Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto "Leggere il tempo nello spazio", Sintesi del corso di Geografia

Riassunto completo del libro "Leggere il tempo nello spazio" per il corso di geografia - facoltà antropologia, religioni e civiltà orientali di Bologna

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 11/05/2021

irene.tr
irene.tr 🇮🇹

5

(12)

1 / 31

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto "Leggere il tempo nello spazio" e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! Leggere il tempo nello spazio 1. Il ritorno dello spazio 1.1. Dramma didattico: la caduta del muro di Berlino nel 1989 La caduta del muro di Berlino, nel 89, segnò – oltre ad una rivoluzione politica – una rivoluzione dello spazio. Quello che si consumò con la dissoluzione del blocco orientale fu un dramma didattico, una testimonianza di come il mondo passò da un “prima” ad un “poi”. L’Europa fu divisa, per un cinquantennio e prima della caduta, da un confine che non aveva precedenti e che ne annullò la geografia dando vita a due soli blocchi: l’Est e l’Ovest. Laddove si parlava prima di Mitteleuropa, adesso si fronteggiavano i due schieramenti capitalista e socialista ed il Muro era l’esecuzione perfetta del confine perfetto. Il mondo era pervaso dalla strategia mentale su cui si basava la tensione del mondo diviso. Nel 1989 tutto questo cambiò. Collassò l’intera geografia del potere e fu nei luoghi di maggior valore simbolico che questo cambio ai vertici si inscenò in maniera più fortemente esplicita. Il crollo del potere è infatti un processo ideologico, tanto quanto materiale (nuove alleanze, monumenti nelle piazze rimossi, ricodificazione, nomi delle strade, …). Ora contano altri confini: il digital gap tra i ricchi e i poveri, tra i nuovi metropolitan corridors e le ampie province. La trasformazione da confine grande a piccolo non riesce ovunque e molto spesso il confine si trasforma in linea di demarcazione, laddove la rete non viene ritessuta viene completamente strappata: ecco l’Europa delle violente espulsioni, epurazioni, delle guerre – l’altro rovescio del crollo del potere. Se il potere è giunto al termine, la ricostruzione è invece un processo più complesso ed incerto. L’Europa come spazio geografico, politico, culturale e sociale non si “fa”, bensì “cresce” oppure no. 1.2 “Atrofia spaziale”: La scomparsa dello spazio A sostegno della tesi della scomparsa dello spazio c’è la teoria della rivoluzione delle tecnologie. Queste tesi sostiene che tali tecnologie produrrebbero una scomparsa vera e propria dello spazio perché, come sostiene Paul Virilio, le telecomunicazioni rendono totalmente irrilevante l’attrito della distanza portando ad una convergenza di spazio-tempo. Poiché tutti i rapporti geografici si basano su un attrito prodotto dalla distanza, negando questo attrito si nega il fondamento stesso su cui si poggia la geografia. Ma persino per i teorici del cyberspazio questa è un’ipotesi troppo azzardata (la geografia continua ad avere la sua importanza come principio organizzatore, come elemento costitutivo dei rapporti sociali). La rivoluzione dei mezzi porterebbe ad un’espansione o ad una sovrapposizione dello spazio geografico piuttosto che alla sua scomparsa. A quello geografico si sovrappone uno spazio virtuale, capace di rispondere in modo più flessibile alla geografia dello spazio reale, e questo ci indica che la logica spaziale del nostro mondo è postmoderna e che viene costruito un nuovo nesso socio-spaziale. L’idea della scomparsa dello spazio affonda però le sue radici in un contesto precedente a quello delle nuove tecnologie, in cui dominano indiscussi l’orizzonte temporale e la narrativa storica. L’ossessione del XIX secolo fu la durée, lo storicismo il tempo – il cambiamento era percepito in termini di sequenza temporale, non di giustapposizione. Come spiegare la marcia trionfale dello storicismo? Con gli inizi della storiografia moderna nel XVIII secolo si separa ciò che era originariamente unito. Mentre agli inizi del XIX secolo la geografia è già scivolata nella posizione di doversi autolegittimare, a metà strada tra le scienze naturali e le scienze dello spirito e sociali. Il merito degli studi di Ritter è stato quello di aver tematizzato la costruzione spazio-temporale di una storiografia empirica. Ritter fa riferimento all’unità naturale tra dimensione storica e geografia negli autori dell’antichità classica ma la sua argomentazione principale riguarda la storicità della scienza geografica. Ritter critica una geografia puramente fisica, che non conosce la storia e concepisce invece una geografia che trova e analizza il suo oggetto nel cambiamento e nello sviluppo. Mentre Ritter ha in mente la forza plasmatrice del lavoro umano sulla natura e sviluppa una storia della produzione di spazi sociali, il pensiero sociale nascente imbocca la via dell’antropocentrismo che troncherà o lascerà alle spalle il rapporto con le forze dell’ambiente naturale. Nel 1830 la geografia è sicura del fatto proprio, e a partire da questo momento gli sviluppi futuri si presentano come un declino continuo e una marginalizzazione e parallelamente ha luogo l’ascesa dello storicismo. Il discorso critico e la vulgata materialistica avevano sempre puntato sulla trasformabilità dell’uomo, della società e della natura e si erano volti contro universalizzazioni astratte e antistoriche. Tutto ciò porta ad una tacita tabuizzazione della spazialità (Es città e campagna di Lenin). Lo stesso secolo che però ha fatto dello storicismo un luogo comune ha prodotto anche il suo opposto: una consapevolezza dello spazio ancora più rigorosa. La costruzione di ferrovie, il commercio, gli eserciti e le flotte: mai prima di allora vi era stata una necessità così forte di controllo sullo spazio. La realizzazione degli stati nazionali e di una rete di controllo gettata dalle potenze europee sull’intero mondo segue come un’ombra il movimento riflessivo che ha come nucleo scientifico la nascita della geografia moderna e come nucleo politico la moderna geopolitica. 1.3 Il caso tedesco: lo spazio come ossessione In Germania, dopo il 1945, lo spazio è stato cancellato dal repertorio del discorso scientifico, tutto ciò che lo riguardava e che vi era collegato diventa un tabù. Questo perché lo spazio rimandava ad una catena di associazioni ed immagini che puzzava di revisionismo. Il nazionalsocialismo aveva imbevuto ed infettato l’intero dizionario, per cui lo stesso era accaduto anche ad altri concetti. Per riutilizzare tali concetti, essi dovevano essere considerati sotto una nuova luce e liberati dai collegamenti storici di cui si erano incrostati nel corso del tempo. In questo sforzo di portare alla luce il mondo concettuale infettato dal nazionalsocialismo, il primo risultato è accorgersi della pervasività con cui mondi immaginari e ideali venivano formulati in senso plastico-spaziale. Il progetto nazista aveva una dimensione concreta e spaziale, non si esauriva nella mera ideologia e conseguente propaganda, ma si ancorava ad una visione del modo legata a modelli culturali sui quali organizzare la propria vita. Per il nazionalsocialismo sono decisive le qualità del sangue e della razza, piuttosto che quelle dello spazio. Per quanto l’ideologia si basi aull’autoctonia, il radicamento e la stabilità sul suolo della patria, è il sangue che decida della conformazione della terra. Dove opera la razza forte riesce la trasformazione della superficie terrestre. “Race not space” – l’Europa per Hitler è un concetto razziale, non geografico. La biopolitica aveva una componente spaziale e geopolitica e fu la stessa che trasformò l’Europa orientale il cuore della riorganizzazione della carta etnografia dell’Europa, con la creazione di aree di espulsione e campi di annientamento. Lo spazio era ciò palcoscenico di operazioni chirurgico-etnografiche. In questo senso si può parlare di ideologizzazione dello spazio: il passaggio dalle ipotesi sul ruolo della geografia nella storia alla strumentalizzazione e politicizzazione delle ipotesi. E’ il passaggio da un’antropogeografia a una geopolitica di facile strumentalizzazione. La geopolitica ha raccolto elementi teorici e ideologici dell’antropogeografia ma sempre a livello retorico. Per i nazionalsocialisti i rapporti spaziali erano rapporti etnico-razziali. Inoltre, è assicurata l’influenza storica nell’evoluzione dell’antropogeografia e della geopolitica. In Germania, la geografia finì nel gorgo della sconfitta bellica. L’etnicizzazione della geografia, del territorio, degli spazi culturali: questo è il grave lavoro di intossicazione culturale condotto tra il 2.4 I passages di Parigi: il percorso di Benjamin per la Bibliothèque Nationale Walter Benjamin dimostra di essere un pensatore dotato di un’immaginazione spaziale. Sin dai tempi dell’infanzia, Benjamin dimostra di essere legato, fedele e dedito a Parigi. Con lo scoppio della guerra venne internato in Francia, in quanto ritenuto straniero ostile ed il lavoro per cui credeva di doversi trattenere a Parigi per completarlo era il Passagenwerk, il cui manoscritto fu nascosto alla Bibliothèque Nationale. I Passages sono soltanto un tema tra i tanti del progetto globale. In questo progetto Benjamin sviluppa ciò che, rifacendosi all’autore Tiedemann, definisce “l’idea di una fisiognomica materialistica” (deduce l’interno dall’esterno, rappresenta l’universale nel particolare, ..). Tutto ciò di cui Benjamin aveva bisogno per formulare i prolegomena per una fisiognomica materialistica si incarnava in Parigi, Tutto ciò che si incarnava in Parigi come la capitale del XIX secolo lo ritrovava