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Riassunto "Letteratura latina. Manuale storico dalle origini alla fine dell'impero romano", Schemi e mappe concettuali di Letteratura latina

Riassunto del manuale di G. B. Conte. Il riassunto contiene, oltre alle parti di inquadramento storico, le schede dei seguenti autori: Agostino, Apuleio, Catullo, Cesare, Cicerone, Ennio, Giovenale, Girolamo, Livio, Livio Andronico, Lucano, Lucilio, Lucrezio, Marziale, Nevio, Orazio, Ovidio, Petronio, Plauto, Plinio il Vecchio, Properzio, Quintiliano, Sallustio, Seneca, Stazio, Svetonio, Tacito, Terenzio, Tibullo, Virgilio.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

In vendita dal 05/04/2022

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Scarica Riassunto "Letteratura latina. Manuale storico dalle origini alla fine dell'impero romano" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Alta e media repubblica LE ORIGINI La nascita della letteratura latina Nasce nel 240 a.C., quando Livio Andronico ha fatto rappresentare per la prima volta un testo scenico in lingua latina. La letteratura latina nasce adulta, traduzione di quella greca: ne assimila i processi di imitazione, allusione e caratterizzazione degli stili. Delle forme precedenti alla letteratura programmaticamente modellata su quella greca gli eruditi si vergognano e ne cancellano la memoria eleggendo Ennio al ruolo di Omero romano. I carmina I Romani chiamavano carmina le composizioni più disparate: Cicerone chiama così le leggi delle XII tavole ma a loro volta nelle leggi sono messe al bando formule magiche chiamate carmina. Carmen è una sorta di prosa dotata di tessitura ritmica segnata da corrispondenze e parallelismi tra vari cola, allitterazione e una lingua difficile e solenne. La tradizione stilistica dei carmina è il più potente tratto di continuità che unisce il periodo delle origini alla storia letteraria di Roma. La tradizione dei carmina non scompare mai del tutto, è un atteggiamento stilistico connaturato all’espressività dei Romani le cui cadenze si percepiranno ancora in alcuni versi di Virgilio. Testi religiosi: carmen Saliare, carmen Arvale Testi giuridici: leges regiae, XII tavole Epitafi Il verso saturnio L’etimologia del termine fa pensare a qualcosa di indigeno, come è autoctono il dio Saturno, ma tutte le attestazioni che abbiamo si inseriscono in un’epoca (3°/2° secolo a.C.) già imbevuta di cultura greca. È probabile che i singoli cola fossero di origine greca e che siano stati riuniti in un unico verso a Roma: il saturnio è quindi una sintesi romana di elementi greci. IL TEATRO ROMANO ARCAICO Origini A partire dal 240 a.C. c’è una vasta fioritura di opere sceniche di grande successo popolare. I generi teatrali romani sono di importazione greca: - palliata dal pallio, indumento greco: Plauto, Cecilio Stazio, Terenzio - coturnata dai coturni, calzari degli attori tragici greci: Livio Andronico, Nevio, Ennio, Pacuvio, Accio Sviluppo dei corrispondenti romani: - togata - praetexta/trabeata Larga ispirazione al canone greco (Sofocle ed Euripide) ma scelta di argomenti romani rispetto ai miti greci, soprattutto fatti della storia. Possibilità di mediazione etrusca dal modello greco a quello romano: termini come histrio sono di origine etrusce; testimonianza di Livio. Organizzazione degli spettacoli teatrali OCCASIONE: festività religiose, i cosiddetti ludi scaenici. Sono 4 nell’età di Plauto e Terenzio: ludi Romani (settembre), ludi Megalenses (aprile), ludi Apollinares (luglio), ludi plebeii (novembre). MESSA IN SCENA: riproduzione degli allestimenti propri della Commedia Nuova, esterni con 2/3 case e strade verso la città o verso la campagna MASCHERE E COSTUMI: fissi, in grado di far riconoscere il tipo di personaggio. Le maschere hanno un’implicazione pratica ma l’uso di questi tipi psicologici ha profondo influsso sulla poetica dei commediografi latini. ATTORI: mai uomini liberi, marchio d’infamia. Il riconoscimento sociale andò crescendo con il successo di pubblico e con il consolidarsi dei legami tra autori e aristocrazia (da scriba a poeta): Terenzio. COMMITTENZA: influsso sui contenuti, no attacchi personali e critica sociale nella commedia. Forme sceniche PALLIATA (di Plauto) Commedia non divisa in atti e composta di parti cantate e recitate. 3 modi di esecuzione metrica: 1) senari giambici: parti recitate senza accompagnamento musicale 2) settenari trocaici: parti recitative con accompagnamento musicale 3) varietà di metri delle parti cantate GNEO NEVIO Primo autore latino ad essere anche cittadino romano attivamente coinvolto nella vita politica. Dimenticato una volta che viene abbandonato il saturnio, ma ha profondo influsso nell’Eneide e rimane come esempio di poesia civica. La vita Cittadino romano di origine campana, probabilmente da una famiglia plebea, combatté nella prima guerra punica. Aspre polemiche antinobiliari nella sua vita, testimonianze di attacchi alla famiglia dei Metelli. Prima rappresentazione di un suo testo scenico nel 235, morì a Utica nel 204 o 201. Ci rimangono circa una 60ina di versi dei 4/5000 del Bellum poenicum, 2 praetexte, 7 tragedie di argomento greco e 28 titoli di commedie. Il Bellum Poenicum, la struttura Novità: sia la scelta di un tema storico quasi contemporaneo, sia il salto cronologico arditissimo con cui arrivava a narrare le origini leggendarie di Roma. Narrava l’arrivo nel Lazio di Enea, versione del mito accolta anche da Virgilio. Nel racconto della “preistoria di Roma” aveva grande importanza l’intervento divino e l’ascesa di Roma era collocata in una specie di visuale cosmica nutrita di cultura greca. Può darsi che sia arrivato persino ad inserire un incontro con Didone (precedente per le guerre puniche), dimostrandosi così molto più vicino a Virgilio di quanto lo sia Ennio. Ispirazione nazionale del poema ma su modelli greci: è un intreccio tra storia di viaggio (Odissea) e storia di guerra (Iliade), come già aveva fatto Apollonio Rodio con le Argonautiche. Lingua e stile dell’epos neviano Ricerca di un nuovo linguaggio poetico: creazione di nuovi composti, nuove combinazioni sintattiche, lunga narrazione continua simile a quella storiografica. Linguaggio semplice e concreto. Allitterazioni, figure etimologiche. Inserisce termini tecnici e vocaboli prosaici in poesia. Ampio ricorso alle figure di suono, come tutti gli arcaici. Teatro - Praetextae: Romulus, sulla fondazione di Roma e Clastidium, sulla vittoria di Casteggio. - Tragedie mitologiche di stampo greco: Equos Troianus, Danae, Hector proficiscens, Iphigenia dal ciclo troiano. Lycurgus legato alla diffusione del culto dionisiaco in Roma. - Commedie: palliate da modelli greci ma anche opere di ambiente romano. Corollaria, Tarantilla. Inserito nel canone dei 10 migliori commediografi latini. Il suo teatro era più impegnato di quello del secolo successivo, conteneva attacchi personali e scandiva il suo amore per la libertà. L’aggressione ad un avversario politico ha il suo antecedente in Aristofane ma non ha nessun continuatore  il teatro comico latino restò dopo di lui fortemente emarginato dalla vita politica di Roma. PLAUTO Plauto e Terenzio sono gli unici di cui rimangono commedie integre. Pur partendo entrambi dalla tradizione della Commedia Nuova di Menandro, diedero vita a due idee di teatro comico profondamente diverse. Vita: un cittadino libero ma non romano Nasce tra il 255 e il 250 a.C. a Sàrsina, una cittadina nell’odierna Romagna, cittadino libero. Il periodo di fioritura letteraria si colloca tra la fine del 3° secolo e il 184, anno della morte. Il cognome umbro Plotus è latinizzato in Plautus. Il suo nome completo pare essere Titus Maccius Plautus (come riportato nel Palinsesto Ambrosiano): Maccus era il nome di un personaggio tipico dell’atellana, che verosimilmente Plauto si è attribuito giunto in Roma. Le commedie: apocrifi e canone varroniano Autore prolifico e di successo, soggetto ad imitazione e plagio. Le prime edizioni dei testi plautini risalgono alla metà del 2° secolo, vere edizioni critiche ispirate ai criteri della filologia alessandrina: didascalie, sigle dei personaggi, impaginazione dei versi scenici,… Varrone, erudito d’età repubblicana, aveva selezionato 21 commedie: Amphitruo, Asinaria, Aulularia, Captivi, Curculio, Càsina, Cistellaria, Epìdicus, Bàcchides, Mostellaria, Menaechmi, Miles gloriosus, Mercator, Psèudolus, Poenulus, Persa, Rudens, Stichus, Trinummus, Truculentus, Vidularia. Solo queste accettate da Varrone come sicure e autentiche, molte altre probabilmente plautine sono andate perse nella tarda antichità. Cronologia: Stichus 200, Psèudolus 191, Càsina 186. La struttura delle commedie plautine Sono pervenuti circa 21mila versi. Fortissima prevedibilità degli intrecci e dei tipi umani incarnati dai personaggi. Plauto desidera questa prevedibilità, non vuole porre problemi, la comicità dei suoi drammi risiede nella forza comica delle singole situazioni e nell’inesauribile creatività verbale della sua lingua. Usa prologhi espositivi spesso, la trama è già rivelata. Personaggi/tipi: il servo astuto, il vecchio, il giovane amatore, il lenone, il parassita, il soldato vantone. La forma dell’intreccio: ovunque medesimo schema della lotta per il possesso di un bene, generalmente una donna o una somma di denaro. Il vincitore di solito è il giovane e il perdente ha in sé la giustificazione del suo essere perdente, così la vittoria finale trova corrispondenza nei codici culturali familiari al pubblico. La “commedia del servo”: l’azione di conquista del bene è spesso delegata ad un servo ingegnoso, una sorta di demiurgo, artista della frode e riconosciuto come Doppelgänger dell’autore. Psèudolo, ad esempio, rivendica il proprio ruolo creativo apertamente con gli spettatori: “io ora mi farò poeta: le venti mine, che ora non esistono in alcun luogo, pure io le troverò”. La coppia giovane desiderante-servo raggiratore è una costante tematica, su cui si innestano delle variazioni, ma sono varianti occasionali che non intaccano la sostanza dell’intreccio, scandita da tre fasi: il servo medita l’inganno – agisce – trionfa. Un valore stabilizzante e antagonista degno del servo è la Fortuna, la Tyche. La “commedia del riconoscimento”: tutte le commedie, accanto alla “commedia del servo” (non c’è mutua esclusione), ruotano intorno ad un riconoscimento. Può esserci una lunga fase di errori e confusioni di persone (“commedia degli equivoci”) oppure il problema dell’identità emerge solo alla fine. Hanno tutte in comune lo scatto fortunoso dell’agnizione finale conclusiva, il riconoscimento che scioglie ogni difficoltà. Lo schiavo furbo nella “commedia del riconoscimento” fa il lavoro sporco di falsificare e ingannare, è grazie alla Fortuna che si scopre una realtà più sincera e autentica di quella truccata dallo schiavo. “Commedia della Tyche” e “commedia del servo” trovano così un interessante centro di equilibrio e questi due filoni, i preferiti di Plauto, si saldano in una visione del mondo che ha inesauribili potenziali di comicità. Plauto e la commedia greca I titolo di Plauto non sono quasi in nessun caso traduzioni di titoli greci, non si preoccupa di comunicare al suo pubblico poco ellenizzato qual è il modello a cui si riferisce. Siamo sicuri però che Cistellaria, Stichus e Bàcchides si basano su tre commedie menandree. Plauto, pur attingendo ai grandi maestri della commedia ellenistica, non ha una marcata preferenza per nessuno di essi e ricorre anche ad autori non di primo piano. Le differenze strutturali: ristrutturazione metrica (riscrittura in cantica polimetrici dei brani recitati e dei recitativi), cancellazione della divisione in atti, trasformazione del sistema onomastico (non dà mai gli stessi nomi degli originali, voleva un suo autonomo stato civile di nomi greci ma sempre nuovi e non fissi). Plauto ha lavorato molto per assimilare i modelli attici, ma poi ha lavorato altrettanto per distruggere molte caratteristiche di questi modelli: coerenza drammatica, realismo linguistico, sviluppo psicologico, analisi, sfumature,… che erano proprio le qualità che determinavano il valore della Commedia Nuova. Le differenze stilistiche: stile vario e polifonico, non dipende totalmente da nessuno dei suoi modelli. È uno stile originale fatto di giochi di parole, metafore e similitudini, enigmi, paragoni mitologici, toponimi fantastici, neologismi istantanei, allusioni scherzose alle istituzioni e al linguaggio militare di Roma. Letteratura e pubblico: riflessi della società romana nelle commedie plautine La struttura tipica degli intrecci e la ripetizione di modelli già noti è lo strumento con cui l’autore dialoga con il suo pubblico, invitandolo implicitamente a riflettere sulla società romana contemporanea. Azione e scioglimento (= rovesciamento dei valori tradizionali e ritorno all’ordine): l’intreccio plautino porta spesso ad una fase in cui possono vacillare i valori sociali e familiari riconosciuti, in cui c’è una minaccia di sovversione di ciò che il pubblico accetta come naturale e normale. I conflitti che emergono non assumono mai in Plauto, ma in Terenzio sì, un valore diretto di riflessione critica e di rinnovamento della mentalità tradizionale. ampliamento, intensificazione patetica, libera contaminazione dei modelli inquadrati nella tradizione della prassi teatrale greca. Elementi strutturali della tragedia enniana: Ennio mantiene il coro, in cui gli spettatori sono chiamati a riconoscersi ed identificarsi come un’assemblea di virtuali cittadini. Platuo nel Poenulus fa una parodia dell’Achilles di Ennio: l’attore che interpreta il prologo si rivolge al suo pubblico interpretando momentaneamente la parte dell’araldo di Agamennone. In questo gioco meta-teatrale Plauto tocca un principio fondamentale della poetica teatrale di Ennio: la ricerca di un’identificazione tra pubblico e personaggi. Uno stile moderno, grandioso e patetico: effetti spettacolari, retorica della commozione, c’è tutto il vocabolario della teatralità greca. È anche un autore aggiornato, attento alle critiche: per esempio nella Medea accoglie la critica che facevano ad Euripide che aveva invertito l’ordine cronologico dei fatti nel discorso della nutrice, Ennio lo sistema. Gli Annales, poema nazionale romano Poesia ed encomio strettamente saldati, già in Scipio e nell’Ambracia, così negli Annales. Critica di Catone. Finalità e struttura degli Annales Poesia come celebrazione di gesta eroiche: si rifaceva da un lato ad Omero, dall’altro all’epica ellenistica di argomento storico/celebrativo. Titolo fa riferimento agli Annales Maximi, pubbliche registrazioni dei pontefici massimi. Racconta gli eventi in ordine cronologico progressivo, ma è più selettivo di uno storico e racconta quasi solo eventi bellici. Alcune fasi storiche hanno più risalto di altre, come per esempio la 2° guerra punica rispetto alla 1°, già narrata da Nevio. Novità della divisione in libri: ogni libro del poema ha una sua autonomia narrativa. Fonti storiografiche varie, tra cui Fabio Pittore. Libri 1-3 Proemio, venuta di Enea in Italia, Romolo e Remo: la fondazione di Roma, età monarchica Libri 4-6 Guerre contro i popoli italici, guerra contro Pirro Libri 7-10 Proemio al mezzo, guerre puniche 1 e 2 Libri 10-16 Campagne in Grecia e in Siria, trionfo di M. F. Nobiliore sugli Etòli Libri 16-18 Campagne militari più recenti I due proemi programmatici Piano originale degli Annales prevedeva 15 libri, si sarebbe concluso con il trionfo di Fulvio Nobiliore. Poi aggiunse tre libri, probabilmente per aggiornare il poema con la celebrazione di più recenti imprese romane. - Proemio al libro 1: investitura poetica in sogno. È motivo tradizionale, già in Callimaco ed Esiodo. Ad Ennio appare l’ombra di Omero che gli rivelava di essersi reincarnato proprio in lui  simbolo impressionante della volontà con cui i poeti romani si appropriano dei modelli greci. - Proemio al libro 7: spazio alle Muse, non più Camene che non è un termine adatto (Ennio è il primo poeta dicti studiosus, filologo, cultore della parola). Sicuramente Ennio nell’affermare orgogliosamente la sua priorità tra i Romani lo faceva perché era stato il primo ad adottare l’esametro dattilico, il verso della grande poesia epica greca. L’epica come poesia civile Sulla scorta di Omero, gli Annales sono un epos formativo: fissano valori, esempi di comportamento, modelli culturali. La visione del mondo che Ennio comunica con il suo poema è il trionfo dell’ideologia aristocratica, sono le virtutes degli individui eccellenti, grandi nobili e magistrati, a fare la storia. Fabio Massimo il Cunctator è celebrato. Nevio non faceva nomi. Ennio è il più grande poeta di una cerchia aristocratica che rilegge la storia di Roma in funzione dei propri valori e interessi: Moribus antiquis res stat Romana virisque. Concezione colta e umanistica della virtus, che è sì virtù guerriera ma soprattutto virtù di pace. Questo aspetto fa già pensare a Terenzio e al tentativo di amalgamare le tradizionali virtù aristocratiche con la cultura greca  tendenza umanistica e grecizzante. Uno stile all’insegna della sperimentazione Poeta audacemente sperimentale: grecismi lessicali, sintattici e morfologici; figure di suono e allitterazioni nell’esametro  Tite, tute, Tati, tibi tanta, tyranne, tulisti Esametro in lingua latina elaborato da Ennio: regole per gli incontri vocalici, cesure, … Scrive anche versi olodattilici o olospondiaci, ma era il primo, non aveva alcun modello davanti. Le allitterazioni producevano effetti di monotonia nell’esametro, i poeti successivi ne fecero un uso più misurato e significativo. Il saturnio era ormai definitivamente superato. CECILIO STAZIO un grande commediografo tra Plauto e Terenzio Il naufragio di un’apprezzata produzione teatrale Stazio è trattato come un minore a causa della perdita quasi integrale dei suoi testi (rimangono circa 600 versi), ma Varrone, Cicerone e Orazio lo valutano come un autore di primo rango, per niente inferiore a Plauto e Terenzio. Il canone dell’erudito Volcacio Sedìgito lo pone al primo posto. Vita: originario di Milano arrivato a Roma dopo la vittoria di Casteggio (222), liberto dei Metelli, acme della produzione nel 180. Fu contemporaneo di Plauto e amico intimo di Ennio, accanto a cui fu sepolto nel 168. Legato all’influente impresario teatrale Ambivio Turpione. Le opere: rimangono una 40ina di titoli di palliate, la più famosa è Plocium. Un intermediario tra Plauto e Terenzio Del teatro plautino: atmosfera vivace, ricchezza di metri, parti cantate. Del teatro di Terenzio: vicinanza a Menandro e alla Commedia Nuova, maggiori rispetto per i modelli (riproduzione fedele dei titoli originali), riflessioni sulla condizione umana. Gellio istituisce un confronto tra il Plocium di Stazio e il Plòkion di Menandro: grandi innovazioni di Stazio, poetica comica autonoma. Il tranquillo monologo di un marito che si lamenta perché la moglie ha cacciato l’ancella diventa in Stazio aria farsesca, un canticum. Andria (La ragazza di Andro). La ragazza venuta da Andro è Glicerio, abbandonata da bambina e allevata da una cortigiana. Di lei si innamora Panfilo, ma il loro sembra un amore impossibile perché il padre, Simone, lo ha fidanzato alla figlia di Cremete, Filomena, a sua volta amata da Carino, amico di Panfilo. La vicenda si complica per i maldestri tentativi dello schiavo Davo, ma il lieto fine giunge con il riconoscimento di Glicerio come figlia di Cremete. Hècyra (La suocera). È un dramma sentimentale privo di comicità, incentrato su una suocera ideale, Sostrata, il cui figlio Panfilo ha sposato Filumena. Al ritorno da un viaggio, Panfilo non trova la moglie che si sarebbe rifugiata a casa dei genitori a causa dei maltrattamenti della suocera, almeno così pensano tutti. In realtà Filumena sta per partorire un bimbo, frutto di un atto di violenza subito prima del matrimonio da uno sconosciuto, che poi si scopre essere proprio Panfilo. Sostrata e la cortigiana Bacchide contribuiscono alla riconciliazione della coppia. Heautontimorùmenos (Il punitore di se stesso). Protagonista della commedia è il vecchio Menedemo, che si autopunisce con una dura vita da contadino per aver spinto il figlio Clinia ad arruolarsi come mercenario, non approvando il suo amore per la bella ma povera Antifila. Il figlio ritorna e potrà sposare l'innamorata che è riconosciuta come figlia da Cremete, un amico di Menedemo. Intrecciata con questa storia vi è quella d'amore del figlio di Cremete per la cortigiana Bacchide. Eunuchus (L'eunuco). L'etera Taide ha due amanti, Fedria e Trasone, un soldato fanfarone. Da quest'ultimo riceve in dono come schiava, Panfila, una fanciulla con cui Taide era cresciuta. Cherea, fratello di Fedria, innamorato di Panfila, penetra nella casa di Taide travestito da eunuco e seduce la giovane schiava. La vicenda si conclude col matrimonio dei due, perché Panfila è riconosciuta libera cittadina, mentre Fedria