Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Legislazione dei Beni Culturali Ainis-Fiorillo, Sintesi del corso di Legislazione Ambientale

Riassunto l'ordinamento della cultura di Ainis Fiorillo

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 13/06/2020

elibrt
elibrt 🇮🇹

4.6

(33)

18 documenti

1 / 43

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Legislazione dei Beni Culturali Ainis-Fiorillo e più Sintesi del corso in PDF di Legislazione Ambientale solo su Docsity! L’ORDINAMENTO DELLA CULTURA Capitolo 1 - Per una storia costituzionale dell’arte L’arte è un VALORE, viene percepita anche da chi non possiede gli strumenti critici per decifrane la struttura simbolica, ed è dalla sua forza persuasiva che prende piede il tentativo di servirsene per scopi politici. Ma un’intenzione politicamente orientata non costituisce il fermento da cui nasce un’opera. L’arte viene a compimento nel momento della FORMA: la visione di un’opera determina un contagio emotivo, si tratta del cosiddetto “contagio dell’arte” (Tolstoj). Dalla valutazione negativa di tale contagio prendono spunto le condanne dell’arte attraverso i secoli: gli artisti sono sempre stati ritenuti colpevoli di un effetto di straniamento, poiché ci introducono in un mondo fittizio, distogliendoci dal vero sapere (Platone). Giudizi simili non erano isolati; ricordiamo Seneca, Plutarco, Cicerone. Rifiuto nei confronti del piacere, ma non del fatto artistico in sé, quanto della teoria edonistica dell’arte. Un’arte meramente edonistica non potrebbe svolgere nessuna funzione educativa, che era proprio la richiesta trasmessa dagli artisti. Funzione pedagogica messa a frutto dall’antichità: da religione e potere politico (Es. I Medici a Firenze). Furono per prime le grandi religioni a utilizzare l’arte nella ricerca del consenso, dai greci fino ai romani, per culminare col cristianesimo che fece dell’arte un vero e proprio instrumentum regni, dalle lotte iconoclaste al concilio di Trento. LA FUNZIONE PEDAGOGICA DELL’ARTE HA RISCHIATO SPESSO DI DIVENTARNE LA TOMBA. SE L’ARTE RAPPRESENTA UN VALORE, ESSO E’ STATO POSTO IL PIU’ DELLE VOLTE AL SERVIZIO DELLE FORZE DOMINANTI, CHE NON DI RADO NE HANNO APPROFITTATO AI FINI DI MANIPOLAZIONE DEL CONSENSO. Occorre ora chiedersi se la forza persuasiva dell’arte rimanga uguale per tutti i generi artistici. Quelle maggiormente esposte a controlli sono sicuramente il teatro, la letteratura e il cinema, ovvero quelle che hanno una diretta parentela con il linguaggio (codice simbolico più comune). Per ciascuna di queste arti, l’adozione del linguaggio coincide, infatti, col momento stesso della propria espressione. Primato della parola sull’immagine. Capacità delle espressioni artistiche di venire riprodotto senza soffrire danno: alcune se riprodotto perdono la propria autenticità, questa però estende la sfera dei fruitori. Le opere figurative risultano meno riproducibili, e comunque sono in grado di raffigurare una singola scena a differenza del cinema, teatro o letteratura, ma contiene in se un carattere di unicità e rarità. Infatti il possesso coinciderà con un investimento commerciale – funzionalizzazione dell’arte figurativa per scopi politici. Innegabile forza persuasiva dell’arte che è veicolo privilegiato di comunicazione sociale e diffusione di idee. La rilevanza sociale dell’arte fa comprendere le ragioni del trattamento che riceve nel sistema costituzionale dello stato. In virtù della sua semplice esistenza, l’arte lascia balenare la possibilità di una realtà diversa da quella data: in ciò risiede la sua forza sovversiva, nel fatto che essa non parla se non di cose assenti. La condizione complessiva dell’arte dipende dalla qualità e dalla risonanza dei singoli generi artistici e dal tipo di organizzazione politica che regge la società civile. Può trattarsi di un sistema autoritario, che tenderà a reprimere l’arte giudicata eversiva; oppure di un sistema abbastanza scaltro da accompagnare l’azione repressiva con interventi orientativi (vedi fascismo), oppure d’un sistema liberale che riconosce la libertà d’espressione artistica e perciò disposto a tollerarne qualsiasi manifestazione. Alla condizione complessiva dell’arte, concorrono molti fattori. Quasi ovunque sopravvivono forme di censura e tasso di permissività può subire brusche impennate a seconda della stabilità sociale. - Dalle carte rivoluzionarie dell’epoca dei Lumi ai lavori dell’Assemblea costituente: genesi d’una libertà L’art. 355 della costituzione francese dell’agosto del 1795 costituisce un fatto progressivo per l’emancipazione dell’arte e l’affrancazione delle corporazioni. Dichiara: “Vi è privilegio, non la padronanza o corporazione, o limitazioni alla libertà di stampa, commercio, e l'esercizio dell'industria e dell'arte di tutti i tipi." qualsiasi legge proibitiva di questo tipo, quando le circostanze lo rendono necessario, è essenzialmente provvisorio, ed è efficace solo per un anno, a meno che non è formalmente rinnovato.” Questo principio era stato in parte già annunciato nella costituzione che gli stati uniti d’America avevano adottato nel 1787, post guerra di indipendenza. È un dato di fatto che il Bill Of Rights servì da modello a non poche tra le formule costituzionali adottate in Francia. Gruppo di diritti propri delle genti e degli individui per sola natura rivendicazione di diritti di libertà reputati inalienabili. Per restituire il clima che permise il primo riconoscimento costituzionale della libertà dell’arte, è necessario un rapido cenno sulla teoria del contratto sociale. Ciò che importa rilevare è la connessione che sussiste tra la garanzia dei diritti di libertà e le teorie contrattualistiche; e il maggior artefice di questo passaggio fu Rousseau: “l’uomo è nato libero ed è dovunque in catene”. Dopo d’allora i diritti sociali non furono più concepiti come elemento in contrasto all’autorità dello Stato, bensì come i cardini di quella stessa autorità. Tra le libertà dell’uomo, la libertà di manifestazione del pensiero e quindi anche dell’espressione artistica, trovò un riconoscimento formale nelle carte costituzionali. Già nel 1695, del resto, in Inghilterra, l’atto annuale per la censura della stampa”, fu lasciato cadere. - Mutamenti nella condizione dell’arte La libertà di creazione artistica fu astrattamente sancita nel 1791 con il conferimento a tutti gli artisti di esporre al Salon, la massima istituzione francese di esposizioni d’arte. La democratizzazione del salon e la soppressione, nel 1793, della stessa accademia, sostituita dalla societè populaire et republicaine des arts d’ispirazione rivoluzionaria, furono l’equivalente in campo artistico della rimozione dei privilegi feudali. Dopo la Rivoluzione, l’artista fu libero di scegliersi i propri temi e il modo di trattarli. L’arte, anzi, divenne un fondamentale strumento di governo. Il classicismo apparve subito lo stile più adeguato a esprimere i nuovi sentimenti repubblicani e libertari, adatto cioè a rappresentare con la massima efficacia l’ethos della rivoluzione. Non va comunque dimenticato che i principi liberali non impedirono la persecuzione degli artisti contrari alla Rivoluzione, (epoca del cosiddetto Terrore 1792-95). Gli aspetti più importanti del periodo rivoluzionario, furono: l’apertura degli archivi, la grande affluenza ai Salon, l’insegnamento dell’arte impartito anche alle scuole private. Tuttavia a ciò si contrappose la soggezione ai meccanismi del mercato. - Le costituzioni giacobine e l’istanza per l’impegno civile degli artisti I principi della costituzione francese dell’anno III penetrarono in Italia con le costituzioni delle repubbliche giacobine 1796/99. Quasi tutte le costituzioni italiane di questo periodo contenevano puntali riferimenti alla libertà dell’arte espresse in forme analoghe a quelle francesi. Anche in Italia l’affermazione della libertà dell’arte non corrispose alla sua neutralità ma al suo impegno politico in favore degli ideali liberali. Funzione pedagogica dell’arte: fissata una norma costituzionale dalla Rep Napoletana che promuoveva i teatri patriottici per istruire e allettare il pubblico. Ma quando gli antichi governi ripresero il controllo della penisola di queste esperienze costituzionali non rimase traccia:  Italia: principio di tutela artistica (debole) della costituzione repubblicana del 1802 scompare fino alla costituzione del 1948  Francia: Restaurazione + Ancien Regime= ritorno alla censura Furono uno strumento di direzione e controllo. Nel 1927, misura protezionistica= si imposero delle limitazioni sulla proiezione di produzioni straniere ma programmazione obbligatorie di pellicole italiane. Intervento finanziario come strumento d’indirizzo e di pressione sui contenuti dell’opera cinematografica. Esistevano premi di qualità per le pellicole meritevoli. Il fascismo però non si impose nazionalizzando la società cinematografica ma aveva il fine di costringere gli operatori del settore ad uniformarsi alle direttive di governo. - Il funzionamento e gli obiettivi della censura fascista Nuova proibizione: incitamento all’odio tra classi sociali. 1923 regolamento per le pellicole cinematografiche, poteri alla Direzione generale per la pubblica sicurezza ma la decisione finale spettava al ministro. L’anno successivo si inserì una persona competente in campo artistico e letterario. 1928 si aggiunse un membro per l’esame di copioni di soggetto coloniale. 1940: vietate le proiezioni che incitano all’odio tra classi sociali. Il fascismo non usa la censura ai fini repressivi ma come un positivo strumento di cultura, no bandisce la critica politica ma diffonde le direttive morali, sociali ed educative (stesso in campo letterario), infatti agli editori prima di pubblicare era consigliato consultare preventivamente il Ministro della cultura popolare, anche se non esisteva la censura preventiva infatti generalmente si analizzavano una volta uscite. Esisteva una più rigida censura sulla radio e il teatro, legata alle fobie del regime es: no attori di colore o testi ebraici. - La libertà d’espressione artistica nei lavori preparatori della costituzione vigente Il principio della libertà d’espressione è consacrata con la costituzione del 1948. - Art.33 “arte e scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” antecedente nell’art.142 della costituzione di Weimar, infatti le parentele tra le due costituzioni sono molteplici - Art.9 indica che tra gli obiettivi dello stato vi è la promozione della cultura e della ricerca scientifica (+ la tutela paesaggio e patrimonio storico artistico) - (Art.118 dichiara libera manifestazione del pensiero e dell’inammissibile censura, e aggiungeva che erano possibili deroghe per la letteratura immorale e pornografica. Capitolo 2 – Le libertà culturali Articolo 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Articolo 33: L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. - Premessa L’articolo 9 è stata una delle disposizioni costituzionali più dibattute dall’asse costituente, con un dibattito sui problemi di scuola pubblica e privata, fra promozione e libertà della cultura, e sulla libertà dall’intervento pubblico nell’arte e nella scienza da condizionamenti. - I lavori dell’assemblea costituente La prima versione dell’articolo 9, presentata nella prima sottocommissione della commissione dei 75 nel 1946 e firmata da Aldo Moro e Concetto Marchesi, “i monumenti artistici, storici e naturali del paese costituiscono patrimonio nazionale in qualsiasi parte del territorio della Repubblica e sono sotto la protezione dello Stato”, non vi è accenno alla libertà della cultura né all’impegno di sostenerla e neanche al patrimonio artistico italiano. All’approvazione di questa prima bozza, seguiranno dibattiti: - 4 giugno 1947: Si discusse molto sulla competenza regionale nel campo della tutela del patrimonio e fu Di Fausto a pronunciare il discorso per sostenere le ragioni della competenza dello stato, altrimenti come egli disse alla tutela sarebbe subentrata l’anarchia. - 22 aprile 1947: Pignedoli fece i primi accenni alla promozione del lavoro artistico che si tradusse in un emendamento: “la Repubblica protegge e promuove la creazione artistica e la ricerca scientifica” inizialmente concepita solo per istituire scuole non statali ed enunciato per evitare un’eventuale competenza regionale, a rischio la tutela del patrimonio. Poco dopo l’emendamento, Firrao, prese consapevolezza del fatto che il progresso tecnico e scientifico ha bisogno di mezzi superiori a quelli dei singoli studiosi: di qui deriva il bisogno dell’intervento statale. 28 aprile 1947: risale a questa data la difesa di Marchesi che, con Paolo Rossi, giudicò l’arte e la scienza “libertà stessa nella sua forma più alta”, contro ogni offesa al patrimonio artistico italiano. 