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Riassunto Letteratura Latina, Sintesi del corso di Letteratura latina

Dalle origini ai Padri della Chiesa

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 22/06/2022

BeVeRlY28Unige
BeVeRlY28Unige 🇮🇹

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Scarica Riassunto Letteratura Latina e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! mM LETTERATURA LATINA A.A. 2018/2019 1 ETÀ ARCAICA E REPUBBLICANA 1. PREISTORIA DEL LATINO FONDAZIONE DI ROMA La storia della fondazione di Roma si basa su due leggende: Enea giunge nel lazio dopo la fuga da Pompei, sposa Lavinia, figlia del re Latino e danno origine alla città di Lavinio. Il figlio Ascanio fonda Alba Longa, governata da 30 re, l’ultimo di questi fu padre della Rea Silvia che con Marte genera Remo e Romolo. La seconda leggenda vede Romolo che sul Palatino traccia il perimetro della città di Roma; Remo profanò quest’area e venne ucciso dal gemello e seppellito sull’Aventino. Da Romolo discende dal Gens Iulia (Iulo, figlio di Enea, Ascanio). SOCIETÀ E CULTURA La presenza degli etruschi e degli altri popoli rese inevitabili le contaminazioni culturali. Dagli etruschi i romani appresero l’ingegneria, l’architettura. Dai greci i romani presero le divinità di cui romanizzarono i nomi, la filosofia e i culti, nonostante romanizzarono sempre ciò che derivava dalla Grecia. LETTERATURA DELLE ORIGINI La data canonica della nascita della letteratura è il 240 a.C., anno in cui Livio Andronico mette in scena la prima tragedia basata su un testo scritto (la scrittura conferisce lo status di letteratura alla produzione orale), Livio Andronico è considerato “padre della letteratura romana” anche perché i romani si rifanno alla letteratura greca e proprio Andronico tradusse l’Odusia di Omero in versi romani. La letteratura romana nasce quindi come traduzione, sempre adattata al gusto e alla cultura romana, della letteratura greca, in particolare da Esiodo e Omero; la letteratura romana nasce in questo senso già adulta. PRIMI DOCUMENTI IN LINGUA LATINA Le iscrizioni sono testimonianze epigrafiche e archeologiche che associano l’uso della scrittura a momenti della vita quotidiana, sia in ambito pubblico sia in ambito privato. Ambito pubblico: - Fasti: calendario ufficiale romano stilato dal Pontifex Maximum. Venivano annotati i giorni fasti e nefasti per le attività pubbliche - Tavola Delbata: tavola bianca su cui ogni magistrato annotava i propri atti ufficiali. Su quella del Pontifex Maximum venivano annotati i nomi dei magistrati in carica e prendeva nota degli avvenimenti importanti dell’anno trascorso - Annales: insieme di tutte le tabulae delbatae. Sono la memoria storica di Roma su cui si basò la successiva storiografia romana CARMINA Sono un prodotto di letteratura arcaica; si presentano come un insieme di composizioni eterogenee per contenuti e temi, accomunati dallo stile solenne e monumentale scandito ritmicamente da una sorta di canto (canere=cantare -> carminis) che aiutasse a ricordare il testo - Carmen Saliare: canto dei sacerdoti Salii eseguiti durante le processioni di marzo - Carmen Arvale: canto con cui i sacerdoti Arvali purificavano i campi (arva) - Elegia: iscrizioni celebrative di uomini illustri 4 Per quanto riguarda la coturnata vengono soppressi il coro e la sua funzione, fondamentali nella tragedia greca perché conferivano al genere tragico la solennità che distingueva di netto tragedia da commedia. La tragedia romana sopperisce all’assenze del coro attraverso un meticoloso lavoro sulla lingua servendosi di grecismi, neologismi, prestiti dalla lignua della politica, del diritto, della religione, tutti coniugati dalla polimetria e da effetti di pathos (caratteristico della poesia latina) per estraniare il pubblico. 3. EPICA ARCAICA Gòi scrittori del I sec. a.C. indicavano Livio Andronico come iniziatore della letteratura latina, a lui si deve infatti la traduzione in saturni in lingua latina dell’Odusia di Omero, poema epico greco per eccellenza. Pochi decenni più tardi seguirà Gneo Nevio con il suo Bellum Poenicum che trattava del recente conflitto con Cartagine (Guerra Punica). Nonistante questi grandi primati siano da riconoscere ai due autori, ovviamente non sono paragonabili al grande Omero e gli autori successivi non mancano di farlo notare: Cicerone, Orazio e Ennio, questi criticherà il saturnio usato da Andronico e lo sostituirà con l’esametro dattilico. LIVIO ANDRONICO (280 – 200 A.C.) Proveniente da Taranto, era probabilmente uno schiavo liberto del nobile Livio Salinatore. A Roma lavorò come grammaticus di latino e greco. in età avanzata gli venne commissionato un paternio, canto di fanciulle in onore di Giunone, dopo il quale il suo successo diventò tale da consentire alla sua associazione, collegium scriborum historiamque, di trasferirsi nel Tempio di Minerva. PRODUZIONE TEATRALE - Tragedie ispirate al ciclo troiano: Achilles, Aiax mastigoohorus, Equaos troianus, Aegistius - Commedie: Gladiolus (sciabiletta, soldato fanfarone) ODUSIA – TRADUZIONE ARTISTICA Questa traduzione fa di Livio Andronico un vero e proprio precursore, l’importanza di questa traduzione era finalizzata a rendere accessibile ai giovani questo autore greco che altrimenti poteva essere conosciuto solo dai nobili che conoscevano il greco. In questa traduzione Livio Andronico in parte resta fedele al testo originale, in parte rende la sua Odusia un’opera autonoma. Innanzitutto, è bene specificare che la visione degli dèi dei greci era molto diversa da quella dei romani, per questo Andronico definisce il suo eroe summus adprimus e non parla di un eroe pari agli dèi (per i romani o si è uomo o si è dio). Andronico sostituisce la musa che ispira Omero con una Carmena, divinità italica più vicina alla cultura romana. Dal punto di vista linguistico Andronico prende in prestito dal linguaggio religioso molti termini per restituire la risonanza dell’epica greca, questa scelta viene criticata dai suoi successori che ritengono l’Odusia permeata di arcaismi, ma Andronico è contemporaneo dei poeti alessandrini del III secolo (Callimaco, Apollonio Rodio, Teocrito) ed è inevitabile che il suo linguaggio sia influenzato dalla loro produzione letteraria. GNEO NEVIO (275 – 201 A.C.) Cittadino romano di origine campana (caso unico), prese parte alla prima Guerra Punica. Non era aristocratico e infatti sono noti i suoi scontri con la nobiltà, soprattutto con la famiglia dei Metelli. Questo suo stile di vita anticonformista, privo di qualsiasi tipo di protezione, lo porterà all’esilio in Africa. TEATRO DI NEVIO 5 A lui sono da attribuire le prime praetexte: - Romolus: fondazione di Roma - Clastidium: guerra di Casteggio -> Marcello VS Galli - Lycurgus: argomento mitologico. Licurgo, re di Tracia, vuole eliminare il culto dionisiaco, diffusosi ai tempi di Nevio anche a Roma, abolito poi nel 185 a.C. Il teatro comico di Nevio è paragonabile a quello di Aristofane, con attacchi politici anche personali - Tarentilla: ragazza di Taranto BELLUM POENICUM – POEMA EPICO Nevio scrive questo poema in saturni, sulla base della sua personale esperienza di soldato (durante la Prima Guerra Punica), per spronare i romani a combattere duramente negli anni della Seconda Guerra Punica (anni in cui scrive il poema). È quasi certo che il poema si aprisse con un lungo excursus sulle origini leggendarie di Roma: menziona la caduta di Troia, ricollegando Roma alla stirpe troiana e legando popolo greco e romano, inserendo probabilmente l’incontro tra Enea e Didone. Il poema narra della storia di Roma fino alla guerra contro Cartagine, ma senza seguire un ordine cronologico, piuttosto giustapponendo il mito alla storia, come due filoni che non si intersecano. Nevio usa uno stile solenne del tutto innovativo e sperimentale: crea nuovi composti (neologismi) prendendo in prestito dal linguaggio della poesia sacrale romana arcaica, inserisce figure di suono (allitterazioni, assonanze, ripetizioni) per creare un linguaggio epico. Date le origini campane di Nevio è probabile che conoscesse il greco e la poesia greca; infatti, l’opera si inserisce nel solco della tradizione greca. 4. PLAUTO (255/50 – 184 A.C.) Considerato, insieme a Terenzio, il più prolifico autore di palliate. Non era di origini romane, ma proveniva dall’Umbria, era un cittadino libero. Le sue origini umbre sono testimoniate dal cognome Plautus che deriva da una romanizzazione del termine umbro Plotus (orecchie lunghe o piedi piatti). Il secondo nome Maccius ricollega invece al nome dell’omonimo personaggio della farsa italica che stabilisce un legame tra il teatro plautino e questa rappresentazione di stampo popolare (errori di trascrizione M. Accius Plautus). Il suo successo fu pressochè immediato, per questo fu oggetto di plagio, tanto che in tarda età repubblicana Varrone si occupò di un minuzioso lavoro filologico per isolare, tra le 130 in circolazione nel II sec. a.C., le palliate autentiche di Plauto, selezionandone 21 (giunte a noi integre eccetto una: Anfitrione Curculio Poenulus Asinara Epidicus Pseudolus Aulularia Menaechmi Rudens Bacchides Mercator Stichius Captivi Miles Trinummus Casina Mostellaria Truculentus Cistellaria Persa Vidularia 6 STRUTTURA DELLE COMMEDIE Gli intrecci delle commedie plautine sono prevedibili, lo spettatore sa già cosa aspettarsi: Plauto mette in scena uno specchio della società romana contemporanea. Quando lo spettatore assiste allo spettacolo si trova in un mondo al contrario in cui tutti i capisaldi su cui si basano le istituzioni romane si sono dissolte, da qui la necessità di ristabilire l’ordine grazie all’intervento del servo e della Fortuna (agnizione). La situazione si risolve da sé perché non può risolversi in altro modo, questo perché costumi e tradizioni romane vanno sempre rispettate; in Plauto non troviamo alcun fine didascalico, vuol far ridere il pubblico, non scandalizzarlo, per questo poi tutto si risolve e torna alla normalità, tutto nasce per incomprensioni. I personaggi sono generalmente fissi e riconoscibili dallo spettatore: - Giovane innamorato: non è abbastanza furbo e ha bisogno di un aiutante per ottenere l’amata - Servo astuto: regista e motore dell’azione scenica - Vecchio: antagonista dell’innamorato - Lenone: altro antagonista che interviene nel caso l’oggetto del desiderio sia una cortigiana - Fanciulla amata: a volte una cortigiana, a volte ragazza di umili origini che poi si scopre essere di nobili origini - Soldato fanfarone: millantatore - Parassita: avido, scroccone, adulatore, pronto a tutto in cambio di qualcosa Le commedie si sviluppano secondo questo schema: 1. Agumentum: testo informativo con funzione di riassunto 2. Prologo: esposizione dei fatti e anticipazione di essi in cui sono presenti i diverbia (dialoghi) e le cantica (parti cantate) La forma dell’intreccio è quasi sempre la stessa: • Lotta per il possesso di un bene (donna amata, denaro per ottenerla) • Intervento dell’antagonista: vecchio padre solitamente che impedisce l’amore tra i due • Intervento del lenone • Intervento del servo che permette l’agnizione • Lieto fine SERVO Il servo è il personaggio più importante e più interessante nelle opere plautine. È grazie a lui, infatti, che tutto si risolve. Il servo può essere poeta e dare voce ai pensieri stessi di Plauto, tessendo inganni e raggirando riflettendo sempre con il pubblico. Talvolta contro il servo e le sue trame interviene la Fortuna, la Sorte, che gioca a sfavore, ma l’abilità del servo è anche quella di non farsi scoraggiare da nulla e di perseguire i propri obiettivi. Il servo è alla fine il vero regista dell’azione, alter ego del poeta, inesauribile fonte di comicità e colui grazie al quale tutto si risolve. LINGUA DI PLAUTO La lingua utilizzata da Plauto è il latino parlato dal romano medio colto, la modalità espressiva è il dialogo, frequenti sono gli stilemi affettivi per risvegliare l’attenzione dell’interlocutore e per coinvolgerlo emotivamente, frequenti sono le ripetizioni e le ridondanze. Lo stesso vale per i diminutivi affettivi. Predomina la paratassi, frequenti sono i grecismi e gli arcaismi. 9 ANNALES Sono l’opera più importante scritta da Ennio, finalizzata alla celebrazione di Roma. L’intento celebrativo è da ricercarsi nella consuetudine ellenistica di concepire la poesia come poesia di corte dove poesia ed encomio erano strettamente legati, aspetto criticato da Catone, avverso alla propaganda personale, perché questa propaganda si distacca dal concetto di virtus a beneficio della città. Il progetto degli Annales doveva avvicinarsi alle opere di Omero, celebrando le gesta eroiche; prima di Ennio anche Nevio aveva tentato di mettersi al pari di Omero, ma senza seguire un ordine cronologico nell’elencare i fatti. Ennio invece segue l’ordine cronologico degli avvenimenti e inserisce, per la prima volta, l’esametro dattilico e, copiando ciò che fecero i dotti alessandrini con i testi omerici, divide il poema in libri concepiti come un continuum diviso in versi. Anche il titolo è molto importante, rimanda infatti agli Annales pontificium che venivano redatti di anno in anno per tenere testimonianza degli avvenimenti significativi svoltisi nell’anno appena trascorso. Ennio però conferisce alla guerra una maggiore importanza rispetto agli altri avvenimenti, questo perché era nella guerra che si manifestava la virtus romana. In origine il progetto degli Annales di Ennio prevedeva 15 libri in cui veniva narrata la storia di Roma dalla fondazione alla vittoria in Etolia di Nobiliore. Questo preogetto prevedeva due proemi posti uno all’inizio dell’opera e uno a metà, nel libro VII; successivamente furono aggiunti tre libri a quelli previsti, questo determina uno “squilibrio” dei proemi. Nel primo proemio, nel libro I, Ennio introduce un’invenzione: racconta che mentre dormiva gli apparve in sogno la figura di Omero reincarnatosi in Ennio stesso, con questo espediente Ennio si investe come erede vivente del più grande poeta esistente. Ritroveremo questo primo topos della reincarnazione nel Somnium Scipionis di Cicerone. Nel secondo proemio, al libro VII, Ennio ci presenta il secondo topos dell’invocazione alle muse, questa volta sono le muse dei grandi poeti greci e non più le Carmene (divinità italiche) di Livio Andronico, divinità arcaiche. Arcaico è anche il saturnio che Ennio sostituisce con l’esametro dattilico sul modello greco e con questo escamotage Ennio si erge a dicti studiosus, ovvero cultore della parola e filologo che per primo può competere ad armi pari con la letteratura greca e quindi con gli alessandrini dotti. Ennio nel suo poema epico inserisce parole greche traslitterate, figure di suono (allitterazione spicca su tutte perché riporta agli antichi carmina). Il suo lavoro di adattamento dell’esametro è sperimentale, siamo infatti molto lontani dall’esametro classico di Ovidio e Virgilio; Ennio influenzerà in modo significativo il genere epico come poesia celebrativa e si dovrà attendere Virgilio prima che questo genere cambi direzione unendo alla celebrazione (di Augusto) la riflessione mediata attraverso lo strumento del mito e del destino dell’uomo. L’epica celebrativa sarà destinata ad affermarsi e ad avere molti seguaci, tra cui Varrone Atacino, Giulio Cesare, Cicerone. Il concetto di virtus, strettamente nazionalistico, è parte dell’ideale aristocratico, per questo in Nevio la guerra è vista come fatica delle masse militari e non come espressione di gesta eroiche del singolo (secondo il modello greco). A differenza del modello greco però a Roma le gesta eroiche sono viste come tali solo se è messa al servizio della città è non di mire personali. Solo successivamente al I sec. a.C. la virtus si emanciperà dal concetto di servizio per lo stato diventando un servizio a sé stesso; inoltre diventa ereditaria, quindi si tramanda di padre in figlio, seguendo le stirpi e le famiglie aristocratiche. In una fase successiva si aggiungeerà alla virtus ereditaria quella per merito, nasce così l’homo novus che troveremo ad esempio nel Bellum Iughurtinum di Sallustio nella figura di Mario. Un altro homo novus è Cicerone perché proporrà una virtus militare affiancata dall’industria (impegno) tipica del magistrato. 10 Libri I-III Libri IV-VI Libri VII-IX Libri X-XV Libri XVI- XVIII Proemio Guerre VS italici Secondo proemio Campagne in Grecia e Siria dopo vittoria su Annibale Campagne militari più recenti fino alla morte di Ennio (169 a.C.) Venuta in italia di Enea Guerre VS Pirro Guerre Puniche Trionfo di Nobiliore sugli Etoli Fondazione di Roma Periodo dei Re 7. TRAGEDIA In età repubblicana e augustea la tragedia continuò a godere di popolarità grazie a Ennio, Accio, Pacuvio, influenzando poi autori come Virgilio, Ovidio, Seneca. Accio e Pacuvio replicarono la lezione di Ennio tragico nel periodo compreso tra gli Scipioni, i Gracchi e l’ascesa di Mario; Accio in particolare fu molto longevo. Ormai l’autore latino gode di rispettabilità all’interno della società, non è considerato alla stregua dei teatranti, ma sono considerati grammaticus con dignità letteraria che scrivono per un’élite colta. Anche i protagonisti della politica romana si cimentano nella letteratura (Cicerone, Cesare, Quinto, Augusto), ma al contempo i poteti avanguardisti abbandoneranno il genere tragico per dedicarsi a generi più intimi e personali (Elegiq, Satire) e la scena presenterà rappresentazioni di generi minori (farsa, mimo). PACUVIO (220 – 130 A.C.) Pacuvio, nipote di Ennio, si legò al circolo degli Scipioni. Scrisse tragedie come Niptra, sul ritorno di Odisseo, Dulorestes, l’Oreste schiavo. Fu un autore molto criticato per il suo stile contorto e intriso di neologismi e parole mai attestate dalla tradizione. ACCIO (170 – 84 A.C.) Nel 120 a.C. venne definito il poeta più importante del collegium poetarum. Scrisse coturnatae e praetextae, ma i suoi interessi lo portarono alla filollogia. In Accio la tragedia continua ad essere traduzione del modello greco con spiccato interesse verso il macabro e l’orrido (assente nella letteratura greca). In Accio è interessante come i vari temi ripresi dai modelli greci vengano usati per rispecchiare usi della società a lui contemporanea, ad esempio il tema della tirannide torna ad essere tema di attualità (nell’Atreus di Accio è presente la frase che verrà poi usata, secondo quanto riporta Svetonio, da Caligola per giustificare il suo rapporto con i sudditi). La tragedia arcaica è stata molto criticata per l’uso forzato di neologismi che ne rende difficile la lettura, ma è un effetto voluto dagli utori che mirano a dare grandiosità al genere. 