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Analisi della frase in lingua italiana: struttura, tipi e livelli - Prof. Botteri, Sintesi del corso di Linguistica

Una dettagliata analisi della struttura di una frase in lingua italiana, esplorando i tipi di frasi, i livelli di analisi e i ruoli dei sintagmi. Vengono spiegati i concetti di tema, rema, agente e azione, e vengono illustrati esempi per ogni concetto. Inoltre, vengono presentati i tipi di frasi dipendenti, argomentali e circostanziali, e vengono fornite spiegazioni dettagliate su ciascuno di essi.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 13/02/2024

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marco-salvadori-4 🇮🇹

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Scarica Analisi della frase in lingua italiana: struttura, tipi e livelli - Prof. Botteri e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica solo su Docsity! Linguistica: Capitolo 1 La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio e quindi una disciplina descrittiva Tutti sappiamo di possedere e utilizzare un linguaggio che chiameremo “linguaggio naturale”, ma esistono altri tipi di linguaggi come quello degli animali, quello dei computer, quello dei gesti e questi sono tutti sistemi di comunicazione che servono cioè a trasmettere informazioni da un individuo (che possiamo chiamare “emittente”) ad un altro (che possiamo chiamare “ricevente” o “destinatario”) Anche se avessimo dimostrato che tutti i vari linguaggi sono identici nella loro funzione (ossia quella di permettere la comunicazione), cosa che invece non abbiamo assolutamente fatto, non abbiamo detto nulla che dimostri che essi sono identici anche nella loro struttura Infatti, la riflessione sul linguaggio naturale o umano condotto nell’ultimo mezzo secolo propende largamente per considerare la sua struttura come largamente specifica e molto diversa dagli altri linguaggi Infatti, si sostiene che solo la specie umana abbia la capacità di acquisire il linguaggio umano e nemmeno le specie animali più vicine all’uomo in termini evolutivi sono in grado di acquisirlo, questo non significa che le scimmie non abbiano un loro linguaggio, ce l’hanno sicuramente ma manifesta delle caratteristiche strutturali essenzialmente diverse: adesso possiamo affermare che la linguistica è lo studio scientifico del linguaggio umano ed ha il compito di formulare ipotesi generali sulla struttura del linguaggio per trovare quelle leggi universali che regolano tale struttura La linguistica non è una disciplina normativa ma descrittiva, il suo scopo non è infatti quello di indicare “ciò che si deve dire o non si deve dire” ma spiegare ciò che effettivamente si dice Ogni lingua presenta delle varietà d’uso che vanno conosciute bene per poterla utilizzare nei vari contesti e nei modi appropriati, l’indicazione delle forme “buone”, “meno buone”, o “decisamente da evitare” è il compito della grammatica normativa il cui compito pratico è quello di indicare quali convenzioni dobbiamo seguire se vogliamo adottare un certo tipo di comportamento accettato in un determinato gruppo sociale, invece la linguistica ha un fine conoscitivo perché vuole spiegare con leggi quanto più possibile generali ciò che effettivamente si dice, il comportamento linguistico degli esseri umani e investigare sui meccanismi che stanno alla base di tale comportamento Quale caratteristica distingue il linguaggio umano da tutti gli altri tipi di linguaggi di molte specie animali? Quello umano è discreto, gli altri tipi sono continui Cosa vuol dire che il linguaggio umano è discreto? Vuol dire che i suoi elementi si distinguono gli uni dagli altri per l’esistenza di limiti ben definiti, ad esempio in italiano i suoni [p] e [b] per quanto molto simili hanno però, per il parlante e per l’ascoltatore, un effetto di contrasto netto (patto vuol dire una cosa ben diversa da batto), nei sistemi continui è sempre possibile invece “specializzare” sempre più il segnale Parole come “patto” e “batto” sono formate da entità più piccole detti fonemi come [p] e [b] nessuna delle quali ha significato ma se scambiata con un’altra ha la possibilità di produrre un significato diverso, in ogni lingua i fonemi sono in numero limitato (in generale non più di qualche decina) mentre le parole sono centinaia di migliaia ed è sempre possibile formarle nuove Una delle caratteristiche del linguaggio umano è quella di poter formare un numero altissimo di segni, cioè di entità dotate di significante e significato mediante un numero molto limitato di fonemi che non hanno significato ma solo la capacità di distinguere significati, questa caratteristica è chiamata doppia articolazione I sistemi di comunicazione animale sono caratterizzati da un numero finito di segni, le parole di ogni lingua umana invece non costituiscono un insieme finito perché si creano continuamente parole nuove e frasi create sul momento, la ricorsività è il meccanismo che permette di costruire frasi sempre nuove aggiungendo un’altra frase semplice alla frase data (una frase complessa è formata da una frase principale “i ragazzi dicono” e da una frase dipendente “che Maria ha vinto la gara”), il numero delle frasi possibili di qualunque lingua naturale è infinito, esiste un contrasto tra: *competenza-capacità potenziale di produrre frasi di lunghezza infinita *esecuzione-realizzabilità effettiva di tali frasi Perché le scimmie non apprendono il nostro linguaggio? Dobbiamo far riferimento alla differenza tra la nostra anatomia e quella delle scimmie: il nostro apparato fonatorio (insieme di organi che ci permettono di produrre i suoni del nostro linguaggio) è costituito dalla bocca, dal naso e dalle labbra che sono molto diversi da quelli delle scimmie Anni Cinquanta: primo esperimento per insegnare il linguaggio umano alle scimmie che ha trascurato questa importante differenza che ha portato al suo fallimento, le scimmie non parlano perché la loro anatomia non permette loro di produrre i nostri suoni Le scimmie istruite a parlare un linguaggio umano non rivelavano mai la capacità di produrre frasi complesse, mostravano cioè di non possedere la ricorsività, inoltre mentre i bambini sviluppano spontaneamente il loro linguaggio vivendo in una famiglia o in una comunità dove si parla, le scimmie Viviamo in un mondo di atti linguistici e ci sembra del tutto normale parlare una lingua, capire chi ci parla, farci capire ed esprimere ordini, suppliche, minacce, scherzare, riferire etc... Una lingua è un sistema articolato su più livelli e dunque un “sistema di sistemi”, i livelli linguistici sono quello dei suoni (fonologia), quello delle parole (morfologia), quello delle frasi (sintassi) e quello dei significati (semantica), ognuno di questi livelli ha un carattere sistematico nel senso che le unità di ogni livello sono interdipendenti: per esempio a livello dei suoni ogni suono è collegato ad altri per poter parlare La linguistica privilegia la lingua come espressione orale rispetto a quella scritta per i seguenti motivi: 1-esistono e sono esistite lingue che sono o sono state solo parlate e non scritte in quanto non esistono lingue naturali che sono state soltanto scritte ma mai parlate 2-il bambino, quando impara una lingua, impara prima a parlare che a scrivere, inoltre il bambino impara a parlare in modo del tutto naturale mentre per imparare a scrivere necessita di un addestramento specifico 3-le lingue cambiano nel corso del tempo, ma ciò che cambia è la lingua parlata e solo in ritardo la scrittura registra questi cambiamenti, mentre se una lingua è scritta o prevalentemente tende a mantenersi (pensiamo al latino che oggi è una lingua solamente scritta, ebbene è molto difficile che oggi il latino cambi in modi sostanziali in quanto è una lingua ormai fossilizzata) Certo, la lingua scritta è importante, non solo per le opere letterarie ma soprattutto per il funzionamento delle società complesse di oggi, tra scritto e parlato vi è sicuramente “appoggio” e scambio reciproco infatti la lingua scritta “fissa” mentre la lingua parlata offre variazione e novità ASTRATTO-CONCRETO Esistono dispositivi capaci di misurare la natura fisica (altezza, durata) dei suoni, ad esempio, se un parlante ripetesse dodici volte la stessa parola, “mano”, non riuscirebbe mai a produrre due “m” o due “a” identiche in quanto vi sarano sempre delle variazioni, dovremmo concludere quindi che in italiano esistono dodici “a” diverse? Secondo alcuni si! Perchè ogni atto linguistico è un fatto a sè ed irripetibile In realtà, ciò che in una lingua è fondamentale è la capacità distintiva dei suoni e se dico “mano” con dodici “a” diverse, il significato cui alludiamo è sempre lo stesso ma ben diverso è se dico “meno” invece che “mano” dove tra questi due termini esiste una differenza di significato e quindi ciò che è importante è la distinzione tra “a” ed “e” perchè questa distinzione permette di differenziare un grande numero di parole Quindi non si dirà che esistono dodici “a” diverse o dodici “e” diverse perchè non è rilevante, diremo invece che esiste una vocale “a” che si oppone ad una vocale “e” e questa distinzione basta da sola a distinguere moltissime parole Resta vero il fatto che tutte e dodici le “a” in questione sono fisicamente diverse l’una dall’altra ma tale diversità non produce diversità di significato: vi è un livello astratto (che è linguistica perchè si basa sulla distinzione tra parole con significati diversi) dove c’è una sola “a” che si può realizzare in n modi diversi che vanno a costituire il livello concreto (fisico) che dipende da come in quel momento sono atteggiati gli organi della fonazione -Livello atratto /a/ -Livello concreto /a1/ /a2/ /a3/ /an/ LANGUE E PAROLE Ferdinand de Saussure pose alla base del suo “corso di linguistica generale” (opera pubblicata nel 1916) una serie di distinzioni (tra sincornia e diacronia, tra rapporti associativi e rapporti sintagmatici, tra significante e significato) come quello tra langue e parole Quando due individui comunicano, avviene il seguente scambio: il parlante A associa al significato “mano”dei suoni producendo un atto di fonazione, i suoni giungono all’ascoltatore B che gli associa ad un significato, B diventerà poi parlante associando significati a suoni producendo un atto di fonazione che giunge ad A e così di seguito... La parole è un’esecuzione linguistica realizzata da un individuo, è un atto individuale, nel circuito appena descritto A produce dei suoni concreti e produce un atto di parole che è individuale Ma un individuo non possiede tutta la lingua, per esempio tutta la lingua italiana, infatti l’italiano sta al di fuori degli individui, preesiste agli individui e sopravviverà ad essi, vi è quindi una lingua della collettività che è sociale e astratta, questa è la langue, l’individuo può realizzare atti di parole diversi ma non può da solo modificare la langue *Parole- individuale e concreta / *Langue- sociale e astratta Gli atti di parole sono necessari affinchè la langue funzioni, gli esseri umani comunicano attraverso atti di parole, ma il fondamento di questi atti è nella langue ossia il sistema di riferimento collettivo (è collettivamente che si è stabilito che “mano” significhi quel che significa), la parole è attuazione e realizzazione mentre la langue è potenzialità e sistema astratto CODICE E MESSAGGIO Un’altra distinzione è dovuta a Jakobson ossia quella tra codice (livello astratto) e messaggio (livello concreto) Il codice è un insieme di unità e potenzialità ed è astratto, un messaggio viene formato sulla base delle unità fornite dal codice ed è un atto concreto Possiamo dire che a livello di codice esistono unità come (p-n-e-a) e che queste unità astratte possono combinarsi sulla base di determinate regole per formare dei messaggi (pane, pena) o dei non messaggi COMPETENZA ED ESECUZIONE Una terza distinzione è quella tra competenza (livello astratto) ed esecuzione (livello concreto) elaborata da Chomsky La competenza è tutto ciò che l’individuo sa della propria lingua per poter parlare come parla