22 aprile 1947: Rivera disse: “l’arte è libera, ma non sono liberi gli artisti." Anzi, essi, possono essere sottoposti a minacce da parte del governo come successe durante gli anni del fascismo. E fu proprio sul ricordo di quegli anni che si diffuse la volontà di non ripetere più quella parabola. - Disgrazia e fortuna dell’art.9 cost. Ostile la reazione alla nuova disposizione da parte dei primi commentari: - Baschieri, Bianchi D’Espinosa e Giannattasio, 1949 Primo commentario della costituzione, si ritiene infelice la forma dell’articolo e stona la sua posizione tra i principi fondamentali della carta. - Crisafulli la definisce una pseudo disposizione, priva di valore normativo per la sua eccessiva indeterminatezza del suo oggetto. = Tutti i commentari degli anni ’50 svalutano l’art.9 poiché non ospita precetti normativi ma precetti di tipo etico politico e rientra fra le norme, che non hanno e ne possono avere una sanzione. Le regioni di diritto comune approfittano per rivendicare a se stesse un ruolo attivo nella gestione e promozione culturale, fino a concepire il progresso culturale delle comunità regionali come obiettivo preminente delle regioni. La successiva legislazione regionale portò a frutto ciò che era deposto nelle dichiarazioni statuarie. Precedentemente art.117 comprimeva le attribuzioni regionali alla sola cura dei musei e biblioteche di enti locali. Anni ’70: ogni consiglio regionale aveva le proprie regole sulla disciplina degli usi e costumi locali, associazionismo culturale, cinematografia, teatro, televisione… prestando attenzione a fenomeni artistici più sperimentali: legislazione trasgressiva. Il 3 aprile 1947 in assemblea costituente fu approvato un emendamento dove si sostituiva “repubblica” a “stato” che era titolare della promozione culturale solo per lasciare impregiudicata l’autonomia regionale. Dagli anni ’70 l’impulso culturale era entrato nell’orizzonte pubblico, non solo da parte regionale. Giovanni Spadolini designato ministro dei beni culturali senza portafoglio fu poi promotore di un decreto legge (1975) che introdusse in Italia il ministero per i Beni culturali e ambientali; d’ora in avanti la politica culturale faceva parte della politica generale del governo. - Per una ricostruzione del modello costituzionale Dopo il 1955, Norberto Bobbio, tracciò la distinzione tra politica della cultura e politica culturale. - La prima è la politica degli uomini in difesa delle condizioni di sviluppo della cultura stessa: in sintonia con i principi liberali - la seconda è la pianificazione della cultura da parte dei politici: in sintonia con i principi autoritari Come si concilia questa posizione liberale con il compito affidato ai costituenti di promuovere lo sviluppo culturale? E quindi come si conciliano gli articoli 9 e 33 (libertà e promozione)? Possono esserci vari punti di conflitto: 1. Se lo stato ha a disposizione un certo capitale, deve decidere a quale creazione artistica destinarlo, con questa azione lo Stato già limita la libertà stessa. Ogni attività promozionale è selettiva e pone la scelta dei settori sui quali intervenire, le modalità di intervento. Il diritto premiale valuta e sceglie, ma non è illuminato da una precisa strategia, priorità o obiettivi. 2. Si può programmare l’intervento pubblico sull’economia, non sulle creazioni artistiche= deontologicamente la cultura stessa è espressione viva e non regolata. Dato che la politica culturale è pretesa dalla Costituzione ad ogni sua azione modifica il rapporto tra le forze culturali in campo alterando la spontanea evoluzione della vita artistica e scenica a scapito della loro autonomia. 3. Il sostegno pubblico rischia di impoverire le espressioni artistiche, non di arricchirle, di asservirle al sistema politico, in una forma di condizionamento o censura. Un altro punto di frizione tra libertà e promozione culturale è lo statuto ontologico della cultura può ribellarsi ad ogni pianificazione, non si può programmare l’intervento pubblico sulle creazioni artistiche. Il sostegno pubblico rischia di impoverire espressioni artistiche e scientifiche e rischia di introdurre una forma di condizionamento o censura. Come può quindi risolversi questa contraddizione?  L’intervento pubblico si giustifica solo in quanto esso riesca ad aumentare la pluralità delle espressioni culturali, ossia deve favorire il riequilibrio in favore delle manifestazioni intellettuali più deboli. = Il ruolo delle regioni nel campo dell’intervento culturale trova il proprio fondamento in questa doppia esigenza, tra autonomia dai poteri pubblici e sostegno dei poteri pubblici. Esse sono garanzia di pluralismo e protagoniste di un’azione policentrica, ricoprono un ruolo essenziale per la tutela dei beni culturali che sono quasi sempre radicati in un territorio determinato e ne testimoniano la culturala sua conservazione è un dovere/potere della popolazione interessata. Nuova formula art.117 cost: attribuisce alle regioni potestà legislativa per promuovere e organizzare la vita culturale. Spetta al legislatore identificare i compiti della politica culturale, la strategia ma tocca agli esperti l’ultima parola sulla distribuzioni delle risorse in campo già selezionatosolo con queste condizioni l’iniziativa pubblica sarà imparziale e solo così si avrà l’autonomia di arte e scienza. - Le distorsioni della prassi Questa prassi non è mai compiuta per intero, all’interno dell’intervento pubblico in materia culturale vi sono sempre carenze e ambiguità, infatti vi sono delle negatività all’interno del sistema stesso: - sia centrale (il governo): Questo vale specialmente per l’ausilio degli esperti, di cui si dovrebbero avvalere le regioni, infatti l’autonomia della cultura imporrebbe che gli esperti vengano designati da altri esperti ma succede che la loro nomina sia in mano alla politica. Es: per le sovvenzioni in arti plastiche e figurative dello stato le decisioni sono prese da un ufficio per i Beni e le Attività culturali Libertà d’insegnamento ha la sua radice nelle libertà di manifestazione del pensiero e tale libertà si attiene sia ai metodi che ai contenuti dell’insegnamento che però è personale del docente: non può essere delegato all’organizzazione scolastica. L’indipendenza degli insegnanti e la qualità d’istruzione hanno un ruolo centrale in un gruppo sociale, specialmente per l’intera comunità politica per la cui formazione della coscienza civica l’insegnante ricopre responsabilità primaria. L’insegnamento deve essere rispettoso degli obiettivi del legislatore. Non è ammessa per il docente la libertà di non insegnare, è ammesso il limite del buon costume + limiti costituzionali di tutela dell’infanzia e gioventù. Un’istruzione avanzata non può limitarsi a trasmettere nozioni senza preoccupazioni della formazione dei destinatari in quanto persone. Ma la libertà d’insegnamento è diversa dalla libertà di proselitismo, va tenuta in conto anche la libertà di discepololibertà di pensiero cioè formazione di una coscienza individuale critica operata e quindi libera. La cultura deve liberare non incatenare. - Diritto all’istruzione e allo studio L’articolo 33 affida alla Repubblica il compito di dettare le norme generali sull’istruzione, fissando regole dirette alle istituzioni scolastiche pubbliche e private, e di garantire l’istituzione di scuole statali per tutti i gradi. Deriva che spetta sempre allo Stato configurare il modello di istruzione da impartire alla popolazione studentesca. Principio cardine in materia d’istruzione è l’uguaglianza nell’accesso alla scuola: art.34 – “la scuola è aperta a tutti”, no discriminazione sul sesso e per i portatori di handicap. Il diritto all’istruzione è proclamato anche nell’art.14 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea: istruzione inferiore impartita almeno per 8 anni. In più, i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi hanno il diritto di conseguire i gradi più alto degli studi. Questo obiettivo è raggiungibile attraverso sistemi di sostegni finanziari (borse di studio, assegni ecc..). Importante è anche il pluralismo della scuola, ossia la coesistenza di scuola pubblica e scuola privata, che consente anche ai cittadini libera scelta del modello d’istruzione. Scuole private parificate parità nei titoli rilasciati am piena libertà culturale e indirizzo pedagogico- didattico. Però l’insegnamento va improntato sui principi di libertà stabiliti dalla Costituzione. E svolgendo un servizio pubblico devono accogliere chiunque (che abbia accettato il progetto educativo) Il principio di libertà della e nella scuola si estende anche alle università, che hanno diritto di darsi ordinamenti autonomi sempre nel rispetto della legge dello stato. (legge 9 maggio 1989 n. 168 garantisce alle università l’autonomia didattica, organizzativa, finanziaria e scientifica). Ruolo dei poteri pubblici nella promozione dell’arte e della scienza: -funzione interventista: per lo sviluppo delle espressioni culturali più deboli -Neutralità: rispetto agli esiti soprattutto se sono in conflitto con il pensiero della classe politica dominante. Ciò che conta non è la produzione di espressioni di eccellenza ma lo sforzo di dare uguaglianza nelle opportunità (come enunciato art.3 cost.). Promozione pubblica della scienza: mediante centri di ricerca pubblici e predisposizione di strumenti e di supporto alla ricerca dei centri privati, pubblici, istituti d’istruzione. Esiste una distinzione tra: - Ricerca scientifica libera: area in cui opera l’università che è la sede primaria della ricerca con autonomia di ricerche e strutture - Ricerca scientifica strutturale: affidata ad enti che curano in maniera autonoma ricerca scientifica con obiettivi determinati, sono governate a livello centrale con procedimenti di coordinazione e programmazione che definiscono indirizzi, priorità obiettivi e destinazione delle risorse. Sono organi di indirizzo politico che possono intervenire nelle attività di ricerca per art.33 sulla libertà. Minaccia per l libertà di ricerca dove il finanziamento pubblico privilegia le attività di ricerca con immediate ricadute sul sistema produttivo. Con art.9 cost. arte e scienza rientrano nella nozione di cultura, la quale fa parte della formazione intellettuale del cittadino e con la loro promozione le istituzioni hanno lo scopo di formare cittadini colti. Costituzione: cerca di favorire la crescita del pluralismo culturale come sviluppo dei singoli e la loro collettività. Non solo con il compito di preservare la memoria storica ma anche quello di offrire impulso alle nuove espressioni creative. Sviluppo culturale per progresso civile della comunità politica. In conclusione: il ruolo dei pubblici poteri sulla cultura deve essere finalizzato a liberarla dai condizionamenti che ne intralciano lo sviluppo, al massimo sostenendo le manifestazioni più deboli che stentano a farsi largo nell’arena culturale. Quel che conta non è la produzione di espressioni artistiche di eccellenza, ma lo sforzo di far condividere un’uguaglianza di opportunità. Capitolo 4 – La promozione della scienza La scienza è un’attività speculativa sempre utile, dotata di 2 qualità: razionalità e universalità e, sembra appartenere ad un mondo completamente diverso rispetto alla politica. La scienza celebra la propria indipendenza dalla chiesa e dallo stato durante il XVI secolo, ed è proprio in questo momento che è sorto il fenomeno della istituzionalizzazione della scienza, ossia il riconoscimento della sua validità e importanza. I canoni metodologici che la scienza si è impegnata a osservare sono tutt’altro che indifferenti ai modelli di governo della società per almeno due ragioni: anche la politica descrive una scienza, tant’è che vengono addirittura impartire lezioni universitarie di scienza e politica e, in più, va ricordato che ogni acquisizione scientifica è frutto di teorie che bisogna poi sottoporre a verifica pratica. Sul piano storico, l’emancipazione della scienza dalla politica può essere descritta così: la sollecitudine verso le attività di ricerca si manifesta fin di regni barbarici e feudali, sebbene bisognerà attendere l’affermazione dello stato assoluto per osservare l’elaborazione teorica ed è proprio allora che attecchisce la professionalizzazione degli uomini di scienza, nei cui confronti comincia a svilupparsi una domanda di mercato in grado di trasformarli da dilettanti, in forza-lavoro stipendiata per lo più da istituzioni pubbliche: ciò non è altro che la causa della loro accettazione verso costrizioni alle leggi astratte dalla comunità scientifica. Nelle società contemporanee cambia l’intensità dei rapporti tra scienza e politica. Bobbio ha osservato come oggi le minacce alla vita, alla libertà, alla sicurezza, vengono dal potere della scienza e delle sue applicazioni tecniche. E vediamo come essa non sia solo la fonte del dominio dell’uomo sulla natura, ma anche sui suoi simili. La scienza contemporanea, quindi, ha scoperto di possedere una vocazione autoritaria i cui effetti possono essere devastanti sulla società: basti pensare alle risorse dell’informatica quando esse sono messe al servizio di un potere dispotico che se ne serve per esercitare il proprio controllo sulle masse. Sull’onda di tale consapevolezza, si afferma un sentimento nuovo nei riguardi della scienza: di diffidenza se non di aperta ostilità, alimentata anche dall’utilizzo di un linguaggio sempre più inaccessibile alla maggior parte della popolazione. (Il fatto è che la scienza come ricerca disinteressata della verità, non sussiste più e con ciò sono venuti anche a mancare i principi di razionalità e universalità.) L’atteggiamento verso la scienza è ambivalente  vi è una politica PER la ricerca e una ATTRAVERSO la ricerca. La prima esprime l’insieme delle attività intraprese dallo stato per incoraggiare lo sviluppo della ricerca, la seconda allude all’utilizzazione dei risultati conseguiti dalla scienza per scopi politici. In particolare, possono individuarsi 2 modelli per quanto riguarda il rapporto scienza/politica  