come traccia o sotto forma di rovina nella Parigi a lui contemporanea. La Parigi del presente era il luogo del risveglio che mette in moto il lavoro della memoria. E tutto ciò di cui aveva bisogno per ricostruire empiricamente la Parigi scomparsa lo trovava all’interno della Bibliothèque Nationale. Il legame al luogo è triplice: è il luogo dell’ispirazione (risveglio) / il luogo del ricordo / e il luogo in cui può essere svolto il lavoro di rievocazione. Il Passagenwerk avrebbe dovuto raggiungere l’estrema concretezza di un’epoca. Benjamin è stato capace di arrivare a quella fisiognomica materialistica attraverso il contatto con le superfici che interpretava, girando per le città, attraverso l’esperienza della spazialità e della corporeità che è insita nell’osservazione dei luoghi. Benjamin aveva bisogno di Parigi come fondamento per sviluppare una filosofia della storia del XIX secolo. Ne sono prova sia i numerosi viaggi e soggiorni da lui effettuati, sia la sua riflessione sulla forza ispiratrice della città in quanto ambiente del pensiero. E la Bibliothèque Nationale è una Parigi in miniatura. La biblioteca ha un ruolo così preminente perché costituiva il fondo e il luogo di lavoro per i materiali di cui Benjamin aveva bisogno ma anche perché l’autore concepisce la biblioteca non solo come mero deposito ma come luogo dove esplorare la città scomparsa, luogo della flanerie. E’ in questo spazio che Benjamin porta alla luce il materiale dallo straordinario fondo e pratica la lettura della realtà. La biblioteca è lo spazio dove riesuma immagini che gli sembravano imprescindibili per una nuova visione della storia. Nel suo pensiero e nella sua scrittura è sempre stata presente una forte componente spaziale. Nei suoi brani è sviluppato il metodo della descrizione precisa che è più l’espressione di una totalità concreta applicata a un determinato oggetto o gesto. Il Passagenwerk è impensabile sena la figura del flaneur che percorre lo spazio urbano e senza il modo di muoversi che gli è consono, la flanerie. Il flaneur è una sorta di detective delle forme, che si distingue dal viaggiatore non solo per la competenza scientifica quanto per una certa intelligenza, un istinto che Benjamin chiama “fiuto”. Questa modalità di girovagare come modalità di esperienza e conoscenza trova corrispondenza nell’esposizione. I principi costitutivi del Passagenwerk sono la contiguità e la contemporaneità. Ciò fa sì che la lettura non debba necessariamente incominciare dall’inizio. 2.5 Il Discours du méridien: Cartesio e Cassini L’epoca dei Lumi percepì l’insufficienza del rilevamento cartografico che trovava troppo impreciso, privo di scientificità. Bisognava abbandonare la pratica di illustrare le carte con animali e scene favolose in assenza di informazioni precise. La causa di tali carenze era che la conoscenza dei paesi e dei territori interni dell’Africa si basava sul sentito dire e perciò si aspettava pazientemente che le esplorazioni dei britannici nel cuore del continente avessero maggior successo. La geografia e la cartografia dovevano diventare “critiche”. Qui fa la sua comparsa un tono nuovo. I cartografi e geografi vogliono emulare i filosofi dell’età moderna: non accettare dati in buona fede senza verificarli, bensì informarsi dappertutto con spirito critico. Nel “Discorso sul metodo” Cartesio aveva preso ad oggetto la stessa riflessione sulla conoscenza. I geografi e cartografi dell’Illuminismo lo imitano. Cassini spiega il suo procedimento nel Discours du méridien. Il risultato – la Carte géométrique de la France – divenne una delle maggiori imprese scientifiche e organizzative del XVIII secolo e segna un momento di svolta tale per cui si può parlare di “prima e dopo la carta”. I pensatori illuministi affrontarono seriamente lo spazio con i mezzi di cui disponevano: l’astrazione e la razionalità. L’Illuminismo sogna uno spazio nitido, da cui siano stati eliminati tutti i punti oscuri. Il primo vero e proprio rilievo di un intero Paese fu l’iniziativa di rilevare la Francia, paese che primeggiava tra l’altro nella produzione di carte topografiche nel XVII secolo. La monarchia assoluta vedeva nella misurazione del paese un importante presupposto per il miglioramento della struttura economica e amministrativa di una Francia che si apprestava a diventare lo stato centralizzato più moderno d’Europa. I rilievi geodetici erano progetti grandiosi dal punto di vista economico, organizzativo, logistico e scientifico comportavano spese considerevoli e si protraevano per più generazioni. I rilievi richiedevano una pianificazione “da stato maggiore”. In quei tempi soltanto uno stato dotato di efficienza organizzativa e un forte volontà ne era all’altezza. La monarchia francese le possedeva entrambe e dovevano poi concorrere aspetti diversi: le premesse scientifiche e tecniche, la situazione intellettuale del tempo e la volontà politica del potere. Spirito illuministico, Accademia e Re Sole si incontrarono per perseguire uno dei progetti più brillanti della storia della scienza moderna. Quattro generazioni della famiglia Cassini lavorarono alla prima topografia da considerarsi veritiera di un paese e il risultato non fu solo un affare di stato ma anche un capolavoro di scienza e dell’organizzazione. Il progetto ha preso vita seguendo diverse fasi: innanzitutto si calcolò il meridiano di Parigi per poter definire longitudine e latitudine; una volta tracciato il meridiano l’Accademia delle scienze decise di applicare i nuovi metodi e le nuove tecniche per la produzione di una carta della Francia totalmente nuova: come primo passo occorreva misurare di nuovo le coste ed in seguito tutte le regioni misurate andavano collegate l’una all’altra. In concomitanza con questi lavori si svolsero due spedizioni con l’obiettivo di misurare l’arco di meridiano nei pressi dell’Equatore e nell’Europa settentrionale che fornirono la conferma empirica alla teoria di Newton del globo terrestre schiacciato ai poli. Il risultato fu una carta di 182 fogli; nei decenni seguenti il progetto di Cassini fece scuola in tutto il mondo. Questo progetto non sarebbe stato concluso se non fosse stato sorretto dal suo tempo, dall’epoca dell’Illuminismo e dal lungo periodo di rodaggio dell’Umanesimo e del Rinascimento. A una mutazione dello spazio e della consapevolezza spaziale a seguito delle spedizioni va attribuito il fatto che misurare lo spazio fosse diventato un luogo comune e tutti gli studiosi dell’epoca si dedicavano alla cartografia. L’osservazione del firmamento e la misurazione della Terra dipendevano l’una dall’altra e le tecniche astronomiche erano il presupposto per l’osservazione del globo terrestre e il rilevamento topografico. Gli uomini di stato riconoscevano l’importanza delle misurazioni per il consolidamento del potere e dell’amministrazione. Un altro elemento imprescindibile alla base del progetto di misurazione del mondo fu il miglioramento delle tecniche e degli strumenti. Infine uno dei frutti della Rivoluzione Francese fu la riforma dei pesi e delle misure, la standardizzazione dell’ampio groviglio di unità di misura mondiali. L’uniformazione delle unità di misura è l’imprescindibile premessa per l’uniformazione dello spazio attraverso la misurazione. Con la formazione di una rete di accademie scientifiche, osservatori, istituiti dediti alle scienze, con l’istruzione di scale idrografiche e unità di rilevamento la rappresentazione topografica del mondo diventò una vera e propria professione e un affare. Si era avviata la trasformazione dello spazio in territorio. Da principio i rilevamenti topografici furono volti all’uniformazione del rispettivo spazio di dominio facendo così sorgere il moderno stato territoriale. Il mondo misurato, in cui ogni cosa aveva trovato esatta localizzazione era quasi la realizzazione di ciò che Cartesio aveva articolato nel sogno della ragionevolezza e della riconoscibilità del mondo nel suo “Discorso sul metodo”. L’esatta misurazione cartografica della Terra era diventata il modello per la misurazione del sapere umano. 2.6 Sandor Radò: l’informatore e l’amore per la cartografia Dora, ovvero Sandor Radò, fu uno dei più importanti informatori della seconda guerra mondiale ma era originariamente anche un geografo e un cartografo, uno di quelli che hanno scritto un capitolo nella storia della cartografia. Egli non rappresenta solo una biografia interessante, ma la sua persona e la storia della sua vita significano di più: lo stretto rapporto tra politica, geografia e cartografia nel XX secolo. Per svelare il mistero di “Dora” occorre studiare Sandor Radò. Dora impersona l’esploratore, il ricognitore e la spia, Sandor Radò è la vita di un comunista cittadino del mondo e ingegnoso scienziato. La condizione di Radò durante la guerra è quella di cartografo clandestino: mette insieme le informazioni, riproduce mentalmente l’andamento dello scontro militare, si tratta di conoscenze di enorme utilità per qualunque parte belligerante ne entri in possesso prima delle altre. Così a Ginevra nasce l’immagine del “teatro di guerra”, cioè la rappresentazione cartografica del conflitto militare. Ginevra diventa il punto da cui Radò descrive l’ampio quadro della battaglia. Dora/Radò fornisce all’Armata rossa un vantaggio determinante: indicazioni di luoghi e linee del fronte sono causa di morte o essenziali alla sopravvivenza. Considera e analizza gli eventi dell’Europa occupata da un punto di osservazione temporaneamente sicuro e privilegiato. Mappa il rapporto tra occupazione e résistance, potere e contropotere, minaccia mortale e liberazione finale. Si capisce l’importanza strategica delle carte: dalla precisione delle informazioni e dei dettagli dipendono i risultati delle battaglie, la vita e la morte o quantomeno la riduzione al massimo delle vittime.  