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Riassunto – La violenza di genere dal Codice rosso al Codice Rocco, Sintesi del corso di Diritto Penale

Riassunto del Manuale dell'Università degli Studi di Bergamo, collana del Dipartimento di Giurisprudenza "La violenza di Genere dal Codice rosso al Codice Rocco - Un itinerario di riflessione plurale attraverso la complessità del fenomeno" di Anna Lorenzetti e Barbara Pezzini.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 08/02/2022

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Scarica Riassunto – La violenza di genere dal Codice rosso al Codice Rocco e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! LA VIOLENZA DI GENERE DAL CODICE ROCCO AL CODICE ROSSO CAPITOLO UNO – IL DIRITTO E IL GENERE DELLA VIOLENZA: DAL CODICE ROCCO AL CODICE ROSSO (PASSANDO PER LA CONVENZIONE DI ISTANBUL) 1. IL DIRITTO E IL GENERE DELLA VIOLENZA – UN LENTO PROCESSO DI CONSAPEVOLEZZA Ogni discorso o ragionamento sul rapporto tra il diritto e il genere della violenza mette al centro l’approvazione della Convenzione di Istanbul per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica. La Convenzione di Istanbul: momento cruciale tra il prima e il dopo negli ordinamenti, nella coscienza sociale, nell’agenda politica. DAL CODICE ROCCO ALLA CONVENZIONE DI ISTANBUL IN DUE FILMATI (1930 – 2011) 1. Processo per stupro, documentario del 1979, diretto da Loredana Rotondo, mandato in onda dalla Rai, riprende un processo per stupro svoltosi nel Tribunale di Latina; documenta una vera storia in cui la violenza sessuale viene amplificata dalla violenza istituzionale del processo. a. Svolto nel 1978, una giovane di 18 anni aveva denunciato per violenza carnale un gruppo di quattro uomini; la vittima non presentava segni di percosse e aveva frequentato in precedenza uno degli imputati. Gli avvocati difensori avevano l’intento di addossare alla vittima la (cor)responsabilità della violenza, lasciando intendere che se non presentava percosse fisiche, doveva essere consenziente e che la violenza era stata provocata da un atteggiamento provocante della donna. Ma la sua avvocata Tina Lagostena, afferma con forza che il suo ruolo non è difendere la giovane ma accusare i quattro imputati che hanno usato violenza. Attesta la necessità e la fatica di riconoscere alle donne il ruolo di vittima incolpevole 2. One Billion Rising: documenta la mobilizzazione internazionale contro la violenza alle donne del 14 febbraio 2013. Viene ideato da Eve Ensler, autrice de “I monologhi della vagina” e ideatrice del V-day. Collezione straordinaria di video di danza da tutto il mondo:, associazioni, artisti, luoghi istituzionali, ma anche migranti, carcerate, LGBT, lavoratrici domestiche, il cui senso è riassunto dallo slogan: Una donna su tre subirà violenza nel corso della propria vita e se un miliardo di donne vittime di violenza è una atrocità, un miliardo di donne che danzano contro la violenza è una rivoluzione. Questo mostra la reazione delle donne, la capacità rivoluzionaria di reagire all’atrocità di una violenza così diffusa e pervasiva. I due diversi filmati costituiscono la premessa ideale di una piena comprensione della distanza culturale tra il codice penale del 1930 e la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011. Il Codice Rocco è il codice penale del fascismo, espressione di un ordinamento che costruiva la propria identità autoritaria collocando i reati di violenza sessuale nei reati contro la morale e il buon costume, celando la soggettività, i corpi, le anime e il genere delle persone contro cui i reati erano commessi. La Convenzione di Istanbul – Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata l’11 maggio 2011 – è espressione di una comunità regionale europea che attribuisce alle vittime un genere e che assume il problema della violenza contro le donne come un problema strutturale. Preambolo: “perché la violenza contro le donne è basata sul genere… ed è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini” e anche “perché la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione” PROCESSO PER STUPRO (1930-1979) 1939, anno in cui viene approvato il codice penale che prende il nome del ministro Guardasigilli che l’ha predisposto (Alfredo Rocco); è il codice penale applicato nel 1979 e ancora oggi in vigore, anche se con modifiche e aggiustamenti. Nonostante i grandi mutamenti avvenuti, nell’ordinamento e nella società italiana, le norme sulla violenza sessuale applicate in un processo per stupro di gruppo, fossero ancora quelle originarie del 1930, che punivano la violenza sessuale in un titolo dedicato ai Reati contro la morale e il buon costume. a. Nonostante le norme costituzionali affermino l’uguaglianza dei sessi e ne garantiscano le condizioni effettive in tutti i contesti; b. nonostante il fatto che, alla fine degli anni ’70, le tappe principali di attuazione della parità giuridica avessero trovato compimento: dall’accesso alla magistratura e a tutte le professioni (1963), alla parità retributiva (1977), dalla riforma del diritto di famiglia (1975, e prima ancora il divorzio, introdotto nel 1970 e confermato dal referendum del 1974), alla tutela della salute riproduttiva (legge sui consultori, 1975). c. Nonostante il fatto che condizioni sociali cambiate avessero già prodotto profonde modificazioni nei costumi e nei comportamenti di donne, e uomini, imponendo trasformazioni importanti dello stesso quadro penale: il superamento della discriminazione nella punizione penale del solo reato di adulterio femminile e del divieto penale di propaganda anticoncezionale. Processo per stupro è il racconto esemplare di una costruzione in cui il meccanismo processuale viene orientato a trasformare la vittima della violenza in imputata, meccanismo intriso di stereotipi e di una società patriarcale violenta. LA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE SULLA VIOLENZA SESUALE: LE DONNE PRENDONO LA PAROLA (1979-1996) Revisione del codice penale giungerà nel 1996. A cavallo degli anni ’80, viene attivata, ai sensi dell’articolo 71 Cost., una iniziativa legislativa popolare per la modifica del codice Rocco in materia di violenza sessuale che ha ottenuto circa 300.000 firme. La discussione per la raccolta di firme necessarie, prende avvio nell’autunno 1979: a. I partiti appaiono mossi da un obiettivo di modernizzazione in un settore penale obsoleto e quindi il comitato promotore scrive una legge penale per chiedere all’ordinamento giuridico di riconoscere simbolicamente i principi fondamentali che il movimento ha individuato, che affermano che le donne sono persone e non sono oggetti sessuali, subordinate ad uno status familiare che le definisce, reclamano la cittadinanza piena, inserimento a pieno titolo nella collettività che riconosca le offese contro la loro libertà sessuale come offese gravi e reclamano il riconoscimento giuridico. Punti chiave della proposta di legge: 1. La collocazione dei reati sessuali tra i delitti contro la persona 2. L’individuazione di un’unica fattispecie del reato di violenza sessuale in cui è presente una mancanza di consenso 3. La procedibilità d’ufficio, norme procedimentali che garantiscono il rispetto della persona, parte offesa e testimone 4. L’ammissibilità della costituzione di parte