1. DECISIONISTICO: asserve la scienza alla politica, accettando che siano le forze di governo a stabilirne i fini e i campi d’intervento 2. TECNOCRATICO: dove il rapporto si rovescia, in nome dell’autonomia della ricerca - Sulla doverosità dell’intervento pubblico Nel tessuto costituzionale, questo gruppo di problemi, trova il referente all’interno dell’articolo 9, a norma del quale la repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tale enunciato, però, è subito stato messo in discussione per ciò che dice (più per una polemica contro le ideologie fasciste che con l’intenzione di risolvere i rapporti tra scienza e politica) e per come lo dice (è una pseudo disposizione a cui si dovrebbe attribuire un valore etico politico). Articolo33: “L’arte e la scienza sono libere”  si vuole arginare la tentazione di coltivare dottrine artistiche o scientifiche ufficiali, di stato. Quest’articolo è quindi avverso a qualsiasi forma di dirigismo politico nel settore della cultura. Le istituzioni devono fornire i presupposti per il libero sviluppo della cultura, senza però condizionarne gli esiti: qui gioca un ruolo chiave la distinzione tra “politica della cultura” e “politica culturale”(Bobbio). La prima è lecita e benefica perché si tratta dell’impegno degli uomini in difesa dell’autonomia della cultura; la seconda è vietata, poiché si riferisce alla PIANIFICAZIONE della cultura stessa. Ma è davvero concepibile un modello culturale rigorosamente astensionista? Anche un atteggiamento di “laissez faire” finisce per tradursi in una precisa scelta culturale! Il punto focale è un altro, però: l’articolo 9 promuove il diritto premiale, cioè evoca l’adozione di precise tecniche di incoraggiamento che servono tendenzialmente a conservare lo status quo: ciò vuol dire che l’incentivazione culturale non può che agire sulla scorta di una concezione di politica culturale. Secondo la costituzione, quindi, essa non è indesiderabile e vietata, ma al contrario doverosa. Capitolo 5 – La tutela della lingua C’è spazio per una politica linguistica orfana di una legislazione linguistica? A prima lettura si direbbe di no, poiché la legge è veicolo della decisione politica, quindi senza una legge non c’è nemmeno una politica. Tuttavia, bisogna analizzare almeno 4 punti focali. 1. Il resoconto degli interventi normativi che si sono succeduti dopo la Costituzione (tutela della lingua) 2. L’esame della legislazione di sostegno alle minoranze linguistiche, protette dalla Carta dal 1947 (leggi sulle minoranze) 3. Il fronte delle politiche linguistiche verso gli immigrati che chiedono ospitalità nel nostro paese (gli immigrati) 4. C’è un elemento di doverosità, sul piano del dover essere, costituzionale nella politica linguistica? Per trovare una risposta bisogna percorrere il 4 punti - La tutela della lingua italiana Primo livello la tutela della lingua e promozione della sua conoscenza: se si escludono le normative sull’istruzione primaria e secondaria, il paniere è quasi vuoto. È probabile che questa lacuna rifletta un’identità nazionale molto debole. Da non dimenticare il ventennio fascista in cui prese piede una politica linguistica nazionalista e aggressiva, con lotta alle minoranze etniche e il mito della prezza della lingua italiana. Ma quando quella parentesi si chiuse, tornò a prevalere il vuoto. Ciò non significa che l’ordinamento repubblicano sia del tutto privo di norme sulla lingua, anche perché essa è il più potente elemento di cultura. Anzi, esistono una serie di episodi normativi, attraverso i quali prese forma una vera e propria politica linguistica italiana; ma essi non hanno la lingua per oggetto, bensì si curano di tutelare il b) la legislazione postunitaria contrariamente alle aspettative, il conseguimento dell’unità d’Italia, non rappresentò affatto un miglioramento delle forme di tutela dei beni culturali. La dispersione del patrimonio culturale, non si arrestò e lo dimostra il complicato iter per l’approvazione della prima legge organica sulla tutela, che avvenne 50 anni dopo l’unificazione. Questo accadde poiché la classe governativa non andava oltre il riconoscimento dell’antichissimo principio del rispetto dell’ornato delle città (art. 29 dello statuto albertino), inteso come divieto di trasformazione o demolizione di edifici urbani, se di grande principio artistico. Nei primi dieci anni successivi alla formazione del regno d’Italia, l’unica misura di politica culturale si attesta con la l. 25 giugno 1865 n.2359, che sancì la facoltà dell’amministrazione di disporre l’espropriazione dei monumenti se mandati in rovina per incuria dei proprietari. In materia di alienazione all’estero delle cose d’arte, lo stato italiano adottò una disciplina diversificata all’interno del territorio, si andava dal divieto di esportazione di opere dalla Capitale all’ex stato pontificio, alla totale libertà di commercio nei territori dell’es regno sabaudo; serviva, perciò, una legge organica. Arrivò nel 1904 l. n.431quando fu istituito il catalogo nazionale dei beni culturali e proibita l’esportazione delle opere in esso menzionate ma ebbe vita breve in quanto per evitarne l’esportazione esso doveva necessariamente essere iscritto in un catalogo ufficiale e ciò fu un filtro troppo vago che non impedì ulteriori sottrazioni. Perciò, nel 1906 venne istituita una commissione con l’incarico di dettare una nuova disciplina organica per la tutela dei beni culturali. I lavori di quest’ultima sfociarono nel 1909 (Legge Rosadi) in una legge che ampliò l’ambito dei beni culturali, comprendendo anche codici, stampe, manoscritti ecc… Inoltre si stabilì un doppio regime giuridico per quanto riguarda il trasferimento di beni: inalienabilità se appartenenti allo Stato o ad enti pubblici e privati + l’obbligo di denuncia per ogni trasmissione di beni di privati sempre con previsione al diritto di prelazione a favore dello Stato. Si sancì il divieto di demolizione, rimozione, restauro senza l’autorizzazione del ministro. Tra la Legge Rosadi e la nuova legge organica del 1939 avvenne un rilancio delle politiche di tutela dei beni culturali. Dagli anni ’30 videro la luce due leggi volute dal ministro Bottai, entrambe volte alla conservazione del bene, ma la prima dedicata alle cose d’arte, la seconda alle bellezze naturali (bello prodotto dall’uomo / bellezza per natura). La prima è del 1 giugno 1939, la seconda del 29 giugno 1939. La prima ha assicurato per 60 anni la protezione del nostro patrimonio culturale - allargando la tutela alle cose mobili o immobili, di interesse artistico, archeologico o etnografico -------------- estendeva il divieto di demolizione o restauro senza l’autorizzazione del ministro anche per beni privati. Tuttavia, bisogna specificare che queste norme, esprimevano una concezione elitaria del bene, secondo cui i beni tutelati si caratterizzavano per pregio e rarità. L’unico intervento concepito era quello volto alla conservazione, assicurato da un sistema di polizia amministrativa, le sopintendenze. c) la legislazione repubblicanai pericoli non sono più rappresentati dalla dispersione dei beni, ma anche da un’espansione urbanistica (impetuoso sviluppo sociale ed economico) incontrollata che non garantisce la conservazione idonea delle raccolte pubbliche. Si apre una nuova fase politica con l’istituzione della commissione d’indagine per la tutela d’interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio, la commissione Franceschini nel 1964. Questa pubblicò gli esiti dei propri lavori, delineando un’Italia in condizioni drammatiche per ciò che riguarda il patrimonio (es: devastazione siti archeologici, impossibilità di restauro…). La commissione stilò diverse proposte d’intervento legislativo (84 dichiarazioni, la prima offre definizione di beni culturali). Nel corso degli anni 90, avviene un’inversione di tendenza rispetto al passato, attraverso due principali fattori: 1. spinta innovatrice attraverso la creazione di un mercato interno che regoli la libera circolazione. A tal proposito: legge 9 dicembre 1992 che regola le esportazioni al di fuori del territorio dell’U.E. 15 marzo 1997 relativa alla restituzione dei beni usciti illecitamente dal territorio di uno stato membro. Ma comunque rimane la consapevolezza della necessità di una nuova disciplina dei beni culturali (sviluppata in seguito con la divisione tra Stato ed enti locali) 2. riparto di competenze tra Stato ed enti locali (Regioni), improntato su una base collaborativa tra centro e periferie. Il decreto legge del 22 gennaio 2004, reca il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: si caratterizza per l’estensione dei beni oggetto di tutela e, in più, in esso è presente un catalogo dei beni inalienabili senza più riferimento all’interesse “particolarmente importante”, si annulla la concezione elitaria. In esso presenti anche regole più semplici per la conservazione del bene. AGGIUNGERE COS’è IL CODICE DEI BENI CULTURALI - L’inquadramento costituzionale della cultura: promozione e libertà Le norme costituzionali sull’organizzazione della cultura di sistemano intorno a due poli d’attrazione: l’articolo 9 e l’articolo 33. (ARTICOLO 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio storico artistico” ARTICOLO 33: “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”) per quanto riguarda l’articolo 9, l’intervento della Repubblica, è diviso in due commi il primo illustra la funzione promozionale della Repubblica il secondo allude alla logica conservativa con l’obbligo di tutelare il paesaggio e il patrimonio storico artistico. In realtà svolgono la medesima funzione quella di introdurre nel nucleo della Carta il valore estetico-culturale, valore diverso e conflittuale rispetto a quelli dell’industria che regola la società contemporanea. E’ possibile proporre una lettura unitaria della norma costituzionale ovvero uno scopo di miglioramento del livello culturale dove l’intervento della Repubblica non può ridursi alla semplice gestione, ma deve offrire un impulso alla creazione e alla distribuzione dei fatti culturali. (Questo vale anche per la conservazione dei beni, che non vanno rinchiusi ma ne deve essere assicurato il godimento pubblico). Ciò sembra però allo stesso tempo, stridere con i principi dell’articolo 33, secondo cui l’arte, la scienza e il loro insegnamento sono libere, ma facendo leva sulla diversa collocazione di questa garanzia rispetto all’art. 21 Cost. (Libertà di pensiero e parola) si nota una tutela privilegiata artistica e scientifica. Esiste allora un equilibrio tra doverosità dell’intervento pubblico e libertà d’espressione? Si il raccordo sta nel fatto che a giudizio dei costituenti la cultura non è libera e quindi l’azione dei pubblici poteri serve a renderla libera specialmente dai condizionamenti che ne intralciano lo sviluppo: l’intervento pubblico è doveroso, a condizione che lo Stato eserciti un ruolo meramente suppletivo, sostenendo le espressioni intellettuali che stentano a farsi largo da sole. - Lo Statuto dei beni culturali -Definizioni e modelli: dalla concezione estetizzante a quella antropologica. L’articolo 148, comma 1, del 1998 offriva una definizione del concetto di bene culturale: “quello che compone il patrimonio artistico, storico, monumentale, antropologico, archeologico, archivistico e librario che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà”. In questa norma si riflette l’eco della commissione Franceschini, ma la locuzione di <<bene culturale>> risale all’antecedente Convenzione dell’Aja 1954 per la protezione dei beni culturali, quest’ultima a sua volta riprendeva Il Rapporto degli Esperti 1949 stilato per volere dell’Unesco. Questo documento fu l’esito finale di una riunione di esperti a proposito del trattamento del patrimonio culturale in caso di conflitti bellici; questo offriva una concezione lata dei beni culturali: beni immobili o mobili, monumenti di arte o storia ma anche gli edifici che conservano queste opere, documenti e oggetti. In Italia bisogna aspettare il 1964 con la commissione Franceschini per vedere adottata la formula dei beni culturali all’interno di un documento ufficiale dello stato  “sono beni culturali quelli di interesse storico, archeologico, artistico, ambientale, archivistico librario, ed in generale qualsiasi altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà.” La commissione Franceschini introduceva ufficialmente il termine bene culturale, ponendo su esso un’accezione completamente nuova; faceva infatti leva sulla storicità del bene culturale, segnando il passaggio, come metro di giudizio, dal criterio estetico (che era presente nelle due leggi Bottai del 1939, dove bene culturale era ciò che possedeva carattere di rarità e pregio) a quello storico. Bene culturale era quindi considerato quel << bene che istituisca testimonianza materiale avente valore per la civiltà>> La commissione Franceschini inoltre reintroduceva anche il paesaggio, ossia i beni ambientali. I confini della categoria creata dalla commissione Franceschini, hanno però subito un avanzamento sotto la pressione della nozione antropologica di cultura, per cui oggi è sempre più evidente la tendenza a definire bene culturale qualunque manifestazione della cultura umana. Oggi quindi, se si ripercorre la sua parabola storica della nozione di bene culturale, partita dalla concezione estetizzante, ci si accorge di come essa varchi i confini delle moderne accezioni