Il geografo : Radò era geografo e cartografo di professione, ma ancora più di passione verso una determinata sua propria forma di conoscenza e visione del mondo. Diventò il pioniere delle carte aeronautiche, pubblicò la prima guida al mondo dei voli. All’inizio degli anni ’30 fondò la prima agenzia geografica e cartografica del mondo, con il compito di fornire ai quotidiani illustrazioni cartografiche scientificamente attendibili sugli eventi di attualità. Dà stimoli importanti alla cartografia tematica, getta le fondamenta della disciplina della geografia politica, fa di Budapest il centro e il luogo di incontro della cartografia da est a ovest.  Sensibilità cartografica : i ricordi degli allievi di Radò finiscono tutti per far emergere un particolare: egli possedeva la sensibilità cartografica: l’aspirazione istintiva a pensare le condizioni del mondo – economiche, politiche e etniche – in categorie spaziali e l’interesse a trasporle nelle forme della rappresentazione cartografica, nella lingua delle cartine. Per Radò, come tutti i grandi geografi e cartografi, viaggiare era un lavoro oltre che una passione, l’obiettivo era farsi un’immagine del mondo di prima mano e non da mere letture. Ritiene che i viaggi e le visite in loco facciano parte del mestiere, che garantiscano il materialismo della percezione, la concretizzazione di condizioni, processi, strutture. Tutto ha un suo spazio, una sua estensione, può essere misurato in passi e percorso in lungo e in largo. Il presupposto più importante della sensibilità cartografica è la poliedricità, la ricchezza della percezione. Tutto desta il suo interesse, tutto può essere tradotto nel linguaggio cartografico. Il suo concetto di rappresentazione topografica implica sempre la 3. Il lavoro degli occhi 3.1 Il selciato del marciapiede. Superfici, geroglifici Lo stato dei marciapiedi è l’indicatore più affidabile dello stato di una città. I marciapiedi curati fanno sì che ci si possa dedicare alle cose importanti: si è liberi dalla preoccupazione di fare attenzione alla strada, non si cade anche se non si guarda per terra, perché tutto è liscio e prevedibile. I sono città in cui i marciapiedi sono sconnessi, dissestati, vi si incespica facilmente e ce ne sono altre in cui i marciapiedi sono curati come parquet. I marciapiedi recano tracce: i segni dell’usura del tempo. Ma esistono anche tracce drammatiche: quelle dei carri armati che ci sono passati sopra, i bossoli dimenticati, la pozza di sangue che ormai è stata lavata via da un pezzo. Sui marciapiedi ci sono i fiori deposti per commemorare e sui marciapiedi si compiono spesso le esecuzioni. La disgregazione di un intero continente e l’arresto del tempo si possono leggere sullo stato dei marciapiedi. L’acciottolato è l’emblema di un mondo che presto sarà scomparso del tutto. Le superfici richiedono di essere osservate con attenzione: occorre esaminarle, tastarle, verificarne la resistenza o scivolarci sopra. Descriverle è un’arte, in ogni caso un duro lavoro. E’ più facile lasciare che la superficie sia superficie e concentrarsi sull’essenziale perché l’essenziale è sempre invisibile, è sempre celato e per questo è qualcosa di misterioso. Chi si occupa dell’essenza non deve fermarsi all’apparenza. L’essenza non oppone resistenza, non può essere distrutta perché non è tangibile. I concetti si possono negare ma non intaccare, non sono belli o brutti ma chiari o oscuri. La superficie è la prima che incontriamo, non possiamo eluderla. Ci muoviamo sempre e da sempre dentro o sopra le superfici. Ritter scrisse che la superficie terrestre è indipendente dall’uomo, è stata il palcoscenico degli eventi naturali anche senza di lui e prima di lui. Da questa tettonica della superficie terrestre si passa alla morfologia del paesaggio culturale e da lì alle forme più sottili dell’arte, dello stile e del gusto: in breve, ai geroglifici della cultura umana. 3.2 Case, piante: l’Hotel Lux, la Casa sul lungofiume e altre La casa è un’unità piuttosto piccola. Si colloca in un punto intermedio tra uno spazio ampio e le unità più piccole. Tutti gli ambienti culturali sviluppano attorno alla casa una filosofia dell’abitazione, dell’essere con o senza dimora, con o senza tetto. La casa è la nostra piccola patria metafisica. La casa, l’oikos, è pressocché il centro del ciclo vitale dell’uomo. Al suo interno si svolge gran parte della nostra vita. E’ certamente l’ambiente di vita più intimo, più saldo, più chiuso intorno a noi. La maggior parte dei drammi e quelli che ci toccano di più, che sono più nostri, personali, non si svolgono nello spazio pubblico bensì in un mondo che, di solito, è circoscritto da quattro mura. La casa è il palcoscenico e il punto nevralgico di tutti gli avvenimenti fondamentali di una vita. Paustovskij arriva ad affermare che la storia delle case è talvolta più interessante della vita delle persone. La letteratura del XIX e XX secolo ha utilizzato edifici di socializzazione e reclusione, così come luoghi di sfruttamento di una vita intera (es: fabbriche), come materia su cui confezionare sfondi e ambientazioni. Diversamente, la storiografia ha sfruttato poco la casa come cellula storiografica primordiale. Ciò non si deve praticamente mai ad un mero problema di fonti, bensì al fatto che la casa offre troppo poco per la storia dei grandi eventi. Invece è palese che le storie di case possono diventare il punto di partenza di una storia mondiale condensata su scala microscopica. Come esempi prendiamo l’Hotel Lux e la Casa sul lungofiume (entrami a Mosca).  Hotel Lux : per dieci o vent’anni fu l’albergo principale dell’Internazionale Comunista a Mosca. I rapporti spaziali corrispondono esattamente alle condizioni di vita della comunità del Comintern. Il Lux rappresentava materialmente la direzione estera della terza Internazionale. Negli anni ’90 il Lux si aprì ai semplici visitatori e quando verrà riaperto niente ricorderà più il Lux.  La casa sul lungofiume : si tratta di un edificio imponente, costruito alla fine degli anni ’20 e composto da più cubi sovrapposti. Percorrendo il perimetro della costruzione si trovano targhe affisse in ricordo delle personalità che vi hanno vissuto. Dalle memorie e dal piccolo museo allestito si evince che si trattasse dell’edificio più moderno ed accessoriato della Mosca di allora, un biotopo dell’high society comunista dotato di tutti i comfort. Era solo una piccola anticipazione del futuro, un edificio modello della nuova Mosca. Era considerata la materializzazione dell’americanismo sovietico dei primi anni trenta. La Casa del Governo è fondamentalmente una città nella città, con un proprio sistema di permessi di accesso e una sorveglianza interna. Chi aveva trovato posto qui poteva considerarsi già arrivato. Negli anni 1937-38 si trasformò in un luogo del terrore. E’ facile identificare gli abitanti della Casa del Governo e ricostruirne la topografia interna. E’ il nocciolo duro della classe politica con i relativi familiari. Il cambio di residenti che si compie negli anni ’30 può essere definito un cambio al vertice in miniatura e in loco. Alla fine del decennio la specifica composizione organica della casa sul lungofiume è un’altra. All’inizio era una sorta di isola felice. Adesso, la casa modello del comunismo è ormai diventata storia. Cose analoghe si verificano ovunque il comunismo sia uscito di scena: Bucarest è una città traumatizzata, in tempi di pace le è stato amputato gran parte dell’antico patrimonio architettonico, un’operazione a cuore aperto sotto uno dei regimi più brutti d’Europa che ha ridotto a deserto anche questa antica, bella terra. La “Parigi dell’Est” è tramontata. Ora si torna a ricordare questo mondo. L’esatta descrizione è condizione della memoria. Se ne disegna la pianta, tutto è significativo. L’intérieur viene ricomposto con fatica. Le case sono quanto di più personale e intimo si possa pensare. Vi si salda il ricordo. Vi si salda la “proprietà”, la relazione più intima e stretta che possa esistere. Nel XX secolo questa relazione è stata tranciata da circostante volente, più volte. Le case si distinguono per l’assenza di coloro che le hanno erette, di coloro che vi hanno vissuto: sono stati assassinati, deportati, altri sono subentrati. In queste case si intrecciano rapporti legali, storia dei sentimenti e delle passioni, storia dell’educazione, biografie, la storia edificata dei luoghi, storia di violenza. Sono lo sfondo delle foto di famiglia che ritraggono la poltrona in cui ci è sprofondati pensando al mondo. 