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riassunto - Le successioni - Bianca, Sintesi del corso di Diritto Civile

Riassunto del manuale le successioni Bianca, parte dell'esame del corso di civile 1

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 27/08/2021

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Scarica riassunto - Le successioni - Bianca e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! LE SUCCESSIONI 1. NOZIONI INTRODUTTIVE LA SUCCESSIONE A CAUSA DI MORTE La successione a causa di morte indica la vicenda traslativa dei diritti di una persona a seguito della sua morte. La morte estingue la capacità giuridica della persona e i diritti ad essa inerenti (diritti personali), non di massima i suoi diritti patrimoniali, imponendone piuttosto la trasmissione ad altri. Un'importante distinzione va fatta tra: *e SUCCESSIONE UNIVERSALE, che indica la trasmissione della generalità dei rapporti giuridici del defunto: il successore subentra, sia pure per quota, nella posizione giuridica patrimoniale del defunto, ne acquista i diritti, diviene obbligato peri suoi debiti e gli succede nei giudizi in corso. Il successore universale prende il nome di EREDE. ®e SUCCESSIONE PARTICOLARE, che indica l'acquisizione di uno o più diritti specificamente attribuiti dal testamento o dalla legge. L'attribuzione a titolo particolare prende il nome di legato e il successore a titolo particolare prende il nome di LEGATARIO. ‘> La successione particolare ha per oggetto esclusivo i diritti conferiti specificamente dal titolo La successioni universale è suscettibile di ricomprendere anche diritti non indicati dal titolo se e i quanto già spettanti al defunto SUCCESSIONE TESTAMENTARIA E SUCCESSIONE LEGITTIMA La morte non è solo presupposto necessario della successione ma anche sua ragione giustificativa, nel senso che la successione assolve la funzione di dare assetto ai diritti della persona a seguito della sua morte: essa può dirsi dunque “successione a causa di morte”. La successione testamentaria ha titolo nel testamento, cioè in un atto di autonomia privata col quale la persona dispone dei propri beni per il tempo della morte: tale autonomia comprende infatti sia il potere della persona di disporre dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere, sia il potere di scegliere i suoi successori. La successione testamentaria ha la funzione di dare assetto ai diritti della persona dopo la morte e di soddisfare l'esigenza di libertà successoria del defunto, ossia l'interesse della persona di poter beneficiare determinati soggetti mediante l'attribuzione di diritti successori. La successione legittima ha invece titolo in una fattispecie legale, e precisamente nel diritto successorio dei congiunti e dello Stato. Se il defunto non ha disposto in tutto o in parte dei suoi beni, l'eredità si devolve per legge ai familiari (coniuge e parenti fino al 6° grado): la successione legittima a favore dei congiunti trova ragione (oltre che nella morte della persona) nel principio della solidarietà familiare, che prevale sulla stessa autonomia privata, in quanto gli stretti congiunti (legittimari) hanno diritto di ricevere comunque una quota del valore del patrimonio del defunto (riserva), comprensivo dei beni residui e dei beni donati. | legittimari possono far valere il loro diritto di riserva anche contro la volontà testamentaria del defunto, chiedendo la riduzione delle disposizioni testamentarie, fino ad ottenere una quota di eredità pari al valore della loro riserva. Se la riduzione delle disposizioni testamentarie non è sufficiente a integrate tale valore, i legittimari possono chiedere la riduzione delle donazioni fatte dal defunto in vita. La successione a favore dei legittimari è in senso ampio una successione legittima poiché trova titolo in un diritto successorio familiare: essa in realtà ha nel diritto di riserva dei legittimari un titolo specifico e autonomo che la distingue rispetto alla successione legittima. > La SUCCESSIONE A FAVORE DEI LEGITTIMARI si qualifica come SUCCESSIONE NECESSARIA Se il defunto non ha disposto per testamento e non vi sono congiunti successibili, l’eredità si devolve allo Stato, sulla base dell'idea di appartenenza di fatto o di diritto del defunto alla comunità statuale. SUCCESSIONI E PRINCIPI COSTITUZIONALI La successione legittima e quella testamentaria trovano esplicita menzione nella Costituzione, che demanda alla legge ordinaria il compito di fissare la disciplina e i limiti, e di regolare i diritti successori dello Stato (art 42). Questa previsione sta a significare che nella Carta Costituzionale hanno riconoscimento sia l'autonomia testamentaria, che il diritto successorio dei congiunti, riconoscimento legato a quello della proprietà privata. Tale previsione significa anche tutela della solidarietà familiare e la liberalità successoria, i cui limiti sono rimessi alla legge ordinaria e dati anzitutto dalla necessità stessa di contemperare (e non di sacrificare l'uno o l'altro) l'aspettativa successoria del gruppo familiare e il bisogno della persona di disporre dei suoi beni per dopo la morte La previsione dei “diritti” dello Stato sulle eredità non concerne esclusivamente eventuali diritti successori ma anche e soprattutto diritti di prelievo fiscale: la necessaria partecipazione dello Stato all'eredità risponde infatti all'interesse pubblico di favorire la circolazione della ricchezza e di scoraggiare l'eccessiva accumulazione di patrimoni familiari. I NASCITURI CONCEPITI La legge riconosce espressamente la capacità successoria a coloro che sono concepiti al tempo dell’apertura della successione (462 cc): che nasce entro i 300 giorni dalla morte dell'ereditando si presume già concepito al momento dell'apertura della successione, con presunzione legale semplice, che ammette quindi la prova contraria da parte dei chiamati successivi. La capacità del nascitura quindi, ma anche la delazione a suo favore, si cancella retroattivamente se non segue l'evento fisiologico della nascita. Pur di fronte all'esplicito riconoscimento legislativo, la dottrina prevalente esclude che il concepito abbia capacità successoria, ritenendola incompatibile col generale principio che segna nella nascita il momento di acquisto della capacità giuridica, sostenendo che i diritti successori vengono accantonati a suo favore: in attesa della nascita vi sarebbe una situazione di pendenza in cui i diritti successori vengono conservati a favore del nascituro per quando verrà la nascita, prima della quale non potrebbe verificarsi la delazione dell'eredità perché il concepito non sarebbe possibile titolare di diritti. Tuttavia la disciplina normativa, oltre a riconoscere la capacità successoria al concepito, prevede l'acquisizione dell'eredità o del legato in suo favore e l'esercizio in suo nome e nel suo interesse dei diritti successori da parte del genitore esercente la potestà (suo rappresentante legale) su autorizzazione del giudice tutelare. L’amministrazione, che rientra nel normale esercizio della potestà parentale, spetta congiuntamente al padre e alla madre, dovendosi ritenere tacitamente abrogata la norma che attribuisce l'amministrazione in primo luogo al padre: in caso di contrasto quindi, il genitore può ricorrere al tribunale dei minorenni. (Trovano poi applicazione le norme sulla decadenza della potestà e la rimozione dell'amministrazione). La possibilità che non si abbia la nascita richiede d'altra parte l'adozione di opportune cautele a garanzia delle aspettative di coloro ai quali l'eredità o il legato si devolverebbero qualora il nascituro non venisse alla nascita: nell'ipotesi di devoluzione dell'eredità al concepito quindi, il genitore deve sottostare agli obblighi cautelativi del curatore dell'eredità giacente (procedere all'inventario dell'eredità, depositare le somme riscosse ed effettuare i pagamenti dei debiti ereditari su autorizzazione del pretore). La posizione del genitore non si identifica comunque con quella del curatore dell'eredità giacente, in quanto il potere di amministrazione dei beni ereditari gli spetta nella qualità di rappresentante legale del concepito. Gli atti di straordinaria amministrazione devono essere controllati anche nell'interesse del nascituro, e pertanto devono essere autorizzati dal giudice delle successioni, sentito il giudice tutelare. INCAPACITA SUCCESSORIA DEL NASCITURO CONCEPITO Il nascituro non concepito al momento dell'apertura della successione non ha capacità successoria, ma può essere destinatario di disposizioni testamentarie purché in tale tempo sia vivente il suo genitore. L'istituzione ereditaria del non concepito è disciplinata come una istituzione sotto condizione sospensiva: fino a quando è incerto se il chiamato verrò o no ad esistenza, la delazione rimase sospesa (subordinata alla venuta ad esistenza del beneficiario quale condizione legale di efficacia) e l'eredità è gestita da un amministratore (il sostituito, i coeredi con diritto di accrescimento o il presunto erede legittimo), salvo diversa disposizione da parte del giudice qualora ricorrano giustificati motivi (es. in caso di cattiva amministrazione). L’amministrazione si svolge sotto la vigilanza del tribunale, il quale autorizza il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (es. l'alienazione degli immobili è autorizzata solo nei casi di necessità o utilità evidente). Se si tratta di legato, può essere imposto all'onerato di dare idonea cauzione a garanzia dell'eventuale obbligo di prestare il bene legato favore dell’avente diritto. Al possibile genitore non spetta l'amministrazione dell'eredità ma solo la tutela dei diritti successori riservati al nascituro, quindi la loro conservazione: esso è quindi legittimato a compiere solo atti cautelativi (es. la richiesta del versamento della cauzione). > Mentre il nascituro concepito è capace a succedere e partecipa pertanto alla successione, e il genitore può accettare immediatamente l'eredità e amministrarla in rappresentanza del figlio, il nascituro non concepito può pervenire alla successione solo in quanto previsto nel testamento, e in attesa della sua possibile venuta ad esistenza la delazione rimane sospesa e l'eredità è amministrata da persona diversa dall'eventuale genitore. L’attuale mancanza del destinatario della disposizione testamentaria non la rende imperfetta, in quanto essa si perfeziona con la manifestazione di volontà del testatore, mentre la persona del destinatario attiene alla vicenda del rapporto successorio (es. se il destinatario è premorto il testamento non produce effetto perché l'effetto attributivo è divenuto impossibile). GLI ENTI DA COSTITUIRE La legge n. 192 del 22 giugno 2000 ha abrogato la norma del codice che dichiarava prive di efficacia le disposizioni a favore degli enti non riconosciuti per i quali non stata presentata istanza di riconoscimento entro 1 anno dal giorno di eseguibilità del testamento (600 cc). Oggi quindi gli enti non riconosciuti ma dotati di soggettività giuridica hanno piena capacità successoria. È possibile disporre in favore degli enti non ancora esistenti (art 3 disposizioni di attuazione del codice civile), nel cui caso il notaio ha l'obbligo di denunziare al prefetto gli atti tra vivi o testamenti con i quali si dispongono fondazioni o si fanno donazioni o lasciti “in favore di enti da istituire”. In passato tale possibilità era assoggettata alla norma dell'art 600 cc, mentre ad oggi non è più operativo il termine annuale di decadenza. Per conseguire i lascito testamentario occorre comunque che l'ente venga costituito: la sua costituzione è quindi condizione legale della disposizione testamentaria. Il testatore può beneficiare l'ente quale erede o legatario in vista della sua futura costituzione, ma anche disporre per la costituzione di una fondazione, che può essere anche una condizione o un onere posto a