Scarica Riassunto Le crociate dopo le crociate, Pellegrino e più Sintesi del corso in PDF di Analisi Dei Processi Microevolutivi solo su Docsity! Eurostudium3w ottobre-dicembre 2013 62 G. Contel, Recensione Marco Pellegrini, Le crociate dopo le crociate, Il Mulino, Bologna, 2013 di Giovanni Contel Del tema delle crociate si pensa spesso di conoscere praticamente tutto, complice l’immaginario che l’Occidente conserva di questo fondamentale, nel bene e nel male, momento della sua storia. Un immaginario che nei tratti fiabeschi ed esotici del suo repertorio consolidato va a deformare quelli che furono i fatti reali, cosa che non costituisce semplicemente ignoranza o mancanza di un’adeguata consapevolezza dovute alla rimozione che noi operiamo del nostro passato, soprattutto quello che non ci onora come “civiltà del progresso”. In realtà, nel caso delle crociate vi è anche qualcosa di più, in quanto il meccanismo mitopoietico che produce un immaginario irrealistico e alienante risulta già operante nella medesima realtà storica di coloro che vissero l’epopea delle crociate. Una constatazione tanto più vera se riferita non tanto ai più noti eventi delle crociate in Terrasanta, quelli cioè che potrebbero dirsi di carattere offensivo, bensì posta in relazione con l’epoca della riconversione della crociata da progetto di conquista e colonizzazione dello spazio mediorientale a sforzo collettivo, quanto scoordinato, di difesa dellʹEuropa minacciata dal Turco alle sue stesse porte. Ne offre uno spaccato puntuale – ed è precisamente questo l’oggetto della presente recensione ‐ lʹapprofondimento dello scenario dei fatti dʹarme e dei rapporti diplomatici fra Oriente e Occidente occorsi in quello che va sotto il nome, pensando a Huizinga, di ”autunno del Medioevo”. Soprattutto, appunto, se lo sguardo critico dello storico riesce a cogliere tutti gli elementi essenziali, fattuali e immaginifici, per la comprensione della questione crociate, con tutti i suoi riflessi sull’anima e la memoria di sé dell’Europa. Proprio questo difatti è lo sforzo notevole di uno studioso del calibro di Marco Pellegrini, il quale riesce a sceverare con sicurezza di giudizio queste tematiche nel suo ultimo volume Le crociate dopo le crociate, edito da Il Mulino e giunto in libreria a gennaio 2014. Altri suoi importanti lavori sul Quattrocento italiano e sul primo Rinascimento sono conosciuti per il loro pregevole apporto alla ricerca storica e recensiti a livello internazionale su riviste e banche dati digitali globalmente accessibili. Ora, proprio al fine di consentire una piena comprensione dell’importanza centrale dell’idea di crociata nella storia del mondo europeo, non sono le crociate per così dire “classiche” ad essere oggetto della trattazione dell’autore, Eurostudium3w ottobre-dicembre 2013 63 G. Contel, Recensione bensì le meno note crociate tardive o crociate rinascimentali, considerate in un arco di tempo che spazia dalla metà avanzata del XIV secolo fino alla seconda parte del XV. Vale a dire le imprese antiturche suggestivamente intercorse tra la rovinosa battaglia di Nicopoli del 1396 e la vittoriosa resistenza dell’assedio di Belgrado del 1456. Certo, parlare delle crociate non andando a guardare il primo periodo, quello medievale e più antico, può sembrare eccessivamente riduttivo, tenendo conto degli stretti limiti cronologici autoimpostisi dallʹautore, il quale ha lasciato peraltro intendere di stare preparando un completamento della sua ricerca. Tuttavia restano innegabili i vantaggi e i meriti di un lavoro come questo che mette in luce una realtà diversa da quella che appare alla superficie. Innanzitutto il libro colma una lacuna storiografica importante sul tema precipuo delle crociate tardive, questione sulla quale esistono numerosi lavori singoli e improntati a svariate discipline, ma poche visioni d’insieme di un certo valore, sia in ambito italiano che euro‐americano. Inoltre esso risponde ad una necessità di aggiornamento rispetto a trattazioni non in sé datate ma comunque