erano però necessarie almeno 6 condizioni fondamentali. Una buona disponibilità di risorse economiche e naturali sfruttabili. Una posizione geografica relativamente protetta e garantita dalla presenza di confini naturali. Una successione ininterrotta di abili statisti fossero essi sovrani o ministri. Il successo in guerra è un fattore da non trascurare e spesso sottovalutato dagli storici. L'omogeneità della popolazione soggetta e l'assenza di conflitti interni di carattere etnico o religioso. 6. La presenza di una robusta alleanza del potere centrale con le elite locali, tale da non provocare conflitti di potere,resistenze o rivolte. 4.MONARCHIE ASSOLUTE E REPUBBLICHE OLIGARCHICHE SANE Uno dei più diffusi luoghi comuni storiografici relativi allo Stato moderno è quello secondo cui l’assolutismo monarchico sarebbe stato il modello dominante delle monarchie europee fra 500 e 700. In realtà l’assolutismo fu solo una tendenza e in nessun paese si realizzò mai in forma compiuta. Lo stesso concetto di assolutismo -che sta ad indicare una realtà sciolta da ogni vincolo - è stato introdotto per la prima volta diretta tributi e tasse ordinarie e straordinarie imposte dal sovrano ai sudditi; seguivano le più diffuse imposizioni indirette, ossia sui consumi, come le imposte sul grano, sul pane, sul vino, sul sale, sul tabacco ecc ecc, pagate da tutti in maniera uguale; e ancora i dazi. | pedaggi e le gabelle, ossia tributi, per lo più di origine signorile o comunale, imposti sui beni importati,esportati o trasportati su un dato territorio. Una modalità differente di ricavare denaro dai sudditi consisteva nell’alienazione e vendita di beni della corona che venivano acquistati a caro prezzo dai nobili e dai ricchi borghesi desiderosi di mettersi in vista. Un'ulteriore modalità consisteva nella vendita di privilegi connessi ad uffici, cariche o titoli nobiliari. 3. FERMES E APPALTI Almeno fino alla metà del 500 i contributi erano oggetto di periodica contrattazione tra il sovrano ed i rappresentanti dei ceti, all'interno di organi quali i Consigli, il Parlamento, le Diete, gli Stati Generali. Successivamente,aumentando le spese militari, le spese di corte e le spese per il mantenimento complessivo dell'apparato statale, i sovrani cercarono sempre più spesso gli espedienti per svincolarsi dal controllo degli organi rappresentativi. Dovendo raccogliere denaro con urgenza, soprattutto in caso di guerra,i sovrani stipulavano quindi dei contratti (fermes in francese) con singoli finanzieri, o appaltatori che anticipavano loro la somma necessaria ad armare l’esercito o la flotta, ottenendo in cambio un serie di concessioni quali una rendita fissa in denaro sui beni demaniali, il diritto di esigere il denaro in nome del sovrano in un dato territorio,la concessione di alcuni monopoli. Sapendo che difficilmente la cifra loro prestata avrebbe potuto essere restituita, i sovrani facevano concessioni sempre maggiori agli appaltatori. In questo modo, il prelievo fiscale veniva interamente appaltato ai privati i quali potevano esigere i tributi direttamente sul territorio e senza alcun controllo. Non era dunque lo Stato,o il sovrano,ad esercitare il prelievo, ma i privati, gli appaltatore. Solo dalla metà del 600,in alcuni Stati europei, i sovrani incominciarono a limitare il potere degli appaltatori, dapprima sottoponendoli ad un più rigoroso controllo da parte dei funzionari statali alle dirette dipendenze del re,quindi riducendone il numero , infine abolendo l'appalto del prelievo ai privati ed incaricando dell’esazione solo funzionari governativi. 4. FISCO E CONFLITTI SOCIALI E' indubbio che questo modello fiscale suscitasse opposizione e resistenze a tutti i livelli, ma soprattutto a livello del ceto medio. Se infatti la nobiltà ed il clero godevano del privilegio dell’'esenzione fiscale ed i contadini più poveri non potevano essere spremuti più di tanto,erano i ceti abbienti ad essere gravati dalla maggior parte del peso fiscale. Se vogliamo individuare un tratto comune all’ondata di rivolte che investì le principali monarchie europee a metà 600 forse possiamo trovarlo proprio nell’opposizione alla crescente pressione fiscale causata, da un lato, dall'aumento delle spese per il mantenimento delle cori e,dall’altro, dai costi di lunga e devastante guerra continentale. Il malcontento crescente fra la popolazione fece emergere tutte le ragioni di una diversificata, ma capillare opposizione ai governi degli Asburgo, degli Stuart e dei Borboni, accumunati dall'accusa di voler colpire i ceti borghesi e di affamare il popolo con le tasse. Le plebi urbane furono ovunque protagoniste di episodi insurrezionali ed i contadini si sollevarono assaltando ville e castelli,ma i ceti borghesi cercarono di cogliere l'opportunità per far valere le loro ragioni e i diversi strati nobiliari tentarono di sfruttare la situazione a loro vantaggio, contrattando ulteriori privilegi con i sovrani ed in alcuni casi - come nelle Fronde - capeggiando le rivolte. 