8. STORIOGRAFIA Prima di Catone le opere storiografiche erano state gli Annales, successivamente, quando Roma diventa una potenza nel Mediterraneo, la storiografia viene scritta in lingua greca perché considerata più adatta alla politica internazionale, tra gli autori sicuramente è da ricordare Fabio Pittore, aristocratico nella cui opera prevalgono gli interessi antiquari. CATONE (234 – 149 A.C.) Distintosi durante la seconda guerra punica, intraprese il cursus honorum ricoprendo la carica di questore, console, tribuno militare e infine censore. La sua censura si focalizzò maggiormente sul rispetto del rigore morale, difendendo le 11 virtù del mos maiorum (fides, pietas, majestas, vistus e gravitas) e condannando la grecizzazione ormai diffusa, famoso è il suo motto “Carthago delenda est” anche se l’effettiva distruzione di Cartagine avvenne tre anni dopo la sua morte (146 a.C). ORIGINES La prima opera storica scritta in latino, voluta da Catone per rompere con la tradizione che voleva questo genere in lingua greca. La sua avversione nasce dal fatto che ormai Roma è la prima potenza nel mediterraneo, a parte di Catone è giusto che venga usata la lingua di Roma, il latino. La storiografia di Catone è politica e si concentra sugli avvenimenti del presente, il suo timore è la decadenza dei valori del mos maiorum e l’emergere di atteggiamenti non virtuosi. L’opera è divisa in sette libri: - Libro I: Fondazione di Roma - Libri II, III: Origini delle città italiche (Origines) - Libri IV, V: Guerre Puniche - Libri VI, VII: Avvenimenti fino al 152 a.C L’elemento innovativo delle Origines è costituito dal II libro II in cui Catone insiste sul fatto che la grandiosità di Roma è il prodotto dell’opera collettiva messa in atto dal popolo romano unitamente con le popolazioni italiche. La storiografia di Catone si allontana dalla tradizione celebrativa del singolo eroe/personaggio illustre, Catone non nomina i condottieri, lo stesso Annibale non viene chiamato per nome, in questo modo Catone evidenzia l’importanza della collettività sul singolo, solo i soldati di basso rango vengono menzionati, ma rappresentano la virtù collettiva della repubblica. Questi orientamenti storiografici si riflettono nel periodo storico in cui Roma si era inevitabilmente avvicinata ad altre culture: quella greca e quella italica, di cui Catone faceva parte essendo originario di Tuscolo. A livello linguistico, la prosa catoniana è ricca di arcaismi e non è fluida come quella che sarà poi di Cicerone, la prosa non è ancora quella di impianto classicista. DE AGRI CULTURA Trattato in prosa sull’agricoltura che contiene, in forma asciutta e schematica, una serie di precetti finalizzati a delineare il perfetto proprietario terriero, il pater familias: • Parsimonia • Industria • Duritia L’agricoltura è un’attività sicura e onesta che forma buoni soldati, solo perseveraando si possono raggiungere i propri obiettivi, senza abbandonarsi a prechi ed eccessi. Da quest’opera traspare ciò che è ormai diventata l’agricoltura: la nuova realtà è quella latifondista, ha soppiantato la piccola proprietà terriera, l’etica catoniana mostra la brutalità del trattamento degli schiavi e Catone stesso suggerisce la vendita di schiavi malati e vecchi perché inadatti alla produzione su larga scala finalizzata alla produzione e alla competizione (anche vendere a prezzi più alti quando c’è richiesta, PRECEPTA AD FILIUM 14 Terenzio seleziona, rispetto a Plauto, accuratamente la materia linguistica. Sebbene ad uno sguardo poco attento possa sembrare un linguaggio semplice, è in realtà molto ricercato. Nelle sei commedie, il cui fulcro è sempre l’amore, la parola “bacio” non si presenta se non due volte, questo perché i personaggi di Terenzio sono molto pudichi. Lo stesso vale per le parole di insulto che non sono mai presenti, non troviamo neanche parole della quotidianità, Terenzio cerca uno stile medio e pacato, privo di eccessivo colore, un linguaggio tipico delle classi urbane di buona educazione e cultura. CECILIO STAZIO Liberto di origine straniera, era un gallo di Milano; giunge a Roma dopo il 222 a.C. Fu autore di commedie palliate di cui ci sono giunti solo 40 titoli, oggi lo consideriamo un poeta minore perché non ci è giunto altro, ma gli intellettuali contemporanei lo ritenevano superiore a tutti. Si colloca nell’ambito della commedia tra Plauto e Terenzio: - È diverso da Plauto perché è più vincolato alla Commedia Nuova Ateniese, anche i titoli lo confermano in quantop sono gli stessi degli originali greci - È diverso da Plauto perché è totalmente assente la figura dello schiavo (fondamentale in Plauto), forse Cecilio Stazio è più fedele ai modelli. - Il modello preferito è Menandro, la metà dei titoli è di derivazione menandrea - È simile a Terenzio per la fedeltà ai modelli, l’interesse per Menandro, la riflessione sulla condizione umana - Il Plocium di Cecilio Stazio rappresentava l’unica connessione e l’unico confronto tra la palliata e l’originale greco Plokion di Menandro. 10. SATIRA A lungo si è pensato che il termine “satira” derivasse dal greco “satyros”, figura attinente al genere satiresco. Sembrerebbe più accreditato il collegamento con la “satura lanx”, un piatto ricco di primizie che nella Roma arcaica veniva offerto agli dèi, oppure un tipo di procedimento giuridico, “lex ad saturam”, che prevedeva l’unione di vari argomenti per ottenere un unico provvedimento legislativo; la satira è quindi un genere che include molti temi differenti tra loro, accomunati dall’ampio spazio concesso agli interventi personali e diretti dell’autore. Ennio si dedicò alla scrittura di Satire, ma non sappiamo se contenessero o meno spunti di aggressione satirica alla maniera di Nevio, del quale però non ci sono pervenute satire; quindi, non sappiamo se ne abbia scritte o meno. LUCILIO (148/168 – 102 A.C.) Proveniente da una ricca famiglia aristocratica, come Terenzio gravita attorno al circolo degli Scipioni, ma a differenza di Terenzio non necessita della protezione degli Scipioni: è benestante e può permettersi di scrivere ciò che vuole, senza il timore di crearsi nemici politici e soprattutto non è costretto a vivere dei propri scritti, si dedica alla letteratura per interesse personale, vive lontano dalle cariche pubbliche e per questo si dedica intensamente alla scrittura di lettere. SATIRE Sappiamo che Ennio scrisse un libro d i Satire, a quelle di Lucilio se ne differenziano perché innanzitutto per Ennio questo era u genere minore, invece Lucilio si perfeziona in questo, Ennio inserisce commenti personali e episodi a carattere autobiografico, ma Lucilio ha consapevolezza di sé e critica aspramente, seguendo maggiormente lo stile di Nevio, cosa che Ennio non fa. Il pubblico di Lucilio è nuovo e desideroso di opere su cui dedicarsi nella lettura personale (decade la rappresentazione scenica), per questo Lucilio desidera fare una letteratura che rispecchi la realtà contemporanea. 15 In totale 30 libri di satire, curati personalmente da Valerio Catone nel I sec. a.C., per questo la suddivisione in libri non è opera di Lucilio, ma di Catone che applica un ordine metrico e non cronologico: - Libri I – XXI: esametri dattilici (5 dattili, 3 sillabe) - Libri XXII – XXV: distici elegiaci (esametro e pentametro) - Libri XXVI – XXX: metri giambici (3 metri) e trocaici (4 metri) Anche il titolo probabilmente non è stato scelto da Lucilio, ma viene usato da Orazio quando si riferisce al genere di Lucilio; Lucilio chiamava i suoi componimenti Poemata oppure Ludus ac Sermones, quindi “Chiacchiere scherzose”. CONTENUTI E TEMI DELLE SATIRE Ciò che impressiona di Lucilio è la varietà dei temi trattati: - Libro I: Nel Concilium Deorum viene deriso Lentilo Lupo (poco simpatico agli Scipioni) che gli dèi decidono di far morire per indigestione. È una rappresentazione parodica del concilio degli dèi, che vengono rappresentati nei modi e nel protocollo tipico dei Senatori romani. - Libro III: Viaggio in Sicilia. Il tema del viaggio ritornerà anche in Orazio e Petronio. - Libro XXX: Narra di un banchetto. Il tema del banchetto verrà ripreso da autori di satire successivi (e compare già in Ennio). - Libro XVI: dedicato alla donna amata e all’amore vero questa, anticipa sotto alcuni aspetti Catullo e l’elegia di età augustea. - Libro XX: Narra della fastosa Cena di Granio che incarna il tipico parvenu, ma che in realtà non ha il palato sopraffino. - Altri temi: in alcuni libri si affrontano tematiche letterarie e grammaticali. Poeti come Accio e Pacuvio vengono derisi per il loro gusto enfatico e declamatorio, viene criticato lo stile solenne della tragedia, quest’ultimo aspetto lega Lucilio a Callimaco e all’esperienza della poesia neoterica in età cristiana. I tratti della satira di Lucilio sono gli stessi della satira romana: moralismo e critica sociale. Le critiche vengono mosse contro il lusso, le maniere grecizzanti e la virtus arcaica. Lucilio verrà consacrato da Orazio a inventore della forma satirica, nonostante si perderà parte della sua polemica (per i tempi diversi: istituzioni e società diverse. I poeti della Roma imperiale lotteranno contro altri, contro chi???) LINGUA E STILE Alla varietà di temi corrisponde una varietà di stili: elabora un insieme di linguaggio epico parodizzato e linguaggi specialistici che fino a questo momento erano rimasti esclusi dalla poesia latina (parole tecniche, di retorica, di medicina, di gastronomia). Questi fanno di Lucilio, insieme a Petronio, esempio di realismo in senso moderno, non sempre armonico, ma volutamente. IDENTIKIT DELLE SATIRE DI LUCILIO Tematiche: - Parodia del concilio degli dèi - Topos del viaggio - Topos del banchetto - Amore 16 - Questioni letterarie Toni: - Moralismo (contro lusso, maniere grecizzanti, virtus del mos maiorum) - Spirito polemico) - Realismo (vita quotidiana) Stile: - Parole elevate dello stile epico, in parodia - Lessico tecnico - Lingua colloquiale dei vari strati sociali - Grecismo - Parole etrusche e sabine Metrica: - Libri I – XXI: esametri dattilici (5 dattili, 3 sillabe) - Libri XXII – XXV: distici elegiaci (esametro e pentametro) - Libri XXVI – XXX: metri giambici (3 metri) e trocaici (4 metri) 11. L’ETÀ DEI GRACCHI E LA DITTATURA DI SILLA (133 – 79 A.C.) In seguito all’acquisizione illecita di latifondi, facenti parte dell’ager publicus (territorio romano derivante da confische ai popoli conquistati), a vantaggio di ricchi proprietari terrieri aveva causato diseguaglianze economiche che Tiberio e Caio Gracco vollero debellare. Tiberio Gracco, tribuno della plebe, aveva emesso una lex agraria, a vantaggio della popolazione meno abbiente, in base a questa lex i proprietari terrieri non potevano possedere più di 500 iugeri di terra e l’eccedenza sarebbe poi tornata a far parte dell’ager publicus. L’aristocrazia, sentendo minati i propri interessi, fece assassinare Tiberio Gracco, cui successe il fratello Gaio che tentò di emanare leggi favorevoli per tutti. Propose per i popoli italici l’estensione della cittadinanza romana e del diritto romano, questa legge fu ostacolata anche dai seguaci di Gaio, tanto che nel 121 subì una sconfitta elettorale. Anche l’abrogazione della legge sulle colonie comportò una rivolta di partito che il senato fu costretto a reprimere col sangue; da qui inizia un periodo di scontri terribili e di instabilità politica che metterà in crisi la repubblica in maniera irreversibile. Nell frattempo si afferma la figura di Caio Mario, un homo novus, privo di illustri antenati che incarna il perfetto leader popolare. Distintosi in guerra contro Giugurta, diventa console dal 104 al 100 a.C., il suo consenso diminuirà e uscirà di scena nel 99 a.C. Fino al 90 a.C. si distingue l figura di Druso che tenta di attirare il consenso del popolo e degli alleati italici per battere i cavalieri. Senato e italici fanno dichiarare nulle le leggi emanate da Druso, che morirà in tempi brevi in uno scontro. A causa di una rivolta delle popolazioni italiche il Senato, per reprimerla, è costretto a mettere in scena Mario e Silla. 19 Nel 66 a.C. Cesare e Crasso favorirono le trame di Catilina che aspirava al consolato, ma questi non viene eletto. Riprova le elezioni nel 63 a.C. sostenuto da Crasso, ma viene nominato al suo posto Cicerone. Ritenta una terza volta, ma la congiura si conclude con la sua disfatta e la sua morte a Pistoia. Pompeo, ne frattempo, torna vincitore dall’Oriente e desidera terre per i suoi veterani che il senato non gli concede; deluso si avvicina definitivamente a Cesare. Nasce il primo triumvirato composto da Cesare, Pompeo e Crasso, un accordo tra i tre uomini che non viene sancito da alcuna legge, un’eccezionalità politica: è un accordo privato che viene simbolicamente suggellato dall’unione in matrimonio tra Pompeo e Giulia, figlia di Cesare (i due si amarono per davvero). Cesare ottiene il consolato e promuove leggi per consolidare la sua unione con Pompeo e Crasso; si assicura un importante incarico nella Gallia Cisalpina che dura cinque anni. Prima della partenza per quest’impresa elegge Clodio come tribuno della plebe, questi farà esiliare Cicerone in seguito alla condanna ai seguaci di Catilina a morte senza ricorrere al diritto romano. Nel 58 Cesare è coinvolto nella prima campagna in Gallia: blocca l’avanzata degli Elvezi e muove contro gli Svevi. Nello stesso periodo sottomette molte tribù galle e annuncia a Roma la conquista della Gallia Settentrionale. Roma, nel frattempo, diventa teatro di scontri tra Clodio e Milone, Cicerone, per intercessione di Pompeo riesce a rientrare in patria. Nel 55 viene rafforzato il triumvirato e i triumviri si spartiscono i territori: - Cesare: Gallia - Pompeo: Spagna - Crasso: Siria I rapporti tra Cesare e Pompeo però si incrinano e l’improvviso assassinio di Crasso fa precipitare il triumvirato: Roma è nell’anarchia. Durante le elezioni del 52 a.C. Clodio verrà ucciso da Milone (poi difeso da Cicerone nella Pro Milone) e il senato verrà affidato a Pompeo, da solo. Per questo motivo cesare oltrepassa il Rubicone nel 49 a.C. con la celebre frase “alea acta est”, dando inizio alla guerra civile contro Pompeo che, però, si trasferì in Grecia. Cesare sconfigge i vari eserciti pompeiani, decisiva fu la battaglia di Farsalo in seguito alla quale Pompeo fuggì in Egitto, ma venne assassinato non appena sbarcato. Cesare è ormai signore di Roma, nel 44 a.C. gli viene conferito il titolo di console per 10 anni con il titolo di imperator a vita e il diritto di trasmetterlo ai propri discendenti. Memore dell’ultima dittatura di Silla, i senatori non vogliono un altro dittatore, per questo decidono di assassinarlo nel giorno delle Idi di Marzo (15 marzo 44 a.C.). SOCIETÀ E CULTURA IN ETÀ CESARIANA Molti sono i cambiamenti, a livello politico e culturale, che si verificano in questo periodo. La Repubblica cessa di esistere in quanto Roma è ormai un Impero, sempre più difficile da amministrare. Sotto Giulio Cesare si assiste a un notevole sviluppo culturale: l’età cesariana è legata in particolare a un grande nome, Cicerone, il quale eccelse nell’oratoria, nella retorica, nella filosofia morale e nella politica; ebbero grande fioritura anche gli studi di antiquaria (Varrone, Attico, Cornelio Nepote, Sallustio) che parvero eclissare la produzione teatrale. La cultura romana si rende indipendente da quella greca, si interroga su sé stessa e diventa una componente fondamentale per la formazione della classe dirigente, si diffonde in questo modo la figura dell’intellettuale impegnato (Cicerone è il migliore esempio). A questa figura però si contrappone anche la figura del poeta che preferisce la vita appartata e l’amore all’impegno politico (Catullo e Lucrezio), questa figura scalzerà quella dell’intellettuale. 20 CICERONE (106 – 43 A.C.) Originario di Arpino, nasce nel 106 a.C. da una ricca famiglia equestre. Studia retorica e filosofia a Roma, sotto la guida di Licinio Crasso. A casa di questi pare abbia avuto contatti con i maggiori intellettuali dell’epoca. Eccelse in quattro ambiti: - Oratoria - Retorica - Filosofia - Politica Gli scritti di Cicerone si dividono in - Orazioni: discorsi pronunciati in vita - Trattati: di argomento retorico, filosofico e politico - Lettere: epistolario privato Con Cicerone si assiste a un nuovo progetto politico e sociale: è qui che la parola diventa un’arte al servizio della politica. L’ars discendi di Cicerone è sempre raffinata ed equilibrata volendo dominare il suo oratorio e agire come regista delle emozioni di questo. Per Cicerone nulla va cambiato, ma questo ragionamento poteva funzionare nella Roma repubblicana, quando era ancora una città stato, adesso Roma è un Impero. Il fine delle opere ciceroniane è quello di dare una solida base ideale, etica e politica alla classe dirigente che non dovrebbe ignorare in toto la filosofia ellenistica, ma dovrebbe accogliere ciò che può essere usato per elevare il mos maiorum romano. La tradizione romana del negotium, l’impegno politico, si apre alle innovazioni culturali provenienti dalla Grecia, in particolare all’importanza delle attività culturali nel tempo libero, l’otium, veicolando il concetto di humanitas ciceroniana, in equilibrio tra tradizione e modernità. CICERONE ORATORE L’esordio di Cicerone come oratore è datato all’81 a.C. con la Pro Quinctio, un’orazione pubblica. Oggetto della contesa è la legittimità dell’azione di sequestro preventivo eseguita da Sesto Nevio contro Quinto. Un anno dopo segue la Pro Sextio Roscio, con questa Cicerone debutta a tutti gli effetti. Cicerone difende Sesto Roscio dall’accusa di parricidio. Cicerone vuole dimostrare l’innocenza del suo cliente e chiederne l’assoluzione perché paghi il vero colpevole: dietro l’uccisione del padre Amerino c’era infatti un liberto di Silla che mirava alle terre di questi. Dopo la vittoria della causa Cicerone va in Grecia e Asia per perfezionare gli studi (79-77 a.C.); dopo la morte di Silla (75) ricopre la questura in Sicilia conquistandosi la fama di governatore onesto. CONTRO VERRE Successivamente, nel 70 a.C., furono proprio i siracusani a chiedere la difesa di Cicerone da Verre che aveva sfruttato la provincia. Cicerone raccolse tutte le opere possibili e riuscì a pronunciare solo la prima delle due actiones contro Verre: non ci fu il tempo di pronunciare la seconda in quanto Verre fuggì dall’Italia. Nonostante questa fuga, Cicerone pubblicò la seconda actio in forma di azione accusatoria. Verre viene dipinto da Cicerone come un uomo pigro, circondato da loschi figuri, il ritratto dell’aristocrazia corrotta pronta a usare il denaro dello stato per interessi personali, Cicerone fa un ritratto satirico degli avversari. 21 Dal punto di vista stilistico, le Verrine sono mature ed equilibrate, Cicerone elimina alcune ridondanze, ma senza avvicinarsi all’essenzialità degli atticisti, si mette nel mezzo tra asiani e atticisti. PRO LEGE MANLIA Dop la questura in Sicilia, torna a Roma e riveste a carica di Pretore nel 66 a.C. Nello stesso anno, nella sua Pro Lege Manlia, difende il progetto di legge presentato da Manlio che prevedeva concessioni a Pompeo in tutto l’Oriente, provvedimento reso necessario dalle minacce di Mitridate. Questa orazione non è un avvicinamento a Pompeo e ai populares, ma una necessità dettata dagli eventi. Cicerone, infatti, ripudiò quest’orazione in seguito, ma sostenne sempre che in tali circostanze deve venire prima di tutto la Concordia Ordinum (accordo tra Senatore e ceto equestre per porre fine agli scontri sociali attraverso l’alleanza dei ceti abbienti. A questo si aggiungerà poi io consensus omnium bonorum). Pompeo e Cicerone necessitavano dell’appoggio dei cavalieri per la conquista delle posizioni dello stato. CONTRO CATILINA Le Catilinarie sono legate alla congiura di Catilina, che Cicerone descrive come ignobile, e rappresentano anche il modello della concordia ordinum. Cicerone si batte contro la candidatura senatoria di Catilina, sostenuto dai populares, Cicerone denuncia la cospirazione. Stilisticamente sono caratterizzate da toni veementi, minacciosi e ricchi di pathos, anche qui, come nelle Verrine, la Patria viene personificata in tutte le offese ad opera di Catilina e dei suoi seguaci. SCONTRO CON IL TRIUMVIRATO Con il primo Triumvirato inizia il declino politico di Cicerone (60 a.C.), entrò in conflitto con Clodio, tribuno della plebe che rese retroattiva una legge per esiliarlo in seguito al mancato processo ai seguaci di Catilina condannati a morte dopo le Catilinarie. Cicerone viene esiliato in Tessalonica, in questo periodo sono numerose le lettere all’amico Attico che testimoniano il periodo difficile vissuto da Cicerone. PRO SESTIO Grazie all’intercessione di Pompeo Cicerone rientra a Roma e nel 56 a.C. torna in scena con la Pro Sestio difendendo il tribuno accusato da Clodio di violenza. È in quest’orazione che si delinea la concordia di tutte le persone agiate e possidenti, amanti dell’ordine politico e sociale. I boni non devono perseguire i propri interessi privati, ma quelli dello Stato. Nonostante questo suo pensiero di collaborazione tra boni, Cicerone farà un’orazione contro Clodio (la Pro Caelio) in cui difende Caelio dall’accusa di Clodio per aver avvelenato la sorella Clodia, futura Lesbia di Catullo: Cicerone dipinge la donna come senza vergogna e la accusa di avere rapporti incestuosi col fratello, considerate le abitudini di Clodia tutti i suoi amanti erano potenziali attentatori. Attraverso la donna Cicerone può attaccare Clodio indirettamente e vendicarsi dell’esilio. PRO MILONE Nel 52 a.C. muore Clodio, assassinato da Milone. L’orazione che Cicerone fa in difesa di Milone è considerata un capolavoro poiché equilibrata e ben argomentata, ma soprattutto perché Cicerone non nega il fatto, ma ribalta l’accusa elogiando il tirannicidio (Clodio è il tiranno). Ciò che leggiamo oggi è una revisione, l’originale era molto più tesa, è famoso l’episodio del crollo di nervi che ebbe Cicerone recitandola. L’orazione fu un insuccesso in Senato e Milone fu costretto a fuggire per evitare la condanna. ORAZIONI CESARIANE 24 La forma delle opere scritte in questo periodo è il dialogo platonico-aristotelico, i temi sono quelli delle grandi domande della filosofia ellenistica, con particolare attenzione all’esistenza degli dèi, il dolore, la paura della morte, la felicità. A differenza dei filosofi greci, però, Cicerone non vuole scrivere opere di questo genere né per essere originale (infatti riassume le teorie greche) né meramente come riflessione personale, ma con l’intento di presentare, all’ormai corrotta società romana, una summa della tradizione filosofica greca perché possa essere impiegata in modo pratico in termini di azione politica a vantaggio della vita pubblica e soprattutto della classe dirigente romana. Academica: Restano solo due libri. Tratta delle dottrine ellenistiche De natura deorum: opera in tre libri in cui Cicerone si scontra con gli epicurei che sostenevano che gli dèi non si interessassero alle cose terrene; quindi, invitavano al disimpegno civile (mos maiorum si basava sul timore degli dèi) De divinatione: argomento religioso TEORIA E PRATICA DELLA MORALE La ricerca morale è il punto di partenza per Cicerone: studio e etica sono connessi tra loro. Il fine della ricerca morale è trovare il sommo bene: la felicità, raggiungibile solo stabilendo norme di comportamento sociale. Il De finibus e le Tuscolanae disputationes sono due opere complementari in cui Cicerone rielabora la filosofia stoica. De finibus bonorum et malorum: dedicato a Bruto, capolavoro di Cicerone filosofo. In forma dialogica, ma il modo è più aristotelico perché alla fine i personaggi traggono le loro conclusioni. Solo la virtù può garantire felicità all’uomo. Tusculanae dispositiones: sempre dedicata a Bruto, è un dialogo aristotelico tra maestro e discepolo, è quasi un monologo su male, morte, dolore, noia, virtù come unica garanzia di felicità, deve sostenere e orientare l’anima. Cato Maior: operetta con la figura idealizzata di Catone il Censore in cui Cicerone concilia il negotium con l’otium (impegno politico e interesse verso le attività culturali) Laelius: Operetta in cui Cicerone ricerca i fondamenti etici della società, è ambientato nel 129 come il De Re Publica. Il tema è quello del rapporto tra veri amici che è incarnato dal circolo degli Scipioni: un rapporto che supera quello clientelare dello stato aristocratico, qui Cicerone allarga il concetto di amicizia che va oltre la cerchia ristretta della nobilitas: fondamento dell’amicizia sono la virtus e la probitas (onestà), riconosciuti a vasti strati della popolazione. MORALE PER LA CLASSE DIRIGENTE De Officis: è un trattato in tre libri sui doveri che dedica al figlio Marco, studente di filosofia. Cicerone riflette sui fondamenti di morale della vita quotidiana che permetta all’aristocrazia di recuperare l’egemonia sulla società. La base filosofica su cui si basa Cicerone è quella di Panezio, stoico moderato che dava valore agli istinti della natura umana, i quali non devono essere oppressi dalla ragione, ma moderati da essa; ne deriva il gentiluomo ciceroniano che attraverso il decorum cerca l’approvazione con ordine, coerenza, misura. EPISTOLARIO Composto da circa 900 lettere (alcune di risposta), probabilmente non concepito per la pubblicazione, contiene lettere vere in cui traspare l’uomo vero, non il politico, con tutte le sue preoccupazioni e i suoi sentimenti. 25 È caratterizzato dalla varietà dei testi e degli argomenti, degli stili e dei toni, ricco di colloquialismi, grecismi, parole pittoresche. È organizzato sul criterio del destinatario: - Ad familiares: 16 libri - Ad Atticum: 16 libri (scriverà ad Attico per tutta la vita) - Ad Quintium fratrem: 3 libri - Ad Marcum Brutum: 2 libri (forse non autentiche) OPERE POETICHE Criticata dai contemporanei e dai posteri perché se paragonata al resto delle sue opere è deludente. È però importante perché con le sue sperimentazioni raffina la costruzione dell’esametro, regolarizzando il sistema delle cesure favorendo una disposizione più ricca delle parole e utilizza costruttin particolari come l’enjambement (la parola di una frase del verso precedente viene ripresa sintatticamente e semanticamente nel verso successivo). 13. FILOLOGIA, BIOGRAFIA ANTIQUARIA L’ultimo secolo di vita della repubblica (I sec a.C.) conosce una grande fioritura degli studi filologici e antiquari, questo a causa del rapito mutamento dei costumi e della decadenza dei valori del mos maiorum, molti scrittori sentono il bisogno di confrontarsi con il passato, senza però tralasciare l’interesse le culture esterne di cui la civiltà romana si è sempre nutrita. Nasce quindi interesse verso le culture straniere, le loro istituzioni, non più nell’ottica della superiorità della cultura romana, ma si riconosce l’esistenza di altre culture e istituzioni. Varrone è il filologo più importante, a lui seguono Attico e Nepote. VARRONE (116 – 27 A.C.) Nato a Rieti, allievo del filologo Elio Stilone e del filosono greco Antioco di Ascalona. Combatte al fianoc di Pompeo, ma come Cicerone, verrà perdonato da Cesare e incaricato di costituire la prima Biblioteca di Roma. Verrà proscritto da Antonio per le sue ricchezze ma con l’accusa di essere un cesaricida. Nel corso della sua vita scrisse moltissime opere diverse tra loro, filologiche, linguistico-letterarie, storiche, filosofiche, scientifiche, ma non ci è rimasto molto (De Re rustica integra). ANTIQUARIA E FILOLOGIA Antiquitates: concentrava tutto il patrimonio mitico, rituale, istituzionale della cultura latina. L’opera monumentale (41 libri) era nota per i frammenti citati dai cristiani che condannavano il paganesimo e si divideva in due parti: - Res Humanae: trattava di uomini, luoghi, tempi e cose - Res Divinae: rispecchiava la struttura delle Res Humanae, ma comprendeva un’ulteriore sezione dedicata alla divinità. Questa sezione tripartiva la teologia e il modo di vedere la divinità: • Teologia favolosa -> racconti mitici e rielaborazioni poetiche. Cui era fedele il popolo. • Teologia naturale -> teorie dei filosofi sugli dèi. Gli intellettuali hanno in mano questa teologia che, se diffusa tra il volgo, mina la santità delle istituzioni • Teologia civile -> concepisce la religione come esigenza politica, quindi utile allo stato 26 Attraverso questa tripartizione si deduce che la religione diviene invenzione umana, in cristiani condannarono duramente questa tripartizione della religione. De Gente e De Vitae Populi Romani: Sono opere gemelle in cui vengono descritti i numerosi apporti dati dalle popolazioni italiche alla civiltà romana. Varrone fu grande studioso degli italici, in particolare degli etruschi, concentrandosi sulla mentalità e sulle istituzioni. INTERESSI PER PLAUTO Quaestiones Plautinae e Comoediis Plautinis: Attraverso queste due opere, commenti a carattere linguistico e grammaticale, Varrone affronta il problema della paternità di alcune commedie attribuite a Plauto, commediografo dell’età arcaica. Prima di lui Stilone (suo maestro) aveva ridotto il numero delle commedie da 130 a 25, ma Varrone fa un ulteriore passo in avanti, dividendo le commedie plautine in tre gruppi: - Sicuramente spurie -> 90 commedie - Incerte -> 19 commedie - Sicuramente plautine -> 21 commedie, le stesse che sono pervenute a noi Altre opere sul teatro arcaico sono: De scaenis originibus, De actionibus scaenis, De personis, De descriptionibus. DE LINGUA LATINA Varrone si interessò sempre agli antichi autori latini e al latino arcaico. La sua passione per la poesia arcaica lo portò a scrivere quest’opera che parte dai problemi e dalle metodologie della cultura ellenistica. È una trattazione sistematica ed esaustiva che partiva da problemi di etimologia per affrontare morfologia, sintassi e stilistica. Dei cinque libri pervenutici (V-X), tre sono dedicati all’etimologia e tre alla dialettica tra anomalia e analogia. Le etimologie varrioniane sono spesso bizzarre e fantasiose perché si fondano sulla concezione stoica che i nomi nascondono una verità recondita. Per quanto riguarda Analogia e Anomalie, Varrone cerca di conciliare le due correnti. SATURAE MENIPPEE È un’opera quasi del tutto perduta (150 libri), ma molto originale. Varrone con quest’opera si inserisce nella tradizione della Satira di cui Lucilio è massimo autore, cui Varrone però apporta alcune novità Si ispirò, come si deduce dal titolo, da Menippo di Gadara, filosofo greco. Gli argomenti, come è consuetudine nelle Satire, sono molto vari e spicca sempre il punto di vista dell’autore. Ai vari temi corrisponde uno stile (ripresa di Cicerone): il linguaggio si fa colorito, ricco di invettiva e giochi di parole, grecismi. La particolarità è sicuramente l’uso del prosimetro, l’alternanza tra prosa e versi che poi ritroveeremo in Seneca (Apolokintosys) e in Petronio (Satyricon). 29 - Libri V-VI: campagna contro la Gallia belgica che oppose resistenza - Libro VII: Fine della resistenza e cattura di Vercingetorige (52 a.C.) I tempi di composizione sono incerti, forse redatto anno per anno, forse rielaborato successivamente al termine delle campagne (52-51 a.C.). DE BELLO CIVILI La redazione di quest’opera è ancora pi+ù incerta di quella del De bello gallico, si è ipotizzato che la pubblicazione sia avvenuta postuma dato che si interrompe bruscamente durante la guerra di Alessandria. Rispetto all’altro commentariuss, Cesare usa la satira per descrivere gli avversari politici. In particolare, in bersagli sono la vecchia classe dirigente e Pompeo; i commentarii servono a Cesare per fare propaganda politica, per questo usa la satira, evidenziando ambizioni e intrighi degli avversari (rancore o guadagno personale), il culmine della satira si presenta nella battaglia di Farsalo nel campo pompeiano prima della battaglia: Cesare descrive il lusso in cui vivono i soldati di Pompeo. Gli obiettivi di Cesare, nello scrivere quest’opera, sono quelli di distruggere l’immagine di rivoluzionario che dava di lui la propaganda aristocratica, vuole dimostrare di aver sempre agito secondo le leggi e conquistare il favore del ceto medio che tende ancora a identificarsi con Pompeo. Cesare in particolare dice di volere la pace, ma questa è stata negata da Pompeo stesso perché questi la vuole e rifiuta le trattative. Cesare si dice volenteroso di concedere la clemenza ai vinti e inoltre celebra i suoi soldati che lo sostengono e ai quali è affezionato, sono homines novi e cesare desidera la promozione di questi e l’ammissione in Senato, per questo tramanda ai posteri i nomi dei suoi valorosi soldati. DEFORMAZIONE STORICA Ovviamente, essendo testi finalizzati alla propaganda, Cesare deforma, anche se velatamente, i fatti storici. Non sono falsificazioni vistose, ma generalmente sono omissioni. Ad esempio, nel De Bello Gallico evidenzia le esigenze difensive che lo hanno spinto a muovere guerra, una guerra fatta per proteggere lo stato romano dai pericoli oltre confine. Per questo è fondamentale e funzionale la descrizione esagerata della ferocia e del valore barbarico, in particolare dei capi barbarici. Cesare inserisce spesso il tema della Fortuna che non è una dea protettrice, ma è un concetto che spiega i cambiamenti di situazione improvvisi, può giocare a favore o a sfavore di cesare, non è la personificazione della sorte. CORPUS CESARIANO Le opere di cesare sono state raccolte all’interno di questo Corpus che comprende oltre alle opere scritte da cesare anche opere di continuatori: De bello gallico: • Libri I – VII -> scritti da Cesare • Libro VIII -> scritto da Aulo Irzio, luogotenente. Lo stile è più grezzo e scarno De Bello civili: scritto da cesare Bellum Alexandrinum: Scritto da Aulo Irzio, tratta della guerra egiziana Bellum Africum: autore anonimo Bellum Hispaniense: autore anonimo 30 OPERE PERDUTE Tutte le orazioni di Cesare sono andate perdute. De Analogia: opera in tre libri che trattava di linguistica in quanto Cesare era seguace della tradizione analogista (atticisti) secondo cui il criterio fondamentale era l’analogia, evitando neologismi, grecismi e usando uno stile semplice, diretto e chiaro, sacrificando talvolta la grazia. Cesare si presenta come un purificatore della lingua, è una risposta al Brutus e all’Orator di Cicerone. 15. SALLUSTIO (86 – 35 A.C.) Nato nell’’86 a.C. in Sabina da famiglia facoltosa, è un homo novus come Catone dato che nessun familiare aveva mai ricoperto cariche pubbliche. Studia a Roma e si orienta presto verso l’arte della politica: nel 52 diventa tribuno della plebe, contro Cicerone. Nel 50 viene espulso dal senato, ma con la vittoria di Cesare la sua carriera riprende slancio e diventa governatore dell’Africa Nova. Non brillando come governatore cesare gli consigliò di ritirarsi a vita privata. Sallustio si dedica alla storiografia, ijn particolare è autore di due opere monografiche; ci sono pervenute, oltre ai frammenti dell’opera incompiuta Historiae, le Epistulae ad Cesarem (spuria) e l’Invectiva in Ciceronem (spuria). MONOGRAFIA STORICA Il modello della monografia è Omero che nell’Iliade sceeglie di trattare un solo argomento, i fatti avvenuuti nell’ultimo anno di guerra contro Troia. La decisione di Sallustio di dedicarsi alla storiografia deriva dal fatto che, essendo stato escluso dalla vita politica, deve impegnare il proprio tempo libero e giustificare il suo passaggio da negotium a otium. Sallustio usa i lunghi proemi proprio per giustificare questo suo scrivere la storia anziché farla. La storiografia è legata alla prassi politica e contribuisce alla formazione dell’uomo politico. I proemi, oltre alla fiunzine di giustificazione, vengono usati da Sallustio per denunciare la corruzione delle istituzioni e della società, l’avidità, motivi, a detta sua, per cui è costretto a ritirarsi a vita privata. Sceglie la monografia perché, concentrandosi su un solo argomento, l’autore ha la possibilità di isolare il signolo problema storico all’interno della visione organica della storia romana. Sallustio inaugura un nuovo genere storiografico. BELLUM CATILINAE La trama narra di Catilina che organizza la congiura, viene tradito ed è costretto a fuggire. In Senato si discute sul destino dei congiurati, due sono le tesi opposte: - Cesare -> vuole una condanna mite per i seguaci di Catilina - Catone -> desidera una condanna a morte Sono due figure opposte, personalità molto diverse tra loro, ma di pari grandezza d’animo che incarnano virtù complementari di cui lo stato ha bisogno Il ruolo che ricopre Cicerone è quello del buon magistrato che fa unicamente il suo mestiere nel modo corretto, senza cavalcare l’onda degli eventi. Catilina morirà in battaglia. STRUTTURA E SIGNIFICATO DELL’OPERA 31 Sallustio, dopo il proemio, inserisce il ritratto di Catilina: è un personaggio contraddittorio, di animo energico e depravato, è l’espressione del male che affligge la società contemporanea. Dopo il ritratto Sallustio fa un primo excursus (chiamato archeologia) in cui descrive l’ascesa e la rapida decadenza di Roma, soffermandosi molto sulla caduta di Cartagine: fin tanto che Annibale era temuto dai romani questi erano uniti, venuto meno questo timore (methus hostilis) i cittadini erano meno uniti tra loro. Sallustio, come Cicerone, si lascia andare in un giudizio moralistico sulle cause della congiura: - Pochi potenti monopolizzano le cariche politiche e le ricchezze - La massa senza potere non ha prospettive per il futuro Sallustio usa Catilina per illustrare i problemi della Roma contemporanea, alla base della crisi c’è la degenerazione della classe dirigente romana. La degenerazione della democrazia tocca l’apice nella figura di Silla che ha creato terreno fertile per l’affermarsi di personaggi come Catilina (si era distinto proprio durante il periodo delle proscrizioni sillane). Il secondo excursus, a metà dell’opera, denuncia la vita politica romana del periodo tra Silla e la guerra civile tra Cesare e Pompeo, Sallustio denuncia tutti: - Popolari sono demagoghi - Aristocratici vogliono incrementare i propri privilegi Sallustio è evidentemente contrario al regime dei partiti e ripone speranza in Cesare che possano essere superate tali intolleranze tra partiti. Come Cicerone che delinea la figura del princeps nel suo De re Publica lo stesso fa Sallustio idealizzando e purificando la figura di Cesare (secondo il piano propagandistico già iniziato da Cesare nei suoi Commentarii). BELLO IUGURTHINUM Sallustio in questa monografia storica spiega che questa guerra fu la prima occasione in cui si osò andare contro l’insolenza della nobiltà; infatti, è finalizzata a mettere in luce le responsabilità della classe dirigente aristocratica nella crisi dello Stato. La trama racconta i Giugurta, cadetto della nobiltà africana, che si impadronì della Numidia e riuscì a corrompere gli aristocratici romani, che avrebbero dovuto sconfiggerlo, con una pace vantaggiosa per entrambe le fazioni. Il Re di Mauritania poi tradirà Giugurta per consegnarlo a Roma. STRUTTURA E SIGNIFICATO DELL’OPERA Anche in quest’opera Sallustio inserisce un excursus sul regime dei partiti, attribuendo a questo la causa della degenerazione dello Stato. Il bersagio non è il singolo, ma tutta la categoria della nobiltà (ne ha una visione deformata perché considera tutta la nobiltà legata agli affari e desiderosa dell’espansionismo imperialistico, ignorando la parte della nobiltà favorevole all’impegno attivo in guerra). Sallustio non condanna la politica dei Gracchi in toto, ma solo nei suoi eccessi perchè non è stata in grado di contrastare la lacerazione dello stato. Compaiono anche discorsi di due personaggi che rappresentano i populares: - Memmio -> invita il popolo alla riscossa contro l’arroganza dei pauci ed elenca i mali del regime aristocratico (tradimento degli interessi dello Stato, dilapidazione di denaro pubblico, monopolizzazione di ricchezze e cariche politiche) - Mario -> è centrale il principio della virtus che non si fonda sulla nascita, ma sui talenti naturali di ciascuno e sull’impegno nello svilupparli. Il giudizio sallustiano su Mario è ambigluo perché è consapevole delle guerre civili 34 - Libro I: Proemio -> Inno a Venere, personificazione ella forza generatrice della natura. Gli atomi, indistruttibili, si muovono nel vuoto e si aggregano tra loro dando vita a tutte le realtà esistenti. Nello stesso modo in cui si aggregano (generando vita) si disgregano (generando morte) - Libro II: Teoria del clinamen -> significa inclinazione, la forza che devia il corso degli atomi. Il moto degli atomi è rettilineo, ma quest’inclinazione casuale permette la libertà delle azioni umane Diade II: tratta di antropologia e di psicologia - Libro III: Morte -> gli atomi dell’anima sono più leggeri e lisci. Nonostante questo, anche l’anima muore con il corpo, per questo non serve avere timore della morte in quanto non ci saranno punizioni ultraterrene - Libro IV: Teoria della conoscenza -> con il movimento degli atomi dai corpi si staccano dei simulacra, sottili membrane composte da atomi, staccandosi colpiscono gli organi sensoriali dando origine alla conoscenza e ai sogni. Digressione sull’Amore -> per Lucrezio è solo attrazione fisica - Libro V: Mondo -> è solo uno dei tanti possibili, retto dai principi di vita e morte. È mortale e un giorno finirà Uomo -> Lucrezio ne dimostra l’origine ferina - Libro VI: Fenomeni naturali -> fulmini o terremoti non derivano dagli dèi, ma sono fenomeni naturali. Peste di Atene (430 a.C.) -> conclusione brusca Lucrezio si è ispirato a precedenti poemi (elogio di gesta) didascalici (finalizzati all’insegnamento), in particolare Opere e i Giorni di Esiodo; la scelta della poesia è curiosa in quanto Epicuro la condannava perché era ingannevole per la comprensione e allontanava l’uomo dalla realtà, ma Lucrezio la usa per avvicinarsi agli strati alti della società alleviando gli animi dalle preoccupazioni come la medicina cura le malattie, per questo Lucrezio paragona la poesia al miele che si mette sul bicchiere che contiene la medicina per renderla meno amara, Lucrezio vuole rendere più fruibile ai romani la teoria epicurea. Lucrezio riprende anche Empedocle in: - Argomento trattato - Ardore di apostolo - Atteggiamento profetico che rivela verità - Uso dell’esametro Lucrezio di discosta dal tradizionale genere didascalico anche per l’allontanamento dai tecnicismi e dalla mera descrizione dei fenomeni: vuole descrivere e al contempo spiegare quali sono le cause dei fenomeni, gli aspetti importanti della vita del mondo e dell’uomo, per liberare la società dalla paura e dall’ignoranza, Lucrezio vuole convincere il lettore della validità delle tesi epicuree. Il genere dattilico ellenistico era finalizzato all’encomio e l’oggetto era sempre il meraviglioso, con Lucrezio non è necessario meravigliarsi perché tutto può essere spiegato con la ragione, per questo Lucrezio sostituisce alla retorica del mirabile la retorica del necessario Il rapporto col lettore che instaura Lucrezio è quello del docente con l’allievo: esortando, minacciando se necessario, affinché il lettore accetti e segua il percorso designato da Lucrezio, quello dell’unica verità razionale possibile. Il lettore deve reagire e diventare consapevole del proprio intelletto. Da qui ne deriva il sublime lucreziano in cui il lettore stesso, essendo coinvolto in uno spettacolo sublime (furia dei venti, infinità del tempo), diventa egli stesso eroe che trova la forza di liberarsi in sé stesso, accettando verità anche scomode; l’allievo, da parte sua, deve però essere all’altezza dello sforzo del maestro. Lo stile però non è solo quello emozionante del sublime, Lucrezio usa lo stile più violento e aggressivo della diatriba per coinvolgere il lettore, in cui vengono inserite drammatizzazioni e tono volgare. Questo stile diatribico è proprio di tutta la letteratura satirica romana, da Lucilio a Giovenale, anche Lucrezio infatti inserisce uno stile più realistico ricco di aggressioni e invettive per scuotere l’uomo dalle sue follie. 35 TEMI DEL DE RERUM NATURA Uno dei temi più toccati da Lucrezio è sicuramente quello della religio, soprattutto il fatto che la religione tradizionale è, secondo Lucrezio, crudele, a tal proposito porta l’esempio di Agamennone che avrebbe dovuto sacrificare la figlia Ifigenia per assicurare la navigazione verso Troia, l’esempio può essere fatto anche con il sacrificio animale del vitello che fa soffrire la madre. Secondo Lucrezio la religione opprime le vite degli uomini, ne turba ogni gioia con la paura, se gli uomini fossero a conoscenza del fatto che dopo la morte non c’è più nulla forse si godrebbero la vita. Per questo ritiene necessario conoscere le leggi che muovono il cosmo. Per questo Epicuro è visto come un nuovo Prometeo, un eroe che ha liberato l’umanità dall’ignoranza e dai terrori ancestrali. Tuttavia, Lucrezio non si ritiene ateo come Epicuro, ma crede nell’esistenza degli dèi, i quali, però, non si curano delle cose umane poiché creature felici dotate di vita eterna che non hanno vantaggi nell’immischiarsi delle cose terrene. Alla luce di questo è fondamentale liberarsi del timore della morte (causa di ansie e vizi), conoscere le leggi della natura (assicurandosi la liberazione dalle paure), liberarsi dal concetto di provvidenza; i saggi epicurei sono paragonati a coloro che si trovano al sicuro sulla terraferma e osservano distaccati il mare in tempesta. Un altro tema trattato da Lucrezio è quello dell’origine del mondo e degli esseri viventi. Lucrezio afferma infatti che Dio non ha creato gli uomini (teoria creazionista), ma sono state circostanze favorevoli alla vita (acqua, terra umida, calore) ne hanno permesso la generazione. I primi uomini sulla terra si dedicarono a una vita agreste, ma venivano sbranati dalle bestie; Lucrezio a questo ppunto traccia le tappe dell’evoluzione umana: - Tappe positive -> scoperta del fuoco, del linguaggio, dei metalli, dell’agricoltura - Tappe negative -> guerra, timore della religione Spesso le tappe sono state originate casualmente dalla natura che ha mostrato all’uomo come agire (es. scoperta del fuoco), il linguaggio invece si è sviluppato per necessità, per questo caso e bisogni materiali sono i fattori che hanno permesso alla civiltà di progredire. Lucrezio è convinto che insieme alla civiltà, dal progresso, sia nato anche il suo opposto, la decadenza che sembra essere la malattia della società (bisogni innaturali). Lucrezio, da buon epicureista rifiuta questa decadenza attraverso l’abbandono delle inutili ricchezze e delle tensioni politiche dedicandosi allo studio della natura insieme agli amici che sono la vera ricchezza (senza però cadere nell’edonismo che vede il piacere come fine ultimo dell’esistenza). LINGUA E STILE Il tratto distintivo di Lucrezio è l’uso di espressioni molto concrete per rappresentare concetti astratti vivacità descrittiva, visibilità e percettibilità oggetti, corporalità dell’immagine), la lingua si fa viva perché deve supplire al lessico latino che non è abbastanza vasto per descrivere tutto neologismi, grecismi, arcaismi, nuovi avverbi e perifrasi). Lucrezio ripete spesso i concetti per essere persuasivo e per fissare i concetti più difficili, non per immaturità stilistica; spesso si appella al lettore chiamandolo in causa. L’esametro, rispetto a quello arcaico enniano, predilige l’incipit dattilico, poi usuale nella poetica augustea. 17. PRE-NEOTERICI E NEOTERICI Nel corso del I sec. a.C. nasce una generazione di poeti il cui intento è quello di rompere con la tradizione per rinnovare il gusto e apportare alla letteratura latina una svolta decisiva. 36 Non molto apprezzati da Cicerone vennero da lui soprannominati poeti nuovi (neoteroi). Questo fenomeno letterario deriva dal processo di ellenizzazione che è in corso e caratterizza la società tardo repubblicana. In seguito alle conquiste del II sec a.C. i contadini-soldati si erano abituati a stili di vita più raffinati e a una cultura più erudita, di conseguenza la sensibilità si affina e anche il gusto letterario. POESIA NEOTERICA Nell’ultimo decennio del II sec. a.C. nasce tra l’elite romana una poesi scherzosa frutto dell’otium, la poesia nugatoria caratterizzata dall’interesse per gli argomenti privati, la ricerca dell’elaborazione formale, l’otium al centro dell’esistenza, la decadenza dei valori del mos maiorum (fides, pietas, gravitas, industria, constantia, magnanimitas). Nello stesso periodo si diffonde l’epicureismo che predica, come la poesia neoterica, una vita appartata lontana dalla vita politica, ma la poesia neoterica pone al centro dell’esistenza non l’atarassia (imperturbabilità), ma i turbamenti dell’eros, l’amore, il culto delle passioni. CATULLO (84 – 54 A.C.) Nato a Verona nell’84 a.C. da famiglia agiata. Si trasferisce presto a Roma dove frequenta personaggi di spicco e intrattiene una relazione con Clodia, sorella di Clodio, che nei suoi versi chiamerà Lesbia. Nel 57 è in Bitinia al fianco di Memmio. Pare muoia a 30 anni. LIBER L’opera è costituita di 116 carmi divisi metricamente: • 1 – 60 -> componimenti brevi a carattere leggero, metro vario (endecasillabi, trimentri giambici, strofe saffiche) • 61 – 68 -> carmi più lunghi (Carmina Docta) • 69 – 116 -> epigrammi (carmi brevi in distici elegiaci) Probabilmente l’ordinamento è postumo alla composizione, molti studiosi sostengono che non sia da attribuire a Catullo. Carmi brevi: Catullo si fa poeta dei sentimenti privati, sono carmi con temi intimi e personali che vengono rielaborati attraverso un filtro letterario: affetti, amicizie, odi, passioni (invito a cena, benvenuto ad un amico). Queste tematiche fanno di Catullo il poeta del lepos per eccellenza. La spontaneità che emerge dai carmi brevi non è ingenua e fanciullesca, ma è il frutto di un’attenta ricerca. Questa poesia è frutto di un’elevata erudizione, anche l’impronta biografica può trarre in inganno perché non si limita ad essere solo questo. In questi carmi brevi l’otium individuale diventa un piccolo universo privato in cui il poeta può dedicarsi ad amici, amore e poesia; è su questo recupero della dimensione intima che si basano i carmi brevi catulliani attraverso a modestia dei contenuti e la ricerca della perfezione formale. LESBIA E L’AMORE L’amore per Lesbia rappresenta l’incarnazione della potenza dell’eros, il nome Lesbia ci rimanda appunto all’isola di Lesbo, l’isola di Saffo, poetessa d’amore infelice. Lesbia viene identificata nella sorella di Clodio, acerrimo nemico di Cicerone (Pro Caelio contro Clodia, ritratto poco edificante per colpire Clodio). 39 1. ETÀ DI AUGUSTO (43 – 17 A.C.) Con la morte di Giulio Cesare (15 Marzo 44 a.C.), la classe senatoria responsabile dell’omicidio credeva che il Sennato avrebbe potuto riprendere i suoi poteri. La morte di Cesare invece aveva solo eliminato la persona di Cesare, non la sua idea; infatti, era da alcuni venerato come un Dio e ben presto questi seguaci accusarono gli assassini. Il giovane Ottaviano, nipote di Cesare, si era distinto in diverse campagne militari, per questo Cesare decise di adottarlo. Cesare, dopo il funerale organizzato da Ottaviano, venne divinizzato e fu innalzato un tempio in onore del Divo Giulio, l’omicidio di Cesare aveva rafforzato l’idea di Cesare. Sulla scena oltre a Ottaviano, si affacciava anche Marco Antonio, anche questi particolarmente fedele e legato a Cesare. Marco Aurelio non aveva dubbi che, una volta aperto il testamento lasciato da Cesare, avrebbe ottenuto l’eredità politica di Cesare, in realtà fu un duro colpo scoprire che Cesare aveva designato Ottaviano come suo erede politico. Antonio ripiega chiedendo la permuta delle province assegnategli nel 43 con il governo della Gallia Cisalpina (da cui avrebbe potuto controllare Roma), il governatore in carica gli nega la provincia e Antonio mette sotto assedio Modena. È qui che Cicerone recita le sue orazioni più dure contro Antonio, responsabile della rovina contro la quale Roma sarebbe andata incontro (Filippiche). Il Senato invia un esercito contro Antonio, anche Ottaviano si schiera con il Senato mettendo a disposizione il suo esercito. Antonio a Modena viene sconfitto e fugge in Gallia e a unirsi al generale Lepido. A questo punto, essendo i consoli senatori caduti a Modena, Ottaviano decide di marciare su Roma per farsi eleggere console (43 a.C.). Lo scontro con Antonio non avverrà mai perché Ottaviano, Antonio e Lepido costituiranno il secondo triumvirato (questa volta legittimato dalla legge Tizia). I tre, tutti cesariani, si accordarono sulla persecuzione dei cesaricidi. Tra i cesaricidi, Bruto e Cassio si trovavano in Oriente, presso Filippi, dove nel 42 avverrà lo scontro: nella prima Antonio sconfigge Cassio che si toglierà la vita, mentre Ottaviano verrà sconfitto da Bruto; nella seconda Bruto verrà annientato e si ucciderà. Eliminati i cesaricidi, rimaneva solo Sesto Pompeo, rifugiatosi in Sicilia. Il triumvirato si divide i territori: - Antonio -> Oriente - Ottaviano -> amplia i territori in Occidente - Lepido -> Africa Ottaviano solleva il problema della distribuzione delle terre ai veterani di Filippi e nel 41 vengono confiscati i terreni agli italici, che inevitabilmente protestano, tra questi Il fratello e la moglie di Antonio, Fulvia, conducono una campagna contro Ottaviano. Questo porterà alla guerra di Perugia e alla resa di Lucio e dell’aristocrazia etrusca, ma Ottaviano per non incrinare i rapporti con Antonio affida a Lucio un incarico proconsolare e manda in esilio Fulvia. Rimasto vedovo di Fulvia, Antonio suggella il rinnovo del triumvirato sposando Ottavia, la sorella di Ottaviano. Il triumvirato verrà nuovamente rinnovato nel 38 a.C. con l’invio di navi a Ottaviano per sconfiggere sesto Pompeo che, nel 36 a.C., venne battuto. Ottaviano decide di estromettere Lepido dal triumvirato lasciandogli solo la carica di pontifex maximum; a questo punto i rapporti tra Antonio e Ottaviano peggiorano, soprattutto dopo l’avvicinamento di Antonio a Cleopatra che generano due figli e governano insieme l’Oriente, Cleopatra ovviamente avanza pretese dinastiche per i figli. Ottaviano, indignato per la bigamia di Antonio, inizia una campagna a difesa del mos maiorum e nel 32 ottiene dalle città italiche l’incarico di muovere guerra ad Antonio. Nel 31 a.C. ad Azio Ottaviano sconfigge l’esercito di Cleopatra e Antonio che, per non essere uccisi, si suicidano. 40 Ottaviano, rimasto solo, fa uccidere il fratellastro, Cesarione. A questo punto si rende garante dei principi del mos maiorum e convince il Senato di non essere pericoloso come il padre adottivo. Nel 28 viene nominato princeps senatus, primo senatore, colui che parla per primo e può influenzare l’opinione altrui. Ma Ottaviano rinuncia a questa carica, rimettendo questa carica nelle mani del popolo e del Senato, il Senato si fida e conferisce un imperium sulle province non pacificate. Nel 27 Ottaviano viene insignito del titolo di Augustus, nel 23 la legittimazione è definitiva e accentra il potere politico e militare. Ottaviano conquistò il potere in maniera scaltra senza proporsi come intenzionato a sconvolgere i valori tradizionali e le magistrature. Di fatto Ottaviano Augusto è un monarca, ma secondo lil profilo giuridico è un princeps inter pares. SOCIETÀ E CULTURA IN ETÀ AUGUSTEA Dopo la morte di Cesare e Cicerone (44 e 43 a.C.) tutte le figure dominanti (Virgilio, Ovidio, Orazio, Livio) della poesia hanno rapporti con Augusto e il suo entourage. La letteratura di età augustea coincide con lo sviluppo del genere dell’epos e della lirica. Le attese messianiche si fanno molto forti in questo periodo, dopo le guerre che hanno stremato Roma. La produzione letteraria sotto Augusto è vastissima, il modello cui si guarda è sempre quello greco, lo diciarano gli autori stessi: Virgilio – Omero, Orazio – Alceo, Properzio – Callimaco. Dopo il periodo delle guerre Roma è una metropoli al centro del mondo, ospita letterati e artisti grazie ai circoli culturali formatisi sull’esempio di quello scipionico mitizzato da Cicerone. Il più importante è quello di Mecenate cui si affianca quello di Messalla. Esisteva anche un circolo di Asinio Pollione, ex militare antoniano ritiratosi prima della disfatta di Azio. È in questo periodo che nasce la figura del poeta vate, inaugurata in precedenza da Lucrezio, un cantore ispirato consapevole della sua funzione didascalica e destinato a trovare un ascoltatore emozionato. 2. POESIA EPICA VIRGILIO (70 – 19 A.C.) Originario di Mantova, nasce nel 79 a.C. da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dopo la battaglia di Filippi (Marco Antonio e Ottaviano contro Bruto e Cassio) la sua famiglia viene espropriata delle terre che andranno in risarcimento ai veterani di guerra; proprio a questo episodio si rifanno le sue Bucoliche che dedica ad Asinio Pollione. Succesivamente si lega al circolo di Mecenate e Pollione scomparirà del tutto dai suoi testi. Sotto mecenate Virgilio lavora alle Georgiche e all’Eneide per celebrare la pace portata da Roma nel mondo. Nel 19 a.C. muore a Brindisi, la pubblicazione dell’Eneide verrà curata da Vario Rufo. BUCOLICHE È un insieme di 10 breve componimenti scritti in esametri su modello di Teocrito (Idilli), sono anche conosciute con il nome di Ecloghe. Il nome Bucoliche sottintende il termine “Carmina”, ovvero canti bucolici o dei pastori. Il titolo dell’opera suggerisce i caratteri dell’opera: lo sfondo è rustico e pastorale e i pastori sin improvvisano cantori-attori mettendosi in scena. Teocrito, poeta greco, rispetto ai neoteroi frequentati da Catullo, non viene preso in considerazione, Virgilio è il primo a recuperare questo autore, riportando in auge il genere bucolico scrivendo un vero e proprio manifesto poetico che sottolineava l’originalità di questa poesia e affermando che la sua Musa fosse la prima aa vivere nei boschi (prima stavano sul monte Elicona) e a non disdegnare il verso siracusano (Teocrito era di Siracusa). 41 Virgilio studia Teocrito e gli imitatori di Teocrito fino a interiorizzare il modello, Virgilio non vuole limitarsi alla mera imitazione del modello, ma cerca di realizzare qualcosa che sia alla pari con esso. Le Bucoliche rifanno il testo greco trattandolo come classico e possono definirsi la prima opera di età augustea anche se il gusto è ancora vicino a quello dei poetae novi per dottrina, stilizzazione e culto della poesia. L’opera di Teocrito, in linea con la varietà alessandrina, dava spazio a temi e luoghi diversi tra loro, da questo punto di vista le Bucoliche sono molto più monocordi e questo idillio è rappresentato da un’unica scena possibile, una sola situazione, quella bucolico-pastorale dell’Arcadia, la terra beata dei pastori che Virgilio inventa. Virgilio porterà a una stilizzazione di Teocrito: i paesaggi sono meno intensi, i pastori sono figure delicate. Tutto ciò che entra nel mondo bucolico assume gli stessi tratti delicati, si traveste come se fosse visto attraverso gli occhi dei pastori. La città stessa, che viene vista all’orizzonte, non può entrare in questo mondo perché è qualcosa si grande, incomprensibile e fa paura ai pastori che non ne comprendono le leggi. È il caso di Melibeo, pastore, è costretto a lasciare il mondo pastorale perché gli vengono confiscate le terre. È evidente il richiamo autobiografico, questo tema dei pastori esuli torna anche nelle ecloghe I e IX. Altre tematiche delle Bucoliche sono le tenzoni poetiche, l’amore infelice non corrisposto che assume toni quasi elegiaci, tanto che viene nominato Cornelio Gallo che ha definito il canone elegiaco. • Ecloga I: è un dialogo tra pastori, Melibeo e Titiro. Melibeo deve lasciare i campi che gli sono stati confiscati, Titiro può restare per l’intercessione di un giovane di natura divina • Ecloga II: Lamento del pastore Coridone per il giovane Alessi • Ecloga III: Tenzone poetica tra pastori (botta e risposta) • Ecloga IV: Canto profetico per la nascita del puer • Ecloga V: Lamento per la morte di Dafni, eroe pastorale • Ecloga VI: Il vecchio Sileno canta l’origine del mondo e una serie di miti. L’elegia è preceduta da una dichiarazione poetica di atteggiamento callimacheo • Ecloga VII: Melibeo racconta la ara poetica tra Tirsi e Coridone • Ecloga VIII: Dedicata ad Asinio Pollione • Ecloga IX: simile alla prima, richiama alla campagna mantovana e alle espropriazioni • Ecloga X: Virgilio tenta di confortare Cornelio gallo. Elegiaco, che soffre per amore È interessante come le ecloghe siano, per temi, argomenti, disposte in modo speculare a coppie partendo dal centro: V – VI, IV – VII, III – VIII, II – IX, I – X. Curiosa è l’ecloga IV in cui viene profetizzato l’arrivo di un fanciullo che avrebbe riportato Roma all’età dell’oro. Sono state date molte identificazioni con questo puer: chi ha pensato Antonio, chi Augusto. Virgilio ha dato voce al senso di frustrazione diffuso e di rimpianto per le epoche passate in cui si viveva meglio. Interessante è l’interpretazione cristiana di questa ecloga che vede in Gesù questo puer, visione che avrebbe poi portato Dante a scegliere Virgilio come guida nei mondi dell’Inferno e del Purgatorio. Un’altra ipotesi, la più accreditata, è che fosse il figlio tra Ottavia e Antonio, un bimbo che non nacque mai perché non ebbero figli maschi. GEORGICHE Il titolo, tratto dal greco, indica la vita dei campi e può essere tradotto in “Canti sulla vita nei campi”. È un poema didascalico, che segue la tradizione di Nicandro di Colofone e i Phenomena di Arato, a differenza delle opere didascaliche greche, le opere didascaliche romane erano orientate all’insegnamento, rimanendo però meno dettagliate di un trattato. Con Lucrezio però questa tendenza cambia, cambia ulteriormente con Virgilio: 44 Virgilio riprende quindi Omero, ma con ordine inverso (Omero scrive prima della guerra e poi del viaggio di Ulisse), è anche vero che il viaggio di Enea verso l’ignoto è diverso da quello di Ulisse che torna a casa; alla fine Enea riassumerà l’immagine di Achille vincitore con l’immagine di Odisseo che ha ritrovato la patria lontana. Al contempo l’Eneide è superamento di Omero perché se Troia nell’Iliade viene distrutta con la guerra, nell’Eneide la necessaria guerra contro Turno dà vita alla città di Roma e questo significa “pace”, è un apporto di ideali diversi in una cornice uguale. Ovviamente il fine encomiastico-celebrativo passa attraverso la figura di Enea, antenato della gens Iulia da cui Ottaviano Augusto discende, così come Cesare, Virgilio in questo modo celebra Cesare, Augusto e il suo Impero. Tutta l’Eneide è inoltre attraversata da profezie tra cui quella di Anchise e soprattutto la storia di Roma incisa sullo scudo di Enea che rimanda allo scudo di Achille che troviamo nell’Iliade (ekfrasis ben riuscita con la storia di Roma dai gemelli e la lupa fino al trionfo di Ottaviano Augusto). In sostanza è proprio con Virgilio che viene fondata la leggenda di Enea, che viene data alla gens Iulia questa importante discendenza, dall’eroe Enea, padre di Ascanio detto Iulo, ma soprattutto figlio di Anchise e della dea Venere. La presenza dell’incontro tra Didone e Enea, che avevamo trovato anche nel Bellum Poenicum di Nevio, sancisce il rapporto tra Roma e Cartagine. Virgilio rielabora una serie di tradizioni e leggende italiche per celebrare l’Italia di Augusto dalla quale, però Virgilio non esclude nessun popolo: latini, troiani, etruschi, greci. LINGUA E STILE Virgilio lavora sull’esametro, il verso epico per eccellenza, regolarizzandolo, ma rendenedolo flessibile. Diverso quini da quello dei neoterici perché secondo Virgilio non funziona in un componimento lungo perchèè può risultare monotono. Virgilio, quindi, plasma il suo esametro: il numero di cesure è ristretto in posizioni prestabilite che conferiscono regolarità indispensabile per lo stile epico. Sonon presenti molti arcaismi, in omaggio a Ennio e alla tragedia, poetismi, ma l’ellemento che più caratterizza Virgilio è la capacità di creare collegamenti inediti tra parole, non parole desuete, ma parole di uso comune che però non erano mai state accostate prima e che danno nell’insieme un’immagine viva (es. “ara la fronte di rughe”, “luce di bronzo”, “fiume di lacrime”), gli epiteti servono per coinvolgere il lettore neella narrazione e nella psicologia dei personaggi. Importante è anche la maggiore iniziativa che Virgilio dà ai personaggi: Enea non è coriaceo come gli eroi Omerici, ma esita prima di uccidere, è un pio, si deve impegnare per uccidere Turno, deve ricordare ardentemente l’assassinio di Pallante. Enea è sempre in bilico tra ciò che prova, ciò che farebbe, ciò che deve fare per necessità. 3. ORAZIO (65 A.C. – 8 D.C.) Nato a Venosa (tra Puglia e Basilicata) nel 65 a.C. Il padre, un liberto, ottenne a Roma il lavoro di esattore delle tasse, per questo Orazio studia grammatica presso il maestro Orbilio. Nel 44 si trasferisce in Grecia per perfezionarsi. Da Bruto ottiene il grado di tribuno e il comando di una legione nonostante non sia di rango equestre. Nel 42 a.C. la sconfitta di Bruto a Filippi interrompe la carriera militare di Orazio, tornerà a Roma con l’amnistia e si impiegherà come scrivano di magistrato. Da qui inizia la sua attività poetica (41 a.C.) scrivendo gli Epodi. Qualche anno più tardi viene introdotto a Mecenate da Virgilio e gli dedica due libri di Satire. Negli anni successivi, 30 – 23 a.C., si dedica alla stesura dei primi tre libri delle Odi soggiornando nella villa in Sabina donatagli da Mecenate. Nel 20 a.C. pubblica il primo libro delle Epistulae cui ne aggiungerà un secondo tra il 19 e il 13 a.C. 45 Nel 17 si dedica alla stesura di un Carmen saeculare commissionatogli da Augusto in occasione dei Ludi saeculares. Dopo il 13 scrive l’ultimo libro delle Odi. EPODI L’opera giovanile è la prima raccolta poetica di Orazio e rivela un Orazio molto diverso da quello che troveremo nelle Odi. Il poeta nutre ancora desideri giovanili e risentimento per le vicende personali. Il nome di questa prima raccolta poetica rimanda alla forma metrica in cui un metro più lungo e uno più corto compongono un distico. Orazio li chiama Iambi perché l’equivalente greco cui Orazio si ispira è proprio quello della poesia giambica di Archiloco, Ipponatte e Callimaco. Questa poesia è caratterizzata dalla polimetria e dall’aggressività che, comunque, Orazio mitiga perché non gli conviene inimicarsi Augusto. Infatti, in seguito alla sconfitta di Filippi e tornato a Roma Orazio si vede confiscati tutti i bene che il padre gli aveva lasciato in eredità. Rimasto sul lastrico, la pubblicazione degli Eppodi costituisce l’unica possibilità di riscatto per Orazio; l’intento con cui quest’opera viene scritta è quindi quello di poter guadagnarsi da vivere. MODELLI Orazio guarda a Callimaco pere la struttura, ad Ipponatte e Archiloco per l’aggressività, Orazio stesso dice di aver preso da Archiloco l’ispirazione aggressiva (animi) ma non i contenuti (res); nonostante l’ispirazione aggressiva il linguaggio di Orazio è sempre misurato. Archiloco, infatti, era un aristocratico greco vissuto nel VII sec. a.C. e dava voce a odi e rancori personali che Orazio non conosce essendo figlio di un liberto e vivendo a fine I sec. a.C., non sarebbe saggio da parte sua aggredire anche solo verbalmente Ottaviano, per questo inveisce solo contro bersagli minori. Con Augusto i rapporti sono sempre cordiali, ma senza servilismi. L’unico bersaglio riconoscibile è mecenate, anche se l’invettiva è scherzosa, i due infatti diventarono molto amici. STRUTTURA EPODI Vengono generalmente suddivisi per metrica e temi, alla polimetria corrisponde una varietà di argomenti: nonostante stia curando gli Epodi e le Satire nello stesso periodo, riserva per gli Epodi la varietà di temi che la letteratura romana era solita riservare per il genere satirico, questo forse a causa del modello della poesia giambica che richiiedeva la varietà. - Epodo proemiale: dedicato a Mecenate - Epodi di invettiva: n. 4 contro un arricchito, n. 7, 16 relativi alle guerre civili - Epodi erotici: si rifanno alla poesia erotica ellenistica per temi, linguaggio e intonazione patetica - Epodi civili - Epodi isolati Il linguaggio degli Epodi è teso e carico, ma già si intravede il linguaggio che verrà poi usato nelle Odi, ad esempio nell’Epodo 9 che parla della Battaglia di Azio, oppure il 13 in cui compare una prima sorta di carpe diem. SATIRE Due libri dedicati a Mecenate che si inseriscono nella tradizione satirica romana. Come da tradizione il poeta è al centro dell’attenzione e parla di sé, anche quando non si mette in scena, infatti, inizia a comparire quell’Io riflessivo che poi ritroveremo nelle Odi. 46 Il modello di riferimento è Lucilio, che infatti Orazio indica iniziatore del genere satirico, ma Orazio si sente più doctus del predecessore in quanto ritiene “fangoso” verso di quest’ultimo, lo reputa più trascurato, forse perché non limita il sermo vulgaris come invece fa Orazio mantenendo una conversazione colta. Orazio, grazie ai suoi studi di dotto, stempera l’aggressività della satira luciliana attraverso l’eloquenza della diatriba di Socrate e Bione (l’argomento morale veniva illustrato da dialoghi e aneddoti), inserisce esempi del mito e della storia, inserisce parodie e aneddoti, osserva criticamente e inserisce la rappresentazione comica dei personaggi per analizzarne i vizi. Orazio guarda al piccolo mondo di irregolari (cortigiane, artisti, parassiti) per trarre un insegnamento che possa essere utili a sé stesso e agli amici, non per tutti; critica i piccoli bersagli della società in crisi per trarne un insegnamento. Obiettivi della ricerca oraziana sono - Autarkeia: autosufficienza, bastare a sé stessi in modo da evitare i turbamenti delle passioni - Metriotes: moderazione, il giusto mezzo che deve ispirare la condotta e le azioni SECONDO LIBRO Si differenzia dal primo perché diminuiscono i riferimenti biografici e prevale il dialogo, in cui ogni interlocutore è portatore della propria verità, anche se alcune verità si auto-confutano e si perde la corrispondenza tra poeta e voce satirica che nel Libro I aveva assicurato un punto di riferimento alla ricerca morale: l’equilibrio tra autarkeia e motriotes sembra perduto. L’unico rifugio possibile è la villa sabina, in cui Orazio può isolarsi dalle contraddizioni della vita di Roma e quindi l’autarkeia può prosperare. ODI Sono considerato un capolavoro di poesia lirica, la lirica oraziana è molto simile alla lirica moderna: - Meditativa - Introflessa - Monologica È una poesia intima in cui si rifugia il poeta, ma, a differenza della poesia moderna, raramente dà voce a introspezioni e il poeta non è mai solo, si rivolge sempre a qualcuno o a qualcosa, il più delle volte a personaggi reali, a volte immaginari (figure femminili e maschili dal nome greco), una divinità, una Musa, una collettività, un oggetto inanimato (la lira). La prima raccolta di odi contiene varietà di temi che equivalgono alla varietà dei temi trattati nella lirica arcaica greca: - Carmi conviviali - Odi erotiche - Poesia amorosa → in cui Orazio vede ironicamente la credulità del giovane amante e riconosce la crudeltà della passione amorosa - Inni → in questo caso diversi dalla lirica greca arcaica, ne conserva l’andamento, ma è ricca di riferimenti letterari Il criterio è la variatio sia dal punto di vista metrico sia da quello di toni e contenuti, alternando temi politici a temi privati, stile solenne alternato a stile leggero. Anche l’uso della contaminatio rende difficile collocare le Odi in un genere preciso: Orazio contamina nello stesso componimento categorie liriche diverse tra loro, secondo il procedimento alessandrino dell’incrocio tra i generi. RAPPORTO CON I MODELLI GRECI 49 4. ELEGIA Nella letteratura greca il termine elegia indicava un componimento il cui metro era il distico elegiaco (elegos). Dal VII sec a.C. si diffonde e viene impiegata in ambiti pubblici e privati, comprese le occasioni luttuose, come nel caso di Antimaco di Colofone che nella sua lode parla della morte della donna amata e per la prima volta lega l’esperienza autobiografica al mito, cosa che diventa un elemento costante del genere elegiaco. Non ci sono precedenti greci nell’impostazione autobiografica dell’elegia latina: composta in distici elegiaci e dal contenuto prevalentemente amoroso e dichiaratamente autobiografico tanto che è possibile parlare di codice etico dell’elegia fatto di ruoli convenzionali riscontrabili in una serie di topoi che si presentano sempre; tende a inquadrare le singole esperienze in forme e situazioni tipiche. Innanzitutto, l’elegia è poesia d’amore, l’amore è l’esperienza assoluta e unica che ppuò dare senso all’esistenza e permette l’autarkeia. L’autarkeia del poeta elegiaco è raggiungibile solo facendosi schiavo e mettendosi al servitium della donna amata, questa è una severa domina infedele, non dolce e remissiva, che tratta male il poeta mentre si strugge d’amore senza mai essere ricambiato. Al poeta non resta che consolarsi nel mito, sempre presente nell’elegia latina, un mondo idilliaco in cui nobilitare la propria sofferenza graie alla poesia. A volte il poeta, stanco delle sofferenze si ribella attraverso il topos della renuntiatio amoris. Il poeta ripudia i doveri di civis e si dedica totalmente al suo impegno morale, essere soldato d’amore, diventa eroe d’amore contrapposto all’eroe di guerra. L’elegia, in un momento in cui vengono esaltati dall’ideologia augustea i valori del mos maiorum e vengono create leggi per punire l’adulterio, non si ribella a questi valori, gli elegiaci amano donne non sposate e indipendenti che preferiscono al matrimonio un uomo che le ama alla follia senza però legarsi a questo. Di contro il poeta elegiaco vive questa relazione irregolare come un patto coniugale e vorrebbe la fedeltà (fides) della donna amata, non questa condizione di schiavitù. L’elegia, quindi, recupera i valori del mos maiorum (fides, pudicitia, diffidenza dalla luxuria) e li trasferisce nel proprio universo. TIBULLO (54 – 19 A.C.) Abbiamo poche informazioni sulla sua vita se non che fosse originario del Lazio e di ceto equestre, fu anche amico di Messalla. Viene definito il poeta contadino perché le sue elegie sono prive di riferimenti mitici. L’elemento mitico è infatti sostituito dal mondo rurale idealizzato in cui Tibullo sogna di vivere con l’amata. CORPUS TIBULLIANO Raccolta eterogenea di elegie spurie e autentiche scritte da Tibullo e da altri autori provenienti dal circolo di Messalla suddivise in tre libri (diventati quattro dopo la divisione del terzo in due in epoca Umanistica) - Libro I: scritto da Tibullo e dedicato a Delia - Libro II: scritto da e dedicato a Nemesi - Libro III: scritto da Ligdamo e dedicato a Neera. Contiene il Panegirico di Messalla - Libro IV: scritto da Tibullo e Sulpicia, dedicato a Sulpicia e Cerinto 50 È un canzoniere dedicato a Delia, il cui nome è uno pseudonimo, donna volubile e capricciosa, amante del lusso, con la quale Tibullo instaura una relazione tormentata e insidiata dal tradimento. Alle elegie dedicate a Delia si alternano quelle dedicate a un giovinetto, è una novità questo dedicatario maschile. Nel libro II compare una seconda figura femminile, Nemesi (vendetta), una figura ancor più aspra, una cortigiana che scalza Delia dal cuore del poeta. Il libro III si apre con sei componimenti dedicati a Neeraa sono opera di Ligdamo, certamente è uno pseudonimo, ma non può trattarsi di Tibullo, potrebbe essere Ovidio in quanto la data di nascita che si attribuisce è la stessa (43 a.C.). In questa poesia, caratterizzata dai motivi ricorrenti della poesia elegiaca e da una fresca sentimentalità, però è evidente l’immaturità stilistica che fa propendere verso altri autori minori del circolo di Messalla. PANEGIRICO DI MESSALLA Dopo le sei elegie di Ligdamo segue un lungo carme e un gruppo di 13 componimenti (l’attuale Libro IV). Il Carme è un elogio, come anticipa il titolo, di Messalla Corvino di cui vengono celebrate le virtù e la carriera. Le elegie 7-12 sono un gruppo di brevi biglietti d’amore scritti da Sulpicia per Cerinto, è un caso unico di ppoesia latina al femminile. PACE AGRESTE: CAMPAGNA E ANTIMILITARISMO Nell’elegia di apertura Tibullo dichiara la propria scelta di vita, quella del pauper agricola, la figura ideale del contadino che vive l’amore intensamente. La vita cittadina è presente e fa da sfondo agli intrighi d’amore da cui poi Tibullo q fugge per rifugiarsi nella vita del mondo agreste. La campagna tibulliana è il mondo ideale dove il poeta trova rifugio da quella relazione mai appagante. Altro tema ricorrente è quello dell’antimilitarismo: Tibullo è un convinto pacifista, come Virgilio ha vissuto le lacerazioni della guerra civile e immagina un mondo ideale fatto da persone semplici e riscaldato da una donna fedele. POETA DOCTUS Con questo termine lo definisce Quintiliano, Tibullo risente dell’influenza alessandrina: stile semplice, raffinato, ritmo regolare che ne permette quasi la cantabilità che influenzerà il distico elegiaco di Ovidio. PROPERZIO (47 – 15 A.C.) Nato ad Assisi da famiglia benestante di rango equestre. Dopo le guerre italiche subì confische e lutti. Trasferitosi a Roma per intraprendere la carriera politica entrò a far parte del circolo di Mecenate. PRIMO CANZONIERE: MONOBIBLOS E LIBRI SUCCESSIVI Pubblicato col nome di Cynthia Monobiblos, mostra un Porperzio prigioniero dell’amore per Cinzia, il cui nome compare dalla prima parola. Cinzia è una cortigiana colta che vive in ambienti mondani, legarsi a lei significa compromettersi socialmente. Il primo libro di elegie è interamente dedicato alla figura di Cinzia, pseudonimo della donna amata, colta e raffinata. In quest’opera l’interesse per temi politici e civili è totalmente assente. Nonostante questo rapporto si configuri come servitium, Properzio si compiace di questa sua sofferenza poiché l’amore è il valore assoluto della vita e accettando la sua condizione può raggiungere l’autarkeia. L’esistenza di Properzio è interamente dedicata all’otium, quindi al rifiuto dei valori del mos maiorum; il poeta-amante usa la poesia come mezzo per sconfiggere gli altri corteggiatori, è l’unica arma che ha a dispoosizione, Properzio sogna 51 l’amore di Cinzia tutto per sé, non l’amore libertino che troveremo in Ovidio, vorrebbe un vincolo con Cinziaa, un foedus garantito dagli dèi, gli stessi valori del mos maiorum che recupera, ma solo nell’ottica dell’amore (non negotium, non impegno civile, solo impegno d’amore). Ovviamente Cinzia non darà mai a Properzio ciò che desidera, per questo lui si lacera nella contraddizione, cercando in Cinzia ciò che non c’è; per questo si rifugia nel mito in quanto, se fossero personaggi dei miti potrebbero vivere il loro amore senza ostacoli. Il successo del Libro I spinse Mecenate a interessarsene e a chiedere a Properzio una continuazione, ma inserendo forme poetiche nuove, per contribuire alla poetica di regime. Per questo il Libro II si apre con una recusatio in cui Properzio si dichiara inadatto ad affrontare la Musa del poema epico-storico e a sostenere il ruolo di vate. Nel secondo e nel terzo libro la figura di Cinzia domina ancora, ma inizia a presentarsi l’incombenza del discidium, la separazione totale da Cinzia e inizia a percepirsi il rapporto che Properzio ha con la cerchia di Mecenate. Nel Libro III compaiono temi meno legati all’amore per la donna: le elegie amorose sono meno frequenti e Properzio guarda a sé stesso con leggerezza e autoironia. Nel quarto libro, noto come il libro dell’elegia civile, torna la figura di Cinzia, ma fa solo da sfondo, nell’ottava elegia Cinzia è morta e compare al poeta sottoforma di ombra, rimproverandolo di essere venuto meno al servitium. Quest’ultimo libro nasce sotto la spinta di un nuovo impegno, quello cui si allaccerà anche Ovidio nei Fasti, nonostante in Properzio non ci sarà mai la gravitas tipica della poesia nazionale, ma piuttosto una poesia leggera, ricca di ironia e pathos. Properzio qui si dedica a raccontare miti e leggende della tradizione romana e italica secondo lo stile ellittico del suo modello Callimaco (Properzio diventa il Callimaco romano). L’amore è presente anche in questo libro, ma è l’amore dell’eros coniugale, degli affetti familiari e delle virtù domestiche (simile ai neoterici), Properzio sembra volersi avvicinare all’ideologia augustea. 5. OVIDIO 20 A.C. – 17 D.C.) Nato a Sulmona (Abruzzo) da ricca famiglia equestre, si trasferì a Roma per intraprendere gli studi di retorica e per intraprendere la carriera politica, rivestirà solo cariche minori per poi abbandonare la carriera politica per quella poetica. Entrato a far parte del circolo di Messalla diede prova del proprio talento letterario. Intorno ai quarant’anni, dopo il terzo matrimonio, fu costretto a separarsi dalla terza moglie in quanto condannato, probabilmente dallo stesso Augusto, all’esilio sul Mar Nero a Tomi (dove morirà), pare che il reale motivo fu legato allo scandalo amoroso in cui era coinvolta Giulia, nipote di Augusto. Dopo questo esilio molte opere sono caratterizzate da un tono lamentoso (Tristia, Epistulae ex ponto). Ultimo poeta augusteo, fu uno scrittore molto prolifico e non si limitò solo all’elegia: è caratterizzato da un intenso sperimentalismo letterario, inoltre la recusatio verso il genere epico e la scelta di incentrare la propria vita sul tema dell’amore tipiche dei poeti elegiaci vengono da Ovidio rifiutate. Ovidio non vuole limitare i propri orizzonti ed escludere altre esperienze poetiche. Per Ovidio il centro dell’esistenza è l’esperienza poetica e questa non si esprime in un solo genere. È anche vero che Ovidio, nonostante sia un poeta augusteo, opera in un contesto civile dai suoi predecessori: è molto lontano dalle guerre civili, la paura è finita e ora Roma è il centro del mondo, una metropoli in cui si vive bene. L’estetismo e l’eleganza della poesia ovidiana sono 54 collettivo in cui un tema fa da cornice e al suo interno se ne sviluppino molte altre indipendenti, ma legate proprio dal tema della cornice. STRUTTURA E COMPOSIZIONE All’interno dei due estremi cronologici (origini del mondo e tempi di Ovidio) si sviluppano circa 25° storie ordinate secondo un filo cronologico che si attenua man mano che ci si avvicina alla storia, fino a lasciare il posto ad altri criteri di associazione come - Contiguità geografica - Analogie tematiche - Storie che si contrappongono - Storie che si somigliano (per le metamorfosi trattate ad esempio) Anche i contenuti, le dimensioni e gli stili delle storie sono vari: - Stile solennemente epico - Stile liricamente elegiaco - Con movenze bucoliche Sono una sorta di gallerie di vari generi letterari in cui le storie si susseguono con armonia e continuità. Ovidio usa spesso la tecnica del racconto ad incastro allo scopo di mantenere vivo l’interesse del lettore, interrompendo il racconto nei momenti salienti per poi riprenderlo più avanti (già usata da Catulllo e Virgilio nelle Georgiche). In Ovidio questa tecnica porta i personaggi a farsi narratori a loro volta, questo comporta ogni volta una variazione di tono, di stile, di esposizione. Il mondo delle Metamorfosi è ambiguo e ingannevole dove ogni personaggio ha la propria verità e il proprio punto di vista, ma in cui sono il poeta è il vero depositario della verità, egli segue i suoi personaggi e spesso interviene per commentare il corso degli eventi, per chiamare in causa il lettore, condividendo il suo riso divertito. MITO E AMORE Le storie narrate da Ovidio sono quasi tutte storie d’amore perché il suo poema è fatto per intrattenere, per questo Ovidio parte dal mito e lo romanza inserendo la dimensione spettacolare che si manifesta nei vari momenti delle metamorfosi/trasformazioni che vengono descritte in maniera minuziosa. Memorabile è la trasformazione di Dafne in lauro che viene descritta da Ovidio mentre questa è in svolgimento e Dafne è ancora metà donna. Ovidio si serve dell’isomorfismo: attraverso una serie di corrispondenze tra mutande e mutato è possibile riconosce ciò che era prima di trasformarsi. Nel caso di Dafne i capelli rimandano al fogliame, il tronco dell’albero al tronco del corpo. La trasformazione dell’uomo in pianta o animale è già presente in Omero ed è un motivo importante per la poesia ellenistica che ha fini eziologici (spiegare l’origine delle cose, anche Callimaco cercava di spiegare l’origine delle cose. Ovidio realizza un poema eziologico). FASTI Sulle orme dell’ultimo libro di Properzio, Ovidio si impegna nella poesia civile con l’idea di illustrare miti e costumi latini seguendo la traccia del calendario romano. Il progetto originario prevedeva 12 libri, uno per ogni mese dell’anno, ma l’opera non supera il VI. L’opera guarda molto agli Aita di Callimaco sia nella tecnica compositiva sia nel carattere eziologico di ricerca delle origini del mondo attuale all’interno del mito, anche Ovidio aspira ad essere il “Callimaco romano”. 55 Sullo sfondo antiquario (Varrone, Flacco) e storico (Livio) Ovidio inserisce materiale mitico di origine greca o a carattere aneddotico. OPERE DELL’ESILIO Isolato dal mondo in cui godeva della vita mondana e relegato a vivere in mezzo a un popolo primitivo, Ovidio scrive per sé stesso, senza un destinatario. Con i Tristia e le Epistulae Ex Ponto riscopre una funzione dell’elegia, quella lamentosa e funebre (Antimaco di Colofone) e cerca confronto in essa. Ibis è un poemetto in distici elegiaci che ha come modello Callimaco. 6. LIVIO (59 A.C. – 17 D.C.) – STORIOGRAFIA È uno degli storici romani che ha goduto di maggiore fortuna. Nato a Padova. A Roma entra in relazione con Augusto, ma non partecipa alla vita pubblica. Negli anni giovanili dedica ad interessi filosofici per poi dedicarsi a quelli storici in età matura (27 – 25 a.C.). AB URBE CONDITA Opera monumentale in 142 libri (di cui ci restano solo i primi 10, quelli da 21 a 45 e alcuni frammenti) che ripercorreva le più importanti vicende della storia di Roma, dalla fondazione fino ai tempi di Augusto (avrebbero dovuto essere 150, ma si interrompe alla morte di Druso, figliastro di Augusto avvenuta nel 9 d.C.). Con quest’opera Livio torna alla struttura annalistica: ogni impresa dura un anno, al termine dell’anno Livio passa all’impresa successiva. I libri furono pubblicati a gruppi di 10, contenenti periodi diversi e contenenti un proemio per ogni ciclo: Libri conservati: - 1 – 10 → Prima decade: avvenimenti antichi della storia di Roma fino alla terza guerra sannitica 293 a.C. - 21 – 45 → Terza e quarta decade, metà della quinta è inclusa: anni dalla seconda guerra punica alla guerra di Macedonia Su 145 libri 85 trattavano di storia recente, dall’età graccana, in Livio la narrazione si amplia man mano che ci si avvicina all’epoca contemporanea perché i lettori erano maggiormente interessati alla storia recente e alle crisi politico-sociali pre-augusto, come del resto ci suggerisce nella Prefatio all’opera. FONTI Per la prima decade Livio utilizza autori annalisti (Anziate, Quadrigario, Pittore), per le decadi successive si serve principalmente di Polibio (II sec. a.C) dal quale prende anche la visione unitaria del mondo mediterraneo e i rapporti tra Roma e il mondo ellenistico. Talvolta si serve anche delle Origines di Catone. Livio però non controlla attentamente le sue fonti e sono molte le lacune nella sua opera, questo lo fa consapevolmente perché il fine della sua storiografia è insegnare modelli di virtus positivi, ma anche negativi da disdegnare. Questo spiega lo scarso interesse di Livio per antiquari come Attico e Varrone che studiavano manoscritti e iscrizioni, livio privilegia le fonti letterarie (Ennio, Nevio) e per questo si “guadagna” il titolo di exornator rerum, colui che drammatizza ciò che è già stato scritto da altri. 56 In Livio prevale l’interesse per la descrizione dei fatti in maniera drammatica ed efficace dal punto di vista letterario piuttosto che alla ricostruzione del passato basata sulla ricerca scientifica sulle fonti. È anche vero che Livio non ebbe influenza sulla politica, a differenza di suoi predecessori come Sallustio; quindi, non facilmente poteva avere accesso agli atti senatori, nonostante questi limiti di Livio, non significa che non sia uno storico onesto. LIVIO E IL REGIME AUGUSTEO Livio pone al centro dei suoi interessi le vicende del popolo romano interessandosi meno alle guerre straniere, un atteggiamento che lo porta all’imparzialità, ma non all’essere romanocentrico, piuttosto la sua posizione è repubblicana. Questo suo atteggiamento e questa sua nostalgia del periodo repubblicano gli valsero, sempre da Tacito, l’epiteto pompeiano. Sappiamo da Tacito che Livio lodava Pompeo, questo non destava fastidi in Augusto con la cui ideologia condivideva alcuni temi: - Libertas: Livio esalta quella dei greci che deve essere concessa al popolo a tempo debito - Restaurazione dei valoro: richiama la politica augustea sul mos maiorum Non è comunque un’adesione incondizionata al regime, Livio nella Prefatio dichiara di cercare nei valori della repubblica una consolazione dai mali del presente. STILE Livio si oppone nettamente a Sallustio del quale criticava la brevitas. Lo stile di Livio si avvicina più a quello di Cicerone nel De Oratore: Cicerone sosteneva la varietà dei toni in base alla varietà di stile. Lo stile di Livio, se confrontato col modello ciceroniano però ci appare troppo affollatto quasi come se volesse inserire troppi dettagli importanti in un solo momento discorsivo; il testo di Livio, fatto per essere letto è volutamente così, non è un difetto, certamente è diverso da quello di Cicerone che era finalizzato all’eloquenza oratoria. 7. DISCIPLINE TECNICHE In età augustea di diffondono libri e cultura, i nuovi classici (Virgilio, Orazio, elegiaci) si diffondono nelle scuole. Mancava una prosa scientifica vera e propria anche perché era il poema didascalico deputato a svolgere il compito di insegnare, anche materie tecniche; tuttavia, la prima età imperiale conosce una prima fioritura di letteratura scientifica. VITRUVIO Scrive il trattato in prosa De architectura, architetto in pensione che probabilmente aveva ricevuto da Augusto il compito di raccogliere tutte le sue competenze in materia di costruzioni. Diviso in 10 libri che tratta di materiali, tecniche, edifici, ordigni bellici, orologi, idraulica. Viene dipinta anche la figura del perfetto architetto caratterizzata da una vasta cultura in - Acustica (per teatri) - Ottica (per illuminazione) - Medicina - Filosofia 59 Con Domiziano, fratello di Tito, si ritorna all’autocrazia (81 – 96 d.C.). Nonostante la burocrazia efficiente e le notevoli campagne militari, presto si alienò il favore dei senatori e dei popolari che ordiranno una congiura. LA POESIA Nel periodo che intercorre tra Tiberio e Nerone l’interesse per la poesia si sposta nel genere chiamato poesia minore, l’epillio, la poesia bucolica, l’epigramma, questo perché i modelli che si impongono sono Ovidio, Orazio, Virgilio. Con Ovidio aumenta l’interesse per la poesia alessandrina. Ritorna l’influenza di Arato. Lo stoicismo si fa predominante nella prima metà del I sec. d.C., legando il cosmo e l’uomo fino a parlare di una predestinazione astrale. Lo stoicismo diventa anche l’asse ideologico di dissenso verso il regime imperiale, conuigando ai temi astrologici anche temi etici. EPOS STORICO E TRAGEDIA L’epos storico, fatta eccezione per Lucano, si perde completamente. Per quanto riguarda la produzione tragica l’unico nome degno di nota è Seneca. Questo genere è quello in cui si esprime l’élite senatoria opponendosi al regime, anche se con l’impero la libertà di parola è limitata. Finché sulla scena è presente Mecenate il tramite tra politica e cultura è garantito, venendo meno il mecenatismo gli intellettuali possono scegliere tra - Neutralità - Esaltazione dell’Impero - Dissenso verso l’Impero → poteva comportare pene, tra cui la perdita della vita stessa FEDRO (20 A.C. -50 D.C.) – FAVOLA Attivo sotto Tiberio, Caligola e Claudio. Nativo della Tracia, pare fosse un liberto. CORPUS Ci sono giunte 90 sue favole palliate suddivise in 5 libri, ma probabilmente il corpus originario prevedeva più favole. Fedro per primo codifica il genere favolistico, è il primo autore, sebbene il genere non sia originale, che realizza una raccolta di favole concepita come autonoma opera di poesia destinata alla lettura. La favola è un genere molto popolare perché trattando di argomenti di semplice comprensione è fruibile da tutti. Fedro continua la tradizione esopica in cui i personaggi sono animali che vengono umanizzati, sono maschere umane che incarnano i vizi e le virtù degli uomini, veicolando una morale negativa in cui prevale la legge del più forte che vince sempre sul debole. Nonostante morale negativa, Fedro dà voce agli emarginati. Troviamo spunti alla realtà contemporanea, quasi satirici, tanto che si dice lo misero in contrasto con Tiberio, ance se Fedro rivendica il tono satirico delle sue opere che non mira a colpire individui, ma solo tipi umani. 2. SENECA (4 A.C. – 65 D.C.) Nato a Cordoba da una ricca famiglia equestre, suo padre era Seneca il Vecchio. 60 A Roma studia retorica avvicinandosi alla filosofia stoica sotto il maestro Attalo e la suola dei Sestii. Si sposta in Egitto con lo zio per poi tornare a Roma per intraprendere la carriera di oratore e avvocato. Si trovò invischiato in uno scandalo ordito da Messalina, moglie di Claudio; quindi, fu mandato in Corsica in esilio. In Corsica qui compone una Consolatio dedicata alla madre, a questa segue quella inviata a Polibio in cui tratta della morte del fratello. Le due consolatio sono molto diverse tra loro anche perché lq seconda contiene un partenio a Claudio per ottenere la benevolenza da questi e poter tornare a Roma, cosa che avverrà dopo la morte di Messalina. Agrippina, nuova moglie di Claudio, lo rese precettore del figlio Nerone al quale Seneca rimase vicino fino al 62. Nel 65 viene costretto al suicidio prima di essere giustiziato da Nerone per l’accusa della congiura di Pisone. DIALOGHI Risalgono alla prima fase della vita di Seneca. Sono 10 trattati di argomento filosofico, non sono veri e propri dialoghi poiché la voce narrante è solo quella di Seneca, non esiste alcun interlocutore, né che lo contraddica né che lo appoggi nelle sue tesi. Il tono di queste dissertazioni è colloquiale e risente della diatriba greca riprendendo exempla, proverbi, sentenze. L’impostazione è cinico-stoica dato che riprende pacatezza della riflessione e buon senso. Consolationes: I primi sono tre brevi trattati filosofici in cui viene proposta una riflessione sulla morte: Seneca si rivolge all’interlocutore e tratta di - Fugacità del tempo - Precarietà del presente - Imprevedibilità del futuro (Ad Marciam, Ad Polybium, Ad Helviam Matrem) De Ira: Dedicato al fratello, Seneca parla delle cause e degli effetti dell’ira, vera e propria malattia dell’anima, una delle passioni peggiori che va dominata e moderata. De vita Beata: Seneca affronta il problema della felicità. Si esprime a sfavore dell’epicureismo e a favore dello stoicismo, difendendosi dalle accuse di incoerenza tra austerità professata e vita agiata, affermando che saggezza e ricchezza non sono necessariamente opposte: la ricchezza è legittimata se è funzionale alla ricerca della virtù. Chi aspira alla sapienza deve sopportare agi e benessere senza lasciarsi corrompere. De Brevitate Vitae: Dedicato al prefetto Paolino. Seneca affronta il problema del tempo, la fugacità del tempo. A questo tema tornerà nelle Epistulae ad Lucilium, contrapponendo gli occupati (che cercano sempre denaro) al saggio (che è l’unico in grado di dominare il tempo e viverlo senza ansie, vivendo il presente). De Providentia: Dedicato all’amico Lucilio. Seneca discute della contraddizione tra progetto provvidenziale e mondo reale dove i buoni vengono puntualmente puniti dalla sorte e i malvagi hanno sempre la meglio. Non contraddice il disegno provvidenziale, ma evidenzia la volontà degli dèi di mettere alla prova i buoni. 61 TRIADE DEDICATA ALL’AMICO SERENO: Sereno, potente funzionario urbano che all’epoca era prefetto dei vigili urbani. De constantia sapientis: Dedicato all’imperturbabilità del saggio stoico. De Tranquilitate animi: Problema del saggio che partecipa alla vita politica che deve mediare tra otium contemplativo e negotium del civis romano. De Otio: Tratta della scelta di vita appartata, scelta forzata resa necessaria dalla situazione politica. Alla fine, preferisce l’otium. TRATTATI Seneca scrisse anche trattati durante il periodo vissuto al fianco di Nerone. Questo suo secondo periodo di vita è dedicato a una possibile conciliazione tra otium e negotium (come già nel De tranquilitate animi). De Clementia: Dedicato e rivolto esclusivamente a Nerone. Seneca tenta di instradare il giovane imperatore sulla strada di un sovrano - Tollerante - Giusto - Buono - Vigoroso Il buon sovrano deve trattenersi dalle tentazioni di un potere tirannico, un principe illuminato. De Beneficis: in seguito alla delusione nel vedere Nerone diventare tiranno, Seneca analizza i meccanismi dei benefici, riflettendo sulla necessità di ricambiarsi i favori tra benefattore e beneficiario e delle conseguenze per gli ingrati 8forse allude a Nerone stesso). Il beneficio diventa l’elemento coesivo della società, una società equilibrava che si basa sulla moralità dell’individuo. È legato all’utopia di monarchia illuminata del De clementia. Naturales Quaestiones: Scritte nella terza, e ultima, fase della sua vita in cui si ritira a vita privata. Dedicate a Lucilio, Seneca affronta i fenomeni celesti, atmosferici, naturali, sono frutto di un lavoro di compilazione di diverse fonti, probabilmente è un lavoro durato anni. Divise in 7 libri, in ognuno di essi viene analizzato e descritto un fenomeno naturale ben preciso secondo lo schema: - Prefazione - Contenuto scientifico - Conclusione con finalità etiche STILE DRAMMATICO DELLE OPERE FILOSOFICHE Il gusto di Seneca è quello epigrammatico, quindi quello verso le minutissime sententiae (rimproverate da Quintiliano), rifiutando la costruzione ciceroniana basata sulla gerarchica articolazione dei pensieri. 64 - ordine della narrazione quasi annalistico L’epos con Virgilio si era avvicinato all’epos omerico, quindi a una forma più favolosa, ma dato il successo lucaneo si è supposto che l’epica precedente a Virgilio fosse strutturata in maniera simile alla Pharsalia di Lucano e che quindi quest’ultimo si sia ispirato a queste fonti ormai perdute. A lungo si è considerata l’opera più storica che epica, ma Lucano spesso sacrifica l’accuratezza storica e deforma la realtà per esigenze artistiche o ideologiche, soprattutto per quel che riguarda le figure di Cesare e Pompeo; talvolta Lucano colorisce alcuni episodi, altre volte ne inserisce di totalmente inventati. L’opera di Lucano tratta delle guerre civili, condannandole: le stesse guerre che hanno portato poi all’affermazione di Augusto, esaltato da Virgilio, ma il cui impero si è poi trasformato in autocrazia. Per Lucano la guerra civile (Cesare contro Pompeo non è altro se non una guerra fratricida che sovverte tutti i valori, non come nell’Eneide di Virgilio che mostra una guerra necessaria alla nascita di Roma, tra Enea, l’eroe pio, e Turno. Nella prima parte della Pharsalia sono evidenti i rapporti con Nerone: Lucano lo elogia nel proemio del libro I, riponendo in lui grandi aspettative. Quando queste saranno disattese si acuisce il pessimismo di Lucano (già presente anche per la mancanza di dèi e quindi della provvidenza) e Nerone non viene più menzionato. LUCANO ANTIFRASTICO Se Virgilio cantò la grandezza di Roma, Lucano ne canta la decadenza: Lucano ribalta le posizioni virgiliane e riprende polemicamente espressioni e situazioni. È il caso della profezia che fa Anchise a Enea nel VI libro dell’Eneide, in cui viene predetta la futura gloria di Roma. Lucano a questo episodio contrappone l’episodio della negromanzia nel libro VI della Pharsalia in cui la maga tessala riporta in vita un soldato che narra dell’infelice situazione degli inferi e le incombenti sciagure che si abbatteranno su Roma. PERSONAGGI A differenza dell’Eneide non ha un personaggio principale, un protagonista, un eroe. Il poema ruota attorno alle figure di - Cesare → presentato in maniera diametralmente opposta da ciò che è scritto nei Commentarii o in Sallustio. Lucano ci mostra Cesare come irascibile, violento, capace di trascinare le sue truppe che lo venerano. Cesare è il trionfo delle forze irrazionali, un eroe nero che incarna ira, ferocia e avidità di potere. Lucano deve modificare la realtà storica per costruire il tiranno in Cesare - Pompeo → è una sorta di Enea, è l’unico personaggio soggetto a un’evoluzione personale. Abbandonato dalla buona sorte (Fase ascendente con la moglie Giulia: gloria e onori), cerca rifugio negli affetti familiari (Fase discendente con la moglie Cornelia: perdita potere politico). L’evoluzione di Pompeo lo porta alla saggezza e alla moralità. Sarà portato da queste ad accettare la morte coraggiosamente per una buona causa. Si guadagna un posto in cielo - Catone → da subito possiede la consapevolezza che Pompeo raggiunge nel poema. Catone si fa pari agli dèi, non ha più bisogno degli dèi per capire la differenza tra giusto e sbagliato. Catone conferisce una patina stoicheggiante a tutta l’opera, consapevole della sconfitta cui sta andando incontro e della necessità di darsi la morte. 4. PETRONIO 65 Pare, dagli scritti di Tacito, che Petronio fosse un cortigiano di Nerone e che avesse servito lo Stato come proconsole in Bitinia e successivamente console. Viene menzionato come elegantiae arbiter, apprezzato per il gusto estetico e per la personalità fuori dalle righe. Costretto al suicidio, come Seneca e Lucano, pare inscenò una morte spettacolare: si fece tagliare le vene, le fece ricucire per poter banchettare durante le ultime ore di vita occupandosi di poesia poi tagliarle nuovamente per porre fine alla sua esistenza. Petronio fu molto scaltro e prima del suicidio si occupò dei suoi servi e nel suo testamento non perse occasione per denunciare Nerone, i suoi crimini e i suoi tradimenti coniugali. La vita stravagante di Petronio sembra rispecchiarsi perfettamente nella produzione letteraria, sicuramente collocabile in età neroniana poiché nel Satyricon non sono presenti riferimenti che vanno al di là del principato di Nerone. SATYRICON La parte superstite dell’opera è costituita da frammenti dei libri XIV, XVI e dal libro XV, la Cena di Trimalchione. Ciò che leggiamo oggi è in realtà una rielaborazione di parti diverse assemblate tra loro, forse ci sono stati anche spostamenti di sezioni narrative. Sicuramente il testo giuntoci era preceduto da un ampio antefatto (narrato in 14 libri) e seguito da una parte di lunghezza imprecisabile. Quando l’opera inizia Encolpio ha già commesso una serie di azioni, tra cui un omicidio, furti vari e si è innamorato di Gitone. Il viaggio di Encolpio inizia perché questi ha offeso il Dio Priapo (anche se non si sa in quale modo) Encolpio deve superare una serie di prove di natura espiatoria. TRAMA Encolpio (protagonista) discute con Agamennone, maestro di retorica. Con Encolpio ci sono Asclito e Gitone, un giovinetto. Una matrona coinvolge i tre in un rito in onore del Dio Priapo, ma questo rito è un pretesto per asservirli ai suoi desideri di lussuria, pe questo i tre fuggono. Si trovano al banchetto di Trimalchione (Petronio descrive la cena), un banchetto in cui domina il cattivo gusto. Encolpio e Asclito sono innamorati di Gitone, per questo Asclito lo porta via. Encolpio si imbatte in Eumolpo, un poeta vagabondo. Dopo varie peripezie Encolpio trova Gitone e si libera di Asclito, ma non di Eumolpo, nuovo pretendente. Encolpio, Eumolpo e Gitone lasciano la città e si imbarcano, la barca è di un uomo che diverrà il peggior nemico di Encolpio che, grazie a una provvidenziale tempesta, viene spazzato in mare. I tre finiscono nei pressi di Crotone, città di cacciatori di testamenti. Qui Eumolpo si finge vecchio facoltoso e gli altri due si fingono suoi schiavi. Inizialmente vivono nell’agio, ma Encolpio ha un’avventura con Circe e, abbandonato delle sue facoltà sessuali si sottopone a pratiche magiche. Eumolpo nel testamento assegna i suoi averi a chi si sarebbe cibato del suo corpo e tutti sono pronti a farsi cannibali. ROMANZO E PARODIA Parlare di romanzo nella letteratura antica non è del tutto corretto, a parte gli esempi di Petronio e Apuleio (Metamorfosi) non abbiamo altre opere classificabili come tali. 66 Possiamo definire l’opera di Petronio un “antiromanzo” in quanto rovescia tutte le convinzioni di quello che conosciamo come romanzo antico, è un unicum nel quadro letterario latino. La costruzione narrativa pare essere quello della parodia letteraria (arte di parlare attraverso altra letteratura, come esprimendo la propria verità deformando quella altrui). Petronio si serve del contributo di altri generi letterari: - Epica → dell’Odissea nel tema del viaggio e nella persecuzione da parte di un dio (Priapo e Poseidone), - Romanzo d’amore greco → la storia è strutturata come una parodia della narrativa greca idealizzata - Satira menippea → sono presenti parti in prosa e parti in versi (come Apolokintosys di Seneca). Un genere molto vario, ricco di toni seri, giocosi, volgarità. Intento parodico, anche se l’opera di Petronio non ha intenti moralistici su vicende o persone (Apolokintosys era contro Claudio) - Fabula Milesia → nel romanzo ci sono 5 favole (tre raccontate durante la cena, una dalla matrona, una da Eumolpo) Il Satyricon gioca tutto sulla parodia: - Le peripezie di Encolpio diventano “un’Odissea” ed Encolpio stesso si paragona a Ulisse anche questa persecuzione nel Satirycon sembra esistere solo nella fantasia di Encolpio - Il rapporto omosessuale tra i due innamorati parodizza l’amore casto e idealizzato che lega i fidanzati del romanzo greco - È una letteratura che finge di essere d’intrattenimento, popolare, di consumo, ma ha un modello nella letteratura impegnata e sublime Nel Satyricon il narratore non è l’autore, ma l’Io inaffidabile di Encolpio che vive liberamente gli eventi assimilando la realtà ai modelli della letteratura sublime che non tardano a mostrare i propri limiti: Encolpio è un antieroe, non coraggioso e tutte le immaginazioni di Encolpio sono destinate a crollare per effetto della realtà dando luogo alla parodia (Encolpio è un mitomane, pensa di essere un eroe e si rende ridicolo); Encolpio è vittima delle sue illusioni e della sua mania di immedesimazione eroica. REALISMO Il Satyricon trova nel realismo il suo maggiore punto di forza: Petronio ha un interesse per la mentalità delle classi sociali e per il loro linguaggio quotidiano. I personaggi di Petronio sono caricature che si muovono all’interno di una trama inverosimile. PRIAPEA Sono i canti per Priapo, una raccolta di autore anonimo di 80 componimenti di lunghezza e metro variabili in cui il tono è scherzoso e la tematica è per lo più sessuale. 5. PERSIO (34 – 62 D.C.) Nato a Volterra da una famiglia ricca e nobile, rimasto orfano a soli 12 anni si trasferì a Roma dove studiò filosofia presso Cornuto. Persio visse sempre una vita appartata, coltivando amicizie nell’ambiente aristocratico. Persio scrisse molte opere nella fase giovanile, ma Cornuto autorizzò la pubblicazione solo delle Satire. SATIRE Persio vi lavorò saltuariamente per oltre 10 anni, lasciando l’opera incompiuta. A noi sono rimaste solo sei satire e un componimento composto in trimetri giambici, verso dell’invettiva. 69 Attinge in particolar modo dalla leggenda e dal mito, soprattutto dal racconto di Giasone e degli Argonauti alla conquista del vello d’oro. Rispetto ad Apollonio modifica la psicologia dei personaggi e ne esaspera il punto di vista soggettivo fino a sacrificare particolari della narrazione (fondamentali per la comprensione); ne deriva un racconto poco chiaro e poco lineare, le scene sono poco coerenti tra loro e sembrano piuttosto blocchi isolati. La ripresa di Virgilio è individuabile nel tema mitologico, nella presenza dell’intervento divino (Giove) e nell’impostazione morale edificante. Il fato (provvidenziale di Virgilio che ha come portavoce Giove) controlla il flusso degli eventi, Flacco inserisce anche una lotta tra Eeta e il fratello per aggiungere l’elemento iliadico della guerra, come fece Virgilio nell’Eneide. Molti sono i rimandi alla situazione politica contemporanea: - La morte dei genitori di Giasone equivale alla morte degli oppositori dell’Impero - La guerra tra i due fratelli e l’episodio di Cizico rimandano al tema della guerra civile - La spedizione del Vello d’oro rimanda alla campagna di Vespasiano in Britannia → qui lo spirito è encomiastico TRAMA - Libro I: spiega perché Giasone cerca il vello d’oro - Libri II – V: narrazione del viaggio fino alla Colchide (Georgia) - Libri VI – VIII: intrighi e lotte alla corte del re Eeta, amore tra Giasone e Medea, conquista del Vello d’oro, ritorno di Giasone e degli Argonauti STAZIO (45/50 – 96 D.C.) Originario di Napoli, visse a Roma sotto la protezione di Domiziano. La sua produzione vanta due poemi epici (Tebaide, Achilleiide), un poemetto storico celebrativo (De bello germanico) andato perduto, una raccolta miscellanea (Silvae). SILVAE Raccolta in 5 libri che contiene componimenti di vario tema e vario metro; per lo più sono poemetti di ringraziamento a benefattori. È una poesia colta e raffinata, una poesia cortigiana in cui i dedicatari sono liberti o giovani emergenti. Questi componimenti sono importanti documenti per meglio comprendere la circolazione delle forme letterarie in età imperiale e sulle forme di promozione sociale. TEBAIDE Poema epico in 12 libri in cui viene narrata la storia del mito greco dei Sette contro Tebe. - Esade 1 → Libri I – VI: sono presenti tratti odissiaci come il tema del viaggio e il racconto autobiografico inserito nella cornice principale, proprio come la prima metà dell’Eneide - Esade 2 → Libri VII – XII: i tratti diventano iliadici con la guerra. Come la seconda metà dell’Eneide Il modello è quello virgiliano, come dichiara lo stesso Stazio nell’epilogo; anche nell’ideologia il modello è quello di Virgilio, contrapponendosi a Lucano (anti-Virgilio) e inserendo l’intervento divino, anche se più moderato rispetto a Virgilio perché il divino si manifesta nel più moderno concetto del destino. Con la scelta della guerra fratricida si avvicina però a Lucano: gli stessi proemi delle due opere (Tebaide e Pharsalia) presentano forti consonanze. 70 Come in Lucano c’è poi la mancanza di un vero protagonista anche se qui i personaggi sono tanti e non solo tre (Cesare, Pompeo, Catone) TRAMA I figli di Edipo, Etocle e Polince, si alternano sul trono. Laio convince Etocle a rompere questo patto con il fratello Polinice. Quest’ultimo si rifugia ad Argo e organizza la spedizione dei Sette, moriranno tutti tranne Adrasto. Diventa re il cognato di Edipo, Creonte, mentre i due fratelli si uccidono in duello, simbolicamente il duello prosegue sul rogo funebre dove due fiamme nemiche continuano a contrastarsi. Il XII capitolo si conclude con il pacificatore Teseo che impone di dare sepoltura a tutti i caduti in una sorta di trionfo della clemenza (forse è l’immagine di Domiziano) ACHILLEIDE È un poema incompiuto che si ferma all’inizio del II libro. Narra la storia di Achille, ma sono presenti solo le vicende del giovane eroe a Sciro (dove lo nascose Teti). Il tono è disteso e idilliaco, non è il tono della Tebaide, richiama Ovidio nell’ironia. SILIO ITALICO (25/29 – 102/104 D.C.) Legato a Nerone e proconsole di Vespasiano, fu avvocato. Plinio il Giovane narra che si lasciò morire di fame in seguito a una malattia. PUNICA La sua opera principale è intitolata Punica, un poema epico a carattere storico suddiviso in 17 libri. Narra della Seconda Guerra Punica (219 – 202 a.C.), verrebbe da pensare all’uso di Ennio e di Nevio per ottenere informazioni, ma è chiaro che Silio Italico si appoggia soprattutto agli scritti di Tito Livio. Ma è l’Eneide il modello fondamentale: la guerra di Annibale discende dalla maledizione di Didone; Giunone èè ancora nemica dei troiani e protegge Cartagine. Silio inserisce moltissimi interventi divini, sino a rendere un livello di inverosimiglianza intollerabile. La scrittura è inoltre troppo monotona perché eccede nell’imitazione di Virgilio. 8. PLINIO IL VECCHIO (23 – 79 D.C.) – SCIENZE NATURALI L’unico nome che spicca in questo genere è quello di Plinio il Vecchio che, grazie alla sua opera Naturalis Historiae risponde all’interesse diffuso nella Roma del suo tempo: quello delle scienze naturali grazie a una crescente propensione verso i saperi tecnici, soprattutto per il fatto che i politici erano tenuti a conoscere determinati argomenti essendo venuta meno la necessità di conoscere l’arte della guerra. Questo nuovo genere tecnico diventa interessante e di intrattenimento anche per chi non ricopre cariche politiche e che quindi non ne necessita. Inizia quindi la stesura di testi da parte di viaggiatori che raccolgono aneddoti, favole, notizie antropologiche, estratti di lavori scientifici. Nato a Como da una ricca famiglia equestre, militò nell’esercito in Germania per lunghi periodi. Fu da sempre un uomo dedito agli studi che perseguiva privandosi spesso del sonno poiché nelle ore diurne si occupava di questioni civili: Vespasiano gli affidò importanti incarichi amministrativi, tra cui quello di prefetto della flotta imperiale. Proprio questo incarico spingerà Plinio a Pompei durante l’eruzione del Vesuvio del 79, dove Plinio morirà soffocato dai fumi dell’eruzione. 71 Molte furono le opere da lui scritte, ma andate perdute: - Studiosus → trattato di retorica - Dubius sermo → trattato linguistico - A fine Anfidi Bassi → opera pro-flavia che trattava dalla fine di Claudio all’inizio di Vespasiano NATURALIS HISTORIA L’unica opera conservatasi di Plinio, e la sua più famosa, è la Naturalis Historia, una vera e propria summa del sapere enciclopedico sulle scienze naturali suddiviso in 37 libri e preceduto dall’epistola dedicata a Tito, futuro imperatore. Quest’opera immensa, l’opera più compiuta del nuovo genere letterario, non era concepita per essere letta integralmente, ma solo per la consultazione, Plinio con la sua enciclopedia mira al fine didascalico, lo scopo è quello di giovare all’umanità. L’opera si inscrive inoltre nel solco dello stoicismo perché con questa filosofia condivide la concezione di un universo che è un tutt’uno retto da una provvidenza divina, una macchina cosmica che l’uomo deve conosce per rispecchiare in sé la virtù. Nessuno scrisse mai un’opera di così vaste dimensioni e ricca di tutte quelle informazioni, Plinio raccolse dati costantemente e indica anche il numero di questi dati raccolti: 34 mila notizie, 2 mila volumi letti, 170 dossier di appunti. Chiaramente, per realizzare un’opera così vasta dovette sacrificare lo stile dell’opera che, appunto stilisticamente, è forse la peggior opera del panorama latino. STRUTTURA - Libro I: indice e bibliografia - Libro II: cosmologia e geografia - Libri III – VI: geografia - Libro VII: antropologia - Libri VIII – XI: zoologia - Libri XII – XIX: botanica - Libri XX – XXXII: medicina - Libri XXXIII – XXXVII: metalli e minerali 9. MARZIALE (38 – 104 D.C.) – EPIGRAMMA L’epigramma nasce in Grecia arcaica con intento commemorativo, si poteva quindi trovare sulle tombe. È caratterizzato dalla brevità. Già in età ellenistica venne svincolato dagli intenti commemorativi per essere utilizzato in argomenti leggeri come il tema erotico e quello simposiaco. Prima di Marziale a Roma non c’erano stati molti esponenti di questo genere. Nacque in Spagna da padre Frontone e madre Flacilla che hanno sempre avuto interesse per gli studi del figlio che si formò prima in Spagna e poi a Roma. Marziale giunge a Roma quando Nerone costringe Seneca e Lucano al suicidio, trovandosi così senza punti di riferimento, ma con una formazione culturale che non sapeva come far fruttare. Per questo presto si trovò nella stessa condizione di Giovenale, quella del clientes che doveva elemosinare dal proprio patrono per guadagnarsi da vivere. Nonostante questo, pubblicò nell’80 il suo primo libro di epigrammi, il Liber de spectaculis. LIBER DE SPECTACULIS 74 PANEGIRICO Con quest’opera Plinio inaugura un nuovo genere, quello del Panegirico dedicato all’imperatore; ci è infatti pervenuto all’interno di una serie di panegirici di questo tipo. Nell’opera si percepisce la nuova aria che si respira sotto Traiano a differenza del clima sotto Domiziano. Plinio esalta le virtù di Traiano e delinea il modello di comportamento che dovranno avere i principi futuri: il modello è quello della concordia ordinum di Cicerone che prevedeva la concordia tra imperatore, ceto aristocratico e ceto equestre, fondamentale alla concordia è però ilil reggente onesto perché un principe malvagio porta soo a disastri. I toni sono ottimistici, ma Plinio non nasconde il timore che possano in futuro presentarsi imperatori-tiranni come lo era stato Domiziano. La funzione di quest’opera è pedagogica nei confronti del principe, Plinio, in qualità di uomo di lettere, si offre come mentore all’imperatore, come consigliere. EPISTULAE L’opera più importante di Plinio sono le epistole, suddivise il 10 libri. Il decimo è particolarmente interessante poiché contiene lo scambio epistolare tra Plinio e Traiano durante il mandato come governatore in Bitinia. Emerge un Polinio costantemente indeciso, molto scrupoloso, che chiede consiglio a Traiano che risponde talvolta infastuidito da queste continue interpellanze per qualsiasi questione. L’epistolario tiene traccia degli usi della Roma del tempo, degli avvenimenti (come la morte dello zio durante l’eruzione del Vesuvio) e inoltre dei titoli delle altre opere scritte da Plinio, a noi non pervenute. L’epistolario non è assemblato in questo odo in maniera casuale come l’epistolario di Cicerone, bensì è studiato per la pubblicazione. Nonostante Plini0o dica di non aver seguito un ordine preciso, sembra fatto ad hoc per evitare la monotonia nella lettura e creare alternanze. 12. STORIOGRAFIA DEL II SECOLO D.C. Nella storiografia antica l’impianto moralistico è una peculiarità che fa della storia una maestra dii vita (Cicerone, De Oratore). Per noi moderni un testo storico che non sia legato alla ve3rità può sembrare strano, ma al tempo queste opere erano opere letterarie con il fine di persuadere i lettori; le opere storiografiche si basavano su - Analisi dei fstti sulle basi delle fonti selezionate - Coloritura drammatica degli effetti narrati per coinvolgere il pubblico TACITO (58 -117 D.C.) Probabilmente originario della Gallia Cisalpina, proveniente da famiglia di ceto elevato. A Roma studia retorica e intraprende la carriera di oratore, sposa la figlia di Giulio Agricola, importante uomo politico. Scrisse in un periodo che va dai Flavi a Nerva, sotto questi divenne console. È ricordato per essere uno scrittore anche se non scrisse solo opere storiche, ma la sua prima opera è retorica. DIALOGUS DE ORATORIBUS L’opera retorica è d’ispirazione ciceroniana, si è a lungo dubitato della sua autenticità poiché rappresenta un caso isolato nel corpus delle opere di Tacito e lo stile non segue l’inconcinnitas tipica degli scritti storiografici. TRAMA 75 Tutto si svolge neghi anni tra il 75 e il 77, presso a casa di Curiazio Materno, con lui ci sono Marco apro, Messalla e Giulio Secondo. Discutono di una conversazione alla quale Tacito dice di aver assistito sebbene molto giovane. Tacito attraverso le voci dei 4 vuole ricostruire un dibattito sulla crisi dell’eloquenza e sulla sua corruzione. All’inizio si contrappongono i pensieri di Apro (pro-eloquentia) e Materno (pro-poesia); Messalla introduce l’argomento della decadenza della retorica, causata dal deterioramento dell’educazione. Tacito appoggia la posizione di Messalla incolpando scuola e famiglia poiché offrono un’educazione carente, appoggia anche Materno che sostiene che l’Impero ha decretato a fine della libertà politica e quella dell’oratoria, impossibile in tempi così tranquilli e ordinati, la garanzia della pace limita la fioritura letteraria. A questo punto solo l’impero può salvare lo Stato dal caos, anche se Tacito non è felice di questo. AGRICOLA È un opuscolo storico che Tacito scrive in memoria del suocero, Agricola, artefice della conquista in Britannia sotto Domiziano, può essere considerata la monografia di Agricola. Il tono è palesemente encomiastico: Agricola rappresenta l’uomo politico ideale romano che si comporta rettamente nonostante sia comandato da un principe cattivo, Domiziano. Di Agricola tacito evidenzia i valori: fedeltà, onestà, competenza che mostrano come si possa sempre percorrere una via mediana tra gli atteggiamenti di servilismo e ribellione. Agricola, caduto in disgrazia, muore silenziosamente, senza cercare gloria, questa è un’apologia della classe dirigente sana. Interessanti sono le digressioni geografiche ed etnografiche sulla Britannia tratte dagli stessi appunti di Agricola e dalle informazioni ricavate dai Commentarii di Cesare. Sebbene ci si aspetti che il personaggio principale sia Agricola, è in realtà la Britannia, il luogo in cui la virtus di agricola emerge. MODELLI - A inizio e fine discorsi il modello è Cicerone - Per le parti narrative ed etnografiche i modelli sono Sallustio e Livio GENERI LETTERARI - Biografia - Laudatio funebris - Etnografia - Storiografia TEMATICHE - Virtus dii agricola - Via mediana - Mors non ambitiosa GERMANIA Trattato etnografico che racconta la guerra di Traiano sul fronte germanico che fa da contesto all’opera, ma quest’opera non è storiografica. La letteratura etnografica a Roma era particolarmente apprezzata, ma questa è l’unica testimonianza pervenutaci. 76 La prima parte dell’opera si concentra su usi e costumi dei popoli germani, attingendo informazioni dal De Bello Gallico di Cesare, la seconda parte invece, che si concentra sulle singole popolazioni germaniche attinge al Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, andata perduta. Nell’opera Tacito si fa portavoce del determinismo biologico, cioè del fatto che territorio e caratteristiche ambientali formano il carattere dei suoi abitanti, nel caso della Germania fieri, rozzi e coraggiosi. È da Tacito che nasce l’idealizzazione dei barbari in quanto sembrano, rispetto a Roma, non ancora corrotti dalla civiltà. Tacito in modo particolare elogia le donne germaniche, più virtuose di quelle romane, e la libertas dei Germani che proprio per l’assenza di corruzione possono essere una minaccia per Roma. HISTORIAE È la prima opera storiografica di Tacito, originariamente in 12 o 14 libri, ne sono rimasti 5 che ripercorrono il periodo dal 69 al 70 d.C., anno in cui si susseguono rivolte e guerre civili (4 imperatori, rivolta giudaica), avrebbe dovuto conncludersi nel 96. Il titolo dell’opera Historiae significa ricerca, quella che Tacito fa tra le fonti perché per Tacito esiste una profonda differenza tra ricerca storica contemporanea e tradizione annalistica: nonostante Tacito segua l’ordine cronologico per narrare i fatti supera lo schematismo del genere annalistico, attraverso una visione organica degli eventi. Il 69 è l’anno in cu9i si succedono Galba, Otone, Vitello, Vespasiano, principi ereditari, nel 96 con Nerva si assiste al principato di adozione; Tacito inserisce una serie di analogie e rimandi tra le due date (69 – 96) che sono poi analogie e differenze tra l’imperatore Galba e l’imperatore Nerva. ANNALES Possono essere considerati la prosecuzione dell’opera di Tito Livio Ab urbe condita poiché abbracciano un arco di tempo che va dal 14 d.C. fino al principato di Nerone. L’opera si apre con la morte di Augusto e la scelta di questi nella nomina di Tiberio, la cui morte chiude l’opera storiografica. Del regno di Tiberio Tacito distingue due fasi: positiva e negativa, quando delega Seiano Anche il ritratto di Claudio non è edificante: un imperatore burattino nelle mani di mogli e liberti. Anche per Nerone Tacito individua una fase positiva, quando è sotto la guida di Seneca e Burro, e una fase negativa, quando Tigellino compare sulla scena, per Tacito vero responsabile della trasformazione in folle di Nerone. Dall’opera traspare un pessimismo generale marcato, Tacito critica duramente i filosofi (in particolare è probabile alluda al suicidio di Petronio), duro è anche nei confronti dei senatori ormai corrotti e in piena decadenza morale. Tacito è al contempo uno storico e un artista drammatico, per questo i suoi testi si inseriscono nel filone della storiografia tragica, anche se le sue opere non sono finalizzate a suscitare emozioni nel pubblico, ma per portare alla luce le ambiguità dell’animo dei personaggi, questo perché per Tacito la corruzione è causata dalla natura dell’uomo. È una visione moralistica della storia, è l’inadeguatezza umana che causa i disastri di Roma, per questo Tacito evidenzia i turbamenti delle masse e la paura del singolo che deve decidere per tutti. I personaggi di Tacito sono in parte figure patologiche: Nerone, un pazzo maniaco (non era proprio così) e negli Annales molte situazioni di paura sfociano in inspiegabili suicidi, delitti. Da qui traspaiono la paura e il disprezzo per la follia. Ma la maggior parte dei personaggi di Tacito sono figure calcolatrici che scelgono come muoversi nella storia e aspirano 79 L’opera di Luciano di Samosata si configura come letteratura di puro intrattenimento, mentre quella di Apuleio assume le caratteristiche del racconto esemplare: la curiositas di Lucio porta a una lunga espiazione che culminerà nella sua conversione al culto di Osiride e un drastico cambiamento di vita. La favola di Amore e Psiche si configura come simbolo del destino di Lucio. La trama è quella di una fiaba: Psiche, figlia di un re, suscita l’invidia di Venere che la rende preda di un mostro. Psiche viene condotta in un palazzo bellissimo dove incontra il suo sposo di cui le viene vietata la vista, pena la separazione da lui. Psiche però, istigata dalle sorelle, trasgredisce e spia Amore mentre dorme. Psiche viene punita in vari modi, la novella si conclude con una dolorosa espiazione da parte di Psiche e con le nozze di Amore e Psiche. L’esperienza di Psiche rimanda all’esperienza di Lucio: entrambi sono promessi alla salvezza (nozze e conversione al culto). Nonostante questa linea tematica religiosa il racconto mantiene i toni leggeri unendo favolistica popolare, elementi latini, elementi milesi e alessandrini. (ricordando un po’ Ovidio). LINGUA E STILE Apuleio predilige scrittori arcaici all’uso di parole obsolete, ha padronanza di registri diversi: accosta arcaismi a neologismi, volgarismi a poetismi, il tutto unito a un linguaggio tecnico-scientifico. Le parole sono accostate tra loro in modo da condizionare l’espressione per mezzo del suono, si è pensato che il romanzo seguisse una struttura musicale fatta di richiami come fosse una sinfonia. 13. FILOLOGIA, ERUDIZIONE, CRITICA LETTERARIA TRA I E II SEC D.C. La filologia latina ha piena maturazione nel periodo tra Flavi e Antonini. Nella filologia di II secolo d.C. sono evidenti flussi alessandrini e pergameni che si contraddistinguono per accuratezza delle ricerche cronologiche, risoluzioni di problemi di autenticità, approfondimento degli aspetti linguistici e grammaticali. Mancano però vere e proprie biblioteche statali come quelle ellenistiche che a Roma rimangono un fenomeno privato. Dall’età augustea, con la diffusione dei classici latini, ha inizio un’intensa attività filologica con i commenti a Virgilio, Ovidio, Orazio. FRONTONE È il massimo esponente del movimento arcaicizzante che si afferma tra fine I e inizio II sec. d.C. nell’ambito della filologia. Ci resta un carteggio con i discepoli imperiali, uno scambio epistolare in cui si coglie la tendenza di Frontone a praticare retorica fanatica. AULO GELLIO Appartiene alla generazione successiva a quella di Frontone. È autore di Noctea Atticae, una raccolta di appunti presi durante notti di veglia presso Atene in cui i temi sono di natura linguistica e letterarie, è meno dogmatico di Frontone. TARDA ETÀ IMPERIALE 1. DAI SEVERI A DIOCLEZIANO Dopo la morte di Commodo sale al potere Settimio Severo (193 d.C.) con cui si afferma la dinastia Severa, non romana, proveniente dall’attuale Libano. Settimio, proveniente dall’esercito, si occupò di facilitare i processi di integrazione tra province e impero. 80 Successivamente si occupò della riforma dell’esercito eliminando i privilegi ai pretoriani e aprendo l’esercito anche ai barbari, come fece M. Aurelio. Severo indebolì il Senato favorendo il ceto equestre. Il suo impero fu di fatto una monarchia assoluta di stampo militare. Morto Settimio di malattia, sale al potere Caracalla, suo figlio. Questi si dimostra dispotico, verrà presto ucciso in seguito a un complotto tra pretoriani. Caracalla estese, col suo editto, la cittadinanza romana a tutti gli abitanti delle province dell’Impero, questo permetteva di tassare più persone essendo cittadini. Dopo il susseguirsi di vari imperatori, è il momento di Diocleziano, ufficiale illirico che ottenne un impero molto indebolito da 50 anni di anarchia militare, a cui si aggiunse una crisi economica. Per Diocleziano i problemi sono due: - Vastità dell’impero difficile da proteggere - Potenziamento dell’esercito per far fronte agli attacchi nemici Diocleziano “risolve” con una tetrarchia: Augusti: - Diocleziano → Oriente - Massimiano → Occidente Cesari: - Costanzo Cloro → Gallia e Britannia - Galerio → Macedonia, Grecia, Creta SOCIETÀ E CULTURA La crisi economico-sociale diede origine a un senso di incertezza che si manifestò in un clima millenaristico in cui la paura della fine accese speranze in una vita migliore e una salvezza ultraterrena. Si assiste a una rapida diffusione del cristianesimo che presto dominerà su tutti gli altri culti. Nato come religione urbana dei ceti subalterni, riesce a insinuarsi tra i ceti sociali benestanti che spesso lasciano sostanziose donazioni alle comunità cristiane. Il Cristianesimo in questo periodo vive fasi alterne di tolleranza e di persecuzioni, in Africa la situazione sarà drammatica per i cristiani e perfino i vertici della chiesa furono colpiti, questo degenerò in un comportamento altalenante identico nei confronti dei pagani da parte dei cristiani. 2. PRIMA LETTERATURA CRISTIANA TERTULLIANO Fu un prete intransigente che aderì a una setta detta dei montanisti, che abbandonò per poi fondarne una propria. Il suo spirito intransigente deriva dall’aver praticato la professione di avvocato. Tertulliano in modo arrogante sostiene che le sue tesi sono sempre corrette, anche usando prove false e ragionamenti discutibili. Arrivaa a toccare livelli estremi di misoginia dichiarando che la donna è Satana, è un personaggio apocalittico che non ama l’umanità. I suoi scritti più importanti sono Ad nationes (rivolto ai pagani) e Apologeticum (rivolto ai magistrati). MINUCIO FELICE 81 Avvocato africano, come Tertulliano. Ci è pervenuto solo l’Octavius, un dialogo tra Cecilio (pagano), Ottavio (cristiano) e Minucio (giudice della controversia). Cecilio ammette subito di essere stato sconfitto e Minucio non deve neanche giudicare. CIPRIANO Vescovo di Cartagine. La sua opera Ad donatum anticipa in un certo senso le Confessioni di Agostino. De Lapsis divenne lo scritto guida della diocesi di Cartagine, parlava di coloro che per salvarsi dalle persecuzioni avevano rinnegato la fede, andavano riaccolti. 3. NUOVA LETTERATURA CRISTIANA Con l’età costantiniana il Cristianesimo sperimenta una fase di importanti cambiamenti, soprattutto dopo l’editto di Milano che sanciva la possibilità di professare la nuova religione che si estende fino agli imperatori stessi. Ne consegue un monopolio ideologico nelle mani dei cristiani. ARNOBIO (+327 D.C.) Originario dell’Africa, fu autore di 7 libri Adversus Nationes scritti dopo le persecuzioni di Diocleziano. La sua apologetica (attività oratoria degli apologeti) è aggressiva e violenta nei confronti dei pagani, ricalca la Ad Nationes di Teertulliano. La conversione di Arnoobio in età adulta mostra ignoranza e disinformazione rispetto al Cristianesimo; infatti, molte sue posizioni teologiche sono anomale (es. L’Antico Testamento è una favola giudaica). LATTANZIO (+324 D.C.) Discepolo di Arnobio, ma lontano dagli eccessi del maestro. Lattanzio tende a proporre un cristianesimo capace di arricchirsi grazie all’apporto della cultura antica, quasi come se fosse l’evoluzione della cultura classica. ILARIO DI POITIERS (315 – 367 D.C.) Fu il più originale pensatore cristiano prima di Agostino. Si convertì in età adulta e divenne vescovo di Poitiers. Nei suoi scritti affronta il problema cristologico tra ariani e cattolici (chi e cosa è Gesù cristo. Gli ariani sostengono che Gesù è inferiore a Dio, non sono la stessa cosa). 4. PADRI DELLA CHIESA Dalla seconda metà del IV sec al Sacco di Roma la produzione letteraria latina vede un notevole sviluppo, in particolare la produzione di quelli che verranno poi rinominati Padri della Chiesa, chiamati così perché riuscirono a compiere un’opera di mediazione tra cultura classica e cultura cristiana. AMBROGIO (339 – 397 D.C.) Nato a Treviri, in Germania, da una ricca famiglia senatoria cristianizzata. Frequentò le migliori scuole e perseguì la carriera pubblica. Inviato a Milano come console, alla morte del vescovo di Milano viene nominato Ambrogio, nonostante non avesse ricevuto il battesimo in quanto catecumeno, come sostituto per aver sopito i conflitti tra ariani e ortodossi. Ad Ambrogio risale il fenomeno della secolarizzazione della Chiesa (Secolarizzazione = passaggio di beni, oggetti, cose, istituzioni, valori dalla dipendenza del potere ecclesiastico a quella del potere civile o secolare. Beni secolari = che appartengono al secolo, alla laicità) che portò la Chiesa ad intervenire negli affari di stato, fino a sostituirsi alle istituzioni politiche imperiali. In particolare, Ambrogio delimita la capacità decisionale dell’Imperatore che, essendo cristiano, è soggetto al volere della Chiesta in tutto ciò che ha rilevanza morale.
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