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Riassunto La società di antico regime ( XVI-XVIII secolo), G. P. Romagnani, Sintesi del corso di Storia Moderna

Temi e problemi di storia moderna, presentati in costante riferimento alle fonti e alla storiografia del libro di Romagnani tutto riassunto

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto La società di antico regime ( XVI-XVIII secolo), G. P. Romagnani e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Riassunto: La società di antico regime (XVI-XVIII secolo) – G.P.Romagnani Lavoro dello storico Il capolavoro di March Bloch, “Apologia della storia o mestiere di storico”, cerca di spiegare cos’è la storia e a cosa serve. La parola storia è piuttosto ambigua e possiede molteplici significati: divenire degli event nel corso del tempo (realtà soggettiva) o storia come è narrata o interpretata dagli uomini (prodotto soggettivo). In italiano possiamo distinguere: la storia come realtà oggettiva/evento, mentre la storiografia come metodo di narrazione; il termine storia viene dal greco, e vuol dire osservare, cercare di sapere, informarsi, quindi l’dea greca di storia è inscindibile da quella di ricerca. Qualsiasi approccio alla conoscenza storica è veicolato dai libri degli storici antichi, che sono il frutto di una loro interpretazione dell’evento o del fatto accaduto. Le principali attività della storiografia sono tre: ricordare (storiografia narrativa), ammaestrare (storiografia pragmatica) e spiegare (storiografia scientifica); la storiografia risponde, pertanto, ad un bisogno sociale fondamentale, cioè, la ricerca di identità. L’ identità è ciò che definisce i tratti comuni con coloro che riteniamo nostri simili e ciò che ci differenzia con tutti gli altri. Tornando a Bloch, la sua spiegazione riguardo la storia viene non solo dallo studio dei libri, ma soprattutto sugli uomini, sulle loro relazioni reciproche, sulla loro vita e nelle loro trasformazioni nel corso del tempo. Storia e memoria La memoria ha un ruolo fondamentale, perché una persona, un popolo senza memoria è un popolo senza identità. Lo storico è il testimone, o colui che può risalire alla memoria dei testimoni, e il suo compito è quello di ricostruire i ricordi. Lo stesso discorso vale per le comunità: senza memoria perde la sua identità; basti pensare agli immigrati, sradicati dalla loro terra e “costretti” a inserirsi e integrarsi in una comunità di cui non conoscono il passato e non condividono le tradizioni, mentre sono privati della loro memoria storica. La trasmissione della memoria è dunque fondamentale, perché resta la materia prima della storia e contrapporre la memoria/testimonianza alla storia/analisi è un’operazione sbagliata. La questione si fa delicata quando si tratta di storia contemporanea: qui storia e memoria tendono a sovrapporsi e gli storici hanno il dovere distinguere i due piani, cercando di interpretare al meglio le due cose. Scrivere di storia Nel 1975 lo storico Francois Furet pubblica un articolo nel quale sintetizza i presupposti della cosiddetta “nuova storia” francese, dichiarando tramontata lo storia-racconto, dominata dalla cronologia, dall’evento, dall’individualità ecc. a favore della storia-problema, dominata dalla struttura, del seriale e del quantitativo. Secondo Furet, lo storico, deve avvicinarsi sempre di più all’approccio scientifico, affiancandosi agli altri scienziati sociali e lavorando sulle strutture e sul quadro socio-economici. Nel 1979, Lawrence Stone, pubblica un altro articolo, in cui critica coloro che hanno dichiarato la fine della “storia narrativa”, accusandoli di aver ripiegato su una narrazione tradizionale dominata da temi politici e sulla biografia. Da ciò, Stone, afferma che la narrazione è un modo di scrivere storia, ma anche un modo coinvolge ed è coinvolto dal metodo. La storiografia nasce come racconto, e la differenza fra storia e poesia, e fra storico e poeta, è che: lo storico, descrive i fatti realmente accaduti, il poeta, descrive i fatti che possono accadere; il poeta è dunque più libero dello storico, che si deve limitare a descrivere accadimenti particolari e limitati. Ancora più chiara e poi la distinzione tra storie, argomenti e favole: le storie sono fatti realmente accaduti, argomenti sono fatti non accaduti ma che avrebbero potuto esserlo, e le favole sono fatti non accaduti e che non possono accadere. Importante è anche la definizione che Voltaire da della storia, dicendo che essa è il racconto di fatti dati per veri , mentre la favola è il racconto dei fatti dati per falsi. Il discorso storico si svolge su due piani: la descrizione nel quale lo storico espone i fatti e fa parlare i documenti relativi; l’analisi o interpretazione, nel quale lo storico espone le loro considerazioni relative al fatto/argomento. Le fonti Studiare le società di antico regime, significa venire a contatto con le principali interpretazioni che le riguardano. Le interpretazioni su delle società del passato vengono fatte sulla base delle fonti; tanto più ricche sono le fonti e la bibliografia, tanto più impegnative ne risultano le opere di sintesi che non possono limitarsi a schematizzare eventi politici e processi di trasformazione sociale lunghi e complessi. Conoscere la società di antico regime significa conoscere: le fonti che gli storici hanno utilizzato, la storiografia ossia le principali opere storiche che le riguardano, il significato delle categorie storiografiche e i grandi dibattiti che hanno visto gli storici confrontarsi e scontrarsi prima di giungere a delle conclusioni. Il documento si definisce rispetto al passato, la fonte rispetto al futuro (la conoscenza che lo storico vuole ricavare dal documento). Le fonti possono primarie (testimonianze dirette), secondarie (testimonianze indirette), manoscritte o a stampa, oggetti (opere d’arte, manufatti ecc.) tracce sul territorio, nelle tradizioni, nelle leggende ecc. La bibliografia è tutto ciò che è stato scritto sul problema di cui lo storico si occupa; essa può essere primaria (libri frutto di ricerca diretta sui documenti), secondaria (libri scritti lavorando su altri libri). Lo storico, perciò, dovrebbe conoscere la filologia, codicologia, grafologia e altre materie importanti per interpretare al meglio i libri su cui lavora. Ruolo fondamentale è quello dell’ archivio che è la memoria organizzata di un’istituzione; esso non è mai diviso per argomenti, ma per funzioni richiamando alle funzioni amministrative dell’ente che lo ha generato. Negli archivi di Stato si può trovare tutto ciò che ha a che fare con la pubblica amministrazione e con il governo del territorio; poi ci sono chi archivi pubblici, comunali, accademie, università ecc. Le interpretazioni Le interpretazioni proposte dagli studiosi non sempre hanno portato ad una chiave di lettura condivisa, ma sicuramente hanno aperto alla strada a ricerche particolari. Una delle questioni più importanti è quella sul Rinascimento e Umanesimo: lo storico Jakob Burckhardt fu uno dei primi a definire il Rinascimento come il rinnovamento delle civiltà che avrebbe portato alla Riforma religiosa, all’Illuminismo e alla civiltà liberale. Nell’Umanesimo Burka vedeva la volontà di rottura degli intellettuali italiani con il passato medievale e la loro volontà di rifondare una nuova civiltà su valori laici e industrialistici, stroncati dalla Controriforma e dalla crisi di metà secolo. In contrasto con Burka, Burdach, vede nell’Umanesimo un carattere mistico- religioso, di fatto antimoderno, da cui poi sarebbe emersa la proposta della Riforma luterana. Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale Hans Baron, proponeva l’Umanesimo come antidoto per i totalitarismi; facendo un richiamo a Machiavelli, Baron proponeva una riflessione in chiave storiografica sui principi dell’etica statale dell’antica Roma repubblicana, ripresa e sviluppata dagli umanisti del primo Rinascimento. Un’altra delle grandi controversie storiografiche relative all’inizio dell’età moderna è quella della Riforma, Controriforma e Riforma cattolica. Leopold van Ranke, propose un quadro interpretativo basato sulla dicotomia fra Riforma (positiva) e Controriforma (negativa) che, come termine, appare alla fine del Settecento nella cultura tedesca (solo nell’Ottocento al concetto negativo di Controriforma si opporrà quello della Riforma religiosa). In Italia il concetto è introdotto da Alberigo e Prodi che vedono, non solo una violenta reazione della Chiesa contro la Riforma luterana, ma un’autonoma spinta riformatrice capace di risolvere una parte di problemi posti dalla Riforma. Interessante è anche il dibattito sulla crisi del Seicento. La controversia storiografica verteva: sulla natura della crisi, sul suo carattere, sul ruolo della rivoluzione inglese e sul ruolo degli spazi italiani. Una prima divisione passava fra gli storici marxisti e i non marxisti; per i primi la crisi era il segnale della crisi del modo di produzione feudale e dell’emergere dell’economia capitalista, che avrebbe portato la borghesia alla sua scesa. Per i secondi bisognava far riferimento alla sfera politica guardando alla frattura società Stato. I quadri ambientali la campagna è lo spazio di vita della stragrande maggioranza della popolazione europea che raramente appaiono protagonisti della grande storia, ma che di fatto, sono i veri soggetti della lenta e impercettibile trasformazione dei quadri ambientali del vecchio continente. Il bosco, occupa ancora 1/3 del territorio europeo, e pianure e colline sono densamente coltivate e abitate. Le vie di comunicazione sono assai limitate e i mezzi di trasporto sono lenti, scomodi e costosi. Le strade sono sterrate e solo le principali arterie di comunicazione, prevedono alcuni tratti in pietra. Le campagne europee hanno una bassa densità di popolazione umana e insediativa; per raggiungere qualsiasi meta, bisogna percorrere molti chilometri a a piedi. Nel 1544 Munster descrive i contadini come persone che vivono isolate e stanno solo con le loro bestie, mangiano una sorta di pane di segale, polenta, avena e zuppa di piselli o lenticchie, bevono acqua o latte e il loro abbigliamento si riduce a una tunica di traliccio. Però raramente vivevano isolati, per lo più vivevano in villaggi circondati da campi e boschi. Le abitazioni sono costruite con legno, terra, paglia, terra. Il panorama materiale della casa contadina è costituito per lo più da sostanze vegetali o animali lavorate a mano per ottenere sia gli attrezzi da lavoro, sia gli arredi. Gli indumenti sono prodotti in casa, l’uso del ferro è molto limitato e le finestre, non hanno vetri. Solo nella grandi case rurali delle regioni alpine si diffonde l’uso della stufa; e i letti sono per lo più pagliericci riempiti di foglie secche o lana. Nascere e morire In assenza di censimenti possiamo basarci solo sugli archivi parrocchiali, per quanto riguarda le nascite o le morti in una certa zona. Gli archivi parrocchiali, sono considerati oggi, una fonte importantissima per la storiografia demografica in quanto svolgono la funzione di una vera e propria anagrafe della popolazione. Di fronte ai dati demografici ricavati dalle fonti parrocchiali ed elaborati dagli storici henry e Laslett, la prima constatazione che possiamo fare è che l’andamento demografico è un fenomeno biologico e sociale, tutt’altro che indipendente dalla volontà delle persone. Un alto tasso di mortalità è per lo più indizio di miseria e disagio sociale, mentre un basso tasso di mortalità e un allungamento della speranza di vita sono segni di benessere. Le cause di morte potevano essere diverse: malattie polmonari, cardiopatia, malformazione congenita, febbre malarica, peste, colera, lebbra e cosi via. Si poteva morire a causa del clima, troppo freddo o troppo caldo. Si moriva anche di fame, per le percosse e i maltrattamenti subiti in famiglia. Pochi dunque raggiungevano indenni la vecchiaia e quei pochi erano oggetti di rispetto in quanto portatori di una memoria e di un’esperienza che non tutti possedevano. Rispetto la mortalità, la natalità era molto più soggetta alle scelte individuali e quindi più condizionata da fattori sociali e culturali. Ma perché si generano figli nelle società più povere e arretrate? Questo avveniva perché i figli erano considerati un investimento sul futuro, per reagire alla presenza della morte, per motivi religiosi e perché mancano contraccettivi efficaci. I demografi, inoltre, hanno dimostrato che la natalità è una funzione derivata dal rapporto tra fertilità e fecondità, definendo fertilità la natalità in potenza ossia la capacità femminile di produrre figli. Altre forme di controllo della natalità si realizzano mediante la limitazione delle occasioni di contatto fra i giovani, matrimoni tardivi ecc. Il mondo rurale È un luogo dove produrre beni agricoli, destinati soprattutto all’autoconsumo e solo in minima parte allo scambio. In campagna vive oltre l’80% della popolazione europea; qui possiamo incontrare mendicanti, vagabondi, banditi, piccoli proprietari agricoli, bottegai, artigiani, ecclesiastici ecc. la comunità rurale era costituita da famiglie che vivevano al centro di una data area coltivata. All’interno di una famiglia vigeva una divisione del lavoro abbastanza rigorosa: ragazzi e adulti aravano i campi, facevano trasporti con carri e cosi via, le ragazze e le donne tenevano la casa, preparavano da mangiare ecc. Va anche detto che la famiglia rurale non comprendeva solo figli e genitori, ma anche nonni, cognati ecc. in generale la comunità rurale si identifica nella parrocchia, affidata alla cura di un parroco. Ognuna di esse possiede dei beni immobili, oltre a un patrimonio terriero. La decima era in origine la quota di prodotto agricolo che si destinava al sacerdote.. Le basi agricole dell’economia. Il feudo Nei paesi cattolici la forma di prelievo più diffusa è la decima ecclesiastica; abolita la tempo della Riforma, la decima, avrebbe caratterizzato ancora a lungo l’economia dell’Europa cattolica, almeno fino alla Rivoluzione francese. Accanto ad essa, troviamo la rendita signorile, articolata in varie forme; oltre alle corvée (prestazione dal vassallo al signore), ai signori spettano i ricavi dei pedaggi su strade e ponti, i diritti sui mulini, sul transito delle merci sul loro feudo ecc. Altre rendite vengono percepite dai proprietari terrieri non nobili che concedono in affitto ai contadini le loro terre o che stipulano con loro diverse forme di contratto agrario. I contratti agrari più diffusi sono: affittanza, mezzadria, soccida, ecc. è evidente che consegnare al padrone metà del raccolto è più gravoso che pagare una quota fissa di affitto, soprattutto nel caso di buon rendimento del terreno. Il rapporto contrattuale più avanzato era proprio l’affitto: oltre al canone fisso che l’affittuario era tenuto a