5. LE RIFORME FISCALI E | CATASTI Il cardine delle riforme fiscali settecentesche è il catasto, strumento essenziale di conoscenza e base per ogni intervento in materia fiscale. Esso può essere definito come un sistema di schedatura il più completo possibile dei beni immobili posseduti dai contribuenti e finalizzato alla ripartizione del carico fiscale sulla base della quota di proprietà immobiliare posseduta da ciascuno. Un catasto è in genere costituito : a) da una serie di mappe quanto più precise del territorio dello Stato con indicati i confini e l'estensione delle singole proprietà immobiliari,le culture presenti, la redditività dei terreni. B) da una parallela serie di registri con l'indicazione del nome dei proprietari di ogni lotto di terreno. Mappe e registri costituiscono un archivio prezioso per determinare la ricchezza dei contribuenti. Nella maggior parte dei casi, però, la realizzazione dei catasti veniva ostacolata dalla resistenza dei ceti privilegiati (aristocratici ed enti ecclesiastici) che temevano l'aumento del peso fiscale a loro carico,e dalla conseguente debolezza dei sovrani che non voleva alienarsi il consenso della nobiltà e del clero. CAPITOLO 9 : LA GUERRA E GLI ESERCITI 1. DALLE MILIZIE FEUDALI AGLI ESERCITI PERMANENTI Il primo problema da affrontare nello studio della storia militare dell’antico regime è relativo alla trasformazione degli esercita da feudali a professionali. Nei decenni compresi fra il XV e il XVI secolo infatti la maggior parte degli eserciti europei muta la propria natura trasformando quella che era una massa di uomini reclutati per brevi periodi e tenuti insieme dai tradizionali legami di fedeltà, tipici del mondo feudale, in un corpo disciplinato, gerarchicamente organizzato,in possesso di competenze professionali precise. Già a metà 400 i corpi dei picchieri sostituiscono la fanteria leggera di molti eserciti italiani ed europei,mentre i soldati mercenari delle compagnie di ventura sostituiscono progressivamente le milizie cittadine volontarie. Il modello sell’esercito interarmi ,ossia composto da diversi corpi specializzati, si afferma come soluzione più efficace. L'aggregazione di spazi diversi nell'ambito delle nuove monarchie territoriali ed il rafforzamento degli Stati impone del resto eserciti di maggiori dimensioni e soprattutto eserciti permanenti di mestiere. 2. DALL’ARMA BIANCA ALLE “BOCCHE DA FUOCO” Una delle date simbolo della storia moderna : il 1453 - presa di Costantinopoli da parte dei turchi del Conquistatore - rappresenta anche una delle prime apparizioni della terribile “bocca da fuoco”. Realizzato da un armaiolo della Transilvania il primo grande cannone della storia moderna era lungo 10 metri sparava proiettili del peso di 600 chili che dovevano essere sollevati da 7 uomini e trasportati da un carro trainato da trenta buoi. Pur potendo sparare solo sette colpi al giorno, il “mostro” contribuì sicuramente alla rapida presa della città imperiale e alla conseguente fine del mondo bizantino con l'avanzata turca in Grecia e nei Balcani. Il passaggio dall'arma bianca all'arma da fuoco ha rappresentato una delle più grandi rivoluzioni nella storia dell'umanità, destinata a mutare radicalmente il modo di fare la guerra e destinata anche a trasformare i rapporti fra i ceti sociali. Per secoli, infatti, la cavalleria aveva rappresentato il nerbo degli eserciti medievali e il valore militare era ritenuto una delle principali virtù richiesta ad un uomo. Con l'introduzione delle armi da fuoco sempre più importante diviene il ruolo dell'artiglieria. La progressiva sostituzione della fanteria e dell'artiglieria alla cavalleria rovescia di fatto la piramide sociale,facendo emergere corpi costituiti da popolani o da borghesi piuttosto che da nobili. Gli stessi sistemi difensivi urbani precedentemente utilizzati entrano rapidamente in crisi ed impongono addirittura di ridisegnare il volto di molte città. Le mura medievali merlate vengono sostituite da bastioni più bassi, ma molto più spessi. Da una difesa “in verticale” si passa così ad una difesa “in orizzontale”. 