civile di movimenti e associazione per la liberazione della donna 5. L’abrogazione di varie previsioni speciali 6. La configurazione di un discorso complessivo sulla violenza subita dalle donne esteso a tutte le manifestazioni violente che si esplicano all’interno della famiglia. L’influenza dell’iniziativa popolare emerge nel testo unificato presentato alla Camera della commissione che accoglie i punti qualificanti dell’intitolazione (inizialmente presenti solo nella proposta di legge del PSI). Nella discussione in assemblea, però, la mediazione raggiunta dimostra tutta la sua fragilità e, a scrutinio segreto, viene approvato un emendamento democristiano che mantiene i reati nel Titolo IX, per garantirne la contiguità rispetto ai reati di oscenità. • Nodi cruciali della discussione: la configurazione dell’area della violenza presunta, la procedibilità d’ufficio e la costituzione di associazioni o movimenti nel processo; Il punto costituiva l’elemento più innovativo del progetto di iniziativa popolare che non offriva ad altri aspetti della disciplina, un’elaborazione significativamente innovativa rispetto alle categorie penalistiche della tradizione: la proposta di ingresso di soggetti collettivi nel processo mostra il potenziale di trasformazione che proviene dal movimento delle donne; critica delle categorie giuridiche dal punto di vista del soggetto femminile, in quanto nuovo soggetto politico, portatore di specificità e di diversità, che chiede di ridefinire l’universale. • L’utilizzo dell’iniziativa legislativa popolare sulla violenza sessuale come canale del rapporto tra il movimento delle donne, segna una discontinuità rispetto a vicende precedenti significative per la condizione femminile come la riforma del diritto di famiglia, la legge sull’aborto… Diffusione di una expertise politica: il comitato promotore acquista e sviluppa conoscenza e dimestichezza con le procedure, con il terreno giuridico, ne acquisisce e ne pratica la logica specifica; si afferma come interlocutore stabile e diretto delle forze politiche sulla questione della legge sulla violenza sessuale. • L’iniziativa legislativa è utilizzata nel suo profondo significato di esercizio della sovranità popolare. Il Comitato promotore forza ogni possibilità di gestione della proposta. Benché la legge vigente non consentisse ai titolari del potere di iniziativa alcun altro potere di impulso, di intervento o di controllo, il Comitato ha esercitato di fatto poteri, evitando l’affossamento della proposta e influenzando le posizioni dei partiti politici, determinando il contenuto essenziale del testo in discussione in parlamento. • Gli strumenti di cui si è avvalso: assemblee, incontri, dibattiti, contatti specifici con le forze L’IMPRESCINDIBILE NECESSITA’ DI CONTINUARE A INTEGRARE LA PROSPETTIVA DI GENERE Il genere si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriate per donne e uomini e richiede di agire contro ogni fissità dei ruoli di genere, nell’identificazione sessuale e di genere e nell’orientamento effettivo e sessuale. La matrice delle discriminazioni di genere si trova nella elaborazione sociale della differenza uomo/donna in termini di gerarchizzazione e subordinazione. • Gerarchia e gerarchizzazione alimentano un modello di relazione sociale e di pensiero che conduce a pensare qualsiasi differenza. Bisogna contrastare la discriminazione e la gerarchizzazione che continuano a proporsi incrociando sesso e genere. • Uguaglianza sostanziale (art. 3, co. 2, Cost.) che richiede la rimozione degli ostacoli che si frappongono al pieno sviluppo della persona e all’effettiva partecipazione, nonché all’eguale accesso ed esercizio dei diritti. CAPITOLO DUE – IL PROBLEMA DEI NUMERI DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE 1. IL DIBATTITO PUBBLICO ATTORNO ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE E LE REAZIONI • Termine “femminicidio” è creazione della sociologa e antropologa messicana Marcela Lagarde esso esprime “la forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato attraverso varie condotte misogine, i quali maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica etc., ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza”. Il femminicidio è dunque un concetto socio giuridico molto più ampio e che riguarda l’istituzionalizzazione del potere e la cristallizzazione di ruoli predefiniti di dominanza tra maschi e femmine. Rispetto al femicidio, si registrano diverse reazioni che si possono suddividere in 3 categorie: 1. Avversione negazionista o minimizzante: secondo questa reazione il fenomeno e la narrazione della violenza contro le donne, sarebbero ingigantiti dai media e dalle correnti femministe, che condizionavano le raccolte dei dati. Secondo i negazionisti verrebbero nascosti volontariamente tutti i dati di violenza sugli uomini come violenza psicologica o come forme di meccanismi di controllo e manipolazione della prole. Per loro è fenomeno che non avviene, che riguarda “gli altri”, è un fatto importato da altre civiltà. 2. Sacralizzazione assolutizzante: secondo questa reazione, la vittima di violenza assume un connotato eroico martirizzante. Le statistiche vengono messe in secondo piano e il corpo della donna diventa un’immagine di divinità su cui ergere la difesa di altri diritti in cui il femicidio è esempio causa ed effetto. Es. il caso di Desirèe Mariottini (l’omicidio che a ottobre 2018 sconvolse il quartiere di San Lorenzo a Roma) e di Pamela Mastropietro (il tristemente noto caso di Macerata). Noti soprattutto per la presa di posizione contro le asserite cause di questi due omicidi da parte di esponenti del governo. Nel processo di Pamela Mastropietro, iniziato il 13 febbraio 2019 contro l’imputato Innocent Oshegale, si è aperto con la presenza di alcune decine di persone con i palloncini tricolore fuori da un Tribunale. L’identificazione dello straniero come capro espiatorio e causa. Dopo qualche settimana in cui l’attenzione era rivolta a questi due casi come ricettori universali della violenza sulle donne, emerse il nome in maniera sacralizzante di Violeta Mihaela Senchiu, femminicidio accaduto il 3 novembre, e racchiudeva simbolicamente tutte le altre donne, meglio straniere. Donna vittima = madre di tutte le vittime, stendardo di ogni forma di femminicidio. La sacralizzazione agisce in maniera ripetitivo-ossessiva, agendo spesso su di una vittimizzazione eroica del singolo caso. Ripetere ossessivamente che in Italia una donna ogni tre giorni viene uccisa, scaturisce un senso di inevitabilità. 3. Banalizzazione narrativa: secondo questa reazione, quando si parla di numeri legati al femicidio, i dati vengono catalizzati, assumendo un carattere dopo generalizzato confondendo e sovrapponendo l’individuazione delle cause con l’analisi degli effetti. I banalizzatori conducono la rappresentazione del femminicidio a standard stereotipati, ne offusca le cause e lo mostra come dato di fatto. 2. NEGAZIONE, BANALIZZAZIONE, SACRALIZZAZIONE DELLA VIOLENZA Questa tripartizione è frutto dell’analisi svolta da un’allieva di Umberto Eco, Valentina Pisanty che nel testo Abusi di Memoria, Negare, Banalizzare, Sacralizzare la Shoah, specifica come il modo in cui viene narrato un evento drammatico possa diventare oggetto di devozione, un prodotto di marketing. Queste tre tendenze sono meccanismi semplificatori e riduttivi che rendono l’accaduto come plausibile e probabile. Quando si riportano numeri di donne uccise, si potrebbe incorrere nella deriva di una di queste tre reazioni i cui effetti possono essere deleteri. 