pagare, ogni anno era tenuto a fornire al padrone anche alcuni prodotti agricoli in natura. La forza lavoro impiegata sui terreni dell’affittuario era costituita da braccianti salariati; mentre i lavoratori stagionali venivano pagati in denaro, i giornalieri fissi vivevano in una condizione molto simile a quella servile. Un’ulteriore rendita è quella “di usura” derivante da ipoteche sui terreni, o crediti concessi precedentemente e mai saldati. Stabilito che le basi economiche della società di antico regime sono essenzialmente rurali e fondate su un’economia dominata i dai grandi proprietari terrieri, è bene esaminare, il funzionamento del sistema economico; nella prima età moderna le forme del possesso terriero sono il feudo (appartiene al patrimonio della corona, viene concesso temporaneamente ad un vassallo in beneficio ed è collegato ad una giurisdizione. Per questo non è una proprietà privata, ma un bene detenuto in concessione e sottoposto al doppio dominio del feudatario e del signore) e l’allodio (è un bene goduto in piena proprietà e non collegato a nessuna giurisdizione. Gli alloderi possono essere nobili o borghesi e anche contadini. L’economia signorile è un sistema complesso regolato da rapporti molto diversi rispetto a quelli dell’economia di mercato. Innanzitutto, la maggior parte dei produttori, sono esclusi dagli scambi commerciali; alla base delle scelte economiche non vi sono ragioni legate alla massimizzazione del profitto. L’idea dell’investimento non fa parte della mentalità economica precapitalistica e, l’agricoltura, si basa principalmente sullo sfruttamento estensivo della terra, piuttosto che sullo sfruttamento intensivo. Una delle ricerche pioneristiche è stata quella di Witold Kula, che tentò di proporre un modello che permettesse di studiare il funzionamento della vita economica di un paese in cui l’economia di mercato è scarsamente sviluppata. Secondo il modello di Kula, una tenuta feudale col bilancio in attivo, sarebbe risultata in forte passivo, se avesse dovuto sottostare alle leggi del mercato retribuendo il lavoro contadino. La bassa produttività delle tenute feudali ed il frequente indebitamento dei piccoli feudatari, consentivano ai Magnanti di incamerare lettere dei proprietari più piccoli, mantenendo un livello di produzione adeguato alle esigenze. Nell’Europa settentrionale i vincoli feudali si sono per lo più trasformati in vincoli economici, ossia in censi rappresentati dai contributi in denaro da consegnare periodicamente al signore. Nell’Europa orientale e meridionale, invece, i vincoli feudali sono più forti e duraturi e le condizioni di servaggio permangono gravose per i contadini per lo più servi della gleba. Lo spazio urbano in età preindustriale Le città erano formate da: cinte murarie, entro le quali si trovano un centro amministrativo (con palazzo municipale e relativa piazza), centro commerciale e religioso. All’interno dello spazio urbano si distinguono spesso ampi spazi vuoti, coltivati o addirittura di pascolo. I palazzi signorili si affacciano sulle vie principali , mentre le abitazioni del popolo si ammassano o nella zone vicino al mercato o nelle zone più periferiche. In particolare, il castello, il palazzo del principe o duca, il Duomo, dovevano essere subito riconoscibili per questo venivano fatte imponenti strutture o fatte su rocche visibili da lontano. Nei sei lunghi secoli che separano il Duecento dalla fine del Settecento, la società urbana del vecchio mondo fu profondamente segnata dalla presenza del lavoro. Attorno alle Arti e alle Corporazioni si disegnò un quadro economico e istituzionale dal quale emerse la società moderna. L’esercizio di un’arte, o comunque un legame con le sue espressioni istituzionali, era il prerequisito essenziale per poter svolgere qualsiasi attività. Una città di antico regime, si distingue da un borgo o villaggio solo se possiede alcune caratteristiche come: mura difensive, guarnigione, uffici giudiziari, magistrature ecc. Tutti i privilegi di una città sono citati negli statuti che rappresentano la carta fondamentale mediante la quale la città è riconosciuta in quanto potere amministrativo. La città, inoltre, esercita il suo potere sul suo contado, ossia le comunità rurali che dipendono da essa. Il contado è in origine caratterizzato come lo spazio di terra coltivabile necessario alla sopravvivenza della città. Le comunità urbane e le sue istituzioni Circa il 15% della popolazione europea e solo il 2% vive in città con più di 15 mila abitanti. Nella gerarchia sociale abbiamo: i principi ed i nobili di corte, il vescovo e i canonici della cattedrale, i signori feudali, gli esponenti del patriziato, alti funzionari dello Stato e cosi via. Gli abitanti delle città non sono da identificare come cittadini; infatti la cittadinanza è un privilegio riservato per pochi, e solo se emesso dalle autorità municipali. Il principale organo amministrativo cittadino è il Consiglio comunale del quale fanno parte gli esponenti delle famigli più importanti. Il Comune rappresenta più che un’istituzione impersonale e sovrana, un insieme di forze autonome ed indipendenti che agivano in concorso o in opposizione fra loro. Le Arti e le Corporazioni espressero fin dal medioevo una loro giurisdizione. Il mondo del lavoro e il sistema corporativo Il lavoro artigiano e la vita rumorosa delle botteghe, era una delle caratteristiche principali di una città del medioevo e della prima età moderna. Le città dell’Europa preindustriale sono essenzialmente città di commerci e di manifatture e, per questo, il commercio internazionale, poteva avere un maggiore peso economico rispetto le molteplici piccole imprese artigiane. Oggi con il termine “corporativo” si fa riferimento a comportamenti di piccoli gruppi, tesi a difendere privilegi, piuttosto che a collaborare con altri. Nel mondo medievale e moderno, la Corporazione, è un’associazione di persone definita da comuni finalità (mestiere, professione), comuni diritti, poteri e obblighi distinti da quelli dei suoi membri . Essa agiva nei confronti dei suoi membri definendo e imponendo il rispetto di regole comuni; rappresentava nei confronti della “società dei consumatori”, la principale garanzia di mantenimento di standard qualitativi. Di qui la vigilanza affidata dai comuni alle Corporazioni per il mantenimento della pulizia, dell’ordine pubblico, illuminazione ecc. Con il rafforzamento dei poteri cittadini, anche la natura delle Corporazioni subì una trasformazione; la formazione di oligarchie sempre più ristrette e l’esigenza di stabilità indusse i ceti dirigenti della città a separare sempre più il momento del governo da quello della partecipazione alla vita e alla lotta politica. Nella maggior parte dei casi, il ruolo delle Arti e delle Corporazioni venne limitato alla rappresentanza del mondo del lavoro e del commercio nei confronti dei nuovi poteri statali. Fra Tre e Quattrocento alle Arti maggiori e minori e alle Corporazioni di mestiere, si affiancarono i Collegi che rappresentavano tutte le attività non produttive, bensì professionali. Tutti costoro avevano come obiettivo il riconoscimento del titolo nobiliare e l’ingresso nell’elite degli ordini privilegiati. Caso emblematico è la Corporazione fiorentina dei medici e speziali, che già alla fine del Trecento li vide riorganizzarsi in una Corporazione separata e ristretta. Arti e gerarchie sociali La gerarchia e la