3. GUERRE E FISCALITÀ’ Con la costituzione di eserciti permanenti e di mestiere le spese crescono in maniera esorbitante inducendo principi e sovrani o ad indebitarsi o ad aumentare la pressione fiscale sui sudditi. Inoltre con l'invenzione delle armi da fuoco le spese per l'armamento si moltiplicano ed implicano sempre più la presenza di vere e proprie industrie belliche; anche la costruzione di sistemi di difesa, di mura e di fortificazioni di nuovo tipo implica competenze diverse e più raffinate. Sono necessari architetti e ingegneri, maestranze specializzate. E' nel corso del 500 che il costo degli eserciti e delle guerre si fa proibitivo,riducendo in maniera consistente il numero dei principi in grado di sostenerne il peso. La difficoltà di retribuire i soldati costringe i sovrani a delegare enormi poteri militari, politici e finanziari ai cosiddetti “signori della guerra”,veri e propri imprenditori militari. Ecco dunque che la macchina statale di molte potenze europee - attorno alla metà del 600 - incomincia ad organizzarsi in funzione di un prelievo destinato principalmente al mantenimento di eserciti permanenti. La pressione fiscale si fa più pesante. 4. VITA DI TRUPPA La professione delle armi non è mai stata attrattiva per gli agricoltori delle pianure più fertili o per gli artigiani delle città,ma in molti casi è stata una risorsa per le popolazioni dei territori più poveri del Mezzogiorno, dell'Irlanda o delle valli montuose della Svizzera, della Germania e del Tirolo. Per garantirsi eserciti permanenti di grandi dimensioni i sovrani europei ricorrevano ad almeno 2 espedienti, oltre al reclutamento volontario e all'acquisto di mercenari stranieri : a) l'arruolamento forzato di poveri, delinquenti e sbandati,spesso in seguito a vere e proprie retate compiute nelle taverne e nei bordelli delle grandi città,o in seguito a condono delle condanne per reati minori; b) l'arruolamento obbligatorio - a guerra iniziata - dei prigionieri di guerra,o dei soldati dell'esercito nemico appena sconfitto. | grandi eserciti di antico regime non erano però composti solo da soldati, ma anche da un seguito di personale di servizio,in buona parte femminile. In molti casi i soldati si portavano appresso le mogli,o aggregavano al reggimento le donne incontrate durante la marcia e con le quali avevano stretto una relazione,oppure costituivano famiglie con le donne addette ai servizi. Ecco perché non è infrequente trovare documentata la presenza di donne e bambini nei ranghi degli eserciti. Solo nel 700 vennero adottate le uniformi dai colori sgargianti ed ogni esercito nazionale si caratterizzò per un colore o per una foggia d'abito particolare laddove in precedenza erano soprattutto i colori e gli stemmi dei comandanti dei reggimenti a distinguere le truppe e l’unico modo per riconoscere i propri soldati e distinguerli dai nemici era farli marciare sempre sotto gli stendardi del reggimento,dotandoli di elementi di riconoscimento come nastri colorati,fasce sul petto,piume sul cappello. Un altro problema non di poco conto per un esercito era rappresentato dal problema degli alloggiamenti. Fino alla metà del 700,quando in alcuni paesi compaiono le prime caserme, gli eserciti alloggiavano nelle città requisendo palazzi, case, stalle e granai per le loro necessità ( pensiamo ai Quartieri spagnoli di Napoli). questi anni masse di contadini impoveriti si riversano nelle città europee alla ricerca di lavoro e di sostentamento,provocando immediate reazioni da parte delle autorità locali che adottano quasi ovunque provvedimenti per il respingimento dei poveri forestieri. Nel 1526 viene pubblicato dall’umanista spagnolo Vives il trattato “Sull’assistenza dei poveri”nel quale si sostiene la necessità di passare dalla carità individuale all'assistenza organizzata senza tralasciare la repressione dei fenomeni criminali generati dal pauperismo. La laicizzazione dell'assistenza è un tratto comune sia ai paesi cattolici che a quelli protestanti. Una seconda pauperistica si verifica nella seconda metà del secolo, tra gli anni 80 e 90 ,in seguito ad una serie di annate cattive,ed anche in questo caso le città mettono in atto politiche di discriminazione fra i poveri del contado e poveri forestieri,assistendo i primi e respingendo i secondi. Nell’Italia settentrionale,a Venezia, Verona,Brescia, Bergamo e Milano assistiamo alla fondazioni di istituti assistenziali grazie ai fondi di privati cittadini e confraternite, con