3. I NUMERI DELLA VIOLENZA I dati tratti dall’Istituto nazionale di statistica e del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, divisi secondo indicatori di qualità. • Questo sistema di dati fa parte del Piano Nazionale contro la violenza sulle donne e si pone l’obiettivo di monitorare i diversi aspetti del fenomeno e combatterlo con mezzi adeguati al fine di raggiungere gli obiettivi della Convenzione di Istanbul. v Anno 2017: a. 0,8 omicidi, ogni 100.000 abitanti v Anno 2016: a. 149 vittime donne e Giorgio Alleva, Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica, dice che 109 donne sono state uccise in un ambito familiare, quasi 3 su 4, 59 dal partner, 17 dall’ex coniuge, 33 da un parente. b. C’è un decremento rispetto un picco del 2014 Violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner: 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. • 68,6% delle donne hanno lasciato il proprio partner a causa della violenza subita. • Per il 41,7% delle donne è stata la causa principale per interrompere la relazione. • Per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione. La percentuale dei figli che ha assistito alla violenza sulla propria madre è pari al 65,2% nel 2014. Risulta che le donne straniere hanno subito violenza fisica o sessuale in misura simile a quelle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). Violenza fisica: • Donne straniere: 25,7% • Donne italiane: 19,6% • Donne moldave: 37,3% • Donne rumene: 33,9% • Donne ucraine: 33,2% Le donne straniere subiscono soprattutto violenze fisiche da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). Donne straniere che hanno subito violenze da un ex partner sono il 27,9%, ma per il 46,6% la relazione è finita prima dell’arrivo in Italia. Numeri forniti dalla RETE D.i.Re. (rete dei centri antiviolenza nata nel 1991 e che oggi raggruppa più di 80 centri antiviolenza in Italia. > Report fornito in Senato il 14 novembre 2018. • Numero di donne che si rivolgono ai centri antiviolenza: a. 2015: 12.350 donne b. 2016: 13.000 donne c. 2017: 14.000 donne L’età del maltrattamento è compresa nel 18,1% dei casi, tra i 40 e i 49 anni, nel 14% circa dei casi tra 30 e 39 anni e 50 e 59 anni. • 39% dei casi, l’autore della violenza è un uomo che ha un lavoro stabile. • 12,6% dei casi è disoccupato. • 75,7% dei casi, è un uomo che ha o ha avuto una relazione con la donna che maltratta. Nel caso specifico dell’ex partner si tratta di compagni che continuano ad essere maltrattanti anche dopo la separazione. La rottura della relazione non implica la cessazione delle violenze, anzi in alcuni casi è la causa principale. • 8,7% dei casi, l’autore è un familiare • 5,3% dei casi è un collega o un amico • 1,8% dei casi è un estraneo Le donne che subiscono di violenza e si rivolgono ai centri D.i.Re. non hanno subito alcun tipo di disagio (62,6% dei casi). • 3,9% dei casi hanno disagi di tipo psichiatrico • 1,8% dei casi hanno problemi di dipendenza I numeri della violenza sulle donne sono sbalorditivi, altrettanto la narrativa che li offre in pasto al pubblico: in entrambi i casi in maniera non certamente positiva. Sono due fattori essenziali per capire e comprendere la reale gravità del problema, senza esemplificazione dei dati. destinatario che finisce per rafforzare i rapporti di oppressione e subordinazione. Assai più complessa è la sua punibilità che si infrange sulla barriera della libertà di espressione. Bisogna saper distinguere le diverse forme di violenza; infatti non sembra corretto assimilare vicende assai distanti come forme di violenza di natura simbolica (perpetrata per immagini), e vicende di violenza di “matrice etnica” come quelle che in recenti conflitti hanno inteso i corpi femminili come campi di battaglia e lo stupro quale “arma” di prevaricazione del nemico. La violenza nei confronti delle donne rappresenta un elemento che attesta la diseguaglianza fra uomini e donne ma che al tempo stesso posiziona diversamente uomini e donne nella società. CAPITOLO QUATTRO – LA “VIOLENZA ASSISTITA INTERFAMILIARE” UN’INTRODUZIONE 1. IL TEMA E LA SUA COMPLESSITA’ Definizione di violenza assistita dal Coordinamento Italiano Servizi Maltrattamento all’Infanzia (CISMAI, con il congresso nazionale del 2003): l’esperire da parte della/del bambina/o e adolescente, qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale, economica e atti persecutori su figure significative adulte o minorenni. E consente di comprendere i casi in cui l’aggressione sia compiuta da uno sconosciuto sul genitore • Non è necessario che vedano la scena, è sufficiente l’ascolto o persino la conoscenza. • Differenza tra conflitto1 e violenza domestica2: 1 dissidio grave tra due persone poste sullo stesso livello, con clima violento 2 relazione sbilanciata e caratterizzata da domino e vittimizzazione di una parte sull’altra. • Riconoscimento delle persone offese: include anche casi di violenza esercitate verso padre o altri familiari, in primis fratellini o sorelline del minore e anche animali domestici a cui il minore è legato. Ricerca del CISMAI del 2015: la violenza assistita è la seconda forma di maltrattamento più diffusa in Italia. 1. Il 19% di 100.000 minorenni in carico ai servizi sociali, ha subito violenza assistita. Save The Children: nell’arco temporale tra il 2009- 2014, 427.000 minori hanno subito violenza tra le mura domestiche. Ragioni – Premessa a. Contesto e vincoli familiari tra i soggetti coinvolti = difficile comunicazione con l’esterno. b. Forma di maltrattamento psicologico, senza tracce fisiche = ostacolo c. Problema sociale e culturale: individuazione del fenomeno come forma di maltrattamento. d. Convinzione: chi picchia la mamma possa essere comunque un buon genitore, motivando questa affermazione con il fatto che non picchia i figli. e. Compromette le funzioni genitoriali della vittima: a New York, alla fine degli anni ’90, era diffusa la prassi di allontanare la prole sia dal genitore violento, che dal genitore vittima, perché nella totalità dei casi era considerata maltrattante per non aver saputo proteggere adeguatamente il minore. Nel 2001 è stato intrapreso contro i servizi sociali e la città di New York una class action che mirava a far richiamare illegittima la prassi di allontanare la prole dalle madri. Nel 2004, la New York Court of Appeals, afferma che l’esposizione del minore alla violenza in danno del suo caretaker non è sufficiente per configurare un maltrattamento del minore a carico del caretaker. Punto di vista ordinamentale: la protezione dei minori vittime di violenza assistita spesso intrinseca le competenze di una pluralità di autorità pubbliche. 