distinzione sociale, erano molto distinte; per essere riconosciuti, infatti, i cittadini dovevano esercitare un’arte o quantomeno essere inquadrati in una corporazione. L’ aristocrazia faceva parte a sé, e non esercitava certo il potere nelle istituzioni cittadine. Solo in un secondo momento, con la scompaiono, quasi del tutto, i pagliericci. Anche l’abbigliamento cambia: i prodotti di cotone prendono il posto della lana, consentendo alla seta di ampliare il suo mercato; gli abiti diventano più leggeri e vanno sostituiti più spesso, incrementandone il mercato; la parrucca diventa una componente fondamentale nell’abbigliamento di un gentiluomo, ma le sue dimensioni si riducono e i suo uso si estende dall’aristocrazia alla borghesia e al ceto medio. Nobiltà La società di antico regime era una società dominata dall’aristocrazia che fondava il suo potere sul privilegio. Il termine “aristocratico” significa “il governo dei migliori"; nel mondo greco aristocratico era colui che si distingueva per il suo valore (virtù, spirito); nel mondo romano, invece, era rappresentato dal patriziato, cioè coloro che potevano vantare una discendenza da famiglie importanti; mente nel medioevo, si indicava, colui che per nascita o per privilegio, godeva di uno statuto speciale, ossia un privilegio da cui derivano prerogative che ad altri non erano concesse. I tre elementi della nobiltà antica erano quindi: nobilitas (natali illustri), virtù (virtù e coraggio militare) e certa habitatio (il possesso di una casa o terra). In poche parole la nobiltà è un ceto/ordine/stato. Il concetto di “classe” distingue un gruppo per la sua posizione economica; il “ceto” distingue il gruppo per la sua posizione nella gerarchia; “l’ordine o stato” distingueva il gruppo per la sua posizione giuridica all’interno di una gerarchia prestabilita. Lo storico George Dumezil ha dimostrato come, la tripartizione sociale, fosse uno dei tratti tipici a tutta la civiltà indoeuropea antica e medievale, derivata dalla distinzione di tre funzioni fondamentali: sovranità (re-sacerdoti), forza (guerrieri) e fecondità (i lavoratori). Enigma della nobiltà Affermando che la nobiltà sono i ceti privilegiati che detengono l’egemonia politica e sociale nella società di antico regime, possiamo anche dire che essa rappresenta una minoranza della società. La nobiltà è un ceto distinto dal privilegio, spesso dato dai titoli nobiliari, che hanno origine nell’alto medioevo; i principali titoli nobiliari sono: duchi (comandanti militari o coloro a cui spetta il governo ereditario delle province o ducati per conto del sovrano), marchesi (governatori delle marche, cioè le province di confine o di importanza strategica), conti (collaboratori del sovrano, che governano le contee), visconti (sono i sostituti dei conti), baroni (detentori dell’alta signoria). Per quanto riguarda i privilegi, invece, sono un esenzione o distinzione rispetto a un insieme di leggi o norme valide per gli altri individui; la conseguenza del privilegio è la disuguaglianza che è uno dei fondamenti della società di antico regime. Il nobile è quindi colui che possiede un titolo di nobiltà, quindi un privilegio. La nobiltà può essere anche legittimata: per purezza di sangue, onore (esercizio di armi o con il valore militare), competenza (a livello politico), autorità, beni (cioè la ricchezza e le terre possedute). I principali titoli, invece, di nobiltà europea sono: nobiltà terriera, patriziati urbani, nobiltà di toga (acquisita in base alle cariche giudiziarie), nobiltà di servizio al sovrano e nobiltà di fatto. Nobiltà e ricchezza Sicuramente la nobiltà, era ricca, ma non tutti i nobili erano ricchi, e la ricchezza non fu mai un elemento decisivo per connotare la ricchezza. Semmai lo erano l’origine, il prestigio, legami con la corte ecc. nel seicento i nobili ricchi e nobili poveri faticavano a sentirsi parte di uno stesso ceto, ormai consapevoli di ciò che li divideva. Mentre le grandi famiglie nobili riducevano la loro clientela, le grandi corti come Vienna o Versailles, riuscivano ancora ad attirare esponenti della piccola nobiltà. Ciò che caratterizza la nobiltà non è il possesso della terra in sé, ma il possesso di terre nobili collegate a un’antica giurisdizione feudale; si calcola che il patrimonio del cardinale Richelieu corrispondesse, alla fine della sua vita, al reddito annuo di 400 famiglie della media nobiltà francese. Un altro tipo di reddito importante, soprattutto per la nobiltà di spada, sono i bottini di guerra, che però appare in declino a partire dalla metà del Settecento, dopo la pace di Westfalia. Sebbene considerata illecita, l’attività bancaria o di prestito ad interesse, è esercitata da molti nobili e spesso sono proprio i banchieri divenuti nobili a continuare a prestare denaro ai sovrani indebitati. Inoltre bisogna anche dire che la parola “ricchezza”, significa certamente guadagno, ma soprattutto, spese; come elemento di prestigio per riaffermare il loro privilegio, molte famiglie, spendevano molto, tanto che le spese superavano le entrate. Per questo era facile contrarre dei debiti: il vero nobile non bada a spese, crea legami anche attraverso il debito, che è simbolo di potere, non un elemento di cattiva gestione. Nobiltà e potere La nobiltà, in molti territori europei, per le sue caratteristiche legate alla ricchezza e al privilegio, possono, per esempio, esercitare il potere giudiziario, hanno giurisdizione sulla polizia, hanno diritti esclusivi ecc. e in alcune territori poteri di diritto e poteri di fatto interagiscono, e hanno, un ruolo fondamentale nel gioco dei domini del territorio (come successo per la Corona spagnola); per questo, in età moderna, è il sovrano a creare la nobiltà, a mantenerla e ad integrare i ranghi come strumento di coesione del potere. Nella maggior parte delle monarchie europee, la nobiltà antica mantiene il controllo dei comandi militari e dell’esercito, ma cede spesso ad altri ceti, le cariche amministrativi e finanziarie. Sono gli stesi sovrani a favorire questa differenziazione per consentire un ricambio dell’elite e per avere una maggiore facilità di controllo dei gangli più delicati dello Stato. Nelle antiche Repubbliche patrizie (come Venezia), i ruoli amministrativi e le magistrature sono prerogativa dell’aristocrazia urbana, che consolida il suo potere oligarchico a scapito dei ceti borghesi. Uno dei principali strumenti di organizzazione e di autoidentificazione delle nobiltà europee sono gli Ordini cavallereschi creati per combattere gli infedeli e per proteggere il Santo Sepolcro; essi rappresentano una vera e propria internazionalizzazione delle aristocrazia capaci di definire modelli di comportamento, stili di vita e spesso anche strategie matrimoniali. Cultura nobiliare I nobili, in età moderna, erano profondamente ignoranti, privi di un’istruzione adeguata, imparavano in tenera età norme di comportamento tali da distinguerli dal volgo. I giovani nobili erano spesso rozzi e violenti, segnalati per duelli o stupri. Solo alla fine del Cinquecento, con il Grand Tour si incomincia ad assistere ad una formazione dell’elite nobiliare. Diverso il discorso per i figli della nobiltà di toga indotti a seguire precisi percorsi formativi e ad acquisire conoscenze della filosofia, diritto, economia ecc.; ancora diversa la situazione per le nobiltà di corte in cui la cultura diventa veicolo per fare carriera e per ottenere