l'appoggio, non sempre finanziario, di principi, Consigli municipali e vescovi. Le istituzioni così create costituirono non solo un luogo di ricovero ma anche e soprattutto di lavoro ed un centro economico di primaria importanza. Gli ospedali dei poveri, soprattutto nei paesi cattolici,essendo gestiti da Ordini religiosi o confraternite e godendo molto spesso di esenzioni fiscali,ricevevano molte donazioni,eredità ed altri legati da parte delle ricche famiglie che in tal modo si garantivano non solo un consistente sconto sul Purgatorio,ma anche uno sgravio fiscale. In poco tempo il patrimonio amministrativo delle istituzioni assistenziali si accrebbe a tal punto da rappresentare una quota analoga a quella di molti patrimoni nobiliari. Nella maggior parte dei casi gli ospedali divennero anche istituti di credito, concedendo prestiti a basso interesse a chi aveva bisogno di denaro contante. In molti casi gli ospedali costituirono doti destinate ad aiutare le ricoverate a sposarsi, oppure fornirono contributi in denaro o in natura ai ricoverati più volenterosi che uscivano dall'istituto per aprire una piccola bottega. Il filosofo e storico Foucault in “Sorvegliare e punire” ha richiamato l’attenzione degli studiosi sul cosiddetto “grande internamento” di metà 600, ossia sull’imponente operazione di concentrazione e segregazione dei poveri all’interno di istituti e case di lavoro ad essi appositamente destinati,concepiti al tempo stesso come luogo di assistenza,di disciplinamento e di punizione. L'internamento segnala tangibilmente il fatto che la comunità rifiuta e respinge alcuni individui portatori di caratteristiche fisiche, o atteggiamenti e comportamenti devianti rispetto alle norme stabilite ed accettate. Esso inoltre è una misura che priva i soggetti della loro libertà costringendoli a lavorare. L'internamento non è solo una misura repressiva,ma viene presentato soprattutto come la condizione che rende possibile l'assistenza, ossia il farsi carico da parte dei pubblici poteri della necessità dei poveri. La condizione per riacquistare la propria libertà è quindi accettare docilmente l’internamento,consentire ad essere rieducato mediante il lavoro coatto. 4. CRIMINALITA’ E MARGINALITA’ Per affrontare lo studio dei fenomeni criminali infatti necessario capire innanzitutto come veniva concepita la criminalità nel passato, quali comportamenti venivano ritenuti criminali e come venivano puniti. La pena era concepita essenzialmente come punizione e non come correzione e la legge presupponeva la diseguaglianza di trattamento a seconda del ceto sociale o del gruppo di appartenenza del reo. L'85% dei reati di antico regime poteva essere facilmente compreso sotto le due categorie di furto e aggressione. Una prima distinzione va fatta tra criminalità rurale e criminalità urbana. La criminalità rurale - centrata su furto e aggressione - è sicuramente più tradizionale, dominata da piccoli reati come il furto campestre e il furto di bestiame, costellata da episodi di brutalità domestica che hanno come vittime soprattutto donne e ragazzi, segnata da una ricorrente violenza pubblica che ha come luogo privilegiato l'osteria o la piazza. Il crimine rurale è per lo più spontaneo, ossia individuale, dettato dal bisogno o da uno scatto d’ira,raramente è premeditato. Un caso a sé è rappresentato dal cosiddetto brigantaggio,ossia quella particolare forma di criminalità esercitata soprattutto in territori di confine e lungo le principali vie di comunicazione. | briganti, organizzati per lo più in bande, assaltavano con le armi sia i viaggiatori isolati, sia le carrozze e i carri con merci, per dileguarsi immediatamente dopo aver lasciato sul terreno feriti e in alcuni casi morti. Assai diversa è la criminalità urbana. La città infatti genera più facilmente il crimine in quanto concentra maggior popolazione in spazi più ristretti,vi sono maggiori e più evidenti differenze sociali con una compresenza di ceti e redditi molto diversi. Anche in questo caso domina il furto ma si tratta in genere di furto compiuto da bande di ladri e borseggiatori nelle vie e nelle piazze di mercato,da bande di scassinatore e di ladri d'appartamento, da bande di assassini attivi durante la notte. Il crimine è per lo più premeditato. Se la criminalità rurale è intraclassista (ossia esercitata all'interno della stessa classe sociale) quella urbana è interclassista(ossia esercitata fra esponenti di classi diverse). CAPITOLO 11 : LA DIMENSIONE RELIGIOSA 1. RELIGIONE E VITA QUOTIDIANA La vita