incomplete quanto alle fonti e all’ampiezza di riscontri bibliografici. Ancora di più si apprezza l’apporto dell’autore se si considera come il tardo Medioevo, soprattutto il secolo XV, sia un campo di studi solo da qualche tempo riscoperto, dopo molti decenni in cui gli studi sia di medievistica che di modernistica l’avevano visto come “terra di nessuno”. Precedentemente, infatti, le vicende storiche del periodo non venivano sovente affrontate di per se stesse, bensì alla luce di quanto avvenuto appena prima e appena dopo. Altrimenti detto, il primo Quattrocento ha subito talvolta un vero e proprio oblio, tant’è vero che nei manuali vi si fanno spesso soltanto rapidi cenni. E lo stesso potrebbe dirsi per il secondo Quattrocento, colpevolmente appiattito, a torto o a ragione, sui primi decenni del Cinquecento, ad esempio impostando i manuali in funzione dell’illustrazione della nascita dello stato moderno, oppure relativamente al tornante delle guerre d’Italia. In breve, se lo studio dell’epoca in questione aveva subito in passato una quasi completa retrocessione verso ambiti di studi decisamente settoriali, ai nostri giorni il panorama storiografico sta giustamente correggendo il tiro restituendola alla sua importanza. In tale contesto, le ricerche sulle crociate di quell’epoca costituiscono precisamente il valido vettore per attraversare una storia avviatasi agli esordi dell’età umanistica e perpetuatasi per la verità durante e ben oltre il XV secolo, fino a costituire un evento di lunga durata. Tutt’altra cosa, insomma, le crociate rispetto ad un fenomeno topico ed insieme marginale del Medioevo centrale con il quale esse vengono spesso artificiosamente identificate, in forza di troppo rigide partizioni cronologiche fra età di mezzo e modernità in cui il Quattrocento finisce per risultare – dal punto di vista politico, s’intende, e non Eurostudium3w ottobre-dicembre 2013 66 G. Contel, Recensione riguardò soprattutto il regolamento delle prerogative giurisdizionali fra il clero nazionale, la curia romana e il sovrano, uno su tutti il caso francese. Un complicato succedersi di eventi su cui Pellegrini ha prodotto, come ricordato anche qui di seguito, significative e puntuali pubblicazioni. Sempre alla luce delle sue ricostruzioni, anche la crociata fu parte di questo processo, una parte importante, poiché i vescovi di Roma rivendicarono la propria esclusività nell’arrogarsi il diritto di promulgare la guerra santa. Un diritto sancito dai canoni, che ne regolavano nel dettaglio lʹindizione, nonché una prerogativa che avrebbe potuto essere, senza mai divenirlo di fatto, oggetto di scontro con il concilio e con l’imperatore. Di fatto, come già indicarono gli studi di Paolo Prodi, i pontefici trasformarono questa risorsa in un vero e proprio strumento di autolegittimazione della propria autorità spirituale, ma indirettamente anche di quella temporale sui sovrani laici, rendendolo pertanto uno degli assi portanti della dottrina della monarchia papale. La crociata fu inoltre doppiamente indirizzata contro il nemico infedele, ma anche, si è accennato, contro gli eretici e scismatici hussiti di Boemia, seguendo il precedente storico della crociata contro gli albigesi, bandita da Innocenzo III all’inizio del XIII secolo. Il frangente hussita in quegli anni avrebbe portato ad una rinnovata, ma solamente parziale, intesa fra papato e impero, che però uscì sconfitta in ben cinque spedizioni crociate susseguitesi in pochi anni e tutte demandate allʹiniziativa militare gestita dalla natio teutonica. L’alleanza fra i due poteri di vertice della respublica christiana non riuscì a vincere gli ardori etnico‐confessionali che si erano resi profondamente identitari per l’enclave slava dell’Impero. Allo stato dei fatti, lʹesercito hussita non si limitò a resistere al nemico, ma conquistò a lungo una fama di invincibilità, destinata peraltro al poco glorioso destino della battaglia fratricida di Lipany nel 1434. Lʹautore individua proprio nelle divisioni interne allʹEuropa