e capire come capisce mentre l’esecuzione è tutto ciò che l’individuo fa linguisticamente, è un atto di realizzazione e dunque concreto *la competenza però nonostante sia astratta come la langue, è profondamente diversa da quest’ultima infatti, la langue è sociale e trascende l’individuo mentre la competenza è individuale ed ha sede nella mente del singolo (la langue è depositata in una comuità linguistica mentre la competenza è la competenza di un singolo parlante) Competenza non significa bravura ma è semplicemente l’insieme delle conoscenze linguistiche che un parlante ha, esistono vari tipi di competenze: Competenza fonologica Un parlante italiano sa conoscere quali suoni appartengono alla propria lingua e quali non, conosce inoltre quali sono le combinazioni dei suoni che formano parole e quali no Un parlante cambia automaticamente il suono se deve fare il plurare (amico- amici da [k] a [tf], cambia automaticamente la posizione dell’accento (da am[i]co ad amich[e]vole), sa la pronuncia delle diverse lettere nelle diverse parole (la s in storia e sdoganare), sa dividere in sillabe e sa identificare l’accento nelle parole Competenza morfologica Un parlante ha anche una competenza relativa alle parole della propria lingua, sa che in italiano le parole terminano generalmente in vocale, sa che due parole in tutto uguali tranne che per l’accento hanno significati diversi (come nel caso di ([a]ncora e anc[o]ra), un parlante conosce anche il vocabolario della propria lingua e sa riconoscere quali parole appartengono alla propria lingua Un parlante sa formare nuove parole infatti i parlanti sanno che a partire da parole semplici si possono formare parole complesse (da collocare possono formare collocamento), un parlante sa anche che a partire da un verbo (camminare) si possono formare molte forme flesse (camminata) *per esempio: la “n” di ancora è foneticamente diversa dalla “n” di anfora in quanto la prima è un suono velare (seguita da una velare [k]) mentre la seconda è un suono labiodentale (seguita da una labiodentale [f]) Questi rapporti vengono definiti sintagmatici e si hanno tra elementi che sono in-praesentia, ossia co-presenti Si consideri una parola come “stolto”, tra la [s] e la vocale [o] compare un suono [t] ma al posto di questo suono possono comparire altri suoni nello stesso contesto, ebbene tutti i suoni che possono comparire in un certo contesto intrattengono tra loro dei rapporti di tipo paradigmatico o “associativo”, ma sono rapporti in absentia come diceva Saussure, se realizzo [t] non posso realizzare gli altri *le desinenze intrattengono tra loro rapporto paradigmatici perchè se ne realizzo una escludiamo tutte le altre, le desinenze vanno a formare un paradigma Possiamo dire che qualsiasi unità intrattiene rapporto sintagmatici con le forme vicine ma intrattiene rapporti paradigmatici con le unità assenti che avrebbero potuto essere realizzate in quel contesto SINCRONIA E DIACRONIA Le lingue possono cambiare nel corso del tempo, si pensi ad alcuni cambiamenti dal latino all’italiano: le consonanti finali di ogni parola sono cadute, è caduto il sistema dei casi ed è stato sostituito da un sistema di articoli e preposizioni, infine l’ordine della frase SOV (latino) è diventato SVO (italiano), lo studio del cambiamento linguistico è detto diacronico ossia lo studio di un fenomeno attraverso il tempo Una lingua può essere studiata anche escludendo il fattore tempo, come quando studiamo come funziona l’accordo tra nome e aggettivo in italiano senza ricorrere alla variabile tempo, qui facciamo uno studio sincronico, quindi un fenomeno sincronico è un rapporto tra elementi simultanei, un fenomeno diacronico è la sostituzione di un elemento con un altro nel corso del tempo Il segno linguistico Una parola è un segno (anche una frase è un segno per quanto complesso), un segno è un’unione tra un significato e un significante, se diciamo la parola “libro”, il significante è la forma sonora che noi realizziamo dicendo “libro” (o la forma grafica se stiamo scrivendo) mentre il significato è la rappresentazione mentale che abbiamo di “libro” quindi il concetto di “libro” Il segno ha varie proprietà: -la distintività (il segno “notte” si distingue dal segno “botte”) -la linearità (il segno si estende nel tempo se è orale e nello spazio se è scritto) -l’arbitrarietà (il segno è arbitrario nel senso che non esiste nessuna legge di natura che imponga di associare al significante “libro” il significato “libro”, infatti al medesimo significato corrispondono diversi significani di diverse lingue (book), quindi possiamo dire che l’associazione tra significante e significato deriva da una specie di “accordo sociale” convenzionale, quindi per convenzione e non per una legge naturale) I segni possono essere sia linguistici che non linguistici (come un cartello stradale), la differenza sta nel fatto che i primi sono lineari mentre i secondi non lineari La disciplina che studia i segni linguistici è ovviamente la linguistica, la disciplina che studia i segni in generale è la semiologia o semiotica Le funzioni della lingua Secondo Jakobson, le componenti necessarie per un atto di comunicazione linguistica sono sei: il parlante, ciò di cui si parla (referente), il messaggio, il canale attraverso cui passa la comunicazione, il codice e l’ascoltatore *il referente è ciò cui l’atto linguistico rimanda perciò la realtà extralinguistica *il canale di norma è l’aria ma può essere anche una linea telefonica 1) Funzione emotiva (o espressiva) = è quella che riguarda il parlante quando il parlante esprime stati d’animo, quando il parlare è più inteso ad esprimere piuttosto che a comunicare qualcosa a terzi 2) Funzione referenziale = è una funzione informativa, neutra come dire “il treno parte alle sei” quindi un messaggio che il parlante invia all’ascoltatore per informarlo su un fatto 3) Funzione fàtica = quando vogliamo controllare se il canale è aperto e funziona regolarmente (mi senti? Ci sei?) 4) Funzione metalinguistica = quando il codice viene usato per parlare del codice stesso (per esempio la grammatica realizza pienamente tale funzione, quando si usa una lingua X per parlare della lingua X) 5) Funzione poetica = quando il messaggio che il parlante invia all’ascoltatore è costruito in modo tale da costringere l’ascoltatore a tornare sul messaggio stesso per poterlo decifrare 6) Funzione conativa (o direttiva) = si realizza sotto forma di comando o di esortazione rivolti all’ascoltatore perchè modifichi il suo comportamento (i galatei con le loro prescrizioni realizzano pienamente tale funzione) *in un manuale di grammatica convivono funzioni metalinguistiche (il participio passato di amare è amato), funzioni conative (non si dice pomidori ma si dice pomodoro) o fàtiche (chi ci ha seguito fin qui) *un manuale di scuolaguida realizzerà funzioni referenziali (i cartelli rotondi rossi indicano divieti) e conative (col rosso non si passa) *la Divina Commedia realizza la funzione emotiva o poetica *il codice penale realizza la funzione conativa Lingua e dialetti In Italia si parla una lingua ufficiale che chiameremo “italiano standard” ma si parla anche una quantità innumerevole di dialetti, in realtà non esiste un italiano unico per tutto il paese infatti un milanese parlerà un italiano sensibilmente diverso da un napoletano, possiamo dire quindi che esistono tre grandi italiani regionali (quello del nord, del centro e del sud) Ogni lingua è stratificata sia socialmente che geograficamente nel seguente modo: 1) Italiano scritto = la forma più austera/rigida della lingua, in cui sono scritte le leggi della Repubblica e i temi in classe 2) Italiano parlato formale = la forma che usiamo nelle occasioni formali come può essere un esame oppure quando ci rivolgiamo a dei superiori, è una forma molto controllata usando la quale cerchiamo le parole più alte e le costruzioni frasali più elaborate, caratterizzata da velocità moderata con articolazioni nette dei suoni 3) Italiano parlato informale = la forma che utilizziamo nelle situazioni non conrollate (in famiglia o con gli amici), un italiano parlato spontaneamente, piuttosto rapido e forse un pò trascurato che conterrà diversi “regionalismi” 4) Italiano regionale 5) Dialetto di Koinè = che identifica grossomodo una regione dialettale 6) Dialetto del capoluogo di provincia = per esempio il dialetto che si parla a Napoli 7) Dialetto locale = ossia la forma più stretta di dialetto che si parla nei quartieri di una città *dunque in uno stesso luogo possono coesistere diversi registri linguistici ed i parlanti possono anche passare dall’uno all’altro tramite il cosiddetto code switching È importante sottolineare che un dialetto è un sistema linguistico a tutti gli effetti, non è un codice secondario, ridotto, imperfetto, ogni diletto è costituito come tutte le lingue del mondo da suoni, parole, frasi e significati e dunque la differenza di importanza tra una lingua e un dialetto non è una differenza linguistica bensì socioculturale Pregiudizi linguistici Le lingue sono spesso oggetto di diversi pregiudizi, come l’idea che vi siano (o siano state) lingue “primitive” nel senso di lingue con sistemi fonologici, -inglese (1 miliardo) -hindi [India]+urdu [Pakistan](900 milioni) -spagnolo (450 milioni) -russo (320 milioni) -bengali [Bangladesh] (250 milioni) -arabo (250 milioni) -portoghese (200 milioni) -maleo/indonesiano (160 milioni) -giapponese (145 milioni) -francese e tedesco (125 milioni ciascuna) *l’italiano appartiene all’ordine di grandezza 7 (più di dieci milioni di parlanti e meno di cento milioni), infatti all’italiano sono attribuiti 70 milioni di parlanti (tra Italia, Svizzera, italiani emigrati in Canada, Stati Uniti, Argentina e Brasile), dobbiamo considerare che per arrivare al numero di 70 milioni di parlanti si è ipotizzato che tutti i cittadini italiani parlino, o almeno comprendino, l’italiano ma questo è discutibile perchè esiste ancora un buon numero di italiani, soprattutto tra quelli di età più avanzata, che parla solo il proprio dialetto e che forse ha difficoltà non solo a parlare ma anche a comprendere l’italiano Classificare le lingue in base al numero dei parlanti, per quanto certamente importante dal punto di vista sociopolitico, non è particolarmente significativo dal punto di vista linguistico: da questo punto di vista una lingua come l’inglese, o come il Matukar Panau o una lingua morta sono esattamente equivalenti Alcune lingue sono più vicine ad alcune che a certe altre, come si fa a stabilire questa vicinanza, questa relazione? Esistono tre modalità possibili di classificazione, esse sono denominate rispettivamente genealogica, tipologica e areale, queste tre classificazioni forniscono in certi casi risultati differenti, per esempio: -dal punto di vista genealogico l’italiano e l’inglese sono raggruppati insieme -dal punto di vista tipoligico l’inglese ha caratteristiche che lo avvicinano più al giapponese che all’italiano -dal punto di vista areale, il giapponese e il cinese possono essere raggruppati insieme ma non dal punto di vista genealogico Raggruppamento genealogico Si dice che due lingue fanno parte dello stesso raggruppamento genealogico se esse derivano dalla medesima lingua originaria o lingua madre (da non confondersi con “madrelingua” ossia la lingua che ognuno di noi ha acquisito per prima nella sua infanzia) *un caso di lingue genealogicamente apparentate è quello delle lingue romanze o neolatine (italiano, francese, spagnolo, portoghese, romeno e altre) che derivano tutte dalla medesima lingua madre ossia il latino A loro volta le lingue romanze fanno parte di un’unità genealogica più ampia, quella delle lingue indoeuropee che costituiscono una famiglia linguistica, la famiglia rappresenta l’unità genealogica massima e se due lingue non appartengono alla stessa famiglia esse non sono genealogicamente apparentate *le unità genealogiche di livello inferiore rispetto alla famiglia sono chiamate gruppi (o classi) che a loro volta si articolano in sottogruppi o rami, quindi l’inglese e