3.3 Proust, intérieurs In genere gli storici hanno dimestichezza con gli intérieurs dell’epoca di cui si occupano. Conoscere gli ambienti in cui le persone si sono sistemate appartiene alle consuetudini dell’ermeneutica storica. Dacché esistono gli intérieurs sono una sorta di moda rivolta all’esterno, la moda della custodia che gli uomini hanno creato per sé. Vi si legge quasi tutto ciò che si può apprendere dell’uomo nello spazio della sua epoca. Chi sapesse interpretare a sufficienza gli intérieurs potrebbe fornirci informazioni sugli stadi di incubazione della società, sulle guerre civili e sull’evoluzione delle condizioni sociali. La letteratura produce le ambientazioni insieme alle proprie dramatis personae, tutte le letterature vivono di questi interni quasi quanto della vita cui danno vita. Non esiste ricostruzione storica dell’epoca che possa trascurare gli spazi interni in cui la soggettività dell’epoca ha vissuto se stessa. Tutti i dettagli sono essenziali per la comprensione dello spirito che anima questo interno. Walter Benjamin ha già da tempo aperto una porta quando scrive che l’intérieur indossa i costumi degli stati d’animo e del mobilio che vuole raccogliere. Non gli è mai interessata la storia dettagliata dell’arredamento o del design dell’illuminazione, quanto piuttosto la firma del tempo. Il XX secolo si scuote di dosso lo strapotere del passato e dello storicismo e crea nuovi spazi interni, anzi, si spinge sino alla loro dissoluzione. Alla fine del XX secolo si batte nuovamente in ritirata dal mondo del chiasso, dell’ambiente inquinato e degli immani pericoli. Ma ci sono altre vie per uscire dal vecchiume dell’eclettismo e dello storicismo. Allora l’intérieur diventa teatro di battaglia dei grandi scontri. Gli intérieurs sono mondi in miniatura, universi, spazi vitali, astucci dell’uomo privato e della donna privata. Sono persino surrogati del mondo. Vi si possono compiere viaggi intorno al mondo e nel passato senza mai lasciare la stanza, il luogo ideale della “ricerca del tempo perduto”. Ciò che tiene insieme il mondo probabilmente lo si intuisce solo quando questo spazio interno è minacciato, lasciato in balia. 3.4 Indirizzari berlinesi Gli indirizzari ritraggono paesaggi umani, ma di regola vengono consultati solo per ottenere informazioni sul luogo di residenza e soggiorno di persone precise. Vi si verificano i recapiti di una vita quando non si sa come altro raccapezzarsi. Rappresentano un genere specifico della documentazione in cui le località, le città, i gruppi sociali organizzano e archiviano il sapere che li riguarda. Hanno una storia che è cominciata in un determinato momento, quando i rapporti urbani si stavano complicando in misura eccessiva, e che ora, nell’epoca dell’elaborazione e della disponibilità digitale delle informazioni, evidentemente volge al termine. L’indirizzario a disposizione di pochi è stato sostituito da un indirizzario di varie migliaia di pagine – un tale lusso di trasparenza e democrazia non si era mai visto. Tutti gli anni questi volumi vengono raccolti e sostituiti da versioni più aggiornate.  Documenti della sincronia : se leggiamo gli indirizzari come documenti storici vediamo che acquistano improvvisamente una sorprendente forza espressiva. Sono compendi nei quali le società registrano nel modo più razionale possibile quel che sanno di sé stesse. La semplice esistenza degli indirizzari è indice di un certo livello di civiltà. Sono le chiavi di accesso alla città. Ci servono per richiamare alla mente città estinte, per rimetterci sulle tracce di persone che abbiamo perso nel tumulto della storia. Gli indirizzari restituiscono la composizione etnica specifica delle città, gli elenchi telefonici tengono conto del processo di mixing e unmixing. Per questi documenti vale lo stesso discorso di altre opere storiche: ne mettiamo in questione l’obiettività e l’affidabilità, per quanto possano sembrare obiettivi, sono documenti parziali e schierati. Sono documenti della sincronia e quindi già per questo di second’ordine per cronisti e storici che sanno comunicate la storia solo diacronicamente. Gli indirizzari possono anche tacerci qualcosa, sono un protocollo di rilevanza e irrilevanza. I dati che vi sono raccolti ci forniscono delucidazioni sul mondo così come lo vedono i loro redattori non sul mondo in cui viviamo. Sono documenti storici per eccellenza, evidenziano continuità dove altri vedono solo censure. Forniscono informazioni sul grande “cambio di scenario”, sulla variazione di luogo e sulla modifica del personale storico. Dalla censura degli indirizzari si evince che non sono poi uno strumento così innocuo. Vi è registrato tutto ciò che ci consente di risalire alla concentrazione di potere, benessere, ingegno. Chi li studia attraverso le epoche ottiene informazioni quanto mai durevoli e minuziose sugli sconvolgimenti sociali. Chi approfondisce la lettura degli indirizzari può muoversi al loro interno come dentro a degli spazi immaginari. Gli indirizzari sono diari di bordo e mappe, restituiscono la storia della dimensione spaziale non diversamente dai mezzi di informazione che usiamo con naturalezza ogni giorno. Attestano la stabilità delle comunità ma anche la loro destabilizzazione. organizzato che la società coltiva di se stessa. In qualsiasi forma siano fruibili, gli indirizzari ci comunicano che la gente non vive solo nel tempo ma anche in determinati luoghi. In questi luoghi lasciano testimonianza di sé le “città invisibili” del romanzo di Calvino. 3.5 Topografia sovversiva Quanto in altri settori accadde solo nel 1937, nella corografia sovietica successe già tra il 29 e il ’30. E’ l’anno in cui il governo di Stalin abbandonò il corso dell’economia mista, del compromesso e della trattativa per le azioni della “grande svolta” e si lanciò nella strategia del terrore in cui caddero vittima soprattutto i villaggi russi ma anche la superstite cultura intellettuale e accademica russa. Negli anni trenta non c’era capo d’accusa considerato troppo assurdo o mostruoso da non poter essere utilizzato per disciplinare e annientare intellettuali o studiosi potenzialmente insubordinati. In generale la corografia ha fama di essere conservatrice. La linea tradizionale della Russia sovietica vi contrappone qualcosa di completamente diverso: la corografia come baluardo del sapere critico e sovversivo che, per caratteristiche proprie, è strettamente legato all’anelito del popolo al riconoscimento e alla giustizia, contro l’oppressione. Gli anni successivi alla rivoluzione di ottobre furono il “decennio d’oro” della corografia russa. Il piccolo movimento di membri impegnati dell’intellighenzia era diventato un vero e proprio movimento di massa. C’era una gamma ricca e variopinta di bollettini d’informazione, circolari, riviste scientifiche e popolari. I corografi avevano una propria organizzazione, propri congressi panrussi, un proprio organo centrale. La varietà delle attività è immensa e policroma quanto la vasta terra sconvolta dalla rivoluzione. Gli attivisti del movimento sapevano in che cosa consisteva la loro opportunità e il loro privilegio: i mondi vitali di un antico impero erano crollati, le classi e gli individui dovevano riorganizzare la propria vita, che lo volessero o no. Era un paese in tumulto, nel quale si potevano seguire ad occhio nudo un mondo che scompariva e un altro nuovo che emergeva dagli immani rivolgimenti. Bisognava tenere traccia di ciò che rischiava di scomparire per sempre. La rivoluzione ha raso al suolo barriere e lasciato tesori insospettati in balia del vento, della strada, del primo saccheggiatore di passaggio. Si trattava di assicurare queste eredità alle future generazioni. Ma non si trattava soltanto di salvare, bensì anche di documentare, fissare un presente in procinto di trascorrere. Con la nazionalizzazione di gruppi industriali, fabbriche e aziende si aprì l’enorme campo dell’appropriazione e della rielaborazione dell’impressionante lotta proletaria russa. In nessun altro luogo lo stile di vita della classe operaia fu documentato, esposto e analizzato tanto prontamente come nel primo decennio dell’URSS. Si stenta a trovare un solo aspetto a cui i primi regional studies sovietici non siano interessati, con ricadute certamente volute in altre discipline. La marea di attività corografiche era uno dei sintomi inequivocabili del processo in atto di appropriazione della propria storia. Nel biennio 1929-30 tutto questo finì, la corografia cominciò ad essere considerata la via d’accesso degli influssi borghesi per eccellenza. Le esposizioni non dovevano tanto mostrare il paese com’era un tempo quanto piuttosto come sarebbe dovuto diventare. Il governo non era più in mano a vecchi intellettuali, ad appassionati di spedizioni etnografiche, bensì ad ingegneri, ricercatori del sottosuolo e coltivatori di piante. Ciò che nacque dopo il 1931 era sì un nuovo movimento di massa, ma di tutt’altro orientamento e carattere. Non si trattò semplicemente di passare da un orientamento storico-culturale a uno produttivistico e economistico. Si denunciarono e internarono nei campi gli esponenti di spicco della materia, si ritirarono dalla circolazione le loro opere. Il sapere locale è sapere di continuità. In una società rivoluzionaria che deve guardare soltanto avanti e in cui lo sradicamento è condizione di fuga in avanti, per il potere è fondamentale cancellare le tracce. Il sapere che riguarda i luoghi storici è pericoloso, soprattutto finché circola liberamente. Il sapere che riguarda il passato si trasforma facilmente in accusa vivente alla nuova classe al potere. La rivoluzione staliniana doveva cancellare il sapere che riguardava il mondo prima di Stalin e i detentori di quel sapere, la vecchia intellighenzia russa. Solo una società sradicata sotto ogni aspetto e una cultura disancorata avrebbe potuto seguire Stalin. Questa è una versione radicalmente diversa dei luoghi: il luogo come resistenza ai cambiamenti violenti e come ultima istanza contro la cancellazione del ricordo. Il luogo come ultima ancora in un’epoca di sradicamento e frenetica accelerazione, in cui tutti, come colti da vertigini, parevano aver perso coscienza. 