2. LA RISPOSTA GIURIDICA TRA LUCI E OMBRE Violenza assistita = forma di maltrattamento delle persone di età minore (nell’ordinamento italiano). a. La Convenzione del Consiglio d’Europa [Istanbul, aperta firma l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia con la legge n. 77/2013] afferma nel Preambolo che: “i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni”. • Decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 dichiara l’aver commesso il fatto in presenza o in danno di un minore, come circostanza aggravante comune per i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale. • Legge 11 gennaio 2018 n. 4 ha introdotto una protezione particolare agli orfani di femminicidio. • Legge 19 luglio 2019, n. 69 (“Tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, il c.d. Codice Rosso) ha modificato l’art. 572 c.p. (reato di maltrattamenti) affermando che “il minore che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo, si considera persona offesa dal reato”. Risposta dell’ordinamento giuridico: a. Allontanamento d’urgenza dell’abusante dal minore mediante l’inserimento della mamma e del figlio in una comunità detta mamma- bambino. Allontanamento solitamente realizzato mediante il ricorso ad un provvedimento cautelare amministrativo o giudiziario. b. Il genitore maltrattante ha il diritto di essere informato sulla collocazione del minore e di prestare il proprio consenso a ogni intervento socio-assistenziale perché conviveva con il minore e quindi co-esercita la responsabilità genitoriale. Se invece il maltrattante è il partner del genitore ma non ha vincoli di filiazione con il minore, è sufficiente il consenso della madre. c. L’inserimento del minore in una comunità o in affidamento può essere deciso con provvedimento d’urgenza emesso anche d’ufficio dal Tribunale per i minorenni o dal Tribunale ordinario se è in corso un procedimento di divorzio o di separazione. L’ordinamento giuridico italiano non prevede un reato autonomo di violenza assistita. Proprio in riferimento di violenza assistita, alcuni tribunali hanno elaborato il c.d. “affidamento super- esclusivo”, rilevando come solo questo tipo di affido risponda all’esigenza di protezione della prole e debba costituire per il genitore non affidatario un’occasione per seguire un percorso. • Quando l’affidamento condiviso dei figli è precluso in quanto contrario all’interesse del minore. Provvedimenti di limitazione della responsabilità genitoriale: a. L’affidamento familiare presso membri della famiglia allargata o presso famiglie volontarie; b. Il collocamento del minorenne in comunità da solo o con la madre (se giudicata idonea) c. L’allontanamento dell’adulto maltrattante dalla casa familiare. Orfani di femminicidio: il tribunale competente provvede privilegiando la continuità delle relazioni affettive tra il minore e i parenti fino al terzo grado. Nel caso vi siano sorelle o fratelli, il tribunale provvede assicurando la continuità affettiva tra gli stessi (art. 10, legge n. 4/2018). • Nei casi più gravi l’autorità giudiziaria civile deve optare per l’esclusione del genitore dall’educazione del figlio tramite la decadenza della responsabilità genitoriale, che è a tempo indeterminato ma si può riacquistare dimostrando il venire meno dei presupposti che l’hanno sancita inizialmente. • Per il caso di condanna per delitti in danno della prole minore, è il diritto penale a stabilire la decadenza della responsabilità genitoriale, perché la condanna reca in sé una presunzione di pregiudizio per gli interessi morali e materiali della prole in questione. In caso di inadeguatezza da parte di entrambi i genitori e di mancanza di familiari entro il quarto grado, l’ordinamento prevede la dichiarazione dello stato di adottabilità [il riferimento è allo “stato d’abbandono” di cui all’art.8, legge 4 maggio 1983, n. 184] • Con l’adozione si estingue il rapporto giuridico con la famiglia di origine il cui cognome viene sostituito da quello della famiglia di appartenenza (art. 27, legge n. 184/1983). • In assenza di adozione, per poter abbandonare il cognome del padre maltrattante, ci sono delle norme ordinarie amministrative dal 2012 che prevedono il cambio di cognome con procedure abbastanza agevoli. Tra i rimedi civilistici, deve essere elencato anche il risarcimento dei danni, noto prezzo che la società riconosce ai diritti fondamentali della persona. Nel confronto, la sede penale è la più conveniente. Contribuisce all’efficacia di ciò il fatto che il giudice incentiva il condannato a pagare subordinando il riconoscimento della sospensione condizionale della pena, al pagamento della provvisionale (somma di denaro, come anticipo) della stessa (art. 165 c.p.). • Una recente riforma stabilisce che se l’autore di atti violenti non risarcisce il danno, un diritto delle vittime è quello di ottenere il risarcimento da parte dello stato. a. 8400 euro nel caso di un omicidio di un genitore b. In tutti gli altri caso si prevede un massimo di 3000 euro per il rimborso di spese mediche e assistenziali. 3. CHE FARE? Scarsa consapevolezza del fatto che la violenza domestica costituisce un maltrattamento della prole e che il genitore che agisce è inidoneo. a. Tendenza ad imputare le madri vittime di violenza per la responsabilità di alienazione parentale quando cercano di proteggere la prole dall’ex partner Complessa è la protezione dei minori vittime di violenza assistita: a. Bisogna tener conto del vissuto della madre nella valutazione di idoneità genitoriale e valorizzare la relazione tra la madre e la prole, promuovere l’empowerment psico-sociale della donna. C’è bisogno di un aggiornamento professionale che sia competente e capace di sensibilizzare la popolazione (in primis i genitori dei figli di età minore). a. Una competenza adeguata consentirà al magistrato e al professionista dei servizi socio- assistenziali di valutare i rischi e la pericolosità in situazioni di violenza assistita. b. Valutazione utile per evitare decisioni stereotipate sull’attivazione e la tempistica degli incontri con i minori vittime e sul ruolo da attribuire al rifiuto del figlio di vedere il genitore. Nel 1996, è stata introdotta una previsione legislativa secondo cui, qualora si proceda per taluni reati, quali violenza sessuale o maltrattamenti in famiglia) in danno di un minorenne o di uno dei genitori del minorenne, il Procuratore della Repubblica è tenuto a darne notizia al Tribunale per i minorenni. CAPIOTOLO 6 – I “LUOGHI” DELLA VIOLENZA: IL LABORO. IL CASO DELLE MOLESTIE SESSUALI 1. L’INQUADRAMENTO E LA NORMATIVA Il 27 settembre 2017 il Presidente dell’ISTAT, davanti alla Commissione Parlamentare nella audizione di inchiesta sul femminicidio, riporta che un milione e mezzo circa di donne hanno subito molestie o ricatti sessuali sul luogo di lavoro • L’80% non ne ha mai parlato con nessuno; • Lo 0,7% ha fatto ricorso alle forze armate; • Il 34% ha cambiato lavoro; • L’11% ha subito licenziamento; • L’1,4% ha dichiarato di essere sottostata al ricatto; Normativa sovranazionale dagli anni ’90, l’attenzione dei legislatori viene rivolta al contrasto alle molestie sessuali sul luogo di lavoro: da qui nasce un impianto giuridico che ha affermato la linea normativa da intraprendere negli Stati dell’Unione Europea. La Raccomandazione 131/1992 della Commissione Europea istituisce la figura della Consigliera di fiducia. a. Nasce l’impianto di Diritto antidiscriminatorio, il c.d. Codice delle pari opportunità, d. lgs. n. 198/2006. b. Dd. Lgs. n. 215 e n. 216/2003: si agisce per il contrasto sui luoghi di lavoro a ogni condotta, patto, azione, omissione che contribuisca a creare una situazione ostile, umiliante, degradante. c. Legge n. 183/2010, vengono istituiti i CUG, Comitati Unici di Garanzia, che si raffrontano con la Consigliera di fiducia sulle tematiche elencate. d. Convenzione di Istanbul (ratificata in Italia con la legge del 27 giugno 2013, n. 77 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014): l’art. 40 si occupa espressamente delle molestie sessuali invitando gli Stati ad adottare ogni misura legislativa perché ogni tipo di molestia sia sottoposta a sanzione penali o altre sanzioni legali. e. In Italia il nostro Paese la definizione di molestia è espressamente nominata nel Codice Pari Opportunità, d. lgs. 198/2006, all’art. 26. 