favori dal principe. I poemi di Ariosto o Tasso rappresentano l’adattamento degli ideali cavallereschi medievali alla cultura di corte; mentre il don Quijote di Cervantes esprime la crisi di quel mondo e di quella cultura, ridotta ad oggetto di scherno da parte dei ceti popolari. Le nobiltà europee a confronto La Francia è caratterizzata da due nobiltà: quella di spada che deriva il suo potere dall’esercizio delle armi, della proprietà terriera; e quella di toga che deriva il suo potere dall’esercizio delle cariche giudiziarie e di finanza. A partire dal 1680, Luigi XIV realizza un’operazione politica, concentrando, e mantenendo a sue spese a Versailles, la maggior parte dei nobili di spada, e consegnando ai nobili di toga, lo Stato. L’Inghilterra: al vertice della gerarchia sociale troviamo i Lords (detti Pari)che sono la nobiltà antica di origine feudale, dotati di titolo ereditario. Al di sotto troviamo i Gentry una nobiltà di “fatto”. Lo storico inglese Stone ha analizzato la nobiltà inglese centralizzando il problema del progressivo indebitamento dei Pari: Stone individua nella conflittualità tra famiglie, nelle spese eccessive e nella dispersione del patrimonio terriero le ragioni di principale crisi. Analizzando questi dati, Stone, non ritiene che nel Seicento ci siano stati cambiamenti sociali dell’elite, ma semmai un secolo di straordinaria mobilità delle elite capaci di adattarsi ai cambiamenti della società. In Russia troviamo un’aristocrazia di origine feudale, i Boiardi che hanno immense proprietà terriere e giurisdizioni estese. A partire dal regno di Pietro il Grande, la situazione è muta radicalmente con la costituzione di una nobiltà di servizio suddivisa in tre livelli (militare, civile, corte). Dopo Pietro I, la nobiltà russa non è più né feudale né proprietaria: al livello più alto troviamo i Principi, Boiardi e la piccola nobiltà di corte; il risultato di questa operazione è la creazione di un sistema burocratico-militare su base aristocratica che consentirà alla nobiltà di acquistare più sapere e cultura, anche grazie ai viaggi in Europa. Definizione di Stato moderno L’espressione Stato moderno compare agli inizi dell’Ottocento in presenza di un processo di crescita e di consolidamento degli apparati statuali, diverso da qualunque fenomeno analogo dei secoli precedenti. Una delle prime linee di tendenza dello Stato moderno è la progressiva affermazione del monopolio statale attraverso la costituzione di eserciti permanenti . I nuovi eserciti, alla fine del Quattrocento, vedono, lo sviluppo della fanteria e dell’artiglieria dotate di armi da fuoco; questo mutamento mette in crisi il tradizionale ruolo della cavalleria e quindi della nobiltà che ne rappresentava il nerbo esclusivo. Il ruolo strategico e l’importanza dell’artiglieria vanno a tutto scapito del codice d’onore della cavalleria: il Don Quijote di Cervantes è una delle testimonianze a riguardo. Sempre di più gli eserciti sono formati da professionisti della guerra e mercenari; ma la presenza di stranieri suscita la diffidenza nella popolazione. La seconda linea di tendenza è data dalla presenza di una burocrazia permanente dotata di competenza professionale e esperienza amministrativa. Si tratta di notai, cancellieri al servizio del sovrano, quelli che oggi sarebbero i funzionari pubblici selezionati o attraverso la chiamata diretta degli uomini più capaci o in seguito alla vendita delle cariche e degli uffici (le cosiddette venalità). La terza linea di tendenza è la presenza di una diplomazia permanente presso le corti straniere; ciò implica una gran disponibilità di denaro e di conoscenze. Da ciò deriva anche la anche la codificazione delle regole della diplomazia, ossia i primi elementi su cui sorgerà in seguito il cosiddetto diritto internazionale. La quarta linea di tendenza è la progressiva affermazione del monopolio statale del prelievo attraverso il fisco. La tassazione era concepita dai ceti privilegiati come aiuto concesso al sovrano. La quinta linea di tendenza è data dal tentativo di affermare una legislazione unitaria su tutto il territorio dello Stato a scapito delle giurisdizioni territoriali o di particolari di ceti privilegiati. La sesta tendenza è data dalla progressiva affermazione di un mercato ampio ed esteso e dalla tendenza dello Stato a regolamentare l’economia. Le politiche economiche, messe in atto, da molti governi europei ispirate al mercantilismo. Dal patto fra poteri autonomi alla rappresentanza della politica Se si prende in esame la storia della formazione dello Stato moderno si possono individuare tre fasi successive: 1. Una prima fase corrispondente al medioevo, caratterizzata dal patto sancito fra poteri autonomi; 2. Una seconda fase corrispondente all’età moderna, segnata dal dominio del sovrano sugli altri poteri; tribunali per ogni ceto, all’interno dei quali, si esercitava una giustizia diversa a seconda del ceto di appartenenza e si distingue fra: giustizia regia, signorile ed ecclesiastica . (Solo per i casi più gravi si ricorreva alla giustizia regia). Nella Francia di antico regime, i magistrati, erano per lo più officers che avevano comprato la propria carica a titolo venale e che esercitavano in nome del re anche le funzioni di polizia e di controllo dell’ordine. Al livello più basso si collocavano le prevosture (antiche giurisdizioni feudali e municipali), i balivati e i siniscalcati ( autorità di tribunali di prima istanza nelle città prive di Parlamento). Al livello intermedio si collocavano i tribunali di presidio poi i parlamenti provinciali; infine al livello più alto c’è il Parlamento di Parigi. Uno degli equivoci più diffusi era la confusione dei parlamenti francesi e quello inglese: - in Francia abbiamo 7 parlamenti, uno per ogni territorio, formati da due presidenti nominati dal re e da un numero variabile di consiglieri che potevano ambire al titolo nobiliare ereditario. Essi avevano la facoltà di emettere sentenze regolamentari, ossia pareri giurisprudenziali relativi all’interpretazione delle leggi vigenti, la facoltà di pronunciare giudizi in equità e la facoltà di esercitare il diritto di registrazione. - In Inghilterra l’estendersi del potere delle corti regie rappresentò un momento di rafforzamento dello Stato ma la giustizia locale rimase ancora nelle mani dei giudici non dipendenti del sovrano ed eletti localmente; nel corso del Cinquecento, sotto i Tudor, si costituì un secondo sistema di tribunali centrali: organo supremo della giustizia regia era comunque il Privy council, presieduto dal re, dal quale dipendevano i tribunali regi distribuiti su tutto il territorio del Regno. Tutti i sistemi penali, dell’area mediterranea, seguivano la tradizione del diritto-romano fondato su tre figure: accusatore, che doveva portare in giudizio un reato ed esibire le prove della sua accusa di fronte al giudice; l’accusato al quale spettava il diritto alla difesa e il giudice al quale spettava il giudizio finale. Fiscalità in età moderna: verso il monopolio del prelievo Con la parola fisco, in età romana, si indicava la cassa privata dell’imperatore ben distinta dalla cassa dello Stato, destinata a finanziare l’esercito o le opere pubbliche. Successivamente, in età moderna, il termine è venuto a connotare un sistema di prelievo esercitato sudditi, che dovevano versare tributi a diversi enti, tutti egualmente autorizzati a richiedergli contributi in denaro