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Riassunto letteratura italiana, Dispense di Italiano

Riassunto di letteratura italiana, dalle origini fino agli autori del 900. Argomenti: il duecento, il volgare,la scuola siciliana, la poesia religiosa, Francesco d'Assisi, Iacopone da Todi,il dolcestilnovo, il 300, Dante,Petrarca, i poemi allegorici, Lorenzo Il magnifico, Pulci, Poliziano,il poema cavalleresco, Ariosto, Tasso, Machiavelli, il 600, il 700, l'800 e il 900.

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 21/04/2020

val1994
val1994 🇮🇹

4.4

(16)

9 documenti

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Scarica Riassunto letteratura italiana e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! Il duecento Le origini della lingua e della letteratura italiana hanno le loro radici nel complesso tessuto della letteratura romanza, nella quale già a partire dal IX sec. avviene il passaggio dal latino alle formazioni linguistico-culturali dei volgari (le singole lingue nazionali). La letteratura franco-provenzale, assai fiorente nei secc. XII e XIII, è un modello per i letterati italiani: anche la prima scuola poetica italiana (la "scuola siciliana") trova nel modello cortese e trobadorico il riferimento principale. La lezione della scuola siciliana passa in Toscana attraverso l'opera di Guittone, per poi essere superata dalla novità di fine secolo, il dolce stilnovo. Intanto, specie a Nord, è largamente diffusa una letteratura didattica (Bonvesin de la Riva) e giullaresca, mentre ancora in Toscana si diffonde l'esempio della poesia comico- realista (Cecco Angiolieri). La prosa senza dubbio fatica a liberarsi dal peso del latino e non esprime ancora grandi lavori: le opere di Brunetto Latini o Bono Giamboni, i volgarizzamenti o la brillantezza del Novellino sono solo i precursori della grande produzione del Trecento La nascita del volgare Il latino volgare, cioè nella forma non colta, evolvette gradualmente dando origine alle forme neolatine, fra le quali l'italiano. I primi documenti in volgare italiano sono: l'Indovinello veronese, il più antico, datato fra i secc. VIII e IX, rinvenuto nel 1924 in un codice della biblioteca capitolare di Verona; Il più bello di tutti sarà il Cantico di Frate Sole, o Cantico delle creature, composto da san Francesco d'Assisi probabilmente intorno al 1225. Influenza franco-provenzale La letteratura italiana delle origini risentì molto dell'influenza francese, che si esprimeva nei suoi due ambiti linguistici, d'oïl e d'oc. A Nord, la letteratura di lingua d'öil era essenzialmente epica (le cosiddette "canzoni di gesta"), come la Chanson de Roland (databile a prima del 1100); da questa, intorno a metà XII sec., sarebbero nati il "romanzo cortese", di cui fu maestro indiscusso Chrétien de Troyes (circa 1130-1185), i lais, piccoli racconti in versi di un episodio amoroso, e il celebre romanzo Tristano e Isotta, nelle due redazioni dell'anglo-normanno Thomas e del normanno Béroul. A Sud, cioè in Provenza, si sviluppò invece la letteratura d'oc, che diede l'avvio a un'ampia produzione di poesia d'amore dei trovatori. Il massimo splendore fu raggiunto fra il 1140 e il 1150, con i poeti Arnaut Daniel, Jaufré Rudel, Bernart de Ventadorn, che furono un riferimento essenziale per la scuola lirica siciliana. Verso la fine del sec. XII si affermarono anche i fabliaux, brevi racconti in versi crudamente realistici e satirici, e la poesia allegorica. La scuola siciliana La scuola poetica siciliana, sorta attorno al 1230 negli ambienti che gravitavano attorno all'imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, produsse la prima lirica in volgare italiano. La sua attività durò circa un trentennio e si concluse con la fine, nella battaglia di Benevento (1266), di Manfredi, figlio di Federico e quindi con lo sgretolamento dell'ambiente di raffinata cultura che era stato tanto propizio al sorgere della scuola stessa. Nella corte di Federico II a Palermo si raccolsero le figure più rappresentative dell'epoca e si svilupparono numerosi interessi culturali: venne dato un notevole impulso alle conoscenze tecnico-scientifiche e agli studi di magia (per opera principalmente di Michele Scoto), alla letteratura filosofica araba, alla letteratura greco-bizantina, alla poesia tedesca (soprattutto alla lirica cortese d'amore del Minnesang) e alla poesia provenzale in lingua d'oc. Proprio da questa tradizione ebbe origine la "scuola siciliana", come fu definita da Dante nel De vulgari eloquentia. Dominante in assoluto nei poeti siciliani la tematica d'amore sia dal punto di vista teorico (cos'è amore, come si manifesta, quali sono i suoi effetti), sia come omaggio "feudale" verso la donna amata, con la quale il poeta cerca di stabilire una comunicazione attraverso immagini e segnali che essa sola sa cogliere. Le forme tipiche di questa poesia sono la canzone, modellata sulla canso provenzale .la canzonetta, costituita da strofe di versi brevi, viene impiegata per testi più narrativi, come invocazioni d'amore, lamenti per l'amata lontana, manifestazioni della propria gioia e del proprio dolore; il sonetto è creazione autonoma e specifica della scuola ed è diventato il componimento lirico breve per eccellenza della poesia italiana. Il poeta sicuramente più significativo fu Iacopo da Lentini (circa 1210 - circa 1260), riconosciuto da Dante (Purgatorio, canto XXIV) come fondatore della scuola siciliana e al quale è probabilmente attribuita l'invenzione del sonetto. Scrisse uno dei più cospicui canzonieri dell'epoca, composto da circa 30 poesie, in cui una consumata perizia retorica è al servizio di una fervida originalità inventiva. A lui si deve la prima definizione dell'amore nella letteratura italiana: Prestilnovista I temi e l'elaborazione formale che avevano caratterizzato la scuola siciliana si trapiantarono in Toscana, nella realtà politica e culturale dei liberi Comuni, nei quali lo spirito borghese prevaleva sulle tradizioni aristocratiche e feudali. Da questo incontro nacque la scuola siculo-toscana, in cui accanto ai temi d'amore trovarono largo spazio e importanza i temi politici. Accanto a questa si svilupparono, in Umbria e in Toscana, forme di poesia giocosa e realistica. Nell'Italia settentrionale si espresse un'interessante letteratura in volgare con fini soprattutto didattici, ma affiancata da esperienze popolari e giullaresche prodotte da cantori girovaghi. Di altro, più elevato spessore la produzione lirica religiosa di Francesco d'Assisi e Iacopone da Todi. Guittone d’Arezzo La sua produzione poetica, raccolta nelle Rime e composta da 50 canzoni e 239 sonetti, presenta un'evidente cesura: nella prima parte dominano i temi della poesia d'amore e i contenuti politici, nella seconda, dove l'autore si presenta del mondo, segnato da una continua violenza, prodotta dal peccato, che si manifesta nel perpetuo processo di distruzione. In questa prospettiva Iacopone guarda alla vita quotidiana spesso con un realismo crudo e sarcastico: i suoi versi sono scritti in un volgare umbro di grande intensità, non ancora assoggettato alle norme della lingua letteraria, e talvolta arricchito da apporti del latino ecclesiastico e da invenzioni linguistiche e lessicali. L'atteggiamento pedagogico indusse Iacopone a drammatizzare lo strumento della lauda: nacquero così i contrasti, in cui più voci si alternano strofa per strofa; si tratta perlopiù della voce divina che cerca di scuotere l'anima dalla sua pigrizia spirituale, dall'attaccamento ai beni terreni. A tale atteggiamento Iacopone oppone con estrema forza il mistero dell'incarnazione e della passione di Cristo, viste come capovolgimento di tutti i valori che regolano le convenzioni della società umana. Su questo tema Iacopone scrisse i suoi versi più intensi e celebri, quelli del Pianto della Madonna che rappresenta i diversi momenti della Passione. La prosa in volgare La prosa in volgare si sviluppò in ritardo rispetto alla poesia: il peso della prosa latina era certo ancora indiscusso. Le prime esperienze in volgare sono riconducibili all'ambito degli studi giuridici e retorici e della letteratura di carattere morale e scientifico. A finalità morali e anche pedagogiche rispondeva la raccolta del Novellino. Nello sviluppo della prosa in volgare fu determinante l'opera di volgarizzamento, cioè di traduzione di testi latini e francesi, che contribuì a fissare i modelli di stile dello scrivere. L'avvio alla grande prosa del Trecento fu preparato da Brunetto Latini e Bono Giamboni. Il dolce stilnovo La scuola poetica definita da Dante "dolce stilnovo" è la più omogenea e ricca espressione culturale della fine del Duecento. Per la profondità di contenuti e per la qualità del linguaggio poetico lo stilnovo risultò il punto di riferimento delle successive più alte elaborazioni della poesia italiana. Se a Guido Guinizelli si deve il primo impulso alla riflessione teorica e al rinnovamento del linguaggio poetico, è soprattutto l'esperienza dello stilnovo fiorentino, rappresentato da Guido Cavalcanti e da Dante, il centro della nuova scuola La tematica dello stilnovo si ricollega a tutta la tradizione poetica duecentesca, a partire dalla grande lirica provenzale; sono indiscutibili i debiti verso la scuola siciliana e verso Guittone d'Arezzo. Decisivo, a favore dello stilnovo, è il rapporto tra profondità speculativa e qualità formale: la sintassi dei testi stilnovisti è complessa e costruita, scandita secondo precisi canoni retorici, ben lontani dall'oscurità dei testi siculo-toscani; il lessico è organizzato secondo precise partiture foniche, in modo da assorbire nel flusso musicale le affermazioni concettuali spesso dense e difficili. Guido Guinizelli L'ambiente dotto di Bologna offrì al giudice Guido Guinizelli (circa 1235-1276) della fazione dei Lambertazzi una ricca formazione di tipo filosofico, grazie alla quale il poeta rinnovò gli stereotipi della tradizione lirica e trasformò i modi della poesia. Di questo cambiamento è testimonianza la canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, considerata il manifesto teorico dello stilnovo. Essa si apre con l'enunciazione programmatica dell'identità tra amore e "cor gentile". Poi, mediante una rigorosa concatenazione razionale, in un crescendo di argomenti arricchiti da immagini tratte dal mondo sensibile, che preparano la visione celeste delle ultime due stanze, il poeta si sforza di definire amore, gentilezza e la particolare funzione salvifica della "bella donna". La concezione dell'Amore, nel suo valore assoluto, è rigorosamente aristocratica, ma la gentilezza non appartiene alla nobiltà di sangue, bensì a chi possiede determinate qualità d'animo, che il poeta indica con il termine "coraggio" di origine provenzale. Accanto a queste componenti, fondamentale è l'uso di un linguaggio dolce, definito da Dante come prerogativa essenziale dello stilnovo guinizelliano. Esso mira, attraverso una selezione severa del lessico e un rigoroso controllo stilistico, a rendere nel dettato poetico il sentimento interiore provocato dall'amore. Di Guinizelli sono pervenuti cinque canzoni e quindici sonetti, tramandati da due canzonieri: alcuni di questi testi esprimono anche altra ispirazione stilistica, assumendo toni comico-realistici della contemporanea poesia borghese toscana. Guido Cavalcanti Guido Cavalcanti (circa 1259-1300) è l'esponente più significativo dello stilnovo. Con Dante e tutti i poeti stilnovisti, la sua poesia, per originalità lirica e intensità espressiva, influenzò manifestamente Petrarca e tutto il petrarchismo. Il canzoniere Il suo canzoniere è composto di 52 testi (sonetti, canzoni e ballate) da cui non si possono ricavare indicazioni cronologiche utili per stabilire la data di composizione. Intorno al 1283 il nome di Cavalcanti doveva essere assai noto tra i poeti stilnovisti: nella Vita nuova, infatti, Dante lo considera uno dei più "famosi trovatori in quello tempo". Il tema largamente dominante del suo canzoniere è Amore, inteso come passione irrazionale che allontana l'uomo dalla conoscenza e dalla felicità speculativa, conducendolo a una "morte" che è a un tempo morale e fisica. I trattati di medicina medievale (derivati da testi arabi) ritenevano che la "malattia d'amore" (l'amor heroicus) potesse avere anche esito mortale. Nutrito di letture filosofiche e in contatto con gli ambienti averroisti di Bologna, Cavalcanti procede nei suoi testi a un'indagine sull'origine, la natura e gli effetti che la passione amorosa produce nell'uomo: programmatica in tal senso è la sua canzone dottrinale Donna me prega. Provenienti dagli ambiti della "filosofia naturale" (fisica, astrologia, medicina e "psicologia" nel senso di "scienza dell'anima") e applicate alla passione amorosa, le sue ampie metafore (quali la battaglia d'amore, con ferite, "sbigottimenti", intervento degli spiriti vitali, paure, fughe, distruzione e morte) prendono vita in un linguaggio drammatico e lirico che lasciano nel lettore un senso di malinconia e fatalità. L'enfasi drammatica della poesia di Cavalcanti è però stemperata e controbilanciata da un senso di stupore malinconico nei confronti di un realtà interiore che sempre trascende il soggetto e la sua sofferenza. Nei suoi testi ciò si realizza con sapienti tecniche, quali la distanza dell'io poetico dal proprio discorso, l'ironia implicita nei frequenti diminutivi, un lessico concettuale e filosofico arduo, un sistema di immagini e paragoni. Il trecento Il Trecento è il secolo aureo della nostra letteratura. Dante, Petrarca e Boccaccio fondano l'idea stessa di letteratura italiana. Essi concepiscono la poesia come conoscenza e come espressione di una lingua nitida, luminosa, comunicativa, che sarà capace di unificare una nazione divisa in diverse regioni geografico-culturali. Con Dante arriva ai vertici l'esperienza medievale della lirica e della poesia allegorica e didattica; con Boccaccio si fortifica la nostra tradizione novellistica (che trova un'ulteriore sintesi in Sacchetti) e, in qualche misura, la stessa tradizione cronachista. Petrarca è il simbolo del nuovo intellettuale: sebbene il circolo classicistico degli scrittori che usano il latino guardi ancora all'esperienza duecentesca, Petrarca pone le basi di quella nuova educazione letteraria che si chiamerà "umanesimo". A lato, ma come un esempio altissimo di ricerca letteraria e spirituale, troviamo l'opera dei cosiddetti scrittori religiosi, soprattutto Cavalca, Passavanti, santa Caterina da Siena e la tradizione francescana dei Fioretti. Dante Alighieri Dante Alighieri è considerato il più grande poeta italiano e uno dei maggiori autori della letteratura universale. Tutta la sua opera è fortemente radicata in una passione civile e morale e in una tensione spirituale altissime: essa costituisce l'esito più elevato e complessivo del pensiero e della cristianità medievali. La Divina commedia per la prodigiosa varietà di mezzi espressivi, la vastità e profondità di visione è momento fondante della letteratura in lingua italiana. Le opere minori La "Vita nuova" Composta intorno al 1293, a un paio d'anni dalla morte di Beatrice, è la prima opera organica di Dante, narrazione "fervida e passionata" del suo amore per Beatrice. È anche il primo romanzo autobiografico della nostra letteratura e si compone di 25 sonetti, 4 canzoni, una stanza e una ballata, intercalati da pagine di prosa che narrano la storia di questo amore. Il "libro de la memoria" è povero di avvenimenti: qualche incontro, qualche episodio di scarso valore concreto, ma quello che conta è la storia dei moti “Inferno" Per Dante il viaggio agli Inferi sotto la guida di Virgilio è, come del resto quello nel Purgatorio e nel Paradiso, un viaggio di conoscenza: conoscenza del peccato, della sua natura, delle sue gradazioni di gravità, delle sue conseguenze per la vita terrena e quella ultraterrena. La struttura della voragine infernale che giunge al centro della Terra, basata su principi aristotelici e ciceroniani, è divisa in 9 cerchi. Incontrate nei 5 cerchi superiori della cavità (alto Inferno) le anime di coloro che furono incapaci di controllare naturali pulsioni e appetiti, nel basso Inferno Dante trova i più esecrabili peccatori, nei quali agì una vera e propria lucida volontà di arrecare, con la violenza o con la frode, offesa e danno a Dio, a sé o ai propri simili. Spiccano, nella prima compagine, le figure di Francesca da Rimini, di Ciacco, di Filippo Argenti; nella seconda quelle di Farinata degli Uberti, Cavalcante de' Cavalcanti, Pier delle Vigne, Brunetto Latini, Ulisse, Guido da Montefeltro e Ugolino della Gherardesca. Alla struttura ripetitiva dell'incontro con le anime si accompagnano molteplici elementi di variazione. Per esempio: gli scenari di pena, regolati dalla legge del contrappasso (valida anche nel Purgatorio), secondo cui la pena deve richiamare, per analogia o contrasto, la colpa e soprattutto i sentimenti contrastanti di Dante di fronte ai suoi interlocutori (sdegno, ironia, ma anche palpitante partecipazione). "Purgatorio" Immaginato da Dante, in relazione all'Inferno, come montagna prodotta da uno spostamento di masse terrestri a contatto con Lucifero precipitato dal cielo, il Purgatorio si erge su un'isola situata agli antipodi di Gerusalemme nell'emisfero delle acque. Lo spazio della montagna tra le due zone estreme dell'Antipurgatorio (in prossimità della spiaggia) e del Paradiso Terrestre (sulla sommità), è diviso in 7 balze, sulle quali i penitenti passano purificando di volta in volta l'inclinazione verso uno dei peccati capitali. Mentre nella discesa infernale ci s'imbatteva in colpe sempre più gravi, l'ascesa purgatoriale rivela un criterio di gravità decrescente: dall'amore rivolto al male (superbia, invidia e ira) all'amore del bene tiepidamente esercitato (accidia) per giungere, nelle balze più elevate, all'amore eccessivo di beni mondani (avarizia, gola e lussuria). Se nell'Inferno Dante aveva sperimentato l'operare divino come giustizia, nel Purgatorio egli diviene partecipe della divina misericordia. Di centrale interesse risultano gli incontri con artisti e poeti quali Casella, Sordello da Goito, Bonagiunta da Lucca, Guido Guinizelli, Arnaut Daniel, Stazio e Oderisi da Gubbio. Gli ultimi canti sono fortemente marcati dalla presenza di Beatrice, la donna amata che ha acquisito connotazioni allegoriche di Rivelazione, Amore Divino, Grazia, Fede, Teologia, e sostituisce Virgilio. "Paradiso" La regola strutturale del 9+1, valida per Inferno e Purgatorio (nove cerchi più il vestibolo nel primo caso, nove ripartizioni inferiori più il Paradiso Terrestre nel secondo), vale anche per il Paradiso, dove ai 9 cieli (dei pianeti, delle Stelle Fisse e Primo Mobile) si aggiunge l'Empireo. Da quest'ultimo, dove godono della beatitudine eterna, gli spiriti scendono a manifestarsi al pellegrino nel cielo di cui subirono l'influsso in vita. Il Paradiso risulta così organizzato gerarchicamente. I tre cieli inferiori (Luna, Mercurio, Venere) ospitano coloro che non raggiunsero l'assoluta perfezione. A questi seguono, in ascesa, i cieli degli spiriti attivi: quello del Sole con i sapienti, di Marte con i militanti per la fede, di Giove con i giusti, e quello degli spiriti contemplativi, Saturno. I rimanenti due cieli sotto l'Empireo consentono al pellegrino di perfezionare la propria preparazione all'ultima ascesa assistendo al trionfo di Cristo, della Vergine e degli angeli e sottoponendosi a un esame sulle virtù teologali (fede, speranza, carità). Nel cielo Empireo, il vero e proprio Paradiso, sede di Dio e dei beati, gli appare una "candida rosa" composta da innumerevoli anime assise su troni in file disposte come in un anfiteatro. Tra queste egli scorge Beatrice, che ha lasciato il ruolo di guida a san Bernardo di Chiaravalle. La preghiera di Bernardo assicura l'intercessione della Vergine Maria, grazie alla quale il pellegrino ottiene infine l'inusitato privilegio di penetrare nel mistero della divina essenza. Petrarca Poeta di raffinata sapienza formale, con il suo Canzoniere tocca i vertici della lirica europea ed eserciterà una profonda influenza sulla poesia in Italia e in Europa. Il petrarchismo si affermerà come modello imitativo e come scuola fino a tutto il Settecento, e il