l’italiano fanno parte della famiglia indoeuropea ma appartengono a due gruppi distinti Raggruppamento tipologico Si dice che due lingue sono tipologicamente correlate se esse manifestano una o più caratteristiche comuni, quindi visto che l’inglese e il cinese manifestano alcune caratteristiche comuni, possono essere considerate tipologicamente correlate La classificazione tipologica è molto più complessa rispetto a quella genealogica, inoltre c’è da tener conto del fatto che una lingua può essere tipologicamente correlata ad un’altra per quanto riguarda determinate caratteristiche e tipologicamente correlata ad un’altra per quanto riguarda altre caratteristiche, infine due lingue tipologicamente correlate (come l’inglese e il cinese) possono anche non essere genealogicamente parenti (sempre come inglese e cinese) Raggruppamento areale Qui è il caso di lingue genealogicamente irrelate, oppure solo lontane parenti, ma che hanno sviluppato alcune caratteristiche strutturali comuni in quanto sono parlate in una stessa area geografica Le lingue in questione si dice che formano una lega linguistica, inglese e cinese anche non essendo genealogicamente legate, hanno maturato alcune caratteristiche comuni grazie ai contatti tra la cultura inglese e quella cinese Un altro caso di lega linguistica riguarda le lingue balcaniche ossia quelle parlate nella penisola balcanica, queste lingue sono lontani parenti dal punto di vista genealogico in quanto tutte indoeuropee ma appartenenti a gruppi diversi (il serbo-croato, il bulgaro e il macedone appartengono al gruppo slavo, il romeno appartiene al gruppo romanzo mentre l’albanese e il neogreco formano gruppi a sè stanti), ciò nonostante presentano delle caratteristiche comuni come “assenza dell’infinito” (voglio che mangio invece di voglio mangiare) e il fenomeno “articolo posposto” (casa la invece che la casa) CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA: FAMIGLIE LINGUISTICHE Due lingue sono genealogicamente parenti quando derivano da una stessa lingua originaria detta anche lingua madre, ad esempio le lingue romanze derivano dal latino *Dante invece sostenne che provenzale, francese e italiano derivano da un’unica lingua ma questa non poteva essere il latino, che egli non considerava una lingua naturale ma una lingua costruita artificialmente “grammaticale” Le famiglie linguistiche più studiate sono: -la famiglia indoeuropea -la famiglia afro asiatica (comprende lingue parlate in un’area che comprende l’Africa settentrionale, il Medio Oriente e parte dell’Africa orientale come l’egiziano antico, l’arabo e l’ebraico) -la famiglia uralica (comprende lingue parlate in Europa orientale e nell’Asia centrale e settentrionale come il finlandese o finnico, l’estone e l’ungherese) -la famiglia sino tibetana (comprende lingue come il cinese-mandarino, il tibetano e il lolo-birmano) -la famiglia nigerkordofaniana (comprende lingue parlate nelle nazioni africane poste a sud del Sahara, la lingua bantu più diffusa è il swahili) -la famiglia altaica (comprende lingue dell’Asia centrale come il mongolo e dell’Asia minore come il turco) -la famiglia dravidica (comprende lingue parlate nella parte meridionale dell’India come il tamil e il telugu) -la famiglia austro asiatica (comprende il khmer e il vietnamita) -la famiglia austronesiana (comprende la lingua del Madagascar ossia il malgascio e le lingue dell’Indonesia come il bahasa e le lingue delle isole del Pacifico orientale) Vi sono poi famiglie linguistiche minori come: -le lingue degli indiani d’america o amerindiane Vi sono poi delle lingue isolate di cui non è dimostrabile la parentela con altre: -in Europa il basco (usata prevalentemente in Spagna e Francia) -in Asia il giapponese e il coreano Vi sono poi famiglie che appartengono ad un’unica famiglia: In questo tipo, ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni grammaticali che devono essere indicate (ogni affisso esprime una relazione grammaticale) *il turco è un tipico esempio di lingua agglutinante Ad esempio, nel turco, data una parola si possono aggiungere il suffisso indicante il plurale e dopo un suffisso indicante i casi diversi dal nominativo Tipo flessivo Spesso un solo suffisso, contrariamente a quanto visto in turco, esprime più relazioni grammaticali (il latino, il greco, il sanscrito e l’italiano e la maggior parte delle lingue indoeuropee appartengono a tale tipo) Ad esempio, la parola latina avis ha un unico suffisso -ibus che esprime contemporaneamente i significati “ablativo” e “plurale” (in turco ciascuno di questi due significati è espresso da un suffisso autonomo), si noti ancora che in latino lo stesso suffisso esprime il significato di “ablativo” ma anche di “dativo” (nozioni espresse in turco da due suffissi diversi) Un’altra caratteristica delle lingue flessive è quella di poter indicare le diverse funzioni grammaticali mediante la variazione della vocale radicale della parola (per esempio in italiano “faccio” rispetto a “feci” oppure in inglese “sing” rispetto a “sang”), questo fenomeno prende il nome di flessione interna ed è molto diffuso nelle lingue indoeuropee e in quelle semitiche come l’arabo Nelle lingue semitiche come l’arabo, la flessione interna non si applica solo a un numero limitato di verbi, ma è un procedimento regolare e produttivo, per questo motivo si parla talvolta di un tipo introflessivo In italiano sono possibili anche altre forme di passato oltre a “feci” come “ho fatto” e per questo possiamo differenziare il sottotipo analitico (realizza le relazioni grammaticali anche mediante più parole) e il sottotipo sintetico (concentra tale espressione in una sola parola) Tipo polisintetico o incorporante Si tratta di lingue dove una sola parola può esprimere tutte le relazioni che in italiano sono espresse da un’intera frase (come nel caso in cui l’oggetto del verbo viene anteposto al verbo stesso formando un’unica parola complessa) *pensiamo al caso dell’inglese, abbiamo detto che presenta caratteristiche delle lingue isolanti, presenta anche fenomeni flessione interna e aspetti proprie delle lingue flessive, aspetti delle lingue agglutinanti e infine fenomeni che ricordano quelle incorporanti, da questo possiamo dedurre che non troveremo probabilmente mai nessuna lingua che sia solo isolante, solo agglutinante, solo flessiva o solo incorporante, quindi possiamo concludere che “non esistono tipi puri” *riguardo all’italiano possiamo dire che è prevalentemente una lingua flessiva, vi sono però fenomeni isolanti (come nomi che non variano per il genere “artista” o per il numero come “città”), fenomeni agglutinanti (parole con il suffisso -mente), fenomeni introflessivi (vedo-vidi) e molto parzialmente fenomeni incorporanti (pescivendolo) Tipologia sintattica Si è sviluppata notevolmente grazie all’impulso del linguista americano Joseph Greenberg, essa si basa sull’osservazione che esistono correlazioni sistematiche, tra tutte le lingue, tra l’ordine delle parole nella frase e per questo chiamata anche tipologia “dell’ordine delle parole” Le combinazioni sintattiche che vengono analizzate sono: 1) La presenza in una data lingua di preposizioni (Pr) oppure di posposizioni (Po), una lingua che fa uso di posposizioni piuttosto che di preposizioni è il giapponese 2) La posizioni del verbo (V) rispetto al soggetto (S) e l’oggetto (O) nella frase dichiarativa (i tipi di ordine dominanti sono SVO, SOV e VSO) 3) In certe lingue prevale l’ordine AN (aggettivo-nome, come in inglese “white horse”) mentre in altre l’ordine NA (nome-aggettivo, come in italiano “cavallo bianco”) 4) L’ordine del complemento di specificazione (chiamato anche “genitivo” G) rispetto al nome (N), in giapponese l’ordine è GN (genitivo+nome) mentre in italiano l’ordine è NG (nome+genitivo) In generale queste correlazioni sistematiche possono essere riassunte come segue: a-VSO/ Pr/ NG/ NA b-SVO/ Pr/ NG/ NA c-SOV/ Po/ GN/ AN d-SOV/ Po/ GN/ NA a) Se una lingua presenta l’ordine VSO, allora essa usa preposizioni, colloca il genitivo dopo il nome e l’aggettivo dopo il nome b) Se una lingua presenta l’ordine SVO, allora usa preposizioni, colloca il genitivo dopo il nome e l’aggettivo dopo il nome c) Se una lingua presenta l’ordine SOV, allora usa posposizioni, colloca il genitivo prima del nome e l’aggettivo prima del nome d) Se una lingua presenta l’ordine SOV, allora usa posposizioni, colloca il genitivo prima del nome e l’aggettivo dopo il nome *a- la maggior parte delle lingue semitiche (arabo ed ebraico) e tra le lingue indoeuropee, le lingue celtiche *b- Le lingue romanze *c- Il giapponese e le lingue altaiche *d- Il basco Le formule sopra riportate si possono parafrasare mediante la forma “se... allora”, cioè quella che i logici chiamano un’implicazione, per questo tali formule sono state chiamate universali implicazionali Sembrerebbe di poter concludere che la differenza tipologica fondamentale è l’ordine VO oppure OV, le lingue VO sono preposizionali e collocano tanto il genitivo quanto l’aggettivo dopo il nome, le lingue OV sono posposizionali e collocano tanto il genitivo quanto l’aggettivo prima del nome, abbiamo detto però “sembrerebbe” perchè non funziona sempre così, infatti lingue che pur essendo OV collocano l’aggettivo dopo il nome *non tutte le lingue rientrano negli schemi SISTEMI DI SCRITTURA I più antichi sistemi di scrittura (quelli elaborati nell’Egitto antico e nella Mesopotamia antica) risalgono a cinquemila anni fa -I primi sistemi di scrittura elaborati dagli antichi egizi e dalla popolazione dei sumeri stanziata in Mesopotamia sono del tipo cosiddetto ideografico o per meglio dire logografico (un tipo di scrittura ideografica è utilizzata ancora in diverse lingue importanti come il cinese e il giapponese), nel tipo ideografico ogni simbolo o “ideogramma” corrisponde a un concetto concreto o astratto -Nei sistemi sillabici, determinati segni passarono a indicare determinati gruppi di suoni, ossia determinate sillabe -(I Fenici furono la popolazione che trasmise l’idea dell’alfabeto ai Greci con cui erano in stretto contatto commerciale), i sistemi alfabetici sono caratterizzati da un principio che potremmo chiamare “a ogni suono corrisponde un segno” *se in una casella vi sono due suoni, per convenzione il suono a sinistra rappresenta il suono sordo, quello a destra rappresenta il suono sonoro, mentre se in una casella vi è un solo suono allora si tratta di un suono sonoro -sono dunque consonanti sorde [f, t, s, k, ts, t, tf] -sono dunque consonanti sonore [b, d, g, v, z, dz, m, n, /n, λ, l, r, j, w] Consonanti dell’italiano Secondo i diversi modi di articolazione: 1) Occlusive= il suono è prodotto tramite una occlusione momentanea dell’aria cui fa seguito una specie di esplosione, sono dette anche “momentanee” o “esplosive” [p, b, t, d, k, g] 2) Fricative= l’aria deve passare attraverso una fessura piuttosto stretta producendo così una certa frizione, a differenza delle occlusive, le fricative sono suoni che si possono prolungare nel tempo e dunque si chiamano anche “continue” [f, v, s, z, ∫] 3) Affricate= sono suoni che iniziano con un’articolazione di tipo occlusivo e terminano con un’articolazione di tipo fricativo [ts, dz, tf, d3] 4) Nasali= il velo palatino si posiziona in modo tale da far passare l’aria attraverso la cavità nasale [m, m/, n, /n, n/] 5) Laterali= la lingua si posiziona contro i denti e l’aria fuoriesce dai due lati della lingua stessa, l’italiano ha due laterali [l] che è una liquida laterale dentale e [y↓] che è una liquida laterale paletale (in questo case il dorso della lingua si avvicina al palato) 6) Vibranti= la produzione di un suono vibrante avviene mediante vibrazione o dell’apice della lingua e dell’ugola, l’italiano ha un’unica vibrante [r] che essendo realizzata tramite più vibrazioni è detta “polivibrante” 7) Approssimanti= gli organi articolatori vengono avvicinati ma senza contatto, sono le semiconsonanti [j] e [w], in italiano [i] e [u] sono semiconsonanti quando sono seguite da una vocale tonica (piede) mentre sono semivocali quando seguono una