cristiana il fattore determinante la debolezza politica dimostrata nei confronti della disperata richiesta di aiuto da parte degli stessi bizantini, i quali malvolentieri avevano ceduto al ricatto politico di Eugenio IV celebrando la rinata unione della Christianitas nel Concilio di Ferrara‐Firenze del 1439. Il diverbio culturale, ecclesiologico e teologico senza essere risolto fu messo da parte, con una ristretta maggioranza dei consensi favorevoli all’unione in seno allʹèlite bizantina ed il netto rifiuto di una parte dellʹalto e di tutto il basso clero oltre che della maggioranza della popolazione fiera della propria ortodossia. Decisiva per lʹeffimera riunificazione della cristianità fu la volontà imperiale di Manuele II Comneno, inchiodato alle impellenti ristrettezze economiche in cui versava lo stato dei Paleologi, le cui casse alla fine degli anni trenta del XV secolo erano quasi vuote impedendo non solo le necessità di difesa militare ma anche lʹespletamento dellʹordinaria amministrazione di governo. La Eurostudium3w ottobre-dicembre 2013 67 G. Contel, Recensione delegazione imperiale al Concilio di Firenze, riempita da Eugenio IV di rassicurazioni sullʹallestimento e lʹinvio di rinforzi in caso di un nuovo assedio da parte ottomana, procedette pertanto alla riunione con Roma confidando che questa scelta avrebbe salvato la patria in pericolo. Piegarsi ma non farsi completamente convincere fu la strategia di sopravvivenza attuata dalla delegazione orientale guidata dallʹimperatore. Ottenuto questo grande successo i pontefici tra gli anni quaranta e cinquanta tentarono di onorare lʹimpegno di aiuto economico e militare, ma si ritrovarono isolati e riempiti di promesse vuote e mai ottemperate. In particolare modo il frastagliato universo politico italico si comportò in modo ambiguo, a tratti doppio, pronto ai voltafaccia al primo refolo di vento contrario non all’impresa crociata in sé, bensì ai propri interessi di bottega. Il concerto diplomatico fu ingenuo oltre che lento e disorganizzato nei pochi momenti di lucida apprensione degli stati italiani per il pericolo turco, quando da Roma il papa provava a creare un’ombra di amalgama fra nemici domestici come erano le potenze della penisola. Venezia contro Genova innanzitutto, eterne rivali sullo scacchiere proprio del Mediterraneo orientale dove la prima aveva attraversato nel corso del XIV secolo, dopo secoli di predominio assoluto nei rapporti commerciali con Bisanzio, un’eclisse parziale di cui la repubblica ligure si era avvalsa per infilarsi con le sue colonie del Mar Nero sulla piazza del mercato sulle sponde del Bosforo e contenderle le franchigie e i monopoli sino allora detenuti. Due imperi commerciali ed anche territoriali riflettenti diverse visioni storiche del rapporto di scambi con l’oriente, cui se ne aggiunse una terza, la neoassurta potenza navale aragonese che nella prima parte del XV secolo, costituì un suo sparpagliato “Commonwealth” – come lo definisce Marco Pellegrini – attraverso una spregiudicata politica militare che era improntata a colpire chiunque gli si frapponesse. Cristiani o musulmani che fossero, dai Mamelucchi ai Lusignano di Cipro, ai Cavalieri di Rodi, a Genova e Venezia finanche alla Francia, qualunque nemico diretto dei catalani osteggiasse la loro rapida, quanto effimera, espansione ne usciva ridimensionato o per lo meno scornato. Alfonso V re d’Aragona e dal 1442 anche di Napoli, e conseguentemente primo vassallo della Sede Apostolica, venne assiso sopra il trono partenopeo da Eugenio IV apposta per contribuire alla crociata, ma non ottemperò praticamente mai alle promesse fatte. Egli scese in guerra contro i discendenti di Osman soltanto in poche scaramucce condotte tra l’Albania e la Grecia in un blando tentativo di istituire un protettorato napoletano‐aragonese su quelle terre che già i normanni e gli angioini avevano usato come testa di ponte per i loro giochi, tutti finiti male. Le promesse del Magnanimo furono le più compromissorie e non a torto quelle che