o in natura. In antico regime il prelievo avveniva: l’imposizione diretta mediante tributi o tasse ordinarie e straordinarie imposte dal sovrano; e i dazi, pedaggi e gabelle, ossia tributi di origine signorile e comunale. Un altro metodo, per ricavare denaro, era l’alienazione e vendita di beni della corona (terre, palazzi, gioielli) che venivano acquistati a caro prezzo dai nobili e dai ricchi borghesi desiderosi di mettersi in vista; o ancora, con al vendita dei privilegi connessi ad uffici, cariche pubbliche o titoli nobiliari. Fermes e appalti Fino alla metà del Cinquecento i contributi erano oggetti di periodica contrattazione tra il sovrano ed i rappresentanti dei ceti; successivamente, aumentando le spese, le spese di corte e le spese per il mantenimento complessivo dell’apparato statale, i sovrani cercarono sempre più spesso gli espedienti per svincolarsi dal controllo degli organi rappresentativi. Dovendo raccogliere denaro con urgenza, soprattutto in caso di guerra, i sovrani stipulavano quindi dei contratti (detti Fermes) con singoli finanzieri o appaltatori, che anticipavano la somma necessaria ad armare l’esercito o la flotta, ottenendo in cambio una serie di concessioni quali la rendita fissa in denaro sui beni demaniali, il diritto di sfruttamento dei beni del sovrano e la concessioni su alcuni monopoli. Non era dunque lo Stato, o il sovrano, ad esercitare il prelievo, ma i privati, gli appaltatori. Gran parte delle rivolte di metà Seicento, compresa la rivoluzione inglese, sono qualificate come rivolte fiscali, in quanto furono determinate dall’aggravarsi del peso del fisco sulla popolazione e delle conseguenti reazioni popolari . In alcuni casi i sovrani avevano tutto interesse ad assecondare queste rivolte, scaricando la responsabilità del malcontento popolare, sui finanzieri e appaltatori. Fisco e conflitti sociali La nobiltà ed il clero, godevano dell’esenzione fiscale; se si vuole trovare un tratto comune che portò alle numerose rivolte che investirono le principali monarchie, possiamo trovarlo nell’opposizione alla crescente pressione fiscale, causata, dall’aumento delle spese per il mantenimento delle corti e dell’esercito. Il caso della sommossa del mercato di Napoli del 1647, che diede vita alla rivolta antispagnola, è emblematico, per il fatto che i borghesi sfruttarono la situazione a loro vantaggio: la rivolta ebbe origine dal furore popolare contro la gabella sul sale e fra le cause della Fronda parlamentare francese, vanno ricordate sia la protesta contro una fiscalità eccessiva, sia la protesta dei ceti borghesi contro il peso della Paulette. Superata la crisi di metà Seicento, in molti Stati europei, si incominciano ad elaborare progetti di riforma del fisco volti ad eliminare le peggiori storture. In Francia si pose il dilemma fra imposizioni dirette (che avrebbero penalizzato i ceti produttivi) e imposizioni dirette (che avrebbero scoraggiato il consumo dei ceti più deboli). Riforme fiscali e catasti Il cardine delle riforme fiscali settecentesche è il catasto che può essere definito come un sistema di schedatura il più completo possibile dei beni immobili posseduti dai contribuenti e finalizzato alla ripartizione del carico fiscale sulla base della quota di proprietà immobiliare posseduta da ciascuno. Esso è costituito: mappe del territorio dello Stato, registri con il nome dei proprietari di ogni terreno; ricerche storiche hanno dimostrato che in alcuni Stati italiani le prime forme di catasto erano state introdotte agli inizi del Quattrocento per poi essere abbandonate. Per realizzare e mantenere un catasto era necessario: volontà politica da parte del sovrano e degli uomini del governo al suo servizio, competenze tecniche, collaborazione dei soggetti tassabili e in primo luogo dei ceti privilegiati. I catasti sono dunque uno strumento essenziale per realizzare qualsiasi seria politica fiscale e al tempo stesso, una fonte ricchissima di informazioni economiche per gli storici. Le più significative riforme sono quelle in Lombardia sotto il regno di Maria Teresa d’Asburgo; nel 1749 venne ricostituita a Milano quella Giunta del catasto che era già stata istituita nel 1718 e poi affidata alla presidenza del giurista Pompeo Neri. Dalle milizie feudali agli eserciti permanenti L’avvio di questo rinnovamento storiografico, che ha portato a un maggiore studio della storia militare, si deve allo storico inglese Michael Roberts che, nel 1956, parla per primo di una rivoluzione militare come chiave interpretativa per comprendere la modernità, soprattutto dopo l’invenzione della polvere da sparo. Un altro fattore che ha portato a questa trasformazione è stato il passaggio agli eserciti permanenti, una trasformazione tattica che vede prevalere la fanteria sulla cavalleria, ruolo della i tecnologia applicata alla guerra e infine il nuovo ruolo della marina militare decisivo nell’espansione coloniale. In Italia il rinnovamento militare di età moderna, venne avviato da Piero del Negro e Claudio Donati. Il primo problema da affrontare della storia militare dell’antico regime è relativo alla trasformazione degli eserciti da feudali a professionali: avviene tra il XV e il XVI secolo, e porta alla trasformazione degli eserciti in gruppi organizzati, in possesso di competenze professionali ben definite. Già a metà del Quattrocento, il modello di esercito interarmi, cioè composto da corpi specializzati, si afferma in modo più efficace, portando alla nascite di eserciti permanenti che implicavano costi più elevati (in quanto professionista vanno meglio retribuiti). Il testimone più importante di questa trasformazione è sicuramente Nicolo Macchiavelli che nel 1521 scrive un’opera nella quale discute l’alternativa fra milizie cittadine della tradizione repubblicana e le compagnie mercenarie di quella signorile. Lo stesso Macchiavelli, per altro, dimostra di non cogliere appieno la trasformazione profonda già in atto dopo l’introduzione delle armi da fuoco; la lunga stagione delle Guerre d’Italia fra il 1494 e il 1530, è emblematica per capire la transazione da una fase bellica all’altra (importante è l’uccisione di Giovanni dalla Bande Nere ucciso da una palla di falconetto). Durante la Guerra delle Fiandre la situazione è diversa: vede impegnata la Spagna, nel tentativo di sottomettere gli indipendenti olandesi; nelle fiandre spagnole, tutte le città vengono bastionate, vengono costruiti i primi alloggiamenti per militari, viene predisposta la linea Genova-Milano-Bruxelles il cosiddetto “corridoio militare” in modo da consentire il rifornimento delle truppe, Durante il Cinquecento, inoltre, la guerra si fa anche in mare: la storica rivalità tra Spagna e Portogallo, risolta a favore della Corone unite di Castiglia e di Aragona o il lungo conflitto tra Spagna e Impero ottomano o ancora quella tra Spagna e Inghilterra con la sconfitta dell’Invincibile armata nel 1588. L’introduzione delle armi da fuoco sulle navi e la trasformazione delle stesse, segnano una tappa fondamentale: nell’arco di alcuni decenni si passa dall’arrembaggio, alla battaglia a distanza con armi da fuoco, volta alla distruzione fisica della flotta nemica. Dall’arma bianca alle bocche da fuoco Una data importante dell’età moderna è il 1453, la presa di Costantinopoli, che rappresenta l’apparizione della “bocca di fuoco” il primo grande cannone della storia, che sparava proiettili del peso di seicento