tiene per sé Taide. Phormio (Formione). L'astuto parassita Formione, aiutato dal proprio schiavo Geta, riesce con un cavillo giuridico a far sposare il suo giovane protettore Antifone con la povera Fanio, che poi viene riconosciuta appartenere a una buona famiglia. Formione in seguito procura a Feria, cugino di Antifone, la somma necessaria per riscattare una suonatrice di cui è innamorato. Adèlphoe (I fratelli). I due fratelli Ctesifone ed Eschino, sono educati con metodi diversi: il primo severamente in campagna dal padre Demea, il secondo liberamente in città dallo zio paterno Micione. Eschino, considerato dal padre uno scapestrato, rapisce la cortigiana Bacchide, confermando il giudizio paterno negativo. In realtà il giovane, innamorato di Panfila, ha compiuto il rapimento per il fratello Ctesifone. Dopo varie vicende la commedia si conclude con il matrimonio dei due giovani, con il ripensamento sui metodi educativi da parte di Demea, che concede a Ctesifone di tenere in casa Bacchide. LUCILIO e la nascita della satira Un aristocratico fuori dal coro Stesso ambiente culturale di Terenzio, ma Lucilio appartiene all’ordine equestre, è un uomo di alto rango colto e benestante che non vive del proprio lavoro letterario e può quindi permettersi scelte ardite. Una vita per le lettere: famiglia di Suessa Aurunca, in Campania. Nasce 168-167 e muore nel 102. Scrisse 30 libri di satire, rimangono 1300 versi. Nel 1° secolo già circolava un’edizione curata da Valerio Catone, che divideva i libri in: 1-21 esametri dattilici; 22-25 distici elegiaci; 26-30 metri misti. Forse Lucilio aveva pubblicato verso il 130 una prima raccolta in 5 libri, i 26-30. Il fatto che Lucilio si sia orientato progressivamente verso l’esametro è una provocazione ironica, ma sarà proprio l’esametro poi a essere fatto proprio da Orazio, che lo rende il verso della satira. Il titolo Saturae non è attribuibile con certezza a Lucilio, ma Orazio lo usa proprio per definire il tipo di poesia inaugurato da Lucilio. Le origini di un genere interamente romano Spiegazione antica del termine fa riferimento al greco sàtyros, ma è falsa. Si rifà sicuramente alla satura lanx, un piatto misto di primizie offerto agli dei e anche un tipo di insalata mista. Fa in ogni caso riferimento alla mescolanza e varietà di temi. Quintiliano dice: “Satura tota nostra est”. Nonostante i tentativi di Orazio di individuare un precedente in Aristofane o Callimaco, l’impulso originario per la satira è specificamente romano. È un genere letterario disponibile ad esprimere la voce personale del poeta, a raccontare in versi momenti ed esperienze della sua vita. Sull’esempio dei poeti alessandrini, il canone estetico della varietas (poikiìa) si contrapponeva all’uniformità altisonante dell’epica narrativa. Anche Ennio aveva scritto satire, 4 o 6 libri, su argomenti disparati ma senza tracce di aggressione satirica. Certo Ennio ha il merito di aver portato un atteggiamento di consapevolezza di sé da parte del poeta. La grande importanza storica di Lucilio sta nell’essersi concentrato esclusivamente sul genere della satira, che Ennio aveva praticato come genere minore fra tanti. Lo sviluppo della satira nell’età di Lucilio significa anche la crescita di un nuovo pubblico, interessato alla poesia scritta e desideroso di una letteratura più aderente alla realtà contemporanea. Varietà di temi e motivi nella satira di Lucilio Libro I: Concilium deorum, parodio in cui Lucilio prendeva di mira un certo Lentulo Lupo, che gli dei facevano morire di indigestione. Libro III: narrazione di un viaggio in Sicilia (viaggi anche nella satira oraziana e nel Satyricon). Filone gastronomico: nel Libro XXX sordido banchetto, lusso a tavola; nel XX banchetto con un tale Granio, antenato letterario di Trimalcione. Libro XVI: dedicato alla donna amata, Lucilio antesignano della poesia personale d’amore. Ci sono poi disquisizioni su problemi letterari, critica al gusto enfatico e declamatorio di Accio e Pacuvio, allo stile solenne e ai generi poetici elevati (convergenza con Callimaco). Polemica e anticonformismo Non sappiamo quanto le satire di Lucilio fossero collegate ad un programma unitario, ma è chiara l’esistenza di un programma letterario innovativo e organico, sostenuto da una personalità vivacemente anticonformista. Spirito moralistico, critica sociale del luxus e delle manie grecizzanti. Impegno educativo. Realismo stilistico: amalgama il linguaggio elevato dell’epica, rivissuto come parodia, e linguaggi specialistici che finora erano rimasti esclusi dalla poesia latina (con un esorbitante quantità di grecismi). La disarmonia dello stile di Lucilio è, insieme a Petronio, quanto di più vicino al realismo moderno offra la letteratura latina. La fortuna di Lucilio Modello per tutti i satirici latini, Orazio lo consacra inventor del genere. La vivace polemica personale era legata a condizioni sociali e istituzionali della repubblica: nella Roma imperiale, la satira dovrà cercarsi altri bersagli. Orazio, infatti, sente Lucilio lontano da sé, quasi quanto Aristofane. racconto colorito, ironia arguta, pathos tragico) gestita con sicurezza. Maestro nell’arte del ritratto: Verre che si fa portare in giro sulla portantina e annusa una reticella di lino piena di rose. L’ingresso in senato Pro lege Manilia (66): appoggia la proposta di affidare poteri straordinari a Pompeo per la guerra contro Mitridate. L’orazione, in seguito ripudiata, è il massimo avvicinamento di Cicerone alla politica dei populares. Quest’operazione di Cicerone è dettata dal fatto che in Oriente a essere minacciati erano i cavalieri, dei quali necessitava l’appoggio. Anche a Pompeo serviva l’appoggio degli equites, ma a differenza di questo Cicerone non appoggiava le politiche demagogiche. Cicerone cominciava a scorgere la via d’uscita dalla crisi della repubblica: accordo tra ceti abbienti, senatori e cavalieri  concordia ordinum. Il consolato Catilinariae (63): quattro orazioni pronunciate in senato per soffocare il tentativo eversivo di Catilina. Nella prima spiccano i toni veementi, minacciosi e patetici che culminano nella prosopopea della Patria, che si rivolge a Catilina biasimandolo. Nella seconda spicca il ritratto sociologico di Catilina e dei suoi seguaci corrotti: “negli ultimi anni è stato commesso un delitto senza di lui?” Pro Murena (fra la prima e la seconda Catilinaria, 63): difesa dall’accusa di corruzione elettorale di Lucio Licinio Murena, console designato per l’anno successivo. Accusa mossa da Servio Sulpicio Rufo e sostenuta dal rigorismo morale di Catone l’Uticense. In questa orazione C. sceglie la via dell’ironia e dello scherzo, satira lieve ed arguta. Inizia l’elaborazione della nuova morale di Cicerone, che prende posizione contro l’arcaico moralismo di catone  nuovo modello etico: rispetto del mos maiorum ma addolcimento dei costumi. De lege agraria e Pro Rabirio (63): orazioni contro i progetti di legge agraria e i popolari Pro Archia (63): difesa di Archia di Antiochia (accusato di usurpazione della cittadinanza romana), poeta a cui Cicerone aveva chiesto di comporre un poema celebrativo del suo consolato. Cicerone si sentiva un padre della patria, cercava di esaltare la funzione storica del proprio consolato. Contiene un’appassionata difesa della poesia e una rivendicazione della nobiltà degli studi letterari. Primo triumvirato e orazioni anticlodiane Nel 62 Cicerone aveva distrutto l’alibi di Clodio in un processo in cui era stato accusato di aver profanato un’importante cerimonia a casa di Cesare. Abbandonato sia dalla nobiltà che da Pompeo, è costretto all’esilio a Tessalonica/Durazzo a causa di una legge fatta passare da Clodio contro la condanna a morte senza processo. Rientrato a Roma nel 57 la città è a pezzi per il conflitto tra Clodio e Milone. Pro Sestio (56): tribuno accusato da Clodio, occasione per esporre nuova teoria di Cicerone. La concordia ordinum si era rivelata fallimentare, così Cicerone ne dilata il concetto in quello di consensus omnium bonorum: concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti, amanti dell’ordine politico e sociale, pronte all’adempimento dei propri doveri nei confronti della patria e della famiglia. I boni sono una categoria che attraversa verticalmente gli strati sociali e il loro dovere è fornire sostegno agli indigenti, che sono spinti dalla loro condizione a desiderare rovesciamenti sovversivi. L’urgenza della situazione spinge però i boni a cercare una soluzione nella guida di personaggi eminenti, da cui l’avvicinamento ai triumviri. Periodo di indecisione e oscillazioni politiche per Cicerone, che continua ad attaccare Clodio (In Pisonem) ma appoggia la politica dei triumviri (De provinciis consularibus) con la speranza di condizionarne l’operato. Difende anche vari personaggi vicini a cesare (Pro Balbo, Pro Rabirio Postumo). Pro Caelio (56): Celio era stato l’amante di Clodia (la Lesbia di Catullo), sorella del tribuno Clodio. Attaccando Clodia Cicerone sfogò il suo astio contro Clodio: la definì una volgare meretrice e la accusò di rapporti incestuosi con il fratello. Una delle orazioni più riuscite di Cicerone. La vena satirica la avvicina alla Pro Murena, ma anche il maturare della proposta di nuovi modelli etici: nel ripercorrere le tappe della vita di Celio Cicerone dipinge uno spaccato della società romana del suo tempo e giustifica i nuovi costumi. Le virtù che hanno reso grande lo Stato romano non si trovano più nemmeno nei libri. Bisogna allentare le briglie ai giovani, purché essi non perdano di vista alcuni principi fondamentali. Altrimenti il rischio è di creare una frattura troppo grossa e insanabile, che porterebbe ad un rovesciamento dei valori. Il modello cultura di Cicerone mira a ricondurre i nuovi comportamenti all’interno di una scala di valori che continui a essere dominata dalle virtù della tradizione ma spogliate dal loro eccesso di rigore e rese più flessibili per un mondo in evoluzione. Dalla guerra civile alla dittatura di Cesare Pro Milone (52): difesa di Milone accusato per la morte di Clodio. Capolavoro stilistico ma rielaborata successivamente, di fronte ai giudici fu un brutto insuccesso. Gli cedettero i nervi per la situazione in cui versava la città. Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro (46-45): orazioni cesariane. Ricerca di collaborazione con Cesare, abbondano di elogi a Cesare nel tentativo di delineare una riforma dello stato rispettosa delle istituzioni repubblicane. Ma Cicerone si faceva poche illusioni, il passaggio di Cesare alla dittatura confermò i suoi timori. Lotta contro Antonio Filippiche (dall’estate 44): forse 18, ne restano 14. Pronunciate per indurre il Senato a muovere guerra ad Antonio. Il titolo allude alle requisitorie di Demostene contro Filippo di Macedonia, ma non è sicuro, alcuni le chiamano Antoniane. Seconda Filippica: unica non effettivamente pronunciata, spira odio, Antonio tiranno assoluto “che vomita in tutto il tribunale pezzi di cibo fetidi di vino”. Voltafaccia di Ottaviano, secondo triumvirato: Antonio lo vuole iscritto nelle liste di proscrizione, viene assassinato dai suoi sicari e la sua testa appesa ai rostri nel Foro. Ragioni del fallimento di Cicerone: gli mancarono le condizioni per crearsi un seguito clientelare o militare capace di supportare la sua linea politica; sottovalutò il peso degli eserciti personali; si fece troppe illusioni sui boni, che confidarono prima in Cesare e poi in Augusto. RETORICA De inventione (in gioventù): trattatello in cui il giovane avvocato si pronuncia in favore di una sintesi di eloquenza e sapientia (cultura filosofica). Dopo il 55 sente il bisogno di dare una sistemazione teorica a una serie di conoscenze ed esperienza, soprattutto come risposta culturale alla profonda crisi politica del suo tempo. La formazione dell’oratore De oratore (55): dialogo ambientato nel 91 tra Marco Antonio, L. Licinio Crasso e Cicerone nella villa di campagna di un nobile. Libro 1: Crasso sostiene che all’oratore è necessaria una vasta formazione culturale, Antonio gli contrappone un oratore più istintivo e autodidatta. Libro 2: Antonio espone problemi sulla creazione dell’opera retorica. Libro 3: questioni sull’esposizione dell’opera retorica. Il 91 è un anno significativo, anno della morte di Crasso e che precede di poco la guerra sociale tra Mario e Silla, in pratica gli ultimi giorni di pace dell’antica repubblica. Dialogo su base platonica, ma in strettissimo rapporto con la pratica forense: la teoria retorica nasce dall’eloquenza, non il contrario. Problema della formazione dell’oratore: è indispensabile una vasta formazione culturale, che è direttamente legata alla affidabilità etico-politica dell’oratore. La versatilità di un oratore senza base culturale, la capacità di trarre argomenti su qualsiasi questione, è pericolosa per lo stato. Probitas e prudentia devono essere radicate nell’animo dell’oratore. La formazione dell’oratore viene a coincidere con quella dell’uomo politico della classe dirigente: uomo di vasta cultura generale che si serve della sua abilità per piegare il popolo alla volontà dei boni. Ars Oratoria continuamente oscillante tra la sapientia etico-politca e la nuda tecnica del dominio. Orator (46): trattato in cui riassume le posizioni del De Oratore. 3 fini dell’oratoria: probare (sostenere la tesi con argomenti validi), delectare (piacevole impressione estetica delle parole), flectere/movere (muovere le emozioni verso il pathos). 3 registri: umile, medio ed elevato/patetico (nella peroratio). Il dibattito sullo stile Brutus (46): risposta alle polemiche degli atticisti che lo sentivano non abbastanza distante dall’asianesimo per l’uso massiccio di figure e ridondanze. Dialogo tra lui, Bruto e Attico diventa una storia dell’eloquenza che coincide con le tappe della carriera oratoria di Cicerone (funzione autoapologetica). Cicerone rompe con gli schemi tradizionali che contrapponevano asiano/atticista: le varie esigenze richiedono registri diversi. La grande oratoria non ha schemi, e in questo Demostene è il suo maestro. De optimo genere oratorum (46): superiorità di Demostene. Topica (44): trattato sui luoghi comuni dell’oratoria (omonima a un’opera di Aristotele). FILOSOFIA Prima opera di filosofia nel 46 (Paradoxa Stoicorum), ma è nel 45, in coincidenza con eventi dolorosi come la morte della figlia Tullia e la dittatura di Cesare, che si sente veramente indifferente alle vicende politiche e si ritira in solitudine per dedicarsi alla filosofia. Hortensius, esortazione filosofica (protrettico). Interesse moralistico di Cicerone, intende offrire un punto di riferimento etico-culturale alla classe dirigente romana per ristabilirne l’egemonia sulla società. Sempre interessato a cercare la conseguenza pratica, la ricaduta in termini di azione e partecipazione politica. Sono in gran parte opere compilative che rielaborano fonti greche, ma sono originalissime nella scelta dei temi e nel taglio degli argomenti. L’obiettivo è quello di ricucire le membra lacerate del pensiero ellenistico, per trarne una struttura ideologica efficacemente operativa nei confronti della società romana. Forme e metodi: l’eclettismo ciceroniano I dialoghi richiamano spesso quelli aristotelici più che quelli platonici, in quanto si tratta di una lunga argomentazione con un personaggio a trarne le conclusioni. Nelle Tusculanae Disputationes dà la dichiarazione di metodo: Cicerone si astiene dal dare un’opinione precisa, espone le diverse opinioni possibili e le mette a confronto nel suo eclettismo filosofico ma con metodo rigoroso. Ideologia dell’humanitas: atteggiamento intellettuale di aperta tolleranza. Anche nella forma della discussione si mantengono sempre le buone maniere, non c’è vis polemica ma rispetto per il ragionamento altrui. Chiusura radicale solo nei confronti dell’epicureismo: porta al disinteresse per la politica ed esclude la funzione provvidenziale della divinità, indebolendo i legami con la religione tradizionale, base dell’etica. La teoria della conoscenza Academica priora (2 libri) e Academica posteriora (4 libri): adesione al probabilismo degli accademici per quanto riguarda la questione gnoseologica. Evita sia il dogmatismo che lo scetticismo radicale, in una mediazione che vede possibile l’avvicinarsi al vero attraverso le apparenze e le probabilità. Sistemi etici a confronto De finibus bonorum et malorum: dedicata a Bruto, 3 dialoghi in 5 libri, problema del sommo bene e del sommo male. Libri 1-2, primo dialogo: teoria degli epicurei esposta e confutata Libri 3-4, secondo dialogo: Catone l’Uticense mette a confronto la teoria stoica con le teorie accademica e peripatetica Libro 5: teoria eclettica di Antioco di Ascalona, maestro di Cicerone e di Varrone. Stoicismo tradizionale di Catone: Cicerone era già perplesso nella Pro Murena, trovando il rigore etico di Catone anacronistico e controproducente. L’eclettismo ciceroniano punta alla conciliazione tra il rigore e la solidità delle posizioni stoiche e l’apertura a un piacere moderato, proprio della filosofia peripatetica. Il sommo bene si identifica quindi con il bene dell’anima, che coincide con la virtù: solo la virtù può garantire la felicità dell’uomo. Tusculanae Disputationes: applicazione pratica del quadro teorico del De finibus. La virtù deve provare a sostenere l’anima nel concreto rapporto con i turbamenti della realtà. 5 libri, dialogo tra Cicerone e un interlocutore anonimo nella villa di Cicerone a Tuscolo. Intento divulgativo centrale. Libri da 1 a 5, rispettivamente: morte – dolore – tristezza – turbamenti dell’animo – virtù come garanzia di felicità = grande summa dell’etica antica, vasto trattato sulla felicità. Profonda partecipazione emotiva di Cicerone, che cerca le risposte ai suoi personali interrogativi tra gli altri: solennità e intensità lirica uniche. Avvicinamento allo stoicismo più rigoroso. Stato e religione Trilogia teologica tra il 45 e il 44: De natura deorum (3 libri a Bruto), De divinatione (2 libri), De fato (incompleto). Riflessi concreti dei problemi religiosi sulla vita dello stato. De natura deorum: dialogo svoltosi nel 77 o 76 tra Gaio Velleio, Lucio Balbo e Aurelio Cotta. Libro 1: tesi epicurea dell’indifferenza degli dei rispetto alle cose umane, confutata Libro 2: tesi stoica del panteismo provvidenziale Libro 3: lacunoso, scetticismo accademico Preferenza di Cicerone per la tesi stoica di Balbo, che ritiene più verosimile. De divinatione: dialogo fra Cicerone e il fratello Quinto sul tema dell’arte divinatoria. Fonte importante per la conoscenza di molte pratiche religiose. Cicerone è esitante fra la denuncia della falsità della religione tradizionale e la necessità del suo mantenimento al fine di conservare il dominio sui ceti sociali inferiori, strumentalizzabili con facilità. Nel secondo libro, successivo alla morte di Cesare, c’è uno slancio verso la ritrovata libertà. De fato: dottrina stoica del fato come destino inevitabile prestabilito dal lògos divino e che ordina il mondo. Questioni sulla libertà e la responsabilità dell’uomo. Poco posteriore all’uccisione di Cesare: gli uomini sono capaci di fare scelte libere e proprio questo è il momento di intervenire attivamente nella gestione dello stato. Prima e dopo la morte di Cesare: sulla vecchiezza e sull’amicizia Cato Maior sive de senectute (44): dialogo scritto poco prima dell’uccisione di Cesare. Amarezza per la vecchiaia a causa della perdita di possibilità di intervento politico nel personaggio di Catone il Censore. Cicerone elude la propria inattività vestendo i panni dell’antico Catone, che è infatti idealizzato, addolcito e ammansito. Dedito all’otium e all’humanitas, non ha molto del rude agricoltore che era. Laelius sive de amicitia (44): all’indomani dell’uccisione di Cesare. Dialogo ambientato nel 129 (come il De re publica), dopo la misteriosa morte di Scipione l’Emiliano. Amicitia per i romani è la creazione di legami personali a scopo di sostegno politico. La novità di Cicerone sta nell’allargare la base sociale delle amicizie aldilà della cerchia ristretta della nobilitas. A fondamento dell’amicizia ci sono virtus e probitas, riconosciuti a vari strati della popolazione. L’amicizia deve stare al centro di un nuovo sistema di valori che cementi la coesione dei boni. Ma non è solo un’amicizia politica, Cicerone esprime anche il bisogno di sentimenti sinceri, che forse ha trovato solo in Attico. L’amicitia rivela delle ambiguità nel mostrarsi come ideale di una vita allietata da affetti fraterni e allo stesso tempo come proposta di forme velate di connivenza fra i sostenitori dell’ordine sociale. Iato inconciliabile. Una morale per la classe dirigente De officis (autunno 44): elaborazione rapidissima, trattato indirizzato alla formulazione di una morale della vita quotidiana che permetta all’aristocrazia romana di riconquistare il controllo sulla società. Testamento spirituale dell’autore, dedicato al figlio Marco che allora studiava filosofia ad Atene. Si rivolge ai giovani: funzione pedagogica della divulgazione filosofica. Assume il compito di mostrare come, in tempi profondamente mutati, l’assolvimento dei doveri verso lo stato non fosse possibile senza avere assorbito la lezione filosofica dei greci. I romani erano infatti restii a qualsiasi tipo di filosofia e pensiero speculativo, ritenendo che distraesse dai doveri verso lo stato. Officium = kathèkon, ciò che si conviene  azione perfetta e razionale Tre libri 1: honestum, ciò che è moralmente giusto 2: utile 3: conflitto tra honestum e utile Per i primi due la fonte è il filosofo stoico Panezio di Rodi, che faceva parte del circolo scipionico e aveva impresso alla dottrina storica un marchio aristocratico  stoicismo moderato: rifiuto dell’edonismo epicureo ma rispetto della tradizione politico-sociale pur senza fanatismi della cultura arcaica. Cicerone si riconosceva pienamente. Le virtù secondo Cicerone erano parti dell’honestum, i modi di conseguirle dell’utile. Il fine del ragionamento ciceroniano sta nel dimostrare come tra queste due istanze non ci sia contraddizione bensì identità: la seconda è infatti conseguenza della prima. Il sistema delle virtù nel De Officis Virtù cardinali stoiche tradizionali: giustizia, sapienza, fortezza, temperanza Giudizio positivo di Panezio sugli istinti: se ben regolati dalla ragione portano alla virtù. Cicerone afferma che l’honestum si compone di 4 elementi, tendenze naturali insite nell’uomo che, se ben indirizzate dalla ragione, daranno origine a virtù specifiche: 1) Istintiva spinta alla ricerca del vero  sapienza, che va sempre orientata all’azione concreta nella vita politica 2) Istintivo desiderio di proteggere la società  iustitia, ‘dare a ciascuno il suo’. Fondamentalmente tutela della proprietà privata, argomento caldo dopo i Gracchi e le confische di Silla e Cesare Ci sono invece 2 forme di iniustitia: una attiva causata dall’avaritia (avidità) e una legata al disinteresse al disimpegno rispetto alla società CESARE Tra politica, guerra e letteratura La vita, un’ascesa inarrestabile: nasce nel 100, nel 78 inizio cursus honorum. Primo triumvirato nel 60. Conquista delle Gallie. 