insieme ai ripensamenti altrui Eurostudium3w ottobre-dicembre 2013 68 G. Contel, Recensione pesarono nettamente di più nella catena di eventi che portarono gli stati d’Occidente ad assistere quasi distaccati ma al contempo sbigottiti alla caduta di Costantinopoli nel maggio del 1453. Sin dai primissimi contatti con un nemico che era pur sempre il primo cliente diretto sulle sponde orientali del mare nostrum o perlomeno un intermediario necessario nelle transazioni mercantili verso i mercati asiatici, le potenze navali europee dovettero andare con i piedi per terra alla crociata. Compromettere unʹeconomia basata sul commercio marittimo, e quindi la propria ragione d’esistenza, nella pur sentita e vissuta lotta politico‐religiosa in quanto compagine della Christianitas fu un dilemma mai risolto né a Genova né tantomeno a Venezia. A modo loro esse furono sotto varie e forti pressioni coinvolte dai pontefici in varie vicissitudini ricordate da Marco Pellegrini, soprattutto nel ruolo facilitatore di appoggio navale e logistico alle truppe di terra. E quantunque spesso ci rimisero navi ed equipaggi, le repubbliche marinare se la cavarono tergiversando, esponendosi il minimo indispensabile ed aspettando che fossero altri a cominciare per primi, riservandosi solo in un secondo momento di prendere una posizione, mai del tutto chiara, nel gran gioco della politica mediterranea nel quale tra le prime esse stesse accolsero e legittimarono il Turco. Il giudizio morale non è un fine di chi scrive però vi è un’impressione sospesa in chi legge nel libro il resoconto, puntuale ed avvincente, dell’assedio finale di Costantinopoli, in quanto si resta disarmati nellʹapprendere lo svolgimento degli eventi che condussero al tracollo. Lʹassedio celeberrimo iniziò in fin dei conti al pari dei tanti altri che la capitale degli stretti aveva già subito negli ultimi scorci della sua storia. Esso vide partecipare a titolo semipersonale gli sforzi appassionati di rappresentanti italiani, Veneziani e Genovesi in prima linea, congiunti con manipoli di altri europei, e non soltanto di nobile lignaggio, però troppo pochi e quindi condannati a lottare fino all’ultimo uomo sperando sino alla fine di poter ricevere soccorsi. È da notare come alcuni cristiani ebbero invece la loro porzione di responsabilità nel tragico destino tracciato per Costantinopoli. Altri italiani ingrossavano le fila dell’imponente armata del sultano Mehmet II come consiglieri militari, genieri, esperti d’artiglieria e così via. Mentre Giovanni Giustiniani Longo, fiero esponente di uno dei più nobili casati di Genova, montava sulle barricate al fianco di Costantino XI Paleologo, i suoi compatrioti della colonia di Pera agirono per il peggio, (o meglio, non agirono). Essi sono passibili di aver voltato le spalle e di avere chiuso entrambi gli occhi e le orecchie nel momento in cui i turchi manovravano con parte della flotta per aggirare lo sbocco del Corno d’Oro, serrato alle loro navi dalla lunga catena tesa fra la città e l’exclave ligure e penetrarvi passando per le colline che circonvallavano la cittadella genovese. Eurostudium3w ottobre-dicembre 2013 71 G. Contel, Recensione secondo Quattrocento sfociarono nelle guerre dʹItalia e proseguirono da Carlo VIII a Francesco I finché non diede attuazione allʹimpium foedus con la Sublime Porta. In parte esso collimò con il medesimo schema dei progetti di crociata frammista al prolungamento della Reconquista in Nordafrica di Carlo V e dei suoi successori, soprattutto quelli del ramo iberico, intenzionati a rendere sicuri il considerevole patrimonio politico‐dinastico di casa Asburgo dalle avvolgenti spire del nemico infedele. Alla presentazione del suddetto volume tenutasi in data 27 Gennaio 2014 presso l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, presente l’autore in persona, hanno partecipato Elena Valeri, Silvia Ronchey e Franco Cardini, offrendo alcune valide chiavi di lettura e ponendo delle questioni interessanti che sono servite molto a chi scrive per impostare