rapporto con Petrarca resterà sempre un passaggio obbligato per chi intende il linguaggio poetico come strumento di scavo interiore. La sua concezione della cultura, in cui ha un posto decisivo il rapporto con i classici latini, e il suo atteggiamento intellettuale, così pieno di curiosità e inquietudine, ne fanno un grande precursore dell'umanesimo. Le lettere Petrarca è la prima figura nella storia della letteratura italiana il cui itinerario esistenziale e intellettuale possa essere seguito minutamente sulle lettere. Petrarca stesso raccolse per argomento le sue lettere: Rerum familiarum libri (Libri delle cose familiari), Sine nomine (Senza nome), polemiche contro il papato avignonese, Rerum senilium libri (Libri della vecchiaia); postume sono le Variae e la singola epistola Posteritati (Alla posterità), prezioso sunto autobiografico. L'epistolario petrarchesco consente di seguire il poeta nei suoi molteplici spostamenti, di sondare i suoi affetti, le scelte politiche, le vicende dell'impegno civile e dell'operare diplomatico, i motivi delle inclinazioni e delle avversioni intellettuali, l'assillo delle costanti meditazioni morali, la sostanza e il carattere del suo credo umanistico. Il secretum Composto in prima stesura tra il 1342 e il 1343, il Secretum, opera filosofico- morale in tre libri, uno per ciascuna giornata di fitto dialogo tra l'autore (designato come Franciscus) e sant'Agostino (Augustinus) in presenza della Verità, fu ripreso una decina d'anni più tardi e completato tra il 1356 e il 1358. La prima giornata di colloquio sviluppa la nozione che felicità e infelicità dipendono dall'umano volere, e che è proprio una malattia della volontà a tenere Francesco in peccato e quindi a renderlo infelice. Egli vuole il vero bene, ma non lo persegue con il dovuto fervore. Un esame di coscienza che tocca ciascuno dei sette peccati capitali per poi soffermarsi sull'accidia occupa invece la seconda giornata di dialogo. Ma è la terza a portare in superficie le passioni centrali ed esiziali che impediscono a Francesco di condurre con dedizione assoluta la salvifica, costante meditazione sulla vita e sulla morte. Bellissime, seducenti catene, esse sono l'amore per Laura e l'amore di gloria. Invano l'amante tenterà di far passare per spirituale e virtuoso il sentimento per una donna d'eccezione. Agostino ha buon gioco nel mostrare come Francesco non abbia amato come si conviene. Si giunge così all'ultimo male: l'amore per la gloria mondana, che, lasciando intravedere una sopravvivenza del nome nel tempo, impedisce la vista della vera immortalità. Sgombra la mente, messe a nudo le proprie colpevoli debolezze, Francesco non si volge tuttavia alle opere divine con zelo esclusivo come vorrebbe Agostino. Pervenuto alla fine della lunga confessione-meditazione, dichiara di averne tratto beneficio e propone di rinforzare la propria volontà, ma la scelta di radicale rinunzia alle vanità del mondo rimane solo un auspicio. Le altre opere latine Nel primo periodo a Valchiusa Petrarca intraprese la stesura del poema Africa, a cui legò molta della sua ambizione di gloria letteraria, sebbene oggi ci appaia un fallimento poetico per la sua magniloquenza retorica. L'Africa è un poema epico in esametri ispirato alla seconda guerra punica, centrato sull'eroica figura di Scipione l'Africano e celebrativo dell'alto destino provvidenziale del popolo romano. A questo periodo appartengono anche le prime fatiche del De viris illustribus, galleria di profili biografici di personaggi tratti dalla storia antica, dalla Sacra Scrittura e dalla mitologia classica. Della crisi del 1342-43, che lo portò a vivere in modo più intimo e sofferto il proprio cristianesimo (tanto che si suole parlare di conversione), sono documento esemplare i Salmi penitenziali (1348), modellati sul testo biblico ma percorsi da venature ciceroniane e agostiniane. Agli anni tra il 1343 e il 1354 appartengono: i Rerum memorandarum libri, incompiuta raccolta di aneddoti ed esempi edificanti modellata sulla silloge di Valerio Massimo; il De vita solitaria, in cui la solitudine è proposta come condizione primaria per un perfezionamento intellettuale e morale da ottenersi con lo studio delle lettere e la meditazione religiosa; il De otio religioso, affine per materia al De vita solitaria e concepito in seguito a una visita al fratello Gherardo in monastero; il De remediis utriusque fortunae (la cui composizione si protrasse fino al 1366), esortazione allegorica, sostenuta da argomentazioni stoico-cristiane, a rispondere virtuosamente alle alterne vicende della fortuna. A queste opere in prosa si aggiunge il Bucolicum carmen, raccolta di egloghe allegoriche secondo il modello della poesia pastorale virgiliana. Il canzoniere Il Canzoniere si è affermato attraverso i secoli come l'opera di Petrarca più significativa e di più duratura rilevanza per l'evoluzione della storia della poesia e della poetica occidentali. Frutto di un lavoro di composizione, revisione e ordinamento che cominciò attorno al 1335 e impegnò il poeta fino alla morte, il Canzoniere (il cui titolo originale è Rerum vulgarium fragmenta, Frammenti di volgare), presenta nell'ultima forma 317 sonetti, 29 canzoni, 9 favorito dalla fortuna ridotto in miserevole stato da superbia e stoltezza) informa l'opera Delle sventure degli uomini illustri (De casibus virorum illustrium), compilazione di profili biografici che spazia da Adamo a Giovanni il Buono, re di Francia. Complementare, seppure non del tutto affine, è lo scritto Delle donne illustri (De mulieribus claris). Nel 1367 pubblicò le 16 egloghe del Bucolicum carmen, di ispirazione virgiliana e petrarchesca. Risale forse agli anni 1354-55 la composizione del Corbaccio, libello in prosa volgare ispirato da una forte misoginia. Scosso da una lettera del beato Pietro Petroni che lo ammoniva ad abbandonare la poesia e a meditare invece sulla morte imminente, fu incoraggiato dallo stesso Petrarca a perseverare negli amati studi. A questo periodo (1361) risalgono l'Epistola consolatoria a Pino de' Rossi e forse la Vita di san Pier Damiani (Vita sanctissimi patris Petri Damiani heremite). Nel 1365 fu inviato in ambasceria presso la corte papale ad Avignone. Boccaccio fu grande ammiratore di Dante (nel 1351 aveva scritto un Trattatello in laude di Dante) e venne perciò invitato dal Comune di Firenze a dare pubblica lettura della Commedia dantesca; iniziate nell'ottobre del 1373, le lezioni (Esposizioni sulla Commedia di Dante) s'interruppero all'inizio del 1374 quando ritornò, malato, a Certaldo. Qui si spense il 21 dicembre 1375. Il decameron Scritto negli anni immediatamente successivi alla peste del 1348, tra il 1349 e il 1353, il Decameron reca l'impronta dell'evento luttuoso. È infatti per sottrarsi all'epidemia e al degrado morale della vita fiorentina a essa conseguente, che i 10 giovani protagonisti della storia portante (Pampinea, Filomena, Elissa, Neifile, Emilia, Lauretta, Fiammetta, Panfilo, Filostrato, Dioneo) decidono, nel corso di un incontro casuale nella chiesa di Santa Maria Novella, di rifugiarsi nel contado. Nel salubre regime di vita comunitaria instaurato in villa, trova luogo, accanto a giochi, danze e gradevoli escursioni, anche il racconto di novelle, il cui tema è giornalmente imposto, per un totale di dieci giornate (da qui il titolo) dal re o dalla regina di volta in volta eletti dalla brigata. Da questa, che viene chiamata la "cornice" e giustifica la produzione narrativa, risulta così una compagine di 100 novelle, alle quali si aggiungono dieci canzoni a ballo intonate a turno dai giovani in fine di giornata. Amplissimo è il catalogo dei materiali cui Boccaccio attinge, spesso modificando liberamente i contenuti del testo di partenza, talvolta dando vita a vere e proprie parodie. Nel Decameron trova artistica celebrazione la classe borghese-mercantile venuta alla ribalta in Italia tra Duecento e Trecento, una classe che a Boccaccio piacque contemplare nei suoi tentativi di nobilitarsi alla luce degli ideali cortesi. Fulgido modello umano risulta alla fine quel messer Torello da Pavia che, pur se "cittadino e non signore", appare dotato d'animo e modi splendidamente signorili, esibiti nel corso di una gara di cortesie con il Saladino, sultano del Cairo. Una "Umana commedia" Osservazione comune a lettori di ogni secolo, è che nel Decameron si concretizzi un progetto narrativo d'inusitata ambizione. E certo Boccaccio, nel pensare all'opera come quadro grandioso della vita, di tutta la vita, con le sue luci e le sue ombre, nella sua infinita capacità di coinvolgere chi la contempla, occasione continua di meraviglia ed emozione, di riflessione psicologica e giudizio morale, teneva presente il grande modello della Commedia dantesca. Quella di Boccaccio è dunque una "Umana commedia", caratterizzata da un deciso concentrarsi dell'interesse sull'umano agire nel mondo per il mondo, piuttosto che nella prospettiva dell'eterno. Il realismo del Decameron è da intendere, tra l'altro, come predilezione per vicende collocate nel presente, in luoghi individuati con precisione, rappresentazione non esclusivamente a fini comici di personaggi che incarnano i più bassi strati sociali. Boccaccio adotta dunque una poetica in cui non hanno più luogo l'esibizionismo erudito e il gusto mitologico, abbandona le sovrastrutture allegoriche, si fa avvocato dei diritti all'appagamento sessuale, propone continuamente all'ammirazione del lettore le risorse pragmatiche dell'individuo, il valore azione in quanto azione. Se è giusto riconoscere che sul Decameron il Medioevo accampa diritti non indifferenti, è perciò quasi impossibile non vederlo anche come vivido ed esaltante preludio alla grande stagione del pensiero e della letteratura rinascimentali. Letteratura didattica allegorica L'eredità didattica proveniente dalla cultura predicatoria e dalla filosofia scolastica è all'origine di un'ampia letteratura didattico-allegorica, che, pur senza rivelare particolari capolavori, risulta molto importante anche per comprendere la prospettiva di un'opera eccezionale come la Commedia dantesca. Il lavoro dei cronachisti consente di riconoscere quella ricerca di concretezza, di gusto municipale e popolare, che sempre ritroveremo anche nella prosa migliore del Trecento. I romanzi Reali di Francia e il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino saranno destinati a un'eccezionale diffusione popolare fino all'Ottocento. In questo quadro spicca il grande capolavoro di Marco Polo: il Milione è una delle vette della letteratura medievale, e uno dei più straordinari resoconti di viaggio di tutti i tempi. I poemi allegorici Frutto dell'imitazione della Divina commedia e dell'aspirazione della filosofia scolastica a un sapere onnicomprensivo sono i numerosi poemi che nel Trecento forniscono sotto chiave allegorica ampie visioni del mondo. Fra i testi più antichi troviamo l'Intelligenza, poemetto allegorico-didattico ritrovato nel 1846. Opera di un anonimo fiorentino, fu scritto fra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento ed è costituito da 309 stanze in nona rima, sull'esempio di modelli provenzali e stilnovistici. Narra l'incontro allegorico del poeta con una donna bellissima (l'Intelligenza), che abita un favoloso palazzo (il corpo umano). Del toscano Francesco da Barberino (1264-1348) restano due opere didascaliche, pubblicate attorno al 1314: i Documenti d'Amore, versi in volgare con commento in latino, e Reggimento e costumi di donna, in versi e prosa. Cecco d'Ascoli (si chiamava in realtà Francesco Stabili) nacque nei pressi di Ascoli Piceno intorno al 1269, fu astrologo presso l'università di Bologna, fu condannato per eresia e arso sul rogo a Firenze nel 1327. Fra i suoi testi (commenti, lezioni e poesie) è rimasto celebre il poema in sesta rima incompiuto intitolato Acerba. Con gusto enciclopedico e didattico, vi si raccolgono nozioni astronomiche, astrologiche, alchimistiche e naturalistiche di origine araba, in polemica sia con la Divina commedia di Dante sia con il pensiero ufficiale aristotelico-tomista della Scolastica. Il fiorentino Fazio degli Uberti (circa 1350-1367) è noto per un poema allegorico-didattico in sei canti di terzine, il Dittamondo (Dicta mundi), composto tra il 1346 e il 1367 e lasciato incompiuto. Sul modello della Commedia dantesca, Fazio immagina che la Virtù, apparsagli in sogno, gli indichi il cammino della salvezza: un viaggio per l'Europa, l'Africa e l'Asia con la guida del geografo Solino. L'opera, di carattere enciclopedico, è pregevole per la freschezza e l'entusiasmo delle descrizioni, soprattutto di quelle naturalistiche. L'umbro Federico Frezzi (circa 1346-1416) fu nominato vescovo di Foligno nel 1404. Scrisse un lungo e macchinoso poema allegorico in terzine, il Quadriregno (1394-1403), nei cui 74 canti si tratta di un viaggio dell'uomo dalle passioni alla verità attraverso i regni dell'Amore, di Satana, del Vizio e della Virtù. L'imitazione della Commedia è evidente, ma vi è anche qualche spunto preumanistico. Marco Polo Il mercante veneziano Marco Polo (1254-1324) si recò nel 1271 con il padre e lo zio in Cina e divenne uomo di fiducia del Gran Khan Qubilai. Rientrato a Venezia nel 1292, fu fatto prigioniero dai genovesi dopo la battaglia della Curzola (1298). La sua fama è legata all'opera Divisament dou monde (anche Livres des Merveilles du monde), meglio nota come Milione, dal soprannome veneziano di Marco Polo, che la dettò a Rustichello da Pisa, suo compagno di prigionia. L'opera, che narra le esperienze compiute durante il viaggio in Oriente, è scritta in "volgare gallico", cioè in francese, secondo la moda del tempo. Il Milione è ricco sia di informazioni sull'organizzazione amministrativa della Cina, sia di stupefatte rievocazioni delle meraviglie d'Oriente. All'esattezza della narrazione, riflesso dello spirito pragmatico e razionale della Venezia mercantile di fine Duecento, si sposa il fascino poetico delle descrizioni, a testimoniare l'inesauribile curiosità del mondo medievale verso l'esotico e il favoloso. La struttura narrativa è salda; lo stile è spoglio di suggestioni letterarie, ma vibrante di contenuto entusiasmo. Per queste ragioni il critico L. Foscolo Benedetto ha potuto definire l'opera "una delle sintesi più potenti che ci abbia lasciato il Medioevo, laica e terrena, da porsi accanto alle due celebri sintesi in cui si è riassunto il Medioevo teologico e filosofico, la Summa di san Tommaso d'Aquino e la Divina commedia". Letteratura religiosa La letteratura religiosa non è solo un esempio di spiritualità ma anche di altezza letteraria. Scrittori come Cavalca, Passavanti o Caterina da Siena sono capisaldi della letteratura trecentesca. Il libro dei Fioretti di San Francesco ci sorprende per sintesi poetica e capacità narrativa. La lirica e la novellistica Chiusa nell'imitazione di uno stilnovismo ormai esaurito e schiacciata dalla figura di Petrarca , di cui però è incapace di cogliere la novità dirompente, la lirica nel Trecento è destinata a esiti minori. Più vitale si dimostra la produzione novellistica: Trecentonovelle di Sacchetti si rifà al modello di Boccaccio e conoscerà una duratura diffusione. andò raffreddando e Pulci preferì allontanarsi sempre più spesso da Firenze. Nel 1478 apparve probabilmente la prima edizione, ancora ampiamente incompleta, del Morgante; la seconda edizione, in 23 cantari (canti) costituiti da ottave, uscì a Firenze nel 1481, mentre l'edizione definitiva in 28 cantari fu pubblicata con il titolo di Morgante maggiore nel 1483. Nella parte finale è contenuto un duro attacco contro un frate, probabilmente Savonarola, che aveva condannato pubblicamente Pulci per i suoi scritti sacrileghi. Nel 1484, convinto dall'agostiniano Mariano da Gennazano, Pulci fece pubblica ammenda in un'opera in terzine dal titolo Confessione, che valse a calmare le polemiche e rese realizzabile il progetto di un ritorno a Firenze. Ma Pulci morì improvvisamente a Padova e fu sepolto come eretico in terra sconsacrata. Il Morgante Se già nelle opere minori (in particolare nei Sonetti e nella Beca da Dicomano) Pulci dà prova di una fantasia sbrigliata e di un gusto per la bizzarria e per la parodia di tutto ciò che è ritenuto intangibile, il culmine di tale atteggiamento culturale è raggiunto nel poema Morgante, che capovolge tutti i valori propri della materia epica cavalleresca. Già la trama, versione grottesca delle narrazioni tipiche delle canzoni di gesta, ha uno sviluppo inconsueto: si narra infatti che Orlando, colpito dalle calunnie di Gano e seccato per il comportamento credulone di Carlo Magno, vecchio e quasi rimbambito, parte per l'Oriente in cerca di avventure. Ma la trama rivela poco delle caratteristiche del poema perché l'interesse dell'autore è rivolto alla rappresentazione imprevedibile, volutamente eccessiva, di fatti inverosimili. Le figure in cui si manifesta meglio l'estro del poeta sono quelle del gigante Morgante e del mezzo-gigante Margutte. Morgante, armato del battaglio di una campana, è l'immagine stessa di ciò che è eccessivo per la sproporzione tra l'immensa forza fisica e la scarsa lucidità mentale. Margutte, invece, che finirà per morire soffocato dalle proprie risate, è la rappresentazione del capriccio della volontà e della natura: è la parodia dell'ideale umanistico di uomo artefice del proprio destino in un quadro di armonica perfezione, conseguita attraverso un percorso razionale. Ma Margutte è dotato di un'astuzia invincibile, di un eccezionale gusto per il male, che si realizza in una contromorale fondata sul furto, l'imbroglio, i piaceri della gola e si manifesta in avventure caratterizzate da una prodigiosa voracità e da sadica perfidia nei confronti delle vittime. Lo stile di Pulci non si richiama all'uso colto del volgare toscano, ma nemmeno si appiattisce sull'uso parlato e popolareggiante; si rivolge al patrimonio di espressioni gergali proprie di settori marginali della società (Pulci compose persino un Vocabolarietto di lingua furbesca, che raccoglieva termini ed espressioni degli ambienti della malavita). Nei suoi versi la parola tende sempre all'ambiguità e il gioco generato dall'accostamento delle parole, dal loro richiamarsi attraverso assonanze fonetiche, talvolta prende il sopravvento sullo sviluppo della narrazione e impone svolte imprevedibili. Gerolamo Savonarola Alla fine del secolo campeggia drammaticamente la figura del predicatore domenicano Gerolamo Savonarola (1452-1498). Dopo la calata del re di Francia Carlo VIII e la cacciata di Piero de' Medici (1494), Savonarola si fece ispiratore di una repubblica popolare. Savonarola riuscì a contenere il radicalismo puritano dei "piagnoni" suoi seguaci, ma non evitò, specie dopo le sue gravi accuse al papa Alessandro VI e le denunce sull'immoralità della Chiesa, l'attacco dei partigiani dell'oligarchia ("arrabbiati") e dei Medici ("palleschi"). Scomunicato e processato per eresia, Savonarola fu impiccato e le sue ceneri furono disperse in Arno. Ci restano molti scritti dottrinari (Compendium logicum, 1491; Compendio delle rivelazioni, 1495; Epistola della sana e spirituale lezione, 1497; Trattato circa il reggimento del governo della città di Firenze, 1498). Ma il suo capolavoro sono le Prediche (raccolte postume), in cui con un linguaggio drammaticamente intessuto di riferimenti biblici denuncia le compromissioni mondane della Chiesa ed esprime la sua speranza per il ritorno del cristianesimo all'originario spirito evangelico. La sua figura affascinò una lunga schiera di uomini di cultura (Pico della Mirandola, Guicciardini, Michelangelo e molti umanisti). La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro Fuori dalla corte medicea l'umanesimo italiano si diffonde soprattutto a Venezia, Ferrara e Napoli. Offre altri due esempi altissimi: il poema cavalleresco di Boiardo, che opera presso la corte ferrarese degli Este, e la letteratura pastorale di Sannazaro, vero maestro della corte aragonese a Napoli. Nell'Italia settentrionale ebbero importanza la corte di Milano, ove operarono i grandi artisti fiorentini Bramante e Leonardo da Vinci e vissero gli scrittori Antonio Loschi (1368-1440) e Francesco Filelfo, e quella degli Estensi a Ferrara, resa illustre dalla presenza di poeti