1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, poste in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. 2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. 3. Sono altresì discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne. Da qui si ricava che le violenze sessuali costituiscono discriminazioni (dirette) e costituiscono altresì illeciti disciplinari e sono dunque suscettibili di sanzione nei confronti di chi le ha poste in essere. Dato rilevante è l’attenzione del legislatore che considera ogni comportamento indesiderato come molestia. • È importante considerare come non sia necessaria la volontà o la consapevolezza di molestare. • È la persona offesa che determina la linea di limite tra una condotta ben accetta e una illecita. • Attenzione deve essere posta anche al linguaggio che utilizza il legislatore che pone l’attenzione ad un sentimento o aspetto emotivo che funge da spartiacque nella qualificazione della condotta. I comportamenti che la giurisprudenza e la dottrina considerano come molestie sessuali: 1. Richieste esplicite o implicite di prestazioni sessuali o attenzioni a sfondo sessuale non gradite e ritenute sconvenienti da chi ne è oggetto; 2. Minacce, discriminazioni e ricatti subiti per aver respinto comportamenti a sfondo sessuale; 3. Contatti fisici fastidiosi e indesiderati; 4. Apprezzamenti verbali offensivi sul corpo e sulla sessualità; 5. Gesti provocatori a sfondo sessuale; 6. Materiale pornografico visionato nei luoghi di lavoro; 7. Scritte ed espressioni offensive; “Zona Grigia”: comportamenti ambigui mai stati considerati come violenza. • Es. commenti sessuali, inviti ambigui a cena… Molestie sessuali: mobbing Il rifiutarsi a richieste a sfondo sessuale, può scaturire una reazione negativa del molestatore ai danni della lavoratrice. 2. GLI STRUMENTI DI INTERVENTO: LA TUTELA GIURISDIZIONALE E QUELLA INTERNA ALL’ENTE La vittima di mobbing può attivare una serie di procedure complesse: • Messa in sicurezza della persona; • Intervento sul luogo di lavoro per far cessare la condotta; • Possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria; • Ulteriore possibilità di attivare procedure messe in esecuzione dalla Consigliera di fiducia; LA TUTELA GIURISDIZIONALE IN SEDE CIVILE Definizione di molestia sessuale contenuta nell’art. 26 del Codice Pari Opportunità d.lgs. n. 198/2006. • Legge di bilancio 2018: prevede, dal parte del datore di lavoro, l’adozione di misure tutelari per contrastare il fenomeno del mobbing. • L’art. 2087 del c.c. sanziona il datore di lavoro nel caso di molestie da parte di un dipendente dell’ente. La giurisprudenza ha allargato il concetto di responsabilità del datore quando: a. Sono state le mansioni svolte dal dipendente ad agevolare il reato; b. Il dipendente ha agito per interesse personale; c. Il reato viene svolto in correlazione all’ambito lavorativo (indipendentemente dall’orario e dal luogo); d. L’azienda non prevede ipotesi di licenziamento nei confronti del molestatore. Art. 2043 del c.c.: qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga il danneggiante a risarcire il danno. Delicata è la situazione di fornire prove da parte della vittima, dato che le molestie si svolgono in assenza di testimoni. • Art. 40 d.lgs. 198/2006: stabilisce che gli indizi devono essere precisi e concordanti. • Il legislatore interviene per alleggerire l’obbligo probatorio per la persona offesa. Ammissibilità della registrazione quando: a. Chi l’effettua partecipa alla conversazione; b. Solo per difendere i propri diritti e non quelli altrui; Il procedimento giudiziario può portare: 1. All’accertamento e alla dichiarazione che il fatto costituisca una molestia sessuale; 2. Alla cessazione della molestia; 3. Al pronuncia della nullità del licenziamento; 4. Al risarcimento del danno; Sono risarcibili: a. Il danno patrimoniale: in caso di licenziamento o di obbligo nel cambiare lavoro; b. Il danno non patrimoniale: lesione fisica o psichica. LA TUTELA GIURISDIZIONALE PENALE Le molestie possono costituire diversi tipi di reato: 1. Art. 660 c.p.: molestie o disturbo alle persone 2. Art. 572 c.p.: maltrattamenti contro familiari e conviventi 3. Art. 610 c.p.: violenza privata 4. Art. 609-bis c.p.: violenza sessuale 5. Art. 612-bis c.p.: atti persecutori 6. Art. 595 c.p.: diffamazione Le Consigliere di parità sono pubblici ufficiali e operano in ambiti territoriali nazionali, regionali o provinciali e forniscono intervento e ricevimento gratuito alle vittime di molestie. TUTELA INTERNA ALL’ENTE O ALL’AZIENDA Strumenti di intervento interno con lo scopo di rendere gli ambienti lavorativi salubri: a. La Consigliera di fiducia: figura professionale con competenze psicologiche o giuridiche che pone in esecuzione i codici etici/di condotta. Non è un pubblico ufficiale e opera solo nel contesto dell’azienda o ente. È esterna all’ente, ma non opera mai all’esterno di esso. Assume il caso su richiesta della persona interessata dandole consigli sulle modalità più idonee alla soluzione del caso. • Nella procedura formale, mantiene un posizionamento marginale e funge da aiuto alla persona che la contatta. Si rapporta al CUG che rassicura un ambiente di lavoro sereno, promuove la parità, rimuove gli ostacoli al principio di eguaglianza, adotta piani di intervento ma non può gestire singoli casi. 3. PUNTI DI CRITICITA’: I PREGIUDIZI SULLA VITTIMA; LA SVALORIZZAZIONE DELLA VITTIMA Pregiudizi che confinano la donna in categorie di giudizio complesse arrivando a definire quali comportamenti dovrebbe adottare la “vittima perfetta”. I contesti sociali sono ancora dominati da influenze patriarcali; considerazioni influenzate da pregiudizi e stereotipi: a. La vittima mente e esagera b. Denuncia strumentalmente c. Va a caccia di visibilità d. Ha provocato o ha acconsentito e. Ha una scarsa attendibilità f. Non ha pianto o urlato g. Non si è sottratta h. Oppure vuole nascondere la sua inadeguatezza sul lavoro Ciò provoca il fatto che la donna che denuncia debba corrispondere a canoni socialmente imposti. Fondamentale è intervenire nella fase di prevenzione e di informazione con la diffusione di codici etici e di condotta. 