vocale tonica (pausa) L’italiano utilizza sette punti di articolazione: 1) Bilabiali= il suono è prodotto tramite l’occlusione ossia la chiusura di entrambe le labbra [p, b, m] 2) Labiodentali= il suono deve attraversare una fessura che si forma appoggiando gli incisivi superiori al labbro inferiore [f, v] 3) Dentali= la parte anteriore della lingua (la lamina) tocca la parte interna degli incisivi [t, d] 4) Alveolari= la lamina della lingua si avvicina senza toccare gli alveoli (gengiva interna) per suoni come [s, z, ts, dz] e tocca gli alveoli per suoni come [n, l] 5) Palato alveorali= la lamina della lingua si avvicina agli alveoli ed ha il corpo arcuato [∫] “scemo”, [t∫] “accento”, [d3] “gente” 6) Palatali (o anteriori)= suoni prodotti con la lingua che si avvicina al palato [/n, λ, j] 7) Velari (o posteriori)= suoni prodotti con la lingua che tocca il velo palatino [k, g, w] Vocali dell’italiano I parametri per classificare le vocali sono l’altezza della lingua (se la lingua si alza o si abbassa verso il palato), l’avanzamento o l’arretramento della lingua, l’arrotondamento o meno delle labbra e la realizzazione di questi movimenti in modo teso o rilassato -se la lingua assume una posizione alta si produrranno suoni come [i] e [u] -se la lingua assume una posizione bassa si produrranno suoni come [a] -se la lingua assume una posizione avanzata si produrranno suonu come [i] o [e] -se la lingua assume una posizione arretrata si produrranno suoni come [u] o [o] -se le labbra sono arrotondante si produrranno vocali come [u] o [o] -se le labbra non sono arrotondate si produrranno vocali come [i] o [e] *in italiano le vocali [e] e [o] possono essere sia semi aperte che semi chiuse e vi è una sola [a] Le vocali alte e medio-alte sono dette anche chiuse e semichiuse rispettivamente, quelle medio-basse e basse sono dette anche semiaperte ed aperte rispettivamente TRASCRIZIONE FONETICA I suoni possono essere semplici [t, d, k, tf, dz] o geminati [tt, dd, kk, tftf, dzdz], la lunghezza si indica con un segno simile ai due punti e dunque gli stessi suoni possono essere trascritti come [t:, d:, k:, t:f, d:z] *negli ultimi due casi marcheremo la lunghezza dopo il primo simbolo [t:f], [d:z] e non dopo il secondo [tf:], [dz:] Il simbolo IPA per l’accento è [ ‘ ] e si colloca prima della sillaba accentata, e dunque parole come casa, lampione, intimità si trascriveranno nel modo seguente: [‘kaza], [lam’pjone], [intimi’tà], sui monosillabi come [ma], [se] l’accento può anche non essere segnato Si ricordi anche che in IPA non esistono maiuscole e dunque Carlotta si trascriverà come [kar’lo(aperta)t:a] e dato che non si segnano neanche gli apostrofi “l’amico” si trascriverà come [la’miko] Esempio di trascrizione fonetica: Confini Nelle trascrizioni può essere importante indicare vari tipi di confine: quello di sillaba, quello di morfema e quello di parola Il morfema è l’unità più piccola dotata di significato in una lingua e dunque parole come “veloce-mente” sono costituite da due morfemi mentre parole come “in-abil-ità” sono costituite da tre morfemi -il confine di sillaba viene di norma rappresentato con un punto [.] come “ot.to.bre” -il confine di morfema è rappresentato di norma con il simbolo [+] come “veloce+mente” -il confine di parola viene rappresentato di norma con il simbolo [#] come “#ottobre#” FONETICA E FONOLOGIA Mentre la fonetica si occupa dell’aspetto fisico dei suoni (o foni), la fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni (o fonemi), l’unità di studio della fonetica è dunque il fono mentre l’unità di studio della fonologia è il fonema In particolare la fonologia cerca di scoprire : -quali sono i fonemi di una determinata lingua e se a una differenza di suono corrisponde una differenza di significato -come i suoni si combinano insieme e quali combinazioni sono ammesse e quali non ammesse -come i suoni si modificano in combinazione Contesto Un suono ha una sua distribuzione, in altre parole alcuni tipi di contesti o di posizioni in cui può comparire Per esempio [r] in italiano può comparire all’inizio di parola prima di vocale (rana) Per esempio [r] in italiano non può comparire all’inizio di parola prima di consonante (lo stesso suono non può comparire in altri contesti) *classi di suono simili hanno distribuzioni simili, per esempio le occlusive hanno una distribuzione simile tra loro e diversa dalle liquide ad esempio Foni e fonemi Tra i suoni che l’apparato fonatorio può produrre, ogni lingua ne sceglie un certo numero che usa nel linguaggio articolato, questi suoni saranno allora detti foni, cioè suoni/rumori del linguaggio articolato che hanno valore linguistico quando sono distintivi ossia quando contribuiscono a differenziare dei significati *ad esempio [p] e [t] contribuiscono a formare delle coppie minime ossia coppie di parole che si differenziano solo per un suono nella stessa posizione (premo-tremo) Due foni che abbiani valore distintivo sono detti fonemi, un fonema è un segmento fonico che ha funzione distintiva che non può essere scomposto in una serie di segmenti di cui ciascuno abbia una tale funzione Il fonema è un’unità astratta che si realizza in foni, i fonemi vengono rappresentati tra barre oblique (per es. /t/) mentre i foni vengono rappresentati tra parentesi quadre (per es. [t]) *il fonema è un’unità che si colloca ad un livello astratto e dunque a livello di langue (o di competenza), i foni si collocano ad un livello concreto e dunque a livello di parole (o di esecuzione) Opposizioni fonologiche I fonemi di una lingua intrattengono tra loro dei rapporti di opposizione, una /b/ funziona in quanto si oppone e si distingue da /p/ e da /k/ dando luogo a dei contrasti (bare, pare, care), le opposizioni fonologiche sono state studuate dal linguista Trubeckoj Opposizione bilaterale Un’opposizione è bilaterale quando la base di comparazione è propria solo dei membri dell’opposizione (la base di comparazione è la parte uguale di due fonemi) /p/- occlusiva bilabiale sorda /b/- occlusiva bilabiale sonora Questa opposizione è bilaterale perchè la base di comparazione (occlusiva bilabiale) è propria solo di questi due fonemi (non ci sono altri fonemi occlusivi bilabiali nel sistema italiano) Opposizione multilaterale /p/- occlusiva bilabiale sorda /k/- occlusiva velare sorda Questa opposizione è multilaterale date che c’è in italiano almeno un’altra occlusiva sorda /t/ (in questo caso la base di comparazione è “occlusiva sorda”) *due fonemi accomunati da un’opposizione bilaterale sono in qualche modo più vicini ossia si comportano in modo più simile rispetto a due fonemi che fanno parte di un’opposizione multilaterale Opposizioni privative o non privative Questo tipo di opposizione riguarda quelle coppie di fonemi in cui si potrebbe dire che un fonema ha le proprietà X e l’altro fonema ha tutte le proprietà X più un’altra proprietà Si consideri ancora la coppia /p/-/b/, si potrebbe dire che /p/ è priva della sonorità e che /b/ ha tutto quello che ha /p/ più la sonorità, scriveremo: /p/- occlusiva bilabiale non sonora /b/- occlusiva bilabiale sonora *il termine dell’opposizione che ha la proprietà in più è detto “marcato” (/b/) Opposizione equipollente L’opposizione /p/-/k/ non è privativa ma equipollente perchè la bilabialità di /p/ equivale alla velarità di /k/ in quanto entrambe sorde Opposizioni costanti e neutralizzabili Le opposizioni costanti sono opposizioni che funzionano in tutti i contesti, mentre quelle neutralizzabili sono caratterizzate dal fatto che in certi contesti non funzionano TRATTI DISTINTIVI Le opposizioni privative hanno costituito la base per lo sviluppo di una teoria fonologica nota con il nome binarismo dovuta a Roman Jakobson, secondo questa teoria ogni elemento linguistico si differenzia dagli altri per una serie di scelte binarie (di tipo si/no o +/-) CONSONANTI -[sillabico]: sono i fonemi che possono fungere da nucleo sillabico -[consonantico]: sono i fonemi la cui realizzazione implica un’ostruzione dell’aria -[sonorante]: sono i fonemi per la cui produzione l’aria fuoriesce dall’apparato vocale piuttosto liberamente (come le vocali, mentre le consonanti sono dette ostruenti) -[sonoro]: sono i suoni prodotti con vibrazione delle corde vocali -[continuo]: sono i suoni la cui articolazione può essere protratta nel tempo -[nasale]: sono i suoni prodotti con il velo palatino abbassato e l’aria fuoriesce attraverso la cavità nasale -[stridente]: suoni la cui produzione comporta una frizione dovuta all’attrito del flusso d’aria -[laterale]: il flusso d’aria supera l’ostacolo (la lingua) dai due lati -[anteriore]: suoni prodotti con un’ostruzione situata nella regione alveolare o davanti ad essa -[rilascio ritardato]: sono suoni che iniziano con un’articolazione occlusiva e terminano con un’articolazione fricativa -[coronale]: suoni prodotti con la parte anteriore della lingua (corona) sollevata al di sopra della sua posizione neutra VOCALI -[arrotondato]: suoni prodotti con un arrotondamento delle labbra -[alto]: suoni prodotti con la lingua in posizione più alta -[basso]: suoni prodotti con la lingua in posizione più bassa -[arretrato]: suoni prodotti con il corpo della lingua arretrato rispetto alla posizione di riposo REGOLE FONOLOGICHE Una regola fonologica è unìistruzione a cambiare una data unità con un’altra unità in un determinato contesto, tipicamente queste regole hanno la seguente forma: A B/__C: che si legge “A diventa B nel contesto C” Possiamo fare un altro esempio come l’alternanza “amico/amici” ossia il passaggio da [amiko] a [amitfi] dove la consonante velare sorda [k] diventa foni agglomerati intorno a un picco di intensità (nella parola “patata” ad ogni picco corrisponde una sillaba [pa.ta.ta]) La sillaba è costituita, in italiano, da una vocale che rappresenta il nucleo sillabico (che può essere costituito da un dittondo ossia da una coppia di vocali come “piede”, il nucleo può essere preceduto da un attaco (che può essere costituito da una o più consonanti) e seguito da una coda, nucleo più coda costituiscono la rima (la sillaba costituita da un attacco sillabico e da un nucleo vocalico, consonante + vocale CV, sembra essere il tipo di sillaba più diffuso e comune a tutte le lingue) *La sillaba è rappresentata con il segno σ -Una sillaba può essere aperta/libera se è priva di coda e finisce dunque in vocale (piede) -Una sillaba è chiusa/implicata se possiede una coda quindi finisce per consonante e non per vocale (con) Il componente obbligatoriamente presente in una sillaba è il nucleo, in italiano attacco e coda possono anche non esserci, nella cosiddetta aplologia (cancellazione di sillaba) la regola tiene conto solo dell’attacco della sillabico (si cancelli la sillaba finale di una parola che precede un’altra parola che inizia con una sillaba con attacco uguale) Fatti SOPRASEGMENTALI La parola [kane] è costituita da quattro fonemi (/k/,/a/,/n/,/e/), vi sono però fenomeni fonologici che non possono essere attribuiti ad un segmento o che lo oltrepassano e sono detti soprasegmentali tra questi troviamo la lunghezza, l’accento, l’intonazione e il tono Lunghezza La lunghezza è relativa alla durata temporale con cui vengono realizzati i suoni, infatti non tutti i suoni hanno la stessa durata -di norma le vocali alte (i, u) sono più brevi delle vocale basse (a) -di norma una fricativa sonora (z) è più lunga di una occlusiva sorda (p) -di norma una vocale tonica (con accento) è più lunga di una vocale atona (senza accento), infatti se confrontiamo le due “a” di [kaza] la prima è più lunga della seconda In italiano, la lunghezza vocalica non è distintiva infatti non esistono due parole diverse che si differenziano solo per la presenza di una vocale lunga o breve, in italiano invece è la lunghezza consonantica ad essere distintiva come nei seguenti casi: -fato/fatto -pale/palle -pena/penna -caro/carro Accento L’accento è una proprietà delle sillabe e non di singoli segmenti, una sillaba tonica è più prominente rispetto a una sillaba atona perchè è realizzata con maggiore forza e intensità Possiamo