come Tito Vespasiano Strozzi (1424-1505), Pasquale Collenuccio (1447-1492), autore di belle Rime petrarchesche, Nicolò da Correggio (1450-1508), che scrisse il dramma la Fabula di Cefalo (1487) e soprattutto M.M. Boiardo. Particolare importanza, soprattutto nelle arti, ebbe il contributo di Venezia: in campo letterario non vanno dimenticati Francesco Barbaro (1390-1454), autore di un interessante trattato De re uxoria (Sul matrimonio, 1416) sul matrimonio e l'educazione dei figli; Leonardo Giustinian (1388-1446), dottissimo patrizio autore di orazioni in latino e di poesia lirica in volgare (gli Strambotti, diffusi dal 1474). Venezia, inoltre, fu il ponte naturale tra cultura greca e civiltà latina e il primo centro editoriale italiano, grazie a uno sviluppo rapido e di grande qualità del nuovo strumento della stampa: il più prestigioso editore dell'epoca fu l'umanista veneziano Aldo Manuzio (1450-1515). Un rilievo particolare nel centro Italia ebbe la corte di Urbino, soprattutto sotto il duca Federico di Montefeltro e naturalmente Roma, dove operarono tra gli altri Giulio Pomponio Leto (1428-1497), fondatore dell'Accademia pomponiana, e Bartolomeo Sacchi detto il Platina (1421-1481), primo prefetto della Biblioteca Vaticana. Figure di grande rilievo illustrarono l'umanesimo napoletano, sviluppatosi sotto la protezione della dinastia aragonese; il centro organizzativo fu l'Accademia fondata dal Panormita (Antonio Beccadelli, 1394- 1471) e diretta successivamente da Pontano (1429-1503), ma la figura di maggiore spicco è Sannazaro. Importante la produzione novellistica di Masuccio Salernitano. Boiardo Matteo Maria Boiardo (1440 o 1441-1494), di Scandiano, presso Reggio Emilia, è l'autore del grande poema Orlando innamorato. Fu determinante nella sua formazione umanistica l'ambiente culturale ferrarese e la partecipazione alla vita mondana presso la corte estense. Nel 1463-64 compose i 15 Carmina de laudibus Estensis (Carmi in lode degli Este), che riprende motivi mitologici virgiliani, e le 10 egloghe dei Pastoralia. Nel 1476 iniziò il suo capolavoro, l'Orlando innamorato, e compose in latino gli Epigrammata, in cui sul modello di Marziale celebra la vittoria di Ercole I contro il cugino Niccolò che aveva ordito una congiura ai suoi danni. Nel 1480 divenne governatore di Modena e nel 1487 capitano di Reggio Emilia, carica che tenne sino alla morte. In quegli anni compose le Egloghe volgari e la commedia in 5 atti Timone. Tra le opere volgari figurano anche gli Amorum libri tres (o Canzoniere), incentrati sulla storia d'amore con Antonia Caprara e composti tra il 1469 e il 1476. Se Petrarca è il maestro a cui si rifà Boiardo, è stato osservato che la convergenza di più modelli (Virgilio, Tibullo, Ovidio, Properzio, Lucrezio, Claudiano, ma anche Dante e gli stilnovisti) e una nuova sensibilità umanistica rompono in queste poesie l'equilibrio petrarchesco, inserendovi elementi poetici eterogenei e originali. Tra questi, la visione stilizzata della natura, il gusto dei diminutivi e delle personificazioni e infine le figurazioni animalesche di marca cortese e siciliana. Oggi il Canzoniere di Boiardo viene unanimemente considerato il più bel canzoniere d'amore del Quattrocento italiano. L'"Orlando innamorato" Poema epico-cavalleresco in ottave, l'Orlando innamorato fonde i materiali del ciclo carolingio (sulle gesta di Carlo Magno e i suoi paladini) con quelli del ciclo bretone (sulle gesta e gli amori alla corte del re Artù) della letteratura francese ed è legato alla tradizione dei "cantari" di piazza. L'edizione completa del testo (che comunque rimase incompiuto) uscì nel 1495, un anno dopo la morte di Boiardo. Scritto in volgare ferrarese (ma si tratta di un ferrarese illustre con elementi desunti dal toscano letterario e arricchito da vari latinismi), il poema narra le vicende di Angelica, contesa e inseguita dai paladini cristiani Orlando e Ranaldo, entrambi innamorati di lei. Le vicende dell'inseguimento sono condizionate dai cambiamenti di sentimento di Angelica e Ranaldo che, per effetto magico della fonte dell'amore e del disamore a cui bevono, s'invaghiscono o si disamorano vicendevolmente. Ciò dà luogo a una vertiginosa serie di inseguimenti e di fughe incrociate. Dopo aver ucciso il re tartaro Agricane, Orlando rincontra Ranaldo, sfuggito all'incantesimo della fonte. Tra i due scoppia una furibonda lite. L'assedio di Parigi, posto dal re dei mori Agramante, convince però i due cugini rivali a ritornare in Francia per difendere i cristiani. Dopo un nuovo duello tra i due, Carlo Magno decide di consegnare Angelica al paladino che meglio avrà combattuto i saraceni. Nel frattempo nasce l'amore tra Ruggiero, uno dei cavalieri mori, e la guerriera cristiana Bradamante. Qui l'opera s'interrompe (stanza 26 del canto IX) e da qui riprenderà la narrazione Ariosto. La novità di Boiardo consiste nella fusione del ciclo carolingio e di quello bretone in unica linea narrativa in cui domina l'ideale umanistico dell'energia amorosa, capace di nobilitare (ma anche di spaventare) l'uomo; nella creazione di tipi psicologici assai vari, anche se in parte stilizzati. Attraverso la sovrapposizione dell'esperienza epica a quella lirica, Boiardo ha saputo interpretare la necessità del superamento dell'ideale astratto della letteratura amorosa in favore del mondo polifonico del poema moderno. Contrappunto dialettico dell'elemento umano sono gli elementi magici e "meravigliosi" inseriti nel poema e caratterizzati da un linguaggio ricco di Baldesar Castiglione Il "Cortegiano" Ma Castiglione è giustamente celebre per il trattato in 4 libri, scritto in forma dialogica e intitolato Il libro del Cortegiano. Lo iniziò verso il 1513-14 e lo pubblicò a Venezia nel 1528. Il Cortegiano è ambientato nell'anno 1506, quando l'autore immagina che presso la corte urbinate dei Montefeltro si riuniscano, intorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga, alcuni eletti personaggi (fra i quali storicamente riconoscibili sono Bembo, Bibbiena, Giuliano de' Medici). Nell'arco di quattro serate, attraverso le loro conversazioni, si delineano il ritratto psicologico, fisico e le regole di comportamento del perfetto uomo di corte. Nel primo libro ne vengono elencate le qualità fisiche e morali: nobiltà, esercizio nelle armi, conoscenza di tutte le arti liberali e così via. La lingua in cui si esprimerà il "cortegiano" (contrariamente alle tesi di Bembo) dovrà essere il volgare delle migliori corti, nobilitato dai termini più eleganti "d'ogni parte d'Italia". Nel secondo libro si descrivono i comportamenti del cortigiano ideale nelle più svariate circostanze: diplomazia, conoscenza dei giochi di società, opportuna scelta degli amici, capacità ironiche, spirito. Nel terzo libro si delineano i tratti ideali della "donna di palazzo", versione femminile del cortigiano: bellezza, devozione, intelligenza, moralità. Il quarto libro, dopo una prima parte ancora dedicata ai rapporti tra principe e cortigiano, si chiude con una lunga disquisizione filosofica sull'amor platonico, strumento fondamentale per la conoscenza del Sommo Bene. Lo stile del Cortegiano è improntato agli ideali rinascimentali di equilibrio, classicità e compostezza. Modello ideale di una pratica sociale e di una visione aristocratica del mondo, il Cortegiano ebbe da subito una grande fortuna presso le principali corti europee, che durò fino alla rivoluzione francese. La sua grandezza e quella del suo autore stanno nel porsi come coscienza critica di alcuni aspetti della condizione umana di ogni tempo. Ludovico Ariosto Ludovico Ariosto è la voce più elevata della poesia rinascimentale. L'Orlando furioso propone un visione moderna e insieme ideale della dignità umana; si offre come sintesi di un'eleganza narrativa che, comunque, mantiene in vita quella concretezza comica, se non addirittura ironica, tipica del racconto epico. Ariosto è l'esempio di un Rinascimento allegro e potente; è il modello di una letteratura perfetta, che sa equilibrare, quasi senza sforzo, musica, plasticità figurativa, nitore e ricchezza poetica. La commedia comica e la lirica latine furono gli ambiti privilegiati da Ariosto all'inizio della sua attività letteraria. Ancora in tarda età egli si cimentò con traduzioni di Terenzio e Plauto. Le sue prime due commedie (La cassaria, 1508, e I suppositi, 1509), inizialmente scritte in prosa, successivamente versificate, sono commedie di ambiente che, nell'osservazione minuta di vizi, virtù, intrighi ed equivoci umani, risentono anche del modello novellistico boccacciano. Macchinosa e meno interessante risulta la terza commedia (Il Negromante, 1520), in endecasillabi sdruccioli. La Lena (1528) è senza dubbio la più riuscita: si tratta di una commedia di carattere in cui trionfano le astuzie di due giovani innamorati sugli interessi di una corrotta coppia matura. Si suppone che Ariosto abbia cominciato a scrivere versi in volgare solo in età matura, forse all'inizio della sua relazione con Alessandra Benucci (1513, poi segretamente sposata nel 1527). Le sue Rime, sul modello petrarchesco e con influssi boiardeschi, constano di 41 sonetti, 12 madrigali, 5 canzoni e 27 capitoli in terza rima. Le sette Satire, scritte tra il 1517 e il 1524, in terzine sul modello delle epistole oraziane, rappresentano uno dei momenti più alti dell'arte poetica ariostesca: articolate in una sostanziale struttura dialogica di tipo epistolare, esse si rivolgono a personaggi reali a cui furono effettivamente inviate. Valutazioni, paragoni e inserti favolistici ne arricchiscono la vivace polifonia narrativa. L'importante epistolario (che consta di ben 214 lettere scritte tra il 1498 e il 1532) comprende soprattutto missive di carattere ufficiale in cui emergono i conflitti interiori dell'autore e la sua dimensione umana. L’Orlando Furioso Poema epico-cavalleresco in ottave, l'opera ebbe tre redazioni: 1516, 1521 (40 canti), 1532 (46 canti). L'autore cercò una lingua più uniforme ed equilibrata, vicina al fiorentino letterario, limitando gli eccessi regionalistici presenti nella prima edizione. Il fascino della lingua del Furioso risiede infatti nella felice coesistenza (armonizzata dal tessuto musicale del testo e dall'artificio metrico) di termini familiari e tecnici con l'insieme della lingua letteraria canonizzata. Il Furioso comincia proprio dalla fine del poema boiardesco, interrotto quando Re Carlo decide di consegnare Angelica a colui che meglio si sarà distinto nella battaglia contro i mori. La trama del poema non risponde a un'unità di azione e segue tre direttrici principali: l'azione epica, che funge da cornice, è incentrata sulla guerra tra cristiani e saraceni; l'azione sentimentale, invece, si muove intorno a Orlando, alla sua ricerca di Angelica, alla conseguente perdita del "senno" e al suo ritrovamento; infine, l'azione celebrativa è imperniata sui contrasti d'amore tra il moro Ruggiero e la valorosa guerriera cristiana Bradamante. Dalle loro nozze (e dalla conversione al cristianesimo di Ruggiero) avrà inizio la dinastia estense. Dalla narrazione principale si dipartono continuamente racconti minori (spesso introdotti da un personaggio), che costituiscono ulteriori centri focali dello svolgimento narrativo. Si comprende così la tecnica con cui le azioni sono intrecciate sia tra loro, sia rispetto alla vicenda generale. I rari interventi dell'autore in prima persona fungono così da elementi coordinatori e indicano il senso morale o psicologico delle azioni. L'infinita imprevedibilità della vita, lontana da qualsiasi centro stabile, viene espressa dalla struttura "aperta" del poema, che indica il passaggio dal teocentrismo medievale alla visione del mondo antropomorfica della nuova sensibilità umanistica. Il giudizio critico La grandezza di Ariosto nell'Orlando furioso sta nella profonda ironia e nel divertito distacco con cui riesce a operare l'armonica conciliazione delle contraddizioni umane in una superiore e in sé risolta contemplazione della natura umana. Il poema, già amato dai contemporanei, ebbe una grande fortuna critica per la capacità di esprimere lo spirito di un'epoca. Per Benedetto Croce Ariosto seppe armonizzare serenamente i contrasti del mondo. Per Italo Calvino l'Orlando furioso è un mirabile gioco combinatorio di percorsi e destini incrociati, simile all'errabondo movimento dell'esistenza umana. Niccolò Machiavelli Nato a Firenze nel 1469, ebbe una formazione umanistica quando la città di Lorenzo de' Medici era all'apice della potenza e del prestigio culturale. Dopo il rogo di Savonarola (1498), Machiavelli iniziò l'attività politica al servizio della Repubblica fiorentina come segretario dei Dieci di Balia, organo di governo della città. Svolse diversi incarichi diplomatici, dei quali stilò precisi resoconti: nel 1500 fu inviato presso Caterina Sforza, contessa di Forlì; nel 1501 fu in Francia; tra il 1502 e il 1503 si recò più volte presso Cesare Borgia, divenuto signore delle Marche e della Romagna (incontri dai quali trasse materiale per l'opuscolo Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vittellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini (1503). Nel 1503 fu mandato a Roma per seguire il conclave e nel 1504 si recò di nuovo in Francia presso Luigi XII. Intanto era cresciuto il suo peso politico: scrisse Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati (1503) e ottenne l'incarico (1505-09) di preparare la milizia della Repubblica. Anche in quegli anni Machiavelli continuò un'importante attività diplomatica: nel 1506 fu al seguito delle campagne militari di papa Giulio II e nel 1507-08 partecipò a una missione presso l'imperatore Massimiliano, al ritorno dalla quale stilò il Rapporto di cose della Magna (1508), rielaborato poi nel Ritratto delle cose della Magna (1512). Nel 1510 fece un terzo viaggio in Francia e ne trasse il Ritratto di cose di Francia (1510), penetrante indagine sulle caratteristiche politiche di quello Stato. Nel 1512 si ruppe l'equilibrio tra Francia e Spagna; a Firenze la Repubblica, alleata dei francesi, dovette capitolare ai Medici, che assunsero di nuovo il governo della città appoggiati dalla Spagna. Machiavelli fu allontanato da tutti gli incarichi e condannato al confino per un anno; sospettato poi di aver preso parte a una congiura antimedicea (1513), fu incarcerato, torturato e condannato a un nuovo confino. Amnistiato dopo l'elezione del papa Medici Leone X, si ritirò nel podere dell'Albergaccio, vicino a San Casciano, in Val di Pesa. In questo isolamento, di cui parla nella celebre lettera del 1513 allo storiografo e uomo politico F. Vettori, scrisse i suoi capolavori, in primo luogo il trattato Il Principe (1513-14), poi l'impegnativa riflessione storico-politica dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1515-17), i dialoghi De re militari (L'arte della guerra, 1521), e infine la Vita di Castruccio Castracani (1520). Scrisse anche opere di genere letterario: il Decennale primo e il Decennale secondo (1504-06 e 1516) in terzine dantesche, che cantano le vicende drammatiche d'Italia; il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua (1515-16) a favore del fiorentino; il poemetto satirico l'Asino (1518), su temi filosofici; la favola Belfagor arcidiavolo, o il demonio che prese moglie (circa 1518); e soprattutto la commedia La mandragola (1518), la cui rappresentazione in occasione di una festa medicea segnò una parziale attenuazione dell'ostilità dei signori nei confronti dello scrittore, che ricevette nuovi incarichi. Nel 1525 rappresentò a Firenze la commedia Clizia, storia grottesca di un amore senile, e concluse le Istorie fiorentine, pubblicate nello stesso anno. Poco dopo ottenne la revoca dall'interdizione dai pubblici uffici. La nuova guerra della Lega formata da papato, Francia e Firenze contro l'impero di Carlo V lo vide coinvolto in attività diplomatiche e militari; ma la Lega fu travolta (1527, sacco di Roma), i Medici cacciati e a Firenze fu restaurata la repubblica generale della Chiesa. Dopo il sacco di Roma (1527), venne rimosso dalle cariche che ricopriva.Tornato a Firenze, da cui nel frattempo erano stati cacciati i Medici, si dedicò all'attività letteraria: scrisse una parte dei Ricordi (1528) e opere storiche, come le Cose fiorentine (1528-31) e soprattutto le Considerazioni sopra i Discorsi del Machiavelli (1528), rilevanti per comprendere la sua concezione della politica. Bandito dalla città a causa delle sue simpatie medicee, prima si ritirò nella proprietà di Finocchieto e poi si rifugiò in Romagna presso Clemente VII. Quando nel 1530 la Repubblica fiorentina fu abbattuta, Guicciardini riprese i rapporti di collaborazione con il papa, che nel 1531 lo nominò governatore a Bologna e nel 1533 lo volle con sé in un viaggio a Marsiglia per incontrare il re di Francia. Si dedicò quindi all'organizzazione del potere mediceo a Firenze, ma poco alla volta venne emarginato: ritiratosi allora nelle sue proprietà, si dedicò sempre più al lavoro letterario e in particolare alla stesura del suo capolavoro, la Storia d'Italia, iniziata nel 1536 e non del tutto terminata quando lo colse la morte nella villa di Montici. I "Ricordi" Nessun'opera di Guicciardini fu pubblicata durante la sua vita: fra le altre, rimasero tra le carte di famiglia più di duecento pensieri e aforismi pubblicati nel 1576 con il nome di Avvertimenti e poi con il titolo ottocentesco di Ricordi. La stesura di queste brevi riflessioni coprì tutto l'arco della vita dello scrittore, dagli anni giovanili (la prima serie di pensieri risale addirittura agli anni spagnoli) fino al 1530. Guicciardini riflette sulla "ruina d'Italia" con una lucidità che esclude ogni riferimento a modelli e teorie: non cerca e non accetta spiegazioni e interpretazioni universali della realtà politica. Egli è convinto che, in linea di massima, i rapporti umani siano caratterizzati da una negatività raramente modificabile e che quindi il risultato di ogni azione politica sia determinato più da mutamenti in superficie che da iniziative che pretendono di agire sui meccanismi profondi del processo storico. A essi si deve abituare "il buon occhio del saggio" per esercitare la "discrezione", cioè la capacità di comprendere e sapersi orientare in mezzo alle infinite variazioni che si propongono allo sguardo di chi deve guidare la cosa pubblica. In questo quadro l'obiettivo da perseguire è costituito dal "particulare", che riguarda sia la sfera personale e si identifica con il "decoro" (cioè la reputazione e l'onore personali e familiari), sia il campo politico, in cui si realizza come il migliore equilibrio possibile tra le violente e oscure forze contrastanti. Il "particulare" non è quindi la trasformistica capacità di fare comunque i propri interessi (come a lungo è stato interpretato), quanto la salvaguardia della propria dignità in tempi di crisi in cui non si riescono a realizzare alti ideali collettivi. La "Storia d'Italia" Questa concezione dell'agire umano è il risultato di una drammatica sconfitta non solo di una politica o di una strategia militare, ma di tutta una civiltà. La Storia d'Italia (20 libri) fu pubblicata, con numerosi tagli censori, a Firenze nel 1561 e più completa a Venezia nel 1564. Il periodo considerato è relativamente breve: dal 1492 (morte di Lorenzo il Magnifico) al 1534 (morte di Clemente VII, l'ultimo papa Medici). In questi decenni si passò dalla prosperità e dall'equilibrio del tardo Quattrocento alla rovina totale, drammaticamente rappresentata dal sacco di Roma (1527) da parte delle truppe dell'Impero, raccontato da Guicciardini in pagine di alto valore letterario. Egli individua i principali responsabili di tale disastro in Ludovico il Moro e in papa Alessandro VI, che, mossi da un irrefrenabile desiderio di potenza, chiamarono in Italia gli eserciti stranieri. Più in generale la narrazione mette in risalto il percorso di violenza, di presunzione, di cecità dei principi italiani che si illusero di saper controllare e utilizzare per i propri piccoli interessi dinastici o territoriali forze di gran lunga più potenti di loro. Da queste vicende Guicciardini ricava la convinzione che non è più possibile ragionare in termini campanilistici, in quanto le cause della rovina di ogni singolo stato