la seguente narrazione. È stato sottolineato da Elena Valeri che la ricostruzione di Marco Pellegrini è delineabile come un “prisma a tre facce” che corrisponderebbero all’ottica romano‐papale, a quella italiana o italo‐centrica e a quella ottomana. Silvia Ronchey a questo proposito ha puntualizzato che in effetti si risente l’assenza di una più marcata ottica bizantina, mancanza riconosciuta dall’autore il quale ha precisato come ciò sia stato un riflesso condizionato dalle fonti utilizzate, soprattutto quelle italiane. Le carte diplomatiche e le memorie di personalità chiave del Quattrocento italiano ricadono nei pregiudizi e nelle convinzioni dell’epoca, anche troppo ingiuste nei confronti dei fratelli cristiani di rito greco, venendo però soppesate dallo stesso autore con perizia di studioso navigato e consapevole delle possibili storture rispetto ad una moderna concezione del “politicamente corretto” e della sincerità del pensiero. Di seguito a queste valutazioni Franco Cardini è passato a considerare lʹevoluzione della crociata tra la prima metà del XV secolo ed il periodo successivo, caratterizzato da una sempre maggiore prevalenza del ruolo della diplomazia rispetto ai fatti dʹarme dopo che questi nel cinquantennio precedente avevano portato ad esiti del tutto negativi. I rapporti diplomatici divennero il tramite del continuo sforzo, più apparente che reale, di configurare una cristianità armata che ricacciasse il Turco nelle steppe dʹorigine, riportasse in auge il trono imperiale di Bisanzio magari a beneficio di una monarchia come quella dei Valois, i quali avrebbero così strappato il primato dʹonore detenuto dalla nazione tedesca detentrice esclusiva del titolo imperiale dai tempi degli Ottoni. E poi ancora più in là avrebbe recuperato Gerusalemme stessa al cristianesimo e alla civiltà liberandola dalla barbarie infedele in cui da troppo tempo giaceva prigioniera. Fantapolitica, immaginario meraviglioso cristiano, calcoli strumentali e ricatti confessionali, velleità militaresche nobiliari, interessi commerciali, carità di patria ed infine fermento di popolo, ultimo elemento non ancora affrontato. NellʹEuropa dellʹEst la minaccia turca era un fattore quotidiano vissuto dalle Eurostudium3w ottobre-dicembre 2013 72 G. Contel, Recensione popolazioni, che venivano a conoscenza della tragica sorte dei territori di confine, fra razzie occasionali, feroci saccheggi, schiavitù oppure torture efferate e morte erano vive impressioni nella vita delle genti greche e balcaniche. I condottieri nazionali come Janos Hunyadi e Scanderbeg insieme ai predicatori italiani dei movimenti delle Osservanze, fra cui molti francescani inviati da Roma a sostegno della resistenza armata, coagularono intorno alle forze militari il sentito apporto morale e materiale delle popolazioni. Nel 1456 a Belgrado fra Giovanni da Capestrano stando ai racconti, evidentemente impregnati di miracolismo epico‐favolistico, si ritrovò quasi per caso alla testa di una spontanea sortita dei ranghi popolari degli assediati che diede il colpo finale allʹesercito turco acquartierato nel suo munitissimo accampamento. La realtà dei fatti ci spiega che dopo lunghi giorni di logoramento reciproco la grande massa degli assedianti fu fiaccata da una improvvisa pestilenza, e senza la prontezza dellʹintervento di Janos Hunyadi, bravo a seguire le sorti dellʹazione in rapido mutamento, difficilmente si sarebbe assestato lʹaffondo decisivo alle sparute truppe del Sultano. Prendere consapevolezza di questi eventi aggiunge alla conoscenza dei fatti salienti della genesi della modernità aspetti poco noti ma niente affatto irrilevanti. Il tema della crociata, come lo ricostruisce Marco Pellegrini, costituisce una traccia adatta a riconoscere lʹevoluzione di una caratteristica cruciale per lʹautorappresentazione ideale e simbolica dellʹEuropa occidentale dal pieno Medioevo alle soglie del secolo dei lumi, uno dei pochi veri fenomeni di lungo periodo che leghi continuità e discontinuità nella storia della civiltà