culturali, sino a rischiar di sfociare nell’eccesso opposto del pan culturalismo, (considerare tutto cultura, quindi bene culturale) ossia quell’eccessiva dilatazione della nozione attuale di bene culturale. - L’immaterialità Tra i connotati dei beni culturali, emergono l’immaterialità e la pubblicità. Considerevole è stato lo sforzo della cultura giuridica per individuare un fondamento giuridico a quelle espressioni che appaiono avulse da un rapporto di coessenzialità con le cose. La necessità di rinnovare il concetto di bene culturale aprendolo alle manifestazioni immateriali della cultura, è stata segnalata da Sabino Cassese, che introdusse una definizione, quella di “attività culturale”, come specie del genere “bene culturale”. Nella legislazione, il concetto di attività culturale, aveva fatto il suo ingresso nel 1977: venivano menzionate anche le attività di prosa, musicali, e cinematografiche. Sono state via via incluse anche le tradizioni orali e, più in generale, ogni fenomeno culturale che non avesse una connotazione spiccatamente estetica (proverbi, canti, musiche popolari). È indubbia la carica fortemente innovativa di tale approdo, che liberava il bene culturale dagli impacci di un legame necessario con le cose. Col tempo la concezione di attività culturale si è completamente sciolta dal concetto di bene culturale: il “bene” è ciò che comprende il patrimonio artistico, monumentale, demo antropologico, archeologico, archivistico, librario. In altre parole, sono “beni” le memorie ereditate dal passato, la cui custodia resta affidata allo stato, che si impegna a riconoscerle, conservarle e proteggerle: in sintesi a tutelarle. Le “attività” è tutto quanto sia rivolto al futuro, perché diretto a diffondere le espressioni più avanzate della cultura e dell’arte: ossia quella cultura che lo stato dovrà farsi carico di promuovere e cioè sostenere. Esiste anche la differenza tra bene culturale riproducibile e non. Nel primo caso il proprietario dovrebbe consentirne la riproduzione per diffondere la conoscenza del bene d’interesse culturale. Nel secondo è preponderante l’esigenza della conservazione che solo lo Stato può assicurare. Il possesso del bene da parte dello Stato si lascia quindi preferire a quello dei privati, cui possono venire imposti vincoli o espropri. - La pubblicità (nel senso di bene pubblico) “Il bene culturale è pubblico non in quanto bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione”. Così, Massimo Giannini, ha scolpito un tratto essenziale della natura giuridica dei beni culturali. vi è un punto diffusamente condiviso: cioè che il bene culturale è per vocazione destinato alla generalità dei consociati, i quali devono poterne fruire senza ostacoli anche se quest’ultimo sia in mano a privati proprietari. L’uso collettivo dei beni culturali raggiunge la massima espansione qualora essi entrino a far parte del patrimonio dello stato o di altri soggetti pubblici. La proprietà privata sui beni culturali è anche detta “una disgrazia costituzionalmente sancita”. - Lo statuto dei beni dopo il Codice ma ciò provocò insurrezione nell’opinione pubblica e giunse la rettifica mantenendo il termine di 120 giorni ma senza trarne deduzioni sull’interesse culturale. - Segue: la dichiarazione di interesse culturale Al di fuori dell’elenco dei beni che risultano tali (Art.10), per tutti gli altri beni, il Codice prevede una dichiarazione (sull’eccezionale interesse culturale o particolare) che va notificata al proprietario, possessore, detentore, risolvendo l’avvio della procedura di tutela del bene culturale. Tale dichiarazione può essere anche formulata dalla regione per particolari categorie di beni non appartenenti allo stato (es: manoscritti, autografi, incisioni). La norma inquadrata dall’art. 14 del Codice, attribuisce al Ministero la competenza di emettere la dichiarazione di interesse culturale dei beni privati attraverso un procedimento che si può aprire d’ufficio, senza un istanza motivata dalla regione o ente territoriale. Dell’avvio del procedimento va data la comunicazione al proprietario e il bene viene sottoposto al controllo dell’amministrazione in via cautelare. Non è necessaria una ponderazione dell’interesse culturale con altri interessi, in conformità dell’art. 9 cost. Però è ammissibile a distanza di tempo una differente ipotesi sulla valutazione degli interessi culturali in gioco, dove il giudice ascolterà i mutamenti entrai in gioco. Il procedimento si chiude con la notifica di dichiarazione che può essere indirizzata al proprietario, possessore o detentore. Da questo momento ne scaturiscono limitazioni per la disposizione del bene, deriva che i titolari ricevano obblighi negativi e positivi di comportamento sui beni (uso compatibile con il loro valore storico artistico, denuncia al Ministero in caso di trasferimento, obbligo di farsi autorizzare un restauro, la demolizione, rimozione o smembramento anche di collezioni o raccolte, la visita da parte del pubblico). Poiché il nocciolo della tutela risiede nella protezione e conservazione il singolo e privato non può sottrarsi. In particolare, il codice specifica all’articolo 21, in relazione alle misure di protezione, che sono subordinate ad autorizzazione del Ministero: a) la rimozione e la demolizione delle cose costituenti beni culturali; b) lo spostamento dei beni culturali; c) lo smembramento di collezioni, serie e raccolte. Inoltre, al di fuori di questi casi, l’esecuzione di lavori o opere su beni culturali è subordinata all’autorizzazione del soprintendente. Riguardo poi le misure di conservazione del patrimonio culturale, esse sono assicurate mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione e manutenzione (art.29). Merita attenzione l’interesse rivolto al restauro “l’intervento diretto sul bene attraverso operazioni finalizzate all’integrità materiale e al recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali” (Nel caso di beni immobili in zone sismiche il restauro comprende l’intervento di miglioramento strutturale, art.29). La regolazione del restauro su iniziativa del proprietario è sottoposta ad una procedura semplificate che pone la figura del soprintendente al centro, che approva il progetto e si pronuncia in merito all’ammissibilità di contributi statali e certifica la necessità del restauro. Per prevenzione, poi, si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto Per manutenzione, il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità (art.29, commi 2-3) Il legislatore ha provveduto ad inserire l’art. 9 bis che abilita diverse figure professionali specializzate alla conduzione delle attività di tutela, valorizzazione, e fruizione dei beni con le derivanti responsabilità. Tra le misure di tutela ricordiamo gli artt. 88 ss. del Codice in relazione alle ricerche archeologiche e alle opere per il ritrovamento delle cose indicate nell’art.10, queste sono riservate al Ministero. Questo ha facoltà di ordinare l’occupazione temporanea degli immobili mentre il proprietario può richiedere un’indennità per l’occupazione. Il Ministero inoltre su richiesta può rilasciare al proprietario i beni ritrovati quando non interessano allo Stato e va sottolineato che tutte le cose indicate nell’art.10 appartengono allo stato (tranne la Sicilia) e a seconda se siano immobili o mobili appartengono al demanio o al patrimonio (art. 822 826 del codice civile). La ricerca archeologica spetta allo stato ma quella privata può avvenire solo su concessione. Sanzioni penali: arresto fino ad un anno e l’ammenda da euro 310-3099 a chi: esegue ricerche archeologiche o opere di ritrovamento di cose indicate nell’art. 10 senza concessione, e chiunque non denuncia le cose indicate nell’art.10 rinvenute fortuitamente. Inoltre chi si impossessi di beni culturali (art. 10) appartenenti allo Stato è punito con la reclusione fino a tre anni e con multa 31-516 euro “furto d’arte”. L’espropriazione= il codice ha fatto rientrare l’espropriazione nell’ambito della tutela. Secondo artt.95 ss. i beni culturali possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando questa risponda ad un interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica. La normativa in materia ha conservato la tradizionali tripartizione: - Espropriazione del bene già dichiarato di interesse culturale (art.95): il fine è di assicurare la miglior tutela e fruibilità pubblica del bene già dichiarato di interesse culturale, volontà di assicurare migliori condizioni di tutela, non è richiesta la previa approvazione di un progetto di intervento essendo sufficiente un atto di valutazione dell’utilità pubblica dell’esproprio del bene. - Espropriazione per fini strumentali (art.96): possono essere espropriate per causa di utilità pubblica aree ed edifici per isolare o restaurare monumenti, garantirne il decoro o il godimento del pubblico, facilitarne l’accesso. - Espropriazione per interesse archeologico (art.97): il fine può essere quello di eseguire ricerche archeologiche, l’oggetto è un immobile o un’area ancora non dichiarata di interesse culturale poiché questa richiede l’approvazione di un progetto come previsto dall’art. 98 comma 2 del Codice. - La valorizzazione Sul piano legislativo, la valorizzazione dei beni culturali è rimasta nettamente penalizzata rispetto all’attività di tutela (compiutamente regolata dal diritto). La “Valorizzazione” ha esordito nell’ordinamento dei beni culturali con l’art.1 del d.P.R. 1975 n.805 che affidava al Ministero il compito di provvedere alla tutela e alla valorizzazione dei beni senza però fare una netta distinzione semantica tra i due concetti, distinti sulla base di funzioni conservative: assenti nella valorizzazione e presenti nella tutela. Presto la valorizzazione venne individuata come l’incremento delle condizioni di godimento pubblico e fruizione, ma subentrava anche un altro aspetto della valorizzazione legata all’incremento della qualità economica del bene mediante maggiori entrate finanziarie le quali erano favorite da determinati orientamenti legislativi. Ciò risulta lontano dalla nozione di cultura fatta dalla Carta costituzionale, che non sancisce una valorizzazione finalizzata all’incremento economico, infatti la valorizzazione in un ordinamento democratico e pluralistico non può che essere circolare, infatti parte dalla fruizione e lì deve ritornare. Strategia gestionale destinata alla ricerca del profitto purché sia vincolato alla maggior offerta culturale e alla sua fruizione. Ma l’articolo 148 pone per la prima volta sullo stesso piano tutela e valorizzazione. Quest’ultima viene così definita: “ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali ed ambientali e ad incrementare la fruizione”. La valorizzazione dei beni veniva affidata alla cura dello Stato, regioni o enti locali, mediante forme di cooperazione strutturale e funzionale tra questi. In ogni regione a statuto ordinario si inseriva la previsione della commissione per i beni e le attività culturali. Si correva però il rischio di sovrapposizione delle funzioni, rischio di invasività della funzione di tutela rispetto a quella di gestione e valorizzazione. Questi tre aspetti vivono in un terreno semantico comune e per funzionare non devono concorrere ma coordinarsi per lo sviluppo culturale. Il riparto di competenza viene ancora innovato dal titolo V della Costituzione con l.cost. n3/2001, la quale costituzionalizza la valorizzazione, inserendola tra le materie i legislazione concorrente (art117, comma3). Il codice dei beni culturali, con gli artt. 148, 150, 152, 153 del d.lgs n. 122/1998 ha riqualificato la valorizzazione come l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliore condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura, comprendendo anche la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. La valorizzazione va infine attuata in forme compatibili con la tutela, tali da non pregiudicarne le esigenze. Detto ciò, però, va specificato che il codice pone in una posizione di chiara subordinazione la valorizzazione rispetto alla tutela. O, meglio, la tutela ha maggior importanza rispetto alla valorizzazione, qualora le due funzioni non riescano a convivere. Il codice, inoltre, legittima il concorso alla cooperazione privata alle funzioni pubbliche di valorizzazione (artt. 7 e 111 Cod.) in quanto attività socialmente utili e diretta espressione del dovere costituzionale di solidarietà sociale. Ma dopo le notifiche introdotte dai d.lgs n.156/2006 e n.62/2008 l’eventuale transizione ai privati di beni già appartenenti al patrimonio deve essere realizzata in modo da non compromettere la destinazione e la fruizione pubblica. La fruizione è configurata dal Codice come l’elemento finalistico della valorizzazione. A gestione= secondo le leggi Bottai, essa veniva identificata come ogni attività diretta a permettere la conservazione, l‘integrità e la sicurezza del bene. Alla fine degli anni 90, anche la gestione dei beni culturali veniva definita in modo nuovo dall’articolo 148 del d.lgs n112/1998, come “ogni attività diretta ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione”. Gestione: pari livello rispetto a tutela e valorizzazione, e anzi queste tre devono avere una funzione di mutuo coordinamento. Innovazione trasferimento della gestione di musei agli enti locali, che poteva avvenire solo previa attenta verifica e senza compromettere la fruizione pubblica e la conservazione. Il