3.6 Gli orari ferroviari: protocolli di civiltà Gli orari ferroviari in genere sono considerati cose da viaggiatori. Di tanto in tanto sono usati come opere di consultazione. Il pubblico, invece, è di altra opinione, mostra un vivace interesse per gli orari ferroviari, in edizione antiquaria o in ristampa. Certe annate sono particolarmente richieste. Ci sono esemplari rari e rarissimi. Non è solo un m ondo a sé, bensì un grande tesoro culturale. Gli orari ferroviari vengono ripubblicati ogni anno in Germania, all’entrata in vigore degli orari invernali. Possono dirsi i libri fondamentali del funzionamento della nostra cultura. Sono coreografie di un numero infinito di movimento tra loro coordinati, sono protocolli del movimento, senza i quali la scontata routine della nostra intera civiltà giungerebbe alla paralisi nel giro di breve tempo. Sono piuttosto cronache dell’assoggettamento dello spazio, protocolli del progresso nella riduzione delle distanze e della concentrazione dello spazio. La mancata pubblicazione degli orari ferroviari è il segno importante di un guasto fondamentale, addirittura di un collasso. La loro assenza è il miglior indicatore di tempi caotici, nel quale al posto dell’orario di percorrenza regna sovrana l’improvvisazione. E’ un genere letterario peculiare, dotato di una propria lingua e un proprio sistema di simboli e significati. Gli orari presentano una struttura peculiare. La sua forma originaria è visibile nei tabelloni di arrivi e partenze delle stazioni, nel frattempo sostituiti da computer. Viene sempre di più a mancare il piacere combinatorio che teneva con il fiato sopeso il lettore di orari di una volta. ‘orario non è solo l’insieme di tragitti e orari, ma il risultato di un lungo processo id coordinamento, l’emanazione della ragione collettiva nell’organizzazione dei movimenti sociali. Stabilisce il più stretto collegamento pensabile tra luogo e tempo, l’unità spazio- temporale. Agli orari sono accluse le carte geografiche. Si riscontrano diversi livelli spazio- temporali: a lunga percorrenza, a breve percorrenza, nazionali, internazionali, regionali. Ci si può spostare su piani differenti di tempo e accelerazione.  Viaggi immaginari nella realtà : la lettura degli orari ferroviari è illimitata e inesauribile come l’argomento stesso. Sono il mondo in un libro, il mondo infilato in tasca, a portata di mano. Chi ha un orario aperto davanti può metetrsi in viaggio. Ciò che contengono è passibile di verifica intersoggettiva. Non è un romanzo, ma un testo la cui regia è affidata al più severo dei padroni: il tempo. Nell’orario ciascuno trova ciò che fa al caso suo. Possiamo partire dal presupposto che ciò che l’orario contiene sia corretto. Questa conoscenza del luogo esatto, del tempo esatto, è una condizione essenziale dell’immaginazione e della ricostruzione storica, che in ciò si differenziano da quelle artistico-letterarie. Il fascino di una simile lettura risiede proprio nel fatto che immette nella realtà, e non i un altrove in cui tutto è possibile. Il fascino risiere nella ripercorribilità, nel movimento empiricamente sostenuto e controllato dalla ripercorribilità che ci permette di entrare virtualmente in contatto sia coi morti che coi vivi. La lettura degli orari ferroviari ci rende esperti in un’accezione elementare. E’ impreciso parlare di “viaggi immaginari” che si possono compiere con gli orari ferroviari. A connotarli è proprio l’assenza di immaginazione, il muoversi sul terreno dei fatti, l’agganciarsi ad una rete che è realmente esistita e senza la cui conoscenza non capiamo niente del tono interno delle civiltà, di densità, di lontananze. Perché la storia è in larga misura studio della densità culturale. I lettori di orari ferroviari non sono dunque amanti del libero fantasticare quanto avventurieri intenzionati a battere la pista della realtà. Ciò che non veniva registrato nell’orario ferroviario era in un certo senso inesistente. Il mondo esperibile si costruisce sugli orari ferroviari. In questo rappresentano una fonte che non solo si può consultare in cerca di informazioni ma che rivela anche qualcosa della mutevole costituzione e costruzione del mondo di generazione in generazione.  Testi storici : gli orari hanno una loro storia propria, la storia di un genere. Quando si giunge alla costruzione di un tempo unitario (processo di unificazione sia a livello di impero che sovraimperiale) e da allora in poi gli orari si possono leggere come documenti in cui la storia europea ha depositato il suo precipitato, inciso le sue tacche, le sue ferite. Si impara a distinguere gli orari ferroviari dei treni di pace da quelli dei treni di guerra. Gli uni trasportano civili, gli altri soprattutto personale militare. Negli uni si sale senza alcuna restrizione, negli altri solo con il permesso turistico e autorizzazioni speciali. La “gittata” dei percorsi ferroviari si modifica a seconda delle sorti del conflitto e dell’andamento del fronte. L’orario ferroviari si adegua ai nuovi confini di Versailles, nuovi e insoliti. Dopo lo socppio della 2^ GM e la sottomissione dell’Europa si assiste a una nuova, immensa espansione dell’ambito di competenza della ferrovia del Reich, che travalica tutti i confini geografici e morali del passato. Dalla frequenza dei treni si evince l’importanza delle destinazioni per il trasporto di merci e persone. Il mezzo della circolazione civile di un tempo diventa il veicolo principale del trasporto di guerra. Poco per volta i collegamenti civili svaniscono, man mano gli orari si riducono all’osso. L’orario ferroviario dimostra la stabilità delle consuetudini, giacché i treni non si fermano quando nel ’33 il Reichstag brucia e si proclama la rivoluzione nazionale. Ci sono capacità di trasporto e sequenze di treni calcolate con precisione. La potenza è calcolabile. La distruzione al massimo livello si distingue in calcolo previdente ed efficienza. Si potrebbe parlare di una regia del movimento di epurazione, di una coreografia di movimenti coordinati per la liquidazione di persone. Ad un certo punto non ci sono più orari per le arterie tranciate dalle bombe e dai fronti. Un popolo ridotto in macerie si arrabatta senza orario ferroviario in un’Europa ridotta a macerie. La ricomparsa degli orari ferroviari in Germania è il segno che la rete è stata rammendata e che gli spostamenti sono ricominciati. Presto non ci sarà un unico orario ferroviario, bensì due, quello della Germania dell’Est e quello della Germania dell’Ovest. Restano a lungo collegati, ma si trasformano sempre di più in documenti della divisione, dell’allontanamento in direzione opposte. Adesso acquistano importanza le stazioni di confine intratedesche. Dopo il 1989 gli orari ferroviari testimoniano il rapido andamento del processo di riconnessione e ricostruzione di uno spazio di traffico unitario.  Protocollo di produzione dello spazio : i viaggi che compiamo ad libitum e post festum con l’orario ferroviario sono in realtà dei viaggi nella produzione dello spazio. Diventiamo testimoni della riduzione delle distanze mediante l’accelerazione e l’estensione delle tratte. Godiamo della libertà di colui che può scegliere tra diversi percorsi. Ammiriamo il sistema fatto ad arte che ha reso possibile una tale accelerazione. Tuttavia a muoverci è anche l’esperienza della fragilità del tutto. Corse soppresse, soste in aperta campagna, cancellazioni di coppie di treni sono segnali che la civiltà si è disgregata. Nell’orario ferroviario leggiamo la nascita dell’Europa della modernità, nella quale d’ora in poi si realizza la sincronia. Nulla accade in un luogo senza che questo abbia conseguenze altrove. L’orario ferroviario è il documento della nostra nuova dipendenza e prossimità. L’orario ferroviario conduce ad una nuova era dove tutto sarà sempre più veloce ed affidabile, senza voce a ciò che si è disgregato. E’ così anche per la disgregazione dell’URSS, si delineano e si separano gli elementi di cui era composta. La sua disgregazione rende visibile la genesi dell’unione. La facilità con cui l’URSS si è sciolta pare dar ragione a colo che hanno sempre visto nell’Unione Sovietica una costruzione puramente esteriore, artificiale e quindi violenta: soltanto ciò che è stato costruito con agevolezza si lascia decostruire altrettanto facilmente. Le repubbliche imboccarono la loro strada verso la sovranità come se tutto fosse ovvio e preparato da tempo. Tuttavia in determinate zone del vecchio impero, il processo di separazione si è inceppato e si è voluto in una spirale di violenza. In generale resta comunque l’impressione che la divisione e lo scioglimento dell’Urss si siano svolti con grande semplicità. Il comunismo sovietico non ha mai avuto la forza di produrre uno spazio stabile e sovrano che traesse la propria vitalità da sé stesso. Sin dall’inizio è stato sostanzialmente uno spazio di potere e la sua fine è l’ammissione, la capitolazione del potere di fronte allo spazio. Alla fine del sistema segue la riaffermazione dello spazio. La Russia è di nuovo ciò che era: spazio russo meno potere sovietico.  Lo spazio russo come allucinazione e realtà : dello spazio russo non si parla o, almeno, non volentieri. Il termine è compromesso, contaminato. Lo spazio russo era spazio vitale per le regioni dell’ovest e spazio di rinnovamento della vitalità biologica e razziale. Le fantasie tedesche sullo spazio russo contenevano tutto un programma: l’evocazione di originarietà e della purezza delle fonti. Lo spazio russo contiene un programma dettato dalla paura. C’è dentro anche l’idea dell’infinita plasticità della terra e del paesaggio. E’ la principale superficie di proiezione di un orientalismo peculiaramente tedesco. Ma a prescindere da questa allucinazione esiste in tutta la sua autonomia lo spazio russo. E sullo spazio russo esiste una ricchissima letteratura. I poeti hanno descritto lo spazio russo, i luoghi della cultura russa, contribuendo alla costruzione dello spazio della cultura russa. Non occorre molta fantasia ma un pizzico di esperienza per convincersi che gli spazi non sono costruzioni arbitrarie e quindi non si possono semplicemente “edificare”. Spazi simili restano quando i sistemi sono trascorsi da un pezzo. Sono espressioni di un altro strato di tempo. Le costruzioni, anche quelle del socialismo, appartengono agli strati meno durevoli, rapportate a questi spazi sono solo un momento.  