italiano derivano dalla crisi di tutto il sistema politico. Così dallo studio del passato nasce una riflessione politica proiettata nel futuro: l'identità storico-culturale d'Italia ha bisogno di realizzarsi in un organismo unitario, che egli pensa di tipo federale. Ma Guicciardini non si illuse che ciò potesse avvenire in tempi brevi: nel suo radicale pessimismo egli avvertì costantemente lo scarto tra le teorizzazioni della ragione e la resistenza opposta dalla realtà. Unica opera che Guicciardini scrisse per la pubblicazione, la Storia d'Italia presenta una lingua di grande nobiltà formale, a cui non fu estraneo il confronto con le Prose della volgar lingua di Bembo. Torquato Tasso Il consolidamento delle monarchie assolute e il dominio della Spagna sull'Italia sono gli elementi di un periodo di grave crisi politico-culturale. Ancora più determinante lo sconvolgimento prodotto dalla Riforma protestante, entrata solo limitatamente in Italia, ma che si diffuse rapidamente nel Nord Europa. La Chiesa reagì convocando il concilio di Trento (1545-1563) con l'intento di una più rigida definizione dei dogmi. Il forte controllo della Chiesa non si esercitò soltanto direttamente (per esempio, con l'Indice dei libri proibiti , pubblicato nel 1559) ma anche indirettamente, attraverso il lavoro di elaborazione della cultura cattolica. Interprete di questa drammatica crisi e delle contraddizioni dell'epoca fu Torquato Tasso. L’Aminta Questo dramma pastorale in cinque atti è la prima opera in cui Tasso rivela la propria grandezza poetica. Si incentra sull'amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia, ritrosa e scontrosa, che solo alla fine, mossa dalla pietà, si decide a riconoscere il proprio sentimento e ad accettare quello del pastore. Il contenuto dell'opera è piuttosto esile e si fonda su colpi di scena, come l'aggressione di un satiro ai danni di Silvia, liberata da Aminta, e su equivoci, come quello relativo alla notizia della morte apparente prima della ninfa, poi del pastore, che ha tentato il suicidio salvandosi all'ultimo momento. La conclusione felice è il coronamento di tante prove e la vittoria dell'amore. Ciò che conta non è la trama, ma l'esaltazione dell'età dell'oro compiuta dal poeta; essa è vista come la realizzazione del desiderio naturale in contrapposizione a un mondo in cui domina l'artificiosità dell'onore, la mancanza di sentimenti autentici. Il mondo dell'Aminta è una specie di paradiso terrestre non toccato dal peccato né tanto meno dalla consapevolezza di esso; è la dimensione in cui l'essere umano raggiunge la perfezione seguendo il proprio istinto naturale. La finzione pastorale permette al poeta di esprimere liberamente il proprio sogno di vita e di avvertirne la distanza incolmabile dalla società in cui vive. La Gerusalemme liberata Frutto di un lungo lavoro e di vere e proprie angosce, il poema (in 20 libri in ottave) muove dalla sostanziale accettazione dei precetti indicati nella Poetica di Aristotele per la poesia epica. Partendo dal principio delle finalità educative della poesia, Tasso si propone di narrare una vicenda che esalti il "meraviglioso cristiano", si fondi sulla storia (quella della prima crociata e della liberazione del Santo Sepolcro) e presenti elementi atti a stupire il lettore e a renderlo più disponibile ad accogliere la verità. L'argomento scelto aiuta a dividere nettamente la scena in due campi contrapposti, uno seguace del Bene, l'altro espressione del Male, a caratterizzare gli eroi, a riproporre la più classica delle vicende epiche, l'assedio della città nemica. Il racconto si apre con l'intervento divino per invitare Goffredo a riportare l'unità tra le schiere cristiane e a condurle sotto le mura di Gerusalemme per dar l'assalto finale alla città. In questo quadro entrano in gioco diversi elementi che rendono più fluida e poeticamente efficace la narrazione: in primo luogo il paesaggio, composto di tinte sfumate, di notturni carichi di fascino, di aspetti al tempo stesso accoglienti e minacciosi, capaci di rappresentare lo stato d'animo profondo dei personaggi; poi la magia, suddivisa nettamente in positiva e negativa riguardo ai fini, ma rivolta a svelare la dimensione inconscia dell'animo umano, dove risiedono le paure, i sogni, i desideri erotici degli eroi; infine l'amore, che unisce in vari modi i destini di donne pagane e di cavalieri cristiani. L'amore per Tasso si congiunge per lo più a immagini di morte; ma nelle pagine che descrivono il giardino di Armida rivive, con una nota di erotismo più maturo, il sogno della perfezione dell'età dell'oro già evocato nell'Aminta. Ricapitolando I POEMI CAVALLERESCHI Materia carolingia e bretone. -L’Orlando innamorato, Boiardo, Orlando è in preda ad una passione amorosa, l’autore inserisce nell’epica d’ispirazione carolingia il motivo dell’amore. 1483 uscirono I primi due libri. -L’Orlando Furioso, Ariosto, avventure e vicende amorose durante la guerra dei Saraceni contro Carlo Magno (1505-1532). Ispiratosi a Boiardo. -Morgante, Luigi Pulci, 1461 al centro c’è il gigante Morgante, Orlando si imbatte in lui nelle sue avventure. Qui si tratta la materia carolingia arricchita da nuovi personaggi e da situazioni comiche. L’Orlando Furioso si basa su cicli carolingi e bretoni, ha struttura aperta perchè non ha un inizio e ha una fine parziale infatti dà l’idea che il poema possa continuare. Superato il poema cavalleresco si afferma il poema eroico, con la Gerusalemme Liberata di Tasso. Ha struttura chiusa come I poemi tradizionali, l’autore conosce già l’inizio, lo svolgimento e la fine. I temi sono religiosi e gran madre di ogni ingegnoso concetto" viene ricondotta alla conversazione "civile" e dunque poetica, con lo scopo di procurare piacere e infinita meraviglia. Uno stile internazionale Il Seicento fu contemporaneamente l'età cupa della dominazione spagnola e della Controriforma e l'età del progresso filosofico-scientifico, in cui si afferma definitivamente la teoria copernicana (1543) con gli studi di Keplero (1609) e di Galileo (1632). La fine della certezza antropocentrica, il crollo dell'unità religiosa, il sorgere prepotente nella scienza di un'idea di spazio scientifico infinito, la fortissima crisi dell'equilibrio classicistico imposto dal manierismo cinquecentesco sono le prospettive storiche in cui s'inquadra la grande stagione del barocco. Fu uno stile "internazionale": interessò tutte le nazioni e tutte le forme artistiche, dalla musica alla poesia e all'architettura. In un certo senso, il barocco fu il primo fenomeno di cosciente modernità, come se in un nuovo spazio simbolico si aprissero alla creatività umana nuove strade e nuove tecniche espressive. Il barocco italiano La nostra letteratura barocca è ferma a una risposta che non sa dare: quale modello si può proporre con l'esaurirsi di quel principio rinascimentale, e in particolare del Bembo, che aveva legato la letteratura a una prospettiva ideale? Cosa vuol dire essere moderni, rinunciare a un sapere classicista? Per quanto l'esempio italiano, specie Marino e il marinismo, sia stato esportato in tutta l'Europa, non si può nascondere che il barocco letterario italiano risulta comunque una testimonianza di crisi culturale, il segno di una letteratura senza grandi libri. La crisi politica italiana, il peso della Controriforma sono certo cause di un disagio storico che sembra privo di soluzioni. La cultura nobiliare laica è afflitta da un individualismo tanto fazioso quanto servile; la cultura gesuitica, specie dagli anni '40, deve far prevalere il senso strumentale e "predicatorio" della cultura, quale controllo sociale. Le personalità migliori del nostro barocco sembrano casi isolati, quasi scardinati da una reale società letteraria. Fino alla fine del secolo, quando si affermerà in funzione antibarocca l'Arcadia, avremo un dibattito complesso ma anche confuso, spesso arenato in un groviglio di provincialismo e di intuizioni lasciate senza sviluppo, senza forza civile e culturale. Giambattista Marino I caratteri dell'opera di Marino Il carattere del lavoro di Marino è chiarito già da un'affermazione dello stesso poeta, che riguardo alle proprie vaste letture scriveva: "Imparai sempre a leggere col rampino, tirando al mio proposito ciò ch'io ritrovava di buono, notandolo nel mio zibaldone e servendomene a suo tempo". Marino è il poeta che reinventa e rinnova con un'esuberanza cromatica e figurativa mai vista nella nostra letteratura. Sembra aver superato senza ritorno il classicismo a favore di una curiosità infinita e sensuale, originalmente barocca. Le liriche della Lira sono una proliferazione di timbri e sonorità; la Sampogna è un esercizio di gusto inconsapevolmente "esotico" e svaporato; la Galeria poi forse il libro migliore di Marino rimane un incredibile tessuto di rifrazioni e annotazioni curiose. L'"Adone" Il libro di maggior successo fu comunque l'Adone. Con i suoi 40.000 versi è il più lungo poema della letteratura italiana. La vicenda che ne costituisce l'esile trama ha al centro l'innamoramento di Venere per il bellissimo giovane Adone. Marte, preso dalla gelosia, costringe il giovinetto a una serie di peripezie e alla fine ne provoca la morte a opera di un cinghiale. Lo svolgimento del mito ha tuttavia un'importanza relativa. Ciò che conta è il modo con cui esso viene raccontato e soprattutto l'infinita serie di episodi secondari, di spunti descrittivi (come quelli celebri del canto dell'usignolo o dell'elogio della rosa) sfruttati oltre ogni aspettativa; l'abilità nel trasformare aspetti allegorici in luoghi della fantasia, come il giardino del Piacere e l'isola della Poesia; e ancora l'infinita gamma di piani e di livelli con cui viene trattata la materia erotica che sta alla base del mito: si va dalle allusioni appena accennate alla narrazione audace e densa di particolari. L'Adone è un immenso coacervo di immagini, una "fabbrica delle meraviglie", un succedersi inarrestabile di metafore e sarebbe vano cercarvi un centro logico; la sua novità sta proprio nell'infrazione della regola classicistica dell'unità del poema eroico e nel recupero della narrazione affabulatoria dei grandi narratori di favole latini (Apuleio, Ovidio, Claudiano) ed ellenistici (Apollonio Rodio, Mosco e Bione). Alessandro Tassoni Il modenese Alessandro Tassoni (1565-1635), fra il 1599 e il 1603 fu a Roma al servizio del cardinale Ascanio Colonna, che accompagnò in Spagna (1600). Partecipò alla vita letteraria del tempo, aderendo alle Accademie della Crusca e degli Umoristi. Si mise al servizio di Carlo Emanuele I di Savoia, di cui appoggiò la politica antispagnola. Nel 1618 accettò l'incarico di "gentiluomo ordinario" del cardinale Maurizio di Savoia, figlio del duca Carlo Emanuele I; poi (1626) passò al servizio del cardinale Ludovico Ludovisi finché nel 1632 tornò a Modena, diventando poeta di corte di Francesco I. Nel 1608 pubblicò per la prima volta i Dieci libri di pensieri diversi, ripubblicati nel 1612 e, in redazione più ampia, nel 1620. I primi quattro trattano di scienza, i seguenti quattro di costume e di morale; il nono di Cose poetiche, istoriche e varie, mentre il decimo, aggiunto nel 1620, contiene un Paragone degl'ingegni antichi e moderni, il quale anticipa la disputa sugli antichi e sui moderni che, a partire dalla Francia, divise il mondo intellettuale del Seicento tra sostenitori del modello dei classici e fautori della libertà di ispirazione e di innovazione. Si tratta di un'opera erudita, indicativa dello spirito eclettico e curioso di Tassoni e della sua vena polemica, in questo caso rivolta a sgombrare il campo letterario dall'ossequio classicistico alle regole della Poetica aristotelica. Contro la moda dei canzonieri ispirati all'opera di Petrarca scrisse le Considerazioni sopra le Rime del Petrarca (1609-11), in cui analizza i caratteri dell'ispirazione del poeta per mettere al bando ogni principio di autorità a favore di una libera fantasia creatrice. Compose anche diversi scritti rimasti inediti di argomento filologico, dimostrando il suo interesse per lo studio dell'evoluzione della lingua. Interessanti le opere politiche: le due Filippiche contro gli Spagnuoli difendono i Savoia nella contesa tra questi e la Spagna per il Monferrato; lo stile è forte e vigoroso, animato da un sincero desiderio di libertà degli Stati italiani dalle potenze straniere. Tassoni e il poema eroicomico Il capolavoro di Tassoni resta La secchia rapita (iniziato fra il 1614 e il 1618); l'edizione definitiva apparve a Venezia nel 1630. Il motivo iniziale è fornito dalla tradizione leggendaria di "un'infelice e vil secchia di legno" rapita dai modenesi ai bolognesi. Il resto è tratto da vicende storiche diverse, usate dal poeta in tutta libertà e calate nell'ambiente municipale del tempo. Pervade tutto il testo una vena satirica, che si rivolge con forza contro i costumi morali, sociali e letterari contemporanei, talvolta scadendo nella polemica personale. I riferimenti al costume contemporaneo e alle persone reali sono mescolati con elementi fantasiosi in un anacronistico, mobilissimo quadro, dove il serio e il tragico s'intrecciano con il comico e il grottesco, in una dimensione rivelatrice del nuovo gusto barocco. Questa commistione di toni aulici e plebei indica il carattere sperimentale dell'opera e inaugura il "poema eroicomico", nato dalla crisi del poema cavalleresco umanistico (in cui serio e comico si integrano) e dalla presenza del nuovo modello della Gerusalemme di Tasso, in cui il poema eroico si chiude in una "serietà" tragica e religiosa. La secchia rapita propone un gioco sottilissimo quanto vivace di alternanza di serio e faceto. La comicità di Tassoni nasce soprattutto dallo scontro fra la volgarità del provincialismo italiano e le aspirazioni eroiche di molti personaggi, ancora profondamente legati agli ideali cortesi. Tassoni non fa parodia, né accede alla malinconia per un mondo perduto. La sua lingua è vibrante, nella testimonianza comica eppure seria dello strazio politico italiano. Il poema eroicomico di Tassoni fu preso a modello da altri scrittori con esiti molto inferiori. Il settecento Il Settecento è l'età dei "lumi", l'epoca dell'illuminismo, delle nuove esigenze razionali e della prima rivoluzione industriale. In tutta l'Europa si sviluppa una nuova idea di modernità, che si basa sul senso laico della cultura, sulla ricerca di una nuova e maggiore comunicatività del pensiero. La rivoluzione americana (1775) e francese (1789) generano il nuovo Stato borghese. In Italia l'illuminismo è quasi sempre mediato da una perdurante eredità classica. L'Arcadia, Metastasio, persino l'opera rigorosa di Parini, come il gusto neoclassico di fine secolo, perseguono un equilibrio tutto italiano fra ricerca razionale, reazione antibarocca e recupero del miglior classicismo della tradizione. L'opera storiografica e critica appare più complessa: Muratori e Vico sono i fondatori di una nuova filosofia della storia. Solo a metà secolo l'illuminismo italiano trova un carattere originale soprattutto in area lombarda (l'esperienza della rivista "Il Caffè" e il pensiero di Beccaria), sebbene di grande rilievo risulti anche il pensiero dei meridionali A. Genovesi e F. Galiani. È nel teatro che la letteratura settecentesca dà gli esiti più innovativi: Goldoni a Venezia riforma la commedia in senso borghese; Alfieri rinvigorisce la tragedia portando sulla scena l'odio per ogni forma di tirannide. A cavallo fra Settecento e Ottocento, nell'epoca della rivoluzione francese e canovacci, che preannunciano la volontà di giungere alla stesura completa del testo teatrale. La riforma del teatro La prima commedia scritta interamente, in modo da costrui-re lui stesso il carattere e lo spessore psicologico dei personaggi e portare sulla scena la realtà e non la sua caricatura filtrata attraverso gli stereotipi delle maschere della commedia dell'arte, fu La donna di garbo (1743). Nel 1744 si stabilì a Pisa e vi rimase per alcuni anni. Scrisse Tonin bellagrazia e I due gemelli veneziani; nel 1745 scrisse Il servitore di due padroni; nel 1748, L'uomo prudente e La vedova scaltra (che fu uno straordinario successo). Nel 1749, dopo la messa in scena della commedia La putta onorata, sottoscrisse con la compagnia Medebach, che recitava al teatro Sant'Angelo di Venezia, un contratto di quattro anni, con l'impegno di produrre dieci testi l'anno (di cui otto commedie). Tra le prime opere troviamo Il cavaliere e la dama, La buona moglie e La famiglia dell'antiquario (1749). Presto cominciarono le critiche al teatro goldoniano, soprattutto a opera dell'abate P. Chiari, accentuate dall'insuccesso toccato, nel carnevale del 1750, a L'erede fortunata. Per la stagione 1750-51 si impegnò a scrivere ben sedici commedie, fra le quali alcuni capolavori: Il teatro comico; La bottega del caffè; Il bugiardo; Le femmine puntigliose; La Pamela; L'avventuriero onorato; La dama prudente; I pettegolezzi delle donne. Nel 1751 venne pubblicato il primo tomo della raccolta delle sue Commedie. Divenuto celebre, Goldoni propose i suoi testi anche fuori Venezia: a Bologna furono rappresentate L'amante militare; Il feudatario; La serva amorosa (1752). Nel 1753 fece rappresentare La locandiera e Le donne curiose. Alla fine del 1753, forse per disaccordi economici, Goldoni non rinnovò il contratto con il teatro Sant'Angelo (che assunse P. Chiari) e ne stipulò uno triennale con il teatro rivale, il San Luca: tale scelta, rinfocolando le polemiche tra i due autori, condizionò in maniera significativa la produzione di Goldoni, che nel 1754-55 compose soprattutto drammi giocosi di facile successo: La sposa persiana; La cameriera brillante; o attenti alle figure della cultura borghese: Il filosofo di campagna; Il filosofo inglese; Il medico olandese. Nel febbraio 1756 tornò alla grande commedia dialettale con Il campiello, seguito da altre opere di rilievo: Le morbinose (1758); I morbinosi (1759); I rusteghi (1760); Gl'innamorati (1760); La guerra (1760); L'impresario delle Smirne (1760); e ancora, nella stagione 1760-61, scrisse Un curioso accidente, La donna di maneggio, La buona madre. La sua fama era ormai grande, anche se aumentavano le polemiche. Quando nel 1761 la "Comédie italienne" gli rivolse l'invito di lavorare a Parigi, Goldoni accettò con piacere. Onorò comunque il nuovo contratto con il teatro San Luca scrivendo una serie di capolavori: nel 1761 La casa nova, la Trilogia della villeggiatura (Le smanie per la villeggiatura; Le avventure della villeggiatura; Il ritorno dalla villeggiatura); nel 1762 Sior Tòdero brontolon, Le baruffe chiozzotte, Una delle ultime sere de carnovale, con cui diede un melanconico, appassionato addio al suo pubblico. Gli anni parigini Il primo impatto con la nuova situazione fu deludente: la "Comédie italienne" non intendeva applicare i principi della riforma goldoniana, ma richiedeva all'autore veneziano l'impulso per rinnovare la tradizione della commedia dell'arte. Così Goldoni scrisse gli scenari della Trilogia di Arlecchino (1763), affidati poi all'improvvisazione degli attori; presto tornò a comporre anche intere commedie: nel 1763 Gli amori di Zelinda e Lindoro; nel 1765 Il ventaglio. A esse si aggiunsero due lavori in francese Il burbero benefico (Le bourru bienfaisant, 1771) e L'avaro fastoso (L'avare fastueux, 1776). Il peggioramento delle condizioni di salute lo costrinse a limitare l'attività. Nel 1778 venne stampata tutta la sua opera teatrale. Nel 1784 iniziò la stesura delle Memorie (Mémoires), che concluse nel 1786 e pubblicò nel 1787 con la dedica al re Luigi XVI. Nel 1792 il governo rivoluzionario gli tolse la pensione reale che aveva ottenuto nel 1769. Morì l'anno dopo. Il mondo di Goldoni Nella Prefazione al primo tomo delle Commedie (1750) Goldoni parla del libro del Mondo e di quello del Teatro. "Il primo mi mostra tanti e poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale, che paion fatti apposta per somministrarmi abbondantissimi argomenti di graziose e istruttive Commedie". A ispirare Goldoni è dunque la società civile, quella che viveva a Venezia nelle case borghesi. Il suo punto di riferimento è la rappresentazione realistica del ceto medio e di una morale più umana e concreta. Una prova è anche la sua riflessione sulla