carico dell'erede. Esso può anche designare un esecutore testamentario incaricato della gestione interinale dell'ente, in mancanza del quale il tribunale può nominare un amministratore provvisorio. L'INDEGNITÀ È INDEGNO, e pertanto escluso dalla successione, chi si sia reso colpevole di offese gravi alla persona o alla libertà testamentaria dell’ereditando. L'indegnità, precisamente, colpisce chi abba: e Ucciso con dolo (non con colpa o preterintenzione) o tentato di uccidere l'ereditando o un suo stretto congiunto (discendente, ascendente, coniuge) e Commesso a danno di tali persone un delitto punibile con le norme sull'omicidio e Denunciato calunniosamente tali persone o falsamente testimoniato contro di esse e Usato dolo o violenza per coartare la volontà testamentaria dell'ereditando e Distrutto, nascosto o alterato il testamento dell'ereditando * Falsificato un testamento o ne abbia consapevolmente approfittato. Non sussiste indegnità in presenza di cause di esclusione della punibilità ed è esclusa dalla non imputabilità del soggetto. L'indegnità (che ha origine dall'indegnitas del diritto romano) è una sanzione civile che ha fondamento nella ripugnanza sociale a consentire che chi abbia gravemente offeso la persona dell'ereditando o la sua libertà testamentaria possa trarre profitto dall'eredità dell'offeso. Per interpretazione prevalente essa è EFFETTO COSTITUTIVO DI UNA PRONUNZIA GIUDIZIALE, comportando una serie di conseguenze: e La delazione ha luogo a favore dell'indegno anche quando è tale al momento dell'apertura della successione + Senza l'iniziativa di un'azione esercitata da un interessato per far dichiarare l'indegnità, l'indegno conserva i suoi diritti successori: tale azione è prescrittibile nel termine ordinario di 10 anni ed è suscettibile di rnunzia e transazione > In tal modo l'indegnità non costituisce un'incapacità successoria ma un semplice IMPEDIMENTO SOGGETTIVO ALLA SUCCESSIONE, in particolare un divieto applicabile mediante sentenza e suscettibile di sanatoria. Tale opinione, se pur conforme alla tradizione e seguita dalla giurisprudenza, non trova sicura rispondenza nel testo legislativo, che non fa menzione della necessità di una pronunzi giudiziale: sembrerebbe piuttosto un effetto legale connesso al compimento dei fatti che integrano l'indegnità La tesi dell'indegnità quale INCAPACITÀ SUCCESSORIA sembra infatti più coerente: e Con l'esigenza di non consentire comunque all'indegno di approfittare dell'eredità dell'offeso e Con la norma penale che sancisce l'incapacità successoria a carico dell'autore di reati contro l'onore e la libertà sessuale e Col fatto che il compimento di atti di libidine preclude l'acquisto dei diritti successori (non si spiegherebbe perché invece l'omicidio volontario dell'ereditando determina a carico dell'omicida un semplice impedimento alla successione) e La norma che impone all'indegno di restituire tutti i frutti eventualmente percepiti dai beni successori dopo l'apertura della successione. In quanto incapacità successoria, l’indegnità comporta una serie di conseguenze: e La sentenza che accerta l'indegnità ha carattere dichiarativo e L'azione per far dichiarare l'indegnità è imprescrittibile e Può essere promossa da chiunque vi abbia un rilevante interesse, anche solo morale In quanto incapace di succedere, l’indegno non consegue l’eredità, che si devolve ai chiamati successivi, né i legati, che si estinguono in favore dell'onerato o del sostituito. | discendenti dell’indegno possono succedere per rappresentazione. LA RIABILITAZIONE DELL’INDEGNO La legge consente la riabilitazione dell'indegno da parte dell’ereditando. Atto giuridico di perdono privato col quale l’offeso rimette l'offesa ricevuta che comporta il divieto legale di successione: richiede la forma dell'atto pubblico a pena di nullità, può essere contenuta in un testamento ma la volontà di riabilitare l'indegno deve risultare in modo espresso (senza formule rigorose), salvo che il testatore, pur conoscendo la causa dell'indegnità, nomini l'erede o legatario, il quale succederà solo nei limiti dell'attribuzione testamentaria. DONAZIONE | patti successori istitutivi comprendono le DONAZIONI A CAUSA DI MORTE, ossia le donazioni sospensivamente subordinate alla morte del donante, le quali esprimono la funzione tipica del testamento (la liberalità successoria) ma, a differenza di questo, renderebbero irrevocabile l'attribuzione, violando così il principio della libertà testamentaria. Dall'ambito dei patti successori devono invece escludersi: e La DONAZIONE CON RISERVA DI USUFRUTTO, quella nella quale il donante riserva a sé o ad altri il diritto di usufrutto vita natural durante, comportando l'effetto traslativo immediato a favore del donatario della sola nuda proprietà. Con questo atto l'autore non limita la propria autonomia testamentaria sul bene ma, semplicemente, si spoglia della proprietà di esso: con la morte del donante il donatario consegue la piena proprietà del bene, ma ciò non è un effetto del contratto bensì un effetto legale dell'estinzione dell'usufrutto che non incide sulla causa donativa. e La DONAZIONE CON CLAUSOLA DI PREMORIENZA Se la donazione è risolutivamente condizionata alla premorienza del donatario, destinata quindi a risolversi nel caso in cui il donatario muoia prima del donante, non configura un patto successorio in quanto realizza immediatamente il suo effetto traslativo, e la condizione risolutiva è intesa a soddisfare l'interesse del donante a recuperare il bene a preferenza dei successori del donatario. Se la donazione è sospensivamente condizionata alla premorienza del donante, destinata quindi ad avere effetto nel caso in cui il donante muoia prima del donatario, la situazione è perfettamente corrispondente a quella della classica donazione a causa di morte, in quanto realizza l'attribuzione di un diritto a favore del beneficiario per quando il titolare avrà cessato di vivere, con l'unica differenza che il termine incerto della morte si accompagna alla condizione che l'ereditando muoia prima dell'erede. MANDATO POSTMORTE Mandato destinato ad avere esecuzione quando il mandante avrà cessato di vivere. Il mandato è il contratto con cui il mandatario si obbliga a compere atti giuridici per conto del mandante, e in quanto contratto, occorre che il mandatario abbia espresso il suo consenso prima della morte del mandante (la morte toglie di regola efficacia alla proposta contrattuale). La morte del mandante è causa di estinzione del mandato, a meno che non sia stato conferito nell'interesse dello stesso mandatario o di un terzo, e tale è appunto il mandato postmorte. Il mandato postmorte è valido nei limiti in cui non urta contro il divieto dei patti successori istitutivi, ossia quando abbia ad oggetto il compimento di atti che non importano l'attribuzione di diritti patrimoniali successori (es. atti a contenuto non economico o dispositivi di beni già usciti dal patrimonio del defunto), altrimenti esso si dice essere un mandato a causa di morte, ed è sicuramene vietato per la sua irrevocabilità (il mandato nell'interesse del mandatario o di un terzo è irrevocabile), lesiva della libertà testamentaria (es. mandatario incaricato di consegnare ad un terzo dopo la morte del mandante dei titoli al portatore). CONTRATTO A FAVORE DI TERZI Il promittente si obbliga ad eseguire la prestazione a favore della persona indicata dallo stipulante: il terzo acquista il suo diritto per effetto diretto del contratto ma, finché non avrò dichiarato di approfittarne, lo stipulante potrà revocare la designazione del beneficiario. La legge prevede espressamente che la prestazione possa essere eseguita al terzo dopo la morte dello stipulante, riservando in tal caso a quest'ultimo la facoltà di revoca (anche mediante testamento) anche quando il terzo abbia dichiarato di voleme approfittare. Tale facoltà di revoca non converte la designazione del terzo in una disposizione successoria, in quanto questi è già attualmente titolare del diritto nascente dal contratto, per cui non può dirsi che al momento della morte il diritto si trasmetta dal promittente al terzo. Proprio per questo la legge consente allo stipulante di rinunziare alla facoltà di revoca mediante atto scritto, perché non contrasta col principio di libertà testamentaria, essendo appunto il diritto già attualmente attribuito al terzo in base al contratto. Particolare ipotesi di contratto postmorte a favore di terzi è l'assicurazione sulla vita 10 DEPOSITO A FAVORE DI TERZI Il depositante designa un terzo come avente diritto alla restituzione: il terzo riceve quindi un'attribuzione immediata, anche se non esclusiva (potendo essere esercitato congiuntamente o disgiuntamente dal terzo e dal depositante), della titolarità e dell'esercizio del diritto stesso. Diverso è se il depositante conserva l'esclusivo diritto alla restituzione, mentre il terzo potrà esercitarlo solo dopo la sua morte: questa ipotesi induce a ravvisare nel depositante il suo effettivo titolare e nel terzo colui che è destinato a succedergli quando questi avrà cessato di vivere. Tale operazione potrebbe non essere nulla se si considera che il depositante non limita la propria libertà testamentaria, ben potendo in qualsiasi momento revocare la disposizione a favore del terzo. Il problema resta piuttosto l'ammissibilità o meno di attribuzioni a causa di morte anche al dì fuori del testamento: in tal caso, potrà ritenersi valido il deposito revocabile a favore del terzo per quando il depositante avrà cessato di vivere. SOCIETA Nella SOCIETÀ DI PERSONE la morte del socio estingue il rapporto societario e comporta l'obbligo degli altri soci di liquidare la quota agli eredi, salva contraria disposizione del contratto sociale: sé è prevista la continuazione del rapporto con gli eredi, può ritenersi salva la loro facoltà di recesso in considerazione della personalità del rapporto. La clausola non integra comunque un'attribuzione a causa di morte se opera a favore di chi è già erede, per legge o per testamento: se invece prevedesse la trasmissione del diritto societario ad una determinata persona, essa integrerebbe un patto successorio. Nella SOCIETÀ DI CAPITALI la morte del socio non comporta la liquidazione della sua quota: qualora vi fosse una clausola del contratto sociale che obbliga gli eredi a cedere tale quota o ne faccia oggetto di un diritto di opzione a favore di terzi, sarebbe ancora una volta contraria al divieto dei patti successori. La formula societaria si presta ad assicurare la continuità dell’unità patrimoniale di fronte al pericolo che singoli eredi intendano chiedere la divisione ereditaria o interferire arbitrariamente nell'amministrazione del patrimonio: infatti, se il defunto conferisce i suoi beni ad una società di capitali, gli eredi non divengono proprietari dei beni ma contitolari della quota sociale del defunto, per cui ad essi spettano i poteri spettanti ai soci, non potendo quindi partecipare all’amministrazione o chiedere la divisione del patrimonio, ma potendo solo alienare la loro quota. TRUST Indicato in dottrina come lo strumento alternativo, idoneo a realizzare finalità che esulano dall'ambito testamentario, come la sottrazione della gestione ereditaria ad un erede poco affidabile o l'unità del patrimonio. L'estraneità del trust al divieto dei patti successori è stata desunta dal fatto che il disponente trasferisce immediatamente e realmente la proprietà del suo patrimonio al fiduciario, e pertanto il fiduciante non dispone dei suoi beni per quando avrà cessato di vivere. Ammettendo la liceità di tale operazione, essa non può comunque costituire il mezzo per privare i successivi della loro legittima, diritto fatto salvo da una Convenzione dell'Aja dell'85 ratificata nell'89: le prime indicazioni dottrinali sono nel senso dell'applicabilità del rimedio della riduzione nei confronti del beneficiario, qualora il trust si sia realizzato in un'attribuzione gratuita in suo favore, o del trustee, qualora al tempo dell'apertura della successione i beni siano ancora a lui intestati. E infatti il trasferimento al trustee che integra la sottrazione dei beni al patrimonio del defunto, mentre l'alienazione al beneficiario va considerata alla stregua di un onere destinato a cadere assieme al negozio dispositivo cui accede l'obbligo del trustee. Altro problema è se i trusts possano creare diritti valevoli erga omnes in mancanza di una legge che ne stabilisca i presupposti di opponibilità e i modi della loro pubblicità. 