L’impero nelle sue rovine, tracce dello spazio sovietico : lo spazio postsovietico è facile da riconoscere, è tutt’ora marcato dagli emblemi del socialismo sovietico. Il mondo postsovietico si presenta ermeticamente nuovo al punto che quello sovietico sembra non essere mai esistito. Ciò nonostante le tracce del mondo sovietico possono essere riconoscibili a occhio nudo. Un intero stato costruito nell’arco di diversi decenni non scompare nel nulla, al contrario: è la base su cui si svolge il seguito. Molto è stato ridipinto, destinato ad un’altra funzione. Resta invece ciò che più conta, ciò che non si può trasformare. La sovieticità era un marchio di fabbrica, innanzitutto di omogeneizzazione dello spazio attraverso i segni. E’ stata ben più di un sistema politico, è stata un orizzonte di vita.  Omogeneità, disgregazione dello spazio unitario e del tempo unitario : solo adesso che il paese va in pezzi si realizza quanto fosse omogeneo ai tempi sovietici. La Russia postsovietica vive in epoche diverse. Mosca è nel corridoio globale dove tassi di scambio, azioni, fusioni aziendali e umori di borsa significano qualcosa. Qui non si tratta di fratture fra ortodossia e latinità ma dello scontro di tempi e epoche differenti. Adesso che una Russia si allontana velocemente sul metropolitan corridor mentre l’altra non tiene più il passo e si trincera, saltano finalmente agli occhi la sincronia, l’uniformità e l’assenza di netti antagonismi che regnavano in tempi sovietici. In epoca sovietica la tonalità dominante era il grigio, in un’infinità di sfumature. Il grigio come assenza degli estremi, esaltazioni ed estremismi. Il non distinguersi era una delle prime virtù per la lotta alla sopravvivenza. Non c’era segregazione sociale, in termini di spazio: tutto andava bene allo stesso modo o male allo stesso modo. Lo spazio sovietico era caratterizzato dalla riconoscibilità dei suoi luoghi. La storia dell’Unione Sovietica potrebbe essere vista come il racconto della produzione di questo spazio sovietico.  La devastazione dell’indifferenza : E’ piuttosto difficile imparare a cogliere con lo sguardo i luoghi di una distruzione abituale e poco appariscente: lo spazio che appartiene a tutti e dunque a nessuno, del quale nessuno si assume la responsabilità. L’immagine non è molto diversa da quella dei quartieri occidentali lasciati a sé stessi. Sono i classici spazi in balia dell’incompetenza territoriale, poi dell’anomia e infine della paura. Non esistono assistenza pubblica o interessi privati abbastanza forti da sottrarre lo spazio all’indifferenza collettiva. L’abolizione della proprietà privata tramite la nazionalizzazione ha messo da parte i padroni e con ciò anche gli interessi e le responsabilità. Così le aree cedute all’indifferenza sono cadute in rovina mentre tutta l’attenzione e i mezzi finanziari si concentravano nella costruzione dei quartieri nuovi. La logica conseguenza d’una economia dell’irresponsabilità è l’abbandono. Non salta all’occhio finché c’è una macchina statale intatta e forte che impone un duro regime. Ma emerge nel momento in cui la macchina smette di funzionare. Le dittature hanno le strade pulite, le democrazie no. Uno dei risultati più palesi della fine del comunismo fu il riemergere di soggetti, interessi e particolarismi. La privatizzazione è la controparte più energetica della cattiva comunione. La fine del potere sovietico è l’inizio dell’autorganizzazione dei soggetti e degli spazi. Il paesaggio, che è sempre trapelato dalle strutture e dalla rete del potere, alla fine del socialismo riemerge in primo piano: come regione consapevole di sé dotata di un rilievo e di una personalità.  Centro, provincia depauperata : la vecchia Russia era dei villaggi, la Russia sovietica è delle città. Nel corso dell’industrializzazione e collettivizzazione forzata le vecchie città furono travolte da una marea di immigrati delle campagne. Le città come area di sosta temporanea di una società sradicata, in lotta verso una forma organizzata in grado di sopravvivere. Le città e le fabbriche hanno assorbito milioni e generazioni di sradicati facendone lavoratori e cittadini. La campagna fu spogliata, depauperata, abitata da chi non è riuscito ad andarsene. La campagna russa è segnata dalla tempesta della violenza. Del paesaggio si vede che ha ceduto dopo lunga resistenza.  Lo spazio di potenza sovietico: fenomenologia dell’estremo sforzo : l’analisi dello spazio sovietico dovrebbe cominciare con la descrizione del luogo, la descrizione più antica. Tutto reca tracce di un estremo sforzo, tutto è frutto di conquista, strappato con fatica. Non è il lavoro ordinario a prevalere ma il lavoro d’urto. Non si tratta quasi mai di proseguire qualcosa ma di dimostrare qualcosa di completamente nuovo e superiore a tutto quello che è già stato. L’estremo sforzo, l’intenzionalità dimostrativa ha molti volti e molte forme. Non c’è quasi niente che sia asservito a uno scopo superiore e inserito in un piano. I piani non sono semplici disposizioni tecniche, vanno oltre, sono segno, attribuzione di significato. Lo spazio sovietico non è mai la disposizione che viene da sé ma la configurazione introdotta intenzionalmente, anche a forza di eliminazioni. Questa capacità di adesione all’insieme tende sempre a una visione totale e non solo implica ma impone una versione specifica di bellezza, stile e ambiente circostante. Questo tutt’uno ha una debolezza di base. Non può mai sostituire la varietà, il genio, la forza propri della moltitudine. Il piano nella maggior parte dei casi è una manifestazione povera e miserevole, la fantasia sociale e il lavoro del genio hanno di più da offrire. Se viene meno, tutto si sfascia. L’ora dello sfinimento del potere è l’ora dell’abbandono dello spazio pubblico. Lo sfinimento dello stato e del potere che ha definito lo spazio sfocia inizialmente nell’abbandono e nell’inselvatichimento ma è solo il primo passo verso il recupero e la ricivilizzazione dello spazio che ora può tornare a essere sostenuto e pieno di gente. Il fallimento dello spazio fondato esclusivamente sul potere è l’indizio più visibile del fatto che il potere non è riuscito a creare uno spazio omogeneo durevole.  Il potere impotente, ordine e caos : l’idea della società sovietica-stalinista come società ordinata e controllabile è una favola accademica. Un potere sovrano e sicuro di sé non ha bisogno di continue dimostrazioni di forza. Il gesto che si manifesta negli edifici è il tentativo disperato di non farsi sfuggire di mano il monopolio sullo spazio. Il feticismo che circondava l’ordine e il piano, l’ipertrofia del piano e dell’autorità indicavano che il piano, l’ordine, l’autorità non se la passavano bene. I feticismi dell’unione sovietica mostrano l’altra faccia del mondo dell’ordine e della pianificazione: la faccia del terribile caos che occorreva dominare. L’architettura del potere è al contempo architettura di uno stato di emergenza, di un potere la cui legittimità è debole. L’architettura del potere è una dimostrazione di autoaffermazione in un paese che rischia di sfuggire al controllo. La sua monumentalità lascia trapelare quasi quanto fosse in realtà provvisoria e instabile.  Attacco al palazzo d’Inverno, conquista delle posizioni di comando : la storia russa del XX secolo si può raccontare come la storia di conquista e dell’affermazione del potere sulla Russia stessa. Così dalla presa del palazzo d’Inverno alla scomposizione dell’URSS si delinea la traccia di un potere la cui ragion d’essere consisteva nel proprio mantenimento e che ha prodotto collateralmente le condizioni che con il tempo l’hanno reso obsoleto. La Russia rurale è fatta a pezzi, la sua spina dorsale spezzata, perde la sua forma, la sua struttura ma non scompare. Su questa Russia rurale polverizzata si posa un’altra impalcatura: le città, gli impianti industriali, le infrastrutture, il partito comunista con tutte le sue filiazioni. Il regime resta estraneo, proviene dal centro, è imposto e favorito da quest’ultimo. L’URSS è la nuova struttura che si è posata sulla Russia rurale. Si tratta sempre di modernizzare, combattere il vecchio, di adattare alle nuove circostanze. Ma per quanto ricco di sviluppi il potere non ha prodotto nessuna forma di vita autonoma, non è stato sufficientemente potente da produrre una socializzazione reale, uno spazio sovietico durevole e persistente. Questo è anche il motivo per cui smontarlo non ha richiesto un grande sforzo. E’ stato come togliere soltanto l’impalcatura, la sovrastruttura.  