comicità: l'effetto comico nasce dal vedere "effigiati al naturale, e posti con buon garbo nel loro punto di vista, i difetti e 'l ridicolo che trovasi in chi continuamente si pratica, in modo però che non urti troppo offendendo". Nel Campiello, per esempio, scritto in veneziano e in versi, sono rappresentati gli amori, i risentimenti, le liti, le chiacchiere che si svolgono in una piazzetta veneziana in un giorno di carnevale. Nella Locandiera, scritta in italiano, Mirandolina, la protagonista, padrona di una locanda (corteggiata da due nobili, che essa tiene a debita distanza, e disprezzata dal Cavaliere, che sostiene di odiare le donne) si propone di conquistare quest'ultimo con il suo fascino fino a farlo invaghire follemente. Ma alla fine lo umilia di fronte a tutti, sposando Fabrizio, il cameriere della locanda. Nei Rusteghi (1760), in veneziano, entrano in conflitto per la pretesa di Sor Lunardo di combinare il matrimonio della figlia senza informare gli interessati le pretese di quattro mercanti nemici giurati delle novità e tenaci assertori del potere dei padri e dei mariti e le aspirazioni delle donne e dei giovani che vogliono vivere la loro vita in una festosa serenità. Il tema dello scontro tra un vecchio abbarbicato al passato e una donna, Marcolina, volitiva e aperta alle novità, si ripropone in Sior Tòdaro brontolon (1762), scritta in veneto. Nelle Baruffe chiozzotte (1762, scritte in veneziano e chioggiotto) i personaggi sono pescatori di Chioggia, tra i quali per qualche scherzo scoppiano liti tanto profonde da finire in tribunale, dove il "cogitore" Isidoro, figura in cui è adombrato Goldoni stesso, dirime le questioni e riporta la buona armonia. Goldoni tuttavia non aspirò mai a cambiamenti radicali, ma a una civiltà più gentile e rispettosa dei diritti, nella quale tramontassero le consuetudini "rusteghe" in favore di rapporti basati sulla lealtà, sul riconoscimento della sfera dei sentimenti, tenuti a freno però dalla ragionevolezza. Giuseppe Parini Nato a Bosisio (oggi Bosisio Parini), presso Lecco, Giuseppe Parini (1729-1799) è il modello di poeta classicista, che media ragione e grazia, bellezza e dignità morale. Fu assunto come precettore in casa dei duchi Serbelloni, dove poté dedicarsi alla poesia (di cui già aveva dato alcune prove pubblicando Alcune poesie di Ripano Eupilino, 1752, di ispirazione prettamente arcade) e agli studi letterari incoraggiati dall'illuministica Accademia dei Trasformati, a cui era stato ammesso nel 1753. In Accademia lesse alcuni testi satirici tra cui il Dialogo sopra la nobiltà (1757); il Dialogo sopra le caricature (1759); Lettere del conte N. N. a una falsa divota (1761) e un'importante dichiarazione di poetica, il Discorso sopra la poesia (1761), in cui fondeva i principi dell'estetica sensistica con un sobrio gusto classicistico. Quasi contemporaneamente pubblicò le prime Odi di contenuto civile: La vita rustica (1757); La salubrità dell'aria (1759); La impostura (1761). Licenziato dai Serbelloni nel 1762 per aver preso le difese di una cameriera maltrattata, Parini fu assunto per due anni dal conte Giuseppe Maria Imbonati, esponente dell'aristocrazia illuminista, come precettore del figlio Carlo, per il quale scrisse l'ode L'educazione (1764). In questi anni Parini compose il suo capolavoro, le prime due parti del poemetto satirico Il giorno: il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765). Il notevole successo dell'opera impose il poeta all'attenzione dei rappresentanti del governo riformatore di Maria Teresa d'Asburgo, soprattutto del conte Firmian, che prima gli affidò la direzione della "Gazzetta di Milano" (1769) e poi lo nominò professore di belle lettere al Regio Ginnasio di Brera (1773). Parini scrisse un'opera teatrale di modesta qualità (l'Ascanio in Alba, 1771), che fu musicata da Mozart; produsse testi didattici (Sui principi generali delle belle lettere applicati alle belle arti, 1773-75) e sulla riforma scolastica (Sul decadimento delle belle lettere e delle belle arti, 1773). Ma soprattutto si dedicò a un'intensissima produzione poetica, spesso d'occasione, in cui acquistarono particolare rilievo una nuova serie di Odi (1791), di contenuto sociale e morale, tra le quali vanno ricordate: L'innesto del vaiolo (1765); Il bisogno (1766); Le nozze (1777); La laurea (1777); La caduta (1785); La recita dei versi (1786); Il pericolo (1787); La magistratura (1788); Il dono (1790); La gratitudine (1791). Proseguì intanto, sia pure a rilento, la stesura delle due parti mancanti del Giorno, il Vespro e la Notte, che però rimasero ampiamente incompiute. Forse la poesia satirica era diventata estranea sia al gusto del poeta, attratto dal neoclassicismo (A Nice, 1793; Alla Musa, 1795), sia alla sensibilità dei tempi, dominati dalle vicende della rivoluzione francese, verso la quale il giudizio di Parini fu severo (A Silvia. Sul vestire alla ghigliottina, 1795). Morì nel 1799. "Il giorno" L'opera fu pubblicata integralmente solo nel 1801 a cura di Francesco Reina. La struttura del poemetto consiste nella descrizione particolareggiata della giornata di un "giovin signore", attraverso i consigli che l'autore, presentatosi come "precettor d'amabil rito", gli offre perché possa sempre fare onore al suo rango. Prima si assiste alla descrizione del risveglio del giovane eroe, nel tardo mattino, e subito congeniale a Monti, che si dedicò a una produzione poetica celebrativa del potere pontificio: La bellezza dell'universo (1781) per le nozze di Luigi Braschi, nipote del papa, la Feroniade (pubblicata postuma nel 1832) per esaltare con una visionarietà "allucinatoria" il progetto di risanamento delle paludi Pontine e la celebre Ode al signor di Montgolfier (1784), che canta il primo volo in pallone aerostatico. Monti si cimentò con successo anche nel teatro, scrivendo due tragedie, l'Aristodemo (1786) e il Galeotto Manfredi (1788). Nel 1791 si sposò con la bellissima Teresa Pikler. Nel 1793 avviò la Bassvilliana, in terzine dantesche (notevole per intensità visionaria e facilità narrativa), in cui, prendendo spunto dall'assassinio a Roma del rivoluzionario francese J. Hugou, detto Bassville, convertitosi in punto di morte, condanna gli orrori della rivoluzione francese e celebra la grandezza della fede redentrice. Negli anni successivi, però, mostrò una moderata simpatia per la rivoluzione: sospettato dall'autorità romana, fu costretto a fuggire a Milano sotto la protezione di Napoleone. A Milano divenne poeta ufficiale del nuovo potere napoleonico. Esaltò Napoleone nel Prometeo (1797), nell'ode Per la liberazione d'Italia (1801) e ancora nel poemetto In morte di L. Mascheroni (1801) e nella tragedia Caio Gracco (1802). Sempre più inserito negli ambienti ufficiali del regime, celebrò la gloria dell'imperatore dei francesi in vari componimenti poetici d'occasione, con ampi riferimenti al mito greco. Fu ricompensato con la nomina a poeta del governo italiano (1804) e a storiografo del Regno d'Italia (1806). L'indiscussa egemonia sull'ambiente letterario milanese fu rafforzata dalla pubblicazione della traduzione dell'Iliade (1810), da lui compiuta su traduzioni latine, poiché conosceva poco il greco. Il risultato della versione è comunque esaltante: una lingua precisa e luminosa, un sentimento epico che sa alternare malinconia, epos e narrazione in toni quasi dolci e familiari. Alla caduta di Napoleone Monti si schierò subito con i vincitori, ai quali dedicò le azioni teatrali Il mistico omaggio (1815); Il ritorno d'Astrea (1816); Invito a Pallade (1819). Il governo asburgico cercò di utilizzarne l'indiscutibile prestigio nominandolo direttore della rivista letteraria "Biblioteca italiana", ma Monti si trovò a essere progressivamente emarginato. Partecipò comunque con vivo interesse al dibattito sulla questione della lingua con la Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca (1817-26), scritta in collaborazione con il genero Giulio Perticari, assumendo una posizione critica nei confronti del purismo più radicale. Diede il proprio contributo alla grande polemica sul romanticismo con lo scritto Sermone sulla mitologia (1825), in difesa del valore poetico dei miti classici (la "meraviglia" e il "portento" delle favole mitologiche contro "al nudo arido vero"). La sua ultima opera, scritta a più di settant'anni, Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler (1826) è un testo ricco di sensibilità e di una melanconia sapientemente costruita ma non soffocata dall'eleganza neoclassica. Il giudizio critico Il dato più evidente della personalità di Monti è senza dubbio la sua plateale disponibilità a cambiare collocazione politica; anche in un periodo di grande travaglio come quello rivoluzionario e napoleonico, in cui tutti gli equilibri ideali, politici e militari vennero continuamente messi in discussione, è sconcertante osservare la sua totale mancanza di coerenza. Bisogna comunque dire che il poeta romagnolo espresse a suo modo una forma di coerenza, incentrata sul ruolo che egli aveva scelto per sé fin dall'inizio: il ruolo del poeta di corte, del letterato fedele alla tradizione del Cinquecento e soprattutto del Seicento. Ebbe così un gran merito: creare un "classicismo borghese italiano", il carattere di una cultura finalmente nazionale, definita rispetto allo stile neoclassico internazionale. Ugo Foscolo Ugo Foscolo è il poeta che meglio ha rappresentato il travaglio e la maturazione di una nuova letteratura fra neoclassicismo e proposta romantica, tesa alla ricerca di un proprio carattere "italiano". Nacque nel 1778, primo di quattro fratelli, da Andrea, medico veneziano, e da Diamantina Spathis nell'isola greca di Zante. Egli mutò il proprio nome di Nicolò in Ugo nel 1795, per simpatia verso Ugo Bassville, un rivoluzionario francese ucciso a Roma. La prima giovinezza La famiglia, divisasi dopo la morte del padre (1788), si ricompose a Venezia nel 1793. Qui Foscolo poté completare la sua preparazione scolastica, ricca soprattutto di letture di classici greci, latini e italiani, e aperta anche all'influenza degli illuministi francesi, in particolare di J.-J. Rousseau. Nel 1795 Foscolo esordì nel salotto letterario della contessa Isabella Teotochi Albrizzi (con la quale ebbe una relazione d'amore). Nel 1797 fu rappresentata la sua tragedia Tieste (1796). Inquisito dal governo veneziano, fuggì a Bologna, pubblicò l'Ode a Bonaparte liberatore e si arruolò nell'esercito napoleonico. Caduto il regime conservatore, rientrò a Venezia, dove ebbe l'incarico di segretario della municipalità. Gli anni milanesi Nell'ottobre del 1797 con il trattato di Campoformio Napoleone cedette Venezia all'Austria: Foscolo, deluso, si trasferì a Milano in volontario esilio. Qui entrò in contatto con i principali letterati italiani: incontrò Parini, collaborò con M. Gioia alla redazione del "Monitore italiano", fece amicizia con Monti, della cui bellissima moglie, Teresa Pikler, s'innamorò perdutamente. Nel 1798 iniziò a stampare a Bologna i primi capitoli del romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, che l'editore Marsigli pubblicò nel 1799, in un testo tagliato e concluso malamente, contro la volontà dello stesso Foscolo. A causa dell'avanzata dell'esercito austro-russo, tornò a combattere nella Guardia Nazionale; nel 1799 venne ferito a Cento; in seguito partecipò alla difesa di Genova, città ove scrisse l'ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. La vittoria di Napoleone a Marengo (1800) gli consentì di tornare a Milano. Nel dicembre del 1801 Foscolo fu colpito dal grave dolore per il suicidio del fratello Giovanni. Fino al 1803 visse anni di grandi passioni e d'intensa attività creativa. Amò ardentemente Isabella Roncioni, alla quale dedicò dei sonetti (1801); a lei si ispirò per tratteggiare la figura di Teresa, protagonista dell'Ortis, alla cui stesura tornò a dedicarsi. Il romanzo, completamente rifatto, fu pubblicato in una prima edizione integrale nel 1802; ne seguirono altre due, entrambe ancora rivedute, nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra. Di grande importanza sentimentale fu anche la relazione con Antonietta Fagnani Arese, a cui dedicò l'ode All'amica risanata (1802). In ambito politico si distinse con l'Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione (1802), coraggioso atto di opposizione alla politica francese nei confronti dell'Italia. Nel 1803 pubblicò l'edizione definitiva delle Poesie di Ugo Foscolo (1803), composte da dodici sonetti e da due odi, e concluse il lavoro filologico sulla Chioma di Berenice, poema di Callimaco, tradotto da Valerio Catullo e illustrato da U. Foscolo, in cui è esposta la concezione della poesia come sintesi "del mirabile e del passionato". Gli anni della maturità creativa Nel 1804 Foscolo partì per la Francia per partecipare alla progettata e mai avvenuta spedizione di Napoleone contro l'Inghilterra. Trascorse due anni per lo più a Valenciennes; qui dall'inglese Fanny Hamilton ebbe la figlia Mary Floriana, che presto però perse di vista e ritrovò nel 1822 in Inghilterra. Durante questi anni la sua produzione letteraria si limitò a traduzioni dal greco di passi dell'Iliade e dall'inglese del Viaggio sentimentale di L. Sterne. Nel 1806 tornò in Italia e dopo dieci anni di lontananza si recò prima a Milano e poi a Venezia per rivedere la madre. Fu ospite di Isabella Teotochi Albrizzi e incontrò Pindemonte: dai colloqui con costoro trasse l'ispirazione che poi sviluppò nel carme Dei sepolcri, scritto tra il 1806 e il 1807 e pubblicato a Brescia nel 1807, il cui immediato successo (oltre che l'intervento di Monti) valse al poeta la cattedra di eloquenza presso l'università di Pavia (1808). Nel gennaio del 1809 vi tenne una prolusione, ricca di accenti patriottici, Dell'origine e dell'ufficio della letteratura, e nei mesi successivi alcune lezioni; ma per ragioni politiche la cattedra venne presto soppressa. I dissapori generati da questa vicenda contribuirono a isolare Foscolo negli ambienti culturali vicini al regime, fino alla clamorosa rottura con Monti. Amareggiato dall'insuccesso alla Scala della sua tragedia Ajace (1811), interpretata da molti come un attacco a Napoleone, nell'estate del 1812 Foscolo lasciò Milano e si trasferì a Firenze; qui nella villa di Bellosguardo visse più di un anno in un clima sereno, coinvolto in numerose vicende sentimentali (tra cui quelle con Eleonora Nencini e con Quirina Mocenni Magiotti) e accolto nel salotto della contessa d'Albany, vedova di Alfieri. Fu intensa anche la sua produzione letteraria: pubblicò la tragedia Ricciarda (1813) e la traduzione del Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia accompagnata dalla Notizia intorno a Didimo Chierico (1813), ma soprattutto lavorò alla stesura di consistenti passi del poema Le Grazie. L'esilio in Inghilterra Nell'inverno del 1813, dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Foscolo tornò a Milano, dove ben presto fecero ritorno gli Asburgo. Gli austriaci gli offrirono la direzione del periodico che poi sarebbe stato la "Biblioteca italiana", aperto ai contributi della cultura italiana. Egli si dimostrò interessato al progetto, ma al momento di prestare giuramento, il 30 marzo 1815, fuggì in Svizzera. Ricercato dalla polizia, fu costretto a nascondersi, finché nel settembre del 1816 decise di trasferirsi in Inghilterra. A Londra fu accolto dagli ambienti intellettuali con grande stima, presto incrinata da tenaci inimicizie, specie con altri esuli italiani. I primi anni del soggiorno inglese furono abbastanza creativi: tornò a lavorare interessi per meglio comunicarli a un più largo pubblico. Approdò al romanzo, scrivendo, fra il 1821 e il 1823, il Fermo e Lucia, ma vi rimise presto mano, operandone una radicale revisione strutturale e formale, e lo pubblicò a Milano (1825-27) con il nuovo titolo I promessi sposi. Dopo ulteriori correzioni linguistiche, seguite a un soggiorno fiorentino nel 1827, il romanzo assunse la veste definitiva nell'edizione a dispense illustrate che uscì a Milano nel 1840-42. Scemato il fervore creativo, Manzoni si applicò in prevalenza a problemi di teoria estetica e linguistica e a studi storiografici (dal Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia del 1822, funzionale all'Adelchi, alle ricerche in margine ai Promessi sposi, da cui si venne separando l'indagine sul processo agli untori della Colonna infame, perfezionata come appendice al romanzo nel 1842). Manzoni tornò sulle questioni estetiche con il discorso Del romanzo storico e, in genere, de' componimenti misti di storia e d'invenzione (steso attorno al 1830 e pubblicato nel 1845), con il dialogo Dell'invenzione (1850), ispirato alle idee del filosofo e amico A. Rosmini, e ancora con le approfondite meditazioni linguistiche che sarebbero dovute confluire in un volume organico Della lingua italiana, rimasto incompiuto. Quanto pubblicato (la Lettera a Carena del 1846, la relazione al ministro Dell'unità della lingua e altri scritti del 1868) attesta, sul piano linguistico, il suo impegno risorgimentale. La vita pubblica e gli ultimi anni La vita di Manzoni si risolse nella sfera privata e fu segnata di lutti. Per la morte di Enrichetta (provata da dieci maternità) stese il frammento Il Natale del 1833, che, con l'incompiuto Ognissanti (e coi pochissimi versi d'occasione) rappresenta l'ultima prova poetica dopo la svolta del romanzo. Gli premorirono sei degli otto figli rimasti e la seconda moglie, Teresa Stampa (sposata nel 1840). La fede dello scrittore non ne uscì affievolita e non venne meno neppure l'interesse per le sorti dell'Italia, già documentato dal rifiuto di un'onorificenza austriaca nel 1838 e dalla firma dell'appello lanciato dai milanesi a Carlo Alberto nel 1848. Nel 1859 ricevette la visita di Garibaldi. Nel 1861 come senatore del Regno votò per Roma capitale, nel 1872 accettò la nomina a cittadino onorario di Roma nonostante l'ostilità del papa al nuovo Stato italiano. La sua morte, avvenuta a Milano nel 1873, fu occasione di solenni onoranze e ispirò la Messa da Requiem di G. Verdi. La produzione poetica Le poesie giovanili precedenti gli Inni sacri furono rifiutate da Manzoni, che rigettò forme e temi del neoclassicismo, estranei ai riscoperti valori cristiani. Un'inclinazione seria e pensosa si avverte però anche nelle rime giovanili, a partire dalle terzine del Trionfo della libertà (1801), animate da un fanciullesco entusiasmo giacobino. I versi sciolti dell'Adda (1803), pur dedicati a Monti, celebrano in realtà Parini, maestro della satira moralistica. Nel carme In morte di Carlo Imbonati (1805-06), lo scomparso indica al giovane l'esempio di Parini, Alfieri e Omero, portatori di una poesia eternizzante non meno che educatrice virtuosa. La grande svolta si profila con il progetto, rimasto incompiuto, di scrivere dodici Inni sacri per scandire l'anno liturgico, nella celebrazione del perenne ritorno della verità. Nei cinque composti (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste), Manzoni rinnova insieme materia e forma: sottrae la sua parola-preghiera all'usura della letterarietà, volge le spalle alla linea melodica petrarchesco-tassiana, attiva reminiscenze bibliche e adotta un linguaggio drammatico, sublime e colloquiale a un tempo. Lo stile "petroso" degli Inni, tutto riprese e riecheggiamenti interni, torna nelle odi civili, quasi a stabilire, a livello del suono e del ritmo, un'equazione fra riscatto nazionale e palingenesi religiosa. In Marzo 1821, la sinistra invocazione di un Dio biblico e guerriero è temperata dal tono pensoso e dalla dedica al poeta Th. Körner, caduto per la libertà tedesca. Nel Cinque maggio, la passione politica è riassorbita nella meditazione religiosa: di fronte alla morte di Napoleone, il poeta rinvia ai posteri il giudizio storico e affida all'imperscrutabile misericordia divina il giudizio morale. Le tragedie Nell'affrontare il genere teatrale, Manzoni sente il bisogno di confutare le riserve sul genere drammatico avanzate da moralisti religiosi o profani d'oltralpe; ne difende la funzione educativa e proclama la libertà dalle "regole" classicistiche (posizioni espresse nel 1820, in francese, nella Lettera a M. Chauvet sull'unità di tempo e di luogo nella tragedia e nella Prefazione al