11 4. L'APERTURA DELLA SUCCESSIONE APERTURA DELLA SUCCESSIONE Con la morte della persona si apre la sua successione, e cioè si estingue la titolarità dei diritti già spettanti al defunto e inizia la vicenda traslativa dell'eredità ai successori. La successione si apre nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto: questo riferimento vale a stabilire l'autorità giudiziaria territorialmente competente per i procedimenti successori e per le cause ereditarie. LA DELAZIONE NOZIONE DI DELAZIONE La delazione è l'investitura in capo al chiamato del diritto a succedere, cioè del diritto di far propria l'eredità o di conseguire il legato. La delazione consiste precisamente nel prodursi dell'effetto specifico del titolo legale o testamentario in favore del designato che viene, in tal senso, “chiamato all'eredità”. e Il diritto di far propria l'eredità non è ancora acquisto dell'eredità: con la delazione infatti, il chiamato ha il diritto di acquisire l'eredità, di divenire erede, ma poi l'acquisto dipende da un suo ulteriore atto di volontà, l'accettazione. Il diritto all'eredità può ritenersi un diritto potestativo, trattandosi di un potere autonomo del soggetto di modificare nel proprio interesse una preesistente situazione giuridica. e L’acquisto del legato invece non richiede un atto di accettazione, per cui l'effetto devolutivo si converte direttamente in effetto acquisitivo del legato, nonostante l'acquisto non sia definitivo in quanto il legatario può rinunziarvi. Il perfezionarsi della fattispecie successoria non comprta sempre l'immediato effetto devolutivo: la delazione può infatti essere sospesa nel caso in cui sia sottoposta a condizione sospensiva, nella cui ipotesi l'attribuzione del diritto di successione ha effetto al verificarsi della condizione prevista, mentre nel frattempo l'eredità il legato rimangono vincolari a favore del beneficiario, e nei casi di disposizione testamentaria a favore di nascituro non concepito o di ente giuridico da costituire. La possibilità che la delazione non si realizzi al momento dell'apertura della successione conferma la tesi dottrinale che distingue tra delazione e “vocazione o chiamata” alla successione, distinzione che però non trova riscontro nella legge e porta in definitiva a duplicare lo stesso concetto: se un successibile è “chiamato” alla successione vuol dire che vi è la delazione a suo favore, ossia l'attribuzione a suo favore del diritto all'eredità. Altra parte della dottrina ritiene piuttosto che delazione e vocazione siano due aspetti della stessa nozione vista ora come obbiettiva attribuzione del diritto di succedere, ora come situazione soggettiva del successibile, quale chiamato a succedere. 12 L'EREDITÀ GIACENTE NOZIONE DI EREDITA GIACENTE L'eredità giacente (la romana hereditas iacens), è il patrimonio ereditario quando il chiamato non ne ha il possesso e non ha ancora accettato l'eredità. Anteriormente all'accettazione dell'eredità si crea una situazione di pendenza della delazione che può rendere necessario provvedere alla conservazione e all’amministrazione temporanea dei beni ereditari, esigenza percepita già in età romana: questo è compito del chiamato solo se è nel possesso dei beni ereditari, mentre il chiamato che non ne ha il possesso può esercitare tali atti ma questa possibilità è anzitutto concretamente insussistente se la persona del chiamato non è ancora identificata o avvertita. In ogni caso la possibilità di atti isolati di conservazione e amministrazione non è sufficiente ad assicurare un'adeguata gestione del patrimonio e l'attuazione dei rapporti sostanziali e processuali pendenti: la legge prevede allora la nomina di un curatore dell’eredità giacente. In giurisprudenza, ma non in dottrina, l'istituto dell'eredità giacente ha trovato giustamente applicazione anche nelle ipotesi in cui non si sappia se vi siano chiamati all'eredità o se la persona del chiamato sia mai esistita. Quando invece s'ignora l’esistenza della persona del chiamato, è prevista la delazione in favore di coloro ai quali l'eredità spetterebbe in mancanza di detta persona. IL CURATORE Il curatore dell'eredità giacente è nominato con decreto del tribunale del mandamento in cui si è aperta la successione: si tratta di un provvedimento di volontaria giurisdizione, preso su richiesta di qualsiasi interessato (chiamati all'eredità, designati ulteriori, creditori del defunto e coloro che hanno proposto o intendono proporre azioni relative all'eredità) o d'ufficio. Il curatore è titolare di un ufficio privato, ossia di un potere conferitogli dalla legge per la tutela di un interesse altrui: l'interesse tutelato è quello degli eredi, e infatti il curatore risponde nei loro confronti in caso di gestione negligente, ma anche quello dei creditori a conservare la loro garanzia patrimoniale, e infatti risponde nei confronti dei creditori che rimangono insoddisfatti nelle loro pretese a causa del suo comportamento doloso o colposo. Gli atti giuridici compiuti dal curatore (negoziali e processuali) non sono imputati all'eredità come tale (non è un ente giuridico), ma all'erede: il curatore infatti rappresenta legalmente l’erede, nella persona che risulterà a seguito dell'accettazione dell'eredità, e quindi amministra i beni ereditari per conto di chi spetta. La curatela dell'eredità giacente ha termine quando cessa la situazione di giacenza, ossia quando l'eredità è accettata. Il curatore ha diritto ad un compenso. I COMPITI DEL CURATORE DELL’EREDITA GIACENTE Nell'esercizio del suo ufficio il curatore deve effettuare l'inventario dei beni ereditari e assumeme la gestione provvedendo all'ordinaria amministrazione. Il curatore può dover compiere anche atti di liquidazione del patrimonio e altri atti di straordinaria amministrazione se richiesi dalla necessità di soddisfare le altrui pretese a carico dell'eredità o se sussiste un'utilità evidente: in questo caso però, trattandosi di atti compiuti dal non titolare, si rende necessaria, a pena di nullità, la specifica autorizzazione giudiziale da parte del tribunale quale elemento integrativo della legittimazione negoziale. Il curatore poi deve riscuotere i crediti e far valere le ragioni dell'eredità anche in via processuale, proponendo azioni e resistendo in giudizio alle pretese altrui, se infondate. Il denaro facente parte dell'eredità e quello riscosso dopo l'apertura della successione deve essere depositato e impiegato per il pagamento dei debiti di gestione. Il curatore, infine, deve pagare i debiti ereditari e i legati secondo l'ordine delle richieste (salvo opposizione da parte dei creditori ereditari o dei legatari, nel cui caso dovrà seguire il procedimento previsto in tema di accettazione con beneficio di inventario), ma i singoli pagamenti devono essere autorizzati dal tribunale. In generale, al curatore si applica la disciplina del beneficio d'inventario per quanto riguarda l'inventario, l'amministrazione e il rendimento dei conti. E responsabile però anche per colpa lieve, dovendo egli adempiere con l'ordinaria diligenza. 15 L’ESECUTORE TESTAMENTARIO NOZIONE DI ESECUTORE TESTAMENTARIO L'esecutore testamentario è la persona incaricata dal defunto di curare l'esecuzione delle sue disposizioni di ultima volontà, ossia l'attuazione degli obblighi e diritti successori. Tale facoltà di nomina rientra tra le disposizioni di contenuto non patrimoniale che la legge consente siano contenute nel testamento. Un incarico conferito al di fuori del testamento si configura come mandato a causa di morte, ammesso solo se non importa la disposizione di diritti successori e se l'accettazione è anteriore alla morte del mandante, perché altrimenti non sarebbe più possibile il perfezionamento del contratto. Come disposizione testamentaria invece, la nomina dell’esecutore è un atto essenzialmente unilaterale: essa deve accettata in forma espressa e solenne, ma tale accettazione non integra un accordo, trattandosi di altro atto unilaterale mediante il quale l'incaricato accetta l'ufficio conferitogli e assume pertanto l'obbligo di espletarlo. Se il testatore non ha previsto la sostituzione, la mancata accettazione comporta la mancata costituzione dell'ufficio. L’esecutore non è un rappresentante né del defunto, poiché la morte estingue la capacità giuridica della persona, né dell'erede, perché i suoi poteri sono autonomi e possono dover essere esercitati anche nei confronti di quest'ultimo. Egli è piuttosto titolare di un ufficio privato, e cioè di un potere che è conferito per la tutela di un altrui interesse e che non dipende dalla volontà dell'interessato: l'interesse qui tutelato è quello del testatore ad assicurare l'esecuzione delle sue disposizioni di ultima volontà. La sua posizione si distingue rispetto a quella del curatore dell’eredità giacente, che ha il compito di provvedere alla gestione del patrimonio ereditario in attesa dell'accettazione del chiamato e quindi a tutela della conservazione e della continuità del patrimonio nell'interesse primario degli eredi. La nomina del primo preclude quella del secondo quando l’esecutore prende possesso del patrimonio ereditario, obbligandosi per ciò stesso alla sua diligente gestione. Può essere nominato esecutore anche un erede o un legatario, il quale viene in tal modo a cumulare le due diverse posizioni di successore e di esecutore. COMPITI DELL’ESECUTORE TESTAMENTARIO Funzione dell'esecutore testamentario è quella di curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto, consistente nel provvedere al pagamento dei debiti ereditari nonché all'adempimento degli oneri testamentari. All'esecutore che non sia erede o legatario il testatore può anche assegnare il compito di procedere alla divisione dell'eredità. In relazione alla sua funzione, egli ha il potere-dovere di prendere possesso dei beni ereditari e di amministrarli, potendo anche, con l'autorizzazione del giudice, alienarli, se ciò è necessario per l'adempimento dei debiti di gestioni e dell'eredità. L'esecutore deve adempiere il suo incarico con la normale diligenza. La sua funzione prescinde di regola dall’accettazione dell'eredità da parte dei chiamati, e i suoi poteri sono autonomi rispetto alla sua posizione, prima e dopo l'accettazione: o II chiamato che non abbia ancora accettato può compiere atti conservativi del patrimonio anche se vi è un esecutore testamentario o L'erede accettante può prendere possesso e godimento dei beni ereditari nei limiti in cui ciò non pregiudichi la funzione dell'esecutore, il quale deve quindi consegnargli i beni. Erede ed esecutore hanno la legittimazione processuale attiva disgiuntiva per le azioni a difesa dell'eredità (se agisce l'uno, l'altro può intervenire), e la legittimazione processuale passiva congiuntiva per le azioni relative all'eredità (le azioni processuali nei confronti dell'uno devono essere proposte anche nei confronti dell'altro). 