considerare l’accento come un fonema di tipo speciale, in italiano l’accento non è prevedibile su basi esclusivamente fonologiche, non vi è una regola per prevedere dove comparirà l’accento (infatti su una parola di tre sillabe può essere sulla prima o sulla seconda o sulla terza sillaba) Solo nelle lingue con accento non fisso, l’accento può avere funzione distintiva, in italiano (come in inglese) l’accento è libero e può dar luogo a coppie minime pensiamo al caso [‘ankora] e [an’kora ] (l’accento [‘] va inserito prima della sillaba contenente vocale tonica e non prima della vocale accentata) Una parola può anche avere più di un solo accento, per esempio in capostazione vi è un accento primario sulla “o” di stazione e un accento secondario sulla “a” di capo Intonazione L’altezza dei suoni non è uniforme, ci sono dei picchi e degli avvallamenti che producono un effetto percettivo di tipo melodico che è quello che si chiama intonazione (chiamato anche melodia o curva melodica) -Pierfrancesco diverte gli amici con le sue storie incredibili (dichiarativa) -diverte gli amici con le sue storie incredibili Pierfrancesco? (interrogativa) Dobbiamo notare che le dichiarative hanno una curva melodica con andamento finale discendente, mentre le interrogative hanno un andamento finale ascendente In italiano è possibile formare le interrogative solo attraverso l’intonazione “Pierfrancesco [pausa] diverte gli amici con le sue storie incredibili?” Tono Una sillaba può essere pronunciata con altezze di suono diverse (ogni parola può essere realizzata con una pronuncia molto bassa oppure con una alta), in italiano però a queste due differenti pronuncie non corrisponde un cambiamento di significato Vi sono lingue invece dove a differenza di altezza di pronuncia corrispondono variazioni di significato, queste lingue sono dette tonali o “a tono”, come lo è il cinese mandarino (in questa lingua, la stessa sillaba può essere pronunciata con quattro toni diversi e ad ogni realizzazione corrisponde un significato diverso) Si osservi che sbagliare un tono in una lingua tonale è come sbagliare una consonante in una lingua non tonale (come dire “dune” invece che “fune”), le lingue tonali sono molto numerose e si raggruppano in tre grandi aree linguistiche, le lingue amerindie, la maggior parte delle lingue africane e quasi tutte le lingue della famiglia sino-tibetana Linguistica: Capitolo 5 (MORFOLOGIA) Lo studio delle parole e delle varie forme che la parola può assumere è la morfologia Le parole (che rappresenteremo tra parentesi quadre) possono essere semplici [capo] o complesse, le parole complesse sono le parole derivate (che possono essere prefissate [ex-capo] o suffissate [capetto] e le parole composte [capostazione] sentire senti sent i Classi di parole Le parole di un discorso sono state tradizionalmente raggruppate in classi o parti del discorso, dette anche categorie lessicali Le parti del discorso sono il nome, il verbo, l’aggettivo, il pronome, l’articolo, la preposizione (di, a, da...), l’avverbio, la congiunzione (ma, o, e...) e l’interiezione (ahi!, ehi!) Alcune parti del discorso assumono delle desinenze diverse a seconda delle altre parole con cui si combinano (l’uomo cammina ma gli uomini camminano), le classi di parole che assumono forme diverse sono dette parti del discorso variabili (nome, verbo, aggettivo, articolo, pronome), le altre parti del discorso sono dette invariabili (avverbi, preposizioni, congiunzioni, interiezioni) Un’altra distinzione è quella tra classi di parole aperte e chiuse, le prime sono quelle a cui si possono sempre aggiungere nuovi membri, le seconde quelle formate da un numero finito di membri che non può essere aumentato -nomi, verbi, aggettivi e avverbi sono classi aperte -articoli, pronomi, preposizioni e congiunzioni sono classi chiuse Le interiezioni costituiscono un caso un pò particolare, forse è possibile pensare che nuove interiezioni possano essere formate usando parole appartenenti ad altre classi, si pensi ad una parola come “diavolo” (ovviamente un nome) che può diventare di fatto un’interiezione nel mezzo del discorso come in questo caso “una cosa come questa, diavolo, certo non me l’aspettavo proprio!” Prendiamo il caso dell’articolo, esso manca in molte lingue a cominciare dal latino, quindi l’inventario delle parti del discorso non può essere lo stesso per tutte le lingue, questo non significa però che non esistano parti del discorso comuni a tutte le lingue quindi classi universali, nome e verbo probabilmente lo sono Quali sono i criteri in base ai quali determinare a quale categoria lessicale appartiene una certa parola? I criteri tradizionali sono di tipo semantico ossia basati sul significato che hanno le parole (normalmente si dice che i nomi designano delle “entità” o degli “oggetti” mentre i verbi designano delle “azioni” o dei “processi”, tuttavia esistono parole come partenza, descrizione, nascita che designano processi ma che sono nomi e non dei verbi Quale è un altro metodo? Si può supporre che le parole siano immagazzinate nella memoria dei parlanti, inoltre che le parole siano immagazziante nella memoria insieme alla loro categoria lessicale Il fatto che ad una parola sia associata una categoria lessicale limita in modo drastico le combinazioni delle parole, se prendiamo infatti quattro parole come Mario/mangiare/la/mela e cerchiamo di combinarle, osserveremo che non tutte le combinazioni sono grammaticali quindi possibili *posso dire “Mario mangia la mela” *non posso dire “Mario mangia mela la” Ciò dimostra che le parole sono classificate in categorie che limitano la loro distribuzione libera all’interno della frase, le categorie lessicali limitano quindi le combinazioni delle parole, le parti del discorso possono essere quindi riconosciute in base a criteri puramente distribuzionali (i nomi, i verbi possono essere definiti in base alle altre classi di parole assieme alle quali possono o non possono essere combinate) Categorie e sottocategorie -il ragazzo legge il libro -il cane legge il libro -la virtù legge il libro -la sporcizia legge il libro Il fatto che solo la prima di queste frasi sia grammaticale e le altri invece non grammaticali ha una spiegazione: il soggetto del verbo “leggere” deve essere un nome “di persona” marcato con il tratto [+umano] I tratti che suddividono la categoria nome in altre sottocategorie del nome sono i seguenti: [+comune] nome comune [-comune] nome proprio [+umano] nome di persona [-umano] non è un nome di persona [+numerabile] nomi che possono essere contati [-numerabile] nomi che non possono essere contati [+astratto] come “virtù” [-astratto] nome concreto come “sporcizia” [+animato] come “libro” [-animato] come “cane” Es: -ragazzo è un nome [+comune, +umano, +numerabile, -astratto, +animato] -libro è un nome [+comune, -umano, +numerabile, -astratto, -animato] -Piero è un nome [-comune, + umano, +numerabile, -astratto, +animato] Allo stesso modo i verbi possono essere sottocategorizzati in verbi transitivi o intransitivi, verbi regolari o irregolari, verbi che possono avere la costruzione progressiva (sto leggendo) o verbi che non la possono avere detti “stativi” (sto sapendo la risposta) *ai nomi propri possono di norma unirsi quasi esclusivamente affissi diminutivi o accrescitivi come “Giannino, Carlone, Pinuccia” MORFEMA Un morfema è la parte più piccola di una lingua dotata di significato, un morfema è un “segno linguistico” ed è quindi costituito da un significante e un significato Prendiamo in considerazione i seguenti morfemi: [boy+s] -il significato di “boy” è ragazzo ed è un morfema lessicale -il significato di -s è plurale ed è un morfema grammaticale [libr+i] -il significato di “libr” è insieme di fogli stampati ed è un morfema lessicale -il significato di -i è maschile plurale ed è un morfema grammaticale *in italiano un morfema costituito da un solo fonema è la congiunzione [e] o la preposizione [a], generalmente però un morfema è costituito da più fonemi Sono morfemi liberi quelli che possono ricorrere da soli in una frase e dunque tutte le parole come “bar, ieri, virtù” Sono morfemi legati quelli che non possono ricorrere da soli in una frase ma devono aggiungersi a qualche altra unità come la -s di boys o la -i di libri (i Morfologia come “processo” Una categoria lessicale, come può essere il verbo, può nascere come tale oppure può diventare verbo attraverso vari processi, come: *N-V (magnete-magnetizzare) *A-V (attivo-attivare) Esistono duenque diverse modalità che possono portare alla categoria verbo, questo è l’aspetto dinamico della morfologia Adesso si consideri una parola come “indubitabilmente”, dal punto di vista categoriale è un avverbio *si può supporre che all’aggettivo “indubitabile” sia stato aggiunto il suffisso - mente *l’aggettivo “indubutabile” è a sua volta scomponibile in un prefisso in- più l’aggettivo “dubitabile” e quest’ultimo è a sua volta costruito partendo dal verbo dubita(re) più il suffisso -bile Siamo partiti da V (dubitare), poi Agg (indubitabile), poi Avv (indubitabilmente) e possiamo dire che è questo aspetto di formazione che si può chiamare “dinamico” FLESSIONE La flessione da luogo a forme flesse di parola, ovvero a forme che esprimono, oltre ad un significato lessicale, anche uno o più significati grammaticali (possiamo dire che la flessione è realizzata tramite morfemi legati che si aggiungono a delle basi) Le informazioni grammaticali, dette morfosintattiche perchè danno istruzioni rilevanti sia in morfologia che in sintassi, si distinguono tramite diverse categorie, le categorie morfosintattiche sono ad esempio il numero, il genere, il caso, il modo, il tempo invece i tratti morfosintattici sono i valori che ogni categoria può assumere *Prendiamo in considerazione la parola “libr-o”, -o esprime la categoria morfosintattica “numero” del nome, tale categoria ha in italiano due possibili tratti morfosintattici, cioè il plurale e il singolare (qui -o esprime il singolare) I tratti morfosintattici che le varie categorie possono assumere sono di due tipi, cioè inerenti e contestuali: -i tratti inerenti sono i tratti che sono insiti nella parola (si pensi al genere maschile di cane o al genere femminile di donna), ossia quei tratti che non vengono cambiati in nessun contesto -i tratti contestuali sono legati al contesto in cui una parola viene a trovarsi [come il caso dell’accordo di genere (maschile o femminile) ma anche di numero (singolare o plurale) negli aggettivi] *l’uomo bello *la donna bella *gli uomini belli *le donne belle I nomi qui hanno determinato il tratto contestuale della categoria genere dell’aggettivo tramite il loro tratto di genere inerente In italiano, anche il verbo si può flettere e le categorie sono il tempo, il modo etc..., a loro volta queste categorie conterranno tratti, ad esempio la categoria “tempo” conterrà i tratti di presente e futuro Nomi e verbi si influenzano a vicenda tramite il fenomeno dell’accordo: “la vecchia pazza mi ha dato la torta”, qui il soggetto determina il tratto di persona (terza persona singolare) della categoria del verbo e il soggetto stesso determina che la, vecchia e pazza siano accordate al femminile singolare DERIVAZIONE Suffissazione La suffissazione consiste nell’aggiunta di un morfema grammaticale alla destra della base, la formula può essere trascritta nel seguente modo: [[]x + Suf]y [[inverno]x+ale]Agg X è la categoria lessicale della base, Suf è il suffisso e Y è la categoria di uscita, si tratta in genere dunque di aggiungere una forma legata a una forma libera La classe dei suffissi deverbali comprende suffissi che formano nomi da verbi, tali suffissi danno luogo a nomi d’azione (o deverbali astratti) e nomi “risultato” ossia concreti *nomi deverbali astratti/nomi d’azione: camminata (camminare) *nomi risultato/concreti: arredamento (arredare) Si noti che uno stesso nome può fungere come nome d’azione e come nome risultato (la costruzione della casa è stata laboriosa/quella costruzione gialla è orrenda) Vi sono poi suffissi che formano nomi agentivi [+umano] e