quotidiana degli uomini e delle donne di antico regime è profondamente segnata dalla dimensione religiosa. A tutti i livelli sociali è presente in primo luogo il senso della precarietà dell’esistenza e di conseguenza la paura della morte e delle pene dell'inferno domina la vita dei credenti. Nell'Europa cattolica la maggior parte delle persone preferiva rivolgersi a Dio tramite figure di mediazione, dalla Vergine Maria agli innumerevoli santi, molti dei quali venerati solo a livello locale. La gerarchia celeste prevedeva che ci si rivolgesse,con un'offerta, in primo luogo al santo locale e al suo santuario. Solo in rari casi e per le questioni più gravi ci si rivolgeva a Gesù. Solamente i sacerdoti si rivolgevano a Dio Padre. Il culto mariano, negato da Lutero e dai protestanti,era invece molto diffuso nell'Europa cattolica,particolarmente fra le donne per le quali era assai più facile rivolgersi ad una figura femminile, materna e amorevole. La stessa percezione del tempo, in antico regime, era fortemente segnata dall’elemento,oltre che dai ritmi delle stagioni e dal lavoro agricolo. Contadini e contadine,spesso, non conoscevano il calendario né sapevano distinguere i mesi e i giorni,ma conoscevano perfettamente il calendario liturgico e quello dei lavori agricoli ed in base a questi due elementi riuscivano ad organizzare il loro tempo. Se la vita quotidiana era scandita dal calendario liturgico, di conseguenza la Pasqua rappresentava la festività più importante ,in occasione della quale, in genere, il vescovo o un suo delegato compivano il giro delle visite pastorali nelle parrocchie della diocesi. Ogni credente doveva confessarsi almeno una volta all'anno in occasione della Pasqua e la comunione pasquale veniva annotata dal parroco che avrebbe poi redatto il registro dei fedeli della parrocchia. 2. BATTESIMI, MATRIMONI, SEPOLTURE Nella vita di un credente a ciascuna tappa della vita corrisponde un sacramento. La parrocchia è il luogo della celebrazione di questi riti collettivi e di conservazione della loro memoria scritta (archivi parrocchiali). Il battesimo non era solo il primo fra i sacramenti, ma era l'atto che consentiva di iscrivere alla comunità un suo nuovo componente, attribuendolo ad una coppia di coniugi e di conseguenza ad una famiglia. Era dunque un atto civile, oltre che religioso, da cui dipendeva l'identità di ciascuno e lo stesso ordine sociale della piccola comunità. La scelta dei padrini era perciò un fatto di estrema importanza che determinava alleanze famigliari o rapporti protezione (come il patronato, esercitato da alcuni nobili nei confronti dei figli dei propri sottoposti). Dopo il battesimo,la prima comunione rappresentava per il cristiano l'ingresso nella comunità dei fedeli. La confessione, a sua volta, rappresentava la pacificazione con i propri nemici e la richiesta del perdono a Dio tramite la Chiesa. Il rifiuto della comunione veniva in genere interpretato come un atto di ostilità e come la premessa di cattive azioni. Solo a partire dal Concilio di Trento il matrimonio diventa il sacramento fondamentale in quanto rappresenta l'atto costitutivo di una nuova famiglia e in genere l'unione di due patrimoni. Fino alla metà del 500 il matrimonio era un atto eminentemente civile, celebrato di fronte al notaio o al giudice,o anche semplicemente di fronte ai rappresentati delle due famiglie. Il matrimonio,del resto,raramente implicava scambi di natura affettiva o promesse d'amore da parte dei coniugi che il più delle volte non si conoscevano neppure fra loro, ma era essenzialmente un patto tra famiglie. Tanto maggiori erano i patrimoni scambiati da una famiglia all'altra, tanto minore era il consenso richiesto ai coniugi che dello scambio patrimoniale erano solo il tramite. L'estrema unzione è un sacramento che ricevono solo coloro i quali spirano nel loro letto con i conforti della religione,mentre la maggior parte di coloro che muoiono lontano da casa non riceve i sacramenti e solo in alcuni casi può avere una degna sepoltura. 