Carmagnola). I temi storici prescelti alludono anche alla situazione contemporanea dell'Italia divisa e soggetta (le guerre fra gli Stati italiani nel Carmagnola, la dominazione straniera nell'Adelchi). La prima tragedia, Il conte di Carmagnola, è contrassegnata da un pessimismo radicale, che non contempla prospettive provvidenziali. Il Carmagnola, già condottiero dei Visconti di Milano, passa al servizio di Venezia; sbaraglia i milanesi a Maclodio, ma cade in sospetto della Serenissima per la clemenza usata verso i vinti. Richiamato a Venezia con l'inganno, è condannato a morte e l'affronta dopo un travaglio che lo conduce dall'odio al perdono e alla fede. Se il Conte è il martire, il vero personaggio tragico è il senatore Marco, diviso fra l'amicizia per il Carmagnola e l'obbedienza alla ragion di stato. L'Adelchi è divisa anch'essa in cinque atti e scritta in versi, ma più complessa e corale. Vi si rappresentano gli avvenimenti successivi al ripudio da parte del re dei franchi Carlo Magno della moglie Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio e sorella di Adelchi. Carlo, chiamato in Italia dal papa, sorprende l'esercito nemico e lo vince. Si consumano in rapida progressione il tradimento di molti duchi longobardi, l'agonia dell'innocente e infelice Ermengarda, la catastrofe del regno di Desiderio e la morte sublime di Adelchi. Eroe solitario e puro, Adelchi si batte a oltranza per la sua stirpe "rea", ma alle ragioni della politica oppone le leggi della giustizia e della pietà. Adelchi ed Ermengarda scontano la loro superiore nobiltà d'animo; entrambi si avvicinano all'ora fatale come a un desiderato momento di pace, in cui la sventurata sorte terrestre diventa la condizione del riscatto di fronte al Salvatore. I promessi sposi La ricerca di un mezzo largamente comunicativo e adatto a trattare una materia complessa volge Manzoni dal teatro al romanzo, genere rilanciato con successo dalle narrazioni di argomento storico dello scozzese Walter Scott. La redazione Prima di porre mano alla narrazione, Manzoni fece ricerche scrupolose sulla Lombardia del '600, studiando la storiografia d'epoca (Giuseppe Ripamonti, Tadino), i moderni scritti economici e giuridici (M. Gioia, P. Verri) e attingendo infine a fonti documentarie, come le raccolte di gride pubbliche che cita nel romanzo in gustosi pastiches. Compiuto nell'autunno del 1823, il Fermo e Lucia resta però nel cassetto dello scrittore insoddisfatto della lingua adottata, eclettico miscuglio di forme letterarie (attinte dal vocabolario della Crusca) e di modi parlati (Manzoni conversava abitualmente in milanese e in francese). La scrittura del Fermo abbonda così di lombardismi, gallicismi, latinismi e arcaismi, apparendo insomma "goffa e affettata". Già nel marzo 1824 Manzoni riprende il lavoro, riducendo nella trama le parti più vistosamente romantiche (la fosca storia della Monaca di Monza, la cupa fine di don Rodrigo), e ritoccando sia la lingua, ritenuta astratta e artificiosa, a vantaggio della parlata toscana, sia lo stile, ricondotto a misure classiche e temperato dall'ironia. Neppure la redazione "ventisettana" (1825-27) dei Promessi sposi soddisfa pienamente l'autore, che si reca a Firenze per "sciacquare i panni in Arno". La nuova revisione sfocia nella redazione "quarantana" (1840-42), in cui, fra la lingua nazionale ma "morta" della tradizione scritta (toscano letterario) e quella popolare ma municipale della conversazione (dialetti), Manzoni trova una geniale mediazione nel fiorentino vivo della borghesia colta, fornendo così alla nuova Italia la base linguistica, il suo idioma nazional-popolare. La tematica Manzoni sceglie di applicarsi al genere del romanzo obbedendo a radicate esigenze estetiche ed etiche: l'arte deve avere per oggetto il vero, l'utile come fine e l'interessante come mezzo. Già nella poesia Manzoni aveva manifestato una predilezione per il "vero", compromesso dagli abbandoni fantastici o dalle evasioni idilliche. Anche le due tragedie avevano intenti educativi, in parte vanificati dal carattere elitario dei personaggi e dello stile, inadatto ai lettori comuni ai quali lo scrittore intende rivolgersi questa volta. Nel suo romanzo Manzoni decide di raccontare non le storie dei grandi personaggi, ma quelle oscure delle masse anonime di cui ricostruisce la vita quotidiana, promuovendo due umili popolani al rango di protagonisti. Un intreccio "inventato" ma verosimile si staglia su uno sfondo storico ben tratteggiato (il malgoverno spagnolo, la peste, la guerra) in cui agiscono personaggi reali (il cardinal Borromeo, la Monaca di Monza, l'Innominato) o figure emblematiche di gruppi sociali (bravi prepotenti, preti spaventati, cappuccini coraggiosi, politici intriganti, folle eccitate): l'amore contrastato fra un artigiano e un'operaia, ostacolati da un tirannello di provincia, viene alfine coronato grazie alla "conversione" di un potente bandito e ad alcuni eventi Naturalismo: Il naturalismo è una corrente letteraria che nasce in Francia nella seconda metà dell'Ottocento come applicazione diretta del pensiero positivista e che si propone di descrivere la realtà psicologica e sociale con gli stessi metodi usati nelle scienze sociali. Esso riflette in letteratura l'influenza della generale diffusione del pensiero scientifico, che basa la conoscenza sull'osservazione, sulla sperimentazione e sulla verifica. Lo scrittore cerca di esprimere la realtà nel modo più oggettivo ed impersonale possibile, lasciando alle cose e ai fatti stessi narrati, la descrizione del compito di denunciare lo stato della situazione sociale, evidenziando il degrado e le ingiustizie della società. Gli scrittori naturalisti abbandonano la scelta narrativa del narratore onnisciente, che sa tutto dei personaggi e che racconta la storia in terza persona, comune nel romanzo realista, sostituendola con una voce narrante che assiste ai fenomeni descritti, così come accadono. Principale scrittore: Emile Zola “Il romanzo sperimentale”. Emile Zola afferma che nell’opera d’arte naturalista l’artista deve limitarsi a registrare freddamente e impersonalmente I fatti, senza nessuna partecipazione emotiva. Verismo: Il Verismo è un movimento letterario nato in Italia all'incirca fra il 1875 e il 1895 ad opera di Giovanni Verga e Luigi Capuana con la collaborazione di altri scrittori. Il Verismo nasce sotto influenza del clima positivista, quell'assoluta fiducia nella scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca che si sviluppa e prospera dal 1830 fino alla fine del XIX secolo. Inoltre, il Verismo si ispira in maniera evidente al Naturalismo, un movimento letterario diffuso in Francia a metà ottocento. Per gli scrittori naturalisti la letteratura deve fotografare oggettivamente la realtà sociale e umana, rappresentandone rigorosamente le classi, comprese quelle più umili, in ogni aspetto anche sgradevole; gli autori devono comportarsi come gli scienziati analizzando gli aspetti concreti della vita, la realtà sociale, politica ed economica.Si sviluppa a Milano, allora il centro culturale più vivo della penisola, in cui si raccolgono intellettuali di regioni diverse; le opere veriste però rappresentano soprattutto le realtà sociali dell'Italia centrale, meridionale e insulare. Così la Sicilia è descritta nelle opere di Giovanni Verga, di Luigi Capuana e di Federico De Roberto; Napoli in quelle di Matilde Serao e di Salvatore Di Giacomo; la Calabria nelle opere di Nicola Misasi; la Sardegna in quelle di Grazia Deledda; Roma nelle poesie di Cesare Pascarella; la Toscana nelle novelle di Renato Fucini. Il verismo italiano presenta alcune differenze rispetto al Naturalismo , il verismo si concentra sulle realtà regionali e sulle problematiche del sud d’italia, I protagonisti delle opere sono infatti contadini pastori, pescatori, minatori spesso in lotta per la sopravvivenza. Un’altra differenza è costituita dalla visione pessimistica nei confronti della vita dei protagonisti rispetto all’ottimismo dei romanzi naturalistici . Gli autori del verismo sono convinti che la realtà non sia modificabile e questo comporta una visione molto pessimista. Ispirati dal positivismo, dal naturalismo e dal verismo: Federico de Roberto Giovanni Verga (1840-1922): Romanzi pre-veristi o scapigliati: Storia di una capinera Svolta verista:Nedda Raccolta di novelle: Vita dei campi, fantasticheria, Rosso Malpelo, La lupa(temi: istinto primordiale, ignoranza, amore morboso, mondo primitivo, violenza) , Prefazione all’amante di Gramigna novelle rusticane:La roba, Libertà, Cos’è il re. Queste novelle trattano un livello sociale leggermente superiore a quello di Vita dei campi. I protagonisti non lottano per la sopravvivenza ma per la “roba”, in nome della logica del denaro e dell’ascesa economica. Romanzi veristi: I malavoglia, Mastro don Gesualdo. I Malavoglia è il soprannome della famiglia Toscano, pescaatori di Aci Trezza. La loro barca si chiama la Provvidenza e abitano nella casa del nespolo, simbolo dell’unione del nucleo familiare. I Malavoglia scritto nel 1881, è il primo romanzo del ciclo dei vinti ed è considerato un capolavoro del verismo siciliano. Questo romanzo copre un’estensione temporale di 15 anni raccontando vicende che vanno dal 1863 al 1878, è capace di illuminare non solo le trasformazioni economico sociali che avrebbero comportato il boom di emigrazione di massa nel meridione ma anche le dinamiche di una piccola comunità e di una famiglia patriarcale . Scapigliatura Un movimento di rottura rispetto al passato e alla tradizione , rivolto al futuro e alle novità. Gli scapigliati sono attivi principalmente a Milano e sono il corrispettivo dei poeti maledetti francesi. Il fondatore sia del maledettismo che del simbolismo è Baudelaire. Il motto di questi poeti è scuotere I borghesi dal torpore attraverso la loro vita dissacrante, dissoluta, e tormentata, sintomo di disagio esistenziale. La poesia è caratterizzata dal gusto per il macabro, il romanzo è nero ed il più famoso è “Fosca” di Ugo Tarchetti, caratterizzato dal gusto dell’orrido e dall’attrazione per la malattia, il romanzo espressionista è la manifestazione più borghese della scapigliatura. La scapigliatura è un movimento di breve durata e di non grande successo ma ha il merito di aver introdotto in Italia tematiche che saranno centrali nel Decadentismo. Nella prima fase della sua produzione Verga durante gli anni in cui frequentava I salotti letterari milanesi, aderì alla scapigliatura, scrivendo cinque romanzi con temi affini trattati da questo movimento. Decadentismo Il decadentismo corrisponde alla cultura del periodo della crisi economica iniziata nel 1873, causata dalla sovrapproduzione e dal conseguente crollo dei prezzi. Con il termine decadentismo si intende un movimento artistico e letterario sviluppatosi in Francia e poi diffusosi nel resto d'Europa, tra la fine dell' Ottocento e il primo decennio del Novecento, che si contrappone alla razionalità del positivismo scientifico e del naturalismo. Il decadentismo può dunque essere definito come una risposta culturale alla crisi degli anni 80 dell’800, che si configura come una reazione al positivismo (antipositivismo). La crisi del positivismo determinò un ritorno allo spiritualismo che, nelle sue varie forme, riaffermò il valore della volontà, della libertà e della spiritualità umana, riscoprendo, contro l'arido razionalismo, gli impulsi più reconditi dell'animo, l'intuizione, il mistero. Il razionalismo è ormai finito, travolto dalla crisi della borghesia ottocentesca, e la letteratura sente il bisogno di scandagliare quegli angoli più remoti dell'anima dove spesso stanno anche il male, il vizio, l'apatìa, la lussuria, la voluttà, la noia. L’arte per I decadenti deve liberarsi da ogni vincolo di natura morale, politica e sociale per ricercare la bellezza e tutto ciò che si contrappone alla volgarità della vita borghese. Il precursore è Charles Baudelaire ( Les fleurs du mal) che sottolinea i due aspetti entro cui si dibatte la crisi dell'intellettuale: lo Spleen (noia e disgusto della vita) e l'Ideal (ricerca di un ideale, come fuga verso mondi lontani, esotici, dalla natura incontaminata o verso "paradisi artificiali"). Non a caso gli artisti più ammirati da Baudelaire sono Edgar Allan Poe e Richard Wagner, nelle cui creazioni emergono alcuni tratti salienti del Romanticismo e del Simbolismo. Alcuni critici fanno proseguire il decadentismo oltre il limite cronologico convenzionale della prima guerra mondiale ed individuano nei temi e nelle opere di Pirandello e Svevo altre manifestazioni di una seconda fase del decadentismo. Simbolismo: Il simbolismo è una corrente artistica nata in Francia nel XIX secolo, in netto contrasto con i canoni imposti in precedenza dal realismo. Il simbolismo infatti tende ad una descrizione soggettiva piuttosto che ad una oggettiva, al contrario del realismo. Questa sua natura lo porta ad avere un grande sviluppo con la nascita del decadentismo, che predilige il lato misterioso e onirico piuttosto che quello scientifico e reale. I simbolisti cercano il lato nascosto della realtà, importante è la ricerca dell’irrazionale, il poeta diventa veggente, deve saper cogliere I simboli. Il simbolo è polivalente, non ha un solo significato ma è soggetto all’interpretazione. I poeti simbolisti usano nuove tecniche di scrittura come il fonosimbolismo. Gli esponenti più importanti di questa corrente furono Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé e, per quanto riguarda l'Italia, Giovanni Pascoli, il simbolista per eccellenza. In particolar modo Pascoli, a differenza degli altri autori, utilizza un simbolismo istintivo ovvero una non ricerca del simbolismo stesso. Estetismo: 'estetismo nasce come movimento che tende a sviluppare le idee proposte dal parnassianesimo, corrente culturale sorta in Francia negli anni '60 dell'800, e si fonda sull'imperativo del "l'arte per l'arte", vedendo dunque in questa l'unico e sommo fine della letteratura. L'estetismo è pure una reazione al romanticismo e al suo mimetismo naturale e sentimentale, secondo cui la vita determina l'arte. Con l'estetismo la classica dicotomia vita-arte si risolve nella coincidenza dei due termini, tendendo così a fare della propria vita la prima delle proprie Opere (1889-1905). Lasciò l'insegnamento nel 1904; nel 1906 fu insignito del premio Nobel. La produzione poetica Le prime raccolte segnano un ritorno al classicismo: Juvenilia (1850-60) e Levia gravia (1861-71) vogliono essere un modello di dignità non solo letterario da contrapporre al presente. Anche Giambi ed epodi (edizione definitiva 1882), attraversati da una vena polemica contro la realtà politico-sociale contemporanea, richiamano la poesia satirica e di forte invettiva degli antichi. L'Inno a Satana del 1863 suscitò scandalo e polemiche, perché esprimeva in una forma poetica classicheggiante una tematica decisamente giacobina e anticlericale. L'esaltazione del passato eroico contrassegnò anche le raccolte della sua maturità poetica, che coincise con la pubblicazione, nel 1877, delle Odi barbare (così da lui definite perché composte con l'intento di riprodurvi tramite gli accenti il metro classico, per cui barbare, cioè straniere, "sarebbero sembrate al giudizio dei greci e dei romani") e delle Rime nuove (1887). In tali raccolte il tema della memoria storica si definisce ulteriormente e si arricchisce con la memoria personale del poeta, in una ricerca stilistica e formale che lo avvicina ai parnassiani, cultori della bellezza classica da contrapporre alla mediocrità borghese. La nostalgia dell'eroico in queste raccolte si proietta verso età diverse: dalla Roma repubblicana (Nell'annuale della fondazione di Roma, Alle fonti del Clitumno, Dinanzi alle Terme di Caracalla) all'età dei comuni italiani (Il comune rustico, Il Parlamento), alla rivoluzione francese (i sonetti del Ça ira), al Risorgimento italiano (Scoglio di Quarto). Queste sono le liriche in cui Carducci assunse chiaramente il ruolo di poeta-vate, di maestro e cantore nazionale con una funzione educativa e patriottica. Soprattutto nelle Rime nuove il tema della memoria si orienta verso il mondo privato del poeta, nel recupero dei momenti più felici e spensierati dell'infanzia e dell'adolescenza vissute in Maremma, il luogo dove il poeta ha condotto una vita libera e solare, che si contrappone al grigiore del presente, alla vita cittadina del "professor Carducci". Le liriche Idillio maremmano, Davanti San Guido, Traversando la maremma toscana sono il risultato forse più alto del Carducci poeta intimo e degli affetti. Al mondo privato, alle sue tragedie più dolorose, al tema della morte si richiamano altre liriche di queste raccolte che rappresentano gli esiti migliori di Carducci: Pianto antico e Funere mersit acerbo ne sono gli esempi più compiuti. Le due poesie si caratterizzano per il venir meno dell'eroicità precedente, rivelando una nuova inquietudine del poeta, "percosso" dalla morte e dal dolore, dalla delusione e dallo sconforto, che, sempre contenuti e misurati, danno il via anche a una nuova evocazione della natura, ora più cupa, attraversata da segni di morte. Notevole è anche l'ultima raccolta, Rime e ritmi (1899). Carducci prosatore Gli scritti in prosa si possono suddividere in tre gruppi. Anzitutto i saggi storico- critici, frutto del lavoro di docente universitario: Carducci privilegia l'analisi del testo, con particolare attenzione alla sua storia e all'ambito linguistico, retorico e formale. Spiccano Della varia fortuna di Dante (1866-67), Dello svolgimento della letteratura nazionale (1868-71), La storia del "Giorno" di Giuseppe Parini (1892); tra le edizioni critiche, da segnalare i lavori su Poliziano (1863) e sulle Rime di Petrarca (1899). Il secondo gruppo è costituito dagli scritti di polemica (letteraria, politica, ideologica), caratterizzati da uno stile violento, con punte di vistoso autobiografismo: Polemiche sataniche (1863); Eterno femminino regale (1881), composto per difendere il suo avvicinamento alla monarchia. Il terzo gruppo è costituito essenzialmente dall'epistolario pubblicato postumo (1938-60) in 21 volumi, che offre un'immagine più intima e sofferta del poeta. Il giudizio critico Carducci fu personalità poetica di grande rilievo per le idealità patriottiche e nazionali, che gli guadagnarono il soprannome di "vate" d'Italia. Nella sua produzione spiccano anche accenti di commossa intimità sul piano poetico ed esiti di indiscussa validità sul piano critico-storiografico. Dopo il grande successo presso i suoi contemporanei e la valutazione positiva di Benedetto Croce, che vide nella sua poesia un esempio di "integra umanità", la sua opera è stata considerata poco originale, estranea al panorama europeo. La critica più recente ha individuato nelle sue liriche più intime la compresenza di due poli tematici, il sentimento della vita e quello della morte, che conferiscono alla sua poesia una tensione autentica e sofferta. Il novecento L'inizio del secolo fino alla guerra mondiale è ancora caratterizzato dall'influsso dei tre grandi poeti a cavallo tra Otto e Novecento: Carducci, Pascoli e D'Annunzio. A Carducci e D'Annunzio si ribellano per via ironico-esistenziale il crepuscolarismo e il cenacolo della "Voce", e per quella avanguardistica il futurismo. Al contrario la sperimentazione pascoliana viene accolta come modello di stile. Parallelamente si realizzano le due maggiori esperienze letterarie di livello europeo: la drammaturgia di Pirandello e la narrativa di Svevo. Gli anni '20, accanto a chiari segni di richiamo alla tradizione, vedono l'affermarsi di due grandi personalità: Ungaretti e Montale. L'ermetismo, che contraddistingue il decennio successivo, sembra concentrare la creatività poetica sulle valenze puramente espressive della parola, cercando rifugio dalla realtà storica in una vaga dimensione religiosa. La seconda guerra mondiale costringe a compiere scelte decisive e drammatiche e rimette in moto una concezione della letteratura segnata dall'impegno politico- civile, che avrà nel neorealismo il suo momento culminante. L'esordio di scrittori come Pasolini, Sciascia e Calvino si affianca al già sicuro magistero linguistico e intellettuale di Moravia e Gadda, destinati a svolgere un