44 dictator perpetuus assassinato. La narrazione della guerra contro i Galli De bello Gallico, in origine probabilmente C. Iulii Cesaris commentarii rerum gestarum. Sette libri, coprono il periodo tra 58 e 52. Libro 1: campagna contro gli Elvezi Libro 2: rivolta tribù galliche Libro 3: campagna contro popolazioni sulla costa atlantica Libro 4: operazioni contro popolazioni germaniche che avevano oltrepassato il Reno Libro 5: due spedizioni contro i Britanni Libro 6: devastazioni Gallia Belgica Libro 7: campagna contro Vercingetorìge ed espugnazione di Alesia. Data di composizione: secondo alcuni scritto di getto nell’inverno del 52-51, secondo altri composizione anno per anno durante gli inverni  darebbe ragione all’evoluzione stilistica: da uno stile scarno e disadorno in direzione di maggiori ornamenti tipici della historia. Più discorsi diretti, ampliamento del patrimonio lessicale. Forse adesione più radicale alle teorie analogiste nella prima parte. Testimonianza di Aulo Irzio: rapidità con cui Cesare aveva composto i suoi commentarii. Ma è probabile che Aulo si riferisse ad una fase conclusiva della redazione, di riordino e coordinazione. La narrazione della guerra civile De bello civili, tre libri. I primi due eventi del 49, il terzo eventi di parte del 48. Forse pubblicato postumo perché incompiuto. Oggi si ritiene che sia stato composto fra il 47 e il 46 e pubblicato nello stesso 46. In quest’opera affiorano le tendenze politiche di Cesare, una satira sobria, nuova rispetto allo stile del De bello gallico, colpisce la vecchia classe dirigente che è rappresentata con un quadro fortemente negativo, tacciato di ipocrisia di persone che si riempiono la bocca di belle parole e poi sono interessati solo ad avidità e guadagno. Rappresentazione del campo pompeiano prima di Farsàlo: i soldati stabiliscono le pene che infliggeranno ai cesariani, si aggiudicano i beni. Velenosa poi la descrizione del lusso sfrenato che i soldati cesariano trovano nell’accampamento nemico. Cesare fa un’operazione di propaganda con questo testo: cerca di dissolvere l’immagine che di lui dava l’aristocrazia, ovvero di un rivoluzionario come i Gracchi o Catilina. Cesare vuole dimostrare di essersi sempre mantenuto nell’ambito della legalità e la sua ribellione è un atto volto a restituire al popolo la libertà monopolizzata dal ristretto gruppo di potenti. Il suo destinatario è lo strato medio e benpensante, lo stesso del De Officis di Cicerone, uno strato che aveva sempre abboccato alla propaganda dell’aristocrazia. Cesare rassicura i ceti possidenti: no insolvenza dei debiti e tabulae novae da parte sua. Insiste sulla sua volontà di pace: la guerra è dovuta solo al rifiuto dei pompeiani di fare trattative. Clemenza contro i vinti: no proscrizioni come Silla. Infine Cesare eleva un vero e prorpio monumento alla fedeltà e al valore dei suoi soldati. L’elogio che fa dei componenti del suo esercito non può essere staccato dal processo di promozione sociale, fino all’ammissione nei ranghi del Senato degli homines novi di provenienza militare. Tra oggettività e deformazione storica Sotto il tono apparentemente oggettivo e impassibile della narrazione si nasconde la critica moderna ha creduto di scoprire interpretazioni tendenziose e deformazioni degli avvenimenti a fini di propaganda politica. In ogni caso i commentarii sono strettamente legati con la lotta politica. La connessione è più evidente nel De bello civili, ma in entrambe la deformazione è innegabile: falsificazioni, artifici dissimulati, attenuazioni, insinuazioni, spostamento cronologico di eventi. Nel De bello gallico non c’è esaltazione della conquista, l’imperialismo viene presentato come necessario, generato da esigenze difensive. Nel De bello civili Cesare si presenta invece come un politico moderato rispettoso delle leggi. In ambedue le opere tende a evidenziare le proprie capacità militari e politiche, rinunciando però ad alimentare l’alone carismatico che aleggiava attorno alla sua figura. Nella narrazione è ampiamente presente la fortuna: non è considerata come divinità protrettrice, è un concetto che serve a spiegare i repentini cambiamenti di situazione, è ciò che sfugge alla capacità di previsione e controllo razionale dell’uomo. Cesare cerca sempre di spiegare le ragioni degli eventi attraverso cause umane e naturali. I continuatori di Cesare: le altre opere del corpus cesariano Aulo Irzio, luogotenente di Cesare, compose il Libro 8 del De bello Gallico, per congiungere la narrazione con quella del De bello civili, tramite il racconto del 51 e 50. Sempre a Irzio si deve il Bellum Alexandrinum. Sicuramente spuri sono il Bellum Africum e il Bellum hispaniense. Cesare oratore e teorico della lingua Perdita delle orazioni di Cesare è uno dei danni più gravi subiti dalla letteratura latina a giudicare dai commenti entusiastici di Quintiliano e Tacito. Orazioni senza gonfiori e colori eccessivo, ma uso accorto di ornamenta, non è stile totalmente scarno e atticista. Per Cicerone Cesare è purificatore della lingua latina. Scrive un De analogia, nel 54, dedicandolo a Cicerone (ma non è una prova di comunanza di intenzioni). Propone in questo trattato un trattamento razionale e ascetico del latino: selezione razionale e sistematica delle parole già in uso, rifugge parole strane e inusitate. È cura della semplicità, dell’ordine e della chiarezza, alla quale talora egli sacrificava anche la grazia. Fortuna di Cesare Cicerone: “Ha scritto dei commentari veramente degni d’ogni elogio: sono nudi, schietti e pieni di grazia, spogliati di ogni abbellimento oratorio come un corpo senz’abito. Ma volendo preparare dei materiali per quelli che intendessero scrivere di storia, forse ha fatto un piacere a quegli sciocchi che si sforzeranno di acconciare con riccioli le chiome del testo; quelli sani di mente li ha piuttosto scoraggiati dallo scrivere”. Excursus al centro dell’opera: il ‘regime dei partiti’, (mos partium et factionum) è la causa prima della lacerazione e della rovina della res publica. Il bersaglio della polemica è la nobiltà, che Sallustio deforma fino a farne diventare un blocco unico e corrotto contrario all’espansionismo e alla difesa del prestigio di Roma. Discorso di Memmio: linee direttive della politica dei populares. Riscossa contro l’arroganza dei pauci. Discorso di Mario: affermazione di un’aristocrazia della virtus fondata sui valori antichi. Esprime soprattutto, da homo novus, le aspirazioni dell’élite italica. Ma il giudizio di S. su Mario è ambivalente, lo ammirava per la sua opposizione all’arroganza nobiliare ma è contrario al peso che Mario ha avuto nelle guerre civili, anche per l’arruolamento di proletari. Sallustio è un politico moderato, sempre. I discorsi di Mario e Memmio rappresentano i migliori valori etico-politici della democrazia romana nella sua lotta contro la nobiltà. Ritratto di Giugurta: personalità in evoluzione, la sua natura si corrompe progressivamente, ma non ha scusanti o attenuanti. Agli occhi di Sallustio le ragioni dell’imperialismo erano tanto evidenti da apparire indiscutibili. Le Historiae e la crisi della res publica Col 78 (e non vanno oltre al 67) iniziavano le Historiae, opera di forma annalistica. Opera per noi perduta ma molto influente in età augustea. Abbiamo frammenti: 4 discorsi, un paio di lettere. Una lettera Sallustio la immagina scritta da Mitridate: affiorano i motivi delle lagnanze dei popoli soggetti a Roma. Secondo Mitridate l’unico motivo che i Romani hanno di portare guerra ovunque è la sete inestinguibile di ricchezze e potere. Quadro cupo, corruzione.  Il pessimismo sallustiano si acuisce in quest’opera. Dopo l’uccisione di Cesare e la frustrazione delle aspettative riposte nel dittatore, lo storico non ha più una parte dalla quale schierarsi, né aspetta più alcun salvatore. Lingua e stile Nutrendosi di Tucidide e Catone il Censore elabora uno stile fondato sull’inconcinnitas: antitesi, asimettrie, variationes, dinamismo inquieto. Effetto di gravitas austera e maestosa, un’immagine di meditata essenzialità di pensiero. Patina arcaizzante ma è evitata la subordinazione e l’uso delle clausole. Estrema economia dell’espressione ma accumulo ridondante di parole. Allitterazione. Stile arcaizzante ma allo stesso tempo innovatore, andamento spezzato del tutto anticonvenzionale e lessico e sintassi contrastano standardizzazione del linguaggio letterario. Rinuncia alla storiografia tragica, ma i protagonisti sono comunque personaggi tragici, in modo controllato. Opere spurie Invectiva in Ciceronem, Epistulae ad Cesarem senem de republica La fortuna Successo immediato, scuole di retorica, Tacito, Alfieri. LUCREZIO Il poeta dell’epicureismo Una biografia con molte incertezze Biografia di Lucrezio nel Chronicon di Girolamo, traduzione di Eusebio, con notizie dal De poetis di Svetonio: “indotto alla pazzia da un filtro d’amore, dopo aver scritto alcuni libri negl’intervalli di lucidità che gli lasciava la follia, libri che furono poi riveduti da Cicerone, si uccise di propria mano a 43 anni di età”, quindi nel 53/51? Secondo Elio Donato (Vita Vergili) Lucrezio è morto quando Virgilio aveva 17 anni, quindi nel 55? Date più verosimili: 98-55. Forse campano per la scuola epicurea di Napoli. Forse stessa classe sociale di Memmio, forse liberto. Follia: la notizia di Girolamo è un’invenzione dei cristiani nel 4° secolo al fine di screditare la polemica antireligiosa. Alcuni contemporanei pensano soffrisse di una depressione patologica. L’opera: il poema che traduce Epicuro De rerum natura, poema in esametri in 6 libri. Traduce il perduto Perì physeos di Epicuro, in 37 libri. Libro I: dedica a Memmio, che non può sottrarsi alla cura del bene della patria in un momento così difficile. Tutta la prima metà del I secolo è difficile, forse anni successivi al 59. Cicerone nel 54 già lo aveva letto e apprezzato. Testo conservato in due codici del 9° secolo: Oblongus e Quadratus. L’epicureismo a Roma Cicerone eclettico ma argine insormontabile per l’epicureismo, socialmente pericoloso perché distoglieva dall’impegno politico e negava la religione ufficiale, strumento di potere ed elemento di coesione. Nel 2° sec. a.C. da Roma erano stati scacciati i filosofi epicurei Alceo e Filisco, nel 1° sec. l’epicureismo era riuscito a penetrare nella cultura alta: scuola di Calpurnio Pisone Cesonino, Filodemo di Gàdara ad Ercolano, cenacolo di Sirone a Napoli (dove avevano studiato Orazio e Virgilio). Cicerone in un passo delle Tusculanae disputationes dice che divulgazioni dell’epicureismo in cattiva prosa latina circolavano per Roma presso la plebe. Coerentemente con l’universalismo del messaggio di Epicuro, che doveva essere il più chiaro per raggiungere tutti gli strati sociali, anche le donne. Il poema sulla natura Tre diadi 1-2: atomi 3-4: mondo umano 5-6: fenomeni cosmici Libro 1: inno a Venere, personificazione della forza generatrice della natura; fisica epicurea: atomi, aggregazione e disgregazione (nascita e morte). Libro 2: teoria del clinamen, inclinazione nel moto degli atomi che consente grande varietà di aggregazioni. I mondi possibili sono molti. Libro 3: anima costituita da atomi leggeri e lisci. Muore col corpo. Libro 4: simulacra, sottili membrane composte di atomi che si staccano dai corpi mantenendone la forma e raggiungono gli organi sensoriali (anche immagini nei sogni); dissacrante digressione sulla passione d’amore, causata unicamente dall’attrazione fisica. Libro 5: mortalità del nostro mondo, moto degli astri; origine ferina dell’umanità. Libro 6: spiegazioni naturali di fenomeni fisici come fulmini e terremoti; peste d’Atene. Probabilmente il De rerum natura non ha ricevuto l’ultima revisione-. Ci sono problemi sul finale: nel libro 5 Lucrezio annuncia la descrizione delle sedi beate degli dei ma non la scrive. Sarebbe stata una composizione ad anello con il gioioso inno a Venere iniziale. Ma probabilmente l’assenza di questa descrizione risponde meglio ai reali intenti di Lucrezio: potrebbe aver contrapposto la peste di Atene all’inno a Venere come trionfo della morte, in perenne contrasto con il trionfo della vita dell’inno iniziale. Il genere letterario: un poema didascalico Epicuro aveva condannato la poesia: connessione con il mito, suscita passioni perturbanti e le invenzioni allontanano dalla razionalità del reale. Lucrezio nello scegliere la poesia è guidato dal desiderio di raggiungere gli strati superiori della società: “cospargere col miele delle Muse” l’amara dottrina epicurea. Lo dice sia in 1 che in 4. Per Cicerone non è l’eccezionalità della forma poetica a determinare il suo silenzio su Epicuro, quanto la volontà di non concedere spazio a chi aveva scritto un’opera potenzialmente disgregatrice per la società aristocratica. Lucrezio e la tradizione epico-didascalica Modelli greci: ammirazione per Omero ed Empedocle, da cui prende l’atteggiamento profetico di rivelatore della verità. Già la letteratura ellenistica, seguendo Parmenide ed Empedocle, aveva impiegato l’esametro per opere didascaliche: Arato e Nicandro. Se la tradizione didascalica latina (Georgiche di Virgilio) si richiama all’ispirazione tecnica dei poemi alessandrini, Lucrezio ambisce a spiegare ogni aspetto importante della vita del mondo e dell’uomo e a convincere il lettore della validità della dottrina epicurea. Ambizione che anche Empedocle aveva col suo Perì physeos. Lucrezio e il lettore-discepolo Si rivolge spessissimo al lettore-discepolo, lo esorta e minaccia anche. Differenza fondamentale rispetto alla poesia didascalica ellenistica, il cui èthos era encomiastico e l’oggetto della descrizione meraviglioso. In Lucrezio non est mirandum, nec miror: alla retorica del mirabile è sostituita la retorica del necessario, necesse est. Il destinatario del messaggio deve reagire agli insegnamenti e diventare consapevole della propria grandezza intellettuale. È questa la radice del sublime Viriglio, Ovidio, Seneca. 1418 Poggio Bracciolini trova un manoscritto in Alsazia: inizio della rinnovata fortuna. 1850 edizione critica di Karl Lachmann. La poesia neoterica Una nuova generazione di poeti Nel I secolo a.C., rinnovamento nel gusto letterario decisivo. Cicerone conia la sprezzante espressione poetae novi, o neòteroi, alla greca, o ancora cantores Euphorionis. Il processo di modernizzazione del gusto letterario promosso dai poetae novi è solo un aspetto del generale fenomeno di ellenizzazione dei costumi della società romana dell’età repubblica. I neòteroi prendono dai poeti ellenistici il gusto per la contaminazione tra i generi, l’interesse per la sperimentazione metrica, la ricerca di un lessico e di uno stile sofisticati, infine il carattere decisamente disimpegnato della loro poesia. Caratteri della poesia neoterica Poesia destinata all’élite colta romana, per il consumo privato. Nugae frutto dell’otium, interesse per i sentimenti privati e forte elaborazione formale. Rappresenta il culmine di una tendenza della cultura latina al disinteresse per la vita attiva al servizio dello Stato e l’avvicinamento all’epicureismo. Ma per gli epicurei l’amore è una malattia insidiosa, per i neòteroi e per Catullo è il sentimento centrale della vita. Come Callimaco: brevitas, ars, labor limae, mise en abyme. Precursori Lutazio Catulo: poesia nugatoria ma ci dedica uno spazio limitato, ancora incentrato sui doveri del civis. Attorno al lui si raccoglie un gruppo di letterati. Valerio Edituo, ripreso anche da Catullo nel carme 51. Porcio Lìcino, interessi critico-letterari di ascendenza alessandrina. Levio, Erotopaegnia (“Scherzi d’amore”): sperimentalismo e preziosismo alessandrino. Poeti neoterici Valerio Catone, poeta-filologo caposcuola dei neòteroi. Marco Furio Bibaculo, autore di epigrammi ma anche di poemi epici. Publio Terenzio Varrone Atacino Elvio Cinna, Zmyrna opera apprezzata molto da Catullo Licinio Calvo, l’epillio Io CATULLO Biografia di un poeta d’amore Nasce a Verona, 84-54 grosso modo. A Roma frequenta personaggi di spicco: Ortensio Ortalo, Cinna e Calvo, Lucio Manlio Torquato, Alfeno Varo, Cornelio Nepote, Gaio Memmio. Relazione d’amore con Clodia, la Lesbia dei suoi versi (Apuleio ci svela lo pseudonimo), sorella del tribuno. Nel 57 andò in Bitinia al seguito di Memmio e poté visitare la tomba del fratello. Il Liber 116 carmi divisi sommariamente in 3 sezioni su base metrica: 1) 1-60, nugae: componimenti brevi e di carattere leggero, in metro vario 2) 61-68, carmina docta: carmi di maggior estensione e maggior cura formale, in metro vario 3) 69-116, epigrammi in distici elegiaci In realtà i carmi sono 113 ma numerazione include anche 3 espunti da Karl Lachmann. Ordinamento opera di altri, il libellus dedicato a Cornelio Nepote è probabilmente più esteso di quello rimastoci. La poesia dei sentimenti privati: i carmi brevi Insieme dei polimetri e degli epigrammi. Affetti, amicizie, odi, passioni, aspetti minori o minimi dell’esistenza sono l’oggetto della poesia di Catullo: uno scherzoso invito a cena (13), le proteste per un gesto poco urbano (12), il benvenuto ad un amico che torna dalla Spagna (9). La cerchia degli amici neoterici e la poesia del lepos Dall’occasionalità dei temi deriva impressione di immediatezza, ma in realtà la celebrata spontaneità è solo un’apparenza: anche i componimenti più occasionali hanno i loro precedenti letterari il cui influsso si avverte. Queste risonanze letterarie sono dissimulate dietro ai racconti di vita. Carme 2: quello che vuol sembrare un sospiro sfuggito al poeta è in realtà un carme costruito preziosamente su rapporti formali: una pointe finale di 2 versi suggella un’ampia base ripartita in 2 metà simmetriche di 4 versi. “Passero, gioia della mia ragazza…” Carme 5: antitesi e richiami simmetrici. “Vivamus, mea Lesbia, atque amemus… Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum…” Carme 8: sapiente circolarità, costruzione ad anello per un contenuto sentimentale incandescente. “Miser Catulle, desinas ineptire…” Bisogna quindi sottrarsi ai rischi del biografismo e ogni volta verificare la genesi complessa di questa poesia intessuta di dottrina: non si tratta di negare l’importanza davvero insolita che l’esperienza biografica assume in Catullo, ma di vedere come essa si atteggia secondo movenze letterarie. Lo sfondo della poesia di Catullo è costituito dall’ambiente letterario e mondano della capitale, di cui fa parte la cerchia di amici neoterici. Stessi ideali di lepos, venustas, urbanitas. L’amore per Lesbia, ragione di vita e di poesia Lesbia è un’incarnazione della devastante potenza dell’eros. Il suo stesso pseudonimo rievoca Saffo, creando un alone idealizzante. Questo amore è vissuto da Catullo come esperienza capitale della