16 CESSAZIONE DELL’UFFICIO La legge non stabilisce la durata dell'ufficio dell'esecutore testamentario ma la durata massima del suo possesso dei beni ereditari e, quindi, della sua attività di amministrazione (1 anno rinnovabile). AI termine della gestione l’esecutore è tenuto alla consegna dei beni agli eredi 0, in mancanza, a chi sia legittimato ad amministrarli, accompagnata dal rendimento del conto di gestione. Prima della scadenza del termine, l’esecutore può essere esonerato dal suo ufficio: e Per grave inadempimento dei suoi obblighi e Qualora si dimostri inidoneo ad assolvere utilmente la sua funzione e Qualora abbia commesso un'azione che ne menomi la fiducia Le spese della gestione dell'esecutore testamentario sono a carico dell’eredità, e comprendono anche il compenso dell'esecutore se previsto dal testatore, altrimenti l'ufficio è gratuito. 17 2. LA SOSTITUZIONE ORDINARIA NOZIONE DI SOSTITUZIONE ORDINARIA La sostituzione ordinaria (0 volgare) è la designazione successiva fatta dal testatore per il caso in cui il primo designato non possa o non voglia succedere: essa è oggetto di una disposizione del testatore pertanto viene disciplinata dal codice nel tema di testamento, ma, da un punto di vista sistematico, rileva nel tema della delazione, fornendo il prevalente criterio di sostituzione per il caso in cui il designato alla successione non possa o non voglia succedere. Anche la sostituzione ordinaria viene ricompresa nell'ambito delle vocazioni indirette in quanto è una vocazione che si determina secondo il contenuto di altra designazione. In realtà, la chiamata in sostituzione, è una chiamata originaria ed autonoma che dipende dalla prima designazione solo in termini alternativi, nel senso che essa ha effetto solo se la prima designazione non si realizza. A DIFFERENZA DELLA RAPPRESENTAZIONE quindi la chiamata in sostituzione ha effetto anche se la prima designazione sia nulla o annullata e il sostituito non è tenuto ad imputare quanto il primo designato abbia ricevuto in donazione dall’ereditando. PRESUPPOSTI DELLA SOSTITUZIONE Presupposto normale è che la persona designata come erede o legatario, per qualsiasi causa, non possa o non voglia accettare, ricomprendendo ad esempio le ipotesi di premorienza del designato, di indegnità e rinunzia, o di perdita del diritto di accettare l'eredità per decadenza o prescrizione: la mancata attuazione della prima istituzione è stata intesa in dottrina come una condizione della disposizione sostitutiva. La sostituzione rimane invece esclusa, salvo diversa volontà del testatore, quando il designato deceda dopo l'apertura della successione ma prima di aver accettato l'eredità, perché in tal caso il diritto di accettare l'eredità si trasmette agli eredi. Essendo prevista dal testatore, questi potrebbe subordinare la sostituzione a determinati eventi impeditivi della successione del primo designato (es. la rinunzia), ma, per presunzione legale, s'intende comprensiva anche dei casi non previsti: pertanto, se il testatore intende limitare la sostituzione solo a determinati casi impeditivi, escludendo gli altri, ciò deve risultare in maniera espressa. CONTENUTO ED EFFETTI La sostituzione può essere: e PLURIMA: il testatore può sostituire più persone ad una sola o una sola persona a più designati e CONSECUTIVA, nel senso che può essere disposta consecutivamente anche per il caso in cui neppure il sostituito possa o voglia succedere. * RECIPROCA: può essere disposta reciprocamente tra più designati in via primaria. Nella sostituzione reciproca tra più designati in quote diseguali i sostituiti sono chiamati nella quota vacante in proporzione delle quote in cui sono stati istituiti, salva diversa volontà del testatore: se però, insieme con i designati reciprochi, è chiamato in sostituzione anche un terzo, la quota vacante si divide in parti eguali tra i sostituiti, salva diversa volontà del testatore. Nella sostituzione ordinaria il diritto successorio del sostituito ha presuntivamente il contenuto del diritto del primo designato, cioè dell'istituito, per cui a carico del sostituito si pongono le condizioni e gli oneri previsti nella nomina fatta in via primaria, con esclusione delle prestazioni di carattere personale, salva diversa disposizione testamentaria (es. Il testatore può disporre la nomina del sostituito in una quota maggiore o minore, o stabilire una diversa divisione dei beni tra i coeredì). 20 3. L’ACCRESCIMENTO NOZIONE DI ACCRESCIMENTO L'accrescimento è l'automatica inclusione della quota vacante nelle quote degli altri coeredì o collegatari: la quota di chi non può o non vuole succedere si aggiunge alle quote di coloro che sono chiamati congiuntamente alla stessa eredità o nominati legatari dello stesso bene. 1° presupposto è che IL CHIAMATO NON POSSA O NON VOGLIA ACCETTARE (es. in caso di premorienza, indegnità, rinunzia, decadenza dal diritto di accettare l'eredità, invalidità o inefficacia della disposizione testamentaria). Se il chiamato muore dopo l'apertura della successione ma prima di aver accettato l'eredità l'accrescimento non ha effetto perché il diritto di accettare l'eredità si devolve ai suoi eredi. Il legato si acquisisce subito al legatario salva la facoltà di rinunzi, per cui se il collegatario muore dopo l'apertura della successione, la quota di trasmette ai suoi eredi, salva la loro facoltà di rinunzia se questa non era stata ancora esercitata. Fa eccezione il legato di usufrutto congiuntivo, dove la regola dell'accrescimento trova applicazione anche quando il collegatario muoia dopo avere preso possesso del bene ed avere pertanto definitivamente consolidato il suo acquisto. 2° presupposto è che LA QUOTA VACANTE SIA LIBERA, ossia che non si devolva per rappresentazione o per sostituzione ordinaria, e che il testatore non abbia comunque espresso volontà contraria all'accrescimento. + L'accrescimento è precluso sia dalla sostituzione che dalla rappresentazione. L’accrescimento tra coeredi richiede anche la CHIAMATA CONGIUNTIVA, per cui: e In caso di successione testamentaria: o | più eredi devono essere istituiti col medesimo testamento nella universalità dei beni o nella stessa quota senza determinazione di parti o in parti eguali o Nella successione a titolo particolare il bene deve essere legato a più collegatari senza determinazione di parti o in parti eguali, sia pure con diversi testamenti e In caso di successione legittima, l'accrescimento ha luogo a favore dei chiamati di pari grado La legge prevede l'accrescimento in tema di successione testamentaria per cui parte della dottrina ritiene che esso non operi a favore del coerede legittimo, ritenendo che in questo caso sia necessaria un'ulteriore delazione e un'ulteriore accettazione: tuttavia, tale opinione non può essere giustificata in quanto l'accrescimento altro non è che un criterio legale di poziorità (prelazione) del coerede concorrente sulla quota vacante. Il testatore può certamente escludere l'accrescimento, in quanto la sorte della quota vacante è rimessa alla sua volontà: esso però non dipende dall'accertamento di una positiva volontà del testatore, la quale assume piuttosto il contenuto di una sostituzione reciproca, ma opera esclusivamente in ragione dell’esistenza dei suoi presupposti legali. 21 EFFETTI E NATURA DELL’ACCRESCIMENTO L’accrescimento OPERA DI DIRITTO: la quota vacante si accresce automaticamente a favore dei coeredi con effetto dal momento dell'apertura della successione, senza bisogno che i coeredi che abbiano accettato l'eredità accettino anche l’ulteriore quota ad essi spettante in quanto essa è un semplice ampliamento di quella originariamente accettata. Ne consegue peraltro che il coerede rinunziante non può più revocare la rinunzia quando vi siano coeredi che abbino accettato l'eredità, posto che la quota vacante è ormai acquisita da questi senza bisogno di un'ulteriore accettazione. L’acquisizione della quota vacante comporta per ciò stesso l'assunzione degli obblighi e oneri ad essa inerenti, salvo che si tratti di imposizioni strettamente personali. A differenza di quanto avviene nella rappresentazione e nella sostituzione ordinaria, il coerede non ha alcuna scelta né facoltà di rinunzia in ordine all'acquisto della quota vacante, che rimane assorbita nella delazione originaria. > La chiamata congiuntiva è per legge potenzialmente comprensiva della quota vacante. DEVOLUZIONE DELL’EREDITÀ E DEL LEGATO VACANTI IN MANCANZA DI RAPPRESENTANZA, SOSTITUZIONE E ACCRESCIMENTO L'EREDITÀ in tutto o in parte vacante che non si devolve per rappresentazione, sostituzione o accrescimento, SI DEVOLVE SECONDO LA REGOLA DELLA SUCCESSIONE LEGITTIMA ai congiunti dell'ereditando di grado prossimo, i quali succedono in forza di un loro autonomo titolo: il loro diritto di accettare l'eredità si prescrive nel termine decennale che decorre dall'apertura della successione, o dal momento in cui è stata accertata l'inefficacia dell'acquisto del primo designato. IL LEGATO in tutto o in parte vacante che non si devolve per rappresentazione, sostituzione o accrescimento, SI ESTINGUE A PROFITTO DELL’ONERATO, il quale però non assume gli oneri e obblighi di carattere personale di cui il legato era gravato. 22 TERMINI PER L'ACCETTAZIONE Il diritto di accettare SI PRESCRIVE nel termine di 10 anni (480): la prescrizione estingue il diritto di accettare, ma tale estinzione non è rilevabile d'ufficio, dovendo essere fatta valere dai chiamati ulteriori e da coloro che sono interessati a contestare la qualità di erede del chiamato. Il termine decorre dal giorno dell’aperture della successione. Secondo la regola generale, il termine si computa dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (2935), per cui: e Sela delazione è sospesa, il termine si computa dal giorno in cui si verifica la condizione e Il termine non decorre nell'ipotesi di chiamata di nascituro non concepito e di ente da istituire, e non decorre finché il rapporto di parentela non è formalmente accertato. La semplice ignoranza dell'esistenza del testamento non è come tale rilevante, ma una tesi estrema, seguita in giurisprudenza, giunge ad affermare la decorrenza del termine anche quando il testamento sia rimasto occultato. Secondo altra tesi la decorrenza presuppone che il testamento sia stato pubblicato. La prescrizione decennale dal tempo dell'aperture della successione vale anche per il diritto dei chiamati ulteriori, in quanto essi possono risolvere la pendenza facendo fissare al primo chiamato un termine giudiziale per l'accettazione. E invece esclusa la decorrenza del termine quando vi sia stata accettazione da parte del chiamato precedente e l'acquisto sia successivamente venuto meno (es. se il titolo della delazione risulta invalido o inefficace o viene accertata l'indegnità del chiamato). Essendo il diritto di accettare un diritto potestativo, la sua estinzione per prescrizione può essere evitata solo mediante l'accettazione. Tale diritto è pure soggetto a DECADENZA: il chiamato ulteriore, o comunque chi vi ha interesse, può chiedere al giudice di fissare, con un provvedimento di volontaria giurisdizione, un termine entro il quale il primo chiamato deve accettare, trascorso il quale senza che vi sia stata accettazione il diritto si estingue (c.d. azione interrogatoria). Altra ipotesi di decadenza è collegata all'inventario eseguito dal chiamato che non è nel possesso dei beni ereditari: compiuto l'inventario, il chiamato ha l'onere di accettare entro 40 giorni, altrimenti decade dal diritto di accettare l'eredità. Se invece il chiamato è e rimane nel possesso dei beni ereditari il problema non si pone perché tale possesso comporta di per sé l'acquisto dell'eredità, con o senza beneficio d'inventario. 