ruolo guida nei decenni successivi. Il sempre più accentuato contrasto tra cultura e società ispira la contestazione e l'impegno delle neoavanguardie degli anni '60. Nell'ultimo quarto di secolo, a un progressivo affievolirsi della poesia in lingua, si contrappone il rifiorire dei poeti dialettali. Nella prosa prevale un generale appiattimento sulla cronaca, alla ricerca di trame narrative di non ampio respiro vicine al taglio delle sceneggiature cinematografiche. “La voce” "La Voce" è una delle principali riviste dei primi del Novecento: il suo lavoro rappresenta e sintetizza il grande dibattito culturale che allora si produsse intorno alle riviste letterarie. Le pubblicazioni iniziate a Firenze il 20 dicembre 1908, proseguite fino al 31 dicembre 1916, furono dapprima settimanali, poi (dal 1913) quindicinali. Fu diretta fino al 1914 da G. Prezzolini, tranne il breve periodo (aprile- ottobre 1912) in cui la direzione passò a G. Papini; dal 1914 venne diretta dal critico G. De Robertis (1888-1963) di Matera. Il progetto iniziale della rivista fu di carattere etico-politico, di chiara matrice crociana: la rivista ebbe il merito di diffondere la filosofia di B. Croce fra le nuove generazioni di intellettuali. L'intento primario dei collaboratori fu quello di dare "voce" a interventi culturali diversi, ma tesi a realizzare una cultura onesta capace di una moralità superiore. Di qui il programma di svecchiamento della cultura tradizionale e l'attenzione a tutti i problemi che travagliavano il paese: nacquero inchieste sulla questione meridionale, sulla scuola, sulle nuove filosofie e sulle nuove espressioni artistico- letterarie, con particolare attenzione alle battaglie delle avanguardie. Tutti i temi furono affrontati con grande impegno, riscontrabile sia nella seria documentazione sia nella tensione morale che permea gli articoli della rivista. Sotto la direzione di Prezzolini la rivista fu espressione di un "idealismo militante", più vicino alle posizioni del filosofo G. Gentile che a quelle di B. Croce. Nella fase successiva al 1913, molti intellettuali (tra cui G. Papini e A. Soffici) abbandonarono la rivista. per dare vita al nuovo periodico "Lacerba", anticrociano e futurista. A partire dal 1914 la rivista, diretta da G. De Robertis, si dedicò esclusivamente a questioni letterarie. Particolare attenzione fu rivolta alla questione del rinnovamento del linguaggio letterario: la rivista si fece manifesto soprattutto dell'espressionismo, che condusse i vociani a prediligere forme nuove d'espressione, quali il frammento lirico e il superamento della tradizionale diversità fra poesia e prosa quale ricerca autentica e dolorosa di verità esistenziale. Vi collaborarono molti intellettuali, in particolare: S. Slataper, G. Boine, P. Jahier, R. Bacchelli, U. Saba, A. Palazzeschi, R. Serra, G.A. Borgese, C. Sbarbaro, D. Campana, C. Govoni. Futurismo: Il Futurismo è stato un movimento letterario, culturale e musicale italiano dell'inizio del XX secolo [1] , nonché la prima avanguardia europea. Ebbe influenza su movimenti affini che si svilupparono in altri paesi dell'Europa, in particolare in Russia, Francia, negli Stati Uniti d'America e in Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione, dalla pittura alla scultura, alla letteratura (poesia e teatro), la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione del movimento si deve al poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti [1] . Il Futurismo nasce in Italia, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell'arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, "avvicinando" fra loro i continenti. Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le biblioteche" in modo da non avere più rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni volta come spirito estetico o logico, economico o etico. L'opposizione che si manifesta all'interno d'ogni sfera (bello-brutto, vero-falso, utile-dannoso, bene- male) si risolve, infatti, per Croce in un nesso di "distinti". Ciò vuol dire che il momento negativo d'una forma di attività è costituito dall'"interferenza" di un'altra forma in sé positiva. Così, per esempio, il brutto è l'interferenza nell'arte del pensiero astratto o dell'attività pratica, non è cioè la negazione o il "contrario" della conoscenza intuitiva (l'arte), ma qualcosa di diverso da essa, un "distinto". La filosofia dello spirito crociana è esposta in quattro volumi: la già menzionata Estetica, la Logica come scienza del concetto puro (1909), la Filosofia della pratica. Economica ed etica (1908) e infine la Teoria e storia della storiografia (1917) nella quale culmina la propria concezione nella discussa identità di filosofia e storia. L'estetica e la critica letteraria L'arte è l'attività teoretica dello spirito rivolta all'individuale: essa è cioè "intuizione", termine che non designa un'occulta o misteriosa facoltà dell'artista, ma la cognizione di questo o quell'oggetto individuale, reale o immaginario che sia. Dal momento però che l'intuizione, a differenza della semplice sensazione, non è passiva ma attiva, essa è insieme espressione. L'immagine che l'artista riproduce con il suo mezzo specifico è anzitutto rappresentazione d'un sentimento, e come tale "liricità": l'opera d'arte non è cioè semplice imitazione o riproduzione d'una realtà individuale, bensì del modo in cui l'artista vede o intuisce quella realtà; in essa dunque contenuto e forma sono tutt'uno. La conseguenza di questa teoria fu la negazione della rilevanza estetica dei generi letterari e la riduzione della storia letteraria a una serie di trattazioni separate dei singoli autori. Quanto alla critica letteraria, essa è per Croce una ricostruzione del processo creativo dell'autore fino alla scoperta del nucleo costitutivo della sua ispirazione e, da ultimo, a un giudizio che assegni l'opera alla sfera estetica (bello) o la escluda da essa (brutto). Dopo l'Estetica del 1902 Croce riprese più volte la propria teoria in Problemi di estetica (1910), nel Breviario di estetica (1912), nell'Aesthetica in nuce (1928) e infine in La poesia (1936), dove veniva riconosciuto anche all'espressione non strettamente lirico-poetica un suo valore artistico come "letteratura". Efficaci esempi di critica letteraria sono i suoi saggi su Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920), Goethe (1917) e La poesia di Dante (1921), nonché le tarde Letture di poeti Piero Gobetti Il pensiero del torinese Piero Gobetti (1901-1926) è la testimonianza di un liberalismo integrale: l'esaltazione di un bisogno di idealità, di etica, di dignità letteraria e politica. Attratto dalla filosofia idealista, fondò la rivista "Energie nuove" (1918). Collaborò nel 1920 alla rivista di Gramsci "L'Ordine nuovo", sulla quale tenne una rubrica di recensioni teatrali: i suoi interventi furono poi pubblicati nel volume La frusta teatrale (1923). Nel 1922 fondò la rivista "Rivoluzione liberale" dalle cui pagine elaborò una critica agli ideali del Risorgimento e auspicò un patto politico tra borghesia e proletariato. Significativo per la sua valutazione del Risorgimento è anche il saggio La filosofia politica di V. Alfieri (1923). Nel 1924 fondò la rivista letteraria "Il Baretti", alla quale collaborarono intellettuali come Croce, Montale e Cecchi: era suo intento aggregare le forze intellettuali italiane per opporsi al fascismo che si stava consolidando. Nel 1925 dovette interrompere la sua attività in seguito al venir meno della libertà di stampa. Aggredito e duramente percosso da squadristi fascisti, fuggì a Parigi, dove morì poco dopo. La sua produzione fu raccolta e pubblicata postuma: Opere critiche (1926); Paradosso dello spirito russo (1926); Risorgimento senza eroi (1926). Antonio Gramsci Antonio Gramsci (1891-1937), fondatore del Partito comunista, propose uno degli sforzi più importanti nel Novecento per definire una nuova coscienza nazionale. La vita Allo scoppio della rivoluzione russa Gramsci fu tra i primi dirigenti socialisti a schierarsi in favore dei bolscevichi. Dopo la guerra, con A. Tasca, B. Terracini e P. Togliatti, Gramsci fondò l'"Ordine nuovo", rivista di dibattito politico e culturale, a cui collaborarono anche intellettuali di estrazione non marxista, come P. Gobetti. Nel 1921 il gruppo di "Ordine Nuovo" uscì dal Partito socialista e diede vita al Partito Comunista d'Italia. Nel 1924, eletto deputato, fu tra i dirigenti dell'opposizione antifascista dopo l'assassinio di G. Matteotti nel 1926 fu arrestato e condannato a vent'anni di reclusione. In carcere la sua salute peggiorò; ottenne la libertà completa solo pochi giorni prima di morire. Le opere e il pensiero Gramsci scrisse molto: la sua riflessione ha messo a fuoco alcune questioni fondamentali della storia d'Italia, in particolare quelle relative alla formazione e alla funzione degli intellettuali. Questo nodo trova largo spazio nei Quaderni del carcere (1929-34). Queste annotazioni vennero riunite per temi e pubblicate postume in sei volumi con i titoli redazionali: Il materialismo e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale; Passato e presente (1948-51). La parte estetica della riflessione gramsciana riguarda prevalentemente il confronto con B. Croce, del quale, rifacendosi alla lezione di F. De Sanctis, rifiutava la concezione elitaria della cultura, auspicando l'avvento di un intellettuale "organico", cioè partecipe dello sviluppo sociale. La cultura (le idee e la divulgazione) vive in una realtà dinamicamente politica e ha un ruolo decisivo per creare l'"egemonia" della classe operaia e fondare una nuova "coscienza nazionale". Documento esemplare di dignitosa sofferenza sono infine le Lettere dal carcere, pubblicate nel 1947. Luigi Pirandello (1867- 1936): crisi dell’identità Vissuto nel periodo a cavallo tra 800 e 900 fra il naturalismo e l’inzio del decadentismo, Pirandello è definito uno scrittore isolato, difficile da inquadrare in un movimento letterario . A cavallo di questi due secoli si determina la crisi dei valori ottocenteschi, viene meno la fiducia nella scienza nella razionalità e nei valori borghesi. Pirandello vive e rappresenta questa crisi, porta nella letteratura alcuni dei caratteri fondamentali dell’avanguardia europea come il relativismo, la tendenza alla scomposizione e alla deformazione, il gusto per il paradosso, la scelta dell’ironia. Romanzi: - Il fu Mattia Pascal. Mattia Pascal è il primo personaggio del panorama letterario del 900 che rappresenta l’alienazione e l’inquietudine dell’uomo moderno, è protagonista di una assenza di identità che gli impedisce di esistere a tutti gli effetti e di sentirsi padrone della propria vita. Il fu mattia pascal contiene alcuni aspetti fondamentali del pensiero di pirandello, il tema della crisi d’identità, della fuga dal sociale, la divisione dell’io, il contrasto tra il fluire della vita e il tentativo di fissarla in una forma. -Uno nessuno e centomila. E’ l’ultimo romanzo di pirandello del 1925 considerato il libro testamento dell’autore, in cui si porta a termine il tema della scomposizione dell’io. E’ scritto con la tecnica del flusso di coscienza, la stessa usata da James Joyce. Il protagonista inizia a vedersi allo specchio, ad interrogarsi sulla sua identità e finisce per dissociarsi, scoprendosi contemporaneamente uno nessuno e centomila, a seconda della percezione che gli altri e la società hanno di lui. Vitangelo, il protagonista, sostiene che la moglie lo vede diversamente da come lui ha sempre creduto di essere, lo stesso avverrà per I risvolti della sua vita interiore, realizza che familiari, amici, conoscenti conoscono e apprezzano o odiano in lui un persona differente da ciò che lui stesso si considera. Ci sono dunque tanti Vitangelo quanti sono quelli che lo osservano, a seconda dei casi, delle circostanza, dei momenti psicologici , il protagonista offre di se un immagine ogni volta nuova e distinta. Raccolta di novelle: Novelle per un anno: Il treno ha fischiato, Pallottoline, La giara, la patente. Novelle per un anno: è una raccolta di novelle che Pirandello scrive nell’arco di tutta la vita. In partenza dovevano essere 365 novelle, una per ogni giorno dell’anno, ma la raccolta non è stato conclusa. I temi sono vari, follia, vita e forma, finzione, maschera ed espressi nella poetica dell’umorismo. Produzione teatrale: sei personaggi in cerca di autore, Enrico IV. Sei personaggi in cerca d’autore, è un’opera del 1921-1923, Pirandello porta al punto estremo la scomposizione che caratterizzava la sua narrativa e il suo precedente teatro. Egli inizia a sostituire ai personaggi umoristici e grotteschi personaggi drammatici e tragici , le cui angosce dovevano servire al pubblico per riconoscere dei modelli di sofferta coscienza umana. Al carettere irriverente del primo teatro pirandelliano si sostituisce la lotta per l’affermazione di modi di essere personali, liberi e autentici. Il dramma borghese diventa tragedia borghese nel senso che I personaggi sono costretti a verificare l’impossibilità di raggiungere un’autenticità assoluta e definitiva a scoprire come anche il tentativo di affermare il proprio io più profondo resti prigioniero della menzogna della società. I sei personaggi sono fissati nel loro dolore e nella mancanza di dialogo tra loro. Nelle sue opere troviamo relativismo, follia, vita e forma.I temi delle opere di Pirandello sono la crisi dell’identità, dal doppio alla scomposizione e la frantumazione dell’io; follia ed alienazione dell’individuo; relativismo; rapporto dialettico tra vita e forma racchiude tutto il significato. Una poesia di questo tipo si rivolge aad una cerchia di iniziati, capaci di entrare in sintonia con l’autore. Il poeta ermetico si colloca al di fuori della realtà e della storia e rifiuta ogni impegno politico e civile, per questo gli ermetici furono spesso accusati. Quella ermetica è una poesia delimitata nel tempo che si conclude nel secondo dopoguerra, quando nasce un nuovo tipo di letteratura fortemente calata nella realtà ed impegnata sul versante politico e civile. Umberto Saba ( 1883- 1957) : Saba ebbe come modelli di riferimento principali I grandi della tradizione poetica del passato , primi tra tutti Petrarca e Leopardi. Saba si accostò alla psicanalisi, indotto da disturbi nervosi che lo affliggevano. La psicanalisi offrì al poeta una chiave di decifrazione della realtà che egli ritenne poi sempre superiore alle altre. La personalità di Saba è diversa perchè Saba ha un senso di sradicamento per via della sua origine ebraica, ha origini triestine dove convivono diverse culture, ha dinamiche familiari particolari, il padre abbandonò la madre prima della nascita di Umberto, ha ricevuto un’educazione dalla balia Peppa Sabaz e un’educazione rigida e severa dalla madre e ha una latente omosessualità. Poetica e Psicanalisi Per Saba la psicanalisi fu una premessa, un incentivo poetico, una chiave per interpretare il mondo. L’incontro con la psicanalisi fece si che la sua poesia prese la forma di una confessione, capace di liberare I lati oscuri dell’anima, dando loro una forma razionale. La poesia acquista nel suo pensiero una precisa funzione psicologica e sociale, aiutare l’uomo a ritrovare la propria identità e la propria integrità. Il programma poetico di Saba si presenta come l’antitesi di quello di d’Annunzio. D’Annunzio affermava che il poeta era dispensatore di verità morali e superiore all’uomo comune, Saba invece ritiene che il poeta abbia il dovere di essere onesto, e che possa esserlo solo cominciando da se stesso, cioè cercando nel fondo del proprio io le verità più nascoste e intime. Per Saba il poeta deve registrare la verità nascosta e profonda di tutti gli esseri. Raccolta poetica: Canzoniere: Ulisse, Amai, Goal, Ritratto della mia bambina, A mia moglie, Città vecchia, La capra. Canzoniere A livello stilistico ritorna alla tradizione, scrivendo sonetti ed endecasillabi. A livello di lessico utilizza parole semplici e comuni. A livello di contenuto ricerca la poesia onesta che scava nell’esistenza e nei sentimenti, ricercando la verità più profonda. I temi del canzoniere è l’ammirazione per l’infanzia , età spensierata per eccellenza a cui Saba guarda con ammirazione e nostalgia, il senso di estraneità e di diversità che provoca dolore e che lo spinge a desiderare di essere un uomo come gli altri , la celebrazione dell’intimità familiare, l’amore per Trieste, la bellezza degli esseri viventi, visti tutti come creature di Dio e quindi accomunati dal dolore, l’amore per lo sport in particolare per il calcio. Pre ermetismo: Giuseppe Ungaretti (1888- 1970) Ungaretti si rivela un poeta rivoluzionario, aprendo la strada all’ermetismo. Per il poeta la funzione fondamentale della poesia è di esprimere ciò che nel più profondo dell’anima è inesprimibile, ciò che si trova nell’inconscio, il suo compito è portarlo in superficie. Le sue liriche sono brevi a volte ridotte ad una sola proposizione ma esprimono sentimenti molto profondi. Ungaretti può essere definito il poeta delle emozioni. Nelle liriche de l’Allegria inoltre la punteggiatura è annullata, vi sono sempre la data ed il luogo del momento in cui sono state scritte le poesie, come se si trattasse di un diario. Ogni parola racchiude un significato ben preciso, per questo l’autore opera una scelta ben controllata del lessico, come I simbolisti e I futuristi da cui è influenzato. La poesia di Ungaretti si differenzia però per la ricerca religiosa e per la descrizione di esperienze di vita reale. Opere: Raccolte poetiche: Allegria: In memoria, I fiumi, san martino del carso, soldati, veglia, fratelli. Qui emerge orrore per la guerra, poesia come testimonianza, amore per la vita. Raccolta poetica: Sentimento del tempo: La madre, stelle , il dolore. Troviamo un avvicinamento alla fede, un messaggio di speranza. L’Allegria E’ la prima raccolta poetica di Ungaretti ed è formata da più nuclei, il primo nucleo Il porto sepolto, pubblicato in piena guerra nel 1916, nel 1919 si aggiunse Allegria di naufragi; infine l’edizione definitiva della raccolta uscì nel 1931, con l’aggiunta di ulteriori sezioni. Caratteristiche fondamentali : non c’è metrica, ma le parole hanno importanza per la loro disposizione all’interno della pagina, in tutte le poesie sono indicate luogo e data, il titolo è significativo ed è spesso necessario a comprendere il significato della lirica, le poesie sono in genere brevi ma ogni singola parola è piena di significato. I temi fondamentali sono : l’orrore della guerra e l’attaccamento alla vita che si scopre maggiormente nel momento del dolore, la poesia che svolge un ruolo di memoria e testimonianza, il desiderio di sentirsi parte del creato ed in armonia con l’universo, riscoprendo la propria umanità, il sentimento di fratellanza tra gli uomini che deriva dalla guerra. Sentimento del tempo Ungaretti pubblicò una seconda raccolta nel 1933 dal titolo Sentimento del tempo, che comprendeva 62 poesie. Sentimento del tempo è un’opera poetica che presenta temi molto diversi rispetto a l’Allegria e contiene delle novità formali rispetto alla prima opera dell’autore. Può essere definita come l’opera che da inizio all’ermetismo. Le cause che portarono a un’evoluzione della sua poetica sono da attribuire in parte alla sfera personale in parte a quella letteraria, sociale e politica e in parte alla sfera religiosa. Eugenio Montale (1896- 1981) Eugenio Montale è una voce fuori dal coro in un periodo storico complesso. La sua poesia apparentemente semplice cela un messaggio che solo una lettura attenta può svelare. Montale è stato definito il poeta della negatività, è stato il tragico testimone di una coscienza intellettuale . Infatti prendendo una decisa posizione contro il fascismo è riuscito ad interessarsi alla condizione di solitudine ed incomunicabilità esistenziale comune a tutti gli uomini. Raccolte poetiche: Ossi di seppia: I limoni, Meriggiare pallido e assorto, non chiederci la parola, spesso il male di vivere ho incontrato, felicità raggiunta. Emerge antifascismo, male di vivere, ricerca del varco. Temi: paesaggio marino estivo delle cinque terre, male di vivere, correlativo oggettivo, antifascismo. Raccolta poetica: “Le occasioni” , c’è una concezione di donna comme angelo “Clizia”.Temi: interiorizzazione, scavo