propria vita, capace di riempirla e di darle un senso. Centro dell’esistenza e valore primario, sostituisce i doveri del civis. Il rapporto con Lesbia, nato come adulterio, tende a configurarsi nelle aspirazioni di Catullo come un tenace vincolo matrimoniale, un foedus basato su fides e pietas che però Lesbia viola continuamente. I costanti tradimenti di Lesbia causano in Catullo la scomparsa di ogni stima e affetto per la donna: la componente affettiva, bene velle, si scinde da quella sessuale, amare. Carme 85: “Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris./ Nescio sed fieri sentio et excrucior”. Condensazione in un ossimoro della dolorosa sensazione del poeta in dissidio. Carme 76: voluptas del ricordo, unica consolazione per il resto dei giorni terreni. La poesia dotta di matrice alessandrina: i carmina docta Poetica callimachea rivelata nel carme dedicatorio: lepidus, novis, expolitus deve essere il libellus di Catullo. Estetica alessandrina e polemica contro la torrenziale faciloneria degli attardati epigoni di scuola enniana. Carme 95: “La Smirna del mio Cinna dopo nove messi/ e nove inverni…” L’epillio: le nozze di Peleo e Teti e il lamento di Arianna Carme 64: epillio, poemetto che narra le nozze di Peleo e Teti ma èkphrasis racconta un’altra storia ricamata sulla coperta nuziale, quella dell’abbandono di Arianna a Nasso da parte di Teseo. L’intreccio dell’amore felice di Peleo e Teti e quello infelice di Arianna è legato da relazioni che riportano al tema della fides, virtù cardinale del mondo etico catulliano. Il mito è proiezione delle aspirazioni del poeta. Carme 63, altro epillio in cui Attis si mutila della sua virilità per farsi sacerdote di Cibele. Omaggio ai modelli greci: gli epitalami e la Chioma di Berenice Carmi 61 e 62, canti nuziali, genere già praticato da Saffo. Carme 61 in onore delle nozze di Manlio, 62 costituito da due cori ed è una riflessione sul tema dell’amore e della verginità. Carme 66: omaggio a Callimaco, traduzione della Chioma di Berenice. Carme 65: biglietto in distici elegiaci a Ortensio Ortalo per accompagnare la traduzione di Callimaco. L’amore e l’archetipo mitico: il carme 68 Discussione se sia un componimento o due. Riassume i temi principali della poesia di Catullo: l’amicizia, l’amore, l’attività poetica e la sua connessione con Roma, la morte del fratello. Il ricordo dei primi amori con Lesbia sfuma nel mito: vicenda di Protesilao e Laodamìa, puniti con la morte perché si sono uniti prima del matrimonio. Ecloga quarta: l’età dell’oro. Celebrazione della nascita di un fanciullo (verosimilmente il figlio di Asinio Pollione, amico e protetore del poeta). Virgilio gli augura di essere l’iniziatore di una nuova età dell’oro dopo il periodo tragico delle guerre civili. Ecloga quinta: dialogo fra i pastori Mopso e Menalca. I due si confrontano in un canto amebeo (a botta e risposta) che ha per argomento la morte del pastore-poeta Dafni (personaggio di Teocrito): al lamento-elogio funebre di Mopso segue l’inno di Menalca per l’apoteosi di Dafni (da identificare forse con Cesare). Ecloga sesta: il satiro Sileno. Titiro (Virgilio) si giustifica con Varo per aver preferito la poesia pastorale a quella epica. Quindi introduce il satiro Sileno che, ebbro, intona una sorta di epillio (breve componimento a carattere epico) alessandrino, spaziando dall’argomento fisico e cosmogonico a quello mitologico, e menzionando fra l’altro il poeta Cornelio Gallo. Ecloga settima: Coridone e Tirsi. Il pastore Melibeo introduce e racconta la gara poetica (canto amebeo) fra Coridone e Tirsi, pastori arcadi, su temi bucolici tradizionali: l’amore, la poesia, il paesaggio. Ecloga ottava: dedicata ad Asinio Pollione, è il racconto di due pastori Damone e Alfesibeo. Damone narra una storia di amore e di morte; Alfesibeo una storia di incantesimi cui una donna fa ricorso per riconquistare il suo amante. Ecloga nona: Meri e Licida. Meri, servo di Menalca (si ritiene simboleggi Virgilio), incontra il suo amico Licida e gli parla dell’angoscia del suo padrone che è stato espropriato dal podere. L’ecloga nona si ricollega alla prima, ma presenta un rovesciamento di posizioni: ora Menalca- Virgilio, a differenza di Titiro-Virgilio della prima ecloga, si lamenta per aver perduto i suoi beni. Ecloga decima: Virgilio conforta il poeta Cornelio Gallo. Il poeta cerca di confortare il suo amico Cornelio Gallo, poeta elegiaco, protagonista dell’amore infelice per Licoride, andata lontano al seguito di un soldato. Richiami interni 1-10 = omaggio ad Ottaviano – omaggio a Gallo 5-6 = allusione alla scomparsa di Giulio Cesare – questioni di poetica 1-9 = riferimenti alla guerra civile in Italia 2-8 = monologhi amorosi 3-7 = tenzoni poetiche 4-6 = componimenti meno pastorali Virgilio e la poesia pastorale greca Teocrito era stato uno dei poeti ellenistici meno frequentati dai poeti romani. Virgilio è conscio dell’originalità del suo progetto e pone all’inizio dell’egloga 6 un manifesto poetico con cui rivendica l’originalità delle Bucoliche contrapposte alle grandi imprese poetiche dell’epopea: “La mia Musa fu la prima non disdegnare il verso siracusano, e accettò di abitare nei boschi”. Il mondo pastorale di Teocrito è una ricostruzione tradizionale, nostalgica di un paesaggio statico, uno spettacolo destinato ad un pubblico inurbato, si possono trattare anche grandi temi ma in modo semplice ed estraniato. Virgilio rileggeva attraverso Teocrito il mondo pastorale in cui era cresciuto. Imitare Teorico produsse come risultato una sorta di simbiosi che non ha precedenti all’interno del genere bucolico, imparandone i codici come si fa con una lingua straniera. La presenza di Teocrito è risolta in una trama di rapporti talmente complessa che la nuova opera sta realmente alla pari col modello. In questo senso le Bucoliche sono davvero il primo testo della letteratura augustea: già ne interpretano l’esigenza di fondo di rifare i testi greci trattandoli come classici. In Teocrito poikilìa, varietà di temi e ambientazioni. Virgilio sfrutta i confini del genere, le aperture di Teocrito, per abbandonare il mondo pastorale arcadico e inserire spunti del paesaggio italico. Con le Bucoliche prende nuovo significato la parola “idillio”, che dopo Virgilio denota un preciso scenario con un’atmosfera sentimentale malinconico- contemplativa. Paesaggi dai toni meno intensi, pastori figure delicate e tenere. La poesia bucolica virgiliana “Il genere bucolico richiama a sé e riformula ogni elemento della realtà”: tutto ciò che del reale entra nel mondo bucolico viene travestito nel linguaggio e nell’immaginazione dei pastori, è come se fosse visto da loro, ingenui di campagna. La città, gli eventi della storia, appaiono sull’orizzonte come eventi grandissimi, spaventosi, incomprensibili. Il dramma dei pastori esuli di 1 e 9 contiene sicuramente spunti autobiografici, Virgilio si identifica con Titiro. Ma quando Virgilio vuole realmente alludere a uno sfondo storico non ricorre ad allegorie: sicura è la presenza di Ottaviano nell’egloga 1 e l’esistenza di un riferimento storico concreto nella 4. La cosa importante è l’originalità dell’ispirazione con cui Virgilio rilegge attraverso il linguaggio bucolico l’epoca delle guerre civili. Avviene in 1, 9, ma anche 4: “paulo maiora canamus”. Problema dell’identificazione del puer che con il suo avvento riporta l’età dell’oro sul mondo in crisi. L’egloga si inserisce nelle aspettative di rigenerazione tipiche dell’età di Crisi fra Filippi e Azio ma ci deve essere anche un riferimento storico concreto: siamo sicuramente nel 40, anno in cui molte speranze seguivano ad un patto (effimero) tra Ottaviano e Antonio, siglato con il matrimonio tra Antonio e la sorella di Ottaviano. Ma il matrimonio durò poco e il bambino non nacque mai. La 6 è la egloga più vicina alla poetica alessandrina: il canto del Sileno, tra scene mitologiche e cosmologiche, ha al suo cento l’omaggio a Cornelio Gallo, che ritorna come poeta d’amore nella 10. Gallo, in Arcadia, è l’incarnazione dell’elegia d’amore, e cerca riparo dalle pene d’amore nella poesia bucolica. Dalle Bucoliche alle Georgiche: un lungo periodo di gestazione Nel 38 le Bucoliche sono completate e Virgilio ha un nuovo protettore, Mecenate. La composizione delle Georgiche costò a Virgilio quasi dieci anni di lavoro. Una spinta venne forse nel 37, con la pubblicazione di un trattato di Varrone sull’agricoltura. Nel 29 furono recitate al principe. Lungo processo compositivo denunciato dalla scalatura delle allusioni storiche, dalle guerre civili all’universo pacificato da Augusto. Secondo una notizia antica (di Servio) Virgilio avrebbe rimaneggiato il testo del poema sopprimendo una sezione contenente lodi a Cornelio Gallo e sostituendovi la storia del pastore Aristeo, che conclude l’opera: causa della propria redazione, il suicidio dell’amico caduto in disgrazia presso Augusto (26). Ma il brano di Aristeo sono più di 200 versi e legati con riferimenti sottili al resto dell’opera, è improbabile che siano una sostituzione, anche perché non ha niente di improvvisato. Forse ha volto una citazione a Gallo quando parla della bugonia, nel libro 4, in Egitto (provincia di Cornelio Gallo). Le Georgiche La struttura dell’opera Georgica, dal greco “canti sulla vita dei campi”, rimanda alla poesia didascalica ellenistica (Nicandro di Colofone). Le Georgiche sono un poema didascalico sulla vita agreste in 4 libri: 1) coltivazione dei campi 2) arboricoltura 3) allevamento del bestiame 4) apicoltura L’ordine descrive una curva: l’apporto di fatica umana viene sempre meno e la natura è sempre più protagonista. Sforzo dell’aratore nel libro 1 contro l’incredibile operosità delle api nel 4. Passaggio dal grande al piccolo, ma è proprio il piccolo mondo delle api quello che più ravvicina la natura alla cultura dell’uomo. Cura rigorosa della struttura formale presa da Lucrezio, anche se Virgilio tende ad indebolire le costrizioni logiche del pensiero, così il discorso fluisce capricciosamente, in modo dinamico e trova equilibrio solo nella studiatissima architettura d’insieme. Ogni libro ha una digressione conclusiva: guerre civili in 1, lode alla vita agreste in 2, peste degli animali nel Nòrico in 3, storia di Aristeo e delle sue api in 4. I proemi hanno chiaro valore di cerniera: lunghi ed esorbitanti rispetto al tema georgico in 1 e 3, brevi e strettamente introduttivi in 2 e 4. Libri 1 e 3 accoppiati: gli orrori della storia corrispondono ai disastri della natura. Le altre due digressioni invece sono rasserenanti: l’elogio della vita agreste si oppone alla minaccia della guerra e la rinascita delle api replica allo sterminio della pestilenza. Polarità fra temi di vita e morte, chiaroscuro di pensieri. Le Georgiche è un’opera di contrasti ed incertezze che irrompono nella perfezione architettonica dello stile. La fatica dell’uomo è inviata dalla provvidenza divina per una sorta di necessità cosmica, ma l’idea del contadino si richiama al mito dell’età dell’oro. La vita semplice e laboriosa del contadino ha portato alla grandezza di Roma, ma Roma è anche città di degenerazione e conflitti. Il finale del libro 4: Aristeo e Orfeo Digressione come àition della bugonia, la nascita delle api dalla corruzione di una carcassa bovina. Aristeo (figura di eroe civilizzatore), senza volerlo, ha causato la morte di Euridice, sposa di Orfeo. Virgilio ha collegato tra loro due miti diversi, in una struttura a cornice. Racconto ad incastro, sul modello del carme 64 di Catullo. Racconti collegati da sottili parallelismi narrativi, sia Aristeo che Orfeo affrontano una serie di peripezie, il primo è calato dentro un fiume, il secondo nell’Ade, ma finiscono entrambi per lottare contro la morte. Conclusioni opposte, successo di Aristeo. Ma la costruzione narrativa di questa storia è progettata per illustrare le ragioni dell’ideologia poetica delle Georgiche. Virgilio invita il lettore a tracciare una continuità: Orfeo fonde insieme le grandi possibilità dell’uomo, che col suo canto arriva a dominare la natura, ma il suo scacco e l’impossibilità di vincere la legge naturale della morte. Aristeo indica la strada della paziente lotta contro la natura, sostenuta da una tenace obbedienza ai precetti divini, che conduce alla rinascita delle api. La digressione narrativa illumina il messaggio didascalico. Orfeo, simbolo della poesia elegiaca che canta le pene d’amore individuali soccomberà perché il suo canto e sterile, perché è tutto ripiegato su se stesso. Aristeo invece, simbolo della semplice e santa vita contadina, si salverà perché il canto del poeta georgico Virgilio sa dispensare insegnamenti che possono garantire la rinascita dopo le sofferenze delle guerre civili. Nel successo di Aristeo Virgilio, poeta vate, indica i valori di una poesia “utile”, capace di rinnovare le speranze di una società straziata. Il canto di Orfeo è di struggente bellezza ma simbolo di una poesia infruttuosa perché troppo individualistica. Senza offrire una soluzione precettistica, Virgilio lascia che il suo racconto sia attraversato dal confronto fra differenti modelli di vita. Le Georgiche tra Lucrezio e gli alessandrini Più alessandrino e neoterico di Lucrezio, Virgilio si sente comunque più vicino a Lucrezio che agli 12 libri in risposta ai 48 omerici: i primi 6 raccontano il viaggio di Enea da Cartagine alle sponde del Lazio  metà odissiaca 7-12 raccontano una guerra che si concluderà con la morte di Turno  metà iliadica Partizione voluta dal poeta e sottolineata dal fatto che nelle parti corrispondenti ci siano rintracciabili influssi dell’Odissea e dell’Iliade. Ma le storie omeriche si presentano rovesciate: il viaggio di Enea non è un ritorno a casa, è un viaggio verso l’ignoto; la guerra di Enea non serve a distruggere una città, ma a costruirne una di nuova. Questa complessa trasformazione dei modelli omerici non ha precedenti nella letteratura antica. L’Eneide è sia una - contaminazione di Omero - continuazione di Omero: le imprese di Enea fanno seguito all’Iliade (il libro 2 racconta l’ultima notte di Troia, solo profetizzata nell’Iliade) e si riallacciano all’Odissea (nel libro 3 Enea segue in parte la traccia delle avventure di Odisseo). In questo senso Virgilio riprende l’esperienza dell’epos ciclico, la catena di narrazioni epiche che integravano la poesia di Omero in un continuum. - una ripetizione di Omero che si trasforma in superamento: guerra del Lazio replica quella di Troia ma sono i Troiani a vincere, Enea riassume in sé sia Achille che Odisseo, rappresentante di un eroismo moderno e problematico. Mediante la forma esterna, la cornice, Virgilio esplicita la sua discendenza diretta da Omero, esteriormente si atteggia ad autore del terzo poema omerico. Ma internamente lo modifica radicalmente e lo supera, inserendo una visione nel mondo del tutto nuova. Lodare Augusto: il nuovo epos storico-celebrativo Intenzione di “lodare Augusto partendo dai suoi antenati”. Il poema di Virgilio si distacca dal presente augusteo con una distanza quasi siderale, è un mondo omerico a una distanza leggendaria. Questo permette a Virgilio di guardare il mondo di Augusto da lontano. Sono omeriche le tecniche narrative: nell’Iliade Zeus profetizza il destino degli eroi e la distruzione di Troia – nell’Eneide Giove traguarda non solo il destino di Enea ma anche la futura grandezza di Augusto, che riporterà l’età dell’oro nell’Odissea Odisseo scende nell’Ade e ottiene uno scorcio sul suo destino – nell’Eneide Enea impara dal regno dei morti non solo il suo personale futuro, ma anche i grandi momenti della storia di Roma nell’Iliade la descrizione dello scudo di Achille induce una visione cosmica – nell’Eneide la descrizione dello scudo di Enea è finalizzata all’immagine della città di Roma, colta nei momenti critici del suo sviluppo storico Virgilio e la leggenda di Enea La leggenda di Enea è il momento di sintesi tra la dimensione omerica e la dimensione augustea. L’Italia antica conosceva una serie di leggende di fondazione, tra queste quella di Enea divenne popolare (nonostante la marginalità della vicenda di Enea in Omero) e legata al Lazio Antico. Enea acquistò fortuna per motivazioni politiche: il più nobile eroe troiano è in qualche modo connesso a Romolo. Questo permetteva alla cultura romana di rivendicare un’autonoma parità con i Greci, proprio nel tempo in cui Roma acquisiva l’egemonia sul Mediterraneo greco. Rivincita dei Troiani sui Greci. E col libro di Didone anche l’ostilità con Cartagine viene ricollegata alla leggenda di Enea. Inoltre attraverso la figura del figlio di Enea, Ascanio-Iulo, la gens Iulia di Cesare e Ottaviano rivendicava per sé nobilissime origini. Tutti i popoli, latini etruschi greci, concorrono alla formazione di Roma nella rivisitazione della tradizione che compie Virgilio. L’Eneide è un’opera densa di significato storico e politico. Il taglio dei contenuti è dato da una selezione drammaturgica del materiale, l’opera non traccia nemmeno l’intera vita di Enea: lo lasciamo ancora prima che possa assaporare il trionfo. La narrazione soggettiva: l’epica nazionale e la ragione dei vinti L’Eneide è la storia di una missione voluta dal fato ed Enea ne è il portatore. Virgilio si assume in pieno l’eredità dell’epos storico romano: il suo poema è un’epica nazionale in cui una collettività deve rispecchiarsi e sentirsi unita. Sotto la linea oggettiva, però, si muovono personaggi in contrasto tra loro, i cui sentimenti sono costantemente in primo piano. La guerra con Cartagine, per esempio, è ricondotta ad un amore eccessivo e tragico fra simili, non a un’opposizione di identità come in realtà è. Didone è vinta dal destino ma il testo accoglie le sue ragioni e le tramanda. Così anche la guerra che Enea conduce nel Lazio è vista come un sacrificio necessario: sono popoli simili e vicini tra loro, è una guerra fratricida (tema martellante dell’epica virgiliana, ancora prima della poesia neroniana e flavia). Enea uccide Turno solo perché vede il balteo di Pallante. È chiaro che Virgilio chiede molto ai suoi lettori. Essi devono insieme apprezzare la necessità fatale della vittoria, e ricordare le ragioni degli sconfitti; guardare il mondo da una prospettiva superiore (Giove, il fato, il narratore onnisciente) e partecipare alle sofferenze degli individui; accettare insieme l’oggettività epica, che contempla dall’alto il grande ciclo provvidenziale della storia, e la soggettività tragica, che è conflitto di ragioni individuali e di verità relative (in questo Virgilio ha assimilato la lezione dei tragici greci: il suo poema ha un grado di apertura problematica molto forte, che lo fa diverso da un tipico epos nazionale). Lingua e stile del nuovo epos Virgilio concilia il massimo della libertà con il massimo dell’ordine, portando l’esametro al massimo della regolarità e della flessibilità. Virgilio plasma il suo esametro come strumento di una narrazione lunga e continua: regolarità di fondo basata su cesure principali, varietà delle cesure accessorie. Ritmo scandito dalla diversa proporzione di dattili e spondei. Uso regolato e motivato dell’allitterazione. Pochi arcaismi e poetismi. “Manierismo sfuggente, né gonfio né sottile, ma fatto di parole normali”. La novità sta nei collegamenti inediti tra le parole. Sperimentazione sintattica, le parole subiscono un processo di straniamento che dà rilievo e nuova percettività al loro senso contestuale. Spazio a procedimenti formulari dell’epica, ma gli epiteti non sono vuoti, rilevano la psicologia dei personaggi. Generale aumento di soggettività: il poeta lascia emergere nel testo i singoli punti di vista soggettivi ma si assume sempre il ruolo di ricomporli in un progetto unitario. La fortuna ORAZIO Il più grande lirico dell’età augustea e, insieme a Catullo, della letteratura latina. Il figlio del liberto alla corte di Augusto Quinto Orazio Flacco nacque l’8 dicembre del 65 a.C. a Venosa. Padre liberto ma ottima educazione a Roma dove studia l’Odusia di Livio Andronico a suon di nerbate. Si arruolò nell’armata repubblicana di Bruto come tribuno militare. Dopo la rotta di Filippi, nel 42, interrompe la sua carriera militare. A Roma nel 41 gli viene concessa un’amnistia ma deve lavorare come scriba quaestorius. A questo punto inizia anche la sua attività poetica. Attorno alla metà del 38 Virgilio e Vario l’hanno presentato a Mecenate e nove mesi più tardi è ammesso nella cerchia. Nel 33 Mecenate gli regalò un podere nella campagna sabina. Ottimo rapporto con Mecenate e stretta cordialità con Augusto, ma senza servilismi: si rifiuta di diventare suo segretario personale. Nell’8 a.C. Mecenate morì e due mesi dopo di lui anche Orazio. Gli Epodi Titolo, datazione e struttura della raccolta “epodo” è tecnicamente un verso più corto che segue uno più lungo, formando distici che Orazio chiama iambi, alludendo al tono aggressivo della poesia giambica greca. 