Ministero doveva garantire la sicurezza dei beni e la loro protezione mantenendo un livello di fruizione collettiva. Distinzione tra: - Gestione diretta: svolta per mezzo di strutture organizzate interne alle amministrazioni, dotate di autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria, e provvista di personale tecnico idoneo. - Gestione indiretta: dopo riforma 2006, allargata agli enti pubblici territoriali, attuata tramite concessione a soggetti terzi delle attività di valorizzazione, mediante procedure sulla base di specifici progetti. La riforma del 2006 ha permesso ai privati di entrare nella pianificazione strategica dello sviluppo culturale e nella concreta gestione delle attività. - La sponsorizzazione culturale La legge numero 512 del 1982, ha incoraggiato l’uso della sponsorizzazione, introducendo erogazioni in denaro a favore dello stato o di altre istituzioni pubbliche o private, effettuate per l’acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate nell’articolo 1 della legge del 1939, nonché allo scopo di organizzare esposizioni o mostre. In Italia nella seconda metà degli anni ’80 gli sponsors privati avevano versato fino a 300 miliardi di lire l’anno destinati a opere di restauro. Il fenomeno della sponsorizzazione trova radici nella Costituzioni, accanto al principio pluralista che esclude il monopolio pubblico di arte e scienza, si può citare il valore della solidarietà sociale (artt. 2, 3, 4) che funzionalizza i comportamenti individuati per il perseguimento di obiettivi d’interesse collettivo. Non bisogna però affidarsi totalmente all’apporto dei privati, infatti tramite le loro scelte culturali verrebbero premiate le iniziative culturali più visibili o meglio note al pubblico o che assicurano un miglior ritorno d’immagine, sicchè va esclusa qualsiasi forma di sponsorizzazione totale. Erano imposti precisi vincoli e controlli per cittadinanza europea prevedeva un sentire europeo che non può essere astratto dai beni culturali che rappresentano la testimonianza di una memoria comune. Oggi l’Unione si prefigge il rispetto per la ricchezza della diversità culturale e linguistica e si impegna a vigilare sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo. La cultura è considerata oggetto specifico di azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione egli stati membri. Mentre la necessità di valorizzare, senza reprimere, le diversità, è ribadita dalla Carta di Nizza. Il Trattato di Lisbona, invece, prevede il miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei rispetto anche alle loro diversità nazionali e regionali; conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale d’importanza europea; scambi culturali non commerciali; creazione artistica e letteraria, evidenziando allo stesso tempo il retaggio culturale comunecon la nozione “patrimonio culturale d’importanza europea”. Formula che però non contrappone l’identità culturale europea con quella dei singoli stati membri, rappresenta un tentativo di superare l’idea di patrimonio culturale di esclusivo interesse nazionale. Il principio fondamentale cui mi sembra ancora oggi volersi ispirare l’azione dell’UE in materia culturale, resta comunque quello di sussidiarietà. Esso si concretizza attraverso politica di sostegno, integrazione e contributi alle politiche culturali nazionali. Altro scopo dell’Unione è stato quello di impedire l’esportazione di beni culturali in paesi esterni e di arginarne il traffico illecito anche all’interno della stessa Unione, pertanto si attribuisce una tutela speciale a determinate categorie di beni culturali (un procedimento di restituzione), le quali si aggiungono alla legislazione nazionale. L’esportazione di beni culturali, al di fuori del territorio della comunità, può avvenire con la presenza di una licenza di esportazione che è rilasciata dallo stato membro del territorio in cui si trova; lo stato a cui venga sottratto illecitamente un bene può rivolgersi agli organi giurisdizionali dello stato in cui questo è stato trasferito, per ottenerne la restituzione (da notare come il Codice ha ripreso queste disposizione nell’art. 75); tale disposizione nel corso degli anni si è rivelata però inadeguata, così il parlamento e il consiglio europeo hanno adottato la direttiva n.60/2014, con la quale si è in parte riscritta la disciplina per la restituzione dei beni. Vi sono poi convenzioni internazionali volte a rafforzare la protezione dei beni culturali, tra cui: la Convenzione per la protezione dei beni in caso di conflitto armato sottoscritto all’Aja nel 1954 presupposto che i danni arrecati ai beni culturali di e da qualsiasi popolo costituiscano un danno per il patrimonio culturale dell’umanità intera. La convenzione vieta quindi innanzitutto il “diritto di preda”, proibisce qualsiasi atto di furto, saccheggio o sottrazione di beni culturali ai danni dei Paesi nemici (il cosiddetto bottino di guerra) Prevede anche la sottoposizione a protezione speciale di beni culturali mobili, monumenti e beni immobili e obbliga la potenza occupante a collaborare con le autorità del luogo per salvaguardare i beni nel territorio occupato. Successivamente ai conflitti nati Dopo 1989, caduta del muro, riemerge questione di tutela internazionale dei beni; soprattutto si ricordino maggiori danni successivi ai conflitti balcanici, nella città di Dubrovnik, dove furono distrutti molti edifici del centro storico, nonostante fossero sotto la protezione della convenzione dell’Aja. (La convenzione dell’Aja va integrata oggi con i successivi protocolli). La tutela internazionale dei beni culturali ha conseguito nuovi traguardi con la convenzione Unesco del 1972, dove si afferma il principio che tutti i popoli del mondo sono interessati alla conservazione di beni culturali avendone in comune i valori di civiltà. La definizione di patrimonio culturale è molto ampia e comprende monumenti, agglomerati, siti: il connotato comune deve comunque essere l’eccezionalità del valore dal punto di vista storico, estetico, etnologico o antropologico. Inoltre, la convenzione Unesco, prevede l’istituzione di un comitato intergovernativo per la protezione del patrimonio mondiale, composto da 21 stati membri. Compito del comitato è definire ed aggiornare un elenco di beni culturali reputati di valore eccezionale e perciò meritevoli di particolare tutela al fine di assicurarne la conservazione per le generazioni future, questo va sotto il nome di: the World Heritage List (WHL). Oggi inoltre vi è la consapevolezza che gli attentati ai beni culturali non provengono solo da vicende belliche ma possono assumere anche connotazione di strumento di conflitto religioso, citiamo la “Dichiarazione sulla distruzione internazionale del patrimonio culturale” adottata dall’Unesco nel 2003 a tutela del patrimonio distrutto intenzionalmente per motivi politico-religiosi; ciò in seguito alla distribuzione dei Buddha di Bamiyan in Afghanistan. Infatti con la crescita delle forme di tutela proliferano anche là devastazioni del patrimonio mondiale, ne sono esempi il Mali 2012 con la distruzione dei mausolei islamici, Aleppo sfigurata nel 2014 dalla guerra civile oppure alla distruzione in Siria e Iraq operati dall’Isis (c.d. Stato Islamico), come la distruzione del sito archeologico assiro di Hatra, dei resti della città di Nimrud e alle statue del museo di Mosul. L’isis non solo distrugge ma mercifica il patrimonio culturale per finanziare la guerra. Significativa di un nuovo approccio della comunità internazionale nei confronti della cultura, è anche la Convenzione Unesco riguardante la protezione e la promozione delle diversità culturali, ratificata il 31 gennaio 2007: l’obiettivo è il consolidamento di tutti i segmenti della catena creativa culturale (creazione, produzione, diffusione e fruizione dei beni) con particolare riguardo ai paesi in via di sviluppo e richiamata dall’art. 7 bis del codice. A livello internazionale, molto importante è anche la Convenzione Unidroit del 1995, che distingue fra restituzione dei beni culturali rubati e il loro ritorno, in caso di esportazione illecita. Qualche dubbio sulla sua reale incidenza dato che i paesi sottoscrittori sono pochi e poco rilevanti sul mercato internazionale. A livello di disciplina sovranazionale dei beni culturali, una tappa significativa, è la Convenzione quadro di Faro del 2005; lo scopo della Convenzione, è costruire una società pacifica, democratica, sostenibile e rispettosa delle diversità: il patrimonio culturale viene così a rappresentare il mezzo per perseguire la salvaguardia della dignità umana. Il governo dei beni culturali - Le competenze dello Stato Il primo organico riparto di competenze fra Stato e enti locali è quello prospettato dal decreto legislativo n.112 del 1998 che riservava allo Stato, a norma dell’articolo 149 Comma 1, funzioni e compiti di TUTELA dei beni. La valorizzazione dei beni culturali veniva invece affidata, art. 152 d.lgs n.112/1998 alla cura dello Stato insieme alle regioni e agli enti locali. La gestione era ripartita tra Stato ed enti autonomi territoriali (art. 150). Questo quadro venne rinnovato dalla riforma del titolo V della Costituzione, l.cost. n.3/2001: -A norma del nuovo art. cost. 117 la tutela resta compresa fra le competenze legislative di carattere esclusivo -la valorizzazione dei beni è affidata alla potestà concorrente Stato-regioni + così come promozione e organizzazione delle attività culturali Ciò va inquadrato alla luce del titolo V che ha ribaltato i criteri di riparto delle competenze fra Stato e regioni in materia legislativa in relazione alle funzioni amministrative.???????????? Il Codice dei beni culturale nell’art. 1, Comma 3, dispone che tuti gli enti territoriali << assicurano e sostengono>> la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e valorizzazione; così come è disposto per i pubblici possessori di beni, art. 1, Comma 4. Novità assoluta, inserita nel nuovo codice, è poi la previsione che anche i privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici, sono tenuti a garantirne la conservazione. Il codice reintroduce il parallelismo tra funzioni legislative e amministrative in materi di tutela dei beni culturali e pone, quindi, in una posizione di centralità il Ministero stesso, anziché lo Stato, per l’eventuale conferimento dell’esercizio alle regioni. - Le competenze di regioni, province e comuni Il decreto legislativo n.112 del 1998, ha disposto che le regioni, le province e i comuni concorrono all’attività di conservazione dei beni culturali (art.149, Comma 2). Inoltre possono formulare proposte di interesse storico artistico, di vigilanza, di espropriazione dei beni mobili e immobili; cooperano nella definizione delle metodologie comuni per l’attività di catalogazione e tecnico scientifica di restauro (art.149, Comma 4). In merito alla valorizzazione, questa veniva affidata allo Stato, regioni ed enti locali nel proprio ambito, mediante cooperazione (art.152, Comma 1). Ruolo importante della commissione dei beni e le attività culturali istituita da ogni regione a statuto ordinario, questa privilegia l’apertura a contributi delle categorie produttive e del clero nuova sfera culturale, formulava una proposta di piano pluriennale e annuale di valorizzazione. In definitiva, quello che emerge è un modello di stretta relazione cooperativa e di leale collaborazione tra centro e periferia. Infatti alla luce della l.cost n.3/2001, mentre la tutela rimane fra le potestà dello stato (insieme a promozione e organizzazione di attività culturali), la valorizzazione dei beni culturali è inserita fra le materie a potestà legislativa concorrente, riconoscendo allo stato soltanto il compito di stabilirne i principi fondamentali. Ma si è riconosciuta la legittimità dell’intervento statale in materia di valorizzazione quando si tratta di beni di cui l’amministrazione centrale abbia la titolarità. Il codice dei beni culturali, approvato con decreto legislativo il 22 gennaio 2004, dopo aver imputato all’art. 4, le funzioni di tutela allo Stato a “fini di garanzia dell’esercizio unitario”, chiama le regione, i comuni, le città metropolitane e le province a cooperare (articolo 5), con il Ministero nell’esercizio delle funzioni di tutela. Le regioni possono esercitare funzioni di tutela su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole e materiale audiovisivo non appartenenti allo Stato. In sostanza, viene descritto dal codice in materia di tutela un rapporto stato/enti locali, che trova questi ultimi in una posizione essenzialmente ausiliaria con la possibilità però di stringere accordi e intese o forme di coordinamento con enti in grado di assolvere alla tutela. In materia di valorizzazione, non manca di invocare il principio cooperativo fra stato, regioni, ed enti locali: l’art.7 afferma che il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, perseguono il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività i valorizzazione dei beni pubblici; mentre l’art.12 stabilisce che lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione. - L’amministrazione dei beni culturali, il ministero per i beni e le attività culturali Il decreto legislativo n.368 della l.59/1997, ha istituito il nuovo ministero per i beni e le attività culturali, che provvede alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, e alla promozione delle attività culturali. Esercita