3. PARROCI E PARROCCHIE Nella società di antico regime la parrocchia è,accanto alla casa di abitazione, il luogo fisico in cui vengono scandite le pause del lavoro,ma soprattutto il luogo dove vengono vissuti collettivamente i tre momenti chiave della vita: battesimo, matrimonio e sepoltura. La figura del parroco riveste pertanto un'importanza particolare in quanto in essa si concentrano una serie di funzioni diverse, sia religiose che civili. Nel mondo rurale il parroco rappresenta infatti il principale ed in molti casi l'unico mediatore fra la società contadina ed il complesso ed articolato sistema dei poteri di cui la Chiesa è parte. Egli dei sacramenti e della liturgia, ma è anche confessore e quindi potenzialmente al corrente di quasi tutti i segreti dei suoi parrocchiani; è quasi sempre lui il mediatore dei conflitti famigliari e sociali del villaggio;il parroco, inoltre, è ufficiale di stato civile, in alcuni casi può essere notaio,maestro di scuola, musicista, agente di prestito, comunque organizzatore della vita sociale della piccola comunità. Nella maggior parte dei casi è una delle poche persone e in molti casi l’unica persona istruita ed alfabetizzata del villaggio, al quale far ricorso per qualsiasi lettura o scrittura. innanzitutto l'amministratore Il Concilio di Trento definisce per la prima volta in maniera inequivocabile i doveri del parroco ed avvia una operazione di riforma e disciplinamento del clero imponendo un nuovo modello ideale di sacerdote, residente nella parrocchia ed impegnato nella cura delle anime, preparato, obbediente e disciplinato. Prima del Concilio non era infrequente trovare parroci stregoni o guaritori, partecipi di culti agrari estranei alla tradizione cristiana, parroci concubini,giocatori, o dediti al vino,armati. Il controllo sui parroci e sulla vita delle parrocchie si esercitava anche attraverso le periodiche visite pastorali cui ogni vescovo era tenuto nella sua diocesi. La visita del vescovo o un suo vicario, rappresentava per la parrocchia il momento culminante della vita comunitaria, in occasione del quale veniva stesa una relazione, venivano mostrati gli archivi. 4. LA CHIESA COME CARRIERA I principali luoghi di elaborazione della cultura di antico regime sono la Chiesa, le corti, le accademie e le biblioteche. | tipi intellettuali che ne furono protagonisti: chierici e cardinali,cortigiani e letterati, bibliotecari, stampatori e librai. Per tutto il medioevo, e ancora fra 500 e 600, l'intellettuale per eccellenza è l’ecclesiastico. Il solo ad aver avuto un'istruzione superiore, a conoscere il latino e talvolta il greco,ad aver accesso ai libri delle grandi biblioteche monastiche e diocesane, almeno fino all'invenzione della stampa. Fra gli ecclesiastici bisogna distinguere il clero regolare, ossia i frati e i monaci sottoposti ad una regola ed inquadrati negli Ordini religiosi, dal clero secolare,ossia i preti attivi nelle parrocchie ed i semplici abati, fruitori di benefici ecclesiastici,ma non pastori di anime, e gli altri prelati impegnati nell’amministrazione della Chiesa e dei suoi patrimoni. Per una lunga stagione il clero regolare, soprattutto i Benedettini o i Domenicani ed i Francescani era stato il vero depositario del sapere. Nel pieno Rinascimento,fra 400 e 500,l’alto clero rappresentò uno dei settori più colti dell’elite,soprattutto in Italia; figure come Bembo e Castiglione furono letterati molto stimati dai contemporanei ad anche innovatori della cultura e della cultura. Dalla metà del 500 la cultura sarebbe stata dominata invece dai potenti Gesuiti,in grado, con i loro collegi, si monopolizzare la formazione dei ceti dirigenti di tutta l'Europa cattolica. Il clero secolare soprattutto la grande massa dei parroci, avrebbe invece mantenuto un profilo culturale basso, dedito a letture devote e in molti casi impegnato nell'istruzione dei figli dei ceti popolari. E' solo tra Sei e Settecento che gli esponenti del clero secolare acquistano maggiore autonomia,dedicandosi più liberamente allo studio e alle lettura. La figura più tipica di questa stagione culturale è l'abate secolare settecentesco, impegnato come precettore o come segretario presso una famiglia aristocratica, oppure in grado di vivere di rendita grazie ad un beneficio ecclesiastico,frequentatore di salotti e spesso al centro di intrecci amorosi,lettore e poeta o scrittore,viaggiatore (Metastasio, Parini). L'altra figura “intellettuale” ereditata dal medioevo ed affermatasi soprattutto fra 400 e 500 è quella del cortigiano. Uomini come Poliziano, Ariosto,Tasso ma anche Leonardo da Vinci,Raffaello e Michelangelo, furono al servizio di principi laici ed ecclesiastici da quali ottenevano generose pensioni per svolgere le loro attività a corte, ma dai quali potevano anche essere cacciati da un giorno all’altro,se la loro opera non si inseriva in un coerente progetto di esaltazione del principe e della sua virtù. Si tratta di intellettuali fortemente condizionati dalla volontà del signore, la cui libertà espressiva o di ricerca cozzava quotidianamente con la necessità di obbedire ad un disegno prestabilito,ad una committenza. La corte non è solo un luogo di rappresentazione e di esercizio del potere, ma anche e soprattutto un potente strumento di organizzazione del consenso; luogo di scambio per eccellenza , dispensa favori a chi ne fa parte,sotto forma di incarichi,posti di lavoro, rendite, salari,in cambio di una diffusa e capillare opera di propagande,che prende forma di arte visiva,architettura,musica,teatro,letteratura,storiografia. 