Dopo la fine dell’Unione Sovietica il paesaggio si manifesta : lo spazio sovietico era organizzato in verticale più che in orizzontale, con un netto contrasto tra alto e basso. Una volta disfatto il problematico fardello le linee assumono un altro andamento. Il centro c’è ma la sua centralità non è garantita dalla posizione quanto sull’attrattività di Mosca come città globale. Esistono dei soggetti: le regioni. Hanno qualcosa da offrire e le loro ambizioni. Da dietro le maglie della vecchia struttura amministrativa traspare il paesaggio storico che si è formato nel corso dei secoli. Le regioni erano direttamente in contatto l’una con l’altra, non hanno più bisogno della mediazione di un centro. Si sviluppa una nuova economia ispirata a una nuova razionalità: chi è vicino unisce le forze. La regionalizzazione è il passo più deciso sulla via dell’appropriazione e della privatizzazione. La delimitazione un tempo nitida tra interno ed esterno sfuma. Si sono innescati movimenti migratori, diffusioni, mescolanze. Le zone monoetniche si meticciano e si ricostruiscono. Le zone di confine si spostano. La Russia si riconfigura con nuovi centri, nuove vie, nuove periferie. La Russia impara a entrare in contatto con sé stessa in modo diverso tramite i centri di potere, socializza nuovamente con sé stessa. ormai dimensioni quasi sconfinate. La letteratura europea posteriore alla catastrofe è piena di resoconti di persone che della loro meta, sapevano solo fosse ad esr. In queste condizioni qualunque dettaglio è decisivo. Bisognava farsi un’idea del paesaggio in lenta evoluzione. La conoscenza del luogo poteva essere d’aiuto per prolungare la vita. Ogni chilometro percorso segnava l’ulteriore allontanamento dal mondo noto in cui si abitava. Ogni metro era significativo. Il miglior modo di descrivere il tragitto percorso non è quello che privilegia la distanza, ma le tappe. Il miglior modo di seguire le tracce non è fornire i nomi dei luoghi, bensì descriverli. E’ così che facciamo conoscenza dei luoghi caratteristici del XX secolo. L’occhio di chi è braccato e minacciato è preciso. Non gli sfugge alcun dettaglio perché forse la vita può essere appesa proprio ad un dettaglio, ad una coincidenza. Il dettaglio non è ornamento, i dettagli sono quanto serba o annienta l’orientamento. Ogni cosa era essenziale alla sopravvivenza nel cammino tra lo sradicamento dalla normalità del quotidiano e l’arrivo nell’anticamera della morte. Molto è scomparso: strappato e incenerito dai carnefici. Ma chi si affida alla guida, alle memorie e ai resoconti troverà qualcosa anche laddove non c’è più nulla. Occorre intendere tutte le lingue dell’Europa per prendere confidenza con i ricordi di coloro che vi furono trasferiti. 4.3 Cimitero Europa I cimiteri dell’Europa sono la fotografia dell’Europa al negativo. L’Europa ha luoghi di sepoltura per tutte le condizioni. Nel 1914 la morte si crea già un nuovo palcoscenico all’altezza del morire moderno. Verdun ha lanciato una nuova estetica del postumo destinata non svanire mai più. Un’icona del XX secolo nata sui campi di battaglia dell’Occidente. Eppure le morti repentine e le tumulazioni rivelano ancora l’esigenza di organizzare, classificare, commemorare come se si disponesse ancora della visione d’insieme e di sufficiente premura per gli ultimi e più ignoti caduti. La seconda guerra mondiale non pare aver prodotto questa forma di sepolcro; alle morti in massa di questa guerra si associano tre immagini: è la morte sul ciglio della strada, nelle battaglie di mezzi corazzati senza un nome e senza una via. Altre sono le tombe caratteristiche dei morti in massa del XX secolo: le fosse comuni. L’intera Europa orientale è disseminata di luoghi di sepoltura, luoghi di massacri, di esecuzioni. Ma la vera sepoltura del XX secolo è una tomba nelle nubi. Guardando con attenzione vedremmo che il cielo di tutta l’Europa orientale è oscurato dalle ceneri dei camini dei crematori.  Vivi e morti : è più difficile descrivere i cimiteri delle città. Le città dei vivi sono cresciute oltre quelle die morti, se ne sono allontanate. Esistono regolamenti cimiteriali, una precisa durata della concessione di sepoltura e per le tombe vige il diritto di successione. Intorno si è dispiegato un intero sistema di sevizi. Forse non abbassiamo la voce, ma parlando dell’eterno riposo o del camposanto usiamo un lessico della pietas cui altrimenti ricorriamo di rado nella vita quotidiana. E’ il lessico che indica come ci siano ancora cose diverse da tutto il resto. Michel Foucault ha descritto i cimiteri come luoghi dell’emarginazione. Ma in verità i cimiteri sono piuttosto i luoghi della coabitazione tra vivi e morti, spazi di raccoglimento che sono da sempre anche spazi in cui si concede asilo. I cimiteri sono soltanto luoghi della continuazione della vita sotto un altro nome, la perfetta coesistenza di vivi e morti. La correlazione tra città dei vivi e città dei morti è alquanto stretta. A volte il rapporto tra cimitero e città che lo circonda è un rapporto di sopravvivenza. La tomba divenne il luogo di sopravvivenza, luogo di salvezza e il cimitero luogo di vita mentre le città venivano incenerite dal fuoco. Nei paesi improntati sulla tradizione della chiesa orientale la situazione è diversa: la comunicazione coi defunti non si è interrotta, i vivi non intendono rinunciare alla comunione coi defunti. I cimiteri offrono ricetto agli umiliati e agli offesi. Nei cimiteri si scatenano i teppisti delle generazioni successive. Miglior sorte è toccata ai cimiteri che sono caduti nell’oblio, che sono stati lasciati in pace e di cui si è occupata solo la natura. E’ nel rapporto coi morti e coi luoghi in cui sono sepolti che si mostra al meglio la condizione di una cultura. I morti sono indifesi, se ne può fare ciò che si vuole, sono in balia del potere discrezionale delle generazioni a venire. Nel rapporto con i defunti si rivela il proprio atteggiamento nei confronti del passato.  I cimiteri del periodo di transizione : qui si offrono al vaglio tutti i comportamenti pensabili e immaginabili. Nella prima fascia della periferia i cimiteri si confondono spesso con la caotica terra di nessuno fatta di parcheggi, stazioni di rifornimento, centri commerciali. I cimiteri vengono cancellati. In questo fu particolarmente accanito quel socialismo che in nome dei vivi e di un futuro migliore fece piazza pulita delle spoglie dei morti dove gli sembrava che queste lo intralciassero. Molti cimiteri sono stati smantellati. Interi cimiteri sono spariti in questo modo, le lapidi sono state impiegate per lastricare strade pubbliche e private. Innumerevoli cimiteri furono soggetti a questo speciale tipo di transustanziazione. Così lapidi sono stese sottosopra e fungono da pavimentazione per il traffico stradale dei vivi. In molti casi la scomparsa di cimiteri per le comunità di credo e religione coincide con la scomparsa di gruppi culturali, linguistici ed etnici. Cimiteri come luoghi della vendetta e della pulizia etnica postuma. Laddove i cimiteri sono ancora presenti è lo stato di cura o incuria a significare il rapporto dei vivi coi morti.  Capitali dei morti : prima della guerra c’era un mondo dove ancora si moriva come si deve, in cui la morte aveva un suo ordine, anzi rientrava addirittura nell’arte di vivere. L’ottimista Europa anteguerra ci teneva a un trapasso ordinato, curato, regolato. Aveva la sua messinscena e le sue esibizioni. Il decesso era parte della vita pubblica, della lotta per il riconoscimento dell’arena della vita. Questi rituali ruotavano attorno al consolidamento del potere. Ma anche le voci dell’opposizione in seno alla società si servivano di rituali della morte pubblica. I funerali si erano trasformati in manifestazioni della grande forza. In Europa ci sono forme e rituali funebri che sono stati sviluppati e collaudati nel corso dei secoli. L’Europa ha eretto le sue fortezze dei morti, opere d’arte di grande bellezza, musei delle più fini sculture. I grandi cimiteri dell’Europa sono famosi come le più famose attrattive turistiche. Sono monumenti storici sui generis. Nelle grandi città troviamo un paesaggio cimiteriale cresciuto nei secoli, multiforme e multistrato. Chi volesse comprendere il mondo dei cimiteri deve familiarizzare con l’argomento. Le necropoli sono opere d’arte totali al pari delle metropoli e una storia sociale da sola è insufficiente quanto una storia dell’arte presa in sé per sé. Bisogna compiere studi di campo, nel campo del morire e della morte, studi sul camposanto. L’Europa deve occuparsi delle sue capitali della morte.  La vita nella morte : di ogni grande cimitero esiste una guida. La regolarità dell’impianto, i viali dritti, le siepi producono una matrice di uguaglianza nella morte, stanno ad indicare che in qualche modo nella morte siamo tutti uguali. Il cimitero ha luoghi centrali e luoghi periferici, quelli nel mezzo e quelli più laterali. I monumenti sono ricordi pietrificati, il che per i cimiteri vale in modo particolare. E’ molto facile riconoscere i personaggi importanti, che potevano permettersi di far risaltare il divario tra sé e i concittadini anche dopo la morte. I cimiteri sono l’arena in cui famiglie si autorappresentano in modo insuperabile, ma anche luoghi in cui si nega o ci si vergogna di ciò che si era in vita. Nei cimiteri tornano a filare i gusti dell’epoca, sono vere e proprie fiere della vanità, dopo la morte la competizione prosegue. Le tombe di famiglia si possono studiare come gli intérieurs borghesi. Sui sepolcri dei personaggi di spicco si può leggere la storia intera. Le iscrizioni tombali rappresentano la propria epoca. Ogni società ha i propri valori. La società classista dà peso alla discendenza e al titolo. Le lapidi mostrano il corso del tempo per come si è letteralmente inciso nelle vite delle persone. I luoghi sono carichi di significati: segnalano se il continente è in pace o in subbuglio, indicano che è diventato un campo di battaglia, il campo di ampi movimenti di individui. I cimiteri europei sono immagini abbastanza precise di quelle turbolenze storiche in cui si sono dissolte intere città, classi, relazioni familiari. Il mondo dei cimiteri europei è il mondo delle sue religioni. Dalle iscrizioni funebri si può evincere quali incredibili alleanze si siano create tra l’elemento religioso, etnico, sociale e culturale. I cimiteri forniscono informazioni sugli spostamenti di territori e confini. La lingua dei cimiteri è più antica di quella degli stati nazionali.  