anche attività di studio, ricerca, innovazione, formazione, diffusione dell’arte all’estero. Funzioni amministrative per la promozione di attività culturali. Approva il programma triennale degli interventi nel settore dei beni culturali. Il ruolo che veniva designato per il nuovo ministero era quello di un’amministrazione attiva con un carattere operativo assai dinamico. Vi si trasferivano anche le funzioni, strutture e risorse legate al diritto d’autore, proprietà letteraria e promozione attività culturali. Le strutture centrali  il MiBACT: ministro per i beni le attività culturali, è organo di direzione politico- amministrativa del Ministero che determina indirizzi, obiettivi, programmi e verifica i risultati conseguiti. In più esistono organi di consulenza per il Ministero: consiglio superiore, i comitati tecnico-scientifici, comitati regionali di coordinamento. Il Consiglio Superiore: ha durata triennale ed è composto da 7 presidenti dei comitati tecnico scientifici e da 8 eminenti personalità del mondo della cultura nominate dal ministro. È un organismo a favore di una funzione essenzialmente ausiliaria del ministero. Il Ministro nomina il presidente del Consiglio tra gli esperti ed il consiglio elegge a maggioranza tra i vari componenti il vice presidente e adotta un regolamento interno. Formula pareri obbligatori si programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici, sui relativi piani di spesa e sugli accordi internazionali. Il Segretario Generale operante alle dirette dipendenze del ministro, era chiamato ad assicurare il - Le leggi di finanziamento La riflessione sul trattamento giuridico, non può prescindere da un esame delle norme promozionali di specifici settori della cultura. Vanno ricordate leggi di sostegno delle arti figurative, teatrali, musicali. Si ricordi, per le arti figurative, la legge 29 luglio 1949, secondo la quale le amministrazioni dello stato e tutti gli altri enti che provvedono all’esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici, devono destinare all’abbellimento di essi mediante opere d’arte, una quota non inferiore al 2% della spesa totale. Il ruolo svolto in passato dall’ETI (ente teatrale italiano), retto dalla legge 14 dicembre 1978, aveva lo scopo di contribuire alla valorizzazione e diffusione della cultura e delle attività teatrali, musicali e di danza (soppresso nel 2010). La cinematografia inoltre disponeva incentivazioni consistenti. Va poi menzionata, all’interno del decreto legislativo n.28 del 2004, la Consulta territoriale per le attività cinematografiche. Essa elabora l’individuazione di aree geografiche per la realizzazione delle opere; l’individuazione di aree privilegiate di investimento relativamente alle industrie tecniche; l’individuazione degli obiettivi per la promozione di attività cinematografiche esterne al ciclo propriamente imprenditoriale (iniziative, manifestazioni, progetti, premi etc.) - Il d.lgs. 31 marco 1998, n.112 L’apice dell’attenzione del legislatore per le attività culturali si raggiunge con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, dove si tentava di dare per la prima volta una sistemazione organica delle attività culturali, sia dal punto di vista definitorio, che a livello di dinamiche funzionali, come pure nell’assetto delle competenze. Tutto questo avveniva marcando a chiare lettere la dualità fra beni e attività, nonostante l’eliminazione del riferimento alla materialità del bene sembrasse condurre, a prima vista, ad una assimilazione dei due modelli. Invece, si sottolineava la distinzione tra beni (ciò che componeva il patrimonio storico, artistico, monumentale, archeologico etc.) e attività (rivolta a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte). Da una parte si rappresentava la tutela, avente per oggetto beni la cui consistenza materiale non appariva però più obbligata, sostanziandosi in ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali; dall’altra la promozione, avente di mira il sostegno alle attività culturali in via di formazione. Nel momento in cui il bene culturale è riconosciuto come tale, esso sarà oggetto delle funzioni di tutela, gestione e valorizzazione; ma, finché il bene non è venuto in essere, il sostegno alle attività non può che essere di tipo promozionale. Quello designato dal decreto legislativo, è un modello spiccatamente cooperativo, in cui lo Stato e gli altri enti territoriali si impegnano a suscitare e sostenere le energie intellettuali in via di formazione. Questo decreto tracciava in sostanza una prospettiva originale rispetto al passato, e ciò sia dal punto di vista della tipologia dei beni interessati, sia per il coordinamento delle funzioni, e anche per le innovazioni prodotte in merito alla armonizzazione delle competenze fra i vari enti territoriali: in tal modo aprendo prospettive assai interessanti per la promozione delle attività. - Il governo delle attività culturali La nozione di attività culturale, ritorna nella legislazione successiva, in maniera spesso incerta. Si innesta un processo di riforma dell’apparato organizzativo ministeriale. Il Ministero, oltre alla tutela, gestione e valorizzazione, deve operare per la più ampia promozione delle attività culturali garantendone il pluralismo e lo sviluppo in relazione alle diverse aree territoriali e i diversi settori. Il ministero infatti esercita le funzioni amministrative statali in materia di promozione delle attività culturali facendo riferimento alle: attività teatrali, musicali, cinematografiche, forme di spettacolo come circo, fotografia, arti plastiche e figurative… Queste sono tutte finalità normative la cui realizzazione resta da verificare. - La riforma del titolo V Il riparto delle competenze fra i vari livelli territoriali in materia culturale compie un salto significativo nel 2001. Con la riforma del titolo V della Costituzione, mentre la tutela resta ricompresa fra le competenze legislative di carattere esclusivo dello Stato, la promozione, cui la riforma associa l’organizzazione delle attività culturali, è affidata alla potestà concorrente Stato-Regioni. Ciò conferma la vocazione alla specialità della materia culturale. L’articolo 118 della Costituzione scioglie il parallelismo tra funzioni legislative e amministrative, affida le funzioni amministrative ai Comuni, (salvo che per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni, Stato), in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Il Titolo V però non ridefinisce le funzioni di promozione e le attività culturali. Non sono presenti riferimenti espliciti alla categoria dell’interesse nazionale e sono esclusi gli apparati centrali da qualsiasi ruolo di tipo amministrativo. Ebbene, se la promozione delle attività è fatta anche di ausili finanziari, predisposizione di strutture, equilibrato sviluppo tra le diverse aree territoriali, e questo conduce a sperequazioni fra le varie realtà locali, non può essere escluso un coinvolgimento dello Stato, costituzionalmente chiamato a garantire livelli paritari nell’accesso alle risorse pubbliche come affermazione del principio di uguaglianza sostanziale. In conclusione possiamo dire che tutti i progetti di riforma della materia culturale mirano a un target forte comune: efficienza, razionalizzazione delle risorse e integrazione fra i livelli di governo nel campo del coordinamento e della cooperazione. Ma gli esiti di questa scommessa appaiono tuttavia imprevedibili, non soltanto per le ricorrenti prospettive di revisione, ma anche per le difficoltà di delineare una strategia limpida delle politiche culturali. - Le attività culturali dopo il Codice dei beni culturali Dopo la riforma del titolo V si proponeva un aggiornamento degli strumenti legislativi del settore culturale. Governo delegato entro 18 mesi di adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni legislative in materia: beni culturali e ambientali, cinematografia, teatro, musica, spettacoli dal vivo, proprietà letteraria e diritto d’autore. Non vi era spazio nel nuovo Codice (strutturato sulla materialità del bene) per una disciplina delle attività culturali, le quali non risultano all’interno delle tipologie di beni descritte. Deriva la necessità teorica di differenziare ontologicamente beni e attività. Successivamente è stato forte l’intervento della Corte Costituzionale nell’opera di riqualificazione delle attività culturale. - Il diritto comunitario La promozione delle attività culturali, ha trovato grande risalto a livello comunitario, accompagnando negli ultimi decenni lo sviluppo dell’Unione europea. Il trattato dell’unione europea ha ricompreso fra gli obiettivi dell’azione comunitaria, un contributo rivolto a un’istruzione e a una formazione di qualità, e al pieno sviluppo delle culture degli stati membri.Per il perseguimento di questi fini è stato assunto come principio basilare, il rispetto del pluralismo culturale, dunque delle differenti tradizioni dei paesi aderenti, secondo un assunto che veniva chiaramente ribadito anche dalla stessa carta dei diritti dell’unione europea, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000, che oggi ha acquisito il medesimo valore giuridico dei trattati. L’azione dell’unione è quello della sussidiarietà, che si concretizza in politiche di sostegno, integrazione e contributi alle politiche culturali nazionali. L’azione della comunità è incoraggiare la cooperazione degli stati membri, secondo l’art. 167 del trattato sul Funzionamento dell’U.E. il trattato prevede un’azione della Comunità nei seguenti settori: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale d’importanza europea; scambi culturali non commerciali; creazione artistica e letteraria. A partire dagli anni 90, l’Unione europea si è impegnata nel sostegno di programmi culturali di più ampio respiro. Alcuni esempi: 1. Programma Caleidoscopio, adottato nel 1996 con lo scopo di incoraggiare la creazione artistica e promuovere la conoscenza e la diffusione della cultura dei popoli europei; 2. Programma Arianna, istituito nel 1997 col fine di migliorare la cooperazione tra stati membri nel settore della lettura e promuovere una conoscenza più ampia delle opere letterarie e della storia dei popoli europei; 3. Programma Raffaello, nato nel 1997, che intendeva incoraggiare la cooperazione transnazionale tra gli stati membri nel settore dei beni culturali a dimensione europea; Queste iniziative sono poi confluite nel “Programma Cultura 2000”, teso a favorire la promozione e la diffusione della cultura e della mobilità dei creatori. Il programma cultura 2000 è stato poi sostituito dal “Programma Cultura 2007” avente validità per il periodo 2007/2013, che intendeva semplificare e rendere più trasparenti le procedure di informazione relativa alla concessione di aiuti finanziari, identificando vari tipi di azioni culturali che ne potevano usufruire. Quest’ultimo è stato poi sostituito dal programma Europa Creativa 2014/2020 programma di 1.46 miliardi destinato a rafforzare il settore culturale e creativo e composto da due sottoprogrammi Cultura e Media. Obiettivi: proteggere, sviluppare e promuovere la diversità culturale, linguistica europea e il suo patrimonio per promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; sostenere la capacita di operare e la circolazione a livello transnazionale e internazionale di opere culturali, artisti. In una fase di crisi economica, esso si segnala per il consistente sostegno ai settori culturali e creativi. In conclusione, promozione e tutela viaggiano a livello comunitario su una medesima traiettoria, indirizzandosi entrambe nel senso della integrazione fra pluralità di culture. Capitolo 8 – Il paesaggio Secondo l’articolo 9, comma 2, della Costituzione, “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. La nozione di “paesaggio” coinciderebbe con quella di “bellezze naturali”: la nozione di paesaggio viene quindi fatta ricomprendere all’interno dei quadri naturali espressi dai valori paesistici, mentre non ricadrebbe all’interno della disciplina costituzionale la fauna, la flora e tutto quanto prescinde dalla natura in quanto tale. A questa prima interpretazione è stata contrapposta una differente teorizzazione, in cui la locuzione “paesaggio” viene imputata a un processo creativo che interessa l’uomo non meno che la natura, nel senso di una incessante correlazione fra comunità e ambiente che la circonda. È il paesaggio come “forma del paese” e dunque concernente città e campagne, ambiente visibile e non visibile, e ogni insediamento naturale dove l’operato umano lasci segni tangibili della propria storia. Quest’ultima concezione ha permesso di superare definitivamente la dicotomia fra “bello” prodotto dall’uomo e “bellezza” della natura. Ne derivava che le cose d’arte si caratterizzavano per rarità e pregio, i beni paesaggistici per la loro non comune bellezza ed entrambe venivano considerate statiche senza il loro inserimento nella società civile, ciò deriva dalle due leggi Bottai 1939, che per molto anni hanno assicurato la protezione del patrimonio paesaggistico e storico artistico italiano. - Il paesaggio nella evoluzione legislativa e giurisprudenziale Agli inizi degli anni 70, il giudice delle leggi è ancora ancorato a una concezione estetica del paesaggio: nella sentenza del 24 luglio 1972, la corte sancisce un regime di separazione fra urbanistica e paesaggio, congiungendo saldamente quest’ultimo alla tradizionale