4. SPUNTI CONCLUSIVI: ALCUNE STRATEGIE DI CONTRASTO ALLE MOLESTIE Il clima aziendale è un tema sempre più trattato e valutato da parte degli enti. In molti casi, la vittima di violenze fatica a nominare la violenza subita ed è importante riconoscere di essere vittima di violenze sessuali: spesso accade che la persona offesa tenda a colpevolizzarsi e a minimizzare l’accaduto. La violenza si nutre di solitudine, isolamento e paura; dalle molestie si esce tramite il ricorso alle procedure giudiziarie ma anche e soprattutto attraverso la forza delle relazioni. La vittima è sempre isolata e quasi sempre quando le vittime denunciano, raccontano che sono state proprio le relazioni a farle uscire da questa situazione. Richiedere ai Paesi contraenti di adottare le misure necessarie a: a. Assicurare che non ci siano contatti tra le vittime e gli autori dei reati all’interno dei tribunali e uffici delle forze dell’ordine; b. Fornire alle vittime i servizi di interpreti indipendenti e competenti; c. Consentire loro di testimoniare in aula senza essere fisicamente presenti o almeno senza la presenza dell’autore del reato; La Convenzione dispone che le Parti adottano le misure legislative destinate a proteggere i diritti e gli interessi delle vittime: a. Garantendo che siano protette dal rischio di intimidazioni e ulteriori vittimizzazioni. b. Offrendo alle vittime la possibilità di essere ascoltate, di fornire elementi di prova e presentare le loro opinioni. Una minore e/o testimone di violenza contro le donne e di violenza domestica deve poter usufruire di misure di protezione specifiche. 5. LE SPECIFICHE AZIONI A FAVORE DELLE DONNE MIGRANTI E DELLE DONNE RICHIEDENTI ASILO L’art. 59, concernente lo “status di residente”, dispone che le Parti adottano le misure legislative e di altro genere necessarie a garantire che le vittime, il cui status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, possano ottenere un titolo autonomo di soggiorno. • Gli Stati contraenti si impegnano a fare sì che le vittime possano ottenere la sospensione delle procedure di espulsione avviate perché il loro status di residente dipendeva da quello del coniuge o del partner, nelle more del conseguimento di un titolo autonomo di soggiorno. L’art. 59. 4 impone di tutelare le vittime di un matrimonio forzato condotte in un altro Paese al fine di contrarre matrimonio, che abbiano perso di conseguenza il loro status di residente del Paese di origine facendo sì che possano recuperare lo status precedentemente posseduto. L’art. 60 disciplina le richieste di asilo basate sul genere, basando le persecuzioni sul genere. CAPITOLO 8 – DELITTI DI LIBERTICIDIO. LA TUTELA DELLE DONNE MIGRANTI VITTIME DI TRATTA E DI VIOLENZA DOMESTICA 1. LA TRATTA DI ESSERI UMANI: PREVENZIONE E REPRESSIONE Donne e bambini vittime di schiavitù, servitù, tratta, matrimonio forzato; nei loro confronti sono esercitati poteri di uso. La schiavitù moderna ha ragioni prettamente economiche. Diversi strumenti adottati per contrastare pratiche aberranti: la tratta viola la libertà e la dignità umane, il traffico di migranti viola l’interesse pubblico all’integrità dei confini e al controllo dei flussi migratori. • Nella tratta il trasferimento di donne e bambini avviene allo scopo di un successivo sfruttamento, mentre nell’immigrazione illegale, tra chi gestisce il traffico illecito e i migranti, esiste un accorso. La commissione di trafficking e smuggling è sempre più evidente: il viaggio, le vulnerabilità dei migranti, sono tutti fattori che favoriscono i contesti della tratta. Con la legge n. 228/2003 recante Misure contro la tratta delle persone, si è realizzato l’adeguamento a strumenti internazionali volti a contrastare le moderne schiavitù. • Nella versione del Codice Rocco, i delitti contro la personalità individuale erano caratterizzati dalle genericità. • Mentre gli artt. 600, 601 e 602 c.p. si riferivano alla schiavitù quale status giuridico, il delitto di plagio aveva la finalità di reprimere l’assoggettamento di un individuo al potere di un altro. 2. LA PROTEZIONE DELLE VITTIME L’italia dispone di strumenti normativi di tutela delle donne e fanciulle trafficate; l’art. 18 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, contempla il rilascio di un permesso di soggiorno allo scopo di permettere alla vittima di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale, solo nel caso in cui la vittima si trovi realmente in pericolo e non ha valore premiale; la vittima deve collaborare con le indagini e nel procedimento penale. • Il rilascio del permesso di soggiorno può essere posto in atto dal procuratore della Repubblica (nei casi in cui sia iniziato un percorso giudiziario) che dai Servizi Sociali degli enti locali o associazioni. 3. LE VIOLAZIONI DELLE IMMUNITA’ FONDAMENTALI ALL’INTERNO DEI GRUPPI CULTURALI Il fenomeno migratorio pone anche questioni legate alla convivenza di diverse culture all’interno dei paesi occidentali. Le garanzia dei diritti fondamentali mirano a proteggere tutte le differenze e difendere i soggetti deboli del gruppo etnico dai retaggi culturali dei soggetti forti (il padre o il marito della donna). • Prese anche in considerazioni pratiche quali il mutilamento genitale femminile, le servitù coniugali ecc. È l’uguaglianza delle differenze a delineare la dignità della persona e a garantire una convivenza non conflittuale. Fondamentale è l’implicazione tra rispetto delle diverse culture e libertà fondamentali. 1. Primo diritto culturale: la libertà religiosa 2. A seguire: libertà e tutela delle diverse culture e rispetto dei loro limiti. Le sole libertà illimitate sono le immunità fondamentali che si sostanziano in “libertà da” (il diritto alla vita, la libertà di coscienza) le quali non possono collidere con i diritti e con le libertà degli altri soggetti. È fondamentale come vi sia una libertà-immunità tuttora minacciata, ovvero la libertà delle donne consistente nell’immunità da violazioni del loro corpo. A volte l’applicazione del diritto penale, può essere percepito dalle vittime come imposizione di un altro modello culturale, un’altra forma di ri-vittimizzazione, che deriva dall’attivazione del processo stesso. • I reati culturalmente motivati sono quelli in cui si palesano retaggi dei soggetti forti del gruppo culturale a danno dei soggetti deboli: violazioni di immunità fondamentali come il diritto alla vita, i diritti di libertà personale, la libertà delle donne consistente dall’immunità da violazioni del loro corpo. CAPITOLO 10 – RENDERE VISIBILE L’INVISIBILE Per rendere visibile l’invisibile occorre comprendere quali sono i fattori di invisibilità; l’obiettivo di eliminare la violenza contro le donne è dato dal riconoscere la violenza di genere come fonte di ingiustizia primaria e violazione dei diritti umani. Occorre rilevare la complessità del fenomeno spesso semplificato per rendere i problemi misurabili. 5 elementi su cui riflettere: 1. Necessità di calcolare il rischio della violenza, identificare quali sono i gruppi con maggiore rischio di essere oggetti di violenza; 2. Registrare una questione di intervento e prevenzione, rilevare un problema di monitoraggio nel tempo per vedere come si evolve il fenomeno; 3. Problema di misura dell’efficacia degli interventi su vari livelli; 4. Prendere atto della questione di aiutare effettivamente sul piano psicologico, sociale ed economico le vittime di violenza ma anche i violentanti che vanno curati e recuperati; 1. ALCUNI DATI SULLE MOLESTIE Indagine compita dalla Fundamental Rights Agency (FRA) nel 2014: a. 1 su 3 donne hanno avuto a che fare forme di violenza sessuale o fisica; b. Il 55% delle donne europee ha subito molestie sessuali; c. Il 32% delle vittime ha affermato di aver subito molestie da parte di un superiore, collega o cliente; d. Il 75% delle donne che lavorano in professioni che richiedono alte qualificazioni sono state sessualmente molestate; e. Il 61% delle donne che lavorano del settore dei servizi (es. turismo) sono state soggette a molestie sessuali; 2. FONTI DI INFORMAZIONE Fonti di riferimento: 1. Documentazione legale: accanto al lavoro svolto dalla polizia e dall’autorità giudiziaria che indaga e monitora. Si tratta di dati che garantiscono una sorta di comparabilità internazionale. 