chili. Il passaggio dall’arma bianca all’arma da fuoco ha rappresentato una delle più grandi rivoluzioni dell’umanità, vedendo l’artiglieria diventare sempre più importante, e portando anche, a un rovesciamento della piramide sociale, facendo emergere corpi costituiti da popolani e borghesi, piuttosto che da nobili. Gli stessi sistemi di difesa urbana entrano rapidamente in crisi: le mura medievali merlate, vengono sostituiti da bastioni più bassi e spessi; l’architettura bastionata si diffonde nel corso del Cinquecento oltre le Alpi per essere adottata poi in tutta Europa; in alcuni casi l’investimento sulle nuove fortificazioni si rivela troppo dispendioso, costringendo i sovrani, ad indebitarsi o ad aumentare i tributi (è il caso della Repubblica di Siena, sconfitta da Firenze nel 1577 per non essere riuscita a terminare le fortificazioni in tempo). Guerra e fiscalità Agli inizi dell’età moderna il servizio militare pesava solo in minima parte sulle finanze pubbliche in quanto si trattava di un servizio obbligatorio le cui spese erano a carico di ciascun combattente. È solo con gli eserciti permanenti reclutati per lo più fuori dal territorio e privi di stretti legami con questo, le spese crescono in maniera esorbitante inducendo i sovrani ad indebitarsi o ad aumentare la pressione fiscale, si a per l’assunzione dei soldati, che per le armi, le difese della città ecc. La pressione fiscale si fa più pesante, la raccolta del denaro viene effettuata spesso sotto la minaccia delle armi, mentre dal fisco l’esercito trae il suo sostentamento: per esempio Luigi XIV, destinava alla guerra il 75% delle entrate fiscali, ancora maggiore era quella riservata dallo zar russo, 85%, e il 90% da Cromwell nel 1650. Vita di truppa Le truppe sono spesso composto da una decina di migliaia di soldati, malpagati, mal equipaggiati e reclutati spesso con la forza; Giulio Savorgnan scrive che molti si arruolano per sfuggire al mestiere dell’artigiano, al lavoro di bottega o per evitare una condanna penale. Per garantirsi eserciti permanenti di grandi dimensioni, i sovrani, oltre al reclutamento volontario e l’acquisto di mercenari, arruolavano con forza i poveri e delinquenti, e i prigionieri di guerra dell’esercito nemico; ma ciò poteva essere una lama a doppio taglio in quanto erano i più soggetti alla diserzione, ma allo stesso tempo era la soluzione più veloce per avere più soldati. I grandi eserciti, però, non erano solo composti da soldati, ma anche da donne (come cuoche, infermiere, prostitute) e bambini. Inoltre, gli eserciti, si mostravano come massa raccogliticcia di persone senza proprio stato di ozio o di ignoranza, mentre il lavoro viene assunto come valore etico capace di riscattare dalla miserie e come discreto successo economico. Le istituzioni per i poveri Nel corso dell’età moderna si assiste a diverse ondate migratorie dalle campagne alla città. La prima significativa onda è quella del 1523-1529 in una fase di crisi agraria che coincide con le guerre di religione in Germania. Nel 1522 a Norimberga viene deliberata la centralizzazione dall’assistenza ai poveri e nel 1526 viene pubblicato il trattato di Juan Vives nel quale sostiene la necessità di passare dalla carità individuale all’assistenza organizzata e disciplinata. Una seconda ondata avvien negli anni 80-90, in seguito a una serie di annate cattive; i molti casi vengono riutilizzati gli antichi lazzaretti per rinchiudere i poveri e fondando istituti assistenziali grazie ai fondi cittadini e di confraternite, che costituiscono non solo un luogo di ricovero e di contenimento, ma anche e soprattutto un centro economico di primaria importanza. Il francese Michael Foucault parla del grande internamento di metà Seicento, ossia sull’imponente operazione di concentrazione e segregazione dei poveri all’interno di istituti e case di lavoro ad essi destinati, concepiti come luogo di assistenza e di punizione capaci di trasformare i poveri oziosi in lavoratori. L’internamento segnala il fatto che la comunità rifiuta e respinge alcuni individui portatori di caratteristiche fisiche o atteggiamenti deviati rispetto alle norme stabilite ed accettate; il lavoro si trasforma quindi da occasione di libertà in strumento di forza. L’internamento non è solo una misura repressiva, ma viene presentato come condizione che rende possibile l’assistenza, ossia il farsi carico da parte dei poteri pubblici, delle necessità dei poveri. Criminalità e marginalità Studiando i registi della polizia militare francese, la storica Nicole Castan, ha schedato 12.500 suddividendole in tre gruppi distinti da cui risulta che la maggior parte dichiarava di avere un mestiere e solo il 26% non lo aveva, e si trattava soprattutto di marginali più che di veri e propri delinquenti. La pena era concepita principalmente come punizione e non come correzione e, la legge, presupponeva la diseguaglianza di trattamento a seconda del ceto sociale; del resto l’85% dei reati era per furto o trasgressione. Come aveva già detto Thomas More, la “società prima crea i ladri e poi li punisce perché rubano”; una prima distinzione, va quindi fatta tra criminalità rurale e urbana: - la criminalità rurale è sicuramente più tradizionale dominata da furti campestri o di bestiame; il furto è spontaneo e dettato dal bisogno o da uno scatto d’ira; quindi la criminalità rurale è per lo più intraclassista. Un caso a se è il brigantaggio ossia quella criminalità esercitata soprattutto nei territori di confine; i briganti assaltavano sia i viaggiatori isolati sia i carri merci. - La criminalità urbana si sviluppa, appunto, in città; anche qui il furto domina, ma si tratta in genere di furto compiuto con destrezza da bande di ladri nelle vie e nelle piazze del mercato. In città i fenomeni di violenza sono più diffusi e vanno dalla violenza domestica, alla rissa, alla rapino a mano armata (il crimine è per lo più premeditato), ed è principalmente interclassista. Un altro dato importante è quello dell’affermazione dell’ ordine dei proprietari, che era un sistema giuridico fondato sulla difesa della proprietà privata; la lotta contro l’illegalismo diffuso crea le condizioni per una giustizia più efficiente, parallelamente, nel 1762, si inizia a parlare non più di punizione ma di correzione, dopo la pubblicazione del trattato “Dei delitti e delle pene” di Beccaria . Raramente i galeotti riottenevano la libertà, in quanto la condanna veniva promulgata per necessità; chi invece riusciva a tornare il libertà era comunque un uomo finito, marchiato per sempre. Religione e quotidianità La vita quotidiana della società di antico regime è profondamente influenzata dalla religione, soprattutto per il senso di precarietà dell’esistenza e per la conseguente paura della morte. Credere al soprannaturale, è anche un modo per dare un senso all’inspiegabile, all’imprevedibilità della meteorologia ecc. Inoltre, in una società profondamente gerarchizzata, pochi osavano rivolgersi direttamente a Dio, per questo usavano come “mediatori” la Vergine e i Santi. Il culto mariano, negato da Lutero e dai protestanti, era molto diffuso nell’Europa cattolica, soprattutto tra le donne, che la vedevano come una figura materna e amorevole. La stessa percezione del tempo era fortemente segnata dall’elemento religioso, oltre che dai ritmi delle stagioni e del lavoro agricolo: i contadini, spesso, non conoscevano il calendario, ma conoscevano quello