nozione di bellezze naturali; ancora più esplicitamente, nel 1982, la tutela del paesaggio è intesa come protezione di un valore estetico culturale relativo alle bellezze paesistiche. La svolta avviene nel 1985 con l’entrata in vigore della legge 8 agosto 1985: la legge Galasso: “la nozione di paesaggio deve ora ritenersi comprensiva di ogni elemento” naturale e umano attinente alla forma esteriore del territorio”. La legge Galasso disegna una regolazione improntata a integralità e globalità, in funzione di un modello operativo non più conservativo e statico, ma gestionale e dinamico. - Il paesaggio dopo la riforma del titolo V della Costituzione. La centralità del patrimonio culturale La Convenzione europea del paesaggio, alla quale il codice dei beni culturali e del paesaggio si è ampiamente ispirato, parla espressamente di “gestione di paesaggi”, cioè di “azioni volte a garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di esteticamente connotato. Benché la nozione di città d’arte sia il più delle volte collegata a siti di antica costruzione, non esistono ragioni di principio che respingono dalla categoria anche le città moderne. Infine la città d’arte non deve essere confusa con la città museo, ricca di testimonianze artistiche ma priva della propria eredità di relazioni e costumi, si finirebbe per definire città d’arte anche i siti archeologici (ES: Pompei). Qualsiasi intervento di tutela deve rispettarne l’identità sociale. - Prospettive di tutela L’ingresso della città d’arte nel mondo del diritto, implica l’esistenza di un trattamento normativo tagliato su misura per le esigenze di taluni insediamenti urbani. A tale riguardo, ricordiamo la sentenza n. 151 del 1986, decreto Galasso: “preservare l’intera città d’arte e non i singoli quartieri o monumenti” in sintonia con il prevalente valore estetico – culturale, derivante dall’articolo 9. Non a caso la legislazione successiva ha formulato un’interpretazione costante del valore estetico-culturale: prioritario e preminente connesso alla tutela del patrimonio nazionale che è compito della Repubblica. L’attenzione dedicata alla città d’arte è sintomo della maggior sensibilità ai valori artistici e ambientali. Pertanto la normativa sulla tutela deve agire su due fronti: regolamentazione del traffico stradale, dell’edilizia, degli esercizi commerciali, del turismo + restauro e valorizzazione. Riconoscere dignità giuridica alla città d’arte significa estendere i principi espressi dal tribunale costituzionale, quindi assicurare la preminenza del valore estetico. Il valore estetico-culturale, benché primario, spesso non è in grado di resistere alla pressione di interessi quali la salute dei cittadini, la difesa della città, l’incolumità degli abitanti. Non vi è dubbio che il valore estetico culturale costituisca l’anello debole del rapporto quando è minacciata l’identità della nazione. Sono possibili alcune precauzioni come quella di proclamare città aperte tutte le città d’arte. Spetta allo stato varare una normativa di principio che provveda a stilare un elenco di centri abitati da considerare città d’arte. All’ente regionale potrebbe riconoscersi il potere di proposta di emanare una disciplina di dettaglio. Capitolo 10 – I musei - Per una definizione giuridica del museo Museo: il riferimento principale va all’articolo 101 del codice dei beni culturali che intende per museo una “struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”. Prima del codice, una nozione di museo poteva reperirsi in alcune leggi regionali. Ad esempio quella del 1997, definisce i musei “poli di documentazione, valorizzazione e di salvaguardia del patrimonio culturale e scientifico, assicurando la fruizione pubblica dei materiali, contribuendo allo sviluppo della ricerca, attraverso: a) individuazione, acquisizione, conservazione, ordinamento, catalogazione, valorizzazione dei beni culturali e ambientali; b) attività di documentazione e ricerca; c) promozione; d) musealizzazione di aree culturalmente rilevanti. Più indietro ancora, nel 1988: “i musei sono istituzioni che raccolgono, conservano, ed espongono materiale di interesse storico, artistico e naturalistico”, definizione senza dubbio più sintetica ma più angusta. La normativa del Codice ha ampliato la precedente concezione statica del bene museale, legata solo all’attività di custodia e conservazione. Tale infatti è ancora l’accezione presente nei dizionari di lingua italiana le cui varie definizioni di museo corrispondono a quella che s’affermò in Italia durante il Rinascimento: museo come raccolta di antichità e curiosità, ciò finisce per contraddirsi con la sua radice etimologica che deriva da museum e mouseioncentro in cui gli uomini dell’antichità si dedicavano alla cura delle proprie attività culturali. Così l’art. 822 c.c. distingue per esempio i musei dalle biblioteche, archivi, pinacoteche. Sembra così che il termine museo indichi le raccolte miste, non caratterizzate dall’omogeneità dei beni che vi sono inclusi. Con il nuovo Codice vediamo confermato il carattere di istituto culturale dei musei, centri deputati non solo alla custodia dei beni ma anche alla promozione a tutto tondo della cultura. Vediamo come, con il tempo, la nozione di museo inizialmente del tutto statica, è stata ampliata e non solo legata alle attività di custodia e di conservazione. Il termine museo individua, quindi, le raccolte miste, quelle non caratterizzate dall’omogeneità dei beni che vi sono inclusi. La nozione di museo come struttura permanente, è ispirata alla definizione dell’ICOM (International Council of Museum) museo: “istituzione permanente senza scopo di lucro, aperta al pubblico, al servizio della società e del suo sviluppo che compie ricerche, acquisisce, conserva, comunica ed espone le testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente a fini di studio, educazione e diletto”. - La tipologia e il regime delle appartenenze Tipologia dei musei: può misurarsi in relazione alle caratteristiche delle cose esposte e al regime delle appartenenze. Va osservato come l’incremento di strutture aperte al pubblico è quasi raddoppiato tra gli anni ’60 e ’80 e ha determinato di riflesso un costate arricchimento museale. Ma la migliore garanzia per la differenziazione dell’offerta rimane sempre il pluralismo dei soggetti titolari di musei, più che la cifra di strutture aperte al pubblico. (Si nota una costante crescita dei poli museali aperti al pubblico, anche nel Mezzogiorno con però alcune discrepanze negli standard qualitativi.) La presenza simultanea di pubblici e privati favorisce quindi la distribuzione dell’offerta pubblica presso tutti i livelli di governo. Successiva riforma del titolo V fa rientrare tra la materia legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Ne rientra nell’attuale dibattito circa la definizione dei termini tutela e valorizzazione e delle rispettive competenze statali e regionali. Per quanto riguarda i beni museali appartenenti a enti diversi dallo Stato dopo la la legge 22 settembre 1960, esistono 4 classi di musei in base all’importanza delle loro collezioni ed in rapporto all’organizzazione artistica, scientifica e culturale rispetto all’interesse nazionale: multipli, grandi, medi e minori. All’indomani del varo del d.lgs. n.112 del 1998, è stato attuato il trasferimento di molte funzioni amministrative alle regioni, tra cui quelle riguardanti la valorizzazione, la fruizione è la gestione dei beni culturali. In realtà esso appartiene tradizionalmente alla competenza regionale già dal 1972. Sempre nella prospettiva del decentramento può essere inquadrato l’istituzione delle soprintendenze regionali 2000. Nel 2014 in base al nuovo regolamenti di organizzazione del Ministero, queste restano organi periferici del Ministero e dipendono dalla Direzione generale. Svolgono le funzioni elencate dagli artt. 33 e 36, tra le quali spiccano quella della soprintendenza Archeologica e dei Beni arti e paesaggio di istruire e proporre la dichiarazione di interesse culturale e quella della Soprintendenza archivistica di accertare, dichiarare l’interesse storico particolare di archivi singoli o documenti appartenenti a privati. Tutte competenze che in passato spettavano al Ministro. Le garanzie di sicurezza Riguardo alla sua specifica natura di detentore di beni culturali il Ruolo del museo è di: conservare / valorizzare. Per conservare, in seguito ai furti d’arte e al terrorismo culturale, è necessario potenziare gli organi delle istituzioni museali. A tal proposito, nel con la l. 14 1993 n.4, vennero prese le prime misure normative per assicurare una più intensa sorveglianza, per esempio: controllo delle opere ininterrotto, assegnazione temporanea negli istituti museali di unità dipendenti da altro ufficio, presso il quale il personale è in esubero, volontari a integrare il personale fisso etc. Nel 1999, con l’articolo 733 viene contemplato il reato di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale. Ma già nel 97 con la l.8 n.352 conteneva disposizioni sul danneggiamento, specialmente per ostacolare il fenomeno dei graffiti. Ora il codice dedica tutta la sua parte IV alle sanzioni a difesa die beni culturali. - I diritti del pubblico di visitatori del museo Affinché l’esposizione di beni conservati nel museo si risolva in effettiva promozione culturale è necessario assicurare un soggiorno gradevole e informato al pubblico. Per questo l’intervento dei pubblici poteri non può risolversi con la semplice gestione del patrimonio ereditato, tale intervento deve offrire impulso alla creazione e alla distribuzione dei fatti culturali (in relazione all’art. 9). Il godimento collettivo dei beni museali dà luogo a un insieme di diritti culturali: a) diritto di accesso ai locali e alle opere esposte nel museo. Ricordiamo però che in Italia, nel corso del 1992, ad esempio, su 100 musei, ben 28 sono rimasti chiusi. Ciò vale specialmente per i musei dello Stato ma anche nel caso di quelli privati poiché restano preclusi alla fruizione del visitatore e si possono lamentare per la negligenza dell’amministrazione pubblica. Per ovviare a questo problema, possono ottenersi dei risparmi, accorpando le sedi museali, a meno che esse stesse non costituiscano beni immobili di valore. In più, va detto che l’obbligo di consentire la fruizione pubblica del bene, non comporta necessariamente l’accesso gratuito per tutti: nel caso di accesso a pagamento, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici determinano: a) i casi di libero accesso; b) i criteri per la determinazione del prezzo; c) le modalità di emissioni, distribuzione e vendita del biglietto. I proventi derivanti dalla vendita del biglietto agli istituti dello stato, sono destinati alla realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi; mentre quelli derivanti dalla vendita dei biglietti ad altri soggetti pubblici, sono destinati alla valorizzazione del patrimonio culturale. b) diritto all’informazione e allo studio dei beni esposti. Nel rapporto sull’economia della cultura 1980-90 i pezzi giacenti nei depositi sono stati stimati in 40 milioni. Ma i beni messi in mostra nelle sale espositive devono essere dotati di apparati didascalici e il pubblico deve poter fruire di visite guidate o di altri strumenti informativi. Già nel 1913 art.5 del r.d. n 363 prescriveva che: ogni oggetto di arte recherà l’indicazione del luogo di provenienza, soggetto rappresentato, scuola e del secolo a cui appartiene, dell’autore più quant’altro giovi alla sommaria illustrazione storica. Il diritto all’informazione del visitatore è rafforzato dal Codice. Rientrano tra i servizi aggiuntivi: a) il servizio editoriale e di vendita di cataloghi e materiale informativo e riproduzione dei beni, b) i servizi riguardanti i beni librari e archivistici, c) raccolte discografiche, diapoteche e biblioteche museali, d) gestione dei punti vendita e l’utilizzazione museale delle riproduzioni dei beni, e) servizi di accoglienza e per l’assistenza e di intrattenimento per l’infanzia, f) caffetteria, ristorazione e guardaroba, g) organizzazione di mostre e manifestazioni culturali. Inoltre secondo l’art. 19 del Codice il Ministero può stipulare convenzioni con scuole al fine di favorire la fruizione del patrimonio da parte degli studenti, ma comunque l’Italia p ben lontana dagli standard degli altri paesi c) diritto a fruire di un soggiorno confortevole nei locali museali, godendo di spazi e allestimenti per il riposo e le attività di ricreazione, rendendo la visita al museo non solo un’occasione di arricchimento culturale ma anche di svago. (art. 17: caffetteria, ristorazione e guardaroba; vendita di beni correlati all’informazione museale, che erano stati già introdotti nella l. n. 4/1993). Inoltre il Ministero aveva formato un gruppo di lavoro affidatario della elaborazione dei criteri tecnico-scientifici e standard per i musei. Atto ministeriale in cui sono previste le norme tecniche relative allo status giuridico delle istituzioni museali, individuazioni risorse economiche, creazione di strutture funzionali alla promozione di politiche educative, modalità per la selezione di personale qualificato, conservazione beni esposti e la garanzia della adeguatezza dei livelli dei servizi offerti. - Il governo dei musei In Italia manca una chiara scelta che stabilisca la forma di governo del museo, tanto che la stessa legislazione regionale propone