2. Il documento delle Linee guida delle Nazioni Unite del 2014, che offre delle precisazioni e delle indicazioni precise utili a livello internazionale. Tra i punti di debolezza c’è l’impossibilità di prevedere l’estensione del fenomeno al fine di elaborare delle stime. • Fenomeni di underreporti e anderreporting che offrono una sottorappresentazione del fenomeno. • Rilevata anche una sorta di selezione naturale perché le persone che si rivolgono alla polizia sono sempre persone socialmente forti e non ricattabili. • Fondamentale riconoscere il numero di soggetti che hanno subito violenza. Gli effetti della violenza possono anche rilevarsi nell’abbandono del proprio nucleo familiare, nel non avere un alloggio… I dati amministrativi però non sono in grado di offrirci una piattaforma informativa rispetto ai bisogni che seguono la violenza. È rilevante riconoscere le caratteristiche personali di questi soggetti per capire il livello di rischio che li caratterizza; • Spesso emergono con modalità distorte nelle aule di giustizia con commenti denigratori: l’abbigliamento denota un invito alla violenza. • La statistica è di fondamentale importanza per tracciare e offrire indagini campionarie sulla popolazione, misurando alcune componenti della popolazione stessa che sono normalmente invisibili, come le persone LGBT che non erano registrate dai censimenti. • Eurofound, un’agenzia europea a Dublino, svolge un’ulteriore indagine riguardante la qualità della vita in Europa, monitorando le molestie sul lavori e i loro effetti. Grazie a Linda Sabbadini (per anni responsabile della divisione analisi multiscopo dell’ISTAT) l’Italia è divenuta il Paese guida in Europa per le analisi sul concetto di violenza. Si correla con la violenza la variabile di età e/o il livello di istruzione, il fatto di essere stato vittima indiretta di violenza nella propria famiglia di origine. 3. BISOGNA PARTIRE DALLE SCUOLE Nei paesi del Nord Europa, i bambini vengono educati a superare le differenze di genere. Dal fatto semplice che i bambini lavino i piatti e cucinino al posto o con le bambine. Bisogna coinvolgere le famiglie; si deve partire anche dagli asili, costruire strutture di supporto e di consulenza per gli insegnanti e fare una valutazione per capire se questo tipo di istruzione mirata possa generare effetti positivi oppure no. CAPITOLO 12 – IL CENTRO ANTIVIOLENZA “AIUTODONNA” DI BERGAMO I centri antiviolenza raccolgono l’eredita teorica di femministe e di un contesto contaminato da una molteplicità di influenze, rappresentando il percorso politico e pratico del movimento delle donne dagli anni ’60 agli anni ’80, anni in cui le donne hanno iniziato a rompere il silenzio per lottare contro gli stereotipi di impianto patriarcale. • Sul tema della violenza, nascono anche in Italia i primi centri antiviolenza e le prime Case delle Donne, luoghi di donne per le donne. • I primi centri nascono in Italia negli anni ’80 e sono ancora oggi una terra di confine e resistenza dove si consumano i residui di modelli e delle aspettative di genere e di relazione tra i generi del patriarcato e dove avvengono percorsi e spinte di autonomia, di ricerca e di affermazione. Nelle Linee guida per l’intervento e la costruzione di rete tra i Servizi Sociali dei Comuni e i Centri Antiviolenza (ANCI: associazione nazionale dei comuni italiani e D.I.Re: associazione nazionale delle donne in rete contro la violenza), nel maggio 2013 si parla ovunque del diritto delle donne di avere una vita libera dalla violenza maschile. • Aiutodonna nasce a Bergamo nel 1999; riconoscere la propria condizione di vittime è il primo passo per il cambiamento. Obiettivo di contrastare e condannare la violenza contro le donne. La violenza riguarda ogni donna in quanto donna e quindi appartenente al genere femminile. I cambiamenti del contesto obiettivo consentono e accelerano trasformazioni delle identità ed è con questa visione che va promossa anche l’associazione La Svolta (che ha l’obiettivo di contrastare e condannare la violenza contro le donne e di intervenire sugli autori sella violenza attraverso incontri individuali e di gruppi condotti da operatori e operatrici formati in modo specifico sul tema della violenza agita) • L’azione di supporto del Centro Antiviolenza Aiutodonna si concretizza attraverso l’accoglienza telefonica e/o diretta per le donne che possono accedere a un primo incontro con le operatrici. • L’intervento è finalizzato al raggiungimento di obiettivi stabiliti insieme alla donna. La metodologia prevede che ogni azione abbia il consenso della donna secondo i presupposti della protezione, della riservatezza e del non giudizio da parte delle operatrici. Il Centro antiviolenza lavora attivamente a progetti di prevenzione e promozione di una cultura di genere nelle scuole, nonché nelle varie attività. • Grazie a fondi specifici si è potuto aggiungere anche il sostegno psicologico ai minori accolti con le madri nella Case Rifugio in accorso con la madre e i servizi sociali competenti. Aiutodonna è ancora oggi un luogo di pratica dell’autonomia e della propria autodeterminazione; pratica, in un centro antiviolenza, è anche il modo di costruire obiettivi e desideri a partire da sé. È quindi uno spazio dove ciò che è pensabile e dicibile può diventare possibile. CAPITOLO 14 – LA VIOLENZA DI GENERE. UNA PROSPETTIVA ANALITICA MASCHILE 1. COSE DA UOMINI Uomini sostanzialmente assenti nella discussione del tema della violenza; le donne indicano gli uomini come causa della violenza di genere, il maschile rappresenta il problema. Strategia di difesa e di elusione degli uomini: 1. Sottolineare la distanza che esiste tra l’uomo violento e il resto della popolazione maschile. Norma maschile che scarica la colpa sull’Altro (stranieri, matti, drogati). L’uomo violento visto come una realtà a parte, una condizione psicologica. Persino gli uomini maltrattanti condannano il mostro giustificando i loro atti violenti non definendoli tali. 2. Accettazione piena della narrazione che definisce il maschile come naturalmente aggressivo e violento; essendo tali, non possono far nulla rispetto al tema della violenza. 3. Rappresentazione di una maschilità sana che perderebbe controllo di sé in seguito ad un raptus. 