17 componimenti, scritti tra il 41 e il 30 e pubblicati insieme al Libro 2 delle Satire. 1-10 in trimetri e dimetri giambici alternati 11 in trimetri giambici ed elegiambi alternati 12-16 esametro e un altro verso 17, non epodico, in trimetri giambici Varietà di argomenti: epodo proemiale indirizzato a Mecenate (1) invettive contro una donna vecchia e vogliosa (8 e 12) o contro una strega (5 e 17) o un arricchito (4) o un ignoto malèdico (6) o un poetastro (10) o l’aglio (3) epodi erotici (11, 14, 15) epodi civili (7 e 16), deprecazioni della guerra fratricida epodo gnomico (13), invito a bere in una giornata d’inverno epodo 2, elogio della vita rustica di un usuraio Epodi come poesia dell’eccesso Fase giovanile, periodo immediatamente successivo a Filippi, le condizioni di vita lo spingono a asprezze polemiche, toni carichi, linguaggio violento. Sono un caso isolato nella produzione di Orazio. Bisogna comunque riconoscere l’alto tasso di letterarietà della poetica oraziana. Sulle orme di Archiloco, rivendica la sua originalità: ne ha preso i metri, l’ispirazione aggressiva ma non i contenuti. E se Archiloco poteva dar voce gli odi e ai rancori verso i potenti, Orazio prende di mira personaggi minori, scoloriti o addirittura fittizi. Epodo 10: propemtikòn al contrario, augura un naufragio con una violenza quasi giocosa Linguaggio carico ma già si intravede il poeta della misura. rilievo che ha l’amicizia nel mondo di Orazio. L’affinità intellettuale, l’indulgenza, la dedizione, la comunanza di vita: tutto ciò risente delle teorie epicuree e richiama il valore che la philìa aveva nel sistema di pensiero di Epicuro. Satire diatribiche: sviluppa una discussione su un preciso problema morale vivacizzando con argomenti, aneddoti, … Satire descrittive: descrive una situazione, spesso autobiografica, come il viaggio di 1,5 o il seccatore di 1,9. La novità del Libro 2 Regressione della componente autobiografica, domina il dialogo, spazio soprattutto all’interlocutore. Tutti gli interlocutori sono depositari di una loro verità, anche se non tutte le verità sono equivalenti, e il poeta sembra non ritenere più la satira il luogo di una ricerca morale capace di individuare un sistema di condotta. L’equilibro fra autarchia e metriòtes è perduto: il poeta non rappresenta più un fattore unificante, non c’è senso unitario, permette ai suoi interlocutori di denunciare le sue scelte. L’unico rifugio è oramai la villa a Sabina, l’isolamento dalle contraddizioni di Roma. Lo stile delle Satire La satira, dice Orazio, non è vera poesia. È una letteratura più vicina alla prosa, in cui è riprodotto artificialmente il linguaggio della conversazione, con una lingua mirata e semplice. Stile mobile e vario che si modella sui soggetti. Affettazione di negligenza prosastica. Andamento dell’eloquenza popolare e della diàtriba. Le Odi Datazione e struttura della raccolta Sono 3 libri di 38, 20 e 30 carmi; raccolta pubblicata nel 23. Libro 4 pubblicato nel 17, contiene 15 carmi. Il più antico componimento databile è un inno per la morte di Cleopatra (1,37) nel 30, il più recente (4,5) fa riferimento al ritorno di Augusto nel Settentrione nel 13. Nel 17 compone su richiesta di Augusto il Carmen saeculare, un coro di 27 ragazze e 27 ragazzi che si sarebbe esibito ai ludi saeculari. Metri in ordine decrescente: strofe alcaica, strofe saffica minore, strofe asclepiadea. Struttura architettonica significativa: le odi di apertura e chiusura sono dedicate a personaggi di riguardo (1,1 e 2,20 a Mecenate; 2,1 a Pollione; 4,15 ad Augusto) e spesso trattano di argomenti di poetica. Giustapposizione di carmi di contenuto simile: 4,8 e 4,9 sull’immortalità poetica; 3,1-6 vero e proprio ciclo dedicato a temi di ideologia nazionale. Criterio di disposizione è la variatio, sia metrica (i primi 9 componimenti del libro 1 sono in metri tutti diversi) sia tematica. Le odi hanno un’impostazione dialogica, sono rivolte ad un tu immaginario. Lirica oraziana tra imitatio e originalità Rivendica orgogliosamente il titolo di Alceo romano, con cui intrattiene un rapporto di imitatio, obbedienza alla lex operis, rispetto del decorum letterario. Orgoglio della propria originalità, ha diritto all’apprezzamento che spetta a colui che apre vie sconosciute: costruzione del luogo comune del primus ego, “io per primo”. Tecnica del motto: diverse odi di Orazio iniziano con una ripresa evidente del modello, che viene poi dimenticato. I modelli greci della lirica oraziana Alceo gli conferisce l’auctoritas per poter coniugare componenti diverse e a lui si ricollega anche la forte componente moraleggiante. Differenze: Alceo impegnato in prima persona nella lotta politica, per Orazio la poesia come ristoro dall’impegno politico era solo immagine letteraria. Lirica di Alceo legata ad occasioni sociali, quella di Orazio è scritta per la lettura, ha una certa sofisticazione letteraria. Saffo ha lasciato una traccia minore, ma dà degli spunti alla lirica erotica oraziana. Nell’ode 2,13 immagina Alceo e Saffo che incantano con i loro canti un mondo infernale. Ad Anacreonte deve la grazia delicata ed elegante dei toni. A Bacchilide si rifà soprattutto nella prima fase della produzione, a Pindaro sempre. Da Pindaro vengono le idee più importanti di Orazio: la coscienza dell’alta funzione della poesia, la capacità del poeta di conferire l’immortalità, l’apprezzamento della saggezza etico-politica, il sublime. Il richiamarsi alla lirica greca arcaica ha a che fare col desiderio di distinguersi dai neòteroi, ma la loro influenza si sente comunque nel repertorio tematico e soprattutto per il contatto comune col mondo alessandrino, da cui Orazio deriva la forma letteraria in cui incanalare la vita quotidiana. Molti spunti anche dalla trattatistica in prosa. La meditazione filosofica A differenza delle Satire, nelle Odi non troviamo ricerca morale fondata sull’osservazione critica degli altri. Si può dire in un certo senso che le Odi cominciano dove le Satire finiscono, con una raccolta meditazione su poche fondamentali conquiste della saggezza, soprattutto epicurea. A queste nozioni elementari, che devono parecchio anche al buon senso comune, Orazio ha saputo dare una formulazione tanto nitida e incisiva da consegnarle all’eredità della cultura europea. Il punto centrale è la coscienza della brevità della vita, la necessità di appropriarsi delle gioie del momento prima che fuggono ed evitare l’inutile gioco delle speranze. Esortazione a Leuconoe nell’Ode 1,11: “sapias, vina liques, et spatio brevi/ spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida/ aetas: carpe diem, quam minimum credula postero”, ovvero “sii saggia, filtra i vini, e dallo spazio tuo breve recidi la lunga speranza. Mentre parliamo, sarà già fuggito maligno il tempo. Cogli ogni giorno che viene, senza farti illusioni sul domani.” Epicuro: “Si nasce una volta sola, due volte non è concesso… tu, pur non essendo padrone del tuo domani, rimandi la gioia: la vita così trascorre in questo indugiare e ciascuno di noi muore senza aver goduto della quiete”. Il saggio affronterà gli eventi e saprà accettarli: egli conta solo sul presente, che cerca di cogliere nella sua fugacità, e si comporta come se ogni giorno fosse l’ultimo. Il carpe diem non è un banale invito al godimento: in Orazio l’invito al piacere non è separato dalla consapevolezza acuta che quel piacere stesso è caduco, come la vita dell’uomo. Non resta che fabbricarsi la solida protezione dei beni già goduti, della felicità già vissuta. La felicità dell’autarchia è connessa con la vocazione del poeta: gli dèi e le Muse salvano Orazio per riservarlo a quel destino. L’aurea mediocritas, la preziosa medietà, di chi sa fuggire tutti gli eccessi e adattarsi alle fortune non è un possesso sicuro, non è acquisito per sempre. La saggezza si scontra con i dati della condizione dell’uomo: la fugacità del tempo, la vecchiaia, la morte. Nessuna saggezza ha la capacità di eliminare tanto peso negativo: contro le angosce e contro il dolore della vita si può soltanto ingaggiare una lotta virile che richiede energia e conosce qualche eroismo, per trasformare l’inquietudine e l’amarezza in accettazione del destino. La poesia civile Lirica civile innestata su suggestioni dell’epica e della storiografia. Non è semplice propaganda in versi, sa evitare chiusure dogmatiche, compare la lealtà verso la causa repubblicana e l’ammirazione per la virtus anche nei nemici. Lode al principe sfugge alle movenze cortigiane dell’encomio ellenistico per dare voce alla sincera, ansiosa gratitudine nei confronti del pacificatore dell’impero. Dell’ideologia augustea la lirica oraziana condivide l’impostazione moralistica: la crisi era derivata dalla decadenza dei costumi, così Orazio critica il lusso e le stravaganze. Varietà di generi e temi nella lirica di Orazio Varietà dovuta alle diverse categorie dell’antica lirica greca, basata sulle occasioni. Carmi conviviali rimandano ai sympotikà di Alceo e all’epigramma ellenistico. Un quarto delle Odi possono essere classificate come erotiche ma distacco ironico dalla passione, amore come rituale dal canovaccio piuttosto scontato. Ma l’ironia oraziana conosce anche la passione, in tutta la sua crudeltà e malinconia e la rievoca in 4,1. Ci sono vari inni, con funzione diversa da quelli greci perché privi di legame con un’occasione. Contaminazione frequente dei vari generi, incrocio fra le categorie. La campagna è locus amoenus, ma anche fascino del paesaggio dionisiaco della natura aspra e selvaggia. Il poeta vive bene nel suo angulus, un luogo-rifugio che è simbolo dell’esistenza del poeta e della sua esperienza, oltre a esserne la forma estetica. Ruolo fondamentale dell’amicizia. Motivo della vocazione poetica: entusiasmo per la sua missione e orgoglio. In 2,20 sogna di trasformarsi in un cigno, animale sacro ad Apollo e immortale. Orazio non morirà mai perché con la sua opera ha innalzato “un monumento più duro del bronzo”. Lo stile delle Odi Perfezione dello stile viene da Callimaco, vocabolario semplice, essenzialità dell’aggettivazione, moderato impiego delle figure di suono. Sintassi ellittica, costruzioni greche, iperbati, enjambements, virtuosismi. Collocare accortamente le parole nel verso vuol dire seguire una strategia, e far sentire le parole come se fossero nuove  artificio della callida iunctura. Massimo dell’espressività con minimo sforzo di invenzione linguistica: usa molte analogie. Sobrietà e limpidezza classica. Le Epistole Titolo e contenuto Epistole, o Sermones, come le chiama lui: esametri, due libri. Libro 1 pubblicato nel 20 a.C., 20 componimenti in esametri: Libro 2, pubblicato postumo e composto tra il 19 e il 13. Contiene una lunga lettera ad Augusto in cui critica l’ammirazione per i poeti arcaici ed esamina lo sviluppo della letteratura romana e un’altra lettera, a Giulio Floro, una specie di congedo dalla poesia con un quadro memorabile della vita quotidiana del letterato romano. Non inclusa nelle raccolte è l’epistola ai Pisoni, l’Ars Poetica (aggiunta al Libro 2 giù dal 1500). Datazione probabilmente posteriore al 13. Trattato di 476 esametri in cui espone le teorie peripatetiche sulla poesia. Dalle Satire alle Epistole Sembrano diverse solo in questo: nelle Satire è come se parlasse sempre a gente che sta davanti a lui, qui parla ad assenti. Non sono lettere autentiche private, ma non è escluso che potessero essere inviate come omaggio una volta scritte al destinatario. antichi valori agresti celebrati nell’intima adesione ai valori tradizionali e nell’atteggiamento antimodernista. Tibullo rappresenta il caso più vistoso di quella contraddizione che la poesia elegiaca, dichiaratamente così anticonformista, cova in se stessa. Tibullo poeta doctus Si ritrovano nell’opera di Tibullo molti tratti della poesia alessandrina. Quintiliano definisce il suo stile “tersus atque elegans”. Semplice, luminoso, sciolto e raffinato. Intensità senza grida, discrezione del sottovoce. Cantabilità del ritmo. La fortuna Tibullo è apprezzato soprattutto dal partito classico, da Quintiliano, poi rimane in ombra rispetto agli altri. Gli altri autori del Corpus Tibullianum Lìgdamo: prime sei elegie del libro 3, indirizzate a una donna di nome Neèra. Pseudonimo forse per il giovane Ovidio, ma più probabilmente un poeta della cerchia di Messalla. Autore ignoto: Panegyricus Messallae. Tibullo: gli altri 13 componimenti che costituiscono il libro 4, cantano l’amore di Sulpicia per Cerinto. Biglietti di Sulpicia stessa. Corpus Tibullianum documento prezioso per quello che è stato il circolo di Messalla. PROPERZIO Vita Nacque ad Assisi fra il 49 e il 47. Famiglia di rango equestre penalizzata dalla guerra di Perugia. In condizioni disagiate si trasferisce a Roma e nel 29 lo vediamo già inserito nei circoli letterari della capitale, legato a una donna elegante e spregiudicata di nome Cinzia (Hostia secondo Apuleio). Nel 28 si avvicinò a Mecenate e legami stretti anche con Ovidio. Elegie 4 libri. Libro 1, pubblicato nel 28, noto come Monòbiblos. Comprende 22 elegie, tutto incentrato su Cinzia, fascinosa colta e raffinata. Assenza di interesse per i temi civili. Libro 2 (pubblicato forse insieme al 3, tra il 25 e il 22): 34 elegie, incontro con l’ambiente ufficiale di Mecenate: recusatio della poesia epica e celebrativa. Cinzia domina ancora il canto, anche se nell’elegia 10 si insinua un omaggio al principe. Libro 3: 25 elegie, ancora Cinzia ma appare l’ombra del discidium. Altri motivi legati alle fortune e all’ideologia del regime augusteo. Attenzione per la moralità antica, indizio del percorso di “integrazione difficile” di Properzio al regime. Libro 4: 11 elegie, di maggior impegno e lunghezza rispetto alle precedenti. Due sono ancora dedicate a Cinzia, l’8 e la 9 (Cinzia ombra nel regno dei morti, ma sempre amara ed aggressiva). Le altre sono concessioni alle direttive della cultura ufficiale: non è poesia celebrativa ma illustra i miti e riti della tradizione romana e italica (Fasti di Ovidio). Nel nome di Cinzia: libro 1 Il libro era stato pubblicato col nome Cynthia: “Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis”. Poeta come prigioniero della passione per lei. Cinzia è ricca di cultura letteraria, una cortigiana. Legarsi a una donna simile avrebbe significato per Properzio compromettersi socialmente, contravvenire al codice di rispettabilità. Ma della degradazione lui fa un vanto, il poeta si configura nel servitium amoris e si compiace della sua sofferenza. Cinzia è la ragione unica della sua esistenza. Properzio porta all’estremo e teorizza il rifiuto del mos maiorum (già di Catullo) e dei valori della civitas, lasciati perdere in virtù dell’amore. È una scelta di vita anche di tipo filosofico, dedita all’otium letterario, essendo la scrittura l’unica arma di seduzione del poeta. Le ragioni di vita si accordano con le scelte della poesia elegiaca, una poesia tenue. Come Catullo anche Properzio sogna per sé e Cinzia gli amori fantastici del mito, le passioni esclusive ed eterne, vorrebbe un foedus basato su valori di castitas, pudor, fides. La realtà è l’opposto. Da questa insoddisfazione nasce il bisogno di fuga, di evasione nel modo puro del mito: trasfigurati in personaggi mitici, il poeta innamorato e la sua donna vivrebbero amori esemplari, incontaminabili sogni. Il distacco da Cinzia Nei libri successivi al primo l’atteggiamento di Properzio, che nel frattempo si era avvicinato a Mecenate, è più complesso: da un lato si acuisce il senso di disagio per la vita di nequitia ed emerge la consapevolezza dolente di un’esistenza incompleta e irrisolta, dall’altro si fa più sofferto il rapporto con Cinzia e aumenta il bisogno di idealizzazione della sua figura. Nel libro 3 si nota la presenza di una materia più varia, meno legata all’amore per Cinzia e si fanno più vistosi i tratti autoironici. Il distacco rivela anche un ampliamento di prospettiva, l’accentuarsi di un atteggiamento gnomico-didascalico. La scelta della Musa tenue è ribadita ma non è più necessariamente associata ad uno stile di vita, bensì motivata da ragioni estetico-letterarie. Il libro si chiude con il definitivo discidium, l’addio a Cinzia. L’elegia civile Poesia d’impegno civile risponde alle esigenze ideologiche e culturali del regime augusteo. Non rinnega l’adesione alla poesia callimachea, ma slega l’elegia dall’eros, sviluppando fino in fondo il processo del libro 3. Properzio sarà il Callimaco romano, attento indagatore delle cause, degli Aitia. Nel libro 4 la Roma arcaica, il mondo del mito sono interpretati secondo il gusto callimacheo, che dà spazio alla grazia, all’ironia, talora a una leggera e garbata comicità. Elegia 4,4: mito di Tarpea. L’amore non è assente, e nemmeno Cinzia, ma ricompare qui nella luce fosca del vizio e della corruzione. Rivalutazione dell’eros coniugale, delle virtù domestiche. Sono un vistoso segno del processo sofferto verso l’integrazione al modello etico propugnato dall’ideologia augustea che accompagna la sua carriera politica. Uno stile difficile e denso Poeta difficile e oscuro. Di fronte alla cristallina naturalezza di Tibullo, ci sono nel suo stile concentrazione, densità metaforica, sperimentazione costante. Ricerca alla iunctura insolita, esordi ex abrupto, procedere per scatti. Per queste ragioni i suoi testi sono molto esposti ai danni della tradizione manoscritta, a tentativi normalizzanti. OVIDIO Ovidio e lo sperimentalismo letterario L’elegia come scelta non esclusiva, né di vita né di poesia. Una vita brillante che si conclude in esilio Publio Ovidio Nasone nasce a Sulmona da un’agiata famiglia equestre il 20 marzo 43. Migliori scuole retoriche a Roma e canonico soggiorno in Grecia, ma ritornato a Roma abbandona la carriera politica. Entra nel circolo letterario di Messalla Corvino, ottiene fama solida e serenità coniugale con la terza moglie. Nell’8 d.C., all’apice del successo, è colto da un provvedimento punitivo di Augusto, la relegazione a Tomi (oggi Romania). Cause non chiarite: in Tristia 2, 207 nomina due crimina, carmen et error: si sospetta che dietro le accuse ufficiali di immoralità dell’Ars Amatoria si volesse in realtà colpire un suo coinvolgimento nello scandalo dell’adulterio di Giulia Minore, nipote di Augusto. A Tomi muore nel 17 o 18 d.C. Una poesia nuova per una società mondana Atteggiamento fortemente relativistico di Ovidio, aderenze alle varie facce della realtà e accettazione convinta ed entusiastica delle nuove forme di vita nella Roma dei suoi tempi. Ultimo dei grandi poeti augustei, rimane estraneo alle guerre civili, la pace è già consolidata e cresce – con l’insofferenza dei modelli di vita arcaici proposti dal regime – l’aspirazione a forme di vita più rilassate, un costume meno severo e aperto agli agi e raffinatezze che le conquiste orientali hanno portato in Roma. Di queste aspirazioni Ovidio si fa interprete. Nell’Ars Amatoria: “Piacciano agli altri le cose del passato: d’essere nato al giorno d’oggi io mi rallegro. Al mio stile di vita questa è l’epoca adatta.” Sia sul piano dei contenuti che su quello formale: poesia antimimetica, antinaturalistica, innovatrice rispetto alla linea aristotelico-oraziana. Modernità del linguaggio e dello stile, compiaciuto estetismo e scettica eleganza: la letteratura si fa ornamento della vita. Gli Amores, fra tradizione e innovazione Prima edizione nel 20 a.C., seconda nell’1 d.C. 5 libri, 49 elegie. Esordio poetico di un Ovidio non ancora 20enne. Raccolta di elegie di soggetto amoroso, si rifà a Tibullo e soprattutto Properzio, secondo i temi tradizionali del genere. Anche tratti nuovi rispetto alla tradizione: manca una figura femminile unificante, c’è una Corinna ma è una figura tenue, intermittente e limitata. Il poeta stesso dichiara di non sapersi appagare di un unico amore, di preferire due donne, o qualunque donna. Anche il pathos si stempera e banalizza: l’intensa avventura esistenziale e drammatica di Catullo e Properzio diventa in Ovidio un lusus, tutto è filtrato dall’ironia e dal distacco intellettuale. Scarsa presenza del servitium amoris, che compare solo nei confronti di Amore, che non è più la singola donna ma l’esperienza d’amore. Forte coscienza letteraria, poesia come strumento di immortalità. Negli Amores il codice elegiaco, che pure viene formalmente rispettato, sembra però parlare innanzitutto di se stesso: la poesia erotica di Ovidio prova a guardare l’elegia invece di guardare con gli occhi dell’elegia, assumendo un punto di osservazione superiore ed esterno. Le eroine soffrono non solo in quanto innamorate tradite ma anche in quanto donne. Esperienza comune di un’esistenza segnata dall’abbandono, dall’umiliazione, dalla propria debolezza, dall’inferiorità di chi deve subire senza potersi imporre. Ed è proprio Saffo ad affermare il legame quasi necessario tra il verso elegiaco e la condizione delle eroine infelicemente innamorate: “devo piangere sul mio amore e l’elegia è un canto lacrimoso”. Spazio più ampio concesso ai toni patetico-tragici piuttosto che al lusus, approfondimento della psicologia femminile (tratto euripideo). Le Metamorfosi: forma e significato di un progetto ambizioso Metamorphòseon libri, vede la luce tra il 2 e l’8 d.C., come i Fasti. Veste formale dell’epos, grandi dimensioni (15 libri) ma il modello d’ispirazione esiodea (Teogonia, Catalogo) è quello di un poema collettivo, a cui si ispirano anche gli Aitia di Callimaco. Ovidio rileva anche l’intenzione di comporre un poema epico, che la poetica callimachea aveva messo al bando. Ovidio prega ritualmente gli dèi di ispirarlo nello scrivere un poema di metamorfosi ma alla maniera dell’epos, ambizione di realizzare un’opera universale, al di sopra dei limiti segnati dalle varie poetiche. Impianto cronologico illimitato, secondo un progetto a cui fa riferimento la IV egloga di Virgilio e che era tendenza diffusa nella cultura del tempo: scrivere una sintesi di storia universale. Risponde così anche alle esigenze augustee, facendo del nuovo regime il culmine e il coronamento della storia del mondo. Struttura e composizione del poema 250 vicende mitico-storiche, ordinate secondo un filo cronologico quasi impercettibile, per lasciare spazio ad altri criteri di associazione. Le varie storie possono essere collegate ad esempio per continuità geografica (saghe tebane dal libro 3 in poi), per analogie tematiche (amori degli dèi, ecc.), per contrasto (storie di pietà VS storie di empietà), rapporto genealogico dei personaggi, analogia di metamorfosi, … Nei primi due libri vengono collocati i miti relativi alla trasformazione del Caos nei vari elementi della natura, poi la creazione dell’uomo, il diluvio universale, l’incendio della terra causato da Fetonte, infine la rinascita degli uomini ad opera di Deucalione e Pirra. A partire dal libro III, si entra nell’età dei semidei e degli dei, e delle loro passioni per gli esseri umani. Sono narrati quindi i miti di uomini tramutati in: - animali: Atteone in cervo, Ecuba in cagna, Aracne in ragno, ecc.; - piante: Giacinto in fiore, Dafne in lauro, Ciparisso in cipresso, ecc.; - esseri inanimati: Niobe in pietra, Biblide in fonte. Si giunge così al libro XII, in cui si narra del sacrificio di Ifigenia, della guerra di Troia fino alla morte di Achille. Nel libro XIII si passa dalla mitologia greca a quella romana: Ulisse e Aiace si contendono le armi di Achille. Poi viene narrata la fuga di Enea con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio. Il libro XIV contiene l’ultima parte del viaggio di Enea, l’approdo in Italia e i racconti mitici sull’origine di Roma. Nel libro XV, l’ultimo, ha particolare rilievo il discorso di Pitagora sulla metempsicosi e, quindi, sulla metamorfosi come legge che regola il mondo. Pitagora, nel corso del libro XV, afferma di esporre quanto gli ha dettato lo stesso Apollo: l’anima non muore ma, lasciata la sede precedente, vaga da un corpo all’altro, migra da noi nelle bestie e dai corpi ferini nei nostri. Nessuna cosa è stabile e ferma, ma tutto varia e si rinnova. L’opera, le Metamorfosi di Ovidio, si chiude con la divinizzazione di Cesare, che assurge in cielo sotto forma di astro, e con la celebrazione di Augusto. Molto variabili sono le dimensioni delle storie narrate, diversi sono anche i tempi e i modi della narrazione, che indugia sui momenti drammatici, spesso sull’atto della metamorfosi. Varietà dello stile: ora solennemente epico, ora liricamente elegiaco, ora riecheggiante poesia drammatica o movenze bucoliche. Le Metamorfosi sono anche una galleria dei vari generi letterari. Ovidio cerca la varietà ma tende alla continuità della narrazione, al suo armonioso e fluido dipanarsi: diversamente dall’Eneide virgiliana la cesura tra i vari libri cade nei punti vivi, nel mezzo di una vicenda (come il racconto del ratto d’Europa, spezzato tra due libri: nello spazio vuoto si immagina l’amplesso fra Giove e la donna). Ordinamento cronologico perturbato dalle ricorrenti inserzioni narrative proiettate nel passato o nel futuro. Racconto ad incastro. Moltiplicazione dei livelli e delle voci narranti con un effetto di vertigine, di fuga labirintica: il racconto sembra germogliare continuamente da se stesso e allontanarsi in una prospettiva infinita, in una dimensione fuori dal tempo. La metamorfosi in Ovidio, il mito e l’amore Metamorfosi tema già presente in Omero, ma caro soprattutto alla letteratura ellenistica, della quale soddisfaceva il gusto per l’eziologia. Nel poema ovidiano la metamorfosi è il tema unificante delle tante storie narrate, nell’ultimo libro cerca di dare anche dignità filosofica alla sua opera mediante il lungo discorso di Pitagora, ma Ovidio sembra non essere troppo convinto. L’argomento centrale rimane l’amore, non l’amore della Roma mondana ma quello del mito. Il mito non ha la valenza religiosa profonda che ha per Virgilio, è ornamento della vita quotidiana: in questo accentua una tendenza già insita nella cultura ellenistica. Il mondo del mito è innanzitutto il mondo delle finzioni poetiche: le Metamorfosi sono una summa compendiaria di testi, di uno sterminato patrimonio letterario che va da Omero ai poeti della Roma di Ovidio. Il poema ovidiano è coscientemente orgoglioso di questa natura complessa e intertestuale, ama esibire le proprie fonti e ascendenze. Tale compiaciuta consapevolezza si trasforma in un distaccato sorriso del poeta, una garbata ironia. Nello scettico distacco dai suoi contenuti consiste il narcisistico trionfo di questa poesia che vuole intrattenere e stupire. Illusione e meraviglia: la narrazione delle Metamorfosi Il carattere fondamentale del mondo delle Metamorfosi è la sua natura ambigua e ingannevole, l’incertezza dei confini fra realtà e apparenza, fra la concretezza delle cose e l’inconsistenza delle apparenze. I personaggi sono come smarriti in questo universo insidioso, il loro incerto agire e la naturale attitudine umana all’errore sono lo spettacolo che il poeta rappresenta. La lingua stessa, lo stile mostrano la natura ambigua delle cose: il linguaggio rivela lo scarto fra l’illusorietà di ciò che appare e la concretezza di ciò che è. I personaggi agiscono seguendo ognuno il proprio punto di vista, convinti tutti di padroneggiare la realtà: il narratore-poeta è il punto unificante, e interviene spesso per condividere con il lettore il suo ironico distacco. La metamorfosi è fotografata nelle sue diverse fasi: insistenza sulla percezione visiva della realtà, i tratti del meraviglioso descrivono i confini incerti tra la vecchia e la nuova forma. Natura eminentemente visiva, immediata evidenza plastica che anticipa il manierismo imperiale. I Fasti: Ovidio e il regime augusteo Sulle orme dell’ultimo Properzio e delle sue “elegie romane”, Ovidio si impegna nella poesia civile: il progetto è illustrare gli antichi miti e costumi latini, seguendo la traccia del calendario romano. Erano previsti 12 libri in distici elegiaci, ognuno per un mese dell’anno, ma l’esilio interrompe la composizione al sesto. Modello, oltre a Properzio, è Callimaco degli Aitia, e se già Properzio aspirava ad essere il “Callimaco romano”, in Ovidio questa aspirazione è ancora più evidente nella volontà di trasformare in un nuovo e coerente genere poetico quelle che in Properzio erano prove sperimentali. Fonti antiquarie: Varrone, Verrio Flacco, Livio. Ma l’adesione di Ovidio al programma culturale del regime rimane superficiale: sullo sfondo di carattere antiquario Ovidio inserisce materiale mitico di origine greca (come le leggende di Proserpina e del ratto d’Europa) o di carattere aneddotico, con frequenti accenni alla realtà e alle vicende contemporanee. Ciò gli permette di sottrarsi all’arido “calendario in versi” e soddisfare il suo gusto per il pathos delicato, per l’elemento erotico o qualche tratto di sapido realismo. Un’interpretazione superata vede nei Fasti un Ovidio che pagherebbe stancamente il suo debito facendo il proprio dovere di civis Romanus, così l’antropologia di Frazer vede in Ovidio un semplice catalogo di informazioni antropologiche. Ma studi più recenti suggeriscono che Ovidio faccia dello schema eziologico una trama maliziosa. Nessuno può negare quanta importanza ha la ricostruzione del passato nel progetto ideologico augusteo, perciò quando Ovidio decostruisce e mette in dubbio il rapporto fra presente e passato, il gioco diventa serio. È la romanità espressa dal calendario che viene insidiata e decentrata. La vera lacuna del poema – dal punto di vista del principe – non è che Ovidio non riesce a prendere sul serio Augusto, ma che non riesce a prendere sul serio Romolo. I Fasti sono un poema su cui c’è ancora molto da indagare. Le opere dell’esilio Di colpo Ovidio si trova da solo, a comporre poesia per se stesso: la sua condizione di artista senza pubblico, senza contatto col destinatario, gli ispira la malinconica immagine di uno che danza al buio. Tristia, Epistulae ex Ponto, Ibis: temi e struttura Tristia: 5 libri in distici elegiaci, legati dal tema del lamento sull’infelice condizione del poeta esiliato. Ricorre l’appello agli amici e alla moglie per suscitare un movimento d’opinione che possa far concedere al poeta esiliato le condizioni minime perché rimanga se stesso, se non il ritorno. Anche qui filtro letterario: Ovidio rilegge la sua esperienza attraverso il prisma di innumerevoli modelli. L’elegia 1,3 dei Tristia descrive il suo commiato da Roma in termini analoghi alla Heroides 13, in cui è raccontato l’amore tra Laodamia e Protesilao. Libro 1: commiato da Roma, lungo viaggio verso Tomi Libro 2: unica lunga perorazione rivolta ad Augusto affinché scagioni l’elegia erotica ovidiana dall’accusa di immoralità Libr 3, 4, 5: numerose elegie rivolte a destinatari imprecisati sull’incertezza che il poeta nutre riguardo il suo pubblico, una volta caduto in disgrazia Epistuale ex Ponto: tòpoi della letteratura epistolare, analogie con le Heroides (parallelismo tra la lontananza sofferta dalla donna abbandonata e dal poeta esiliato). Ibis: poemetto in cui si difende dagli attacchi dei suoi nemici, serie di invettive contro un suo detrattore. sostegno acritico. Quintiliano scorgeva in lui tracce di Patavinitas, provincialismo padovano, cioè un legame con un posizioni repubblicane. Secondo Tacito Augusto lo chiamava “pompeiano” per la sua simpatica nostalgia nei confronti degli ideali repubblicani. Impossibile farsi un’idea adeguata senza i libri sulla repubblica, ma sappiamo da Tacito che Livio aveva coperto di lodi Pompeo e ostentava simpatia verso i cesaricidi. Augusto tollerava questo culto dei martiri della repubblica, purché fossero in accordo su temi più sostanziali, quali la condanna del disordine politico-sociale degli ultimi decenni della repubblica, dei confini tra partiti, dell’avidità dei ricchi e delle rivendicazioni dissennate dei ceti poveri. Dalla Praefatio traspare una consapevolezza acuta della crisi che Roma ha di recente attraversato e lo storico non la considera superata e risolta felicemente. Livio resta estraneo a tutta quella parte dell’ideologia augustea che insiste sul valore carismatico del principato, presentandolo come una realizzazione di una nuova età dell’oro. Se Virgilio finiva per giustificare un disegno provvidenziale, Livio non riusciva a scorgere nella vittoria di Augusto il rimedio miracoloso che aveva estinto per sempre i germi della corruzione nello Stato romano. Caratteri della storiografia liviana La narrazione del glorioso passato di Roma è per lui un rifugio rispetto alla preoccupazione della narrazione degli eventi più recenti: atteggiamento implicitamente polemico nei confronti della storiografia sallustiana. Il pessimismo liviano non è altrettanto lucido di quello di Sallustio: riconosce la corruzione e la decadenza dei costumi in Roma, ma complessivamente rimane convinto che nessun altro popolo può offrire esempi più insigni di grandezza morale e di integrità di costumi. Giustifica l’impero di Roma, edificato dalla fortuna e dalla virtus del popolo romano. Forse però ciò che in Livio appare come orgoglio nazionalistico potrebbe essere solo dovuto alla sua generale tendenza ad idealizzare il passato: probabilmente egli oscurava in adeguata proporzione il quadro dell’ultimo secolo della storia di Roma. Prova sempre reverenza, sgomento nella rievocazione dell’imponente cammino che ha portato Roma al suo culmine. Il grandioso passato indica la via della salvezza, la mitologia del passato sa illustrare esemplarmente i bisogni ideologici del popolo romano. Passione moralistica: storiografia che non è studio politico o spiegazione di eventi, è una narrazione in modo da condurre in termini di personalità umane e singoli individui rappresentativi che fungono da exempla da imitare o da rifuggire per i futuri uomini di stato. La tecnica narrativa: una storiografia drammatica Largo spazio alla drammatizzazione del racconto, tendenza onnipresente sia nei resoconti battaglie che di sommosse popolari o discorsi in senato. Livio risente della storiografia tragica ellenistica (Eforo, Duride, Filarco) così la historia, più che ricerca della verità, diventava attività retorica. Per sua esplicita ammissione Livio fa passare avanti alla ricerca della verità per se stessa la concezione e l’esposizione drammatica della storia. Il suo scopo è mostrare che qualità morali e mentali hanno un impatto decisivo sugli avvenimenti. Si immerge nelle cose e vuole dare l’impressione di essere testimone che ha vissuto il dramma che racconta. Scrivere storia per Livio è innanzitutto far vivere gli uomini che la fanno: le masse attraverso discorsi indiretti, singoli personaggi attraverso discorsi diretti (es. discorso delle Sabine stesse “fanno…di due popoli un solo popolo”. Pateticità di Livio non paragonabile a quella di Sallustio, è un modo arioso di rappresentare e narrare: un modo sentimentale, fatto di ethos più che di pathos. Suggestione di maestà epica. Stile della narrazione liviana Si oppone nettamente al modello di Sallustio, per accogliere le indicazioni di Cicerone che voleva uno stile ampio, fluido e luminoso, senza artifici, restrizioni e asperitas, candor, limpida chiarezza. Varietà dei toni, corso dolce e regolare dell’espressione. Ma in realtà il periodare di Livio si rivela spesso carico, affollato. Varietà: prima decade arcaizzante, le altre classicismo. Coloritura poetica frequente. La prima età imperiale SENECA Il filosofo e il potere Uno dei pochi personaggi nella storia della filosofia che abbia potuto realizzare, almeno per qualche tempo, l’utopia platonica dei filosofi al potere. Vita e morte di uno stoico Lucio Annèo Seneca nasce in Spagna, a Cordova, da una ricca famiglia equestre nel 4 a.C. A Roma fu educato nelle scuole retoriche. Nel 26 si recò in Egitto e al ritorno a Roma, nel 31, iniziò la pratica forense e la carriera politica ottenendo grande successo. Caligola, geloso della sua fama oratoria, arrivò a decretarne la pena di morte. Fu salvato ma non si salvò poi dalla relegazione comminata da Claudio nel 41, che lo accusava di coinvolgimento nell’adulterio di Giulia Livilla (figlia di Germanico). Rimase in Corsica fino al 49, quando Agrippina ottenne il suo ritorno dall’esilio e lo scelse come tutore di Nerone. Nel quinquennio felice di Nerone (54-59) si occupò insieme al prefetto del pretorio Afranio Burro dell’educazione dell’imperatore, e di fatto resse la guida dello stato. Attorno al 62 Burro morì e Seneca vide venir meno la sua posizione di consigliere politico. Si ritirò a vita privata e, ormai inviso a Nerone e al nuovo prefetto del pretorio Tigellino, venne coinvolto nella congiura dei Pisoni senza esserne partecipe e fu condannato a morte da Nerone. Nel 65 si suicidò. I Dialogi e la saggezza stoica Le singole opere dei Dialogi sono trattazioni autonome di aspetti o problemi particolari dell’etica stoica, uno stoicismo che ha stemperato l’antico rigore dottrinale. Li scrive lungo tutto l’arco della sua vita. Le consolationes Genere della consolazione appartiene alla tradizione filosofica greca e si costituisce intorno ad un repertorio di temi morali che anche Seneca riprende. Consolatio ad Marciam: del 40, indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Cordo per consolarla della morte di un figlio Ad Helviam matrem: del 42, per consolare la madre della condizione di esule di suo figlio Ad Polybium: (del 43?) rivolta ad un potente liberto di Claudio per ottenere il rientro a Roma (l’atto più tacciato di opportunismo di Seneca) La riflessione sulle passioni e la ricerca della felicità Gli altri Dialogi sono più speculativi. De ira: 3 libri, scritti prima dell’esilio ma pubblicati dopo la morte di Caligola. Fenomenologia delle passioni umane, ne indaga i meccanismi di origine e i modi per inibirle e dominarle. De vita beata: del 58, problema del ruolo delle ricchezze nel conseguimento della felicità. Seneca sembra voler affrontare le accuse di incoerenza tra i principi professi e la concreta condotta di vita che lo interessavano (era diventato ricchissimo): il filosofo legittima l’uso della ricchezza se si rivela funzionale alla ricerca della virtù. Ciò che importa è non farsi mai possedere dalle ricchezze, possederle va bene. Seneca resta estraneo al fascino del modello cinico asociale: chi aspira alla della ripresa del teatro latino tragico. Sono nove, tutte di soggetto mitologico = cothurnatae  Hercules furens: è costruita sul modello dell'Eracle euripideo: Giunone provoca la follia di Ercole. In conseguenza a ciò l'eroe uccide moglie e figli. Una volta rinsavito, determinato a suicidarsi, egli si lascia distogliere dal suo proposito e si reca infine ad Atene a purificarsi.  Troades: è la contaminazione dei soggetti di due drammi euripidei, Le troiane e l'Ecuba. La tragedia rappresenta la sorte delle donne troiane prigioniere e impotenti dì fronte al sacrificio di Polissena, figlia di Priamo, e del piccolo Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca.  Phoenissae: è l'unica tragedia senecana incompleta, basata sulle Fenicie di Euripide e sull'Edipo a Colono di Sofocle. La vicenda ruota attorno al tragico destino di Edipo e all'odio che divide i suoi figli, Etèocle e Polinice.  Medea: naturalmente si rifà all'omonima tragedia di Euripide e, forse, anche a una fortunata tragedia - andata perduta - di Ovidio. Narra la cupa vicenda della principessa della Colchide abbandonata da Giasone e assassina, per vendetta, dei figli avuti da lui.  Phaedra: la tragedia presuppone il celebre modello euripideo dell'Ippolito, di una tragedia perduta di Sofocle e della quarta delle Heroides ovidiane: tratta dell'incestuoso amore di Fedra per il figliastro Ippolito e del drammatico destino che si abbatte sul giovane, restio alle seduzioni della matrigna, la quale, per vendetta, ne provoca la morte denunciandolo al marito Teseo, padre di Ippolito.  Oedipus: ispirata al celeberrimo Edipo re sofocleo, narra il mito tebano di Edipo, inconsapevole uccisore del padre Laio e sposo della madre Giocasta. Alla scoperta della tremenda verità egli reagisce accecandosi.  Agamemnon: si ispira, assai liberamente, all'omonimo dramma di Eschilo. La tragedia rievoca l'assassinio del re, al ritorno da Troia, per mano della moglie Clitennestra e dell'amante Egisto.  Thyestes: rappresenta una vicenda mitica già trattata in opere di Eschilo, Sofocle, Euripide, Ennio e Accio (tutte perdute). Atreo, animato da odio mortale per il fratello Tieste, che gli ha sedotto la sposa, si vendica con un finto banchetto di riconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli.  Hercules Oetaeus: letteralmente "Ercole sull'Eta", dal nome del monte su cui si svolge l'evento culminante del dramma, la tragedia è modellata sulle Trachinie di Sofocle, è trattato il mito della gelosia di Deianira, che per riconquistare l'amore di Ercole, innamoratosi della concubina Iole, gli invia una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, creduto un filtro d'amore e in realtà dotato di potere mortale: tra dolori atroci Ercole muore ed è assunto fra gli dei. Fortissime, in quest'opera, le analogie con la vita di Gesù di Nazareth. Un fatto che dà ragione a molti storici secondo i quali, già negli anni di Seneca, il Cristianesimo era diffuso nei circoli degli intellettuali e tra i patrizi romani a pochi anni dalla morte di Gesù. L'Ercole di questa tragedia, infatti, muore e risorge, è assunto tra gli dei, si rivolge a Giove come "pater", viene tradito da un amico che si suicida. Non solo: alla sua morte getta un urlo fortissimo, ne segue un terremoto, ascende al cielo ed è presente nel testo anche la trasfigurazione di Ercole. Infine, dopo la risurrezione, Ercole si identifica con Giove e ne assume i poteri.  Octavia (spuria): rappresenta la sorte di Ottavia, la prima moglie di Nerone da lui ripudiata, perché innamorato di Poppea, e fatta uccidere. Si tratta quindi di una tragedia di argomento romano, ossia una praetexta (l'unica rimasta), ma è certamente spuria, sia perché lo stesso Seneca vi compare come personaggio del dramma, sia perché la descrizione della morte di Nerone (avvenuta nel 68, tre anni dopo quella di Seneca), preannunciata dall'ombra di Agrippina, è troppo corrispondente alla realtà storica, inoltre l'autore, che mostra grande familiarità con l'intera produzione di Seneca, trasferisce nella tragedia brani versificati tratti dalle opere filosofiche. L'Octavia, quindi, fu scritta in un ambiente vicino a Seneca e pochi anni dopo la sua morte (70-80 d.C.). Rispetto all’atteggiamento dei tragici latini arcaici, Seneca si ritaglia maggior autonomia rispetto ai modelli greci e al tempo stesso presuppone un rapporto continuo col modello, sul quale opera interventi di contaminazione, ristrutturazione, razionalizzazione attraverso il filtro del gusto e della tradizione latina. Contenuti e destinazione delle tragedie Vicende tragiche si configurano come conflitti di forze contrastanti (soprattutto all’interno dell’animo umano) come opposizione tra mens bona e furor, fra ragione e passione. La ripresa di temi e motivi delle opere filosofiche ha fatto pensare alle tragedie senecane come illustrazioni della sua dottrina stoica, ma non è così: forte letterarietà di queste e il lògos stoico è insufficiente, incapace di frenare le passioni nel dilagare del male. Sullo sfondo una realtà dai toni cupi e atroci, che investe sia la psiche umana che il mondo tutto in un conflitto tra bene e male di portata universale. Ricorre la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere, che dà spunti di dibattito etico sul tema del potere. Probabilmente tragedie destinate alla lettura in sale di recitazione, ma non è esclusa per qualcuna di esse la possibilità di rappresentazione scenica: macchinosità, truce spettacolarità di alcune scene non sarebbero state rese da una semplice lettura. Uno stile a tinte fosche Linguaggio poetico preso soprattutto da Ovidio, ma anche Orazio nei metri lirici degli intermezzi corali. Tracce della tragedia latina arcaica nel pathos esasperato, nel cumulo espressivo e nella frase sentenziosa. Costante ricerca della brevitas. Lunghe digressioni che alterano i tempi drammatici. Uno stile che si inquadra agevolmente nel gusto letterario contemporaneo. La praetexta Octavia Sicuramente spuria (contiene la descrizione della morte di Nerone e brani versificate dalle opere stesse di Seneca, oltre alla sua presenza come personaggio), rimane l’unica tragedia di argomento romano che ci sia giunta integralmente. L’Apokolokýntosis Anche Ludus de morte Claudii o Divi Claudii apotheosis per saturam, “deificazione di una zucca, di un zuccone”. Il componimento inizia situando, in modo parodico, l'ora della morte di Claudio (capp. 1–2), narrata secondo la versione ufficiale diffusa da Seneca e Agrippina, mentre le Parche tagliano lo stame della vita dell'imperatore e Apollo celebra l'ascesa al trono di Nerone e l'avvento di una nuova età aurea (capp. 3–4). Dopo un secondo proemio (cap. 5,1), Claudio ascende all'Olimpo, alle porte del quale è bloccato da Ercole, portinaio degli dèi che, non essendo riuscito a capire chi o cosa sia quell'uomo, che si esprime balbettando e con citazioni dotte (capp. 5,2-7), lo conduce nel concilio degli dèi perché egli pretende di essere assunto fra le divinità. Dopo una lunga disputa, in cui intervengono Giano a favore dell'imperatore e Augusto stesso, che deplora il nipote come erede degenere, Claudio è condannato all'unanimità a essere gettato, come tutti i mortali, agli inferi (capp. 7–11) e, accompagnatovi da Mercurio, assiste al suo funerale, dove gli avvocati e i poetastri si disperano per la morte di un imperatore appassionato di processi e di poesia da strapazzo, intonando un coro funebre in anapesti (cap. 12). Arrivato nell'Ade, Claudio viene accolto dalla folla inferocita delle sue vittime e, dopo essere stato processato dal giudice dei morti, Eaco, finisce schiavo del nipote Caligola e, successivamente, viene assegnato al suo liberto Menandro (sorta di contrappasso, vista la liberalità di Claudio per i liberti in vita), che lo costringe a lanciare dadi da un barattolo forato nel fondo (capp. 13–15). Rientra nel genere della satira menippea e alterna prosa a versi di vario tipo. Gli epigrammi Alcune decine di epigrammi in distici elegiaci anonimi. Livello medio, alcuni accennano all’esperienza in Corsica o al nipote Lucano da bambino. La fortuna LUCANO glorie della collettività. Per Lucano il poema epico diventa denuncia della guerra fratricida. Il tradizionale poema epico, soprattutto l’Eneide, fa da sfondo e viene ripresa per contrasto: sistematica confutazione del modello mediante ribaltamento delle sue affermazioni, ripresa antifrastica di espressioni e situazioni virgiliane  allusività antifrastica. È come se Virgilio avesse perpetrato un inganno, coprendo con un velo di mistificazioni la fine della libertà romana e la trasformazione dell’antica res publica in tirannide. Può essere definito una anti-Eneide. Mutamento dell’oggetto: non più racconti mitici ma la storia recente (si spiega la rinuncia alla divinità). Nell’epos virgiliano le guerre civili erano adombrate nel remoto conflitto tra Troiani e Latini, Lucano invece vuole raccontarle in tutta la loro ineludibile realtà storica, presentandone anche le nefaste conseguenze. Rovesciamento del modello: nel libro 6 dell’Eneide c’è la catabasi di Enea, nel 6 della Pharsalia la negromanzia. Ma se Anchise profetizzava ad Enea le future glorie di Roma, il soldato richiamato in vita dalla maga tessala racconta di aver visto negli Inferi gli eroi di Roma in lacrime per l’infelice destino della città e i populares esultanti. Il soldato parla con Sesto Pompeo, figlio degenere ed empio di Pompeo, rovesciamento del pio Enea. Così Pompeo è messo in connessione con la rovina di Roma, come la gens Iulia era stata collegata da Enea alla sua ascesa. Ma il rapporto con il modello è molto complesso, anche perché Viriglio presentava ambiguità e dubbi sulla bontà del destino di Roma. In Lucano non ci sono più illusioni, solo amarezza. Un poema senza eroe: i personaggi della Pharsalia Cesare: rappresenta il trionfo delle forze irrazionali, furor, ira, impatientia (tratti tipici del tiranno), spogliato del suo attributo principale, la clemenza verso i vinti. Malefica grandezza, domina la scena. Pompeo: relativa passività che serve a ridimensionarne la responsabilità, e dipingere Cesare forsennato e assetato di potere come unico responsabile della catastrofe che porterà Roma al tracollo. Pompeo è una sorta di Enea, ma ha un destino negativo e diventa quindi un personaggio tragico, l’unico con un’evoluzione psicologica: dai vertici più alti ricade nel nulla, ripiegando nella sfera del privato (attaccamento alla moglie e ai figli). Alla fine, una purificazione lo porta alla consapevolezza della malvagità dei fatti e si conquista un posto in cielo tra gli spiriti degli eroi romani incorrotti. Catone: consapevole sin dall’inizio della malvagità della causa (“la causa vittoriosa ebbe il sostegno degli dèi, ma quella sconfitta ebbe il sostegno di Catone”). Rappresenta la crisi dello stoicismo tradizionale, che garantiva il dominio della ragione del cosmo, crollato davanti alla consapevolezza della malvagità del fato. La giustizia si può attuare solo nella coscienza del saggio, ed è per questo che non gli resta che darsi la morte. Personaggi minori: soldati pompeiani e catoniani come combattenti valorosi, cesariani come mostri assetati di sangue, Cornelia moglie di Pompeo incarnazione della fedeltà. Il poeta e il principe: l’evoluzione della poetica lucanea Il pessimismo lucaneo è maturato progressivamente nel corso della stesura del poema. In una fase iniziale condivideva le speranze di palingenesi politico-sociale suscitate dall’avvento al potere di Nerone, di cui fa un elogio, attribuendogli tratti augustei. Nerone, per Lucano, è la vera realizzazione delle promesse di nuova età dell’oro fatte dal Giove virgiliano. Lucano ha subito un’evoluzione simile a quella di Seneca, i primi 3 libri della Pharsalia hanno aspetti in comune con il De clementia e l’Apokolokyntosis, in cui la conciliazione del principato e della libertà è ancora considerata possibile. Resta il fatto che l’elogio di Nerone suona come una nota stridente: contraddizione fra la visione radicalmente pessimistica dell’ultimo secolo di storia romana e le aspettative suscitate dal nuovo principe. Infatti, nel resto dell’opera Nerone non è mai più menzionato. Oltre i primi 3 libri il pessimismo di Lucano si fa più radicale: delinea un anti-mito di Roma, il mito del suo tracollo, della sua inarrestabile decadenza. Lo stile della Pharsalia Lo stile grande e solenne dei poemi epici, che serviva come positiva commemorazione, al racconto che accanto alla contemplazione del religioso e del sovrumano proponeva l’ammirazione per le avventure di uomini eccezionali, non può più far fronte a una realtà delusa. Ma Lucano non ha la forza di sbarazzarsi di una forma letteraria che pur non sente più adatta ai propri bisogni. La presenza di un’ideologia politco-moralistica diventa ossessiva e invade il linguaggio, è ostentata: retorica compensa la perdita di credibilità in cui sono cadute le forme semplici del linguaggio epico. Spinta continua al pathos e al sublime è in contatto con le tragedie di Seneca: barocco, manierismo. Per Quintiliano è ardens et concitatus, urgenza concitata della narrazione inarrestabile. Io del poeta onnipresente, apostrofi e interventi personali. Stile che non conosce dominio e misura, stancante: ma ora che il mondo interno non avrebbe potuto più essere quello che era stato prima, non era possibile continuare a nutrirsi di una forma tradizionale qual era quella che il genere epico offriva. PETRONIO Un capolavoro pieno di interrogativi Flaubert e Joyce guardano ancora al Satyricon. Il Satyricon, un’opera in cerca d’autore Nessun autore antico dice chi fosse il misterioso Petronius Arbiter, autore del Satyricon secondo la tradizione manoscritta. Tacito ci parla di un Petronio negli Annales, un personaggio fascinoso console nel 62 e morto suicida nel 66 per volontà di Nerone. Era giudice dell’eleganza cortigiana, arbiter elegantiae. La datazione del Satyricon Sicuramente non oltre il principato di Nerone. Allusioni a personaggi e presupposti storici tutti compatibili con il periodo neroniano, non con datazioni più tarde. Per esempio il Bellum civile di Eumolpo si riferisce sicuramente alla Pharsalia di Lucano. Linguaggio parlato dai liberti di Trimalchione profondamente diverso dal latino letterario che ci è familiare: fonte preziosa di informazione sulla lingua popolare, da accostare ai graffiti di Pompei e a Plauto e Catullo. Volgarismi sono spie di uno strato basso della lingua, portato alla luce dalla ricerca artistica di Petronio. Una narrazione in frammenti Rimasto un lunghissimo frammento narrativo in prosa con selezioni in versi: stralci dei libri 14 e 16 e tutto il 15, che coincide con la Cena Trimalcionis. Titolo: Satyricon libri, Satyrica, si rifà ai Satyri, grottesche creature della mitologia. La narrazione tràdita si apre in una Graeca urbs della Campania, forse Pozzuoli, Napoli o Cuma, nei pressi di una scuola, dove Encolpio e l'anziano retore Agamennone dibattono fervidamente sull'inesorabile declino dell'arte dell'eloquenza. Ad un certo punto, il protagonista si rende conto che il suo compagno di viaggio Ascilto si è defilato e, approfittando dell'arrivo degli studenti, s'allontana con l'intento di andarlo a cercare. Girovagando per la labirintica città campana, il giovane finisce per perdersi e, chiedendo ingenuamente indicazioni ad un'anziana sconosciuta, viene da questa trascinato in un lupanare, dove però s'imbatte proprio in Ascilto. Qui i due, nel tentativo di fuggire, sono forse coinvolti in un'orgia. Riusciti a venirne fuori, i due giovani ritornano a casa, dove trovano ad attenderli Gitone, l'efebico servo ed amante di Encolpio. In seguito, i due compari si trovano a dover fare i conti col sacrilegio da loro commesso nel tempio di Priapo diverso tempo prima della narrazione pervenutaci: la sacerdotessa della divinità, Quartilla, essendo stata di fatto bruscamente interrotta dai giovani durante il suo consueto rito sacerdotale, costringe Encolpio ed Ascilto ad un'orgia come forma d'espiazione della colpa da loro commessa. In questa è coinvolto anche Gitone, che viene poi spinto a giacere con la settenne Pannichide. Una volta soddisfatta la richiesta della sacerdotessa, ritornano tutti a casa. Il racconto si sposta dunque a casa di Trimalcione, un rozzo ed eccentrico liberto arricchitosi immensamente con l'attività commerciale, dove i tre giovani si trovano invitati ad uno dei suoi sfarzosi e luculliani banchetti. Qui s'apre la scena della famigerata Cena Trimalchionis che, occupando quasi la metà dell'intero scritto pervenutoci, costituisce la parte centrale dell'opera. Al convivio sono ospiti, oltre ai tre giovani, anche il retore Agamennone (che, pur prendendo spesso parte ai banchetti organizzati da Trimalcione, nutre segretamente disprezzo nei suoi riguardi) ed altri vari personaggi dello stesso ceto sociale del padrone di casa. La portata del cibo è spettacolare ed altamente coreografica, accompagnata dai giochi acrobatici della servitù e dai racconti tra i commensali. I convitati intrattengono poi una lunga conversazione, che tocca i più svariati argomenti: la ricchezza e gli affari di Trimalcione, l'inopportunità dei bagni, la funzione sociale dei riti funebri, le condizioni climatiche e l'agricoltura, la religione e i giovani, i giochi pubblici, i disturbi intestinali, il valore del vetro, il fato, i monumenti funebri, i diritti umani degli schiavi. Il tutto offre uno spaccato vivace e colorato, non senza punte di chiara volgarità, della vita di quel particolare ceto sociale. Con l'arrivo di Abinna (accompagnato dalla moglie, Scintilla, grande amica della moglie di Trimalcione, Fortunata), costruttore impegnato nella realizzazione del maestoso monumento funebre di Trimalcione, quest'ultimo decide d'inscenare il proprio funerale, costringendo tutti gli astanti ad agire e comportarsi come se fossero stati invitati al suo banchetto funebre; I giovani, disgustati dal grottesco greca), altri appartengono esclusivamente alla fantasia del narratore Encolpio (i modelli della letteratura sublime). La mescolanza parodica ottiene l’effetto di relativizzare la verità proposta da ognuno dei modelli. Sotto la prospettiva unificante e deformata dell’io narratore si dissolve il sistema tradizionale dei generi letterari. Ma la parodia è ottenuta non attraverso un’aggressione diretta, ma scoprendo di volta in volta quanto siano inopportune le immaginazioni che guidano il protagonista-narratore nel suo cammino. Encolpio è il catalizzatore della satira di Petronio. Autore nascosto = affidare ad Encolpio la narrazione e ritirarsi in disparte è la strategia scelta da Petronio per colpire l’autoritarismo culturale che mortifica la realtà, sovrapponendo ad essa i vuoti schematismi cui la scuola ha ridotto i grandi testi della letteratura classica. A volta la parodia petroniana lascia disorientato il lettore, il suo senso ultimo sembra essere inafferrabile, ma ancora una volta il senso va cercato nella tensione tra autore e voce narrante. PERSIO Nonostante la vita breve, Persio si distinse per la straordinaria tensione etica che seppe riversare nella sua opera. La sua ricerca morale, la sua passione filosofica ne fecero il campione della critica al vizio e alla corruzione e lo portarono alla trasformazione della satira. GIOVENALE e la satira tragica Una vita all’ombra dei potenti Decimo Giunio Giovenale nato ad Aquino tra il 50 e il 60 da una famiglia benestante. Fa l’avvocato, si dedica alle declamazioni. Si dedica all’attività poetica in età matura, dopo la morte di Domiziano (nel 96) e compone fin sotto Adriano. Visse, come il più anziano amico Marziale, sotto l’ombra dei potenti, nella disagiata condizione di cliente, privo di autonomia economica. Morte posteriore al 127. Le opere 16 satire in esametri suddivise in 5 libri. Satira I: Introduzione col poeta che si chiede quanto dovrà sopportare che cattivi poeti e letterati occupino la ribalta, assieme a tutti gli altri corrotti. “La rettitudine è lodata, tuttavia soffre il freddo”. Si hanno ville e parchi grazie ai crimini. Subito Giovenale dichiara la sua ira: questi misfatti non dovrebbe trattarli? Dovrebbe forse trattare di miti? “Si natura negat, facit indignatio versus”. Il denaro, che porta morte, è venerato come un Dio, anche se non ha ancora un tempio. Anzi, è il dio più potente. I posteri non potranno far peggio; il vizio ha raggiunto il limite. Il tempo presente offre materiale in abbondanza, soprattutto se paragonato al mos maiorum dei tempi passati, sempre contro quadro nelle sue satire. Il poeta decide di descrivere quel che vede, anche se conviene alla fine con un interlocutore che è più sicuro parlare dei morti. Satira II: Contro la diffusione dei rapporti omosessuali, identificati dal poeta con l'effeminatezza e il vizio. La satira si apre con la descrizione dei viziosi dalla "doppia vita" che ostentano virtù; poi passa a descrivere coloro che mascherano i loro vizi sotto il mantello della filosofia (greca, quindi poco gradita a Giovenale). Persino una cortigiana, Larronia, li giudica severamente; almeno lei non nasconde i propri vizi, e le prostitute, con poche eccezioni, non hanno rapporti sessuali fra donne; mentre i pervertiti si vestono effeminatamente in pubblico; c'è chi difende cause in vesti trasparenti, chi sposa un suonatore di corno; ma peggio ancora che partecipare ai misteri della Bona Dea, vestito e truccato da donna, è quel che ha osato fare un Gracco, quando è sceso come gladiatore nell'arena. Satira III: Un amico del Poeta, di nome Umbricio, lascia Roma per stabilirsi in Campania. Alla corrotta, persino pericolosa vita nell'Urbe preferisce la modesta ma sana e virtuosa vita nei piccoli municipi italici. ("Non possum ferre, Quirites, Graecam urbem"; "Non posso sopportare, Quiriti, una città ellenizzata"). Satira IV: Uno dei bersagli preferiti di Giovenale, Crispino, un liberto arricchito, ha speso una somma enorme per una triglia che mangerà da solo. Su questo spunto si innesta la narrazione di una seduta dei consiglieri dell'Imperatore Domiziano (adombrato nella perifrasi calvo Nerone) convocati in gran fretta per decidere della cottura di un rombo di enormi dimensioni che un pescatore aveva appena recato in dono. La scena termina coi consiglieri che, sempre in bilico sul baratro della disapprovazione, gareggiano in piaggerie. Satira V: un altro dialogo con un cliente che, una volta tanto, invece di dover fare la fila per la sportula è stato invitato a cena dal suo patrono; ma anche così, quale differenza fra il cibo che gli viene servito e quello del padron di casa e degli ospiti di riguardo! Al poveretto non è nemmeno permesso dare opinioni sul servizio; i raffinati schiavi che servono il padrone (a lui è destinato un magro africano) lo guardano di traverso. Se solo un dio gli donasse la rendita di un cavaliere, tutto cambierebbe! ma in realtà il patrono fa questo, insinua Giovenale, solo per godersi lo spettacolo delle sue sofferenze. Satira VI: Contiene la celeberrima critica alle matrone romane. Per correggere la pazzia di un amico che vorrebbe sposarsi, nonostante Roma offra innumerevoli modi di suicidarsi, Giovenale descrive a quali abissi di corruzione le donne siano ormai giunte, sedotte dagli esempi della malsana letteratura greca e dal desiderio di apparire sofisticate; del resto come si può restare pudiche quando ai tempi di Claudio, la corruzione lordava lo stesso letto imperiale? Ma la disapprovazione si estende a tutte le donne che non rispettino il modello ideale della matrona dei tempi della repubblica, quindi anche alle donne troppo colte o desiderose di avere un ruolo nella società. Satira VII: La decadenza delle arti e della letteratura è legata alla crisi dei costumi: Chi vuol declamare deve affittarsi le sedie per gli spettatori, Stazio deve vendere un suo poema inedito ad un mimo, perché non c'è più un Mecenate. Inutile anche cercare la gloria come storico, avvocato, maestro di declamazione; la sola speranza ormai è nell'intervento dell'Imperatore. (Adriano?) Satira VIII: La nobiltà che risiede solo nella illustre progenie, e non ha da esibire che alberi genealogici o statue di antichi consoli non ha alcun valore; Cetego e Catilina con le loro azioni indegne hanno trascinato la loro famiglia nel fango, e un homo novus senza antenati ha guadagnato gloria imperitura opponendo alla loro corruzione le virtù italiche. Satira IX: Incontriamo un bizzarro personaggio, Nevolo, un prostituto che si guadagna da vivere soddisfacendo gli appetiti dei ricchi e all'occasione delle loro mogli. Si lamenta comicamente della propria condizione soggetta agli sbalzi d'umore dei suoi "patroni", e vagheggia un improbabile mutamento di fortuna. Satira X: Se quello che chiediamo agli Dèi non ci giova perché continuiamo a chiederlo? Ricchezza e potere sono causa di rovina, come per Seiano, delle cui statue fuse sono stati fatti pitali. La fama di oratore è stata esiziale a Demostene e Cicerone; se questo avesse solo pubblicato i suoi ridicoli versi sarebbe morto di vecchiaia, ma la sua seconda filippica lo ha perduto. Una lunga vita? guarda Nestore e Priamo, vissuti per vedere la rovina della patria o della famiglia. La bellezza che le madri implorano per i figli fu fatale a Lucrezia, a Ippolito, a tanti altri. Solo desiderio lecito è mens sana in corpore sano. Siamo noi a fare dea la Fortuna e l'innalziamo in cielo. Satira XI: Il poeta invita l'amico Persico ad una cena in una sua casa in campagna; non si aspetti cibi lussuosi o sfarzo rovinoso, come presso tanti riccastri di Roma, alcuni dei quali si sono ridotti alla miseria. Cibi sani e gustosi, freschi, serviti da schiavi che non soffrono il freddo e le percosse, non sanno scalcare alla perfezione, ma ti guardano in faccia e capiscono il latino se li interroghi. Niente danzatrici seminude, ma letture da Omero e Virgilio, e piacevoli conversari su chi sia il miglior poeta... poi, dimentichi delle beghe familiari e dei giochi in corso a Roma, un bel bagno di sole e un salto alle rustiche terme, piaceri da godere con moderazione. Satira XII: Il poeta sta per celebrare con un sacrificio la salvezza insperata di un amico naufragato; non certo perché spera di ereditare da lui (ha già tre figli) ma per amicizia. Nessuno ormai conosce questo puro sentimento, tutto si fa per interesse; se c'è una ricca eredità in ballo qualcuno potrebbe arrivare a sacrificare sua figlia, come Ifigenia... Satira XIII: Un amico ha subito una truffa per diecimila sesterzi, Giovenale tenta di consolarlo con una serie di consolidati luoghi comuni; non sa forse che dare denaro al prossimo è pericoloso? guarda nei tribunali, quante cause di questo tenore; e se anche si vince, raramente si recupera il denaro. Per fortuna i sesterzi non erano duecentomila! Chi ruba non crede più agli Dèi, o si convince che non si interessino a lui, ma aspetta che gli capiti un malanno, ecco che lo assale la paura della punizione. il rimorso, non la vendetta, è la prova che gli Dèi non sono ciechi e sordi. Satira XIV: Si prende di mira, in una girandola di esempi, la cattiva educazione che i figli ricevono dai genitori tramite l'esempio; perché meravigliarsi se un figlio sperpera il resto del patrimonio che il padre ha quasi dilapidato costruendo ville? La figlia di un'adultera impara l'arte nella stessa casa materna. Sola l'avarizia non si insegna, i giovani non vi prestano orecchio, solo da anziani possono diventarlo. Però impareranno la disonestà perfettamente e il padre che l'ha inculcata ne farà presto le spese; il padre si premunisca contro il veleno... Satira XV: Quando il poeta si trovava in Egitto ha assistito ad un terribile conflitto tra due città del Delta in cui uno degli sconfitti è stato sbranato e divorato; gli uomini dovrebbero sentirsi tutti fratelli, ora invece sono peggio dei serpenti: perché c'è chi non crede a Polifemo e ai Lestrigoni? Satira XVI: Si tratta solo di un frammento di sessanta esametri in cui il poeta elenca ad un amico, secondo il consolidato schema, i vantaggi della vita militare; il soldato è giudicato nella sua coorte e chi vuole testimoniare contro deve aver coraggio a sfilare davanti a tutti quei soldati... La satira indignata La letteratura, con il suo fatuo dilettarsi di trite leggende mitologiche, agli occhi di Giovenale è ridicolmente lontana dalla corruzione morale imperante, dall’abiezione in cui versa la società romana tra la fine del primo e i primi decenni del secondo secolo, anni forieri di una nuova felicità dei tempi dopo la fosca stagione domizianea. Di fronte all’inarrestabile dilagare del vizio l’indignazione sarà la musa ispiratrice del poeta e la satira il genere obbligata ad esprimere la furia del disgusto: “si natura negat, facit indignatio versum” 1,79 Al contrario di Orazio e diversamente anche da Persio (che vedeva nella filosofia una terapia contro il vizio) Giovenale non crede che la sua poesia possa influire sul comportamento degli uomini. La sua satira si limita pertanto a denunciare, a gridare la sua protesta astiosa. Rifiuta la tradizione satirica precedente, razionalistica e riflessiva, e rifiuta in generale il pensiero moralistico romano che vedeva nella ricerca dell’apàtheia e dell’autàrkeia la soluzione. La rabbia di un conservatore: Giovenale e la società del suo tempo Sdegno dell’uomo offeso, rancore dell’emarginato costretto all’umiliante condizione del cliente. Modelli tematici: Antimaco di Colofone, Sette a Tebe di Eschilo, Fenicie di Euripide, ciclo tebano in Seneca. Ma anche l’Iliade, Euripide, Callimaco, Apollonio Rodio. Stile narrativo e metrica di Ovidio, immagine del mondo di Seneca: nel contrasto tra fedeltà alla tradizione virgiliana e inquietudini modernizzanti, sta il vero centro dell’ispirazione epica di Stazio. Ricorsività di temi e motivi, assenza di suspance per raccontare un mito noto a tutti con uno stile inedito e dotto. Tecnica narrativa e realtà politica Scelta ideologica virgiliana: salvare l’apparato divino dell’epica rendendolo più moderno con l’approfondire la funzione del fato. Divinità epiche svuotate o appiattite, sono personificazioni di idee astratte, allegorie. Schiacciati dalle leggi del cosmo e della predestinazione, i personaggi umani sono appiattiti, privi di sfumature psicologiche. Visione maniche della realtà. Assenza di un vero protagonista, ma nessi tematici ricorrenti. Attualità: Stazio non elude gli incubi della propria epoca rifugiando nel mito, una guerra civile vista come scontro fra tiranni uguali, la degenerazione di una famiglia regnante in un dispotismo fanatico, il problema etico del vivere sotto i tiranni -> problemi su cui Stazio insiste. Il quadro sinistro non è dissipato nemmeno dall’intervento finale dell’eroe civilizzatore Teseo, doppio implicito di Domiziano. L’Achilleide Poema sulla vita di Achille, tono più disteso e idillico. Progetto molto ambizioso. PLINIO IL VECCHIO e il catalogo del mondo La cultura scientifica nella Roma imperiale Sforzo di sistemazione del sapere nella prima età imperiale, destinazione pratica. Espansione in Roma dei ceti tecnici e professionali, burocrazia imperiale. Vita di Plinio Nasce nel 23, carriera di efficiente cavaliere al servizio della corte imperiale. Si ritira a vita privata sotto Nerone e con l’ascesa di Vespasiano (69) inizia carriera di procuratore imperiale. Come prefetto della flotta si trova travolto nell’eruzione vesuviana nel 79 e ci muore. Plinio il Giovane ci racconta che ha sfidato il cataclisma per appagare la sua curiosità scientifica, ma più probabilmente cercava di portare soccorso. Opere Opere di carattere militare, oratorio e studi linguistici sotto Nerone, dagli anni 70 si dedica alle opere che l’hanno reso famoso, accanto ai fitti impegni di lavoro: storia romana A fine Aufidi Bassi, storia di Roma che copriva gli anni 50-70, ma troppo recente e adombrata da Tacito. Verso il 77-78 conclude la Naturalis Historia, “Scienza della natura” e la presenta a Tito. Testo enciclopedico in 37 libri, straordinaria summa delle conoscenze antiche sui più svariati argomenti. L’enciclopedismo della Naturalis Historia Gigantesca opera erudita che risponde alle tendenze culturali del tempo, tese all’acquisizione di un sapere enciclopedico anche se non specialistico. Già: Varrone, Vitruvio, Quintiliano. Ma nessuno concepì un progetto di conservazione integrale dello scibile, né esistevano opere greche in qualche modo paragonabili. Plinio sosteneva di non aver mai letto un libro tanto cattivo da non avere alcuna utilità: leggeva in continuo, schedava, prendeva appunti. Piano dell’opera Libro 1: indice generale e bibliografia Libro 2: cosmologia e geografia fisica Libro 3-6: geografia Libro 7: antropologia Libro 8-11: zoologia Libro 12-19: botanica Libro 20-32: medicina Libri 33-37: metallurgia e mineralogia, excursus sulla storia dell’arte Stoicismo: Plinio era vicino a certe posizioni dello stoicisimo, concezione dell’universo come complessa solidarietà retta da una provvidenza divina, come una macchina cosmica che l’uomo deve conoscere per rispecchiarne dentro di sé le virtù, un’idea atta a guidare un progetto di enciclopedia.Eclettismo: curiose divagazioni magico-astrologiche Adesione ad uno stoicismo medio, quello adottato dalla classe dirigente romana: missione ideologica del saggio. Di suo, nell’enciclopedia naturale, Plinio porta spirito di servizio, senso pratico e serietà morale, qualità tipiche di un operoso funzionario imperiale. Tradizione enciclopedica e trascuratezza stilistica Già Varrone scriveva male, stile sciatto e inelegante. Anche l’opera di Plinio è troppo ampia perché si possa curare dell’elaborazione stilistica, libertà dello stile in una confusione impersonale e magmatica. MARZIALE il campione dell’epigramma Un’esistenza inquieta Marco Valerio Marziale nacque a Bìlbilis in Spagna tra il 38 e il 41. Venne a Roma nel 64, dove fu appoggiato dalla famiglia di Seneca. Dopo la congiura dei Pisoni del 65 condusse una vita modesta scandita da un’attività poetica come cliente. Ottenne una certa notorietà e nell’80 compose su commissione della corte imperiale una raccolta di epigrammi per inaugurare l’anfiteatro flavio. Riconoscimento di Tito. Dall’84-85 cominciò a pubblicare regolarmente i suoi componimenti, nel corso dei Saturnali di ciascun anno: cariche onorifiche, contatti con Nerva, Silio Italico, Plinio il Giovane, Quintiliano, Giovenale. Non ebbe benefici economici stabili perché nell’antichità non esistevano i diritti d’autore: sono frequenti le sue lamentele per i disagi per la difficoltà del trovare protettori e patroni disposti a concedergli riconoscimenti e sostegno. Nell’87-88 lascia Roma e nel 98 decide di tornare a Bìlbilis, grazie all’aiuto di Plinio il Giovane che gli paga il viaggio e di una provinciale che gli regala una tenuta di campagna. Lì trova la tranquillità ma anche la grettezza dell’ambiente rurale. Muore inquieto e deluso nel 104. Il corpus degli epigrammi Raccolta di Epigrammi in 12 libri composti e pubblicati tra l’86 e 101-102. Prima di questi c’è un altro libro con una 30ina di epigrammi, noto come Liber de spectaculis, composto nell’80. Noti come libri 13 e 14 sono gli Xènia e gli Apophorèta, brevissime iscrizioni di un solo distico elegiaco scritte per accompagnare doni di varia natura. Disposizione degli epigrammi secondo l’edizione antica, sono più di 1500. Metri vari, prevale il distico elegiaco. Varia lunghezza: da un solo distico, a 10, a più decine. La scelta del genere Tipico della cultura letteraria dell’età flavia il recupero dell’epica, ma parallelamente si diffonde anche il genere più umile di tutti, l’epigramma. Marziale fa dell’epigramma il suo genere esclusivo, unica forma della sua poesia. Varietà, mobilità di un genere agile sono pregi contrapposti all’epos e alla tragedia con i loro contenuti abusati e le trite vicende mitologiche lontane dalla vita quotidiana. L’epigramma come poesia realistica hominem pagina nsotra sapit, “nella nostra pagina si sente l’uomo” Aderenza alla vita concreta, realismo. Negli epigrammi il poeta incanala la propria esperienza filtrata e nobilitata da una forma artistica dotata di agilità e pregnanza espressiva. Poesia che coniuga fruibilità pratica e divertimento letterario, tratteggiando un quadro variegato e incisivo della realtà quotidiana con le sue contraddizioni e i suoi paradossi. Diventa componente del galateo sociale. Marziale osserva lo spettacolo della realtà con sguardo deformante, che accentua i tratti grotteschi di tipologie umane ricorrenti rappresentate estremamente da vicino ed isolate. Poeta osservatore distaccato, satira priva di asprezza: parcere personis, dicere de vitiis, “risparmiare le persone, palesare i vizi”. Vagheggiamento qua e là di una vita fatta di gioie semplici, spesso proiettate nel paesaggio idilliaco spagnolo. Satira e arguzia Temi investono l’intera esperienza umana: Probabilmente già con Vespasiano e la fine delle follie neroniane si era tornati a costumi più sobri. Quanto Q. pubblicò il De causis corruptae eloquentiae nel 90, c’erano ancora molti seguaci dello stile senecano. Già ai tempi dell’Institutio la situazione era diversa: il classicismo propugnato da Quintiliano aveva già vinto, si era già affermato. Comunque Q. condanna lo stile modernista alla maniera della sententia senecana. Una volta sententia significava “opinione”, adesso è diventato un artificio retorico, indica i “tratti brillanti del discorso, soprattutto quelli che sono collocati alla fine del periodo”. Il continuo scintillare di piccole sentenze spezza il discorso e lo rende banale, non è possibile trovare una buona sentenza per ogni fine di frase. Scrittura ad effetto, harena sine calce come diceva Caligola. Per Q. l’elocuzione doveva svolgersi in funzione della sostanza delle cose. La polemica di Q. contro lo stile senecano rappresenta lo scontro tra 2 istanze del discorso: l’esigenza del docere, che fonda il discorso sull’oggettività delle cose; l’esigenza del movere, che carica il senso del discorso sul destinatario, rendendolo attore primo del testo. Il programma educativo di Quintiliano Oratore ideale condivide proposta ciceroniana, ma il primato della filosofia è sostituito dalla cultura letteraria. A questo serve la lunga rassegna degli scrittori. Oratore e principe Alcuni interpreti hanno visto Quintiliano come un “burocrate della parola” che fa da intermediario per le direttive dell’imperatore. Più probabilmente Q. si schierava con quegli intellettuali, come Tacito, che accettavano il principato come necessità. Il regime non è posto in discussione, ma le doti necessarie all’oratore sono utili alla società in generale. La delazione, per esempio, era strumento politico del principe, che Q. rimprovera. Certo l’idea che propugna di oratore catoniano vir bonus dicendi peritus è totalmente anacronistica, un’illusione del tutto irrealizzabile nella realtà storica dell’impero. Lo stile: una revisione del modello ciceroniano Stile di Q. avverso sia all’arcaismo che all’eccessivo modernismo, ma non è una riproposizione fedele di quello ciceroniano, il condizionamento di Seneca si avverte. Gusto per la misura, per la chiarezza e la vivacità. TACITO La vita Nacque intorno al 55 nella Gallia Narbonense, studiò a Roma e nel 78 sposò la figlia di Gneo Giulio Agricola, comandante militare. Iniziò la carriera politica sotto Vespasiano e la proseguì sotto Tito e Domiziano. Pretore nell’88, membro dei quindecemviri sacris faciundis, incarico in Gallia o Germania. Nel 97 sotto Nerva diventa consul suffectus. Sotto Traiano sostenne insieme all’amico Plinio il Giovane l’accusa di corruzione mossa dai provinciali d’Africa contro Mario Prisco e la vincono. Proconsole in Asia nel 112 o 113 e nel 117 muore. Le cause della decadenza dell’oratoria Dialogus de oratoribus composto dopo l’Agricola e la Germania, ma occupa in qualche modo un posto a parte nella produzione di Tacito. Pubblicato dopo il 100. Dialogo ambientato nel 75 o 77 e, come i dialoghi ciceroniani, riferisce una discussione che si immagina avvenuta in casa di Curiazio Materno e alla quale Tacito dice di aver assistito in gioventù. Messalla indica le cause della decadenza nel deterioramento dell’educazione, familiare e scolastica: maestri impreparati, vacua retorica. Materno, portavoce di Tacito, sostiene che una grande oratoria era possibile solo con la libertà, o piuttosto con l’anarchia che regnava al tempo della repubblica. Diviene anacronistica in una società tranquilla e ordinata come quella imperiale. Opinione di Materno rappresenta una costante nel pensiero di Tacito: alla base di tutta la sua opera sta l’accettazione dell’indiscutibile necessità dell’impero come unica forza in grado di salvare lo Stato dal caos delle guerre civili. Non esistono alternative al principato e questo non significa che va gioiosamente accettato, bisogna cercare comunque di fare scelte dignitose (tema dell’Agricola). Autenticità del dialogo contestata per ragioni di stile: modello neociceroniano di Quintiliano. Prodotto giovanile di un Tacito ancora legato alle predilezioni classicheggianti della scuola quintilianea, ma è più probabile che l’insolita classicità si spieghi con l’appartenenza del Dialogus al genere retorico, per il quale Cicerone era il massimo modello. Agricola, un esempio di resistenza al regime Pubblicato nel 98. Verso gli inizi del regno di Traiano un’aria di libertà permette a Tacito di pubblicare il suo primo opuscolo storico, in ricordo del suocero Giulio Agricola, principale artefice della conquista della Britannia sotto Domiziano. Rapido riepilogo della carriera del protagonista, conquista della Britannia, digressioni geografiche ed etnografiche. La Britannia è il campo in cui si dispiega la virtus di Agricola, il teatro delle sue brillanti impresi. Nell’elogiare il suocero, Tacito sottolinea come avesse saputo servire lo stato con fedeltà, onestà e competenza anche sotto un pessimo principe come Domiziano: “si può essere grandi uomini anche sotto cattivi imperatori”. Alla fine anche Agricola era caduto in disgrazia presso Domiziano, ma non senza che avesse dato prova di quanto si può operare fecondamente in favore della comunità. Agricola sa morire silenziosamente, non come i martiri ostentati che Tacito giudica inutili. Esempio luminoso che indica che anche sotto la tirannide è possibile seguire la via mediana fra il deforme obsequium e la abrupta contumacia. Elogio di Agricola diventa apologia della parte sana della classe dirigente. Vari generi: panegirico sviluppato in biografia, laudatio funebris inframmezzata da materiali storici ed etnografici. Modi stilistici diversi, carattere composito. Risente di Cicerone nei discorsi e nelle perorazioni, di Sallustio e Livio nella narrazione storica. L’idealizzazione dei barbari: la Germania Pubblicata anche questa nel 98, breve trattato etnografico-geografico. Centralità degli interessi etnografici, opera dedicata interamente alla descrizione della Germania e dei suoi abitanti, che rappresentavano una costante minaccia per l’Impero Romano. Costituisce l’unica testimonianza di una letteratura specificamente etnografica in lingua latina, che a Roma era diffusa (monografie di Seneca sull’Egitto e sull’India, Sallustio e Livio in excursus). Le notizie sulla Germania derivano quasi esclusivamente da fonti scritte, la maggior parte dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio. Tacito ha impreziosito la fonte migliorandone lo stile, un colorito sallustiano e punte epigrammatiche. Intenti di Tacito: ipotesi che vede nell’opuscolo un’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di una civiltà decadente. Appare in filigrana una contrapposizione dei barbari ai Romani, popolazioni selvagge dotate di energie fresche e sane, diversamente dalla corruzione della vita cittadina di Roma. Ponendo l’accento sul valore guerriero dei Germani, più che tesserne l’elogio Tacito ha inteso sottolineare la loro pericolosità per l’impero. Anche difetti: tendenza al gioco, all’ubriachezza, alle risse. Nel seguito della sua opera storica Tacito continuerà a guardare con interesse particolare alla frontiera con la Germania, molto più che a quella partica, perché ritiene le popolazioni settentrionali più pericolose e in quella direzione c’è la maggiore possibilità di espansione dell’impero. Le Historiae: gli anni cupi del principato Composte fra il 100 e il 110. Già nell’Agricola Tacito esternava l’intenzione di narrare gli anni della tirannide di Domiziano e poi la libertà recuperata sotto Nerva e Traiano. Nelle Historiae rimangono i libri 1-4, parte del 5. Il progetto è di narrare gli eventi degli anni 69-70 (regno di Galba e rivolta giudaica) fino al 96 (morte di Domiziano). In vecchiaia tratterà la parte più tranquilla di Nerva e Traiano. Scelta di un periodo cupo, sconvolto da guerre civili e tirannide. Libro 1: regno di Galba, elezione di Otone, acclamazione di Vitellio in Germania Libri 2-3: lotta tra Otone e Vitellio e tra Vitellio e Vespasiano. Vittoria di Vespasiano. Libro 4: sacco di Roma dei soldati flaviani e tumulti ini Gallia e Germania contro Vespasiano, che era stato acclamato dalle legioni orientali. Libro 5: avvenimenti in Germania. I parallelismi della storia 69: anno dei 4 imperatori e degli arcana svelati, per il cui il principe poteva essere eletto altrove che a Roma. La ricostruzione degli avvenimenti del 69 avveniva in corrispondenza con il dibattito sull’ascesa al potere di Traiano. Si sono riscontrati dei parallelismi: il predecessore di Traiano, Nerva, si era
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