25 IL BENEFICIO D’INVENTARIO NOZIONE DI BENEFICIO D’INVENTARIO Il beneficio di inventario è la limitazione legale della responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti ereditari e per i legati e oneri entro il valore dell'eredità ricevuta. Il beneficio d'inventario dipende dalla scelta del chiamato, il quale ha l'onere di specificare nell'atto di accettazione che intende avvalersi di tale beneficio. L'accettazione con beneficio d'inventario è obbligatoria quando si tratti di eredità devolute a: e Incapaci (minori, interdetti, inabilitati) e Enti giuridici diversi dalle società (associazioni, fondazioni, ecc) Il beneficio d'inventario non è un autonomo diritto ma rientra piuttosto nella categoria dei benefici, quali limitazioni di una posizione di svantaggio del soggetto: esso infatti, comportando la limitazione patrimoniale e personale dell'erede, deroga al principio successorio secondo il quale l'erede risponde interamente dei debiti ereditari e dei legati. Il beneficio d'inventario è subordinato ai seguenti oneri: e Dichiarazione formale dell'accettante e Inventario dei beni ereditari e Adozione della procedura di liquidazione concorsuale delle passività ereditarie, se richiesta Si tratta di un procedimento privato in quanto si articola in una serie di atti collegati che rappresentano l'esplicazione di poteri privati: una diversa concezione dottrinale afferma in realtà la natura pubblicistica del beneficio d'inventario, ma queste non trova riscontro nella disciplina normativa, la quale non prevede nessuno speciale potere dell'erede. EFFETTI L'effetto principale del beneficio d'inventario è quello di LIMITARE LA RESPONSABILITÀ patrimoniale e personale dell'erede entro i limiti del valore dell'asse ereditario. Ciò comporta che i creditori e legati non possono aggredire i beni personali dell'erede, a meno che questi non sia in mora nel presentare il rendiconto e per le somme di cui era debitore: più precisamente, l'erede risponde personalmente nella misura del saldo attivo della gestione dei beni ereditari e dei debiti che aveva verso l'ereditando, tranne quelli intrasmissibili. Altre effetto è quello della SEPARAZIONE DEL PATRIMONIO EREDITARIO a favore dei creditori dell'eredità e legatari rispetto ai creditori dell'erede: i creditori dell'eredità hanno cioè un diritto di prelazione rispetto ai creditori personali dell'erede, i quali possono aggredire solo il patrimonio ereditario che residua dopo l'estinzione delle passività ereditarie. Questa separazione viene meno se l'erede rinunzia o decade dal beneficio d'inventario, salvo che i creditori del defunto e i legatari abbiano fatto valere il loro diritto di separazione. Per una tesi dottrinale questa sarebbe un'eccezionale ipotesi di responsabilità senza debito, ma appare ingiustificata in quanto lascia i debiti ereditari senza un obbligato ed esclude arbitrariamente l'erede dalla titolarità delle varie posizioni inerenti al rapporto obbligatorio (es. legittimazione ad accettare la remissione del debito). Per altra tesi l'erede subentra nei debiti del defunto mentre il beneficio limiterebbe la sua responsabilità, ma non spiega come possa dirsi giuridicamente obbligato chi sia esente dalla corrispondente responsabilità patrimoniale. è Più coerente al sistema appare piuttosto l'idea secondo la quale gli stessi debiti risultano limitati in relazione alla misura della responsabilità dell'erede. 26 ACCETTAZIONE FORMALE CON BENEFICIO D’INVENTARIO Onere necessario per conseguire il beneficio è la forma dell'atto pubblico ricevuto da un notaio o dal cancelliere del tribunale dell'aperta successione, in mancanza del quale l'accettazione si considera pura e semplice. La dichiarazione di beneficio d'inventario non integra un distinto atto negoziale bensì una specificazione di contenuto dell'atto di accettazione dell'eredità: se l'eredità è accettata puramente e semplicemente, la successiva dichiarazione d'inventario è priva di efficacia. Per quanto attiene ai TERMINI entro i quali è possibile accettare con beneficio d’inventario, occorre fare una distinzione: e Se il chiamato non è nel possesso dei beni ereditari può accettare con beneficio d'inventario fino a quando conserva il suo diritto di accettare l'eredità. Compiuto l'inventario, ha solo 40 giorni di tempo per accettare con o senza beneficio d'inventario, altrimenti perde il diritto di accettare l'eredità. e Se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari ha l'onere di eseguire tempestivamente l'inventario (entro 3 mesi dall'aperture della successione), altrimenti diviene erede puro e semplice. Compiuto l'inventario, ha poi 40 giorni di tempo per rinunziare o fare l'accettazione formale con beneficio d'inventario, altrimenti è considerato erede puro e semplice, salvo che si tratti di un incapace. Va ricordato che la tempestiva accettazione con beneficio d'inventario non esclude che l'erede possa successivamente perdere tale beneficio (es. l'erede decade dal beneficio se omette di denunziare nell'inventario beni appartenenti all'eredità). Se più sono i chiamati, l'accettazione con beneficio d'inventario da parte di uno comporta l'estensione del beneficio a favore degli altri chiamati, ma non a quelli che avessero già in precedenza accettato puramene e semplicemente. L'INVENTARIO L'inventario è in generale un atto pubblico di ricognizione di un complesso di beni. L'inventario dei beni ereditari è in particolare un atto pubblico col quale il cancelliere del tribunale o il notaio nominato dal tribunale o designato dal testamento accertano la consistenza delle attività ereditarie, descrivendo i beni immobili e mobili e procedendo alla stima di questi ultimi. Il codice di procedura indica le persone che hanno diritto di assistere all'inventario e prevede l'obbligo del pubblico ufficiale di avvisarle dell'operazione. Il chiamato può assolvere l'onere dell'inventario prima o dopo l’accettazione: e Se dopo, il chiamato che è nel possesso dei bei ereditari deve procedere all'inventario entro il termine prorogabile di 3 mesi dall'apertura della successione, altrimenti è considerato erede puro e semplice. e Se prima, ha 40 giorni per accettare con beneficio d'inventario, altrimenti è considerato accettante (se è nel possesso dei beni) o rinunziante (se non è nel possesso dei beni). L’onere dell’inventario può essere assolto su iniziativa di uno dei chiamati ma anche di altri legittimati, in quanto lo scopo è quello di accertare le attività ereditarie a garanzia delle pretese dei creditori dell'eredità e dei legatari. L'erede che in mala fede omette di denunziare nell'inventario beni appartenenti all'eredità o che denunzia passività inesistenti, decade dal beneficio d'inventario per violazione dell'obbligo di fedele denunzia. | termini di decadenza per il compimento dell'inventario non si applicano a danno degli incapaci e la loro inosservanza non comporta decadenza dal beneficio d'inventario, il quale dev'essere però compiuto entro 1 anno dal raggiungimento della maggiore età del chiamato o dalla cessazione dello stato di interdizione o di inabilitazione. 27 DECADENZA DAL BENEFICIO D’INVENTARIO E PROSECUZIONE DELLA LIQUIDAZIONE CONCORSUALE AD ISTANZA DI CREDITORI LIQUIDATARI. L’erede decade dal beneficio di inventario quando: e Dispone dei beni ereditari senza l'autorizzazione giudiziale, e Altera in mala fede l'inventario, e Sottrae o nasconde beni ereditari, e Non osserva gli oneri relativi alla procedura entro i termini previsti, e Esegue pagamenti dopo l'opposizione alla liquidazione individuale e prima che sia definito lo stato di graduazione. Le cause di decadenza possono comunque essere fatte valere solo dai creditori ereditari e dai legatari: finché non sono fatte valere, l'erede conserva il beneficio d'inventario. Esse non operano a danno dell’incapace legale. Se una causa di decadenza interviene dopo l'inizio della procedura concorsuale, i creditori e i legatari possono far proseguire la procedura di liquidazione chiedendo la nomina giudiziale di un curatore, purché però nessuno faccia valere la causa di decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario: nominato il curatore, la decadenza non può più essere fatta valere. RINUNZIA AL BENEFICIO D’INVENTARIO Il beneficio d’inventario è suscettibile di rinunzia senza che occorra la medesima forma richiesta per l'accettazione dell'eredità beneficiata: tale rinunzia non va però confusa con quella avente ad oggetto il diritto di accettare l'eredità. 30 LA RINUNCIA ALL’EREDITÀ L’ATTO DI RINUNZIA La rinunzia all'eredità è il negozio unilaterale mediante il quale il chiamato dismette il suo diritto di accettare l'eredità: divenuto erede, il chiamato non può più rinunziare. La decadenza dalla facoltà di rinunzia è espressamente prevista a carico del chiamato che sottrae o nasconde beni ereditari. La rinunzia ha natura negoziale, e richiede pertanto la capacità di agire del rinunziante: se affetta da dolo o violenza è annullabile entro 5 anni, non invece se affetta da errore, salvo che si tratti di errore ostativo, se la volontà del dichiarante non corrispondeva al contenuto della dichiarazione (es. intendeva rinunziare ad altra eredità). La rinunzia è nulla se sottoposta a termine o a condizione. E nulla inoltre la rinunzia parziale, anche le di recente la Cassazione ha aderito alla contraria opinione, favorevole alla validità della rinunzia avente ad oggetto esclusivo l'una o l'altra delazione, quella legittima o quella testamentaria: la rinunzia ad una delle due delazioni vuol dire rinunzia ad una parte dell'eredità, ciò che la legge non consente. La rinunzia può essere ablativa o traslativa: e La rinunzia traslativa è un atto negoziale di disposizione mediante il quale il chiamato dispone del proprio diritto successorio per ricavame un prezzo o per beneficiare determinati destinatari: essa comporta accettazione dell'eredità. e La rinunzia abdicativa è la rinunzia fatta gratuitamente e in favore di tutti gli ulteriori chiamati: essa è la rinunzia in senso proprio, cioè l'atto diretto esclusivamente alla dismissione del diritto del rinunziante. Il rinunziante può anche aver riguardo al vantaggio dei chiamati ulteriori, ma questo vantaggio non è determinato dall'atto del rinunziante: esso discende dalla chiamata ulteriore. La rinunzia, come l'accettazione con beneficio d'inventario deve farsi mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del luogo dell'aperta successione e deve essere inserita nel registro delle successioni. La rinunzia non è soggetta a trascrizione. EFFETTI E REVOCA DELLA RINUNZIA L’effetto della rinunzia è la perdita del diritto all’eredità: il rinmunziante è considerato come se mai fosse stato chiamato (retroattività della rinunzia). Con la rinunzia il chiamato non perde però definitivamente il diritto all'eredità: è infatti possibile la revoca della rinunzia, che si realizza esclusivamente mediante l'accettazione dell'eredità, fino a quando l'eredità non sia stata acquistata dagli ulteriori chiamati, non potendo essa pregiudicare le ragione acquistate dai terzi sui beni dell'eredità. | chiamati ulteriori sono, nell'ordine: 1.1 sostituti, se vi è sostituzione testamentaria 2.1 rappresentanti, se vi è rappresentazione 3.1 coeredì, se vi è accrescimento 4. Infine, i parenti di grado prossimo secondo le norme della successione legittima. La rinunzia all'eredità non importa rinunzia ai legati: il legittimario può rinunziare all'eredità e ritenere le donazioni e i legati, salva l'azione di riduzione nei suoi confronti se queste attribuzioni importano lesione della riserva di altri legittimari. 31 ACCETTAZIONE IN SURROGATORIA DA PARTE DEI CREDITORI DEL RINUNZIANTE La chiamata degli ulteriori successibili incontra il limite del diritto dei creditori del rinunziante di accettare in nome e in luogo del rinunziante al fine di soddisfarsi sui beni ereditari. Questo rimedio non costituisce un'impugnazione della rinunzia o una revocatoria, ma una peculiare figura di azione surrogatoria, anche se tale richiamo non è condiviso dalla giurisprudenza. L'accettazione dei creditori, che dev'essere autorizzata dal giudice, presuppone che i loro diritti non siano sufficientemente garantiti dal patrimonio del debitore, e non che la rinunzia sia stata fatta in frode alle loro ragioni. In quanto l'accettazione è fatta in nome e in luogo del rinunziante, essa non comporta alcun acquisto in capo ai creditori, i quali non diventano sicuramente eredi del defunto: erede deve piuttosto considerarsi il rinunziante, sia pure nella stretta misura in cui l'acquisto dei beni ereditari vale a soddisfare le pretese dei suoi creditori. La parte residua è infatti di spettanza dell'erede chiamato a seguito della rinunzia del primo chiamato. Analogamente a quanto previsto in sede di revocatoria ordinaria, deve riconoscersi la legittimazione attiva anche in capo ai creditori, il cui credito sia sottoposto a termine o a condizione: e L'azione proposta da un creditore giova agli altri come nella surrogatoria ordinaria, * Legittimato passivo è il chiamato rinunziante e L'azione si prescrive in 5 anni dalla rinunzia. 