4. Negazione del problema: le donne esagerano, ingigantiscono gli avvenimenti. Ci sono anche forme di violenza femminile agita sugli uomini. Escludere l’ipotesi di una simmetria tra uomini e donne: la violenza maschile ai danni delle donne è predominante. • Uxoricidio e femminicidio sono condotte maschili sulle donne (non esistono neanche termini per definire fenomeni complementari), lo stupro è una peculiarità maschile (fa anche strano pensare sia agito da donne). • Tornare soli a casa di notte produce diverse emozioni tra uomini e donne. • Tra maschile e femminile dovremmo parlare di gerarchizzazione: difficoltà nell’accesso del lavoro, disparità di salario ecc. L’esistenza di uomini che rifiutano la violenza e di donne violente dovrebbero spingerci ad indagare altre cause quali i privilegi maschili e le oppressioni femminili che ci spingono a definire come fallace la distinzione tra una maschilità sana e quella deviante del maltrattante. • Il sistema di privilegi di genere coinvolge tutti gli uomini; tra l’uomo che non sfiorerebbe mai una donna e l’uomo violento, c’è una sorta di fil rouge che nasce dalla comune appartenenza del genere maschile. La presa di responsabilità da parte di uomini non violenti vuole costituire una presa di posizione, un allontanamento dagli uomini dalla scomoda posizione e significa anche individuare gli uomini come possibile parte della soluzione. 2. UNA GRANDE FAMIGLIA DI VIOLENZE Importante distinguere grinta e aggressività dalla violenza che si caratterizza per due elementi, intenzionalità e danno, con l’obiettivo di fare male alla vittima. La definizione di violenza è sempre relativa al contesto sociale: es. violenza sono le punizioni corporali a scuola che fino a qualche decennio fa erano considerate metodi correttivi. • Si può esprimere in materia verbale, psicologica, sessuale e si pongono in un continuum . • Michela Murgia su facebook: “la parola femminicidio indica il motivo per cui quella persona è morta. Una donna uccisa per una rapina non è femminicidio, ma le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne, sì. Il femminicidio è costituito da: a. Violenza esplicita e visibile (minacce, abuso sessuale) b. Violenza esplicita ma invisibile (controllo, colpevolizzazione) c. Violenza simbolica invisibile (linguaggio sessista, discriminazioni basate sul genere) 3. ERA SOLO UNA BATTUTA La dinamica più frequente di violenza è rappresentata dalle molestie sessuale e molti uomini faticano a distinguere la molestia dallo scherzo o dal corteggiamento: una pacca sul sedere non richiesta non costituisce uno scherzo, ma un abuso. • Il corpo dell’altra persona diventa oggetto appropriabile in sé e la molestia mette in scena un’asimmetria e possono anche essere usate in maniera strumentale. • Nei luoghi di lavoro molestia = mobbing. Qui la molestia è legata ha motivi esterni, alla competizione lavorativa: la donna diventa un avversario con cui competere. • Gli studi affermano che le donne hanno una percezione più sottile riguardo a comportamenti da considerare molestie rispetto agli uomini; questo gap nasce dalle performance pubbliche di maschilità, in sostanza non notano quella molestia che loro considerano “normale, ovvia”. • La molestia si può presentare in momenti “normali”, in cui magari si vede una ragazza mangiare un gelato in pubblico che diventa oggetto di allusioni o proposte esplicite da parte degli uomini presenti. 4. HOME SWEET HOME Statisticamente gli uomini compiono massacri familiari, uccidendo mogli e bambini, le donne no. Gli uomini uccidono le donne che li hanno lasciati, uccidono la moglie come parte di un progetto omicidio-suicidio, uccidono come risposta alla scoperta di infedeltà, le donne non rispondono mai in questa maniera. Esistono varie tipologie relazionali della violenza: 1. Controllo coercitivo che prende le forme di controllo economico (differenza di reddito medio tra uomini e donne per opprimere e umiliare queste ultime). 2. Controllo sociale: controllo delle comunicazioni sul cellulare o sui social media, controllo dell’abbigliamento, controllo delle attività, la gelosia. 3. L’isolamento, l’abuso emotivo, l’intimidazione, l’uso strumentale dei figli. È sempre la donna responsabile del controllo emotivo e del benessere di tutta la famiglia; devono seguire i figli nei compiti, a casa ecc. Il non raggiungimento di tali standard può far sentire l’uomo autorizzato alla denigrazione. • Secondo tipo di violenza è la separazione di una coppia; molti uomini agiscono violenza perché traditi o abbandonati dalla propria donna. • Poi la resistenza violenta, forma di difesa con esiti letali quando una donna arriva a uccidere il compagno violento. Es. il caso di Deborah Sciacquatori che, il 19 maggio 2019 a Roma, ha ucciso il padre, più volte denunciato, per difendere la madre alla quale lui esercitava violenza. • La violenza situazionale di coppia: violenza che nasce dalla conflittualità (abuso di sostanze, situazioni di difficoltà economiche) che per fortuna la metà degli episodi si verifica una sola volta dato che la coppia reagisce e si assicura che non accadrà più. 5. CHERCHEZ L’HOMME! Perché la violenza maschile: 2 ragioni 1. Si collega al patriarcato e ai vantaggi che ogni uomo gode per il semplice fatto di essere nato maschio. La violenza maschile sarebbe quindi un modo per rafforzare e difendere un patriarcato in crisi. 2. Violenza maschile come reazione alle trasformazioni della società come la libertà femminile che spaventerebbe un maschile che si sente minacciato dal protagonismo che sempre più le caratterizza. Maschile che ha ancora tanto potere nella società ma che si stente minacciato e fragile. 6. PERCHE’ E’ VIOLENZA DI GENERE? La violenza si mostra in due differenti registri: 1. È violenza maschile contro le donne rispetto ad alcune brutalità: la violenza domestica, il femminicidio, lo strupro, la tratta e la prostituzione forzata ecc. Lunga serie di violenze a cui la storia ci ha abituato. 2. La violenza contemporanea: nasce negli spazi della contiguità e va dai matrimoni imposti alla violenza simbolica della rappresentazione pubblicitaria, investe l’intera società. Violenza che costituisce elemento centrale nella costruzione della maschilità, indirizzata ai ragazzi per costruire gerarchie di virilità, che nasce dall’odio della femminilità percepita in un uomo gay. • Violenza omo-transfobica che costituisce una risposta ostile alla non-conformità sessuale e di genere. • Bisogna includere nel campo della violenza maschile l’omofobia, bullismo omofobico e transfobia. La violenza di genere funziona come un meccanismo di controllo, di oppressione dell’alterità, dalle esistenze che mettono in discussione l’etero-normatività che è funzionale al mantenimento del privilegio patriarcale, tutto legato ad un’identità maschile eterosessuale. • Ad esercitare violenza contro donne e persone LGBT sono infatti uomini eterosessuali. 7. EZIOLOGIE DELLA VIOLENZA In relazione all’origine della violenza di genere, un’ipotesi a livello giornalistico è quella del “ciclo della violenza”, ovvero che quanti hanno subito violenza da piccoli diventino poi maltrattanti da adulti. Solo il 30% di chi agisce violenza ha subito o assistito a violenza quando era un minore, ma, d’altro canto, la violenza subita può predisporre i minori a diventare vittime da adulti. Vengono distinti tre temi: a. Il potere b. La prossimità c. La sessualità IL POTERE Va riconosciuto nella sua funzione pratica e in quanto processo di definizione di sé. Serve a definire un orizzonte di senso che divide in modo sistematico il maschile e il femminile; il protagonismo delle donne, la loro indisponibilità, ha sfidato gli uomini. La violenza è una reazione e ha un effetto ricostituente: picchiare una donna restaura quell’asimmetria di genere che favorisce il maschile e ricostituisce quel privilegio patriarcale.
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