nomi strumentali [- umano] *nomi agentivi [+umano]: giornalaio *nomi strumentali [-umano]: contatore Vi è poi la grande classe dei suffissi valutativi (i cosiddetti diminutivi, accrescitivi, peggiorativi, vezzeggiativi: -ino, -one, -accio, -otto, -ucolo, -astro) Prefissazione La prefissazione consiste nell’aggiunta di un morfema grammaticale a sinistra della base, la formula si può trascrivere nel seguente modo [Pref+[]x]x [ri+vedere]v]v Come si può notare, la prefissazione è un processo che non cambia la categoria della base, il verbo resta verbo e questo vale per tutte le altre categorie (es: marito-ex marito, utile-inutile) Infissazione Nelle lingue indoeuropee, l’infissazione è un fenomeno di gran lunga più marginale al punto che in italiano si possono rinvenire pochissimi casi, la formula si può trascrivere nel seguente modo: [[]x+Inf+[]x]y In italiano si potrebbe forse considerare un caso di infissazione una parola come “mangi-ucchi-are” dove -ucchi essendo inserito all’interno della parola magiare potrebbe essere considerato un infisso Altri processi morfologici Vi sono altri processi morfologici che non consistono propriamente nell’aggiunta di un morfema ad una base, tra questi ricordiamo: -la conversione consiste in un cambiamento di categoria senza che sia stato aggiunto alla base un affisso manifesto, in italiano la conversione è molto *A+N-A (rossomattone)/ (grigioperla) Per quanto riguarda l’esistenza di verbi composti, mentre tali formazioni sono comuni in inglese, non lo sono in italiano con l’eccezione di residui latini come “crocefiggere” o “manomettere” Alcuni esempi di composti dell’italiano N+N-N pescecane A+A-A dolceamaro V+V-N saliscendi AVV+AVV-AVV malvolentieri V+N-N scolapasta V+AVV-N buttafuori N+A-N cassaforte P+N-N oltretomba P+A-non ha categoria perbene Testa in composizione Si consideri un composto come “camposanto”, la sua struttura la possiamo rappresentare in questo modo: [[campo]N+[santo]A]N Come possiamo vedere, il composto ha la stessa categoria lessicale di uno dei suoni composti (camposanto è un nome come lo è campo), diremo allora che “campo” è la testa del composto e che la categoria N del composto deriva dalla testa (in altre parole camposanto E’ UN nome perchè campo E’ UN nome), è da campo che la categoria Nome viene passata a tutto il composto Si consideri adesso un altro composto, “capostazione”, e si applichi il test E’ UN per la categoria lessicale e per individuare la testa: [[capo]N+[stazione]N]N Come possiamo notare in questo caso il test “E’ UN” non da una risposta chiara in quanto capostazione è un nome come lo è sia capo che stazione, se approfondiamo l’analisi noteremo che capo è un nome [+maschile[, [+animato] e che stazione è un nome [-maschile], [-animato], capostazione è un nome [+maschile], [+animato] esattamente come lo è capo, capo sarà quindi la testa del composto *questo esempio suggerisce che quando non si riesce ad identificare la testa sulla base della sola categoria lessicale, si può ricorrere ai tratti sintattico- semantici *diremo quindi che un costituente è testa di un composto quando tra tale costituente e tutto il composto vi è identità sia di categoria che di tratti sintattico-semantici (una testa deve essere sia testa categoriale che testa semantica) Ancora sulla testa dei composti Vi sono poi lingue in cui la testa dei composti può essere identificata posizionalmente, per esempio in inglese si dice comunemente che la testa è a destra Non tutti i composti hanno però una testa, consideriamo i seguenti esempi: 1*saliscendi- [[]v+[]v]n 2*portalettere- [[]v+[]n]n 3*sottoscala- [[]p+[]n]n In 1* nessuno dei due costituenti può essere testa del composto in quanto entrambi hanno una categoria lessicale diversa da quella del composto In 2* “lettere” sembra essere testa del composto ma non lo è perchè ha un tratto [-animato] rispetto a quello [+animato] di “portalettere” In 3* vale lo stesso discorso di prima infatti “sottoscal” non è un tipo di scala ma uno spazio che si trova sotto la scala Distingueremo dunque tra composti endocentrici (che hanno una testa) e composti esocentrici (che non hanno una testa), i composti endocentrici possono poi essere scomposti in composti con una sola testa e composti con due teste (composti coordinati) Classificazione: prendiamo in considerazione i tre seguenti composti *portalettere (composto subordinato dove “lettere” è l’oggetto del verbo “portare”) *nave traghetto (composto coordinato) *cassaforte (composto attributivo dove “forte” è un attributo di “cassa”) Rientrano nella categoria dei composti attributivi non solo i composti formati da un nome e un aggettivo ma anche quei composti formati da due nomi in cui però uno dei nomi funzione come aggettivo come: *discorso fiume (indica un discorso lungo) *viaggio lampo (indica un viaggio rapido) I composti Nome +Nome (dove il secondo nome funge da attributo del primo)si possono chiamare appositivi e sono raggruppabili con gli attributivi Flessione dei composti I casi possibili sono i seguenti: *[P1+P2]+Fless (flessione alla fine del composto) -mezzogiorni -ferrovie -camposanti *[P1+Fless]+P2 (flessione dopo la prima parola del composto) -navi traghetto -mobili bar -capi stazione *[P1+Fless]+[Ps+Fless] (flessione dopo entrambe le parole) -cassepanche -mezzelune -terreferme combinazioni di parole più piccole di una frase ossia i gruppi di parole o sintagmi (combinazione), l’oggetto della sintassi sono dunque la frase e le altre combinazioni possibili di parole La valenza verbale Determinati verbi devono essere accompagnati da un determinato numero di altre parole, mentre altri verbi ne richiedono un numero diverso (più alto o più basso) *il verbo “catturare” richiede di essere accompagnato da due nomi “il poliziotto catturò il ladro” *il verbo “camminare” deve essere accompagnato da un solo nome come “Gianni cammina” I verbi quindi, hanno bisogno di essere accompagnati da un numero determinato di altri elementi perchè la frase in cui ricorrono sia ben formata, come gli elementi chimici hanno dunque una valenza, che qui chiamiamo valenza verbale, si dice che un verbo come “catturare” è bivalente, mentre uno come “camminare” è monovalente, gli elementi che sono richiesti obbligatoriamente dai vari verbi sono detti argomenti (per esempio il poliziotto e il ladro sono gli argomenti del verbo “catturare” mentre Gianni è l’unico argomento del verbo “camminare”) -verbi avalenti (zerovalenti)=verbi che non sono accompagnati da nessun argomento come ad esempio i verbi metereologici per cui possiamo semplicimente dire “piove” -verbi monovalenti=i tradizionali verbi intransitivi (camminare, parlare, morire) -verbi bivalenti=i tradizionali verbi transitivi (catturare, lanciare, piantare), in questa categoria il secondo argomento può essere una frase indipendente “Gianni crede che Pietro verrà” (che Pietro verrà è il secondo argomento) -verbi trivalenti=i verbi cosiddetti “di dire” e “di fare” come “il professore ha detto ai ragazzi di fare silenzio” dove i tre argomenti sono il professore, ai ragazzi, di fare silenzio Prendiamo in considerazione la seguente frase: “A mezzanotte, il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa che aveva appena svaligiato” Gli elementi aggiunti non sono obbligatoriamente richiesti dal verbo catturare ma sono facoltativi, tali elementi facoltativi sono detti circostanziali e si distinguono dagli argomenti, i quali sono invece obbligatori, i circostanziali inoltre possono presentarsi in posizioni diverse all’interno della frase senza che questa divenga agrammaticale o cambi il suo significato -a mezzanotte il poliziotto catturò il ladro/il poliziotto catturò il ladro a mezzanotte (cambio l’ordine dei circostanziali e il senso non cambia) -il poliziotto catturò il ladro/il ladro catturò il poliziotto (cambio l’ordine degli argomenti e il significato cambia) Possiamo dunque dire che in una frase italiana sono presenti a) il verbo b) il numero di argomenti obbligatori che il verbo richiede in base alla sua valenza c) uno o più circostanziali facoltativi (si chiamano “circostanziali” perchè danno appunto informazioni sulle circostanze, di luogo, di tempo ecc) I gruppi di parole La stessa funzione di argomento o di circostanziale può essere indifferentemente svolta da una parola sola o da un gruppo di parole (o sintagma) Quali sono i criteri che ci permettono di individuare i gruppi di parole? -criterio del movimento=le parole che fanno parte di uno stesso gruppo si spostano insieme all’interno della frase -criterio dell’enunciabilità in isolamento=le parole che formano un gruppo possono essere pronunciate da sole cioè non inserite in una frase completa *alla domanda “Chi ha catturato il ladro?” posso rispondere “il poliziotto” -criterio della coordinabilità=secondo cui non tutte le parole di qualunque classe sono intercambiabili l’una con l’altra “A mezzanotte” e “il poliziotto” non sono coordinabili perchè appartengono a due tipi diversi di gruppi di parole, “a mezzanotte” è costruito intorno ad una preposizione (a) mentre “il poliziotto” è costruito intorno ad un nome (poliziotto) “A” e “poliziotto” sono le teste dei due sintagmi, la testa non è solo l’elemento intorno al quale è costruito un gruppo di parole, ma anche l’unico elemento la cui presenza è necessaria, intorno all’elemento centrale della costruzione (ossia la testa) è possibile costruire molti altri gruppi simili come “a tarda sera”, “a casa”, “un poliziotto”, “quel poliziotto” -i sintagmi la cui testa è una preposizione sono detti gruppi o sintagmi preposizionali (SP) -i sintagmi la cui testa è un nome sono detti gruppi o sintagmi nominali (SN) -i sintagmi la cui testa è un verbo sono detti gruppi o sintagmi verbali (SV) come “catturò il ladro”, “legge il giornale” -i sintagmi la cui testa è un aggettivo sono detti gruppi o sintagmi aggettivali (SA) come “abbastanza sciocco”, “troppo alto” Rappresentazione della struttura interna dei sintagmi tramite parentesi quadre: -il poliziotto: [SN[Art il Art][N poliziotto N]SN] -catturò il ladro: [SV[V catturò V][SN [Art il Art][N ladro N]SN]SV] -a mezzanotte: [SP[P a P][SN [N mezzanotte N]SN]SP] Tale rappresentazione permette di disambiguare strutture ambigue come l’espressione “uomini e donne in gamba” che può avere due significati diversi in base alle rappresentazioni grafiche 1) [SN[SN uomini e donne SN][SP in gamba SP]SN] (sia gli uomini che le donne sono in gamba) 2) [SN[N uomini N] e [SN[N donne N] [SP in gamba SP]SN] (solo le donne sono in gamba) La struttura interna dei sintagmi può essere rappresentata anche attraverso i diagrammi ad albero: I sintagmi sono i costituenti della frase, essi possono essere costituti da altri sintagmi, fino alle singole parole, che sono i costituenti ultimi della sintassi Esempio di sintagmi con sola testa: -poco dietro la porta (SP) Schema X-barra I livelli strutturali del sintagma vengono chiamati anche livelli di proiezione, il livello più basso è quello costituito dalla sola testa e si indica con X (che può assumere i valori di N, V, A, P), il livello immediatamente superiore è costituito dalla testa più il complemento e si indica con X’ (che può assumere i valori N’, V’, A’, P’), il livello più alto è costituito dallo specificatore e da X’ e si indica con X’’ 8che può assimere i valori SN’’, SV’’, SA’’, SP’’) LE FRASI Prendiamo in considerazione l’esempio “A mezzanotte, il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa che aveva appena svaligiato”, in questo caso “che aveva appena svaligiato” si tratta di una frase relativa -non tutti i gruppi di parole che chiamiamo frasi esprimono un senso compiuto (che aveva appena svaligiato) -non tutte le espressioni di senso compiuto sono gruppi di parole (Gianni!, Vieni!, Ahi!) Che differenza c’è tra le frasi e gli altri gruppi di parole? Solo le frasi sono composte da soggetto e predicato, il rapporto soggetto-predicato è un rapporto di dipendena reciproca ossia l’uno dei due elementi esiste solo perchè esiste anche l’altro e viceversa Quando abbiamo introdotto il concetto di testa del gruppo