liturgico e in base ad esso riuscivano ad organizzare la loro vita e il loro tempo in maniera precisa. Se la vita quotidiana era scandita dal calendario liturgico, di conseguenza la Pasqua rappresentava la festa più importante, in occasione della quale, il vescovo faceva il giro delle visite pastorali. Battesimi, matrimoni, sepolture Nella vita di un credente a ciascuna tappa della vita corrisponde un sacramento o un rito di passaggio: il battesimo era l’atto che consentiva di “iscriversi” alla comunità un suo nuovo componente; era dunque un atto civile da cui dipendeva l’identità di ciascuno e lo stesso ordine sociale della piccola comunità. Dopo il battesimo, c’è la prima comunione che rappresentava l’ingresso nella comunità dei fedeli, la confessione, a sua volta, rappresentava la pacificazione con i propri nemici e la richiesta di perdono a Dio tramite la chiesa. Il matrimonio, rappresenta l’atto costitutivo di una nuova famiglia; esso deve garantire il consenso dei coniugi, ma soprattutto, delle due famiglie. Infatti il matrimonio, spesso, sanciva la pace fra due famiglie che in questo modo dichiaravano la loro alleanza. Infine l’estrema unzione lo ricevono soltanto coloro i quali spirano nel loro letto con i conforti della religione. Parroci e parrocchie La parrocchia è il luogo fisico in cui vengono scandite le pause del lavoro; la figura del parroco riveste una grande importanza in quanto in essa si concentrano una serie di funzioni diverse: nel mondo rurale il parroco rappresenta l’unico mediatore fra la società contadina ed il complesso ed articolato sistema di poteri di cui la chiesa è parte. Il parroco è innanzitutto l’amministratore dei sacramenti, ma anche confessore e quindi al corrente dei segreti dei suoi parrocchiani, mediatore dei conflitti familiari e sociali del villaggio. Dopo il Concilio di Trento, i doveri del parroco vengono definiti, avviando cosi, un’operazione di rivoluzione e di riforma del clero, imponendo un nuovo modello ideale di sacerdote; il controllo sui parroci e sulla vite delle parrocchie, avviene con le consuete visite pastorali del vescovo che rappresentava il momento culminante della vita comunitaria. Chiesa come carriera Nella seconda metà del Quattrocento, l’autorità del papa, si andò via via rafforzando, facendone infine il vero e proprio sovrano assoluto di uno Stato e di territori che andavano oltre la chiesa. Tra Quattro e Cinquecento, i papi, si dedicano a riordinare le finanze pontificie. All’interno della Chiesa dominava l’alto clero italiano, per lo più nepotista e legato alle fazioni nobiliari; fino al Concilio di Trento, si poteva essere vescovi non titolari, ossia godere di una o più diocesi senza cura d’anime. La carriera ecclesiastica era quindi una carriera come le altre, riservata in primo luogo agli esponenti delle principali famiglie nobili romane. Nella “Terraferma” veneta, per esempio, dove la nobiltà era esclusa dal potere politico, la carriera ecclesiastica rappresentava un possibile itinerario alternativo, non potendo diventare Doge, poteva aspirare ad un vescovato. La carriera ecclesiastica poteva quindi rappresentare un lungo percorso burocratico simile a quello di qualsiasi altro Stato europeo. In molti casi, le cariche e i benefici, erano ereditari, come dimostra lo stesso ruolo di “cardinal nipote”, ossia il nipote del parente più stretto del papa. Rimanendo in periferia la carriera ecclesiastica consentiva di controllare ingenti patrimoni e di determinare la successione a decine di enti, abbazie, conventi ecc. in alcune diocesi italiane si creano vere e proprie dinastie vescovili che si tramandano la carica da zio a nipote, con poche interruzioni. Un ruolo delicatissimo è quello dei tribunali vescovili, dai quali non dipendevano solo le vertenze del clero o alle questioni religiose, ma anche le cause ereditarie e matrimoniali. Differenze religiose Già divisi nel 1054 fra Chiesa cattolica e ortodossa, l’Europa cristiana si spacca ulteriormente con la crisi religiosa del Cinquecento; contemporaneamente, la cacciata degli ebrei e musulmani dalla Spagna sancisce la frattura con le minoranze religiose non cristiane. Nell’Europa cattolica, le minoranze protestanti, sono duramente perseguitate e in alcuni casi estirpata; solo in Francia la monarchia accetta l’esistenza di due confessioni religiose, con l’Editto di Nantes del 1698, che stabilisce la tolleranza religiosa. Gli ebrei, perseguitati ed espulsi dalla Spagna e dal Portogallo, sono spesso rinchiusi nei ghetti e sottoposti a regole rigide; i musulmani sono costretti alla conversione o espulsi dalla penisola iberica nel 1492. Il mondo protestante non conosce conventi, Ordini religiosi; il modo di pensare è diverso: il senso del peccato è presente ma è un problema soggettivo, risolubile solo nell’ambito del suo rapporto intimo con Dio. Non conosce il culto dei santi, ne quello mariano; la crisi religiosa che nel 1517 porterà Lutero ad avviare la Riforma nasce dalla conoscenza del carattere ineliminabile del peccato e dell’impossibilità dell’uomo di liberarsene; la Chiesa stessa appare a Lutero come dominata dal peccato e dalla corruzione, per questo dichiara la sua sfiducia nella Chiesa. La diaspora ebraica Con la cacciata degli ebrei del 1492 dalla penisola iberica, inizia il periodo di intolleranza nei loro confronti che raggiungerà il suo apice nel Novecento con la promulgazione delle leggi razziali e con la Shoah. La storia dell’Europa moderna è infatti la storia della nascita dell’ antisemitismo che ha fatto gli ebrei le vittime preferite per ogni persecuzione. Per capire che ruolo hanno gli ebrei nella storia moderna, è bene distinguere le due grandi famiglie in cui il mondo ebraico è diviso: Sefarditi (ebrei occidentali e del mondo mediterraneo, il cui nome deriva dal luogo di esilio degli ebrei di Gerusalemme cacciati da Tito nel 70 d.C.) e i Askenaziti (ebrei dell’Europa centro-orientale, discendenti delle comunità ebraiche medievali della valle del Reno). Un ruolo importante nel soccorso agli ebrei espulsi lo ha il sultano Bayezid, che inviò sulle coste spagnole una flotta marocchina per salvarli, cosi si stabilirono in Marocco creando molte comunità. Nell’Impero ottomano, gli ebrei, godono di libertà di culto, di movimento, ricoprono compiti amministrativi ecc. l’unico obbligo è un pagamento di forti tasse a garanzia della protezione, oltre all’obbligo id portare un segno distintivo. In seguito alle guerre di religione, ed alle successive ondate di persecuzione, alcune migliaia di ebrei tedeschi emigrano fra Cinque e Seicento nella più tollerante Polonia o Lituania, altri vanno fino in Ucraina i Russia. Sulla spinta della diaspora si formano in Europa molte comunità ebraiche, concentrate in alcune grandi città commerciali come Amsterdam, Amburgo ecc. Ecclesiastici e cortigiani Per tutto il medioevo l’intellettuale per eccellenza è l’ecclesiastico; il XVI secolo, con la diffusione della stampa e con la frattura del mondo cristiano, rappresenta il primo momento di crisi dell’intellettuale- ecclesiastico. Fra gli ecclesiastici bisogna distinguere il clero regolare (frati e monaci), e il clero secolare (preti). Dalla metà del Cinquecento, la cultura sarebbe stata dominata dai Gesuiti, in grado di monopolizzare la formazione di ceti dirigenti di tutta l’Europa cattolica; mentre il clero secolare avrebbe
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