2. ACCADEMIE E BIBLIOTECHE Uno spazio a sé - in bilico fra libertà e necessità - è quello rappresentato dalle accademie, nate fra 400 e 500 per iniziativa di piccoli gruppi di letterati, filosofi e scienziati per lo più sotto la protezione di nobili mercenari, ed affermatesi nel 600 come spazio privilegiato della sperimentazione scientifica. Organizzate secondo una precisa gerarchia,dotate di statuti e distinte da un motto e da un’impresa,le accademie si sarebbero presto differenziate connotandosi a seconda degli interessi che ciascuna coltivava : filosofici, poetici, linguistici, musicali etc etc. Più delle accademie letterarie o musicali, furono però quelle scientifiche a segnare il clima di una nuova stagione:la più celebre ed antica accademia scientifica è sicuramente l'Accademia dei Lincei. Un'ulteriore svolta si sarebbe realizzata nel corso del 700 con la progressiva trasformazione delle antiche accademie in istituzioni più formalizzate, sostenute e finanziate dallo Stato, o con la fondazione di nuove accademie statali destinate ad esercitare per oltre un secolo un ruolo profondamente innovativo, quel ruolo di spazio aperto alle istanze della ricerca scientifica. Nacquero così nuove accademie, promosse direttamente dai sovrani con il compito di fare ricerca nei diversi campi del sapere. Esse prevedevano un numero limitato di soci ordinari, per lo più stipendiati, e un numero variabile di soci corrispondenti incaricati di comunicare periodicamente le proprie scoperte pubblicandone i risultati sulle “Memorie” o sugli “Atti”. Annessi alle principali accademie sorsero, tra 600 e 700,anche laboratori, giardini botanici, osservatori astronomici,oltre ad alcune grandi biblioteche aperte agli studiosi e destinate a raccogliere i testi più importanti che si pubblicavano in Europa. Fino a quel momento non esistevano biblioteche pubbliche. Le maggiori raccolte di libri o erano di proprietà ecclesiastica, o erano private, o di proprietà dei sovrani. Le prime biblioteche italiane ad essere aperte al pubblico erano tutte di origine privata,come quella di San Marco a Firenze, fondata da Cosimo de'Medici. Le biblioteche universitarie si diffusero nel corso del 700; la professione di bibliotecario emerse solo allora come quella di un uomo di cultura e non di un semplice custode di libri: da lui dipendevano gli acquisti e le ricerche di libri antichi e introvabili, come da lui dipendeva la fisionomia che la biblioteca avrebbe assunto. Da deposito di libri la biblioteca si trasformò in luogo di scambio di informazioni e di produzione di cultura. 3. LA STAMPA E L'EDITORIA La capitale culturale dell’editoria europea del 500 fu sicuramente Venezia con la figura di Aldo Manuzio capace di cambiare la natura stessa del libro,trasformatosi sotto le sue mani da pesante in folio, cioè libro di grandi dimensioni,composto ancora in caratteri gotici,in agile volumetto tascabile in ottavo,cioè di piccole dimensioni, composto con caratteri nitidi ed eleganti,alla portata di un più ampio pubblico di lettori. La diffusione della stampa implicò anche la nascita di nuovi mestieri ( correttori di bozze, impaginatori) e la trasformazione di antichi mestieri in nuovi al servizio di un mercato in espansione. Il mondo dell'artigianato vide emergere al proprio interno la categoria dei tipografi. Le botteghe degli stampatori non erano solo luoghi di lavoro o di commercio, ma in molti casi veri e propri centri di cultura frequentati da autori e lettori. L'intelligenza dello stampatore stava nel sapersi rivolgere non solo ai pochi lettori tradizionali, ma nell'individuare nuove e più estese categorie di pubblico fra chi aveva qualche dimestichezza con la parola scritta. Due caratteristiche colpiscono il nostro sguardo se osserviamo il frontespizio di un libri antico : a) il grande rilievo dato alla dedica, ossia alla lettera con la quale l’autore o lo stampatore si poneva sotto la protezione di un uomo potente o autorevole. B) lo scarso rilievo del nome dell'autore: solo nel tardo 500 il nome dell'autore di afferma come componente essenziale del frontespizio. E' solo con l'introduzione della privativa che si incomincia ad affermare la proprietà letteraria dell'autore ed il suo diritto ad essere pagato in base alle copie del libro effettivamente vendute. La “rivoluzione inavvertita riguardò solo una ristretta minoranza della popolazione, per lo più urbana, mentre la stragrande maggioranza della popolazione di antico regime raramente ebbe modo di prendere in mano un libro e soprattutto un libro che non fosse di carattere religioso. Nelle campagne circolavano pochissimi libri; la lettura non era un fatto individuale ma collettivo. Con l'introduzione della stampa le autorità politiche e religiose si resero subito conto di quanto il libro potesse essere potenzialmente pericoloso. La Chiesa cattolica ma anche le autorità laiche intervennero ben presto per disciplinare la stampa imponendo che ogni testo da inviare in tipografia dovesse avere l'autorizzazione preventiva da parte dell'autorità ecclesiastica. La censura prevedeva non solo il divieto di stampare,ma anche di diffondere e di possedere i libri non autorizzati. Prima della conclusione del Concilio di Trento papa Paolo IV fece pubblicare a Roma il primo ed ufficiale Indice dei libri proibiti ossia il catalogo di tutte le opere di cui la Chiesa cattolica vietava la stampa, la diffusione e il possesso. Paradossalmente l’Indice finì per fornire agli spiriti liberi un dettagliato catalogo delle opere da leggere. CAPITOLO 13 : EDUCAZIONE E ISTRUZIONE 1. LEGGERE,SCRIVERE E FAR DI CONTO Le società di antico regime erano dominate dall’analfabetismo. L'oralità dominava sulla scrittura a tutti i livelli,ma la comunicazione era fatta anche di immagini, di simboli, di emblemi. Per quanto riguarda l'istruzione e l’alfabetismo bisogna ricordare che leggere, scrivere e far di conto erano tre abilità del tutto diverse che non si apprendevano nello stesso momento ma costituivano il punto d'incontro di percorsi formativi fra loro separati. | luoghi dell’apprendimento, del resto, erano solo raramente le scuole. Spesso si apprendeva a leggere in famiglia, o durante un viaggio,o durante l’apprendistato in bottega,o durante il servizio militare, o lavorando come servo sotto padrone. Nelle campagne poi la maggior parte delle famiglie considerava la scuola come un modo per sottrarre i giovani al lavoro e ne ostacolava la frequenza, soprattutto nei mesi estivi, da cui l'abitudine di chiudere le scuole nei tre mesi estivi di vacanza per consentire, in realtà,ai ragazzi di partecipare ai lavori agricoli. 2. ALUNNI E INSEGNANTI In antico regime le scuole erano presenti soprattutto nelle città,mentre nella campagne e nei villaggi erano assai poco diffuse e considerate con diffidenza da un lato dalle famiglie contadine che non volevano che i figli fossero sottratti ai lavori nei campi; dall'altro dai ceti aristocratici e dalla stessa Chiesa che vedevano nell'istruzione dei ceti inferiori un potenziale pericolo e un incoraggiamento all’insubordinazione sociale. Solo nel 700 una parte della popolazione rurale dell'Europa occidentale e settentrionale poté accedere all'istruzione di base. Nella maggior parte dei villaggi della Francia, della Germania e dell'Inghilterra furono istituite scuole elementari a classe unica dove si poteva imparare a leggere e a scrivere. Soltanto a partire dalla seconda metà del 700 i maestri incominciarono ad avere una formazione professionale specifica. Agli insegnanti elementari si richiedeva un diploma di abilitazione ed il loro reclutamento iniziò ad essere effettuato mediante concorsi pubblici. L'apprendimento era essenzialmente mnemonico, le lezioni si svolgevano in una stanza annessa alla parrocchia, munita di panche e raramente dotata di banchi o riscaldata. Come i membri delle Arti e delle Corporazioni anche gli studenti più grandi godevano di privilegi particolari, primo fra tutti il diritto di viaggiare spostandosi da una città all'altra per proseguire gli studi (clerici vagantes),oltre al diritto di non essere arrestati dall'autorità secolari se non in casi di delitti particolarmente gravi o reati di sangue. Per frequentare le scuole gli studenti dovevano pagare una tassa corrispondente al costo di vitto e alloggio presso un maestro ed in qualche caso potevano godere di una borsa di studio. La lingua di base della cultura era quasi sempre il latino e le lingue volgari erano concepite
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