di parole (l’unico elemento necessario del gruppo di parole stesso) non abbiamo detto che non c’è dipendenza reciproca tra la testa e gli altri elementi chiamati “modificatori” (specificatori e complementi) perchè la testa può esserci anche senza i modificatori mentre quest’ultimi non possono esserci senza la testa Confrontiamo due strutture sintattiche: -l’albero è verde (è una frase) -l’albero verde (è un sintagma nominale) La prima struttura “l’albero è verde” contiene un verbo di modo finito mentre la seconda no, quindi ciò che distingue le frasi dagli altri gruppi di parole è la presenza di un verbo, diremo quindi che i gruppi di parole di tipo frasale si differenziano dagli altri gruppi di parole perchè contengono una struttura predicativa, ossia un soggetto e un predicato Abbiamo quindi individuato tre tipi di entità che genericamente vengono chiamate frasi: -espressioni di senso compiuto che sono gruppi di parole con struttura predicativa (l’albero è verde) -espressioni di senso compiuto che non sono gruppi di parole e non hanno una struttura predicativa (Gianni!) -strutture predicative che non sono espressioni di senso compiuto (che aveva appena svaligiato) *alcuni linguisti preferiscono chiamare la struttura predicativa con l’appellativo “proposizione” e riservare il termine “frase” alle espressioni che hanno senso compiuto Tipi di frasi -La frase semplice (Gianni è partito) è quella che non contiene altre frasi, la frase complessa (o periodo) è una frase che contiene altre frasi (Gianni è partito e Maria è rimasta a casa) -Più frasi semplici sono coordinate se sono tutte sullo stesso piano, mentre una frase semplice è subordinata ad un’altra se le due frasi non sono sullo stesso piano *le due frasi “Gianni è partito” e “Maria è rimasta a casa” sono coordinate (le due frasi sono sullo stesso piano infatti se si omette l’una o si omette l’altra, il risultato è sempre una frase grammaticale (Gianni è partito oppure Maria è rimasta a casa) *”A mezzanotte il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa” è la frase principale e “che aveva appena svaligiato” è la frase subordinata (o dipendente o secondaria) (se omettiamo la frase principale, la frase che risulta “che aveva appena svaligiato” detta in isolamento è agrammaticale) In una frase come “A mezzanotte, il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa che aveva appena svaligiato”, la frase principale è una frase indipendente, le frasi indipendenti sono frasi che esprimono un senso compiuto (in questo caso, “a mezzanotte il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa”), però non sempre le frasi principali sono anche frasi indipendenti, vediamo il seguente caso: -Gianni crede che Paolo abbia mentito (“Gianni crede” è la frase principale e “che Paolo abbia mentito” è la frase dipendente, “Gianni crede” però detta in isolamento suona malformata e incompiuta, perciò è vero che è una frase principale ma non una frase indipendente che esprime un senso compiuto) Esaminiamo i vari punti di vista in base ai quali si possono classificare le frasi semplici: la dipendenza, la modalità, la polarità, la diatesi e la segmentazione -il punto di vista della dipendenza in una struttura di subordinazione, le frasi possono essere principali o dipendenti (“Gianni crede” è la principale “che Paolo abbia mentito” è la frase dipendente) -dal punto di vista della modalità, le frasi si possono distinguere in dichiarative (Gianni è partito), interrogative (è partito Gianni?, Chi è partito?), imperative (Gianni parti!) ed esclamative (che sorpresa mi hai fatto!), si tratta di una distinzione puramente sintattica che può non coincidere con il valore semantico o pragmatico delle frasi A è una frase semplice, se vorremmo porre la domanda su cosa abbia comprato Mario, avremo l’interrogativa “wh-” in cui il secondo argomento del verbo “comprare” (il giornale) è rappresentato dal pronome interrogativo “cosa” posto all’inizio della frase -cosa ha comprato Mario? B è invece una frase complessa costituita da una principale (Gianni ha detto) e da una dipendente (che Mario ha comprato il giornale), la frase interrogativa corrispondente è quindi -cosa ha detto Gianni che Mario ha comprato *anche in B il secondo argomento del verbo comprare è rappresentato dal pronome “cosa” posto all’inizio della frase principale (Gianni ha detto) mentre il verbo “comprare” a cui esso è collegato si trova nella frase dipendente (che Mario ha comprato), possiamo dire che non c’è limite alla distanza alla quale si possono trovare, in un’interrogativa “wh-” il pronome interrogativo e il verbo a cui esso è collegato, possiamo infatti arrivare a fare esempi come: -cosa ha detto Gianni che Pietro crede che Mario abbia comprato? -cosa ha detto Gianni che Pietro crede che Luisa pensi che Mario abbia comprato? Ovviamente è molto improbabile che frasi come queste siano effettivamente utilizzate nel nostro discorso quotidiano, esse però si possono costruire controllandone la grammaticalità, esse difficilmente ricorreranno nell’esecuzione (realizzabilità effettiva di tali frasi), ma appartengono alla competenza (capacità potenziale di produrre frasi di lunghezza infinita) dei parlanti italiani, esse possono essere costruite in base al meccanismo della ricorsività, una delle caratteristiche proprie del linguaggio umano, che nel caso delle interrogative “wh-” questo meccanismo ha il curioso effetto di poter allontanare indefinitamente un argomento dal verbo a cui è collegato La teoria sintattica elaborata da Naom Chomsky, la cosiddetta grammatica generativa, ha dedicato particolare attenzione allo studio di questo fenomeno cercando di descriverlo nel modo più adeguato L’idea di Chomksy è che i sintagmi che vengono interpretati in una posizione nella frase (“cosa” è interpretato come oggetto del verbo “comprare” e lo dovrebbe quindi seguire) ma pronunciati in una posizione diversa (in posizione iniziale di frase) sono introdotti due volte, prima nella cosiddetta posizione di base (dove soddisfano la valenza del verbo) poi nella posizione cosiddetta di arrivo, dove segnalano la modalità interrogativa della frase, il legame tra queste due posizioni può essere visto come un’operazione di movimento *ad esempio, il sintagma “cosa” viene introdotto come oggetto del verbo comprare e quindi posto dopo il verbo (posizione di base) e mosso in posizione iniziale di frase (posizione di arrivo) L’idea fondamentale di questo approccio è che la frase contenga due copie dello stesso elemento, e che entrambe svolgano un ruolo nell’elaborazione della frase, il fatto che una delle due copie (quella nella posizione di base) non venga pronunciata è riconducibile al fatto di evitare le ripetizioni, la presenza di una copia nella posizione di base dell’elemento mosso viene solitamente rappresentata con il simbolo t (o traccia), ad esempio: -Cosa ha detto Gianni che Pietro crede che Mario abbia comprato t? *Nella teoria di Chiomsky il simbolo t indica la presenza di una copia di un elemento mosso Tipi di frasi dipendenti: argomentali e circostanziali Le frasi dipendenti che rappresentano degli argomenti del verbo della frase principale sono chiamate “frasi dipendenti argomentali”, esistono però anche i circostanziali e quindi avremo anche le “frasi dipendenti circostanziali” Vediamo i vari tipi di frasi circostanziali: -Quando Gianni è arrivato, Maria era già partita da un pezzo (temporale) -Dato che Gianni è arrivato in ritardo, ce ne siamo andati (causale) -Abbiamo predisposto tutto perchè Gianni potesse arrivare in orario (finale) -Gianni ci ha fatto attendere tanto a lungo che ce ne siamo andati via (consecutiva) -Se Gianni fosse arrivato in orario, avremmo potuto cenare con calma (condizionale) -Benchè Gianni fosse arrivato in orario, non trovò nessuno ad attenderlo (concessiva) -Abbiamo atteso Gianni più a lungo di quanto fosse necessario (comparativa) *come si ricorderà, la differenza essenziale tra argomenti e circostanziali è che i primi sono obbligatori e i secondi invece sono facoltativi La frase “Gianni crede che Paolo abbia mentito” risulterebbe incompleta se alla principale “Gianni crede” non fosse aggiunta la dipendente argomentale (perchè obbligatoria) “che Paolo abbia mentito” Proviamo invece a enunciare ciascuna delle frasi sopra elencate senza la parte in corsivo (ossia la dipendente), vedremo che ognuna delle frasi risulta completa in sè stessa senza bisogno di essere saturata, infatti ognuna delle dipendenti non è obbligatoria ma facoltativa, si comporta cioè come un circostanziale Vediamo i vari tipi di frasi argomentali: -frasi come “che Paolo abbia mentito” sono chiamate oggettive o completive, sono argomento di verbi (del verbo “dire” in particolare) -esistono alcuni nomi che possono avere degli argomenti chiamati “complementi frasali”, nomi come “fatto, idea”, queste vengono chiamate frasi completive nominali *il fatto che si soldati si siano comportati così non ha meravigliato nessuno *l’idea che i soldati potessero comportarsi così non è venuta in mente a nessuno -un esempio di fare argomentale soggettiva è “che la Terra giri intorno al Sole è noto da molto tempo” -l’ultimo tipo di frase argomentale è l’interrogativa indiretta “Gianni non sa chi partirà domani” Vi è poi un terzo tipo di frasi dipendenti, oltre a quelle argomentali e circostanziali, ossia le cosiddette frasi relative: *gli studenti che non si sono iscritti all’appello non possono sostenere l’esame *Gianni, che non si è iscritto all’appello, non può sostenere l’esame Mentre la prima relativa serve a indicare, all’interno dell’insieme degli studenti, il sottoinsieme di quelli che non si sono iscritti all’appello, non svolge questa funzione di delimitazione la seconda, che aggiunge alcune informazioni sul conto di Gianni, questa differente funzione fa si che vengano chiamate rispettivamente relativa restrittiva e relativa appositiva Analizziamo adesso le seguenti due frasi per comprendere meglio come riconoscere una frase dipendente argomentale completiva nominale da una dipendente relativa *il fatto che Gianni ci ha riferito tutti i particolari ci ha impressionato molto (completiva nominale) *il fatto che Gianni ci ha riferito ci ha impressionato molto (relativa) Il verbo “riferire” è un verbo bivalente (necessuta di due argomenti), nella prima frase i due argomenti sono “Gianni” e “tutti i particolari”, nel secondo caso il primo argomento è “Gianni” ma il secondo? È realizzato da “il fatto” stesso che quindi ha una duplice funzione, è soggetto nella frase principale(il fatto ci ha impressionato molto) ed è l’oggetto nella frase relativa dipendente (rappresentato dal pronome che), quindi possiamo dire che una frase relativa si distingue da una completiva nominale perchè il sintagma nominale che la -il soggetto è quindi il sintagma “Quel ragazzo” Esistono tre diversi livelli di analisi della frase, rispettivamente sintattico (o grammaticale), semantico e comunicativo: -livello sintattico o grammaticale (è soggetto l’argomento che ha obbligatoriamente la stessa persona e lo stesso numero del verbo) -livello semantico (è soggetto colui che compie l’azione o la subisce) -livello comunicativo (è soggetto ciò di cui si parla) Alcune volte le tre nozioni sono realizzate dalla stessa entità linguistica, ad esempio in “Gianni colpisce Pietro”, Gianni è a livello sintattico l’argomento che si accorda obbligatoriamente con il verbo, a livello semantico colui che compie l’azione e a livello comunicativo indica colui di cui si parla -a livello sintattico parliamo di soggetto e predicato -a livello semantico parliamo di agente e di azione (nelle frasi che non esprimono un’azione parliamo di esperiente, colui che prova un certo stato, e stato) -a livello comunicativo parliamo di tema (per il soggetto) e rema (per il verbo, radice greca che significa parlare) Quel ragazzo picchia quel signore Livello sintattico soggetto predicato predicato Livello semantico agente azione azione Liv. comunicativo tema rema rema A Pietro piacciono i fiori Livello sintattico predicato predicato soggetto Livello semantico esperiente stato stato Liv. comunicativo tema rema rema Categorie flessionali Le desinenze delle parti del discorso variabili esprimono le diverse categorie lessicali, ad esempio il genere, il numero, il caso, il tempo, la persona e il modo, queste categorie flessionali si oppongono alle categorie lessicali cioè alle parti del discorso, per esempio: -bello e bella appartengono alla medesima categoria lessicale (aggettivo) ma sono diversi dal punto di vista della categoria flessionale del genere (bello è maschile mentre bella è femminile) -bella e donna non appartengono alla medesima categoria lessicale (il primo è un aggettivo mentre il secondo è un nome) ma sono identiche dal punto di vista della categoria flessionale del genere in quanto appartengono entrambe al genere femminile *se due parole hanno le stesse categorie flessionali si parla di accordo *se una parola ha una data categoria flessionale perchè questa le è assegnata da un’altra parola con categorie flessionali diverse, si parla di reggenza (si dice che un nome ha un determinato caso perchè è retto da un determinato verbo) Genere, numero, persona e caso -L’italiano ha due generi, il maschile e il femminile, il tedesco ne ha tre, il maschile, il femminile e il neutro (per indicare gli oggetti inanimati, come il latino) Dal punto di vista linguistico, in italiano come nelle altre lingue romanze, il genere è indicato non soltanto nel nome testa di un sintagma nominale, ma anche negli altri elementi del sintagma che devono accordarsi con esso (quindi “uomo alto” e “donna alta”) -L’italiano ha due numeri, il singolare e il plurale (lingue come il greco hanno anche il “duale” per indicare tipiche coppie di oggetti mentre altre hanno anche il “triale” per indicare terne di oggetti) Anche il numero manifesta il fenomeno dell’accordo in lingue come l’italiano, infatti se la testa di un sintagma nominale è singolare, devono esserlo anche tutti gli altri elementi del sintagma (l’accordo di numero in italiano si realizza anche tra soggetto e predicato, l’uomo è mortale mentre gli uomini sono mortali) -Le persone grammaticali in italiano sono tre: prima persona, seconda persona e terza persona (la terza persona è quella che non entra nel dialogo), anche la persona è una categoria flessionale che manifesta il fenomeno dell’accordo infatti la persoan del verbo si accorda con quella del soggetto che può essere sia un pronome che un nome La tripartizione delle persone si riproduce nei diversi numeri infatti in italiano abbiamo tre persone al singolare e tre persone al plurale (la prima persona plurale “noi” può essere un “noi inclusivo” qualora indicasse sia i parlanti che gli ascoltatori, oppure un “noi esclusivo” qualora includesse i parlanti ma non gli ascoltatori -il caso indica la relazione che un dato elemento nominale (nome, pronome o sintagma nominale) ha con le altre parole della frase in cui si trova, queste relazioni tra verbo e argomenti sono espresse in italiano mediante l’ordine delle parole (il soggetto precede il complemento oggetto e quest’ultimo precede quello di termine) mentre in latino l’ordine delle parole non ha la funzione di indicare i diversi argomenti e le loro relazioni (cambiando l’ordine degli argomenti, il significato rimane invariato), questo perchè la diversa relazione degli argomenti con il verbo è espressa dalla loro desinenza tramite i diversi casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo e ablativo) Tempo e modo In italiano esistono otto tempi grammaticali: -presente (scrivo) -passato prossimo (ho scritto) -passato remoto (scrissi) -imperfetto (scrivevo) -trapassato prossimo (avevo scritto) -trapassato remoto (ebbi scritto) -futuro semplice (scriverò) -futuro anteriore (avrò scritto) Una frase come “Gianni è partito” può essere pronunciata in un determinato momento cronologico (per esempio il 23 settembre 2012 alle 8,15) e questo lo chiameremo momento dell’enunciazione, il momento dell’enunciazione è sempre il presente (in senso cronologico), al tempo stesso la frase ci dice che un determinato evento (la partenza di Gianni)è avvenuto in un momento diversi da quello dell’enunciazione, lo chiameremo momento dell’evento (anteriore rispetto al presente, mentre in un caso come “Gianni partirà” il momento dell’evento è posteriore al momento dell’enunciazione, nel caso “Gianni parte” il momento dell’evento e quello dell’enunciazione coincidono) Potremmo definire il modo come l’espressione dell’atteggiamento del parlante rispetto all’evento descritto dal verbo, tra i modi dell’italiano troviamo: -indicativo (esprime al pura e semplice constatazione del fatto) “Gianni parte” -congiuntivo (esprime un desiderio o un augurio) “(se) Gianni partisse” -imperativo (esprime un ordine) “Gianni, parti!” -condizionale (esprime una possibilità o un’irrealtà) “se Gianni partisse” Oltre a questi troviamo altri tre modi, l’infinito, il participio e il gerundio, tali modi sono chiamati “modi non finiti” in opposizioni ai precedenti chiamati “modi finiti”, la finitezza in questione sta nel fatto che i modi finiti distinguono tre persone e due numeri e questa distinzione non esiste per i modi non finiti omonime invece hanno più entrate differenti in genere contrassegnate con un numero sovrascritto davanti alla parola in questione (1vite. Pianta 2vite. utensile) Metafora e metonimia Con metafora si intende l’uso traslato di una parola, sulla base di una parziale somiglianza tra il significato che potremmo chiamare “fondamentale” e il significato traslato (un esempio può essere quello di “vite” che può essere spiegato come un’estensione metaforica del singnificato di pianta a quello di utensile La metonimia consiste invece nell’estendere il significato di una parola ad un altro significato connesso al primo per contiguita (un esempio di tale estensione è dato dalla pluralità di significati della parola mano, dove il significato fondamentale è quello di arto, ma è con tale arto che si gioca a carte, che si spalma la vernice) Relazioni di significato: sinonimia, antonimia, iponimia e iperonimia -più lessemi diversi possono avere lo stesso significato, in questo caso la relazione tra tali lessemi è detta sinonimia -il fenomeno opposto della sinonimia è l’antonimia, cioè l’espressione di due significati opposti da parte di due lessemi (bianco e nero, caldo e freddo, scapolo e sposato) *i due lessemi bianco e nero sono opposti che ammettono l’esistenza di entità intermedie (tra bianco e nero ci può stare il grigio) e sono detti significati contrari *i due lessemi scapolo e non sposato non ammettono una via di mezzo in quanto non esiste e sono esempi di significati contraddittori I vari lessemi possono anche essere inclusi nel significato di altri lessemi, oppure possono includere il significato di altri lessemi (così, uccello include il significato di animale, mentre è incluso nel significato di airone) -nel primo caso si dice che uccello e animale sono in relazione di iponimia (uccello è iponimo di animale perchè include il suo significato) -nel secondo caso si dice uccello e airone sono in relazione di iperonimia (uccello è iperonimo di airone perchè è incluso nel suo significato) SEMANTICA FRASALE Per quanto riguarda il significato delle frasi, l’ipotesi più semplice è che, dato che le frasi sono composte di parole, il significato di una frase sia il risultato della combinazione dei significati delle parole che la compongono, questo principio prende il nome di principio di composizionalità Tale principio in alcuni casi sembra essere un pò restrittivo, sia perchè 1)le frasi del linguaggio naturale sembrano contenere qualcosa in più rispetto al significato dei singoli elementi che la compongono, sia perchè 2)alcune combinazioni di parole hanno un significato che non è ricavabile da quello delle singole parole da cui sono costuituite Il secondo punto è rappresentato dalle espressioni idiomatiche, dove il significato di tali espressioni (come “tagliare la corda”, “essere al verde”) non deriva dalla composizione dei significati delle parole da cui sono formate (infatti nel primo caso significa “interrompere qualcosa” e nel secondo caso “essere senza soldi”) Veniamo adesso ad alcuni dei moltissimi casi in cui il principio di composizionalità funziona: “e, o, se” sono delle congiunzioni che combinano parole e frasi, in quest’ultimo caso producono delle frasi complesse e sono quindi dette “connettivi proposizionali o frasali”, il loro significato è illustrato dall’effetto che essi hanno sulla verità o falsità delle frasi complesse che vanno a formare *oggi piove e non piove (falsa) *oggi piove o non piove (vera) -una frase complessa formata tramite il connettivo “e” è vera solo se le frasi semplici che la compongono sono tutte vere (dato che oggi piove e oggi non piove non possono essere entrambe vere, è automaticamente falsa) ESEMPIO DI CONTRADDIZIONE -una frase complessa formata tramite il connettivo “o” è vera solo se una delle frasi semplici che la compongono è vera (dato che una frase tra oggi piove e oggi non piove è vera, è automaticamente vera) ESEMPIO DI TAUTOLOGIA In altri casi, il valore di verità è determinato non solo dal significato del connettivo “e” ma anche da quello delle parole che compongono le frasi semplici (scapolo è sinonimo di non sposato e canarino è iponimo di uccello), perciò in queste frasi la verità o la falsità è determinabile sulla base del significato dei connettivi frasali e dei lessemi in esse contenuti, questi rappresentano casi di analiticità *Gianni è scapolo e non è sposato *Titti è un canarino ed è un uccello Esistono tuttavia casi di frasi che non sono nè vere nè false: a*l’attuale re di Francia è calvo b*l’attuale re di Francia non è calvo È chiaro che le due frasi essendo in contraddizione l’una con l’altra non possono essere entrambe vere, potremmo dire che sono entrambe false perchè attualmente non esiste nessun re di francia, ma gli studiosi hanno preferito un’analisi secondo cui tanto a quanto b presuppongono entrambe la verità di c c*attualmente c’è un re di Francia Si dice quindi che c è la presupposizione di a e b ossia quella frase che deve essere vera perchè le frasi che la pressuppongono possano avere un valore di verità, ma dato che c è falsa, a e b non sono nè vere nè false ma semplicemente inappropriate Frasi con quantificatori e pronomi Altri esempi di frasi in cui la verità o falsità è determinabile esclusivamente in base al loro singificato sono quelle contenenti i cosiddetti quantificatori (cioè parole come tutti, nessuno, qualche, ogni, uno) *se ogni studente ha superato l’esame, allora qualche studente ha superato l’esame (vera) *se ogni studente ha superato l’esame, allora qualche studente non ha superato l’esame (falsa) *se qualche studente non ha superato l’esame, allora ogni studente non ha superato l’esame (falsa) Prendiamo l’esempio di “ogni ragazzo ama la sua ragazza”, questa frase può significare tanto che ogni ragazzo ama una ragazza differente oppure che ogni ragazzo ama la ragazza di un altro ragazzo (Antonio), nel primo caso si dice che il possessivo “sua” è legato dal quantificatore “ogni” mentre nel secondo caso si dice che il possessivo “sua” è libero (notiamo che nella frase passiva “la sua ragazza è amata da ogni ragazzo”, è molto difficile interpretare “sua” come legato e può essere solo libero qui) La differenza fra le due frasi, quella attiva e quella passiva, è che nella prima il quantificatore ogni precede il possessivo sua, mentre nella seconda il possessivo sua precede il quantificatore ogni, quindi in termini tecnici possiamo dire che il possessivo è dentro la portata del quantificatore nel primo caso ma non nel secondo (perchè un pronome possa essere interpretato come legato ad un quantificatore è necessario che esso sia nella portata del quantificatore stesso) GLI ATTI LINGUISTICI L’uso del linguaggio umano consiste nell’esecuzione di determinati atti linguistici: -atti locutori (o atti di enunciazione): la pronuncia di determinate parole o sintagmi
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