32 7.L’EREDE L'EREDITÀ è il complesso delle posizioni giuridiche attive e passive che si trasmettono dal defunto ai suoi successori: a titolarità di queste posizioni spetta all'erede, che acquisterà l'eredità con effetto dal momento della morte dell'ereditando. Tale effetto retroattivo vale a colmare il vuoto tra l'apertura della successione e l'accettazione dell'eredità, e ad assicurare la continuità dei rapporti successori. Prima che si verifichi l'effetto retroattivo dell'accettazione, la titolarità dei diritti ed obblighi ereditari è provvisoriamente vacante ma destinata all'erede. La dottrina è concorde nell'escludere che l'eredità costituisca un ente giuridico dotato di una propria soggettività, e si ritiene piuttosto che essa costituisca un patrimonio autonomo, e cioè un patrimonio con destinazione legale (acquisto dell'erede). L'EREDE è il successore universale del defunto, intendendosi come tale chi acquista l'eredità o una quota di essa: è colui che subentra nella geeralità delle posizioni attive e passive del defunto o in una quota di essa, eccettuati i diritti specificamente attribuiti ai successori a titolo particolare. I CRITERI DI INDIVIDUAZIONE DELL'EREDE sono i criteri normativi di accertamento del carattere universale o particolare della chiamata successoria. Tali criteri possono ricondursi: e Al criterio dell’attribuzione della qualità di erede, che accerta cime disposizione a carattere universale quella che nomina direttamente il designato quale erede o successore universale (es. nomino mio figlio A unico erede). * Al criterio dell’attribuzione dell’universalità dei beni o di una quota di essi, che accerta come disposizione a carattere universale quella che attribuisce al designato l'universalità dei beni o una quota di essi (es. lascio la metà del patrimonio a mio figlio A). Universalità deve intendersi come generalità dei beni: ciò che rileva è l'intenzione del testatore di assegnare i beni nel loro complesso, e non invece singoli determinati beni. Anche l'assegnazione di determinati beni può peraltro concretare una disposizione a titolo universale, se il testatore intendeva assegnare tali beni come quota del patrimonio. | due criteri, quello della nomina e quello dell'attribuzione dei beni, possono concorrere e, in caso di contrasto: * Se il testatore dispone della generalità di essi prevale il criterio dell'attribuzione dei beni: chi riceve la generalità dei beni è infatti per ciò stesso successore universale del defunto, e una contraria indicazione di quest'ultimo deve intendersi come erronea o comunque irrilevante. e Se vi è l'attribuzione di beni particolari allora la nomina di erede può essere importante per interpretare la volontà del testatore, nel senso che tali beni sono stati intesi come concreta assegnazione nell'ambito della quota ereditaria. L'OGGETTO DELLA SUCCESSIONE EREDITARIA è stato identificato in diversi elementi: * Perla teoria della qualità di erede oggetto proprio della vicenda successoria è la qualità di erede: l'erede non sarebbe tale perché acquista l'universalità, ma acquista l'universalità dei beni in quanto la successione gli ha conferito lo stato giuridico di erede. In tal senso deporrebbe sia il fatto che la titolarità del patrimonio ereditario e la qualità di erede sono posizioni distinte e scindibili, che la tutelabilità della qualità di erede a prescindere dai singoli diritti ereditari. MA, questi argomenti non sono sufficienti perché rimane da chiedersi come possa concepirsi lo stato giuridico di erede prescindendo dalla vicenda dell'acquisto dell'eredità. * Perla teoria dell'eredità come universalità di diritto oggetto della successione è l'eredità: l'unitarietà sarebbe impressa dalla legge alle varie componenti dell'eredità (comprese le obbligazioni che vi ineriscono) al solo fine di consentime il trapasso all'erede. La tesi trae argomento specifico dalla norma che definisce le disposizioni testamentarie a titolo universale come quelle che comprendono l'universalità o una quota dei beni ereditari. MA, la legge si riferisce alla universalità dei beni, e non all'unità astratta comprensiva di diritti e Obblighi. 35 e La teoria dell'eredità come totalità dei beni non identifica nella totalità dei beni l'oggetto proprio della successione ereditaria, ma esclusivamente il mezzo tecnico con cui si opera la successione: erede è colui cui la legge o il testatore attribuiscono tutti i beni. MA, questa tesi appare utilizzabile quando la disposizione ha per oggetto l'intero patrimonio, ma non vale a risolvere il problema posto dalle attribuzioni di beni determinati che nel loro insieme esauriscono il patrimonio del testatore: la circostanza che nessun bene risulti lasciato all'erede non esclude che questi sia il successore universale, in quanto il titolo di erede non è necessariamente collegato con l'acquisto di beni. LE POSIZIONI ATTIVE E PASSIVE CHE SI TRASMETTONO ALL’EREDE In generale, all’erede si trasmettono tutte le posizioni attive e passive del defunto, tranne quelle di natura strettamente personale e quelle di cui il defunto abbia disposto mediante legati. Le POSIZIONI ATTIVE comprendono: e La proprietà e gli altri diritti reali, esclusi i diritti di usufrutto, uso e abitazione. * | crediti, i contratti e, in generale, i poteri autonomi sia sostanziali che processuali, tranne quelli di carattere personale e quelli dichiarati intrasmissibili (es. revocare l'atto costitutivo della fondazione) Carattere strettamente personale deve riconoscersi ai diritti della personalità e ai diritti di famiglia, salvo qualche ipotesi eccezionale, e ai contratti che si costituiscono in considerazione delle qualità personali del contraente (es, le posizioni di socio di società di persone, di lavoratore, di prestatore d'opera, di mandante o di mandato: in questi casi gli eredi subentrano piuttosto nei diritti conseguenti allo scioglimento del rapporto). Di regola proseguono con gli eredi i rapporti di appalto, di locazione, di affitto, di colonia. e La posizione di parte in un processo: le sentenze pronunziate nei confronti del defunto hanno effetto contro l'erede. e L'erede infine acquista il possesso dei beni ereditari a far data dall'apertura della successione. All'erede si trasmettono anche le POSIZIONI PASSIVE del defunto, e cioè le obbligazioni, le soggezioni ad altrui poteri, la legittimazione processuale passiva, tranne quelle aventi carattere strettamente personale. Rientra poi di massima nell'ambito dell'autonomia delle parti stabilire l'intrasmissibilità dei loro rapporti obbligatori e contrattuali. DIVISIONE AUTOMATICA DEI CREDITI E DEI DEBITI TRA | COEREDI Se vi sono più eredi, i CREDITI si dividono automaticamente in proporzione delle loro quote, anche quando trattasi di credito originariamente solidale: nell'ipotesi invece di prestazione indivisibile ciascuno degli eredi può esigere l'intero ma deve dare cauzione a garanzia dei coerediì. Per eseguire il pagamento, il debitore deve individuare chi sono gli eredi e il pagamento deve essere fatto in ragione delle loro quote, salvo che il pagamento dell'intero sia fatto a tutti i coeredi congiuntamente: tale necessità di individuare gli eredi e le loro quote è superata quando sia nominato un esecutore testamentario o un curatore dell'eredità, anche su istanza del debitore (a ciò legittimato dal suo apprezzabile interesse alla liberazione dal debito). Anche i DEBITI e i pesi ereditari si dividono automaticamente tra gli eredi in ragione delle loro quote senza vincolo di solidarietà: se il defunto era obbligato in solido con altri, è l'obbligazione solidale che si divide tra gli eredi. Il coerede che paga oltre i limiti della sua quota ha diritto di rivalsa nei confronti degli altri coeredì: in tal caso è surrogato nel diritto di credito se questo era munito di ipoteca o pegno, se la prestazione era indivisibile o se il creditore lo ha surrogato. Il testatore può prevedere una diversa divisione del carico dei debiti e dei pesi ereditari: questa previsione rileva nei rapporti interni ma non può pregiudicare la posizione dei creditori. Con riguardo alla responsabilità per il legato la diversa previsione del testatore è invece opponibile al legatario, poiché si tratta di un atto di liberalità successoria e spetta quindi al testatore determinane il contenuto e i limiti e in particolare anche la persona dell'onerato. 36 PROVA DELLA QUALITA DI EREDE Onere di chi fa valere tale qualità nei confronti dei terzi, assolto dimostrando il rapporto di filiazione o di coniugio con il defunto o il titolo testamentario. Non è necessario di regola che sia dimostrata anche l'accettazione dell'eredità perché l'accettazione sarebbe comunque implicita nel fatto stesso di esercitare la qualità di erede, ma se è trascorso il termine per accettare, è il chiamato che deve dimostrare la tempestiva accettazione o il suo precedente possesso dei beni ereditari (se il chiamato è un incapace la prova dell’accettazione si rendi necessaria in quanto non rileva l'accettazione tacita). All'erede legittimo, che non sia figlio o coniuge, non basta dimostrare il semplice rapporto di parentela, occorrendo ancora provare di essere parete di grado prossimo. Quando è il terzo che fa valere un diritto contro il presunto erede, è a suo carico la prova della qualità di erede del convenuto, onere che viene assolto dimostrando la posizione di congiunto o di chiamato testamentario del convenuto e l'avvenuta accettazione (in quanto elemento costitutivo della qualità di erede); l'una è l'altra prova sono superflue se l'erede abbia già pubblicamente manifestato la sua qualità. LA PETIZIONE DI EREDITÀ Azione mediante la quale l'erede chiede l'accertamento della sua qualità per conseguire la restituzione dei beni ereditari da chi li possiede come erede o senza titolo: è quindi un'azione a tutela dell'erede contro chiunque usurpa i beni ereditari contestando all’erede la sua qualità, espressione del suo diritto sostanziale ad essere riconosciuto erede per ottenere i beni che gli spettano in ragione del suo titolo. In quanto la qualità di erede è imprescrittibile tale è anche la petizione di eredi, salvi però gli acquisti per usucapione maturati a favore dei terzi possessori dopo l'apertura della successione. La petizione di eredità non può inquadrarsi nell’alternativa tra azioni reali e personali: la qualità di erede non è infatti un “diritto”, reale o personale, ma designa la posizione del soggetto qual successore universale del defunto. Non va comunque confusa con le azioni di rivendica di singoli beni ereditari: in tali azioni, infatti, l'erede fa valere il diritto reale di cui è divenuto titolare a seguito della successione, e il suo titolo di erede è un semplice presupposto della domanda, mentre con la petizione di eredità fa valere la sua qualità contro chi usurpa i beni dell'eredità. Anche quando sia diretta al conseguimento di singoli beni ereditari la petizione di eredità si distingue dunque rispetto alla rivendica per il titolo fatto valere, e al diverso titolo corrisponde un diverso onere probatorio: e Nella rivendica occorre la dimostrazione da parte dell'attore della proprietà dei beni e Nella petizione è sufficiente che l'attore provi la propria qualità di erede e il fatto che i beni al momento dell'apertura della successione erano compresi nell'asse ereditario La giurisprudenza qualifica la petizione di eredità come azione a carattere universale, in quanto avente ad oggetto beni intesi come componenti l'universalità dell'asse ereditario indipendentemente dallo specifico titolo in base al quale il defunto ne aveva il possesso. I SOGGETTI LEGITTIMATO ATTIVO alla petizione di eredità è L’EREDE, non il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato, che può esercitarla solo per conto di chi spetta al fine di recuperare i beni dell'asse ereditario abusivamente posseduti dal terzo usurpatore, né il compratore dell'eredità, in quanto non consegue la qualità di erede, e neppure chi agisce per ottenere un provvedimento costitutivo del suo diritto all'eredità (es. chi agisce per ottenere l'annullamento di un testamento), in quanto in tal caso non si chiede l'accertamento della qualità di erede ma la costituzione di essa attraverso l'esperimento di azioni suscettibili di estinzione per prescrizione. LEGITTIMATI PASSIVI sono coloro che usurpano beni dell'eredità a titolo di erede (PRESUNTO EREDE) o senza titolo (POSSESSORE SENZA TITOLO), e TERZI AVENTI CAUSA, fatti salvi gli acquisti del terzo che ha contrattato in buona fede con l'erede apparente. 