moduli di gestione collegiali, ma la più frequente è quella monocratica incentrata sul ruolo del direttore. Infatti è il direttore l’autentico “dominus” della sede museale, il caso opposto è molto raro, specialmente nei musei statali. Art. 150 d.lgs 112/1998 in modo indiretto attribuiva a regioni, province e comuni funzioni di valorizzazione, fruizione e gestione dei beni città come Roma, Siena Torino e Ravenna si sono mobilitate per assumere un governo per ricondurre alla responsabilità dell’amministrazione comunale la politica culturale della città. fra stati membri, appoggiando l’azione: a) il miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura della storia dei popoli europei, b) la conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale d’importanza europea, c) gli scambi culturali non commerciali, d) la creazione artistica, letteraria e audiovisiva. Inoltre la Comunità e gli stati membri devono favorire la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali. L’art.128 trasferisce per la prima volta a livello europeo un copioso elenco di competenze in materia culturale; disegna limiti ed obblighi della Comunità rispetto a istituzioni e cittadini europei, e ricostruisce le funzioni ricadenti in tale ambito. Il legislatore comunitario ha piena consapevolezza dell’accezione plurale della cultura e ha ben chiare le virtualità e le diverse articolazioni di finalità di cui è suscettibile la materia culturale. Notevole inoltre il dialogo interculturale di livello internazionale, che prevede la cooperazione con paesi terzi e organizzazioni internazionali competenti. La prassi comunitaria si è incaricata di ridimensionare le aspettative sorte intorno a questa previsione che resta utile e finalizzata ad impedire l’adozione di disposizioni comunitarie suscettibili di produrre conseguenze negative in ambito culturale. - Le nuove politiche culturali dell’Unione Europea Prima del trattato di Maastricht gli interventi si erano intrinsecati in progetti pilota ed iniziative a tutela di siti europei di eccezionale valore culturale, significativi per il loro alto richiamo simbolico ma esterni ad un disegno di ampio respiro. Con l’entrata in vigore del trattato le iniziative culturali dell’Unione si trasformano in programmi pluriennali, perdendo il loro carattere frammentario. Il primo programma comunitario basato sull’art. 151 è Caleidoscopio (1196-1999) per incoraggiare la creazione artistica e promuovere la diffusione della cultura in Europa mediante gli scambi e la cooperazione culturale. Arianna (1997-99) settore letterario e conoscenza della storia dei popoli europei, Raffaello (1997- 2000) per la cooperazione per protezione, conservazione e valorizzazione patrimonio culturale europeo. Iniziative di “prima generazione”. Poi fanno seguito Cultura 2000, durata fino al 2006, la quale ha raggruppato in un unico strumento i tre precedenti programmi, ottica di miglior sostegno di progetti multiculturali. Cultura 2007-13 mobilità persone che lavorano in ambito culturale più opere e prodotti artistici, prevedeva un sostegno finanziario di 400 milioni di euro. E’ in corso il programma Ue Europa Creativa 2014-2020 suddiviso in tre sottoprogrammi, dedicati al settore audiovisivo (media), settori creativi e culturali (Culturale), in generale a tutti i settori creativi e culturali (sezione tran settoriale). IL programma contribuisce al raggiungimento degli obbiettivi di Europa 2020, per renderla un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva con alti livelli occupazionali, produttività e coesione sociale. Il programma propone di sostenere azioni e attività con un valore aggiunto europeo. Importante il settimo programma quadro (7PQ) 2007-2013 per la ricerca lo sviluppo tecnologico + facilitare accesso infrastrutture e strumenti per conoscenze più avanzate campo restauro e conservazione. Horizon 2014-2020 nuovo programma di finanziamento a gestione diretta della Commissione europea per la ricerca e innovazione. Sono inoltre stati aperti diversi bandi di ricerca. L’azione della comunità si concretizza in politiche di sostegno, contributi e integrazioni sussidiarie alle politiche culturali nazionali. Il principio fondamentale rimane quello di sussidiarietà, fondato su una concorrenza di poteri in materia culturale fra Unione e stati membri. - Il patrimonio culturale d’importanza europea L’esame delle politiche culturali europee non sembra aggiungere molto alla definizione di patrimonio culturale dell’Unione che possiamo considerare come la sommatoria di beni dei singoli stati membri. L’art. 128 del trattato sembra muoversi verso la nozione diversa di patrimonio culturale: “patrimonio culturale d’ importanza europea. Definizione che trova radici nella convenzione culturale europea 1954 “patrimonio culturale comune”. Vi si ravvisa per la prima volta a livello europeo un tentativo di superare l’idea di patrimonio di interesse esclusivamente Questa nozione ha incontrato dei dissensi, secondi i quali il trattato parla di sviluppo della cultura degli stati membri e vieta la possibilità di omogeneizzazione della normativa interna, e ciò escluderebbe la promozione di un’unica cultura europea. Il parlamento europeo sin dalla sua nascita ha sollecitato nuovi strumenti di intervento giuridico sul piano culturale giungendo ad ottenere una procedura di codecisione semplificata con il Consiglio. Tale procedura si combinava però con la previsione dell’unanimità in seno al Consiglio e ciò finiva con l’affidare il potere di veto ad ogni singolo stato. L’insieme dei finanziamenti per la cultura versati dall’UE sono appena lo 0,5% del bilancio europeo (2007). La convenzione dell’Aja 1954, parte dal presupposto che i danni arrecati ai beni culturali costituiscono danno al patrimonio culturale dell’umanità intera, divieto di preda e l’impegno delle parti in conflitto a proibire qualsiasi atto lesivo di beni culturali ai danni dei beni dei paesi nemici. La convenzione dell’Unesco del 1972 afferma il principio che tutti i popoli del mondo sono interessati alla conservazione dei beni avendone in comune i valori di civiltà, per cui gli stati aderenti si obbligano ad astenersi deliberatamente ad ogni provvedimento atto a danneggiare il patrimonio culturale. Previsione di un comitato intergovernativo per definire e aggiornare un elenco di beni culturali di valore eccezionale (The world Heritage list). E’ diffusamente riconosciuta l’efficacia che un’identità culturale europea recherebbe al raggiungimento degli obbiettivi istituzionali dell’Unione. Molti sono stati gli interventi secondo la logica sussidiaria ma non sembra che l’Unione sia riuscita ad andare aldilà di una visione addizionale dei retaggi culturali nazionali degli stati membri, i cui patrimoni culturali sono intesi come pars di un mosaico di cui il patrimonio culturale europeo costituisce la summa, ma non un patrimonio dell’Europa unita. Gelosie nazionali, differenze reciproche, appello alla vocazione extraterritoriale fanno della nozione di patrimonio culturale d’importanza europea ancora oggi un enigma. - Un modello culturale fluido per un’Europa in movimento L’adozione di strumenti di cooperazione fra gli stati membri, rivolti a favorire la pubblica fruizione dei beni e la conoscenza delle normative nazionali, finiscono per incidere sui piani funzionali classici dei beni culturali. Esempio più risaltante è quello della normativa europea per la miglioria delle garanzie per la circolazione dei beni culturali. In Europa sono stati adottati: - Il regolamento Ce n. 3911/1992 che subordina l’esportazione di beni culturali al di fuori del territorio della Comunità, alla presentazione di una licenza di esportazione che è rilasciata da un’autorità competente dello Stato membro nel cui territorio si trova lecitamente il bene. - La direttiva Ce .7/1993 ha previsto una procedura mediante la quale lo stato cui sia stato illecitamente sottratto un bene culturale può rivolgersi presso gli organi competenti dello Stato in cui il bene è stato trasferito per ottenerne la restituzione. Da notare che il codice dei beni culturali italiano ha mutato tale previsione, precisando che gli stati membri possano esercitare un’azione di restituzione innanzi all’autorità giudiziaria del luogo in cui il bene si trovi. Sottolineato che la direttiva in esame sarà abrogata e sostituita dalla dir. Ue n60/2014 che prevede novità. Viene ampliato l’ambito di applicazione, estendendo la tutela a qualsiasi bene culturale. Viene poi facilitato l’esercizio dell’azione di restituzione grazie all’allungamento di tre anni del termine per proporla… Emerge un modello più fluido e variegato. Un modello che sembra valorizzare gli elementi di riavvicinamento e coesione fra le comunità degli stati membri, nel nome del retaggio comune. E’ degna di menzione la Risoluzione del 26 maggio 2003 sugli aspetti orizzontali della cultura con cui il Consiglio ha invitato gli stati membri ad esaminare i metodi attraverso cui potrebbe essere meglio sviluppato lo scambio per quanto concerne dimensione economica e sociale della cultura compreso il contributo delle attività culturali dell’inclusione sociale. Altra iniziativa è l’annuale “capitale europea della cultura” dal 1985 provvisoria e trasformata in azione comunitaria 2007-2019. Scopo di contribuire a migliorare la comprensione reciproca tra i cittadini e a valorizzare la ricchezza, diversità e caratteristiche comuni delle culture europee. Itinerari culturali europei Unione rimane un work in progress ovvero un soggetto politico in costante evoluzione. Trattato di Lisbona introduce innovazioni, prevede il processo decisionale in seno al Consiglio sia soggetto al voto di maggioranza qualificata, senza l’unanimità, cancellando il potere di veto degli stati membri, fattore che potrebbe far derivare ripercussioni forse decisive per il rafforzamento degli indirizzi comunitari in ambito culturale. - Alla ricerca di un patrimonio culturale dell’Unione La denominazione di “patrimonio d’importanza europea” non ha acquisito un contenuto peculiare, ma rimane scolpita nel trattato e quindi obbliga ad un tentativo di ricostruzione. Per provare a raggiungere qualche esito la prima cosa da fare è sgomberare il campo degli equivoci e chiarire cosa non è un patrimonio culturale d’importanza europea. Questo non può indurre a porre in contrapposizione l’identità culturale europea unita con quella dei singoli stati, nel senso di privileggiare le manifestazioni culturali di un paese a discapito di un altro. La ricchezza europea sta esattamente nella varietà e molteplicità delle sue manifestazioni nei vari livelli territoriali che lo compongono, come ha mostrato la legislazione europea successiva al 1992. Carta dei diritti di Nizza 2000, oltre a sancire l’art.22 il rispetto della diversità culturale, ribadisce che lo sviluppo dei valori dell’unione non possa andare a discapito delle culture e tradizioni dei popoli d’Europa. Ne consegue che non può esistere una cultura europea come non sarebbe ammissibile una politica culturale europea come pianificazione culturale al servizio dell’autorità sovranazionale, ma è una politica delle culture europee, ovvero un’azione di sostegno e aiuto, finalizzata al loro confronto, scambio e arricchimento reciproco. E’ assodato che l’azione comunitaria non possa andare oltre azioni di sostegno ed integrazione delle politiche comunitarie nazionali. Sii cominciano ad avvertire però segnali importanti che potrebbero preludere ad un significativo secondo livello di disciplina, sotto forma di promozione e valorizzazione dei beni pur facenti parte del patrimonio culturale di uno stato membro rappresentino allo stesso tempo parte di un non ancora meglio identificato patrimonio culturale dell’Europa unita. Si ravvisano iniziative per la valorizzazione di un patrimonio culturale che trascenda i patrimonio nazionali. Nel 2010 si è proposto un marchio per il patrimonio culturale europeo per dare rilievo ai luoghi che celebrano e simbolizzano l’integrazione, gli ideali e la storia dell’Europa. Nel 2011 è stata istituita l’azione per il marchio, che mira al rafforzamento del senso di appartenenza dei cittadini europei all’Unione. Queste iniziative non dimostrano nulla ma sono segnali, accenni che non possiamo trascurare perché possono prefigurare un futuro per l’unione. - Unità nelle diversità: le identità concentriche del demos europeo Il presupposto indispensabile per l’individuazione di un patrimonio culturale europeo sia quello della sua appartenenza ad uno stato membro, questo sottolinea una lettura duale. E’ non solo auspicabile ma anche legittimo immaginare un futuro comunitario in cui la governance culturale sia associata ad uno statuto legislativo e funzionale peculiare dell’Unione, magari attingendo alle migliori esperienze istituzionali e funzionali degli stati membri. La diversità fa parte dell’identità europea, come fa parte della sua cultura, ma non esclude altre appartenenze; il cittadino europeo può essere paragonato alle matrioske russe una dentro l’altra che formano un’unica entità. Da notare anche che gli accordi internazionali degli ultimi anni trattano con un approccio diverso la diversità, atteggiamento più aperto e positivo in tema (convenzione sulla diversità culturale Parigi 2005) obiettivo è il consolidamento di tutti i segmenti della catena creativa culturale con
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved