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Riassunto letteratura latina Conte, Schemi e mappe concettuali di Letteratura latina

Riassunto dettagliato e preciso della letteratura latina, dalle origini all'età imperiale. Ideale per l'esame di letteratura latina dell'Università degli Studi di Milano (prof Pace e Moretti/ Gioseffi)

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2015/2016

Caricato il 04/08/2016

arianna1693
arianna1693 🇮🇹

4.5

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Scarica Riassunto letteratura latina Conte e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Letteratura Latina NASCITA E PRIMI SVILUPPI I romani tendevano a collocare l’inizio della loro storia letteraria nel 240 a.C., anno in cui Livio Andronico aveva fatto rappresentare per la prima volta un testo scenico in lingua latina. La produzione precedente questa data è sprofondata in un periodo di oscurità lungo diversi secoli. La tradizione greca ha sempre esercitato un grande influsso sugli autori latini- attestato dai numerosi tentativi di adattamento linguistico e culturale- e ha portato a una precoce maturazione della letteratura in terra romana, che in un certo senso era nata già “adulta”, consapevole, e ricca di tutti quegli artifici retorici e stilistici che aveva acquisito proprio dall’imitazione greca. Per ricostruire le origini letterarie è necessario fare un passo indietro e analizzare le prime forme di comunicazione che testimoniano la diffusione del latino. Queste fonti non possono essere catalogate come letteratura, ma rappresentano i presupposti alla nascita di una cultura letteraria vera e propria. - Iscrizioni su pietra o bronzo: sono i monumenti più antichi, in cui la scrittura è legata a momenti della vita quotidiana, ma anche alla registrazione di leggi o patti statali. - Fasti: in origine era il calendario ufficiale in cui il papa distingueva giorni fasti e nefasti (ovvero quando fosse permesso il disbrigo degli affari pubblici); presto però si arricchirono di altri informazioni, quali le liste di magistrati nominati in quell’anno (Fasti consulares) e i trionfi militari. - Tabula dealbata: tavola bianca in cui il pontefice esponeva avvenimenti significativi per la collettività (trattati, dichiarazioni di guerra, cataclismi). Depositati anno per anno, questi documenti presero il nome di Annales pontificum. CARMINA Ricorrono nelle opere di molti autori latini alcune formule misteriose in lingua arcaica, che si tende a ricondurre proprio agli antichi Carmina Sacrali (ma anche ai frammenti delle leggi delle XII tavole), nati con la finalità pratica di dettare una regola, quindi propri di leggi, preghiere e formule rituali. La loro forma era oscura, incomprensibile, proprio perché doveva suggerire una solennità adeguata. Il termine carmen comunque ha un’accezione molto vasta, era infatti impiegato anche per definire proverbi, precetti, sentenze di tribunale. Tutto ciò ha fatto pensare che la definizione arcaica di carmen riguardava principalmente la forma di un testo, piuttosto che i suoi contenuti. Lo stile inoltre mirava a distinguersi da quello informale della conversazione quotidiana e univa le caratteristiche della prosa arcaica (ricca di ripetizioni foniche, come l’allitterazione) a quelle della poesia. Le più antiche formule pervenuteci riguardano la produzione di carattere religioso e rituale, legata all’esecuzione di pubblici riti annuali. Sono il carmen Saliare (canto del collegio sacerdotale dei Salii, che ogni anno accompagnavano una processione recitando queste formule rituali) e il carmen Arvale (i fratres Arvales erano un collegio di dodici sacerdoti che ogni anno levavano un inno di purificazione dei campi). Un certo influsso è dato anche da forme preletterarie di livello popolare, una cultura orale che comprende proverbi, canti d’amore, maledizioni, etc. Esisteva anche una produzione improvvisata fatta di motteggi e comicità, i Fescennini versus, dalla funzione apotropaica di allontanamento dal malocchio. I fescennini venivano recitati soprattutto durante le feste rituali, ma erano anche lazzi tipici delle feste nuziali e di pubblica denigrazione. I Ludi, all’interno dei quali erano inseriti, erano ricorrenze del calendario agricolo (aratura, mietitura) e comprendevano, oltre a processioni, gare, giochi equestri, anche forme rudimentali di teatro. Centrale era la tematica della fecondità e l’allontanamento delle calamità (ecco appunto esplicitarsi la funzione apotropaica) tramite l’osceno. Si usava infatti collocare nei giardini la statua del Dio Priapo, il cui fallo era considerato rimedio contro il malocchio. Fascinum infatti spiegherebbe l’etimologia del fescennino. Il Saturnio: Si tratta di un verso presente nelle prime testimonianze poetiche romane, la cui etimologia sembra indicare un’origine italica. Pone interrogativi irrisolti relativi alla struttura metrica, che non si lascia ricondurre a uno scherma chiaro; forse proprio questa sua irregolarità ha portato alla sua progressiva scomparsa, soppiantato dall’esametro. Il teatro romano arcaico: A partire dal 240 aC la cultura romana conosce una straordinaria fioritura di opere sceniche. Tutti i poeti di questo periodo infatti scrivono commedie, tragedie e altri generi, sempre e solo rivolti al teatro. Le rappresentazioni coinvolgono l’intera collettività: sono controllate dallo stato (tramite gli edili), possono riguardare le celebrazioni religiose (nel caso dei ludi), e sono proposte sia per la nobiltà sia per il popolo; il loro successo porterà alla nascita di corporazioni professionali di attori e autori. Il teatro e i suoi generi sono importati dalla Grecia, che distingueva due principali tipi di spettacolo: - Palliata (da Pallio, veste tipicamente greca più corta della toga e indossata dai personaggi): genere comico, scelto da autori quali Plauto, Stazio e Terenzio. - Cothurnata (rimanda ai cortuni, altissimi calzari indossati dagli attori tragici greci, nel contesto comico si indossava il socco): carattere tragico. Entrambe Palliate e Cortunate sono ambientate in Grecia, i personaggi hanno un nome greco e ogni dramma ha un corrispettivo in opere teatrali greche. Presto tuttavia nasceranno anche una commedia e una tragedia di ambientazione romana: la togata (da toga, veste quotidiana) e praetexta (veste tipica del magistrato romano); sono caratterizzate dalla fusione di modi tradizionali ellenici e elementi indigeni. La pretesta ad esempio è ispirata alla storia di Roma, mantenendo comunque i caratteri tipici della tragedia greca, nello stile, nel rapporto con il mito e con gli dei. Tuttavia si individua una certa influenza etrusca , che riguarda alcuni spettacoli di mimica e danza (lo stesso termine “histrio”, attore, deriva dall’etrusco). Sicuramente certo è lo stretto legame tra teatro e festività cicliche e pubbliche: in coincidenza di feste si organizzavano infatti spettacoli teatrali. La più antica ricorrenza è la celebrazione dei Ludi Romani, in onore di Giove Ottimo Massimo, occasione in cui Livio Andronico ha messo in scena la prima tragedia ispirata al modello greco. Oltre a questa ricorrenza se ne individuano altre: in aprile cadevano i Ludi Megalenses, a luglio i Ludi Apollinares, a novembre i Ludi plebeii (sempre organizzati dagli edili). Il carattere statale ha importanti conseguenze sulle rappresentazioni, soprattutto sulla tragedia, condizionata dagli interessi dei committenti: l’aristocrazia (che presiedeva alle cariche pubbliche) influenzava la scelta dei temi, spesso esaltando antenati illustri. La commedia invece è un po’ più lontana dall’attualità pubblica e, seppure la nostra conoscenza è limitata, non prevedeva forme di critica sociale. Nel 207 viene fondato il collegium scribarum histrionumque (confraternita di attori e autori). Si delinea un’altra figura importante, ovvero il capocomico (dominus gregis), che dirigeva la compagnia e in alcuni casi recitava in prima persona. Nel ’55 invece venne edificato il primo teatro in pietra; prima le strutture teatrali erano provvisorie e in legno. L’azione si svolgeva sempre all’esterno, su una strada che portava alla piazza (agorà) e verso la campagna. Un aspetto molto importante era la presenza delle maschere, fisse e ricorrenti: il vecchio, il giovane, la cortigiana, etc. La loro funzione era quella di far riconosce e inquadrare il personaggio al pubblico; Plauto infatti, utilizzando tipi psicologici stereotipati, poteva rivolgere tutta la sua attenzione alla dall’altra è anche interessato a demolire quei tratti propri della commedia greca (coerenza drammatica, credibilità psicologica; in particolare Plauto rifiuta una caratterizzazione introspettiva dei suoi personaggi, costruiti tendenzialmente per tipi, maschere ricorrenti). Per quanto riguarda la cronologia, sappiamo che le prime produzioni risalgono agli anni della seconda guerra punica (218-201). Certa risulta invece una data, che ebbe grande importanza nell’elaborazione poetica plautina: l’anno 217, quando venne rifondata la festa dei Saturnali, ovvero un’occasione ricca di tratti carnevaleschi, concepita come festa della sospensione del tempo, di irrealtà, in cui non esisteva più la divisione tra liberi e schiavi: insomma, un clima di ribaltamento delle parti. Così come nel giorno dei Saturnali, sulla scena plautina la legge appartiene a chi è meno indicato ad appartenerla. Abbiamo una gerarchia alla rovescia, in cui adulescentes, parassiti e schiavi trovano un accordo e si alleano, architettano una beffa per accontentare i loro desideri (di donne, cibo, denaro, etc). In questo modo al centro si trova il servo furbo, che in realtà non è altro che il doppio del poeta sulla scena: come un capocomico infatti regge le fila dell’intreccio, è creatore di immagini, metafore e allusioni (metateatro). Il servo, aiutato dalla Fortuna, troverà la soluzione alla ‘crisi’ che si era generata nella storia, ricomponendo un ordine nel riso. Tutto questo “gioco” era reso possibile principalmente dall’ambientazione greca: il costume greco infatti toglieva aggressività e sovversività a parole ed atti degli schiavi, e consentiva di riproporre l’effimera festa in luoghi quasi immaginari, luoghi dell’impossibile. Inoltre queste trame inverosimili, che mettono in scena un mondo disgregato, contribuiscono alla rottura della finzione scenica. Personaggi: sulla scena compaiono tipi fissi, maschere ricorrenti che mancano di una caratterizzazione individuale: agiscono come il loro ruolo vuole e come il pubblico è abituato ad aspettarsi. Generalmente c’è un giovane che non può unirsi a una fanciulla di cui è innamorato, da qui nasceranno conflitti e liti, tutte poi risolte nel riso senza il danno di nessuno. I nomi dei personaggi inoltre sono “parlanti” e si riferiscono a precise caratteristiche del carattere in scena, costituendo motivi guida (Pseudolo, dal greco pseudos, menzogna). Stile: l’originalità di Plauto si manifesta soprattutto nella sua creatività linguistica e metrica: le sue palliate sono ricche di neologismi, giochi di parole, etc. In particolare, in Plauto troviamo parti recitate (in senari giambici) dette deverbia e parti recitate con accompagnamento musicale (in settenari trocaici) dette cantica, che sono diverse dai cori della tragedia attica, perché non sono solo intermezzi meditativi, momenti di grande entusiasmo del singolo, ma piuttosto sono momenti dell’azione che coinvolgono più personaggi. ENNIO Nacque nel 239 a.C. in una cittadina dell’odierna Puglia, un’area fortemente grecizzata. In seguito, durante l’attività di soldato in Sardegna, conobbe Catone che lo portò a Roma. Qui svolgerà l’attività di insegnante e scrittore per la scena teatrale, diventando un protetto della nobile famiglia di Marco Fulvio Nobiliore. Entrerà nella cerchia degli Scipioni. L’età ellenistica aveva visto un formidabile sviluppo della poesia di corte: c’erano proprio poeti incaricati a celebrare in narrazioni epiche le gesta dei sovrani (poesia ed encomio erano strettamente legati). Ennio allo stesso modo partecipò alla campagna di Nobiliore come poeta ‘al seguito’, scrivendo anche una tragedia per celebrare l’impresa (sulla quale Catone non si trovava in accordo, la vedeva come forma di propaganda). Nell’ultima fase della sua vita scrisse invece gli Annales, vasto poema epico che gli conferirà una grande fama. Morirà a Roma nel 169 a.C. È attestata una larga varietà di opere minori: - Hedyphagetica (“il mangiar bene”, basata su un poemetto greco di Achestrato di Gela): opera didascalica sulla gastronomia. Vede gli antichi come moderni antropologi, i quali hanno notato come, per capire i popoli e le loro tradizioni, prima bisogna occuparsi di quello che mangiano (es: acquisizione delle buone maniere a tavola->esempio di appropriazione della cultura greca). Probabilmente era un testo parodico, come dimostra la scelta del verso, quello di Omero, adatto a uno stile elevato. - Saturae, primo esempio di un genere che godrà di ampia fortuna nella poesia latina, in cui Ennio raccontava episodi autobiografici in vari libri e in metri diversi. (Il genere sarà poi caratterizzato dalla varietà di tematiche, tutte modellate sull’osservazione della vita quotidiana). - Euhemerus, narrazione che divulgava il pensiero di Evemero da Messina (circa la credenza degli dei, che riteneva derivare dalle gesta eroiche degli umani). Gli ANNALES costituiscono il primo poema latino in esametri dattilici. Narravano, in diciotto libri, la storia di Roma fino ai tempi del poeta. Ennio vedeva la sua poesia come celebrazione di gesta eroiche, ispirato da una parte da Omero, dall’altra dalla tradizione dell’epica ellenistica (argomento storico e contenuto celebrativo). Il suo progetto era quello di narrare anno per anno la storia di Roma, richiamandosi alle raccolte degli Annales Maximi (pubbliche registrazioni redatte annualmente dai pontefici massimi). La grande novità fu quella di dividere in libri la propria opera, secondo i precetti degli alessandrini. Il precedente più vicino, a livello tematico, era il Bellum Poenicum di Nevio, che tuttavia non disponeva gli avvenimenti in una sequenza continuativa, come fa invece Ennio, che narra senza stacchi e in ordine cronologico. Notiamo, dalla scelta e dall’ampiezza della descrizione, che Ennio predilige gli eventi bellici: la guerra era vista come luogo in cui si mostra la virtù. Libri 1-3: venuta di Enea in Italia, storia della fondazione di Roma, Romolo e Remo, 7 re Libri 4-6: guerre con i popoli italici e Pirro Libri 7-10: guerre puniche Libri 10-16: guerre in Grecia e in Siria Libri 16-18: anni più recenti e vicini alla stesura. Inizialmente il progetto comprendeva 15 libri (concludendosi con il trionfo di Nobiliore). Aggiunse poi tre libri al piano originario, probabilmente per aggiornare la sua opera con la celebrazione di eventi nuovi. Tratti caratteristici sono i proemi, che secondo la tradizione alessandrina erano i luoghi privilegiati in cui l’autore si rivolgeva direttamente al pubblico. Ennio in particolare rivelava le sue ragioni di fare poesia. Proemio libro 1 tradizionale invocazione alle Muse, fede nella dottrina pitagorica della reincarnazione: raccontava del fantasma di Omero apparsogli in sogno, che gli rivelava di essere reincarnato proprio in lui. Proemio libro 7 elogio alle Muse propriamente greche, non le Camene a cui si riferiva, latinizzando, Andronico. Considerava antiquata e rozza l’arte dei poeti che avevano composto opere in saturni. Si ergeva come dicti studiosus, cioè filologo, superiore agli altri romani. Questa affermazione di superiorità probabilmente è dovuta al fatto che fu il primo ad adottare l’esametro dattilico, il verso della grande poesia greca, nei testi in lingua latina. Stile: era molto vario e passava dai toni solenni della narrazione epica delle battaglie a quelli più dismessi della conversazione quotidiana. Molto usati arcaismi, aggettivi composti, grecisimi e figure di suono (metafore ardite, allitterazioni, etc). Appare così sperimentale e molto innovatore, spesso patetico. Il genere di Ennio avrà molto successo, l’apice si toccherà con l’Eneide di Virgilio. Della poesia tragica ci restano una ventina di tragedie coturnate, che riprendono le tematiche del ciclo troiano (Alexander, Iphigenia) riprese da Esichilo, Sofocle e Euripide. L’effetto che dovevano generare era quello patetico di commozione (vedi cantico di Andromaca). LA TRAGEDIA ARCAICA: PACUVIO E ACCIO La tragedia era un genere letterario di grandissima popolarità, diffusa anche quando lo stato cessò di patrocinare i Ludi, ovvero le manifestazioni statali. Abbiamo pochi frammenti del periodo della tragedia arcaica, che consistono in diverse citazioni di grammatici che erano interessati a questi testi per mettere in rilievo particolarità linguistiche lontane dall’uso classico. I drammatici del periodo arcaico potrebbero essere definiti poeti-filologi, perché amanti dello stile difficile e sperimentatori di forme nuove, calchi dal greco. Nonostante questo erano testi scritti per essere rappresentati sulla scena (e non composte per la recitazione nelle sale di lettura, come avverrà per Seneca). I loro modelli sono i classici greci, dai quali traggono l’effetto grandioso, il terrore, la commozione, talvolta caricando ulteriormente i toni e aggiungendo molti tratti romanzeschi e avventurosi (apparizioni, profezie, naufragi e sortilegi. Gli argomenti sono spesso politici: torna di moda, ad esempio, l’antico tema del tiranno (in particolare nell’età media repubblicana, quando compaiono sulla scena personalità carismatiche). Pacuvio e Accio diventano figure di grande prestigio sociale, infatti l’attività di chi scrive per il teatro non è più considerata un’occupazione inferiore: Accio, ad esempio è un grammatico accolto nel rango della società dei poeti. Aumenteranno, tra gli aristocratici, autori di tragedie, che progressivamente si allontanano dalla scena per entrare dei circoli dei declamatori. MARCO PACUVIO è un autore di sole tragedie nato del 220 a.C e figlio di una sorella di Ennio. Fu molto criticato per il suo stile, soprattutto da Lucilio, che lo definirà contorto, ampolloso e spericolato. Pare fosse anche un pittore. Tragedie: Iliona (storia della figlia di Priamo che sacrifica il figlio Dìfilo per salvare il fratello), Niptra (ritorno di Odisseo a Itaca e morte per mano del figlio Telegono), Dulorestes. LUCIO ACCIO nato intorno al 170, diventa presto un autore di grande fama (tanto che pretese di essere rappresentato statuariamente con una statura eccelsa nella sede del collegium poetarum). Scrisse sia coturnate che preteste. Tra le tragedie ricordiamo Epinausimache, Philocteta (storia dell’eroe Filottete abbandonato sull’isola di Lemno). Accio era molto sensibile alla tragicità del potere assoluto, come vediamo nell’Atreus e nel Brutus (pretesta). Stile: Accio è noto per la maestria, al limite del virtuosismo, con cui usa i mezzi stilistici della tradizione poetica (giochi fonici: allitterazioni e assonanze). Si distinse anche per i suoi interessi eruditi: scrisse opere in un misto di prosa e versi, come i Didascalica (scritti in linguistica e ortografia latina) e i Pragmatica (sulle attività e occupazioni della campagna). Terenzio, originario di Cartagine e giunto a Roma come schiavo, sarebbe nato nel 184 a.C. Non si hanno notizie certe e precise circa la sua vita; ma si parla della sua morte, nel 159, per annegamento (che forse non sarebbe la vera causa, ma piuttosto era accostata a quella di Menandro, suo grande ispiratore). Sono state tramandate sei commedie integralmente: Andria, Hecyra, Heautontimorùmenos, Eunuchus, Phormio, Adelphoe. Recano delle didascalie, scritte per mano dei grammatici antichi. Analizzando il suo stile, abbiamo l’impressione che sia piatto e uniforme (ad esempio la parola ‘bacio’ ritorna poche volte, così come gli insulti o il lessico della vita quotidiana che dominavano tanto in Plauto). I personaggi bassi della palliata, come lo schiavo, non portano sulla scena la loro carica linguistica bassa e comica; piuttosto la lingua sembra censurata, più aperta a quelle parole astratte indirizzate a indagare il contesto psicologico. Terenzio sceglie di usare uno stile medio e pacato che si avvicini di più alla realtà; infatti una grande preoccupazione dell’autore è quella per il verosimile: vuole mimare la parlata quotidiana, parlata comunque delle classi borghesi, non bassa. A questa selezione lessicale corrisponde una forte riduzione della varietà metrica: sono scarse le parti liriche e i cantica molto contenuti, rispetto ai deverbia. Modello principale è l’autore greco Menandro: Terenzio infatti si proponeva di offrire sia un modello culturale (di valori come l’humanitas) sia un modello letterario (esempio di stile e tecnica). Menandro inoltre aveva mostrato interesse per la verosimiglianza, in questa direzione Terenzio curerà molto la coerenza e l’impermeabilità dell’illusione scenica, senza pervenire mai ad esiti metateatrali (come accadeva per Plauto). Sembrerebbe che si attenga in modo molto fedele alle linee degli intrecci menandrei; purtroppo però non abbiamo la certezza, perché i testi dell’autore greco sono andati per lo più perduti. Tutti i momenti di riflessione vengono concentrati nel prologo. Plauto lo impiegava come spazio espositivo d’informazione utile alla comprensione della trama (antefatti, sviluppo, conclusione); Terenzio invece rifiuta questa funzione informativa e usa i suoi prologhi come personali prese di posizione: chiarisce il rapporto con i modelli greci (nell’Andria ad esempio ribatte l’accusa di contaminare fabulas), parla della sua poetica (nell’Heautontimorùmenos rifiuta la farsa popolare di tipo plautino: la sua arte è più riflessiva). Tutto ciò presuppone un pubblico più preparato e risponde all’ideale alessandrino di “poeta-filologo. Abbiamo visto come l’autori sacrifichi la ricchezza dell’inventiva verbale e le trovate comiche per approfondire il carattere dei personaggi; questo risente dell’influenza del concetto di humanitas (ripresa romana della philantropia greca), che prescrive di riconoscere rispettare l’uomo in ogni uomo (homo sum: humani nihil a me alienum puto). L’unica commedia che avuto successo immediato è stata l’Eunuchus, un romanzesco travestimento in direzione plautina. Ad ogni modo nei secoli successivi Terenzio ebbe grande fortuna, venne assunto come modello di stile ma soprattutto per i suoi contenuti educativi. CECILIO STAZIOOggi è un autore attestato come minore per ragioni accidentali, legate alla perdita dei suoi testi. Personalità del tempo tuttavia lo indicavano come “autore di primo rango”. Era un libero che proveniva da Milano; ci restano circa 40 titoli di commedie palliate, dai titoli maggiormente greci. La sua posizione suggerisce una sorta di intermediazione tra Plauto e Terenzio, come confermano la fantasia comica, il gusto per il farsesco e, d’altra parte, l’assenza della figura dello schiavo (che era un invenzione tipicamente romana); è molto rispettoso del modello menandreo. LUCILIO e la satira Lucilio nacque intorno al 148 a.C. in una città campana; è il primo letterato di alto ceto sociale a condurre vita da scrittore. Scrisse trenta libri di satire, ordinate dal grammatico Valerio Catone in libri secondo un criterio metrico (esametri, distici elegiaci,etc). Lucilio si orientò in direzione dell’esametro, segno di provocazione ironica proprio perché verso tipico dell’epica eroica e celebrativa, adattato invece a una materia quotidiana. Non siamo sicuri del fatto che il titolo, SATURAE, risalga a Lucilio stesso (che definisce le sue composizioni poemata o ludus ac sermones: “chiacchierate scherzose”); forse il titolo primitivo era schèdia, “improvvisazioni”. Orazio però usa il termine satura per designare quel genere di poesia inaugurato dall’opera di Lucilio. Lucilio aveva come protettori i grandi personaggi del partito scipionico (Scipione Emiliano, Lelio) e la sua posizione sociale, essendo un uomo di alto rango, permetteva scelte letterarie più ardite e nessun timore di farsi nemici tra i potenti. Il genere della satira ha origini incerte e misteriose, ma presumibilmente latine: da satura lanx (piatto misto di primizie che venivano offerte agli dei) o da lex per saturam (procedimento giuridico che riuniva stralci di vari argomenti in un singolo provvedimento legislativo). In entrambi i casi emerge il valore di mescolanza e varietà. La satira è un genere letterario che consente di esprimere la voce personale del poeta, che racconta in versi momenti ed esperienze della sua vita; rappresenta una novità nel panorama letterario, perche nessuno dei generi canonici (quali epica, tragedia e commedia) prevedeva uno spazio di espressione diretta in cui il poeta potesse parlare di se stesso (qualcosa in questa direzione era stata fatta da Callimaco, che mescola l’assetto tradizionale a contenuti nuovi prima assenti in poesia). Varietà, espressione personale del poeta e impulso al realismo sono caratteri che troviamo anche nelle satire enniane, unica differenza: Lucilio si concentrò esclusivamente sul genere satirico, accogliendo come modello questa poesia varia e personale, aperta alla voce del poeta e al realismo quotidiano (inteso proprio come capacità di far entrare in letteratura argomenti mai trattati prima). Questo sviluppo della satira vede parallelamente il delinearsi di un nuovo pubblico, desideroso di una letteratura più aderente alla realtà contemporanea. Lucilio affrontò uno spettro molto ampio di argomenti: Libro 1: Concilium deorumattraverso una parodia dei concili divini (scena tipica dell’epica) Lucilio prendeva di mira Lentulo Lupo, inviso agli Scipioni, facendolo morire di indigestione. A una letteratura concepita come vuota convenzionalità reagisce la poetica realistica e parodica di Lucilio. Libro 3: viaggio in Sicilia la tematica del viaggio sarà molto presente. Libro 30: polemica del lusso a tavola, con accenni alla gastronomia. Libro 16: dedicato alla donna amataLucilio è l’iniziatore della poesia personale d’amore. Tratterà inoltre di problemi letterari, come giudizi su questioni di retorica e poetica; la critica allo stile solenne è fortemente ripresa da Callimaco. Già nelle sue prime satire si avvertiva quello spirito moralistico destinato ad affermarsi come caratteristica dominante della successiva tradizione. Tutti gli aspetti della vita quotidiana sono rappresentati nella loro concretezza fisica e linguistica, in particolare Lucilio critica gli eccessi del luxus e le manie grecizzanti tipiche dei costumi contemporanei. Emerge un carattere aggressivo che porta a una vera e propria invettiva in campo sociale, politico, anche con attacchi personali. Stile potremmo definirlo vario e libero da ogni conformismo. Lucilio rifiuta un unico livello di stile, piuttosto amalgama il linguaggio alto dell’epica (come parodia), linguaggi specialistici finora esclusi dalla poesia latina (scienza, medicina, gastronomia, diritto), e un linguaggio quotidiano attinto da diversi strati sociali. Tutto ciò consente di generare un certo realismo, simula l’improvvisazione. È dotato di forte creatività linguistica (in particolare notiamo neoformazioni, come despeculare: ‘privare dello specchio’). POLITICA E CULTURA TRA GRACCHI E SILLA Negli anni compresi tra il 133 e il 79 a.C. si susseguono diversi eventi che portano la repubblica ad entrare in crisi: Silla rinuncia al potere, il disordine connesso al movimento dei Gracchi, la guerra di Roma contro gli italici, la guerra civile tra Mario e Silla. In questi anni acquistano importanza l’ORATORIA, le scuole di retorica e la trattatistica, proprio perché l’eloquenza è un’arma potente nei dibattiti di fronte al senato. (La scuola talvolta era ritenuta pericolosa dalla parte aristocratica perché si apriva anche alle classi inferiori, tanto che venne chiusa anche la scuola di Plozio Gallo). Conosciamo diversi nomi di oratori, classificati dallo stesso Cicerone nel Brutus: parla di Scipione Emiliano, di Lelio, ma anche dei Gracchi. Cicerone ci dà un’idea esauriente anche del conflitto di gusti e stile che incominciava a delinearsi tra asiani e atticisti, che principalmente si rifanno a due diverse concezioni di linguaggio: - Asiani eloquenza nata nelle scuole di Pergamo, ricerca pathos e musicalità, stile ridondante pieno di metafore e vocaboli coloriti. Maggior esponente a Roma era Ortensio Ortalo. Sostenitrice della teoria anomalista: il linguaggio è libera creazione dell’uso, ammette deviazioni). - Atticistiprendeva a modello la sobrietà di Lisia, lingua semplice, uso regolare dei costrutti. Teoria analogista: purista e conservatrice, la lingua deve formarsi su norme e nel rispetto di modelli riconosciuti. Esponente era Cesare, che scriverà anche il De Analogia. Nella seconda metà del II secolo si diffonde anche la filologia, come disciplina che cura l’edizione e l’esegesi dei testi (ci si occupa soprattutto dei problemi di autenticità, come nel caso delle commedie plautine). Nell’età dei Gracchi acquisisce importanza la STORIOGRAFIA, come mezzo di analisi politica, non praticata da personaggi di primissimo piano (Sempronio Asellione, Celio Antripatro). Rispetto alla storiografia arcaica viene adottato un metodo razionalistico (influenzato dallo storico greco Polibio), che prescriveva di non riportare eventi anno per anno, piuttosto di parlare degli eventi vissuti con un approccio volto ad indagarne le cause e le intenzioni. Autore più noto è Cornelio Sisenna, che scrisse l’Historiae, parlando di vicende contemporanee e immerso in un’atmosfera romanzesca (aveva scritto anche le Fabulae Milesiae). Nell’età di Cesare la commedia di ambiente greco, la Palliata, comincia ad essere superata, perché ritenuta antica e anche difficile; il pubblico richiede generi più farseschi rispondenti a esigenze di realismo. Sopraggiunge la commedia TOGATA, che è molto simile ma ambientata in realtà italiche e romane. Il realismo stava nella rappresentazione di un mondo di personaggi umili meno tipizzato (c’erano, ad esempio, anche l’artigiano, la lavandaia). Tuttavia il genere non ebbe un grande successo, perché i toni comici spesso erano smorzati rispetto alla palliata che, avendo un’ambientazione greca, poteva permettersi di ridicolizzare maggiormente. Nel I secolo invece torna alla ribalta il genere di farsa popolare e sub-letteraria dell’atellana, che se un tempo veniva impiegata come exodium nella conclusione di un dramma, acquisiva una sua indipendenza. L’autore di atellane più noto è Lucio Pomponio, che lascia titoli modellati sul repertorio delle maschere, altri sono invece parodie della tragedia e del mito. Progressivamente l’atellana verrà superata dal MIMO, un genere non più dedicato alla scena, bensì ai circoli letterari. L’etichetta mimo comprende una varietà di spettacoli diversi: numeri slegati, intermezzi musicali, improvvisazione; i più famosi sono comunque i ludi Florales, il mimo muto, ma anche una varietà assai cruda che prevedeva l’uccisione in scena di alcuni condannati a morte. La maschera non viene più usata, spesso recitano anche le donne, il finale è brusco e a sorpresa. Alcuni titoli: La pentola, I Gemelli; il mimografo più antico e era Publilio Siro. Cicerone si caratterizza anche per la varietà di toni e registri, fa in modo che a ogni livello di stile corrisponda un’adeguata collocazione delle parole. La disposizione verbale è tale da realizzare il numerus, un sistema di regole ritmiche adatte alla prosa. Per quanto riguarda la poesia ci sono rimasti pochi frammenti, anche se comunque fu giudicata molto negativamente. Ricordiamo i poemetti Glaucus e Alcyones e la traduzione in esametri dei Fenomeni, che invece incontrò grande fortuna. Raffina la tecnica dell’esametro regolarizzando il sistema delle cesure e introducendo la tecnica dell’enjambements. Per la conoscenza di Cicerone svolge un’importante funzione l’EPISTOLARIO, che comprende: Ad familiares (lettere a parenti e amici), Ad Atticum (migliore amico dell’autore), Ad Quintum fratem, Ad Marcum Brutum. In totale sono circa 900 lettere. Gli argomenti sono i più vari: resoconti di avvenimenti politici, questioni personali, etc. Alla diversità dei contenuti corrisponde lo stile: vediamo in particolare un Cicerone non ufficiale, che scrive piuttosto con un sermo cotidianus, ricco di espressioni gergali e grecismi. FILOLOGIA, BIOGRAFIA E ANTIQUARIA Nella tarda repubblica la ricerca antiquaria diventa una disciplina di grandissimo interesse: attenzione ai riti, ai costumi e alle istituzioni del passato sono tutti sintomi di un nostalgico rimpianto, che avviene quando i valori del mos maiorum attraversano un momento di crisi. Il più importante filologo è Varrone, ma meritano attenzione anche Attico e Nepote. Tito Pomponio Atticocavaliere romano amico di Cicerone, la sua casa sul Quirinale è luogo di incontro per i rappresentanti della ricerca antiquaria; aderisce alla filosofia epicurea e conduce una vita appartata. È raccoglitore di memorabilia: ovvero imprese e gesta memorabili delle genti romane, che spingano all’imitazione i posteri. Cornelio Nepote è l’autore del De viris illustribus, una raccolta di biografie di personaggi famosi, composta di almeno 16 libri, divisi a seconda delle professioni (divisi a coppie, uno per gli stranieri uno per i romani: oratori, uomini politici, etc). Nepote intendeva la biografia come veicolo di confronto tra la civiltà greca e quella romana, forse per suggerire la superiorità di questi ultimi. VARRONE: Nato a Rieti nel 116 aC, fu questore, tribuno della plebe e pretore; combatté in Dalmazia con Pompeo. Cesare gli affidò l’incarico di organizzare una biblioteca a Roma. Gli interessi filologici e letterari lo occuparono fin dalla giovinezza: scrisse il De antiquitate litterarum, che affrontava i problemi di storia dell’alfabeto latino. Le opere più impegnative furono: Antiquitates contengono il patrimonio mitico, rituale e istituzionale della civiltà latina. È un’opera nota per frammenti (pervenuti dai cristiani, che lo citavano, per la sua religione pagana, in difesa della civiltà cristiana). Per Varrone la religione è solo una creazione dell’uomo, che deve rimanere fedele alla teologica favolosa (nel Res divinae infatti distingueva teologia favolosa, teologia naturale e teologia civile). Per quanto riguarda invece la storia di Roma, l’autore ritiene che la città abbia acquisito il ruolo di potenza perché ha saputo amalgamare apporti culturali delle diverse civiltà che ha accolto (soprattutto da quella etrusca); si concentra sulle istituzioni e sulle tradizioni. Studi di FILOLOGIA: non esisteva un confine marcato tra queste due discipline; Varrone si occupò del teatro arcaico (De scaenis originibus; De actionibus scaenis), in particolare di Plauto (Quaestiones Plautinae; De comoediis Plautine). De lingua latina si occupa di storia della lingua latina; si concentra sui problemi di etimologia (ritiene che i nomi delle cose non siano arbitrari, ma il significante assomiglia già al suo significato) e sintassi. In particolare dà forte rilievo all’assimilazione degli elementi stranieri e concilia le tesi esposte da analogisti (sorta di purismo) e analogisti (aperti all’uso quotidiano), aprendosi alla possibilità di apertura alle innovazioni, sempre conservando la tradizione puristica. Saturae Menpippeae il nome mostra come Varrone si ispirasse al filosofo greco Menippo, che aveva composto appunto satire. In particolare nell’opera latina notiamo un contenuto dal valore fantastico- allegorico, in forma di prosimetro (prosa+versi); i titoli sono greci (Marcipor, Sexagesis). Saranno di ispirazione per Seneca e per Petronio. De Rustica tre libri dalla forma dialogica (in cui intervengono lo stesso autore e Tito Pomponio Attico). Il primo libro tratta dell’agricoltura ed è dedicato alla moglie Fundania; il secondo parla dell’allevamento; il terzo riguarda l’allevamento di animali da cortile, di api e pesci. È ispirata al trattati sull’agricoltura di Catone, anche a livello di concezioni di fondo: interesse allo sfruttamento intensivo dei servi. Varrone unisce utilità e piacere (utilitas e voluptas dell’agricoltura). Tende piuttosto a dare una visione estetizzante della vita agricola, non una funzione pratica; questo influisce sullo stile, che piuttosto è artefatto e ricco di digressioni. CESARE: Nacque a Roma nel 100 a.C.; poiché imparentato con Mario venne perseguitato dai silliani e costretto ad abbandonare la città, nella quale tornerà dopo la morte di Silla. Intraprende la carriera politica: diviene questore, edile, pontefice massimo e pretore. Stipulò nel 60 con Pompeo e Crasse il primo triumvirato, nel 58 invece gli fu affidato il proconsolato in Illiria e in Gallia, dove, in sette anni, intraprese l’opera di sottomissione della Gallia stessa (testimoniata dai Commentari de bello Gallico: eventi di guerra misti a osservazioni etnografiche e geografiche). In seguito gli venne impedito di passare al secondo consolato, ragion per cui varcò in armi il Rubicone, dando inizio nel 49 alla guerra civile (Cesare vs senato romano). L’esercito venne sconfitto a Farsalo nel 48 (anche per la guerra civile compone dei commentarii, il De bello civili). Nel 45 Cesare, da viciniore, ricopre dittatura e consolato. Morì dopo la congiura degli aristocratici il 15 marzo del 44 a.C. Il termine commentarius indicava un tipo di narrazione a metà strada tra la raccolta di materiali grezzi (appunti personali, rapporti al senato) e la loro elaborazione in forma artistica, arricchita con ornamenti stilistici e retorici. Ricalcava i canoni antichi della storiografia: come fece anche Cicerone, Cesare, da una parte, voleva offrire agli storici del materiale su cui impiantare successive narrazioni. Il genere comunque non era del tutto codificato e l’autore si avvicina per certi tratti alla historia (drammatizzazione, discorso diretto). Cesare comunque mantiene una certa sobrietà, evita effetti grossolani e si pone con un atteggiamento antiretorico: non scrive un proemio (consuetudine dell’historia), rinuncia alla terza persona per distaccarsi. I sette libri del DE BELLO GALLICO coprono il periodo dal 58 al 52, in cui Cesare procede alla sottomissione della Gallia, avvenuta a fasi alterne di vittorie e di sconfitte (che non cela, piuttosto giustifica). Libro 1: avvenimenti del 58, campagna contro gli elvezi; Libro 2: rivolta delle tribù galliche; Libro 3: campagna contro le popolazioni della costa atlantica; Libro 4: operazioni contro le infiltrazioni dei popoli germanici; Libro 5: spedizioni contro i britanni; Libri 6-7: sanguinosa campagna contro le popolazioni della gallia belgica, fine della resistenza gallica con l’espugnazione di Alesia e la cattura di Vercingetorige. I tempi di composizione sono incerti: alcuni teorici ritengono che Cesare abbia scritto dopo la campagna, altri anno per anno, durante gli inverni, in cui le operazioni militari erano sospese. A sostegno di questa seconda ipotesi una sensibile evoluzione stilisitica: rispetto ai primi libri Cesare si apre ad alcuni ornamenti e a maggiore varietà sinonimica. Una terza ipotesi è quella che Cesare abbia abbozzato i libri anno per anno, per poi riscriverli dopo la conclusione della campagna militare. Il libro 8 invece sarebbe stato scritto da Irzio. Il De bello civili si divide in tre libri: i primi due narrano gli avvenimenti del 49, il terzo quelli del 48; si pensa che l’opera si stata composta in seguito, nel 47-46. È ricca di riferimenti alle idee politiche di Cesare, che intende colpire la classe dirigente, corrotta, tramite una satira sobria, che metta in luce le ambizioni basse e gli intrighi dei suoi avversari. La rappresentazione satirica vede il suo apice nella Battaglia di Farsalo, quando gli avversari, certi di vincere, già pensano alle pene da impartire. Cesare inoltre vuole smentire l’immagine che gli avversari davano di lui, cioè di un rivoluzionario, un secondo Catilina; l’autore si difende, dicendo di essersi sempre mantenuto nell’ambito delle leggi. Destinatario di questo messaggio lo strato medio dell’opinione pubblica. Cesare inoltre insiste sulla sua costante volontà di pace, giustifica la guerra solo come conseguenza alla mancanza di trattative. Si mostra poi clemente verso i vinti e mostra un’affezione sincera nei confronti invece dei propri soldati valorosi, di cui talvolta ricorda i nomi. La continuazione del libro 8 del De bello Gallico è affidata a Aulo Irzio, con l’obiettivo di congiungere la narrazione con quella del De bello civile, raccontando gli avvenimenti degli anni 51-50. Rappresenta una versione più aderente al modello del commentario, rispetto alla scelta di Cesare. Dopo il De bello civili la narrazione degli avvenimenti viene affidata a un anonimo, che scrive il Bellum Africum, il Bellum Hispaniense, il Bellum Alexandrinum, fino all’anno 45, caratterizzati da uno stile piuttosto rudimentale. STILE il tono della narrazione è apparentemente oggettivo e impassibile, dovuto a uno stile scarno povero di abbellimenti retorici. Sicuramente ci sono diversi procedimenti di deformazione (non falsificazione, ma omissioni di dettagli): infatti con diversi artifici retorici Cesare ricorre a anticipazioni, insinuazioni, e talvolta dispone le argomentazioni in modo da giustificare i propri insuccessi. Cesare mette in rilievo le esigenze difensive che lo hanno spinto ad intraprendere la guerra, questa era una consuetudine consolidata dell’imperialismo romano; funzionale è anche la rappresentazione della ferocia dei barbari: in questo modo emerge il valore dei romani. L’autore mette in luce le sue qualità e capacità di azione militare, ma senza creare un eccessivo alone carismatico attorno alla propria figura; non compare la figura della divinità, ma i cambiamenti repentini di situazione sono rimandati alle limitate capacità umane o a cause naturali, altre volte compare la fortuna, come fattore imponderabile. Sono andate invece perdute le orazioni di Cesare, che secondo i giudizi dei contemporanei, erano caratterizzati dall’uso degli ornamenta, dallo stile più alto e curato rispetto ai commentari. Cicerone ritiene infatti che abbia svolto il ruolo di purificatore della lingua latina “correggendo un uso difettoso e corrotto”. Questa sua tendenza si concretizza nella redazione del De analogia: qui Cesare pone a base dell’eloquenza l’accorta scelta delle parole, tramite analogia, che prevede la selezione razionale e sistematica (evitando quello che è l’uso del sermo cotidianus). La selezione così deve limitarsi ai verba usitata, cioè già nell’uso. generatrice della natura, rappresenta la voluptas, il piacere, che è il concetto centrale), poi troviamo l’esposizione dei principi fondamentali: gli atomi si muovono nel vuoto, si urtano e danno vita a corpi e mondi; nascita e morte- secondo Lucrezio- sono dovute a questo processo infinito di aggregazione e disgregazione (riprende da dottrina del filosofo greco epicuro). Talvolta a questo moto rettilineo interviene un’inclinazione, il clinamen, ovvero uno spostamento casuale. L’anima non è immortale, ma muore con il corpo, in questo modo ritiene che le teorie di vita dopo la morte altro non sono che favole senza fondamento naturale. Nel quinto libro abbiamo una digressione sull’umanità, nel sesto si spiegano la natura e i suoi fenomeni fisici, come i fulmini o i terremoti (tra cui la descrizione della peste di Atene). L’opera si interrompe bruscamente. Lucrezio ambisce a spiegare ogni aspetto della vita del mondo e dell’uomo e a convincere il lettore della dottrina epicurea. Lucrezio si comporta come un poeta vate, che impartisce un percorso educativo al lettore-discepolo. Indica una verità razionalmente definita, priva di concessioni al meraviglioso e capace di distruggere ogni superstizione, privilegiando le cause oggettive che regolano i fenomeni: alla retorica del mirabile sostituisce la retorica del necessario. Davanti a questi spettacoli immensi della natura si delinea anche la grandezza intellettuale, si implicano a vicenda (sublime lucreziano). Il lettore deve trasformarsi in eroe e accettare la sua condizione di mortale. Talvolta, per conseguire i suoi obiettivi, Lucrezio usa lo stile aggressivo e violento della diatriba (tramandato da Bione di Boristene), caratterizzato da vivaci drammatizzazioni e personificazioni; altre volte sceglie uno stile più realistico, ricco di invettive e aggressioni. Religione Lucrezio invita i lettori a riflettersi su quanto sia crudele ed empia la religo tradizionale (che aveva imposto ad Agamennone di sacrificare la figlia Ifigenia). Secondo l’autore è proprio la religione ad opprimere la vita degli uomini, a turbare la gioia con la paura. Se il timore della morte venisse eliminato, automaticamente scomparirebbero anche ansie che spingono l’uomo alla religione e alla superstizione. I saggi che vivono praticando i precetti di Epicuro sono paragonati a coloro che, al sicuro sulla terraferma, osservano distaccati il mare in tempesta e l’altrui rovina. Storia dell’uomo e del mondoil mondo ha natura mortale e origine casuale, dovuta ad aggregazione di atomi destinati a distruggersi, così come gli uomini, che si formano grazie a combinazioni favorevoli di circostanze, come terremo umile e fertile, calore, etc. Vengono analizzate poi le tappe del progresso umano, sia positive (scoperta del linguaggio, agricoltura) sia negative (attività bellica, timore religioso), queste ultime hanno portato a decadenza morale e l’insorgere appunto di bisogni innaturali. Per questa ragione Epicuro suggerisce di evitare i desideri non naturali e non necessari, ma piuttosto di soddisfare solo quelli naturali e necessari; bisogna allontanarsi dalla vita politica, dalla inutili ricchezze e vivere lathe biosas, in disparte. STILE e lingua l’opera adotta uno stile che deve servire a persuadere il lettore. In questa direzione si giustificano le frequenti ripetizioni di concetti, l’abbondanza dei nessi logici, la concretezza espressiva e l’uso di una vastissima gamma di immagini ed esempi che rendano meglio il concetto. Lucrezio infatti riteneva che la lingua latina non avesse dei corrispettivi termini tecnici in grado di spiegare i fenomeni. Numerosi sono invece i vocaboli della tradizione arcaica, come gli aggettivi composti, avverbi e perifrasi. CATULLO e la poesia neoterica A seguito delle grandi conquiste del II secolo a.C. (che aprono a Roma l’area orientale del Mediterraneo) si diffonde il fenomeno dell’ellenizzazione dei costumi, indirizzata a forme di vita e cultura più raffinate. Nel campo letterario si assiste all’indebolimento dei valori e della forma tradizionale verso esigenze nuove, aperte a forme più erudite e preziose. I protagonisti sono i poetae novi o neòteroi, che dai poeti ellenistici ereditano il gusto per la contaminazione dei generi, sperimentazione metrica, stile sofisticato ma soprattutto il carattere disimpegnato della loro poesia. Preludio della rivoluzione neoretica è infatti una forma di poesia scherzosa frutto dell’otium, come rivendicazione delle esigenze individuali; si fa strada l’AMORE, che diventa sempre più centrale come tematica. Per quanto riguarda l’allontanamento dalla vita politica (contrario ai precetti del mos maiorum), i neoteroi sono vicini alla corrente filosofica dell’epicureismo, che invece diverge nella tematica dell’amore (visto che gli epicurei predicavano una vita fondata sull’atarassia, la lontananza da tutte le passioni). Non esisteva una vera e propria scuola di poeti, che comunque si riunivano tra di loro in circoli di amici, che intavolano discussioni e incontri (svolgendo un’attività critico-filologica); irridono e si discostano dagli autori dell’epica tradizionale, sia per la trascuratezza della forma sia per i contenuti ritenuti ormai antiquati. I generi privilegiati sono quelli brevi, come l’EPIGRAMMA e l’EPILLIO e il poemetto mitologico, che permettono al poeta di sfoggiare la propria erudizione e attuare strategie compositive raffinate (come i racconti a incastro). Gli autoriTra i precursori dei neoteroi troviamo Lutazio Catulo e Levio (autore degli Erotopaegnia e dei carmina figurata). Figura di spicco del movimento è Valerio Catone, grammatico e maestro di poesia che rinnova la tradizione degli alessandrini; importante anche Varrone Atacino, autore della Leucadia (uno dei primi esempi di poesia eroica latina) e del poema epico Argonautae (traduzione latina delle Argonautiche di Apollonio Rodio). Figure di maggior rilievo sono Elvio Cinna, autore degli Erotikà pathèmata (componimenti poetici che raccontavano gli infelici amori del mito) e della Zmyrna (storia di amore incestuoso tra una fanciulla e il proprio padre); e Licinio Calvo, che scrive il canto funebre (dolente epicedio) per la moglie. Gaio Valerio CATULLO nacque a Verona intorno all’84 a.C., si trasferì poco dopo a Roma, dove conobbe e frequentò personaggi di spicco del mondo letterario. Ebbe una relazione amorosa con Clodia (nota come Lesbia nei suoi versi). Nel 57 andò in Bitinia con il governatore Memmio per far visita alla tomba del fratello. Le fonti ritengono che sia morto a soli 30 anni. Ci restano 116 carmi raccolti in un liber, divisibile in tre sezioni (criterio distributivo di tipo metrico) - Nugae (1-60): componimenti brevi e di carattere leggero, metro vario (ma no distici) - Carmina docta (61-68): eterogeneo, carmini di maggiore estensione e impegno stilistico, metri vari - Epigrammi (69-116): carmi brevi in distici elegiaci CARMI BREVI (nugae)I versi e la poesia di Catullo corrispondono alla rivoluzione neoretica, dove l’otium diventa centrale nell’esistenza e nella pratica letteraria degli autori, che scelgono la lirica e la poesia individuale. A questo recupero della dimensione intima corrispondono i carmi brevi, che trattano affetti, amicizie e passioni dell’esistenza (es: scherzoso invito a cena, occasioni di vita quotidiana); l’impressione è quella di immediatezza. Sfondo della sua poesia è l’ambiente letterario e mondano della capitale, della cerchia di amici accomunati dagli stessi gusti. LESBIA incarnazione della potenza dell’eros; il suo pseudonimo rievoca Saffo, poetessa di Lesbo, e crea attorno a lei un alone idealizzante. L’amore è vissuto da Catullo come esperienza capitale di vita: l’autore si concentra con tutto se stesso dimenticando i doveri del civis. Parallele anche le esperienze di tradimenti e sofferenze dovute all’amore, il terrore è quello della violazione del foedus d’amore e dell’allontanamento della donna amata. CARMINA DOCTA il carme 95 rappresenta una sorta di manifesto del nuovo gusto letterario: brevità, eleganza e dottrina. Sono noti come “dotti” perché sono più evidenti dottrina e impegno stilistico. I carmi 63 e 64 sono due realizzazioni dell’epillio; in particolare il 64 narra il mito delle nozze di Peleo e Tetide, all’intero della quale è incastonata una digressione (ekphrasis) sul mito di Teseo e Arianna; le due narrazioni vedono dominare il tema della fides violata. In questo caso il mito funge come simbolo delle aspirazioni del poeta. Nei carmina docta, oltre all’epitilio, Catullo usa anche l’EPITALAMIO (canto nuziale) riadattato in un contesto romano (comprendente anche scherzi rituali apotropaici, dal contenuto osceno e vicini al fescennino); a questo genere appartengono i carmi 61 e 62. Infine nei carmina docta è compreso anche un omaggio al poeta alessandrino Callimaco, cioè una traduzione in versi latini di un elegia nota come la Chioma di Berenice (vicenda di catasterismo: trasformazione del ricciolo di Berenice in costellazione), in cui Catullo accentua le tematiche centrali: esaltazione della fides e condanna all’adulterio. Il carme 68 invece riassume i temi principali della poesia di Catullo, come l’amore, l’amicizia, il rapporto con Roma. STILE la lingua catulliana è una combinazione di linguaggio letterario e sermo familiaris: il lessico della lingua parlata viene assorbito da un gusto aristocratico che li impreziosisce. In questa direzioni sono giustificati volgarismi, diminutivi. È uno stile, nel complesso, composito e vitale, con un’ampia gamma di modalità espressive. VIRGILIO Nacque nelle vicinanze di Mantova nel 70 a.C. da una famiglia di piccoli proprietari terrieri; in seguito si forma a Napoli e si trasferisce a Roma. La sua prima opera sono le Bucoliche, dieci componimenti pastorali legati a un’esperienza autobiografica dell’autore (si adombra infatti il dramma di alcuni contadini mantovani espropriati dalle loro terre quanto Ottaviano e Augusto ne ordinarono le confische; lo stesso Virgilio avrebbe perso delle terre). Dopo la pubblicazione delle Bucoliche Virgilio entra nella cerchia degli amici di Mecenate. Nel periodo di incertezze e lotte politiche, fino alla Battaglia di Azio, Virgilio lavora alle Georgiche, un poema sulla campagna, ritorno alla terra e ai valori tradizionali legati al mondo agricolo; composto da quattro libri in esametri. Da questo momento in poi lavorerà sull’Eneide, il poema che doveva celebrare la pace portata da Roma al mondo. Morirà nel 19 a.C., chiedendo di distruggere l’opera, che mancava di labor lime finale. Virgilio ebbe molta fortuna, perché si è cimentato in tre generi letterari diversi: la poesia pastorale, la poesia didascalica e quella epica. Le sue notizie biografiche le apprendiamo maggiormente da Elio Donato (autore della Vita Vergilii), ricca anche di presagi, come il fatto che la madre prima di partorirlo sognò un ramo d’alloro. Bucolica carmina: indica un genere letterario che rievoca uno sfondo rustico di pastori. Le BUCOLICHE rappresentano infatti una novità nel panorama poetico latino, in quanto ispirate agli Idilli di Teocrito, inventore della poesia bucolica (modello dapprima poco seguito, perché ritenuto troppo semplice). Se da una parte Virgilio si ispira molto all’autore greco (tematiche e stile: esametro, tono stilistico all’apparenza colloquiale), dall’altra ne prende le distanze, inserendo una piena adesione sentimentale alla materia trattata e inserendo all’interno del paesaggio anche i grandi avvenimenti storici contemporanei (espropri a seguito della Battaglia di Filippi). Le Bucoliche rappresentano inoltre il primo ORAZIO Orazio nacque nel 65 a.C. a Venosa, una colonia militare romana dove il padre, un liberto, possedeva una piccola proprietà. Ebbe una solida educazione: studiò a Roma e poi si recò in Grecia per perfezionarsi. Qui venne coinvolto nella lotta tra repubblicani e cesaricidi e ottenne da Bruto, capo dei ribelli, il comando di una legione; a seguito della sconfitta del 42 a Filippi tuttavia tornerà a Roma, dove gli viene sequestrato il fondo di Venosa. Così deve occuparsi come scriba quaestorius: scrivano di un magistrato. In questo periodo collochiamo la sua attività poetica: scrive gli Epodi, viene introdotto nel circolo di Mecenate e scrive le Odi. Ha rapporti stretti con Augusto. Dal suo ritiro sabino si dedica alle Epistole e al Carmen saeculare, inno commissionato da Augusto per i ludi saeculares. Muore nell’8 a.C. La produzione oraziana si può dividere in due settori: - Sermones componimenti in esametri discorsivi: due libri di Satire e le Epistole (primo libro: temi descrittivi e moralistici; secondo: temi di teoria e critica letteraria, che tornano nell’Ars poetica). - Iambi poesia giambica e lirica: diciassette Epodi giovanili; quattro libri di Odi EPODI il titolo della prima raccolta poetica rimanda alla sua forma metrica: l’epodo è infatti il verso più corto che segue uno lungo (formando un distico epodico); Orazio li chiama iambi (alludendo ai componimenti dal tono aggressivo tipici della produzione greca). Questa produzione è legata alla fase giovanile e collocata in un periodo di tempo in cui l’autore viveva condizioni di vita disagiate (dopo sconfitta Filippi) e spesso si cerca di fare un collegamento autobiografico con le asprezze polemiche e i toni carichi che caratterizzano gli Epodi (anche se il tono aggressivo prevale solo in pochi componimenti) e che si placheranno progressivamente con le opere successive. A prescindere da questa componente autobiografica, l’opera è anche da considerarsi un’imitazione dei modelli greci, come Archiloco: Orazio sostiene infatti di aver imitato i metri, l’ispirazione aggressiva ma non i contenuti. Archiloco, aristocratico, dava infatti voce a odi e rancori tipici della sua epoca; mentre Orazio, figlio di un liberto, poteva rivolgersi solo contro bersagli minori: personaggi scoloriti, anonimi o fittizi (usuraio, fattucchiera, etc) e questo contribuisce a dare un’impressione di artificiosità letteraria e la violenza delle minacce suona un po’giocosa. (Molto simile è l’epodo 10, parla del naufragio di Memmio rifacendosi al predecessore, ma con toni molto più pacati). L’opera è caratterizzata da una varietà tematica e stilistica (come del resto prescrivevano i Giambi di Callimaco) e realismo; sono molti i giambi erotici. (temi: epodi di carattere aggressivo a personaggi generici; sofferenze d’amore; gioie della gioventù e del banchetto; lode vita dei campi) SATIREOrazio li chiama sermones, raccolgono componimenti diversi per tema e andamento. Caratteristica intrinseca del genere era infatti la varietà degli argomenti trattati, che piuttosto metteva al centro dell’attenzione il poeta. Temi: Orazio parlerà della propria vita e delle proprie disavventure, anche con ironia; ma si concentra anche su riflessioni circa la società e i suoi difetti, episodi della vita romana in un orizzonte antropologico. Orazio riconosce la paternità del genere a Lucilio, e se da una parte lo imita, dall’altra intende intervenire sulla trascuratezza formale del predecessore: Orazio usa una lingua semplice, ma colta, adeguando lo stile ai soggetti e al contesto (Lucilio invece si serviva di un sermo vulgaris). Orazio ha imparato dall’eloquenza della diatriba cinico-stoica: cede spesso al dialogo, coinvolge gli interlocutori, anticipa le obiezioni. All’aggressione sostituisce l’analisi dei vizi mediante l’osservazione critica e la rappresentazione comica delle persone. In particolare insegna una morale che affonda le sue radici nel buon senso, così che siano due gli obiettivi: - Autàrkeiaautosufficienza interiore, così che l’uomo sia protetto dai rivolgimenti della sorte - Metriotes moderazione, giusto mezzo (influenzata dell’epicureismo) Entrambe vengono proposte come strumenti di ricerca di quel modus che garantisce l’individuazione del bene e della verità. Nel primo libro c’è la coincidenza tra poeta e voce satirica, in questo modo costituisce un punto di riferimento alla ricerca morale; a partire dal secondo libro Orazio invece riduce la componente autobiografica e inserisce il dialogo: tutti gli interlocutori sono depositari di una loro verità, così non si può più trarre un senso unitario dalle contraddizioni della realtà. Esemplare è la satira 7 in cui, in occasione della festa dei Saturnalia, lo schiavo del poeta, Davo, gli rimprovera diversi vizi, tra cui l’incoerenza (qui il vero schiavo, incapace del dominio su stesso, diventa Orazio). La satira di Orazio è comunque sempre caratterizzata da ironia, che tende a sdrammatizzare la gravità dei principi esposti. ODI hanno spesso un’impostazione dialogica, questo perché la poesia lirica ai tempi era sempre rivolta a qualcuno. Fondamentale è il confronto con la poesia greca di Saffo, Anacreonte e soprattutto Alceo, modello principale (tanto che Orazio rivendicherà il nome di Alceo Romano) per l’eleganza e la perfezione formale. Della raccolta si individuano distinguono i tre libri iniziali dall’ultimo, la cui composizione è avvenuta dopo il Carmen saeculare (che ha esaltato l’autore a poeta vate, permettendogli nuove riflessioni) Diverse odi cominciano con una citazione, la ripresa dello spunto iniziale greco, fino a distaccarsi completamente (vedi Ode a Taliarco: si apre con un paesaggio invernale di un frammento di Alceo pervenendo poi a sviluppi diversi). Tante restano comunque le differenze con Alceoil poeta greco infatti era inserito in prima persona nelle lotte politiche e i suoi componimenti nascevano da occasioni sociali; Orazio invece vive la poesia come ristoro dall’impegno, pausa in mezzo alle battaglie. La sua poi era una lirica scritta per la lettura, dunque prevedeva anche uno stile e una raffinatezza maggiore di Alceo. Temi della lirica Potremmo dire che le Odi cominciano dove le Satire finiscono: l’autore medita sulle conquiste della saggezza e sull’amore. Punto centrale è comunque la coscienza della brevità della vita, da cui scaturisce l’esigenza di appropriarsi delle gioie del momento (Carpe diem): l’aspirazione al piacere è strettamente legata alla consapevolezza della caducità del piacere stesso; davanti all’incalzare della morte si può solo rifugiarsi nella certezza dei beni già goduti. Solo il poeta saggio è in grado di liberarsi dai tormenti della follia umana: saggezza, serenità, equilibrio e aurea mediocritas sono le ricette. Orazio ritiene che la poesia sia lo strumento in grado di salvarlo dalla caducità umana. La lirica oraziana presenta una varietà di temi: - carmi conviviali → inviti, descrizioni dei preparativi; rimandano ad Alceo - Odi erotiche → distacco ironico dalla passione. Amore, a parte alcune eccezioni, è analizzato come un rituale giovanile con canovaccio scontato (serenate, incontri segreti, etc). Ma l’ironia oraziana non ignora passione: ne conosce crudeltà e la rievoca con malinconia. - Inno → invocazione rivolta a una divinità, riprende i modelli della lirica greca. Con la sola differenza che gli dei vengono richiamati in un ottica sia pubblica sia privata. A questi componimenti accostiamo il Carmen Saeculare, strutturato come inno d’invocazione rivolto a Apollo e Diana, protettori di Roma, con l’obiettivo di chiedere la fine delle guerre e la protezione di Augusto. Tematiche civili in particolare nei libri 3 e 4; il compito dell’autore, poeta vates, è quello di celebrare la grandezza di Roma esaltandone i valori tradizionali e magnificando la figura di Augusto. Orazio è portavoce di una generazione timorosa e incerta: non è solo poesia-propaganda, ma è anche ricca di lealtà e ammirazione anche verso i nemici. Ricorre la campagna del locus amoenus, ma anche un paesaggio dionisiaco (natura montana, aspra e selvaggia); tema dell’angulos: luogo del canto e della saggezza. STILE della lirica notiamo una certa perfezione dello stile (dovuta molto all’influsso di Callimaco). Il vocabolario è molto semplice ed essenziale, con cautela nell’uso delle metafore e delle similitudini. Sintassi: ellissi, costruzioni greche, iperbato, enjambement. L’elevatezza dello stile è infatti ottenuta con la riduzione dei mezzi espressivi e dal virtuosismo metrico. Callida iunctura → raffinata strategia compositiva che prevede di accostare tra loro alcune parole e ad allontanarne altre perché si richiamino a distanza. Così le parole vengono viste sotto una nuova luce. Ridotto è invece lo sforzo innovativo: usa poco neoformazioni e neologismi. EPISTOLE “Lettere in versi”: Orazio torna all’esametro della conversazione. Sono caratterizzate dalla forma epistolare, dunque dalla finzione di essere inviati a destinatari, con formule di saluto e commiato (anche se non siamo certi che queste lettere siano davvero state mandate). Sono divisibili in due libri: - il primo comprende 20 componimenti diversi; ritorna la raccomandazione ad adottare l’equilibrio della via di mezzo: la ricetta della felicità sta nell’accontentarsi di poco. Non manca la componente ironica della conversazione tra amici. - il secondo comprende tre lunghi componimenti dedicati a temi di teoria letteraria, in particolare la poesia. Sarebbe appropriato fare un’ulteriore divisione tra i due componimenti iniziali (epistola ad Augusto circa i tentativi di rilanciare il teatro romano; epistola a Floro, contenente precetti etici) e il terzo, la lettera ai Pisoni, nota come Ars Poetica. Qui è presente una lunga sezione dedicata al teatro; viene raccomandata una scrittura che non abbia come scopo solo la bellezza ma anche il coinvolgimento passionale dello spettatore. Condanna la scarsa potenza, in questo senso, della lingua latina, che non è stata affinata abbastanza. Infine l’opera contiene principi e precetti letterari: importanza della coerenza nell’opera letteraria e della ricerca, da parte di ogni poeta, della misura adeguata alle proprie possibilità. L’ELEGIA: TIBULLO E PROPERZIO Quintiliano documenta la diffusione a Roma del genere elegiaco, che aveva come membri più rappresentativi Gallio, Tibullo, Properzio e Ovidio. L’ELEGIA si caratterizza a Roma soprattutto come poesia d’amore. L’èlegos (distico elegiaco) nella letteratura greca era il metro che distingueva questi componimenti, diffusi in svariate occasioni della vita pubblica e privata: autori greci come Archiloco e Solone scrivevano elegie dai temi guerreschi, politici, erotici, ma anche di lutto (vedi Antimaco, che scrive la Lide, dal nome della donna amata, morta; a partire da questa esperienza il poeta rievocava miti di amore tragico, istituendo così una connessione tra autobiografia e mito). Inoltre i poeti ellenistici intitolavano la propria opera con il nome della donna amata. Non sappiamo da dove derivi l’elegia latina: alcuni caratteri intrinseci (come l’autobiografia) non hanno precedenti in Grecia, dove invece l’elegia aveva un’impostazione più oggettiva, eccetto i casi di Antimaco. Sarà proprio da questo collegamento autobiografico opera-autore da cui si svilupperà e si codificherà il genere diffuso a Roma. Caratteristiche dell’elegia latina: autobiografismo, l’elegia rende a inquadrare singole esperienze in forme e situazioni tipiche, secondo moduli ricorrenti. Abbiamo così ruoli e comportamenti convenzionali. Tematica predominante è l’AMORE, vissuto come esperienza unica e assoluta, è l’àristos bìos, la perfetta forma di vita; il poeta è totalmente al servizio della domina, capricciosa e infedele, che lo porta a soffrire e proiettare la propria vicenda nel mondo puro del mito. Ripudia i suoi doveri di cives e trasfigura il concetto di mos maiorum. La poesia così nasce dall’esperienza diretta del poeta amante, in questo modo la dama ne ottiene gloria immortale. Per quanto riguarda lo stile, gli autori rifiutano una poesia elevata, scegliendo piuttosto toni leggeri e immediati, ereditando un’eleganza concisa e l’elemento mitologico proprio da Catullo e dai neoterici (dai quali si ispirano anche per proclamare il gusto dell’otium). Il perfetto amante è visto dall’autore come persona spregiudicata, ma Ovidio cerca anche una riconciliazione con la società, prevedendo una forma di vita non solo privata (dell’otium), ma anche civile. Medicamina faciei feminaepoemetto in distici elegiaci sui cosmetici per le donne, illustra la tecnica di preparazione di alcune ricette di bellezza. Remedia amoris rovescia i precetti dell’Ars e insegna come liberarsi dall’amore: è possibile, e addirittura si deve farlo quando la relazione comporta sofferenza. HEROIDES raccolta di lettere poetiche scritte da donne e uomini del mito ai propri amati lontani, acquista qui grande rilevanza il MITO. Possiamo distinguere due gruppi, che distinguono due diverse fasi di composizione: - lettere 1-15: scritte da donne famose ai loro amanti lontani (Penelope-Ulisse, Arianna-Teseo, etc) - lettere 16- 21: scritte da tre uomini innamorati (Paride, Ero e Leandro) alle rispettive donne. Le lettere si configurano come monologhi, spesso chiusi, senza attesa di risposta, e richiamano il topos del lamento (che metteva in scena ad esempio Catullo nel carme 64). Sono caratterizzate da una limpida argomentazione, alternanza di stati d’animo e approfondimento psicologico. Non manca il lato patetico tipico delle elegia erotica, ma comunque resta dominante il senso ironico, di impronta Callimachea. Caratteristica innovativa delle Heroides è la transcodificazione dei testi: vengono ripresi e riscritti materiali epici della tradizione, talvolta anche reinterpretatati secondo le esigenze del genere. METAMORFOSI opera in 15 libri che richiama l’epos, scritta in esametri. Il modello è quello del poema collettivo: il libro infatti è composto da tante storie indipendenti accomunate da un tema di base (precedenti del genere: Teogonia e Catalogo di Esiodo). Ad esercitare un’influenza tematica è soprattutto Callimaco, con gli Aitia: elegie che raccontano miti e leggende di fondazione che giustificano la realtà presente. Ovidio si propone così di cercare le origini, perché proprio dall’origine si risale all’essenza della cosa trasformata; riassume la storia del mondo in un grande poema eziologico. Ovidio sceglie di lasciare uno spazio, seppur limitato, alla dimensione celebrativa: dal chaos primordiale alla celebrazione di Ottaviano. Il vero fulcro dell’opera è però la letteratura di ogni tempo, perché le Metamorfosi, attraversando tutti i miti e le storie, sono una summa di tutta la letteratura, un incontro con i testi di oggi e del passato. Tramite l’ironia e l’intervento diretto, l’autore sorride sul carattere fittizio delle sue storie, scritte per intrattenere il lettore grazie all’apposto favolistico del mito, che arricchisce i tratti romanzeschi. È da notare come Ovidio dedichi maggiore spazio e attenzione al momento della trasformazione, descritta con minuziosa attenzione e spettacolarità. Ci sono circa 250 vicende mitiche, inserite in una struttura flessibile: dapprima le troviamo ordinate secondo un criterio cronologico, poi prevale quello di associazionele varie storie possono essere collegate per contiguità geografica, analogie tematiche (amori degli dei), per contrasto. Tratto caratteristico è la varietà dei contenuti e le dimensioni delle storie narrate (alcune molto lunghe altre di pochi versi); ma anche la mutevolezza dello stile: solenne epico, lirico, etc. Notiamo poi come Ovidio non concluda ogni storia con la fine di un libro, bensì, per sollecitare l’attenzione e la curiosità del lettore, interrompe la storia nel bel mezzo della sua evoluzione. Tecnica molto usata è il racconto a incastro, che permette anche di variare la voce narrante e così i toni e lo stile. FASTIOvidio si impegna nel terreno della poesia civile: il progetto è quello di illustrare antichi miti e costumi latini seguendo la traccia del calendario romano. Aveva previsto 12 libri in distici elegiaci, ma a causa dell’esilio dovette interrompere a sei. Segue il modello di Callimaco (Aitia, in cui si era cimentato anche Properzio) lavorando su un poema eziologico, di ricerca delle cause. Si erge così a vate celebratore di Roma e si impegna nella ricerca di svariate fonti antiquarie. Il ricorso al mito si giustifica con la volontà dell’autore di rendere più interessante il materiale storico. Nel periodo dell’ESILIO Ovidio torna invece all’elegia con i Tristia (in cinque libri) e le Epistulae ex Ponto (in quattro), dove riscopre la vocazione funebre e lamentosa. Allo stesso periodo risale anche l’Ibis, poemetto in distici elegiaci in cui Ovidio si difende dagli attacchi di un detrattore. LIVIO e gli orientamenti della storiografia Tito Livio nasce a Padova nel 59 aC.; arriva a Roma ed entra in relazione con Augusto, senza partecipare alla vita pubblica. Ai primi interessi filosofici fa seguire quelli volti alla storiografia: scrive una grande opera storica, nota come AB URBE CONDITA LIBRI, in 142 libri. Ci restano i primi 10 (dai fatti più antichi al 293 a.C.) e i libri da 21 a 45 (da 2° guerra punica a guerra VS Macedonia). Il progetto originario è stato interrotto dalla morte di autore nel 17 d.C.; prevedeva forse anche racconto degli anni fino alla morte Augusto (per un tot di 150 libri). Livio nella sua opera torna alla struttura annalistica che aveva caratterizzato fin dall'inizio la storiografia romana, rifiutando l’impianto monografico delle opere di Sallustio: la narrazione di ogni impresa si estende per l’arco di un anno. Forse l’intenzione dell’autore era stata quella di dividere i libri in decadi, in base a cicli storici: ogni volta che si apriva un nuovo ciclo Livio inseriva un’introduzione (a confermare questa tendenza un proemio con cui si apre terza decade). Livio amplia narrazione man mano che si avvicina all’epoca contemporanea, una dilatazione che corrispondeva alle aspettative del lettore: 85 libri su 142 contengono la storia a partire età dei Gracchi. Le FONTI usate da Livio: - annalisti, soprattutto i più recenti: Valerio Anziate, Licinio Macro. - storico greco Polibio, nelle decadi relative all’espansione in Oriente - Origines di Catone. Livio non fa un vaglio critico delle proprie fonti (sceglie quelle più facili da reperire) e mostra scarsa attenzione a colmare lacune della tradizione storiografica, a cui avrebbe potuto provvedere accedendo a materiale come manoscritti e iscrizioni antiche. Tutto ciò gli valse la fama di exornator rerum: era troppo occupato ad abbellire e rendere drammatico quello che trovava. È stato inoltre criticato per aver svolto un lavoro di ‘seconda mano’ su cose già scritte da altri. Livio inoltre opera una scelta della materia al centro dei suoi interessi ci sono le vicende del popolo romano, sulla base delle quali poi si accennano gli eventi della storia universale. Si può dunque dire che Livio non rispetta l’oggettività storica, poiché nella sua narrazione vengono oscurate o messe da parte le guerre straniere. L’ideologia di fondo dell’autore è di tipo repubblicano (e Augusto è d’accordo), tanto che si ipotizza un accordo su alcuni temi trattati. Ricorrono exempla di virtù, che rispondono al progetto di restaurazione degli antichi valori morali e religiosi, cardini dalla politica augustea. C’è comunque da specificare che Livio non aderisce incondizionatamente al regime: ammette l’esistenza dei mali nel presente, cercando piuttosto consolazione nel ricordo della grandezza e dell’austera virtù repubblicana. STILELivio si oppone alla tendenza di Sallustio (brevitas austera) e il suo stile ampio e dai periodi chiari, senza artifici retorici, viene definito lactea ubertas. L’autore però varia molto il suo stile: notiamo che nelle prime decadi è abbondante un gusto arcaizzante (coerente con la materia), in seguito si ispirerà molto ai canoni del nuovo classicismo. Lascia spazio alla drammatizzazione del racconto: ad esempio nella descrizione delle battaglie ricorre lo schema della peripezia, di un repentino rovesciamento della situazione iniziale. Notiamo poi un coinvolgimento diretto dell’autore nella materia: secondo Livio scrivere la storia è far vivere gli uomini che la fanno, perciò dà i suoi giudizi sui diversi personaggi. Il modello di stile che segue principalmente è quello teorizzato nel De Oratore di Cicerone, cioè composto da una sintassi ampia e scorrevole (concinni); mostra piuttosto avversione per la brusca scrittura di Sallustio. Storiografia di opposizioneDi molti storici non si hanno tracce di opere: si tratta dei dissidenti attivi nella prima età del principato, sotto Augusto e Tiberio, che non entrarono nel canone degli autori importanti, oppure vennero banditi. Sono ad esempio Asinio Pollione, che scrisse le Historiae; Pompeo Trogo autore di una storia universale dai tempi di Babilonia fino a presente; Tito Labieno, autore di un’opera condannata al rogo, così come quella di Cremuzio Cordo, che esaltava l'omicidio di Cesare. Storiografia di consenso di tendenza opposta sono Velleio Patercolo, autore di un commosso panegirico sulle capacità militari di Tiberio; Valerio Massimo, scrive un opera in sostegno al regime tiberiano e Quinto Curzio Rufo, che compone le storie su Alessandro Magno. Torna di moda in questo periodo il mito di Alessandro Magno, che contribuisce a ispirare pose e atteggiamenti di alcuni principi. ERUDIZIONE E DISCIPLINE TECNICHE In età augustea assistiamo a una grande diffusione del libro e della cultura: i nuovi classici (Viriglio, Orazio, etc) entrano così nelle scuole. Vengono inoltre fondate le biblioteche pubbliche: quella più importante, la Biblioteca Palatina, viene diretta da Giulio Igino, iniziatore dell’esegesi virgiliana. Il maggior grammatico dei tempi è Verrio Fliacco, autore del De verborum significato, un glossario alfabetico di termini difficili o desueti. Discipline tecnicheIl prestigio della retorica frenava la nascita di una prosa scientifica vera e propria, che trova tuttavia una discreta fioritura in età imperiale con Vitruvio Pollione, che scrive un trattato in prosa, il De architectura, in merito alle costruzioni (opera che nasce in concomitanza del programma di rinnovamento dell’edilizia pubblica avviato da Augusto). Correda la sua opera con disegni, illustrando la figura del perfetto architetto, dalla personalità versatile e dalla conoscenza vasta in ogni campo (acustica, ottica, medicina). Auro Cornelio Celso scriverà un manuale enciclopedico di diverse discipline, pratiche e teoriche. Sempre puntando al genere dell’enciclopedia Plinio il Vecchio lavora al progetto della Naturales Historia. Sia per fini pratici sia celebrativi infine si sviluppano anche gli scritti di geografia: Agrippa disegnò una grande cartina geografica; Pomponio Mela scrisse invece un trattato dal titolo Chorogràphia (“descrizione dei luoghi”), che da una parte descrive le coste e la morfologia, dall’altra si rivolge agli interessi etnografici di regioni lontane. Precettistica culinaria Marco Gavio Apicio sarebbe l’autore di un corpus di ricette culinarie, dal titolo De re coquinaria: contiene precetti di carattere medico e ricette. Stile privo di eleganza retorica. La prima età Imperiale I GENERI POETICI NELL’ETA’ GIULIO –CLAUDIA Tra l’inizio del principato di Tiberio e l’avvento di Nerone la poesia latina manca di figure capaci di costruire nuovi punti di riferimento. Sorge così un interesse per i GENERI letterari MINORI, come l’epillio (breve carme di argomento mitologico-sentimentale), la bucolica, l’epigramma e neoalessandrinismo, ovvero il ritorno alla poesia alessandrina, a cui si riconduce il filone della poesia astronomica, molto in voga in questo periodo e ispirata ai Fenomeni di Arato. Manilio si cimenta negli Astronomica, opera in cinque libri in esametri che tratta delle stelle, le origini dei pianeti, l’oroscopo e i segni dello zodiaco; l’obiettivo del testo è la ricerca di un ordine universale. E’ un’opera importante perché dà dignità a questo filone, riprendendo la concezione didascalica propria di Lucrezio. Manilio viene ritenuto il primo esponente della latinità argentea: scrive con un esametro fluido e regolare, che mescola lo stile Ovidiano e il gusto sentimentale e rococò di moda all’epoca. Appendix Virgilianaraccolta che comprende una serie di componimenti anticamente attribuiti a Virgilio con l’obiettivo di colmare la curiosità del pubblico sulla sua produzione giovanile, andata perduta. In realtà si tratta di componimenti di autori poco illustri e di mani differenti, che mescolano la tendenza della latinità argentea. Gli unici componimenti forse autentici sono il Catalepton, piccoli testi in cui si parla di espropri Presto però inizia a lavorare per l’opera maggiore, il poema epico PHARSALIA (o Bellum Civile). Subentra poi una rottura con Nerone per motivi incerti (forse a causa delle idee repubblicane contenute nel poema stesso). Così, allontanato da corte, prosegue fino al libro X. Verrà coinvolto nella congiura antineroniana di Pisone e costretto al suicidio, nel 65, a soli ventisei anni. Il numero e la varietà di composizioni attribuite a Lucano testimoniano un’eccezionale precocità artistica, che gli porterà ingente successo nei posteri. L’argomento centrale della PHARSALIA è la guerra civile tra Cesare e Pompeo, in cui Lucano esprime un’esaltazione dell’antica libertà repubblicana, condannando in questo modo il regime imperiale. Seguirono pesanti critiche, non solo tematiche ma anche estetiche: negli scolii (commenti annotati a fianco ai manoscritti) si appunta la sua rinuncia alle convenzioni tipiche dell’epos, come l’apparato divino, i temi mitologici; in sostanza è accusato di fare storia piuttosto che poesia. Il confronto scaturisce soprattutto con la vicina Eneide virgiliana. Eneide vs Farsaglia l’opera di Lucano si presenta volutamente come un ANTI ENEIDE (e Lucano, dunque, come Anti-Virgilio). Questo perché, fino ad ora, il poema epico era visto come celebrazione solenne delle glorie dello stato; Lucano invece lo usa per denunciare una guerra fraticida, il sovvertimento di tutti i valori, confutando il modello virgiliano, rovesciandone i personaggi e addirittura le singole espressioni (per esempio la profezia di Anchise, libro 6 dell’Eneide, in cui si annuncia la futura gloria di Romasempre nel suo libro 6 Lucano parla di una maga che invece parla di un infelice sorte incombente sulla città). Così il mito virgiliano di Roma, destinata a reggere il mondo nella pace, si rovescia nell’anti mito di una potenza verso una tragica rovina. Lucano mette in atto una tecnica ANTIFRASTICA. Parallelamente però vediamo Lucano, nel proemio dedicato a Nerone, elogiarlo come principe illuminato, allineandosi così allo stesso proemio che Virgilio aveva scritto per Augusto. Alcuni critici pensano però che sia una sorta di “ironia cifrata” ai danni dell’imperatore, altre ipotesi fanno pensare a un autore che inizialmente aveva fiducia in Nerone, fiducia che tuttavia è venuta meno con la degenerazione del regime. La Pharsalia non ha un personaggio principale, l’eroe dei poemi epici, ma ruota intorno a tre figure: - CESARE dipinto come ‘eroe nero’: domina la sua malefica grandezza; rappresenta il trionfo delle forze irrazionali che nell’Eneide venivano domate e sconfitte (furor, ira, impatientia). Emergono i tratti di ferocia e crudeltà; spoglia Cesare anche dei suoi attributi positivi principali, come la clemenza verso i vinti: Lucano- notiamo- piuttosto stravolge la verità dei fatti. La colpa della catastrofe di Roma è attribuita alla sua brama di potere. - POMPEO personaggio passivo, in declino, il cui destino si mostra avverso. La parabola della sua fortuna è legata alle due mogli: con Giulia attraversa una fase ascendente, con Cornelia discendente. Nella conclusione va incontro a una sorta di purificazione: diviene consapevole della malvagità dei fati, giustificando la morte per una giusta causa. - CATONE nel suo personaggio si consuma la crisi dello stoicismo tradizionale (che garantiva il dominio della ragione nel cosmo): davanti alla consapevolezza della malvagità del fato non è più possibile aderirvi e sottomettersi alle sue volontà. Arriva così alla conclusione che la giustizia non risiede più negli dei, ma in se stesso: attua una ribellione titanistica e vede nella morte l’unico modo per affermare diritto e libertà. Attorno a questi personaggi principali ne ruotano di minori, la cui caratterizzazione sarà condizionata dall’appartenenza a uno o all’altro schieramento: da una parte vediamo pompeiani e catoniani come combattenti valorosi e sfortunati, dall’altra cesariani assetati di sangue. Emerge solo la figura di Cornelia, ritratto di fedeltà e devozione al marito; negativa è invece Cleopatra. STILE Lucano è definito ardens et concitatus, per via dell’incalzante ritmo narrativo del periodi, che vanno oltre i confini dell’esametro e si servono di numerosi enjambements. È presente una spinta continua al pathos e al sublime, vicina allo stile delle tragedie di Seneca. L’io del poema è onnipresente, anche per condannate con tono indignato tramite apostrofi. Lo stile classico dell’epica non va più bene, questo perché lo sviluppo degli eventi ha portato a nuove aspettative e l’epica non può più assolvere il compito di positiva commemorazione. Così Lucano inserisce un’ideologia politico-moralstica e ricorre al discorso retorico (discorso ricco di enfasi), che deve compensare il precedente stile. PETRONIO Sono poche le notizie circa la vita di Petronio, autore del noto Satyricon; le poche che ci pervengono sono tramandate da Tacito negli Annales, che lo indica come cortigiano di Nerone, il suo elegantiae arbiter, giudice di eccellenza della raffinatezza. Fu proconsole in Bitinia e console; nel 66 invece, spinto al suicidio da Nerone, mise in atto un suicidio paradossale, come del resto fu tutta la sua vita: passò le sue ultime ore seduto in un banchetto. Accanto a queste manifestazioni di provocatorietà irriverente si impegna nel denunciare apertamente i crimini dell’imperatore. SATYRICON non è pervenuto nella sua totalità: non abbiamo conservato l’antefatto, piuttosto ci rimangono alcuni stralci e la famosa Cena di Trimalchione. Trama: Il giovane Encolpio, colto, dotato di raffinato senso estetico e di ironico distacco, narra in prima persona le sue avventure durante i vagabondaggi nelle città dell'Italia meridionale, vivendo di espedienti, ruberie e pranzi scroccati. Suo compagno è l'adolescente Gitone, del quale è innamorato; ai due si affianca nella prima parte del racconto Ascilto, a sua volta attratto da Gitone e questo è fonte di gelosia e di liti. Questo terzetto, cinico e amorale, affronta con spirito di avventura ogni esperienza: barattano un mantello rubato con una tunica nella quale sono cuciti dei denari; accusati dalla corrotta sacerdotessa Quartilla di aver profanato un sacrificio a Priapo, sono sottoposti a innumerevoli torture erotiche. Partecipano quindi alla cena, offerta dal ricchissimo liberto Trimalcione, con altri nuovi arricchiti e parassiti: nel suo palazzo arredato in modo grottescamente sfarzoso, vengono servite innumerevoli portate, descritte minuziosamente. In questa ostentatamente lussuosa gozzoviglia domina la figura del padrone di casa, Trimalcione, ignorante e rozzo che si atteggia a persona istruita. La scena culmina con la parodia dei funerali di Trimalcione, che per il chiasso fa accorrere i vigili di quartiere. Nella confusione generale, i tre compagni si allontanano e riparano in una locanda dove litigano. Lasciato solo, Encolpio trova un nuovo compagno nel poeta vagabondo Eumolpo, che recita una sua composizione sulla distruzione di Troia. Gitone si riunisce a loro, ma si rinnovano le liti furibonde e le scene di gelosia. I tre si imbarcano infine sulla nave di Lica e dell'amante Trifena, ma scoppia una furibonda rissa tra Encolpio e Gitone. La pace torna per merito di Eumolpo, che racconta la novella della Matrona di Efeso, una piccante parodia dei propositi di castità delle vedove. Una tempesta fa naufragare la nave: Lica muore, Trifena si salva su una barca e i tre avventurieri sono gettati su una spiaggia vicino a Crotone. L'ultima parte del testo è la più lacunosa. In città pullulano i cacciatori di testamenti e i cittadini sembrano appartenere a due categorie, gli imbroglioni e gli imbrogliati. Per questo Eumolpo, dopo aver recitato un poemetto sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo, si finge ricco e ammalato per sfruttare l'avidità dei crotonesi. Encolpio è adescato dalla bella e ricca Circe, ma diviene impotente per l'ira del dio Priapo (non si sa perché) e guarisce soltanto per intervento di Mercurio, mentre Eumolpo, per sfuggire ai cacciatori di dote, tra cui la matrona Filomena, detta un testamento secondo il quale soltanto coloro che mangeranno il suo cadavere potranno ereditare i suoi beni. Il principio di fondo è quello della PARODIA letteraria, dell’antiromanzo: il Satyricon infatti rovescia tutte le convenzioni e le caratteristiche del romanzo antico (in particolare quello greco, caratterizzato da tratti distintivi: tono serio, trama invariabile, amore tra due giovani, peripezie e scioglimento). Nella sua struttura Petronio usa ironicamente queste sceneggiature tipiche: l’opera infatti racconta la peripezie di una coppia di amanti, ma è un amore ben diverso: è omosessuale, non c’è spazio per la castità dei personaggi, i valori morali sono rovesciati. Notiamo una ripresa, sempre rovesciata, dell’epica classica: le peripezie di Encolpio infatti alludono a quelle di Ulisse (il protagonista petroniano si paragona proprio a Ulisse perseguitato da Poseidone). Inoltre nel Satyricon anche il narratore, che coincide con il protagonista, è inaffidabile: notiamo una mescolanza parodica di diversi generi (elegia, storia, novella, mimo, etc), una parodia che non è ottenuta attraverso l’aggressione diretta, bensì attraverso il contrasto effettivo con la realtà. Encolpio è l’antimodello dell’eroe del romanzo idealizzato, è un personaggio che sente le sue vicende vicine, per analogia, a quelle della letteratura sublime, e punta così a una immedesimazione eroica, che si risolve però con un totale fallimento e un rovesciamento totale. STILE E FORMA è complessa: la prosa narrativa è interrotta da inserti poetici affidati alla voce dei personaggi (come la Presa di Troia e la Guerra civile), che spesso hanno funzione ironica, non perché malfatti, ma perché il commento poetico non corrisponde al contenuto: né derivano sbalzi tra aspettative e realtà. Il Satyricon deve molto alla narrativa, per la trama e la struttura del racconto, ma anche alla satira menippea, per la forma alternata di verso e prosa (prosimetro). Dato più originale è però la forte carica realistica: Petronio mostra interesse per il linguaggio quotidiano e sulla mentalità delle classi sociali. Una componente realistica che comunque risulta ambigua e in contrasto con le peripezie raccontante, che sono comunque inverosimili. Priapea raccolta di un’ottantina di componimenti di lunghezza e metro variabili, attribuiti a Petronio. Ruotano attorno alla figura del dio Priapio, divinità legata alla fecondità e associata a scherzi e motti osceni. PERSIO E GIOVENALE Persio e Giovenale scrivono con una distanza di mezzo secolo l’uno dall’altro, mostrando comunque importanti tratti comuni: entrambi scelgono il genere della SATIRA, ma approntano importanti innovazioni: - pubblico più generico di lettori: il pubblico a cui si rivolgono è più ampio (non più limitato alla cerchia di amici come quella di Lucilio e Orazio), davanti ai quali il poeta è censore di vizi e costumi - piano autore-ascoltatore più alto: è negata all’ascoltatore ogni vicinanza e identificazione (scompare il sorriso e la complicità tipiche della conversazione costruttiva di Orazio). - esecuzione orale: la satira di Persio e Giovenale è destinata alla recitazione in pubblico, ricorre così a procedimenti della retorica. PERSIO nacque a Volterra nel 34 da una famiglia ricca; studiò a Roma come allievo di Anneo Cornuto. Morì a ventisette anni. Il grammatico Probo tramanda che “scrisse poco e non pubblico nulla in vita”, l’edizione postuma delle sue SATIRE venne infatti affidata a Cesio Basso, di cui si tramandano sei componimenti satirici in esametri dattilici. La satira diventa lo strumento più idoneo dello spirito di polemica del giovane autore, che torna più volte sulle ragioni della sua poesia, ispirata dalla necessità di smascherare e combattere la corruzione e il vizio. In questo modo il genere va incontro a sostanziali CAMBIAMENTI: la satira infatti, secondo la codificazione oraziana, aveva la funzione di proporre degli insegnamenti (mediante la finzione di un maestro che propone alcune ‘perle’ ai suoi volenterosi discepoli). Persio tuttavia non trova una situazione di amichevole equilibrio con l’ascoltatore: il maestro si erge piuttosto a predicatore della diatriba, è arrabbiato e volgare; non c’è possibilità di una risposta positiva. L’asprezza, una ‘rudezza agreste’ contrapposta al tono pacato di Orazio, è il solo strumento necessario davanti all’indifferenza del vizio. Con la perdita del destinatario docile agli insegnamenti, il discorso satirico si ripiega su se stesso, divenendo una sorta di esame di coscienza, un itinerario personale dello stesso Persio. Temi e caratteristiche principali invettiva, deprecazione del vizio, invito alla virtù (forte fede stoica). STILE Persio contrappone la sua poesia con quella ‘mercenaria e vana’ dei contemporanei affermando la sua diversità rispetto alla fatua ricercatezza e agli insulsi soggetti mitologici. Il suo stile è definito rusticitas, “semirustico”, caratterizzato da una duplice tendenza, uno iato tra : - esigenza di naturalezza il suo vuole essere un linguaggio realistico, ordinario, comune, senza artifici retorici. Persio inoltre ricorre molto al campo lessicale del corpo e del sesso, sfruttandone il ricco patrimonio metaforico. - ricerca di audaci innovazioni espressive frequenti nessi contorti, metafore difficili che tendono ad esplorare nuovi rapporti tra le cose, deformazione macabra del reale, esiti criptici. Poche e incerte sono le notizie relative a GIOVENALE, nato tra il 50 e il 60 da una famiglia benestante; dapprima avvocato, si avvicinò già maturo all’attività poetica. Sarebbe stato inviato in Egitto, dove forse morì ottantenne. La sua produzione poetica è costituita da 16 satire in esametri, suddivise in cinque libri. L’epigramma è un genere che risale all’antica Grecia, dove aveva la funzione commemorativa (iscrizione su pietre tombali); in età ellenistica invece diventa il tipo di componimento adatto alla poesia d’occasione: si fissavano in pochi versi frasi e avvenimenti del momento, i temi principali erano quello erotico, satirico- parodico, funebre. Marziale usa gli epigrammi proprio per la loro varietà e aderenza alla quotidianità, ma soprattutto per il loro realismo, osservato con l’occhio deformante della satira, che accentua i tratti grotteschi. Quella di Marziale è principalmente una satira priva di asprezza, che punta al sorriso piuttosto che all’indignazione; esalta una vita fatta di gioie semplici e naturali. L’autore infatti sviluppa molto l’aspetto comico-satirico dell’epigramma, allineandosi al greco Lucillo, da cui eredita la tecnica della battuta finale brillante, il fulmen in clausola (aprosdòketon: inaspettato) Tematiche: esperienza autobiografica, all’intera esistenza umana, polemica letteraria, costume sociale del tempo, epigrammi adulatori per l’imperatore Stile: colloquiale, mescolato talvolta con espressioni eleganti e ricercate. QUINTILIANO Nacque in Spagna nel 35 e si trasferì a Roma, dove divenne maestro di retorica: Vespasiano infatti gli affidò la prima cattedra statale di eloquenza. Scrisse un trattato sui motivi della decadenza della grande oratoria, andato perduto; è conservata invece la sua opera principale, l’Institutio oratoria, in dodici libri (preceduta da una lettera a Trifone, l’editore). INSTITUTIO ORATORIA dedicata a Vittorio Marcello (oratore da lui ammirato). L’opera si propone di delineare un programma complessivo di formazione culturale che il giovane oratore deve intraprendere, fin dall’infanzia. Ritiene inoltre che il declino dell’oratoria contemporanea sia da ricondursi alla corruzione dei costumi, così fa portavoce di una reazione classicistica che prende a modello Cicerone e critica Seneca (stile spezzettato, sconnesso). Secondo l’autore bisogna evitare gli eccessi dell’ostentazione espressiva e scegliere piuttosto un periodare ampio ma non lezioso. I primi due libri sono propriamente didattici e pedagogici: trattano i doveri degli insegnanti, il linguaggio elementare e quello retorico; si analizzano poi le diverse sezioni della retorica, tecniche di memorizzazione, requisiti culturali dell’oratore e rapporto con il principe (l’oratore è investito da una missione civile, non deve tenere atteggiamenti di servilismo). Si inserisce a metà dell’opera anche un excursus sulla storia letteraria romana: ritiene che ormai la letteratura latina è in grado di reggere il confronto con quella greca. All’oratore si richiede vasta preparazione culturale; posto di rilievo è quello che occupa la retorica, a cui Quintiliano riconosce un’alta dignità morale e educativa. [contesto storico: il secondo secolo per Roma è un periodo di pace e tranquillità: è l’età degli imperatori adottivi, un periodo caratterizzato da: - clima di collaborazione tra senato e princeps - sviluppo economico, miglioramento degli alloggi urbani e delle condizioni di vita - alfabetizzazione, diffusione di scuole e biblioteche - rinascita della cultura greca (“seconda sofistica”); Adriano fonda un’accademia, l’Athenaum - diffusione nuovi culti religiosi (cristianesimo) e misterici (mitraismo).] PLINIO IL GIOVANE Nasce a Como nel 61 d.C., adottato da Plinio il Vecchio, zio materno da cui eredita il nome. Studia retorica e diventa console nel 100, occasione in cui pronuncia un discorso di ringraziamento (gratiarum actio, chiamato Panegirico). Scrisse poi le Epistulae, in dieci libri. Morì nel 113. PANEGYRICUS rappresenta l’inaugurazione di un genere letterario (infatti in Grecia i panegirici erano discorsi tenuti nelle solennità panelleniche, ora il termine indica l’elogio di un monarca). Si tratta infatti di un encomio all’imperatore, di cui Plinio enumera e esalta le virtù. L’autore inoltre delinea con questa opera un modello di comportamento per i principi futuri, basato sulla concordia tra imperatore e ceto aristocratico. Rivendica una funzione pedagogica nei confronti del principe: traspare infatti il tentativo di esercitare una forma di controllo del suo potere. Infatti, nonostante il tono ottimistico dell’opera, emerge la preoccupazione del ritorno al potere di principi malvagi. Emerge in particolare il carattere positivo di tolleranza dimostrato da Traiano nei confronti dei cristiani (che non avrebbe accettato accuse anonime). EPISTULAE l’epistolario segue un criterio di alternanza tematica, volto a evitare l’impressione di monotonia. Ciascuna lettera è dedicata a un singolo tema, trattato mescolando l’eleganza letteraria. Modello prediletto è Cicerone, per il fraseggio limpido e l’architettura armonica. Notiamo in Plinio il procedimento dell’affettazione (ars celare artem) del formulario tipico della corrispondenza spontanea. Le lettere di Plinio sono in realtà brevi saggi di cronaca sulla vita mondana, intellettuale e civile: elogia letterati e poeti in vita; descrive minuziosamente anche la campagna. La letteratura di cui si diletta è essenzialmente frivola, destinata all’intrattenimento nelle sale pubbliche (versiculi, nugae): proprio questi toni smorzati e accomodanti conferiscono successo al modello. TACITO Nacque intorno al 55 d.C. a Terni, studiò a Roma e sposò la figlia del comandante militare Giulio Agricola, poi celebrato nell’operetta autobiografica De vita et morbus Iulii Agricolae. Grazie all’appoggio del suocero iniziò una tranquilla carriera politica che lo portò prima ad avere un posto in pretura, poi a un prestigioso incarico in Gallia, a partire dal quale elaborò il trattato etnografico De origine et situ Germanorum. Nel 112 otterrà il proconsolato in Asia; scriverà poi il Dialogus de Oratoribus (tema della decadenza dell’oratoria) e le opere storiche Historiae e Annales. Morirà nel 117. DIALOGUS DE ORATORIBUSsi tratta di un’opera composta molto probabilmente nel periodo giovanile, che presenta diverse caratteristiche di stile rispetto a tutte le altre (vicina al modello ciceroniano, forbito e non prolisso) e si riallaccia alla tradizione dei dialoghi ciceroniani filosofici. È ambientata nel 75 e ruota attorno a una discussione immaginaria in casa di Curiazio Materno, insieme a Marco Apro, Messala e Giulio Secondo (alla quale Tacito avrebbe assistito in gioventù). In un primo momento si difende l’eloquenza e la poesia, poi, con l’arrivo di Messalla, il dibattito si sposta sulla decadenza dell’oratoria, dovuta a fattori quali deterioramento dell’educazione, maestri impreparati. Il tutto si conclude con un discorso di Materno che lega la grande oratoria all’anarchia che regnava nel tempo della repubblica, una concezione di cui si fa portavoce lo stesso Tacito, il quale ribadisce la necessità dell’impero come unica forza per salvare lo stato dal caos delle guerre civili. AGRICOLAè il primo opuscolo storico di Tacito, che tramanda ai posteri la memoria del suocero Giulio Agricola, principale artefice della conquista di gran parte della Britannia (sotto il regno di Domiziano) nonché abile funzionario imperiale. L’autore narra della conquista dell’isola, lasciando spazio a digressioni geografiche ed etnografiche; in primo piano la fedeltà e onesta dell’uomo, che dimostra come sia possibile vivere da saggio anche in presenza della tirannide. Morirà silenziosamente senza cercare la gloria, senza l’ambitiosa mors, il suicidio degli stoici, che Tacito condanna come inutile per la patria. L’Agricolae si situa in un punto di intersezione tra diversi generi letterari: è un panegirico in biografia, mescolato a materiali storici ed elementi etnografici; vede un alteranza di stili. Influsso principale è quello di Cicerone. GERMANIApoema in cui emergono gli interessi etnografici. L’autore non reperisce le notizie dall’osservazione diretta, bensì da altre fonti scritte, in particolare dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, che segue con fedeltà, impreziosendo lo stile col coloriture sallustiane e ammodernando l’opera con l’aggiunta di pochi particolari. L’intento principale pare essere l’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dal vizio, qual è appunto quella barbara. Tuttavia, insistendo sulla forza e sul loro valore guerriero, Tacito più che elogiarli li mostra come un pericolo per Roma. Si sofferma anche sui difetti della popolazione: passione per il gioco, tendenza all’ubriachezza e alle risse; mostrando però ammirazione per la politica aggressiva di Germanico. È presente un riferimento a un evento contemporaneo la composizione, ovvero la presenza di Traiano sul Reno. Historiae e Annales sono le opere storiche maggiori di Tacito. Hanno un andamento annalistico (seguendo in ordine cronologico gli eventi) ma si propongono anche come monografie. Tema comune: lo studio del potere, di come il principato si è reso necessario per ristabilire la pace. Studia poi i meccanismi di conservazione e distruzione dello stesso potere: Roma diventa una metafora triste della natura malvagia dell’uomo. HISTORIAEconserviamo cinque dei 12 (o 14) libri, che ricoprono un lasso di tempo dal 69 al 70, circa il susseguirsi di diverse guerre civili ANNALESl’estensione complessiva prevedeva 16 o 18 libri, continuava dalla narrazione di Livio, come suggerisce infatti il titolo dei manoscritti (Ab excessu divi AugustiAb urbe condita). Nel passaggio dalle Historiae agli Annales l’orizzonte sembra incupirsi, per il fatto che i vincoli imposti dal principato sono sempre più duri. L’impostazione di fondo delle due opere è simile, e Tacito si attiene ai canoni della storiografia antica: mostra un interesse prevalente per gli avvenimenti politici, usa in modo capace le fonti e rispetta il principio della verità dei fatti. Il suo intento si allinea a quello della storiografia tragica: sonda le pieghe dell’animo dei personaggi per portare alla luce ambiguità e passioni. Infatti traccia un’interpretazione moralistica della storia: vede le cause della corruzione nella natura stessa dell’uomo, già di per sé corrotta. Segue così i suoi personaggi dall’interno, fornendo talvolta ritratti “paradossali”: spesso alcune figure associano vizi vergognosi a virtù stupefacenti (vedi Petronio). Ma l’arte del ritratto raggiunge il vertice con Tiberio: Tacito fornisce un ritratto indiretto, progressivo, non solo morale ma anche fisico. Tacito ebbe grande fortuna, in particolare nell’epoca della controriforma si diffonde il fenomeno del tacitismo: le sue opere vennero intese come complesso di regole e principi direttivi dell’agire politico di tutti i tempi. STILEil modello principale è Sallustio, il cui stile viene imitato e anche accentuato dallo stesso Tacito. Notiamo infatti arcaismi, sintassi disarticolata, costrutti irregolari e mancanza di verbi: uno stile complessivamente difficile ed epigrammatico. La figura del filologo più importante nel 1 secolo, nell’età del Flavi, è Marco Valerio PROBO, che rivolge la sua attività principalmente alla cura di edizioni attendibili dei classici. Si occupò principalmente di Virgilio e Terenzio, ma anche del contemporaneo Persio. Probo correggeva gli errori, apponeva segni diacritici e poneva annotazioni in calce al testo (direttamente su manoscritti antichi e originali). Verso la fine del I secolo e l’inizio del II l’attenzione per i classici è favorita dall’affermarsi di un movimento arcaizzante, che spinge verso la letteratura dei tempi più antichi. Capofila di questo nuovo gusto è Marco Cornelio FRONTONE, molto celebrato dagli antichi per le sue orazioni pubbliche. LA POESIA TRA IL II E III SECOLO La poesia nel 2° secolo È caratterizzata da grande vivacità e collocata nel bel mezzo della crisi economica, morale e culturale di Roma. Manca una significativa fioritura di talenti poetici; infatti la poesia diventa una sorta di hobby delle classi elevate, non una vocazione. La poesia dunque sembra aver perso centralità culturale. Nel 2° secolo si pratica un genere di poesia minore e multiforme, dei POETAE NOVELLI, il cui riferimento è la scuola neoterica: i novelli sarebbero infatti dei poetae novi in tono minore, che propongono recuperi regressivi, rivolti a ciò che è arcaico e obsoleto. Di questi poeti abbiamo poverissimi resti. Caratteristiche: - sperimentalismo metrico → usano forme nuove, come il falisco di Anniano - cantano temi tradizionali su metri inattesi o impropri, in segno di rottura rispetto classici (Sereno ad esempio tratta temi pastorali non in esametri virgiliani bensì in dimetri giambici). - parole in disuso, arcaiche, colloquiali, dialettali Personalità + interessante di questo periodo è l’imperatore Adriano, di cultura versatile: aveva infatti una profonda cultura greca, letteraria e artistica e incoraggiava all’arte e all’erudizione. Era anche un pregevole versificatore. Ci restano pochi versi. La poesia nel 3° secolo: gli ultimi prodotti della poetica dei novelli Si tratta di un’epoca non molto feconda per la poesia: abbiamo pochi autori, poche opere, e una riduzione di interesse poetico. Molte composizioni sono state conservate nell'ANTOLOGIA LATINA, raccolta di carmi messa insieme in Africa nel 6° sec, che il ha merito di tramandare opere e autori altrimenti perduti. Tema costante è quello della natura: molti carmi infatti hanno come tematica centrale le rose. Testo importante in questo contesto è il Perviligilium Veneris; qui temi popolari ed eruditi si mescolano a strofe di diversa lunghezza, si descrivono le celebrazioni di Venere per festeggiare la primavera in Sicilia. Riprende nel metro la forma delle acclamazioni che soldati gridano a generali vincitori e alcuni tratti di lingua popolare: semplicità dell'espressione, freschezza ed eleganza. Altro testo importante è la ripresa dell’8° libro Odissea, nel poemetto di Reposiano De concubitu Martis et Veneris, che narra e descrive l’incontro di due amanti. [contesto storico: il III secolo è un momento molto drammatico nella vita di Roma e la sopravvivenza stessa dell’impero è messa a repentaglio dalle guerre civili, che portarono a: - forti cambiamenti interni (sociali, istituzionali, religiosi) - Sorgere di spinte separatiste: come il regno di Palmira - La dinastia dei Severi propone una politica di accentramento, in cui si inserisce la Costitutio Antoniana, che concedeva la cittadinanza a tutti i liberi residenti del territorio romano - Fine dinastia severi (235): si sussegue un numero elevato di imperatori - Pressioni da parte delle popolazioni germaniche - Spopolamento campagne e riduzione dei commerci - Catastrofi naturali: terremoti, epidemie e calo popolazione Questo stato di insicurezza crea un clima di angoscia che favorisce il diffondersi di nuove sette misteriche. Si diffonde soprattutto il cristianesimo, che alternava periodi di tolleranza e persecuzioni (soprattutto in Africa). I cristiani furono capaci di produrre un’imponente letteratura, in un periodo povero di personalità significative. Altro fenomeno rilevante del III secolo è l’importanza e la centralità delle scuole statali e provate: si diffuse un codex in pergamena, libro più economico e accessibile e una serie di manuali e enciclopedie. Spesso i cristiani curarono le scuole]. LA PRIMA LETTERATURA CRISTIANA I primi segni della diffusione del cristianesimo compaiono in Italia meridionale, a Pompei, verso la metà del I secolo. Inizialmente quella cristiana è una comunità greca, che scrive nella sua lingua (come Luca evangelista, Paolo, etc) e continuerà a farlo fino al III secolo, quando l’esigenza di comunicare con gruppi più vasti porta alla nascita di una letteratura cristiana latina. I primi testi sono le traduzioni della Bibbia: queste prime traduzioni di testi sacri vengono denominate VETUS LATINA (in contrapposizione alla Vulgata, la traduzione di Girolamo). Le persecuzioni e i martiri sono invece lo spunto della prima letteratura narrativa cristiana, gli ACTA MARTYRUM e le PASSIONES, un tipo di letteratura proveniente dall’Africa settentrionale; i cristiani scampati redigevano memoriali, attraverso i quali perpetuavano l’eroismo dei compagni martiri. - Gli Acta Scillitanorum contengono resoconti dei processi tenuti contro i cristiani, scritti dapprima dai martiri e conclusi da altri fedeli; si tratta di opere efficaci ed essenziali per la brevità e per la loro capacità di emozionare il lettore. Emerge da qui la contrapposizione tra cristiani e i magistrati di Roma, visti come difensori dei vecchi ordinamenti. - Le Passioni sono opere più personali, come la Passio Perpetuae et Felicitatis, sul martirio di una giovane signora africana, Perpetua, della sua schiava Felicita e del loro catechista, avvenuta durante i giochi nell’anfiteatro di Cartagine. Ebbe notevole successo, tanto che se ne fece anche una traduzione greca. In epoca più tarda il genere delle passioni subì un’evoluzione, che lo porta ad accostarsi al genere del romanzo: nasce la Passione epica, narrazione intrise di trionfalismo e dell’elemento fantastico, in cui il martire assume il ruolo dell’eroe vincitore. Intorno alla fine del II secolo compaiono i primi scritti latini APOLOGETICI, cioè difensivi, in cui i cristiani si propongono di difendere la propria fede dalle accuse dei pagani. I primi sono Tertulliano e Felice. TERTULLIANOnato a Cartagine da genitori pagani, studiò retorica ed esercitò la professione di avvocato. Si convertì più avanti; la sua attività apologetica è caratterizzata da intransigenza e cura retorica: è famosa la ferocia delle sue requisitorie contro cristiani e pagani. I suoi scritti più importanti sono Ad nationes, indirizzata a un pubblico di pagani, e l’Apologeticum, orazione rivolta ai magistrati e alle autorità con la quale Tertulliano denuncia l’infondatezza giuridica delle persecuzioni. Altri scritti affrontano invece problemi morali all’interno della comunità cristiana: De spectaculis, De idolatria, De virginibus velandis (in cui invita le donne a non uscire di casa a volto scoperto), De culto ferminarum (discrezione nell’abbigliamento femminile). Negli ultimi scritti affiora la misoginia di Terulliano, che ritiene che la donna sia più pericolosa del diavolo. MINUCIO FELICEavvocato africano nato a Cirta e vissuto a Roma, più tollerante di Tertulliano. Scrisse il dialogo Octavius, ambientato sul lido di Ostia tra tre personaggi: il pagano Cecilio, il cristiano Ottavio e Minucio stesso, in qualità di giudice della controversia. Vengono discussi argomenti come il monoteismo e il fatto che i cristiani non devono essere ritenuti colpevoli dei misfatti a loro attribuiti. Scrive anche il De fato. Minucio è uno scrittore fine e delicato, fonda la sua argomentazione sulla logica e sull’amabile conversazione; cita molto gli scrittori classici e cura molto l’elaborazione formale (prendendo a modello Cicerone). L’autore propone un cristianesimo privo di carica rivoluzionaria, senza sommovimenti sociali. Apologisti minori: - Ciprianovescovo di Cartagine e martire; autore di scritti come Ad Donatum (circa la sua conversione), l’Ad Demetrianum e il De habitu virginum (sui comportamenti delle donne). Opera importante è il De lapis, sull’atteggiamento da tenere nei riguardi dei cristiani che abiurano per paura delle persecuzioni. - Commodiano scrive composizioni in metro, come il Carmen apologeticum, che ha come argomento centrale la storia del mondo, vista come scontro tra Dio e il diavolo. La sua è una metrica vicina al parlato, che si rivolge a fasce meno alte della società. Le conoscenze di Commodiano sono piuttosto approssimative: credeva nella speranza millenaristica, ovvero in un età felice in cui i poveri e i maltrattati avranno la meglio. [contesto storico: l’ascesa al trono della dinastia di Costantino torna a imporre stabilità all’impero, portando all’impero un’ultima stagione di fioritura, che vide anche una produzione letteraria imponente. - Ripopolamento campagne, dove nascono le villae galliche; le città si spopolano - La chiesa è organizzata come una struttura di potere e coopera con l’autorità: cresce la figura del vescovo e sotto Teodosio (fine secolo) il cristianesimo è la religione di Stato - I barbari accettano di sottomettersi a Roma e diventano spesso funzionari statali - Invasione di alani, suebi e vandali sul fronte del Reno - Nel 410 i visigoti mettono a sacco la capitale, i cristiani credono sia giunta la fine del mondo; personaggi come Agostino contrappongono non più Stati e popoli ma due città: quella di Dio e quella dell’uomo, in continua lotta per la salvezza.] LA LETTERATURA PAGANA DEL IV SECOLO 1)GRAMMATICA, filologia e discipline erudite. Nel IV secolo il senso della fine della civiltà rende più tenace il bisogno di conservare e insegnare l’antico: vengono create grosse raccolte enciclopediche, summae di lingua e letteratura che conservano la tradizione classica. Nel campo grammaticale è di particolare importanza l’opera enciclopedica di NONIO MARCELLO, africano, che scrisse il trattato De compendiosa doctrina, in venti libri, divisibili in due parti: la prima di contenuto linguistico e grammaticale (la più importante, perché vede una successione di lemmi dei quali viene chiarito il significato, anche con l’apporto di citazioni di autori antichi), la seconda dedicata ad argomenti di carattere antiquario (navi, abbigliamento, alimentazione): l’interesse è legato alla descrizione di usi e costumi romani. COMMENTATORII grammatici, oltre a comporre manuali, spesso scrivevano commenti ai classici, come fece ELIO DONATO, il quale preparò due trattati di grammatica (Ars minor e Ars maior) destinati a divenire il libro di testo; scrisse inoltre un commento a Virgilio (Vita Vergilii) e a Terenzio. Un commento a Virgilio venne redatto anche da SERVIO, discepolo di Donato, ricco di osservazioni stilistiche e grammaticali; trova grande spazio l’esegesi, ovvero le diverse interpretazioni del testo. In questo periodo l’attività di edizione dei testi conosce una buona fioritura: le edizioni sono sempre più corrette e sicure. QUEROLUSla seconda metà del IV secolo segna un ritorno della produzione teatrale. Il titolo integrale è Querolus sive Aulularia, opera di un anonimo che si pone come continuazione dell’Aulularia plautina. Rappresenta l’unico caso di commedia latina di età imperiale pervenutaci e mostra quanto sia cambiata la struttura dei testi teatrali rispetto alle origini, ma anche la sua fruizione: non è più destinata alla scena ma alla rappresentazione durante i banchetti. È un testo scritto in prosa (non in versi, come era proprio del teatro greco e latino). Si rivolge a signori colti: troviamo infatti la descrizione delle loro consuetudini di vita, delle loro case e anche della vita dei servi, vista però dalla prospettiva del signore come qualcosa da invidiare, perché permette maggiori libertà e piaceri. IL TRIONFO DEL CRISTIANESIMO Con l’editto di Milano del 313 il cristianesimo viene riconosciuto come religione ufficiale e andrà così incontro a una fase di cambiamenti profondi: gli imperatori cominciano a favorire i cristiani e perfino a partecipare alle dispute teologiche. Gli autori cristiani passano rapidamente dall’atteggiamento difensivo (dell’apologetica) a quello aggressivo e derisorio nei confronti delle verità pagane, ritenute ridicole e incredibili. Questa fase è denominata SECONDA APOLOGEITCA, trova espressione in autori come: - Arnobioafricano autore dell’Adversus nationes, in sette libri, caratterizzati dall’aggressività della polemica antipagana (anche se le sue posizione sono spesso anomale: ritiene ad esempio che l’Antico Testamento sia una favola giudaica). - Lattanziodiscepolo di Arnobio, scrive il De opificio Dei, De moritbus persecutorum (in cui ricorda le drammatiche morti di coloro che hanno perseguitato i cristiani) e le Divinae Institutiones (che ambisce ad essere una sistemazione complessiva della dottrina cristiana). In queste prime opere ricopre una posizione più moderata rispetto al maestro: per lui infatti il cristianesimo non si oppone per forza alla cultura pagana e piuttosto cerca una conciliazione. Tuttavia nell’opera De errore profanarum religionum, polemica contro Materno, confuta il paganesimo e torna ai toni aggressivi di Arnobio, con esortazioni agli imperatori affinché confischino tutti i beni e templi pagani. LOTTA ALLE ERESIEnel IV secolo le energie che prima erano state profuse nella polemica contro il paganesimo ora si rivolgono contro le eresie, in particolare l’arianesimo, contro la quale scrivono: - Vittorino, dapprima ortodosso, autore dell’Ad Candidum Arianum, indirizzata a un tale Candido, un personaggio che cerca di convincere l’autore a tornare alla religione di nascita. - Ilario, vescovo e autore del De Trinitate, in cui affronta il problema cristologico con finezza argomentativa. Compose anche gli Inni, i primi in lingua latina (è precursore di Prudenzio). Oltre all’arianesimo si diffusero anche il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo (Pelagio era un monaco britannico; punto centrale del movimento: le opere buone da sole conducono alla salvezza, veniva svalutato il ruolo di mediazione della chiesa). LETTERATURA AGIOGRAFICAsi afferma questo nuovo genere, ovvero racconto di vite di santi, monaci e vescovi cristiani. Riprende molti elementi dalla biografia tardo antica, ma anche dalle Passioni e dagli Atti dei martiri; non mancano comunque spunti derivanti dalla letteratura romanzesca e fantastica, anche se prevale la finalità educativa. Tra le opere si annoverano Vita di Antonio, che ebbe grande successo per l’ambientazione esotica, e il Vita sancti Martini, scritta da Suplicio Severo, uno dei primissimi esempi di vita, in cui viene lasciato grande spazio ai miracoli e alle descrizioni fantasiose. POESIA CRISTIANA Fino all’età di Costantino gli autori cristiani avevano scritto in prosa (perché i temi affrontati non rientravano tra quelli tradizionalmente trattati in poesia), ma dopo il raggiungimento della pace religiosa cresceva presso i cristiani l’esigenza di narrare in maniera più degna ed elevata la loro storia. Si impone così un nuovo genere letterario: la rielaborazione in versi del testo biblico. - Giovenco, prete spagnolo, mette in esametri il Vangelo di Matteo, nominandolo Evangeliorum Libri Il suo è un progetto ambizioso: cerca di amalgamare la materia religiosa all’esametro di Virgilio. - Porfirio, senatore dapprima pagano, scrive un volume di carmi figurati di argomento cristiano, fondati su un difficilissimo gioco poetico. Le figure di maggior rilievo della poesia cristiana sono però Prudenzio e Paolino, che rappresentano due diversi aspetti della poesia cristiana: il primo vuole realizzare il cristianesimo attraverso la letteratura e l’uso di una nuova voce poetica; il secondo è più pacato e punta piuttosto alle realizzazioni materiali: PRUDENZIO, nato nel 348 in Iberia e autore di due raccolte di inni liturgici: - Cathemèrinon liber, contenente canti da eseguire in determinati momenti della giornata. - Peristèphanon, composto da 14 inni in onore di santi e martiri (con narrazioni inverosimili); riaffiora l’interesse per la ricostruzione di un passato di violenze. Prudenzio sostituisce la mitologia con i racconti biblici, modello è il rivale Orazio. Il successo di pubblico è ottenuto grazie alla combinazione di orrido e meraviglioso, anche se lo stile risulta difficile e oscuro. - Psychomàchia, poemetto didascalico-allegorico sul combattimento di vizi e virtù (Fede vs Idolatria, Pudicizia vs Lussuria) che agiscono come personaggi epici. Emerge un gusto per il macabro (numerosi sono i particolari delle uccisioni); l’intento è quello dell’insegnamento morale. - Contra Symmachum, ha per argomento la disputa tra Ambrogio e Simmaco. Ribadisce l’assurdità del politeismo, attribuisce i successi di Roma alla volontà di Dio. PAOLINO DI NOLA, console nel 378, che decide si farsi prete; divenne vescovo di Nola nel 409. A differenza di Prudenzio aspira a un mondo sereno, alla pace e alla fratellanza ( che spesso appare come tiepidezza verso la fede). Si conserva un carteggio comprendente 50 Epistulae e una raccolta di Carmina in vari metri dedicati a San Felice. Pratica il realismo umile dei cristiani, anche se lo stile e la lingua sono difficili. I PADRI DELLA CHIESA Gli scrittori cristiani della metà del IV secolo sono chiamati Padri della Chiesa, perché è grazie alla loro mediazione tra cristianesimo e cultura greco- latina che l’analisi dei problemi religiosi ed etici raggiunge una certa profondità. Tre sono le figure centrali: Ambrogio, Girolamo e Agostino. AMBROGIO nacque nel 339 in Germania, dove il padre era prefetto in Gallia, poi si trasferì a Roma, dove cominciò la sua carriera pubblica, e infine venne inviato a Milano, come governatore dell’Italia settentrionale. Venne nominato poi vescovo della città, per la sua personalità e capacità di mediazione: risale a lui infatti il fenomeno della secolarizzazione (che porta la chiesa ad intervenire nelle vicende del mondo) e la delimitazione dell’autorità dell’imperatore, anch’esso soggetto alla chiesa. Opere: - INNI quelli autentici sono: Aeterne rerum conditor, Iam surgit hora tertia, Deus creator omnium, Veni redemptor gentium. Vennero scritti in occasione dell’occupazione dei cristiani della chiesa Porziana (che voleva essere restituita agli ariani): per intrattenere gli occupanti Ambrogio pensò di far cantare questi testi dal facile ritmo, che ebbero grande successo nella liturgia cristiana. - Epistolarioalterna vicende private e ufficiali. Importante è la disputa di Ambrogio stesso e Simmaco all’altare della Vittoria, ritenuta ultima battaglia contro il paganesimo. - Hexameronopera esegetica che si configura come commento ai sei giorni della creazione, narrati nel libro della Genesi. Caratterizzata da una raffinata esposizione descrittiva. GIROLAMO nacque in Dalmazia intorno al 347, viaggiò molto in Oriente e a Roma dove, come sacerdote, fu ordinato segretario del papa Damaso, alla morte del quale tuttavia il suo prestigio declinò, criticato per gli eccessi del proprio rigore ascetico. Ripartì per la Palesitina, dove morì nel 420. Ci vengono tramandati scritti agiografici, di polemica religiosa e un epistolario, in cui analizza il rapporto tra cristianesimo e tradizione classica (famoso è il suo iniziale rifiuto del classicismo dopo un sogno, in cui veniva condannato di essere ‘ciceronianus’ e non cristiano). Le opere: - VULGATAtraduzione in latino della Bibbia, lavorando direttamente sul testo ebraico (e non sulla mediazione di quello greco). L’opera, completata in 15 anni, è un testo unitario e attendibile, oltre che unica versione autorizzata (anche se il successo non fu immediato: Agostino lo criticava). - Chronicon libritraduzione della Cronaca del greco Eusebio, scritto di cronologia e storia universale che l’autore integra con i fatti del mondo latino. - De viris illustribusserie di biografie di scrittori cristiani (secondo valutazioni personali) AGOSTINO nacque in Africa settentrionale nel 354, studiò a Cartagine, dove la lettura dell’Hortensius di Cicerone lo portò a una grande crisi spirituale (si avvicina al manicheismo). Trasferitosi a Roma, divenne insegnante, poi ottenne la cattedra di retorica a Milano, dove si convertì al cristianesimo. In seguito tornò in Africa e divenne vescovo fino alla morte, nel 430. Agostino è ritenuto uno dei maggiori pensatori latini, le sue teorie hanno condizionato il Medioevo, così come le sue argomentazioni filosofiche (relatività del tempo, rapporto tra destino-libero arbitrio, etc). Avrebbe composto almeno 1030 scritti. I più noti: - CONFESSIONES “lode ed esaltazione di Dio”, in tredici libri, che contengono un resoconto autobiografico in cui Agostino traccia la storia del proprio itinerario spirituale, dal peccato alla conversione; a partire dal libro 10 lascia il posto a riflessioni filosofiche. Protagonista dell’opera è lo stesso Agostino, che si descrive come un peccatore comune, i cui avvenimenti non sono eccezionali, ma lo diventano col procedere del cammino spirituale (es: episodio pere rubate e gettate ai maiali). Caratteristica principale è l’analisi psicologica degli stati d’animo: sentimento, angoscia, pathos. Non è propriamente riconducibile al genere dell’autobiografia antica (perché mancano le caratteristiche del genere, come dati sulla famiglia, gli studi, etc), ma è ritenuta la prima autobiografia in senso moderno, cioè con toni introspettivi. - De civitate Dei in 22 libri, nasce come risposta alle accuse dei pagani, che avrebbero additato i cristiani come colpevoli della rovina dell’impero (Sacco di Roma, 410). Agostino teorizza l’esistenza di due città: quella terrena, del diavolo (destinata a morire), e quella celeste, di Dio (eterna), che vivono intrecciate. Idea innovativa: la storia è quella dell’umanità, non delle nazioni (come avevano sempre pensato i pagani); così Agostino smitizza il grande passato romano fornendo esempi di disastri, segni della tendenza umana al peccato. L’opera è ricca di esemplificazioni e rimandi classici Altre opere degne di nota sono quelle teologico-dottrinarie: De Trinitate e De doctrina cristiana; quelle filosofiche: Dialoghi di Cassiciàco, Soliloquia, De Musica; infine quelle di polemica contro i manichei, i donatisti e i pelagiani. Agostino è un autore ricco di cultura, in ogni campo del sapere, che si sforzava di scrivere per tutti, adeguando lo stile all’argomento trattato: è sostenuto negli scritti destinati ai dotti, colloquiale nei Sermoni. La frase, disposta musicalmente, presuppone una lettura ad alta voce.
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