nel ricordo, Clizia donna angelo. Raccolta poetica: “La bufera e altro”, temi: attualità in forma di mito, Clizia, la bufera del nazi fascismo e della guerra. Raccolta poetica: Satura: Ho sceso dandoti il braccio; avevamo studiato per l’aldilà; Temi:nostalgia e ricordi, critica verso il mondo massificato, ironia e parodia sul caos e sulla falsità del mondo contemporaneo. Ossi di seppia Il tratto distintivo della poetica di Montale in questa raccolta è la coscienza del dolore che provoca al poeta un sentimento di disarmonia rispetto a ciò che lo circonda. Questo comporta una condizione esistenziale drammatica. Il mondo è un inganno, la vita è dolore e noia per cui agli uomini non restano che la solidarietà e la divina indifferenza. La poesia di montale è una riflessione sulla condizione umana sul male di vivere, nella sua ricerca interiore critica fortemente I poeti che si esprimono con parole colte e difficili e che si sentono in grado di offrire un messaggio rassicurante, a cui Montale invece la consapevolezza della negatività, dicendo che può offrire solo qualche storta sillaba. In ossi di seppia usa la tecnica del correlativo oggettivo, secondo questa tecnica una serie di oggetti , una situazione, una catena di eventi diventano la formula di una particolare emozione. Ossi di seppia è simbolico già dal titolo , che fa riferimento ai relitti sbattuti dalla corrente ed abbandonati dal mare sulla spiaggia ed allude alla povertà della poesia ma serve anche da raccordo tra terra e mare. Terra elemento negativo che imprigiona ed è raffigurato nelle calde ore del pomeriggio estivo mentre il mare è il simbolo positivo, perchè immutabile e perfetto , via di fuga dalla prigione terrena. Infatti anche se per il poeta la vita è dolore, non si rassegna al negativo e ricerca la possibilità di una via di fuga che permetta all’uomo di fuggire dalla propria prigione. Il titolo della raccolta è legato anche all’ideologia antifascista del poeta. Montale sostiene che il suo pensiero e di conseguenza la sua poesia non possono offrire certezze. La poesia può esprimere solo la negatività del mondo cioè non deve fingere una realtà diversa da quella presente ma esprimere il contrario dell’ideologia dominante. Ecco che gli umili ossi di seppia si oppongono ai fasci littori e alle aquile simboli del regime. Lo stile Lo stile è vario sia a livello metrico che lessicale . L’andamento è prosastico, ma sono presenti anche forme metriche tradizionali. Il linguaggio di Montale è nuovo spesso aspro, intonato al dramma dell’esistenza. Gli oggetti e le cose sono espressione di un sentimento o sono simbolo di una specifica sensazione esistenziale. ricevuto la lettera dal padre che ha abbandonato la madre per un’altra donna , Silvestro parte per la Sicilia. Qui scopre un mondo di miseria e di fame. Il viaggio diventa un modo per recuperare coscienza e riscoprire il vero ruolo morale e civile dell’uomo nella storia, il viaggio diventa il simbolo dell’itinerario spirituale dell’uomo che intende realizzarsi nella sua pienezza morale, ritrovando l’energia per diventare più uomo. Cesare Pavese ( 1908- 1950) La morte precoce del padre e il conseguente irrigidirsi della madre che attuerà un sistema educativo asciutto e aspro influenzarono Pavese. L’altro elemento è la tendenza al vizio assurdo, la vocazione suicida. Ritroviamo infatti sempre un accenno alla mania suicida in tutte le lettere del periodo liceale. In Pavese troviamo una grande dicotomia tra l’attrazione per la solitudine e il bisogno di non essere solo. Pavese sceglie la letteratura come schermo della sua condizione esistenziale, cercando in essa la risoluzione dei suoi conflitti interiori. Nel periodo antifascista Cesare accetta di far giungere al proprio domicilio lettere fortemente compromettenti sul piano politico, scoperto viene condannat per sospetto antifascismo, a tre anni di confino da scontare a Brancaleone Calabro. Tre anni che si ridurranno a meno di uno, quando torna la sua donna lo ha abbandonato , l’esperienza e la delusione lo fanno sprofondare in una crisi grave e profonda. Avraà una seconda crisi nel 1950 , una crisi politica e religiosa e sgomento e angoscia e si suicida. Poesia: Verrà la morte e avrà I tuoi occhi Romanzi: la casa in collina , la luna e I falò ( resistenza) Venne pubblicato nel 1949 , sotto il titolo di Prima che il gallo canti insieme al romanzo Carcere. Il protagonista è Corrado, professore torinese, che si rifugia in collina per sfuggire alla guerra. Cesare vuole narrare la guerra come idea, come impegno, la guerra civile, I bombardamenti che per la prima volta non risparmiano la città. Cesare si interroga sul senso di tutti quei morti , per I vivi invece la realtà continua ad essere un frammento d’oscurità che nasconde la bellezza della luna, un freddo glaciale, che corrode energia e speranze , un luogo desolato da cui fuggire. La luna e I falò Il ritorno alle origini, la riscoperta di un passato che pareva dimenticato sono il fulcro dell’ultimo e più importante romanzo. Il protagonista è Anguilla, un orfano, cresciuto nelle Langhe, che ritorna nei luoghi dell’infanzia dopo aver fatto fortuna al di là dell’oceano. Il romanzo viaggia su due piani paralleli , uno legato al passato con un percorso della memoria articolato in estesi flash back attraverso I quali il protagonista rivive gli anni passati come servitore di campagna. L’altro piano corre sul presente tempo nel quale Anguilla, ritrova l’amico maestro di un tempo Nuto e Anguilla rivede se stesso nella figura del giovane Cinto. Il padre di Cinto incarna la follia che nasce dalla miseria , una rabbia, che distrugge tutto il suo mondo in una sola notte. Uccide I familiari, brucia la fattoria dove Anguilla aveva vissuto da bambino, e si impicca. Attraverso quel falò Nuto rievocherà un altro rogo in cui I partigiani bruciarono Santina perchè accusata di essere spia dei fascisti. Questo romanzo è ritenuto il capolavoro di Pavese , vi è riflessione politica . Nell’oscillazione tra presente e passato è proprio il paesaggio a rimanere costante. Nei falò, nelle fasi lunari, nelle stagioni, si rivela l’immutabilità della terra. Di una terra particolare, le Langhe, sono colline di profumi, di terra, di colline che non finiscono , terra di guerra civile e di grandi scrittori. Verrà la morte e avrà gli occhi tuoi Una delle raccolte poetiche più originali e dalla fortuna più particolare di tutto il novecento letterario, è una storia che è anche un destino. Soltanto dieci liriche troavate dopo la sua morte. Le prime liriche contengono il riferimento a quel vizio assurdo, che ha dominato come un demone la vita di Pavese. Le liriche sono dedicate a Costance Dowling, l’attrice americana di cui pavese era innamorato. Primo Levi ( 1919-1987) Di origine ebraica, il 13 dicembre del 43 venne catturato a brusson e trasferito nel campo di raccolta di Fossoli, dopo poco il campo viene gestito dai tedeschi, che portano tutti I ptigionieri ad Auschwitz. L’autore viene portato a Monowitz vicino ad Auschwitz, in un campo di lavoro I cui prigionieri sono al servizio di una fabbrica di gomma. Rimarrà nel campo fino a quando I tedeschi non saranno sconfitti e I russi lo riportarono a casa attraversando l’Europa. Rientrato a Torino sente il dovere di raccontare, descrivere l’indescrivibile, nel 47 il suo scritto viene rifiutato dalla Einaudi, è pubblicato da De Silva editrice . Romanzi: Se questo è un uomo, La tregua ( romanzo testimonianza, la Shoah) Se questo è un uomo Romanzo testimonianza autobiografico sulla vita nel lager, è una narrazione in prima persona, non ha lo scopo di formulare capi di accusa ma di raccontare e testimoniare cio che è stato, perchè questo non venga dimenticato. Inizialmente il romanzo non ottiene successo, ma a partire dal 56 l’Einaudi comincia a pubblicare tutti I lavori di Levi. Se questo è un uomo è tradotto in diverse lingue. La tregua Racconta la durissima e lunghissima marcia di ritorno dal campo di concentramento verso casa, vince la prima edizione del Premio Campiello. Pier Paolo Pasolini ( 1922- 1975) attenzione per la vita del popolo Compì vari viaggi a Roma ed iniziò ad appassionarsi al mondo popolare ed alle lotte sociale, per cui decise di iscriversi al partito Comunista. Iniziò ad insegnare in una scuola media ma colpito da uno scandalo riguardo la sua omossessualità, si trasferì a Roma. Nella capitale frequentava le periferie, le borgate, I ragazzi del proletariato ma anche gli ambienti letterari. La sua fama arrivò quando pubblicò il suo romanzo Ragazzi di vita, nel 1955, pasolini diventerà l’esempio dell’intellettuale di sinistra alternativo. Nel 1957 compone la raccolta poetica Le ceneri di Gramsci, in cui la poesia diventa l’occasione per riflettere sulla società contemporanea e sulle trasformazioni che travolgendo il paesaggio, le campagne e I borghi modificano l’economia e la cultura. Nel 1959 pubblica il suo nuovo romanzo Una vita violenta, ambientato nella realtà del sottoproletariato romano degli anni cinquanta. A partire dagli anni 60 si impegna nel cinema, dando vita ad un gran numero di film , Accattone, Vangelo secondo Matteo, Medea. Il 2 novembre 1975 viene ucciso in uno spiazzo polveroso all’idroscalo di Ostia, sulla sua morte non fu mai fatta chiarezza, la sua morte ha contribuito a farne un martire, un testimone di valori puri e assoluti. E’ diventato un modello positivo ed esemplare, un artista geniale. Romanzi Una vita violenta, ragazzi di vita Ragazzi di vita La storia si svolge a Roma nel 1946 e racconta le vicende nel corso di qualche anni di alcuni ragazzi del sottoproletariato romano che cercano il metallo nell’immondizia e lo rivendono. Il protagonista è Riccetto, viene descritto in due fasi, una la gioventù incosciente e la seconda la rieducazione. L’esistenza del gruppo è scandita da violenza e generosità, solidarietà e aiuto reciproco. Il romanzo racconta le loro giornate, sono personaggi emarginati, non integrati in un contesto sociale di lavoro o scuola, la strada è il loro spazio. Sembra si assista alla storia di adolescenti mai stati bambini. La strafottenza, la malizia , la prepotenza sono talmente naturali all’interno di questo gruppo da sembrare quasi congeniti, non esistono rapporti umani basati sull’amicizia , sui vincoli familiari o d’amore. La povertà e la disperazione che regnano non guardano in faccia a niente e nessuno , il fiume è il punto di incontro del gruppo , metafora dello scorrere del tempo, come la vita cosi il fiume scorre verso un ‘ unica direzione in un rinnovarsi sempre uguale, queste vite hanno tutte un destino simmile, quelle che seguiranno avranno la stessa sorte. L’acqua ha un ruolo centrale fa parte di un rito iniziatico, si attraversa il fiume per dimostrare di essere grandi di essere pronti. E’ un fiume torbido e inaffidabile una metafora più che somigliante al tipo di vita che si ritrovano I personaggi pasoliniani . Anche in questo romanzo sono gli istinti più naturali dell’uomo a farla da padroni, fame sonno sesso sono sempre presenti. Si parla in romanesco, vi sono imprecazioni, frasi smozzicate, è una lettura che crea tensione, che esige attenzione. Una vita violenta Pubblicato nel 1959, è di nuovo ambientato nel sottoproletariato romano degli anni 50 delinea un vasto affresco realistico in cui emerge la vicenda esemplare di Tommaso Puzzilli, un ragazzo di vita, che arriva attraverso le esperienze ad acquisire consapevolezza umana e politica. Nato un periferia da una famiglia miserabile, Tommaso violento e amorale vive di sordidi espedienti e partecipa anche a spedizioni teppistiche. Viene condannato anche a due anni di carcere per aver accoltellato un altro giovane in una rissa. Uscito di prigione la sua famiglia ha ottenuto una casa popolare e Tommaso pensa di poter intraprendere una vita nuova e rispettabile ma alla visita per il militare risulta malato di tubercolosi. Entrerà in ospedale a contatto con un gruppo di degenti politicizzati, comincia per Tommaso un processo di maturazione che lo porta a prendere coscienza della sua condizione individuale e sociale. Una volta dimesso da la sua adesione al partito comunista , quando però l’Aniene inonda un quartiere di baraccati, egli accoglie l’invito dei compagni gettandosi fra acqua e fango per aiutare I pompieri zero (1967) utilizzano le prospettive offerte dalla scienza (fisica, biologia, astronomia) e le suggestioni derivanti dalla fantascienza per costruire narrazioni piene di sorprese e di scambi imprevedibili, con un richiamo alle comiche cinematografiche. Il divertito pessimismo di Calvino tocca qui il suo apice: queste storie sono figure della vita della civiltà contemporanea, apocalittica e impossibile. Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973) e Se un notte d'inverno un viaggiatore (1979) sono le ultime prove di rilievo, in cui Calvino utilizza la combinatoria narrativa, una tecnica che permette al racconto di divenire oggetto di se stesso, in un virtuosismo, che coinvolge il lettore in un gioco di scatole cinesi. Con Palomar, una serie di prose autobiografiche raccolte nel 1983, Calvino continua a osservare il mondo nei suoi fatti minimi, ma essenziali. Postumi sono apparsi: Sotto il sole giaguaro (1986), tre racconti sui sensi dell'odorato, del gusto e della vista; la raccolta di scritti Sulla fiaba (1988); Perché leggere i classici (1991). Leonardo Sciascia (1921-1989) Leonardo Sciascia è stato uno scrittore, saggista, giornalista, politico, poeta, drammaturgo, critico d'arte e maestro di scuola elementare italiano. Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo. All'ansia di conoscere le contraddizioni della sua terra e dell'umanità, unì un senso di giustizia pessimistico e sempre deluso, ma che non rinuncia mai all'uso della ragione umana di matrice illuminista, per attuare questo suo progetto. All'influenza del relativismo conoscitivo di Luigi Pirandello si possono ricondurre invece l'umorismo e la difficoltà di pervenire a una conclusione che i suoi protagonisti incontrano: la realtà non sempre è osservabile in maniera obiettiva, e spesso è un insieme inestricabile di verità e menzogna. Ebbe anche un'attività politica importante, attestato su posizioni di socialismo democratico e marxismo moderato, poi di radicalismo liberale, garantismo e socialdemocrazia. Dapprima fu consigliere comunale a Palermo (1975-1977) per il Partito Comunista Italiano, ed in seguito (dal 1979 al 1983) deputato in Parlamento per il Partito Radicale, infine fu simpatizzante del Partito Socialista. Nel 1950 pubblica le "Favole della dittatura", che Pier Paolo Pasolini nota e recensisce. Il libro comprende ventisette brevi testi poetici, "favole esopiche" classiche, con morali chiare, di cui sono protagonisti animali.[3] Venti di questi testi erano apparsi tra il 1950 e l'estate del 1951 su "La Prova" fondato a Palermo dal politico democristiano Giuseppe Alessi [4] , periodico politico con il quale Sciascia inizia a collaborare fin dal primo numero firmando il 15 marzo 1950 il necrologio "Molto prima del 1984 è morto George Orwell"[4]. Nel 1952, esce la raccolta di poesie La Sicilia, il suo cuore, che viene illustrata con disegni dello scultore catanese Emilio Greco. Nel 1953 vince il Premio Pirandello, assegnatogli dalla Regione Siciliana per il suo saggio "Pirandello e il pirandellismo". Inizia nel 1954 a collaborare a riviste antologiche dedicate alla letteratura e agli studi etnologici, assumendo l'incarico di direttore di «Galleria» e de «I quaderni di Galleria» edite dall'omonimo Salvatore Sciascia di Caltanissetta. Nell'anno scolastico 1957-1958 viene assegnato al Ministero della pubblica istruzione a Roma e in autunno pubblica i tre racconti che vanno sotto il titolo "Gli zii di Sicilia". La breve raccolta si apre con "La zia d'America", un tentativo di dissacrare il mito dello "Zio Sam", visto come dispensatore di doni e libertà. Il secondo racconto è intitolato "La morte di Stalin", nel quale, ancora una volta, il personaggio è un mito, quello del comunismo che viene incarnato, agli occhi del siciliano Calogero Schirò, da Stalin. Il terzo racconto, "Il quarantotto", è ambientato nel periodo del Risorgimento (tra il 1848 e il 1860) e tratta del tema dell'unificazione del Regno d'Italia vista attraverso gli occhi di un siciliano. Nel racconto l'autore vuole mettere in evidenza l'indifferenza e il cinismo della classe dominante. Alla raccolta si aggiunge, nel 1960, un quarto racconto, "L'antimonio", che ebbe favorevole consenso della critica e al quale Pasolini dedicherà un articolo sulla rivista Officina. In esso si narra la storia di un minatore che, scampato ad uno scoppio di grisou (chiamato dagli zolfatari antimonio), parte come volontario per la guerra civile in Spagna. A Caltanissetta: i romanzi Sciascia rimane a Roma un anno e al suo ritorno si stabilisce con la famiglia a Caltanissetta, assumendo un impiego in un ufficio del Patronato scolastico. Nel 1961 esce Il giorno della civetta col quale lo scrittore inaugura una nuova stagione del giallo italiano contemporaneo. Gli anni sessanta vedranno nascere alcuni dei romanzi più sentiti dallo stesso autore, dedicati alle ricerche storiche sulla cultura siciliana. Nel 1963 pubblica Il consiglio d'Egitto, ambientato in una Palermo del '700 dove vive e agisce un abile falsario, l'abate Giuseppe Vella, che "inventa" un antico codice arabo che dovrebbe togliere ogni legittimità ai privilegi e ai poteri dei baroni siciliani a favore del Viceré Caracciolo. Nel 1964 pubblica il breve saggio o racconto, come dice lo stesso Sciascia nella prefazione alla ristampa del 1967, Morte dell'Inquisitore, ambientato nel '600, che prende spunto dalla figura dell'eretico siciliano fra' Diego La Matina, vittima del Tribunale dell'Inquisizione siciliana, che uccide Juan Lopez De Cisneros, inquisitore nel Regno di Sicilia. Risale al 1965 il saggio "Feste religiose in Sicilia",dove torna l'accostamento della Sicilia alla Spagna, soprattutto per quanto riguarda il valore e l'importanza, in ambedue le società, della superstizione religiosa e del mito. La commedia Sempre nel 1965 esce la sua commedia L'onorevole che è un'impietosa denuncia delle complicità tra governo e mafia. Il ritorno al romanzo Nel 1966 ritorna con un romanzo, A ciascuno il suo, che riprende le modalità del "giallo" già utilizzate ne Il giorno della civetta. La vicenda narrata è quella di un professore di liceo, Paolo Laurana, che inizia per curiosità personale le indagini sulla morte del farmacista del paese e dell'amico dottore, ma che si scontra con il silenzio di tutti i paesani, silenzio dovuto alla paura e alla corruzione. Nel 1970 Sciascia va in pensione e pubblica la raccolta di saggi "La corda pazza", nella quale l'autore chiarisce la propria idea di "sicilitudine" e dimostra una rara sensibilità artistica espressa per mezzo di sottili capacità saggistiche. Quest'opera riporta, già dal titolo, a Luigi Pirandello che nel suo libro "Berretto a sonagli" sostiene che ognuno di noi ha in testa "come tre corde d'orologio, quella "seria", quella "civile", quella "pazza"". Sciascia vuole indagare sulla "corda pazza" che, a suo parere, coglie le contraddizioni e le ambiguità ma anche la forza razionalizzante di quella Sicilia che è tanto oggetto dei suoi studi. l 1971 è l'anno de "Il contesto", con il quale l'autore ritorna al genere poliziesco. La vicenda si svolge intorno all'ispettore Rogas che deve risolvere una complicata vicenda che origina da un errore di giustizia e una serie di omicidi di giudici. Benché il romanzo sia ambientato in un paese immaginario, il lettore riconosce senza sforzo l'Italia contemporanea. Il libro desta molte polemiche, più politiche che estetiche, alle quali Sciascia non vuole partecipare, ritirando così la candidatura del romanzo al premio Campiello. Esce intanto Todo modo, un libro che parla "di cattolici che fanno politica" e che viene stroncato dalle gerarchie ecclesiastiche. Il racconto, di genere poliziesco, è ambientato in un eremo/albergo dove si effettuano esercizi spirituali. In questo luogo, durante il ritiro annuale di un gruppo di "potenti", tra i quali cardinali, uomini politici e industriali, si verifica una serie di inquietanti delitti.
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