37 8. LA SUCCESSIONE NECESSARIA LA LEGITTIMA La legittima è il DIRITTO DI SUCCESSIONE CHE SPETTA AGLI STRETTI CONGIUNTI ANCHE CONTRO LA VOLONTÀ DEL DEFUNTO: LEGITTIMARI, e cioè titolati del diritto di legittima, sono il coniuge, i figli e, n mancanza di questi, gli ascendenti. Ai legittimari la legge garantisce in via successoria una quota di valore della massa fittiziamente formata dai beni dell'asse ereditari (relitto) e dai beni donati in vita dal defunto (donato). La QUOTA DI LEGITTIMA non è quindi un'entità omogenea e coincidente con la quota dell'eredità: e L'eredità è infatti il complesso delle posizioni attive e passive trasmissibili facenti capo al defunto al momento della morte e La massa sulla quale è calcolata la legittima è invece la somma globale del valore netto dell'eredità e dei beni di cui il defunto si era spogliato in vita mediante atti di liberalità L'interesse dei legittimari a conseguire la quota di riserva è giuridicamente tutelato mediante il DIRITTO DI LEGITTIMA, un diritto legale successorio avente per contenuto il potere di acquisire direttamente o mediante azione giudiziaria beni dell'eredità e beni donati dal defunto fino alla concorrenza del valore della legittima: esso non è quindi un diritto su determinati beni del defunto, ma un diritto ad una quota di valore. La legittima prende anche il nome di RISERVA, e a successione dei legittimari è comunemente chiamata SUCCESSIONE NECESSARIA, quale successione che si attua anche contro la volontà del testatore. Le disposizioni del defunto lesive della legittima non sono però nulle o annullabili, ma piuttosto soggette a riduzione. La quota del patrimonio di cui il titolare può disporre senza ledere la riserva dei legittimari prende il nome di DISPONIBILE. Diritto di legittima e delazione ereditaria: IL LEGITTIMARIO PRETERMESSO Il legittimario non ha la posizione di chiamato all'eredità quando sia stato pretermesso o preterito dal testatore, e cioè quando questi abbia disposto interamente dell'eredità mediante disposizioni a titolo universale che non includono il legittimario: in tal caso, all'intera eredità sono chiamati coloro che sono designati dal testamento, il quale è intanto valido ed efficace. Per conseguire la sua quota di eredità il legittimario deve allora esercitare un'azione giudiziaria a carattere costitutivo, l'AZIONE DI RIDUZIONE, al fine di ridurre le disposizioni testamentarie lesive della sua quota: a seguito di tale azione il legittimario conseguirà la qualità di erede in quanto avrà conseguito una quota dell'eredità. NATURA E FONDAMENTO DELLA SUCCESSIONE NECESSARIA La successione necessaria (che rientra nel fenomeno della successione a causa di morte) può essere qualificata come successione legittima, poiché si tratta di successione che ha titolo nella legge, e cioè in un diritto successorio legalmente attribuito al successibile. Tuttavia, il codice distingue la successione necessaria rispetto alla successione legittima, intesa restrittivamente come la successione intestata, quella che si apre sull'eredità di cui il defunto non abbia disposto mediante testamento. La successione necessaria ha un proprio fondamento nell'esigenza sociale di una inderogabile solidarietà tra i coniugi più stretti, che vale a giustificare la prevalenza del diritto di riserva sulla volontà dell’ereditando (a differenza della successione legittima che ha luogo solo nei limiti in cui manca una disposizione testamentaria), un proprio titolo nel diritto di legittima attribuito agli stretti congiunti, e una propria disciplina. Avendo essa fondamento nella inderogabile solidarietà tra gli stretti congiunti, essa diviene anche mezzo di tutela della famiglia, ma non di un interesse superiore della famiglia, dal momento che gli interessi familiari rilevano come interessi tipicamente individuali. Le norme sulla successione necessaria sono cogenti in quanto inderogabili da parte del testatore. 40 DETERMINAZIONE DELLA LEGITTIMA A favore dei legittimari la legge non riserva semplicemente una quota di eredità, ma riserva una quota della massa ereditaria, formata fittiziamente dal valore dei beni appartenenti al defunto al tempo della morte (relitti), cui è detratto l'ammontare dei debiti ereditari, più il valore dei beni donati in vita dal defunto. Il valore dei beni relitti e donati va determinato con riferimento al tempo dell'apertura della successione. È su tale valore che vanno applicate le quote di legittima. I LEGITTIMARI 1. IL CONIUGE La QUOTA DI LEGITTIMA del coniuge: * È della metà della massa se non concorrono figli del defunto * È di un terzo se assieme al coniuge concorre un figlio del defunto * È di un quarto se concorrono più figli * È della metà se assieme al coniuge concorrono ascendenti Oltre alla quota di legittima il coniuge ha anche il DIRITTO DI ABITAZIONE sulla casa adibita a residenza familiare e il DIRITTO DI USO SUI MOBILI che la corredano. Presupposto di tali diritti è che si tratti di beni di proprietà del defunto o sui quali questi aveva un diritto di godimento o di appropriazione: potevano essere anche in comunione col coniuge superstite, ma non in comproprietà con terzi. Tali dirittisono acquisiti immediatamente secondo la regola dei legati di specie, rimanendo quindi sottratti alla comunione ereditaria: pertanto, prevalgono sui diritti di altri eredi o legatari senza che occorra esercitare un'azione di riduzione. i diritti di abitazione e di uso sono LEGATI DI LEGITTIMA: se il coniuge è chiamato all'eredità essi si configurano precisamente come PRELEGATI DI LEGITTIMA. Secondo la regola dei legati essi possono essere conseguiti a prescindere dall’accettazione dell’eredità, ed anche nel caso di rinunzia a quest'ultima. Particolarità di tali legati è data dal fatto che essi gravano anzitutto sulla disponibile: e Se il loro valore è superiore a quello della quota disponibile, la differenza grava sulla quota del coniuge e Se è superiore a quello della quota disponibile e della quota di legittima del coniuge, la differenza grava sulle quote degli altri legittimari. La GIURISPRUDENZA ha accolto la tesi per cui il coniuge che abbia ricevuto in proprietà per testamento la casa familiare può pretendere dal beneficiario della disponibile l'importo del valore dei diritti di abitazione e di uso, proprio perché questi diritti sono posti a carico della disponibile, implicando così una maggiorazione della quota di legittima spettante al coniuge: può PERÒ osservarsi che la legge non ha maggiorato la quota di legittima, che è una quota di valore, ma ha piuttosto attribuito al coniuge legati di specie, quali diritti reali limitati su determinati beni, pertanto, se i beni sono attribuiti in proprietà al coniuge, tali legati ex lege sono assorbiti in tutto o in parte dalla disposizione testamentaria. Inoltre, la norma che assegna al coniuge questi speciali diritti risponde all'esigenza di garantire comunque al coniuge il godimento della casa e dei mobili anche con sacrificio della disponibile, ma, se il coniuge ha già ricevuto per testamento la casa familiare, non vi ragione di imporre al terzo un sacrificio che è strumentale per assicurare tale godimento. I diritti di abitazione e di uso spettanti al coniuge hanno la natura dei tipici diritti reali di abitazione e di uso e, in quanto tali, sono incedibili e hanno la durata della vita del titolare, mentre non sembrerebbe inapplicabile il limite rappresentato dal fabbisogno del titolare e della sua famiglia. Il loro valore può essere considerato equivalente a quello dell’usufrutto. Il coniuge separato senza addebito ha lo stesso diritto di legittima del coniuge non separato. Il coniuge separato con addebito invece ha solo diritto ad un assegno vitalizio alimentare se, al momento della morte del defunto, percepiva gli alimenti legali dal medesimo. Tali diritti spettano poi al coniuge, separato o divorziato, cui erano stati attribuiti anteriormente all'apertura della successione, in quanto la morte del coniuge non incide sulla funzione per la quale erano stati attribuiti e non può quindi esserne causa di estinzione. 41 L’invalidità del matrimonio pronunziata dopo la morte di uno dei coniugi non toglie all’altro coniuge in buona fede i suoi diritti successori, a meno che, al momento della morte, l'ereditando non fosse legato da valido matrimonio. Nella SUCCESSIONE LEGITTIMA i diritti di abitazione e di uso dei mobili non sono menzionati, ma evidentemente spettano al coniuge superstite anche quando il defunto non abbia fatto testamento. Secondo la giurisprudenza, il loro valore va aggiunto alla quota di riserva del coniuge, proprio perché essi sono previsti come diritti ulteriori rispetto alla quota di riserva. Ciò non deve comunque pregiudicare la posizione successoria che spetta al coniuge in base alla successione legittima: se il valore della quota di riserva sommato al valore del diritto di abitazione è inferiore al valore della quota legittima, il coniuge superstite potrà far valere per intero il diritto a questa quota. Un ulteriore problema conceme la BASE DI CALCOLO DELLA QUOTA DI RISERVA del coniuge: al riguardo appare fondata le tesi per cui il calcolo va fatto sulla massa ereditaria che residua dopo il prelievo dei diritti di uso e di abitazione, in quanto altrimenti, essendo essi stessi diritti di legittima, si verrebbe a duplicare il conteggio del loro valore, da attribuire una volta come valore aggiunto alla quota di legittima e una volta come parte di essa. 2.1 FIGLI La QUOTA DI LEGITTIMA spetta anche ai figli e, per via di rappresentazione, ai loro discendenti. La quota di legittima che spetta al FIGLIO UNICO: * È della metà della massa se non concorre con il coniuge e È di un terzo se concorre col coniuge del defunto (al coniuge: 1/3) Se concorrono PIÙ FIGLI la quota di legittima loro spettante: * È di due terzi se non concorrono con il coniuge * È della metà se assieme ad essi concorre il coniuge (al coniuge 1/4) La legittima spetta ugualmente ai figli di sangue e ai figli adottivi: la Riforma del 75 ha accomunato negli stessi diritti figli legittimi e figli naturali, lasciando invece gravemente discriminata la posizione dei figli irriconosciuti. I figli legittimi conservano tuttavia una posizione privilegiata: mediante la COMMUTAZIONE i figli legittimi possono estromettere dalla comunione ereditaria i figli naturali del defunto, corrispondendo a questi il valore della loro quota. Prima del ‘75 in tale facoltà si riconosceva un diritto potestativo legale, mentre a seguito della Riforma tale atto deve essere autorizzato dal giudice, diventando così un diritto potestativo a concessione giudiziale. Presupposti dell’autorizzazione del giudice sono: e Chesia richiesta da parte di tutti i figli legittimi nei confronti di tutti i figli naturali, avendo la commutazione ad oggetto la porzione di eredità spettante ai figli naturali. e Che la porzione da commutare abbia titolo esclusivo nella legge: se fosse in tutto o in parte attribuita dal testamento, la commutazione non può essere concessa Che la partecipazione dei figli naturali alla comunione ereditaria dia luogo ad apprezzabili difficoltà per la gestione o il godimento del patrimonio ereditario: potendo le stesse difficoltà derivare anche dalla partecipazione di un estraneo (immune dalla commutazione in quanto erede testamentario) appare evidente la illegittimità costituzionale di tale norma che crea una sicura discriminazione a carico dei figli naturali. Il giudice decide nel caso in cui da parte dei soggetti passivi vi sia opposizione (anche tacita) alla commutazione proposta dai figli legittimi, i quali avranno quindi l'onere di fare domanda al giudice ordinario affinché decida se accordare o meno la commutazione. La sentenza non ha l'effetto diretto di commutare la porzione che ne è oggetto, ma piuttosto quello di autorizzare i figli legittimi ad estromettere dalla comunione i figli naturali soddisfacendo le loro ragioni successorie, mediante la liquidazione delle loro quote e il pagamento del loro valore o anche mediante dazione di beni ereditari. 42 LEGATO E DONAZIONE IN CONTO DI LEGITTIMA Attribuzioni che vanno imputate alla quota di legittima del beneficiario senza precludergli di agire in riduzione per l'eventuale differenza: il legittimario che consegue il legato può dunque far valere il suo diritto di legittima se il legato o la donazione risultino insufficienti, e cioè se il loro valore non raggiunge quello della quota di riserva, potendo ovviamente chiedere solo la differenza necessaria a coprire la quota. Il legittimario conserva l'attribuzione a titolo particolare anche se il suo valore supera quello della legittima: l'eccedenza in più viene a gravare in tal caso sulla disponibile. Se però lede il diritto di riserva di altri legittimari, questi possono agire contro il legittimario legatario o donatario per la riduzione del legato o della donazione. Il legittimario può rinunciare all’eredità alla quale sia stato chiamare e ritenere i legati e le donazioni ricevute in conto di legittima MA, in ogni caso, la rinunzia non lo sottrae a quella stessa riduzione cui sarebbe esposto se accettasse l'eredità, per cui, se legatario è soggetto all'azione di riduzione assieme a tutte le altre disposizioni testamentarie lesive di legittima, se donatario è tenuto a conferire la donazione ricevuta nella massa ereditaria, salvo che sia stato dispensato dalla collazione. Questo perché la rinunzia non può pregiudicare gli estranei ai quali il defunto abbia fatto attribuzioni a titolo di donazione o legato sulla disponibile. In caso di rinunzia all'eredità, si pone il PROBLEMA di capire se il legatario rinunziante possa conservare il legato nei limiti della sua legittima. La dottrina, basandosi su uno spunto della Relazione del codice civile, è unanime nel ritenere che il rinunziante all'eredità non possa trattenere niente oltre la disponibile poiché la sua porzione di legittima andrebbe ai legittimari eredi. Tale tesi risulta però in aperto contrasto con la volontà del de cuius, il cui rispetto esige che, chi ha ricevuto una donazione o un legato in conto della sua quota di legittima, possa, se rinunziante all'eredità, trattenere la donazione o il legato almeno entro il valore di tale quota. > Nel rispetto della volontà del defunto, il donatario o legatario in conto di legittima che rinunzia all'eredità può trattenere la donazione e il legato sulla quota di legittima e anche sulla disponibile purché ciò non pregiudichi le assegnazioni fatte ai terzi che non sarebbero state suscettibili di riduzione qualora il legittimario avesse accettato l'eredità. Il rinunziante, ovviamente, non essendo erede non potrà agire in riduzione anche se risultasse lesa la sua quota di legittima. LEGATO E DONAZIONE IN CONTO DELLA DISPONIBILE Attribuzioni che gravano sulla disponibile e che si aggiungono a quanto spetta al beneficiario a titolo di legittima: l'intento dell'ereditando è qui quello di conferire al legittimario un vantaggio ulteriore rispetto alla stretta quota di legittima. Questo vantaggio di concreta nella esenzione dalla imputazione e dalla collazione e, infatti, l'ereditando può esprimere lo stesso intento accompagnando la donazione o il legato con la clausola di esenzione dall'imputazione e dalla collazione. Mediante la dispensa dall’imputazione il beneficiario è privilegiato rispetto ai terzi che non siano legittimari coeredi, ma non rispetto ai coeredi, posto l'obbligo legale del coerede legittimario di conferire nell’asse ereditario le donazioni e i legati ricevuti: a tal fine occorre piuttosto che il donatario sia dispensato dalla collazione. La dispenda dall’imputazione dev'essere espressa e non implica dispensa dalla collazione: l'una e l'altra dispensa sono tuttavia ugualmente manifestate dall'ereditando nell'indicare l'attribuzione come fatta sulla disponibile. 45 . TUTELA DIRETTA DELLA LEGITTIMA L’INTANGIBILITA DELLA LEGITTIMA Le quote di legittima sono calcolate al netto del valore della massa, tenendo conto anche di oneri, legati e condizioni che possano incidervi negativamente: oneri, legai e condizioni possono anche gravare sul legittimario, purché il valore netto della sua porzione non sia inferiore a quello della legittima. La legge infatti vieta al testatore di gravare con pesi e condizioni la quota del legittimario, perché ciò pregiudicherebbe il diritto di legittima: questo divieto, che ribadisce il principio di intangibilità della legittima, comporta la diretta inefficacia delle relative disposizioni senza che occorra esperire l'azione di riduzione (anche se il punto è controverso). LA C.D. CAUTELA SOCINIANA Rimedio a diretta tutela del legittimario che riguarda due ipotesi: e ll testatore assegna al legittimario (es. figlio) beni in nuda proprietà e a terzi un diritto di usufrutto o una rendita vitalizia il cui reddito ecceda quello della disponibile e ll testatore assegna al legittimario un diritto di usufrutto mentre a favore di terzi ne dispone la nuda proprietà per una parte eccedente la disponibile. Il rimedio consiste nel potere del legittimario di scegliere tra dare esecuzione alla disposizione oppure conseguire integra la porzione di legittima (es. trattenere la piena proprietà della sua quota) abbandonando al terzo l’usufrutto o la nuda proprietà limitatamente alla parte disponibile: l'opzione tra esecuzione della disposizione testamentaria e abbandono della disponibile può essere esercitata senza particolari formalità. Se il lascito a favore del terzo incide sulle quote di più legittimari, la scelta nel senso dell'esecuzione della disposizione testamentaria dev'essere decisa concordemente da tutti. AUTOMATICA RIDUZIONE DELLE PORZIONI DEGLI EREDI LEGITTIMI IN CONCORSO CON I LEGITTIMARI Sull'eredità o quota di eredità della quale il defunto non abbia disposto per testamento si apre la successione legittima: la successione intestata a favore dei figli del defunto esclude il concorso con altri parenti, mentre, in mancanza di figli, gli altri legittimari (coniuge e ascendenti) non acquistano l'intera eredità e concorrono quindi con altri successori, concorso che deve avvenire sempre nel rispetto delle quote di riserva dei legittimari. A rispettare le quote di riserva non basta applicare le quote della successione intestata, le quali hanno infatti ad oggetto esclusivamente l'eredità, mentre le quote di riserva hanno ad oggetto la massa (beni ereditari più quelli donati): se l'applicazione di tali quote non è sufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari, le porzioni degli altri parenti sono ridotte fino ad integrare la riserva spettante ai legittimari. La riduzione è automatica e non richiede una sentenza. 46 L’AZIONE DI RIDUZIONE IL RIMEDIO GIUDIZIALE DELLA RIDUZIONE Il legittimario che è leso nel suo diritto di legittima da disposizioni testamentarie o donative può agire giudizialmente per ottenerne la riduzione. CONDIZIONI per l'esercizio dell'azione sono: e Che il legittimario abbia accettato con beneficio d’inventario, per l'esigenza di un tempestivo e obbiettivo accertamento della consistenza dell'asse ereditario, che valga ad evitare abusi a carico di terzi che non hanno il possesso né quindi il controllo dei beni ereditari. Questa condizione non è richiesta quando l'azione è proposta contro i chiamati all'eredità, pur se rinunzianti, o quando il legittimario sia stato preterito dal testatore. e Che il legittimario imputi alla sua quota i legati e le donazioni fatte dal defunto, a meno che non ne sia stato dispensato espressamente dal defunto (la dispensa non pregiudica comunque le donazioni anteriori): l'imputazione dev'essere fatta con riguardo al valore del bene al tempo dell'apertura della successione. Il legittimario non deve imputare la donazione del bene perito per causa a lui non imputabile. L'azione di riduzione non fa valere un diritto reale ma è piuttosto l'esercizio di un rimedio giudiziale diretto a rendere inefficace l'atto dispositivo lesivo della quota di legittima. Legittimati ad agire in riduzione sono i legittimari e i loro eredi e aventi causa: l'azione può essere esercitata in via surrogatoria dai creditori del defunto quando l'erede non abbia accettato con beneficio d'inventario. In giurisprudenza si ritiene che l’azione sia incedibile, mentre è rinunziabile in quanto dopo l'apertura della successione è rinunziabile il diritto di legittima. L'azione di riduzione è soggetta all'ordinario termine di prescrizione (10 anni), decorrente dall'apertura della successione. L'azione di riduzione non comporta liticonsorzio necessario tra tutti i successori, potendo essere esperita nei soli confronti di chi beneficia della disposizione lesiva del diritto del legittimario. RIDUZIONE DELLE DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE Per la reintegrazione della quota di legittima lesa devono ANZITUTTO essere ridotte le disposizioni testamentarie, siano esse a titolo universale o a titolo particolare: esse sono ridotte tutte proporzionalmente di quanto è necessario per soddisfare il diritto del legittimario. Il valore del patrimonio deve sempre essere calcolato al tempo dell'apertura della successione, e a prescindere da eventuali oneri o condizioni, che non decurtano la massa ereditaria. Il testatore può prevedere che una disposizione abbia effetto “a preferenza” delle altre, nel senso che è ridotta dopo che siano state ridotte le altre disposizioni e ciò non sia bastato a reintegrare la legittima lesa. La riduzione delle disposizioni testamentarie a titolo universale comporta che il legittimario diviene erede nella misura in cui tali disposizioni sono ridotte a suo favore: la riduzione comporta infatti l'acquisizione legale da parte del legittimario della quota ridotta. Nella misura in cui il legittimario diviene erede, egli risponde proporzionalmente dei debiti del defunto e dei legati secondo la regola comune: la riduzione delle disposizioni testamentarie tiene conto, tuttavia, di tali debiti, per cui il legittimario che ne risponde ha comunque conseguito un valore netto sufficiente ad integrare il suo diritto. La riduzione delle disposizioni a titolo particolare comporta la proporzionale riduzione del credito del legatario o del diritto reale sul bene di specie assegnatogli: successivamente alla domanda giudiziale il legatario è tenuto a restituire i frutti percepiti e quelli che avrebbe potuto percepire usando l'ordinaria diligenza. 47
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