La nuova Europa : si può distinguere la nuova Europa dal fatto che abbia o meno chiuso l’incuria che ha tollerato così a lungo. La nuova Europa cura le tombe e permette l’accesso a quelli cui per tanto tempo è stata preclusa la visita alle sepolture dei propri antenati a causa di assurde frontiere. Come tutto il resto, anche la morte e la sepoltura sono trascinate negli sconvolgimenti che derivano dal passaggio al capitalismo e all’economia di mercato. Per molti un funerale come si deve è diventato un vero e proprio lusso. La nuova Europa post- socialista prepara nuovi cimiteri dove vige un’altra gerarchia. Come ha mostrato Fleischer, la storia è una forma di comunicazione transtemporale, un discorso tra generazioni, un dialogo dei vivi coi morti. Non esiste luogo migliore per questo dei cimiteri. 4.4 L’ingresso di Birkenau In quanto storia di deportazioni, la storia del genocidio degli ebrei è anche una storia dei trasporti, del traffico e della logistica. Vi giocano un ruolo di straordinaria importanza stazioni, binari di manovra, nodi ferroviari, piani di circolazione, orari generali, schede di accompagnamento dei carri, tariffe di spedizione, capacità di trasporto. Il linguaggio del genocidio si spaccia eufemisticamente per linguaggio specialistico di trasporto. I luoghi hanno diritto di veto. Non è possibile dire o tacere tutto. Auschwitz non è una metafora e non è solo simbolo di qualcosa. L’ingresso di Birkenau è il luogo in cui accadde l’inconcepibile, nel mezzo dell’Europa. 4.5 Frecce: spostamenti, immagini di movimento Le carte dell’epoca delle guerre mondiali e in particolare dei movimenti di fuga causati dal conflitto sono sempre le stesse, perché si tratta di movimento, movimento forzato. Sono dominate da un selvaggio groviglio di frecce che partono da una regione d’origine e puntano con l’estremità sul paese di rifugio e di arrivo. Le operazioni militari e la fuga sono le forme più dinamiche e drammatiche di movimento accelerato. Le cartine che riproducono gli antichi imperi sono in stato di quiete, immobili e statiche come se fossero fiere di esibire al mondo quanto raggiunto. Le cartine delle guerre mondiali sono dinamiche. Le prime raffigurano l’aspetto statuario delle dinastie, le seconde i trionfi dell’accelerazione. Tra il 1938 e il 1948 l’Europa centrale e orientale era un continente in cammino. Al centro del ricordo di questi fatti sta il trasferimento forzato. Il XX secolo ha prodotto il proprio vocabolario della dislocazione forzata. Nel XX secolo l’organizzazione dello spostamento violento ha generato strutture e istituzioni apposite specializzate e basate sulla suddivisione del lavoro, con lo scopo di mettere in atto nel modo più effettivo ciò che prima non sarebbe venuto in mente nemmeno in sogno: il trapianto di interi gruppi di individui e popoli. In breve: specialisti dell’evacuazione, della pulizia etnica e della deportazione. Solo con la più ferrea disciplina si può portare a termine un’impresa del genere. Esiste un copione collaudato, un iter, una procedura verificata in milioni di casi.  Il rilievo della nuova Europa : l’ultimo decennio è stato caratterizzato da una trasformazione e dallo spostamento delle coordinate, delle relazioni di centro e periferia. Tra le esperienze stupefacenti degli anni successivi al 1989 si trovano la velocità e la naturalezza con cui sono stati riallacciati i rapporti preesistenti alla grande suddivisione dell’Europa. La Mitteleuropa fu il centro ispiratore del ritorno all’Europa all’inizio degli anni ottanta. La coesione tra i centri e le province dell’antica monarchia ha dimostrato id aver mantenuto la forza di un tempo e non di essere solo un relitto nostalgico. Evidentissima è l’attrazione esercitata dalla Polonia sull’Europa centro-orientale. I traffici dei flussi migratori tra la regione di Berlino e la Polonia occidentale sono intensi, con reciproco vantaggio. Da questa deriva delle regioni emerge il rilievo di una nuova Europa, con nuovi centri, nuove strisce di confine, con focolai di tensione, che vede da una parte corridoi caratterizzati da una vorticosa accelerazione e dall’accumulo di ricchezze e dall’altra ampie zone e superfici di stagnazione e sfruttamento. All’Est-Ovest europeo si sovrappone la topografia della globalizzazione. La nuova Europa orientale è caratterizzata da giustapposizioni, una sincronia dell’asincronico da manuale: il XXI secolo accanto al XVIII. Dopo il 1989 era in voga l’espressione “ritorno all’Europa”. In questo slogan traspare una visione idealistica dell’Europa secondo cui è Europa tutto ciò che si vincola agli ideali democratici e è non-Europa ciò che se ne discosta. Ma l’Europa è in primis e soprattutto lo spazio in cui sono cristallizzate questa cultura e questa storia particolari. E’ in primo luogo lo scenario delle storie europee, la penisola, il promontorio del continente euroasiatico. E’ il teatro della storia europea. Per contro va ricordato che l’Unione Europea è una parte. E’ il più significativo e superbo risultato dell’organizzazione della politica europea, un modello, un polo di attrazione. Si definisce come alleanza politica e di valori ma deve smettere di respingere dall’Europa tutto ciò che non le appartiene, o non ancora. L’attuale Europa occidentale e UE dovrebbero relativizzare sé stesse. Un’Europa dell’UE che si ritiene esaustiva è provinciale o che si erga a misura di ciò che è europeo per antonomasia è limitata e contraria all’Europa.  Le molte Europe delle generazioni . Accanto alle ripercussioni immediate delle divisione dell’Europa ci sono state anche conseguenze di lungo periodo, difficili da quantificare e condensate in immagini, esperienze e relazioni. Ciò vale tanto di più per il fatto che l’Occidente europeo e la sua controparte orientale sono cresciuti in mondi vitali differenti, ciascuno con il proprio universo id concetti e valori, con il proprio sistema di segni. Ma la cosa più importante fu la vera e propria inaccessibilità a varcare i confini, il rallentamento del tempo che in un certo senso divenne asfittico. L’altra metà dell’Europa semplicemente sparì dietro al muro, si chiuse, divenne inaccessibile. Man mano che le immagini persero la vividezza dei colori vennero seppellite da altre immagini, più fresche e forti. Così arrivammo a sentirci più vicini a NY che a Budapest. La contrapposizione tra Est e Ovest aveva prodotto la propria ideologia, la propria metafisica, la propria mentalità. Con il tempo crebbe una generazione che sapeva poco e nulla del mondo dall’altra parte. Era la prima generazione a essersi totalmente liberata dai rapporti che aveva tessuto la generazione dei padri. La generazione di mezzo, quella dei sessantottini, era cresciuta da una parte o dall’altra del fronte della guerra fredda. Si era sviluppata in maniera organica a aprtire dalla Mitteleuropa, un prodotto della fuga verso l’occidente e della reclusione nel blocco orientale. Poi arrivò il 1989 e scardinò il mondo così come era stato ben definito. A posteriori sembra quasi un miracolo che nella Germania postbellica non si sia arrivati a un’aperta rivolta contro i confini del dopoguerra. Buona parte del risentimento e dell’odio fu incanalata nella lotta contro il comunismo in difesa del mondo libero. Per molto tempo è sembrato che i tedeschi del nazionalsocialismo avessero bruciato una volta per tutti i ponti con l’Europa orientale e che non si sarebbe più potuto parlare di quello che era successo prima. Esiste una storia dei tedeschi nella Mitteleuropa orientale che non si risolve negli anni hitleriani. Esiste una storia grandiosa e precedente, ed è attuale ricollegarvisi. Per tutte queste ragioni l’Europa orientale non è una zona come qualunque altra, né lo sarà tanto presto.  Narrazioni europee : nel XX secolo l’Europa centrale e orientale fu lo scenario principale delle più grandi operazioni militari. Fu un continente tra i fronti, da cui spesso non esisteva una via di fuga, fu lo scenario dei paradossi europei. Il punto più oscuro, il polo della disperazione europea, si trova nella sua area centrale e orientale. I fenomeni europei che fanno saltare la cornice della storiografia nazionale possono essere rielaborati soltanto nel contesto europeo, valicando i confini nazionali. Ciò riguarda gli aspetti più drammatici dell’Europa del XX secolo. Nessuno deve temere di trovarsi nella condizione di sfuggire dalla propria storia e dalle proprie responsabilità “in nome dell’Europa”.  La bellezza dell’Europa : l’Europa non è stata soltanto l’area della terra bruciata e dello sterminio degli ebrei ma anche un continente di incredibile varietà e ricchezza. L’Europa nasce prima di tutto non per paura o come reazione a una minaccia ma perché è qualcosa, rappresenta qualcosa. Non solo la sua letteratura, i suoi idiomi e la sua arte ma anche il suo paesaggio e le città che vi sorgono. Da tali paesaggi trapela tutt’ora che sono stati paesaggi plurietnici e che ancora lo sono in elementi spuri, che sono il risultato di complicate ibridazioni e di situazioni conflittuali che si danno soltanto in queste forme, come rappresentazioni di microcosmi culturali. Ma anche senza cadere nell’idealizzazione romantica, occorre insistere sulla ricchezza dell’Europa prima della sua violenta disibridazione e della pulizia etnica per trovare un punto fermo su ciò che l’Europa può riuscire a fare. Si può essere per l’Europa in coscienza e pienamente convinti soltanto quando si sa qualcosa della sua ricchezza e della sua bellezza.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved