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Riassunto Letteratura latina. Manuale storico dalle origini alla fine dell'impero romano, Sintesi del corso di Letteratura latina

Riassunto manuale di "Letteratura latina. Manuale storico dalle origini alla fine dell'impero romano" G. B. Conte

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
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silvia2603
silvia2603 🇮🇹

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Scarica Riassunto Letteratura latina. Manuale storico dalle origini alla fine dell'impero romano e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Le origini 240 a.C: (presumibilmente) tragedia Livio Andronico. Questioni per le origini letterarie: 1) Cronologia e diffusione della scrittura 2)Forma comunicative non letterarie 3)Forme pre-letterarie: Carmina 1)VII secolo: registrazione di messaggi semplici (invito a bere su una coppa F 0E 0 vita pratica) Libri sibillini: testi religiosi in greco (non pervenuti). 2)Sono leggi,trattati,formulario religioso,iscrizioni pubbliche e oratoria F 0E 0 danno avvio alle forme letterarie. -Leggi e trattati: leggi delle XII Tavole (451-450 a.C). -Caledari divisi in giorni Fasti e Nefasti. Tabula Dealbata (bianca): conteneva date di trattati,dichiarazioni di guerra e fatti prodigiosa,esposta pubblicamente. Tutte le t.dealbate riunite in Annales F 0E 0 Scevola negli Annales Maximi (periodo di 280 anni) F 0E 0 sviluppo della storiografia letteraria. -Commentari: appunti,memorie,osservazioni a carattere privato. Opere non professionali,potevano assumere carattere di documentazione ufficiale,vendendo depositati presso i collegi sacerdotali,ma possediamo solo notizie indirette. Gli albori dell’oratoria: Appio Claudio Cieco Parlar bene era più importante che scrivere bene F 0E 0 Appio Claudio Cieco,rappresentante dell’oratoria,importante per la vita attiva. Fu console,censore e dittatore; permise l’ingresso dei plebei in senato. A lui si attribuisce la sostituzione della “s” intervocalica con la “r”. Forme preletterarie: i Carmina Solennità del Carmen (preghiera),molte figure retoriche. Carmen F 0E 0 Cantare F 0 E 0 termine generico che indica sia produzione poetica che prosastica F 0E 0 confine labile tra poesia e prosa nella Roma arcaica. Il Carmen è un modo di scrivere ad effetto che si oppone alla conversazione quotidiana. Poesia sacrale: carmina a carattere religioso. Saliare e Arvale. Il primo è il canto di un collegio sacerdotale dei Salii; 12 sacerdoti portavano in processione 12 scudi sacri (ancilia). Linguaggio oscuro per i Romani di età storica,finalità: invocazione delle potenze divine. Litanie di smisurata lunghezza. 12 sacerdoti invocano la protezione di Marte e Lares (antenati) per i campi,nel mese di Maggio. Insistenza sul ritmo ternario (garanzia dell’efficacia) Poesia popolare: proverbi,maledizioni,scongiuri,precetti agricoli e medicinali. Caratteristica predominante: motteggio e comicità F 0E 0 Fescennini da “fescennia” (città dell’Etruria) o “fascinum” (malocchio/membro virile). Sede di questi componimenti erano le feste rurali. Carmina triumphalia: alle lodi del vincitori si mischiavano scherno e pasquinate F 0E 0 influsso sulla commedia plautina,epigramma satirico,satira. Canti eroici: racconti in versi di eroiche imprese concepiti oralmente ed eseguiti in riunioni private Carmina convivalia: mancavano scrittori professionisti e scomparvero con la grecizzazione in favore di generi più colti. La questione del saturnio La versione dell’Odissea di Livio e il Bellum Poenicum di Nevio composti in saturni. Non ha origini esclusivamente romane. Il teatro romano arcaico tra il 240 a.C e l’età dei Gracchi: fioritura del teatro. Festival teatrali,compagnie professionali,autori,attori. generi di origine greca: - Palliata, da “pallio” (abito greco): autori Plauto,Stazio,Terenzio F 0E 0genere comico - Cothurnata, da “coturni” (calzari greci) F 0E 0genere tragico. Ambientazione e modelli greci. Corrispettivi romani a livello stilistico,scelta tematica romana: - Togata, “toga” - Praetexta, mettevano in scena ceti sociali alti. Le rappresentazioni teatrali erano legate a festività religiose,pubbliche F 0E 0 240 a.C. Livio Andronico ai Ludi romani (in onore di Giove Ottimo Massimo) mise in scena il primo testo drammatico. Quattro ricorrenze annuali per i ludi scaenici: i Ludi romani (settembre), i Ludi megalenses (in onore della Magna Mater ad Aprile), i Ludi apollinares (a Luglio),i Ludi Plebeii (in onore di Giove Massimo a novembre). Ad organizzarli erano edili,pretori,magistrati. La committenza (nobile) spiega la scelta di determinati argomenti: esaltazioni eroiche o di antenati di casate; ha più influenza nella tragedia che nella commedia (più libera). Nella commedia manca la politica. Uso di maschere fisse: vecchio,giovane innamorato,lenone,cortigiana,matrone,soldato,parassita. Esistevano gerarchie tra gli attori: alcuni avevano cantiche o arie. La Commedia: forme metriche della Palliata latina Plauto scrive commedie non divise in atti,composte di parti cantate e recitate (recitati senza accompagnamento= senari giambici, con Accompagnamento = settenari trocaici,cantati = varietà di metri). Le parti cantate si ispirano alla commedia arcaica greca più che alla “nuova” F 0E 0tratto di romanizzazione. La tragedia: importanza del coro Alternarsi di parti dialogate,recitate o recitative,liriche (i cori musicali e danzati,di commento all’azione,lo stile era nettamente separato da quello delle parti individuali) F 0E 0 tragedia greca La tragedia latina elimina i cori,opera un generale innalzamento del livello stilistico dei drammi: calchi della lingua greca,neologismi,prestiti della politica,del linguaggio religioso. Crescita del pathos a spese di una razionale analisi psicologica. Il senario,corrispettivo latino del settenario trocaico greco,ha minor ruolo nelle tragedie latine rispetto al corrispettivo greco,tanto da diventare in seguito il metro della comicità. Il Romulus e Clastidium sono i primi titoli a noi noti di Praetextae. Romulus: drammatica fondazione di Roma. Clastidium: celebrazione della vittoria di Casteggio contro i Galli Insubri. Il forte impegno di Nevio della vita politica di Roma traspare dai caratteri originali della sua opera: il Bellum Poenicum è il primo testo epico latino che abbia un tema romano: ha caratteri di originalità molto marcati, non solo la scelta di un tema storico quasi contemporaneo. Il suo racconto con un salto temporale, affondava nella preistoria di Roma: la fondazione di Roma si ricollegava alla caduta di Troia, e i viaggi per mare di Enea erano in qualche modo paralleli alle peregrinazioni di Odisseo. In questo fase Nevio doveva dare notevole spazio all‟intervento divino: gli dei dell‟Olimpo erano importantissimi nell‟epica omerica, ma ora – nel nuovo poema nazionale roma_ no – il tradizionale apparato divino assumeva anche una missione storica, e sanzionava la fondazio_ ne di Roma. Questa saldatura tra mito e storia innestava l‟ascesa di Roma in una specie di visuale cosmica, nutrita di cultura greca. Non conviene staccare troppo Nevio dalla tradizione letteraria greca: il Bellum Poenicum presup_ pone Omero, e presuppone anche la tradizione ellenistica del poema storico- celebrativo. L‟idea di intrecciare una storia di viaggi e una storia di guerra (il viaggio di Enea, la guerra romano-cartagi_ nese) sembra indicare un “incrocio” fra Iliade (la guerra di Troia) e Odissea (i viaggi di un eroe). Certi aspetti di stile rivelano un‟originale mescolanza di cultura poetica ellenistica e ispirazione nazionale. L‟importanza delle figure di suono: ripetizioni, allitterazioni, assonanze tendono a formare la struttura portante del verso, in particolare il saturnio trovava una sua armatura formale proprio nelle ripetizioni foniche. La sperimentazione si sviluppò in due direzioni principali. 1 la sezione “mitica” del poema impone_ va a Nevio una sfida del linguaggio poetico greco, con la sua inesauribile riserva di epiteti preziosi, Nevio sperimenta nuovi composti e nuove combinazioni sintattiche. 2 la sezione “storica” impone_ va altri problemi. Nevio adatta lo stile poetico a una lunga narrazione continua. Nel complesso, il Bellum Poenicum appare come un‟opera di forte sperimentalismo, in cui forse le diverse componenti stilistiche non trovano uno stabile equilibrio. Dopo il tramonto del saturnio, la fama del poema sarà sempre oscurata dagli Annales di Ennio. Quell‟ideologia eroica che nella storia di Roma verrà spesso rievocata, anche in forma distorta o insincera, trova nell‟opera di Nevio una delle espressioni più autentiche. Di gran lunga più importante la produzione comica, che fa di Nevio il più autorevole predecessore di Plauto, e che suggerisce un talento letterario molto versatile. PLAUTO Vita Plauto, come del resto quasi tutti i letterati latini di età repubblicana, non era di origine romana: certamente cittadino libero. La data di morte, il 184 a.C., è sicura; la data di nascita da una notizia di Cicerone: probabile una nascita tra il 255 e 250 a.C.. Opere e Plauto fu autore di enorme successo, immediato e postumo. Di Plauto furono fonti condotte vere “edizioni” ispirate ai criteri di filologia alessandrina: le commedie furono dotate di didascalie, di sigle dei personaggi; i versi scenici furono impaginati da competenti, in modo che ne fosse riconducibile la natura. La fase critica nella trasmissione del corpus dell‟opera pluatina fa segnata dell‟intervento di Varrone, il quale, nel De comoediis Plautinis, ritagliò nell‟imponente corpus un certo numero di commedie (21, quelle giunte fino a noi), sulla cui autenticità c‟era generale consenso. Queste sono opere da Varrone accettate totalmente e sicuramente genuine. La cronologia: alcune presuppongono vicende storiche: Casina allude chiaramente alla repressione dei Baccanali del 186. 3 1.Tipologia degli intrecci e dei personaggi Per unanime riconoscimento, la grande forza di Plauto sta nel comico che nasce dalle singole situazioni, prese a sé una dopo l‟altra, e dalla creatività verbale che ogni nuova situazione fa sprigionare. Una costante, come dato di fondo, la fortissima prevedibilità degli intrecci e dei “tipi umani” incarnati dai personaggi. Plauto desidera proprio questa prevedibilità: non vuole porre interrogativi problematici sul carattere dei suoi personaggi. I personaggi si possono ridurre a un numero limitato di “tipi”: il servo astuto, il vecchio, il giovane amatore, il lenone, il parassita, il soldato vantone. Questi tipi sono inquadrati fin dai prologhi e il pubblico ha così fin dall‟inizio una traccia su cui far scorrere la propria comprensione degli eventi scenici. Ma ancora più caratterizzante in Plauto è la prevedibilità degli intrecci. Praticamente tutte le pieces si possono ridurre a una lotta fra due antagonisti per il possesso di “bene”: generalmente una donna e/o una somma di denaro necessaria per accaparrarsela. La lotta si decide, naturalmente, con il successo di una parte e il danneggiamento di un‟altra. E‟ buona norma che il vincitore sia il giovane, e che il perdente abbia in sé le giustificazioni della sconfitta (è un vecchio, un uomo sposato, un ricco trafficante di schiave...): così la vittoria finale trova piena corrispondenza nei codici culturali che il pubblico già possiede, confermandone le aspettative. Adottando questo schema generativo dalle convenzioni della Commedia Nuova, Plauto può puntare il suo prevalente interesse su certe particolari forme di intreccio. Quella di gran lunga preferita è quella definita “commedia del servo”, la cui ricetta: l‟azione di conquista del bene messo in gioco è relegata dal giovane ad un servo ingegnoso; progressivamente, però, i suoi servi crescono di statura intellettuale e di libertà fantastica: creano inganni e persino li teorizzano. Al centro dell‟azione sta nelle opere più mature un vero e proprio demiurgo: un artista della frode, un poeta che sotto gli occhi di tutti sceneggia la vicenda. La coppia “giovane-desiderante servo-raggiratore” è quindi la più solida costante tematica del teatro di Plauto. Per completare il quadro, manca un elemento: una forza onnipresente, la Fortuna, la Tyche che è regina incontrastata del teatro ellenistico. La sua presenza ha un grande valore stabilizzante. Il servo ha spesso bisogno di un‟antagonista alla sua altezza; e la trama ha bisogno di uno scatto irrazionale, di un quoziente imprevedibile. Ma non è solo questo il valore della Fortuna. Plauto afferma un‟altra preferenza: commedie che ruotano su un riconoscimento, un‟identità nascosta, mentita o perduta e poi rivelata. Si parla di “commedia degli equivoci”: tutte hanno in comune la scatto furioso dell‟agnizione conclusiva, del riconoscimento che scioglie le difficoltà. Il contrasto fra messinscena e realtà non può durare per sempre, anche se è divertente: e qui entra in gioco la Fortuna. Così scopriamo che esiste una realtà per così dire autentica e sincera della realtà iniziale, quella su cui lo schiavo operava i suoi trucchi. 2. I modelli greci La grandezza sta anche in altro aspetto: la maestria ritmica, i numeri innumeri (gli infiniti metri) di Plauto, sono parte integrante della sua arte. E‟ questo un aspetto in cui Plauto si distacca nettamente critica e di rinnovamento della mentalità tradizionale. Lo scioglimento tipico della commedia consiste in un “rimettere a posto le cose”. La punizione del lenone, la sconfitta del vecchio libertino, lo scioglimento dell‟equivoco, la ricostruzione della giusta identità personale, non sono altro che diverse esecuzioni di questo schema obbligato. E‟ chiaro che il pubblico trova in questo movimento dal disordine all‟ordine un particolare piacere: tanto più che il quadro sociale e materiale messo in gioco dalla commedia è perfettamente comparabile con l‟esperienza del pubblico romano. Il corpo dell‟intreccio tocca problemi reali e quotidiani, quali la disponibilità della donna e l‟uso del denaro nella famiglia. Nessuna pretesa moraleggiante o educativa, basta a mostrarcelo il primato dello schiavo furbo: personaggio davvero incompatibile con la trasmissione di un serio messaggio morale o culturale. La fonte principale del divertimento, il personaggio più fantastico del cast teatrale: in cui meno il pubblico può riconoscere un fondamento realistico; il personaggio, infine, che più spesso marca il distacco di Plauto dalla traccia dei suoi modelli. Orientata alla riconferma di un ordine e di una normalità sociale, la commedia plautina ha ben poco di sovversivo, e anche il protagonismo dello schiavo non vuole in nessun modo discutere e corrode_ re i dogmi della vita sociale; per converso, l‟azione imprevedibile e amorale del servo ingegnoso porta nella trama un quoziente di disordine che arriva quanto meno a sospendere la normalità irreggimentata dalla vita quotidiana. Plauto non propone, non lo vuole, una chiara scelta tra realismo e finzione. I suoi personaggi sono così propensi a giocare con se stessi, da proibire al pubblico qualsiasi identificazione. Proprio in questo genere letterario che ha fondamenti quotidiani e realistici i Romani imparano da Plauto a riconoscere le inesauribili ambiguità della finzione poetica. 5. Fortuna del teatro plautino 5 Le “venti commedie” che risalivano alla scelta canonica di Varrone continuarono ad essere ricopiate per tutto il Medioevo, ma la lettura diretta di Plauto rimase per tutto questo periodo un fatto eccezionale. A partire dalla generazione di Petrarca una parte delle commedie cominciarono ad avere una buona diffusione. A partire dal 1429 tornano in circolazione tutte la commedie “varroniane”: rinasce la passione per questo autore intesa come fatto puramente teatrale. La commedia umanistica vive appunto di adattamenti e libere interpretazioni dei modelli plautini: si sviluppo un teatro in latino e poi, nel Cinquecento, un teatro italiano che vuole liberamente inserirsi nel codice scenico costituito dalla palliata romana: non solo il teatro comico dell‟Ariosto, ma anche un‟opera come la Mandragola vanno comprese in questa tendenza, e devono molto all‟assimilazione del teatro plautino. Tra Cinquecento e Settecento la fortuna di Plauto è sempre intrecciata con lo sviluppo del teatro comico europeo: Ariosto, Shakespeare, Moliere, Ruzante, Goldoni…sono tutti collegati dalla traccia della tradizione plautina . E‟ certamente, anche oggi, il più rappresentato di tutti i poeti latini. A differenza di Terenzio, Plauto rimase lungamente estraneo alla tradizione dell‟insegnamento. Le ragioni: lingua, stile, metrica, risultano troppo difficili; inoltre l‟insegnamento normativo della grammatica si basava su altri autori; per di più, i temi e le trame delle commedie si prestavano male a un insegnamento rivolto a fornire esempi di moralità e di serietà. CECILIO STAZIO Vita Stazio era un libero di origine straniera. Veniva, pare da Milano, ed era perciò un Gallo Insubre. La data di nascita potrebbe essere tra il 230 e il 220. Morì nel 168. Opere Ci restano una quarantina di titoli, tutti di commedie palliate, e frammenti per quasi trecento versi. La commedia di gran lunga meglio conosciuta è il Plocium. Fonti Informazioni del Chronicon di S. Girolamo, che risalgono dal De Poetis di Varrone. Tra i giudizi: Cicerone; Orazio ; Gellio. Un grande commediografo Le ragioni per cui Cecilio Stazio è tratta o come un minore sono del tutto accidentali e dipendono dalla perdita dei suoi testi. Grandi intellettuali e letterati valutano Cecilio come un autore di primo rango, per niente inferiore a Plauto o Terenzio. La posizione storica di Cecilio suggerisce una sorta di intermediazione fra Plauto e Terenzio. Qualche indizio conferma questa posizione mediana. Gran parte dei frammenti che abbiamo si iscrive perfettamente nell‟atmosfera del teatro plautino: grande ricchezza di metri, vivace fantasia comica, sanguigno gusto per il farsesco. Rispetto a Plauto, però, Cecilio sembra in un certo senso più vincolato al modello della Commedia Nuova ateniese. Interesse per Menandro, più sorvegliata adesione al modello greco sono tratti che accostano Cecilio a Terenzio e lo staccano di Plauto. Non abbiamo invece prova alcuna che Cecilio anticipasse aspetti fondamentali tipici della nuova maniera terenziana, quali la rinuncia a certe varietà metriche, la riduzione degli effetti farseschi, l‟approfondimento psicologico. Del resto, sappiamo che Terenzio rimase un isolato nella tradizione della palliata. Oratoria e storiografia Oratoria Nel Brutus Cic sottolinea il legame tra oratoria e vita poltica,come e più della storiografia,l’oratoria esprime la propria interpretazione della storia e dell’attualità. Spiccavano,tra i contemporanei di Catone,Scipione l’Africano maggiore,Quinto Fabio Massimo,Lucio Emilio Paolo F 0E 0 scarse testimonianze delle orazioni. Sull’oratoria di Catone siamo più informati (II sec). Fabio Pittore e l’Annalistica Pittore introdusse l’uso del greco nell’annalistica per raggiungere un pubblico non latino. La sua opera storica andava dalla fondazione di Roma alla fine della seconda guerra punica. Grande spazio per la passione antiquaria: ricerca dell’origine di alcune istituzioni e cerimonie. Si occupò del problema Roma- Cartagine,assumendo una posizione filoromana. Cincio Alimento e altri annalisti Cincio Alimento compose in greco e secondo il metodo annalistico una storia di Roma dalle sue origini,apprezzato da Polibio e Dionigi di Alicarnasso. Letteratura e cultura nell’età delle conquiste Crescita di Roma (potenza egemone) F 0E 0 riassetto socio-economico e culturale descritto in termini di snaturamento delle antiche idealità (perdita delle prische virtutes). Divaricazione profonda tra ceto dirigente e alto e quello basso che si avvia alla proletarizzazione con conseguente instabilità politica interna e lo sfruttamento del ceto basso per fini politici. La corruzione dei costumi ha un apporto anche a livello letterario poiché viene imputata alla centralità del modello greco F 0E 0 creazione della fazione filoellenica e di quella antiellenica (Catone il Censore). L’introduzione della tematica sofistica nelle tragedie era vista come un pericolo data la conseguente relativizzazione della morale (messa in discussione dell’egemonia romana). ENNIO Vita Quinto Ennio nacque nel 239 a.C. a Rudiae (presso Lecce). Svetonio definisce Ennio semigraecus, il poeta stesso amava sottolineare la sua natura “trilngue”, divisa tra il Latino, il Greco, e l‟Osco. Nel 189 accompagna il generale Marco Fulvio Nobiliore in Grecia, con l‟incombenza di illustrare con i suoi versi la campagna militare: l‟operazione propagandistica sarà duramente criticata da Catone. Sarà favorito dalla famiglia di Nobiliore e dagli Scipioni; riceverà tra l‟atro la cittadinanza romana. Nell‟ultima parte della sua vita si dedicò alla fatica degli Annales, il poema epico che gli darà fama perpetua a Roma. Opere Di tutti i suoi testi abbiamo solo frammenti di tradizione indiretta. Delle sue tragedie ci restano 200 frammenti, circa 400 versi. Ma il capolavoro di Ennio sono gli Annales, poema epico in esametri che, in 18 libri, narrava la storia di Roma: ce ne restano 437 frammenti per un totale di 600 versi. Opere minori: • Hedyphagetica “il mangiar bene”,opere didascalica sulla gastronomia. • 4 o 6 libri di Sature di vari metri • Scipio,poesia celebrativa • Opere filosofiche 1. Il teatro Ennio fu, nella produzione drammatica, essenzialmente poeta tragico: non a caso il modello preferito è Euripide, il più moderno dei grandi tragici ateniesi, il più aperto all‟introspezione psicologica e alle situazioni di maggiore passionalità. Da Euripide, Ennio tradusse molte tragedie, soprattutto del ciclo troiano (Alexander,Andromacha aechamalotis,Hecuba,Iphigenia,Medea exul; da Eschilo,Eumenides; da Sofocle,Aiace) Il rapporto con i modelli greci non sembra puramente emulativo: il poeta non cerca il confronto con gli originali per mostrare la sua bravura, piuttosto il progetto stesso della traduzione, così come Ennio la pratica (ampliamento e intensificazione patetica, libera contaminazione di modelli diversi) è l‟impegno di un teatro “vivo”. Gli originali più famosi e più spesso rappresentati vennero così in CATONE Vita Marco Porcio Catone nacque nel 234 a.C. a Tusculum (vicino Frascati) da una famiglia plebea di agricoltori benestanti; combatté nella guerra contro Annibale, e nel 214 fu tribuno militare in Sicilia. Lucio Valerio Flacco lo aiutò nella carriera politica. Nel 195 L‟homo novus Catone fu console insieme a Valerio Flacco: nel 184 è censore insieme a Valerio Flacco; esercitò la carica presentandosi come campione delle antiche virtù romane contro la degenerazione dei costumi e il dilagare di tendenze individualistiche influenzate dalla cultura ellenistica. Parallelamente alla polemica contro il lusso dei privati, Catone esaltava la ricchezza e la potenza dello stato, che doveva risaltare agli occhi di tutti: promosse, perciò, un programma di edilizia pubblica. La censura di catone rimase celebre per l‟intransigenza con la quale egli esercitò la carica, dando sfogo al suo rigore moralistico. Si fece promotore della III guerra punica. 8 Opere Orazioni: Cicerone conosceva più di 150 orazioni di Catone. Possediamo diversi frammenti. Origines: un‟opera storica in 7 libri composta in vecchiaia. Un trattato De agri cultura (conservato), il testo in prosa latina più antico che ci sia giunto intero. Fonti La Vita di Catone di Plutarco; La vita di Catone di Cornelio Nepote; il Cato Maior de Senectute di Cicerone; Tito Livio. 1. Gli inizi della storiografia senatoria Catone scrisse le Origines in vecchiaia, dando inizio alla storiografia in latino; per l‟annalistica romana in lingua greca, come quella di Aulo Postumio Albino, ostentava disprezzo. Il caso di Catone, cioè di un uomo politico di primo piano che scrive storia era destinato a restare un caso isolato nella cultura latina. L‟elaborazione ad opera di membri della classe dirigente conferisce alla nascente storiografia romana soprattutto un vigoroso impegno politico: nell‟epoca di Catone avevamo largo spazio le preoccupazione per la dilagante corruzione dei costumi, e la rievocazione di battaglie personal_ mente condotte, in nome della saldezza dello stato, contro l‟emergere di singoli personaggi con marcate tendenze al “culto della personalità”. Perciò Catone accoglieva nel suo libro le proprie polemiche politiche, e vi riportava proprie orazioni, come quella contro Sulpicio Galba. Il I libro era dedicato alla fondazione di Roma, il II e III alla origini delle città italiche, il IV narrava la prima guerra punica, il V la seconda, il VI e il VII gli avvenimenti fino alla pretura di Servio Sulpicio Galba, nel 152 a. C. Nella visione di Catone la creazione dello stato romano era vista come l‟opera collettiva del populus Romanus stretto intorno alla classe senatoria. Perciò in rottura con alcune tendenze della tradizione annalistica, spesso elaborato da membri di famiglie nobiliari, non faceva nomi dei condottieri, né romani né stranieri. Probabilmente Catone voleva oscurare il prestigio delle gentes con quello della res publica. Per altri versi le Origines mostravano un‟apertura di orizzonti. Forse per la sua provenienza extraurbana, metteva in rilievo il contributo delle popolazioni italiche alla grandezza di Roma. Dei Sabini, la propria gente, evidenziava la dirittura morale e la parsimonia, dovute alle origine spartane. 2. Il trattato sull‟agricoltura L‟opera consiste, per la gran parte, in una serie di precetti esposti in forma asciutta e schematica, ma talora di grande efficacia. Per comprendere intenti e destinatario del De agri cultura è importante il proemio, dove Catone indica nell‟agricoltura soprattutto un‟attività acquisitiva, che vari motivi di opportunità sociale consigliano di preferire ad altre, come il prestito ad usura, immorale, o il commercio transmarino, troppo rischioso. L‟agricoltura è più sicura e più onesta; per di più, è col lavoro agricolo che si formano i buoni cittadini e i buoni soldati. Catone descrive il passaggio dalla piccola proprietà famigliare alle vaste tenute basate sullo sfruttamento degli schiavi. Il De agri cultura costituisce una precettistica generale dei comportamento del proprietario terriero. Lo stile è scarno e conciso, ma colorito di espressioni popolari e campagnole. All‟effetto contribuisce la patina arcaizzante: allitterazioni, omoteleuti, ripetizioni si trovano in abbondanza. Si possono cogliere qui nelle loro radici elementari i tratti salienti dell‟etica catoniana, che sono poi gli stessi che la riflessione tardorepubblicana indicherà come costitutivi del mos maiorum : virtù come parsimonia, duritia, industria, il disprezzo per le ricchezze e la resistenza ai piaceri mostrano come il rigore catoniano rappresenti, soprattutto, il risvolto ideologico di un‟esigenza genuinamente pragmatica: trarre dall‟agricoltura vantaggi economici, anzi accrescere la produttività del lavoro schiavistico ad esso applicato. 3. La battaglia politico- culturale di Catone Una famosa massima sembrerebbe sintetizzare le idee di Catone in fatto di retorica: rem tene, verba sequentur (“abbi chiaro il contenuto, e le parole verranno da sé”): un ostentato rifiuto dell‟ars, della techne retorica di matrice greca. Questo rifiuto dell‟elaborazione stilistica va interpretato alla luce della costante polemica contro la penetrazione in Roma del costume e della cultura greca. Personalmente impregnato di cultura greca, Catone non combatteva tanto quelle cultura in sé, quanto certi suoi aspetti “illuministici”, di critica dei valori sociali e dei rapporti tradizionali, lascito della riflessione sofistica; aspetti potenzialmente corrosivi delle basi etico-politiche della res pubblica e del regime aristocratico. Nella sua opera letteraria, probabilmente si propose il compito di elaborare una cultura che, mantenendo ben salde le radici romane, sapesse accogliere gli apporti greci, senza tuttavia farne aperta propaganda. TERENZIO Vita Originario di Cartagine, sarebbe nato nel 185/184; più probabile una data di circa 10 anni anteriore. Sarebbe giunto a Roma come schiavo.Tutte le fonti antiche sottoli_ neano i suoi stretti legami con Scipione Emiliano e Lelio, sicuramente suoi protettori. Terenzio sarebbe morto nel 159, o comunque ben prima della III guerra punica. Opere La cronologia delle opere è attestata con precisione. Si tratta di 6 commedie, integralmente tramandate a noi: Andria, Hecyra, Adelphoe, Heautontimorumenos, Eunuchus, Phormio. I modelli greci utilizzati e dichiarati nei prologhi appartengono alla Commedia Nuova attica: Menandro, Difilo. Fonti Il riferimento principale è la Vita Terenti contenuta nel De viribus illustribus di Svetonio (100 d.C. ca.), che utilizza ampiamente eruditi di età repubblicana. Il commento di Elio Donato (IV sec. d. C.) è una delle migliori opere del genere giunte fino a noi, e ha buone informazioni su questioni di tecnica teatrale e messa in scena delle commedie. 1. Lo sfondo storico La data di Pidna, il 168 a. C., è uno spartiacque. In seguito alla vittoria di Emilio Paolo furono deportati mille ostaggi Achei, tra cui intellettuali quali lo storico Polibio. L‟appropriazione del mondo greco si sviluppò dunque su più livelli distinti: modificazioni nel gusto e nella mentalità, crescita dei consumi di lusso e dei consumi di arte, interessi per nuovi modelli culturali e ideologici. Il nuovo indirizzo portò, proprio con Terenzio, a innovazioni anche nella poesia scenica. Il teatro di Terenzio accetta l‟inquadramento convenzionale e ripetitivo delle trame, ma la dominante è l‟interesse per i significati: per la sostanza umana che è messa in gioco dagli intrecci della commedia. Il difficile tentativo di Terenzio è usare un genere fondamentalmente popolare per comunicare anche sensibilità e interessi nuovi, che sono maturati nel campo ristretto di una elite, sociale e culturale insieme. Le vicende delle commedie terenziane sono sintomatiche del declino del teatro popolare latino e del progressivo divaricarsi dei gusti del pubblico di massa e della elite colta, nutrita di raffinata cultura greca. Il teatro di Terenzio mette in scena gli ideali di rinnovamento culturale dell‟aristocrazia scipionica; all‟autore interessa soprattutto l‟approfondimento psicologico dei personaggi. Gli intrecci terenziani sono quelli consueti alla Commedia Nuova e alla palliata: giovani innamorati, genitori che li contrastano, schiavi indaffarati; e alla fine il “riconoscimento” che risolve la situazione, ma la scelta innovativa è quella dell‟approfondimento della psicologia del personaggio. Ma è bene intendersi: Terenzio più che al personaggio, sembra interessato alla rappresentazione psicologica del “tipo”: il giovane innamorato, il padre tradizionalista, la prostituta capace di buoni sentimenti. Anche se “tipizzati” i personaggi sono spesso anticonvenzionali; va da sé che l‟approfondimento psicologico comportava una notevole riduzione della comicità, che avrà senz‟altro contribuito allo scarso successo presso il pubblico di massa. 2. Stile e lingua in Terenzio Lo stile espressivo di Terenzio alla prima impressione appare uniformemente piatto, specialmente se messo a confronto con l‟indiavolata officina verbale di Plauto. In 6 commedie non compare più di due volte la parola “bacio”. In Terenzio, gli innamorati non si baciano, e si parla poco in genere di corpi, di mangiare, di bere, di sesso; i personaggi non usano scambiarsi parole di inulto, ne parole della lingua quotidiana. I personaggi “bassi” della palliata 10 - lo schiavo, il parassita – ci sono, ma non portano la loro particolare carica linguistica. Acquistano spazio invece le parole astratte, quelle che rendono possibile e interessante l‟analisi psicologica. Questa restrizione o censura del linguaggio serve ad assicurare il predominio di certi contenuti. Ma l‟elemento che più distingue Terenzio nel quadro della commedia latina è la sua costante e controllata preoccupazione per il verosimile. Ciò non significa, assolutamente, che Terenzio, per essere “verosimile”, riproduca realisticamente la parlata quotidiana. Si adegua in qualche modo ad una lingua realmente parlata, ma è una lingua settoriale: quella parlata dalle classi urbane di buona educazione e cultura. La restrizione e selezione del lessico ha il suo corrispettivo nella forte riduzione della varietà metrica rispetto a Plauto: sono scarse le parti propriamente liriche, mentre molto contenuta è l‟estensione dei cantica (parti cantante o declamate con accompagnamento musicale) in rapporto ai deverbia (parti recitate). 3. I prologhi di Terenzio: poetica e rapporti con i modelli Terenzio è uno dei letterati latini più professionali, più consapevoli degli aspetti tecnici del proprio lavoro. L‟interesse per la Commedia Nuova attica, e per Menandro, mostra bene questa la coesistenza di questi due aspetti: Menandro offriva sia un modello culturale – collegato all‟interesse di Terenzio per valori quali l‟humanitas – sia un modello letterario: un raffinato esempio di stile e di tecnica drammatica. Menandro era stato modello anche per Plauto. Ma per Plauto la verosimiglianza non era un valore assoluto: nella palliata plautina il gioco scenico finisce facilmente per rispecchiare se stesso, mettendo in crisi l‟effetto di realtà dell‟intreccio scenico. Terenzio curò molto di più la coerenza e l‟impermeabilità dell‟illusione scenica. Lo sviluppo dell‟azione non prevede mai sviluppi “metateatrali”: in pratica, la palliata di Terenzio non apre al suo interno nessuno spazio di autocoscienza. Questi momenti di riflessione vengono tutti concentrati nello spazio del prologo. L‟importanza data al prologo come istituzione letteraria è la principale innovazione tecnica di Terenzio rispetto alla tradizione plautina. Nella tradizione risalente alla Commedia Nuova, il prologo era generalmente concepito come spazio espositivo, di informazione preliminare alla comprensione della trama (antefatti, anticipi dello sviluppo dello scioglimento della scena). Questo metteva il pubblico in posizione più attenta allo sviluppo dell‟azione. Terenzio rifiuta questa funzione informativa dei prologhi, anche a costo di qualche oscurità nella conduzione dell‟intreccio, Adopera, invece, i suoi prologhi come personali prese di posizione dell‟autore: chiarisce il rapporto con i modelli greci utilizzati, e sono piuttosto incerte. Sicuro che la satura lanx indicasse un piatto misto di primizie che venivano offerta agli dei; di qui anche una specialità gastronomica, e un tipo di procedimento giuridico lex per saturam, quando si riunivano stralci di vari argomenti in un singolo provvedimento legislativo. Dunque, è probabile che il valore di “mescolanza e varietà” fosse quello originario. Per quanti apporti greci la satira abbia accolto, l‟impulso originario e specificamente romano Questo impulso si può riconoscere come la ricerca di un genere letterario disponibile ad esprimere una voce personale del poeta. Se consideriamo come riferimento l‟epoca di Ennio si nota che nessun dei generi canonici della poesia prevede uno spazio di espressione “diretta”, in cui il poeta possa rispecchiare il suon rapporto con se stesso e con la realtà contemporanea. Varietà, voce personale, impulso realistico, sono caratteri che in qualche modo discerniamo anche dai frammenti delle satire enniane. E‟ verosimile che i vari punti della tradizione biografica su Ennio derivino proprio dagli accenni autobiografici contenute nelle stesse sue satire. Anche per questo aspetto, Ennio ha un posto importante nello sviluppo di un‟ “autocoscienza” del poeta. Comunque sia, questa forma di poesia varia si offrì a Lucilio come ideale mezzo espressivo da perfezionare: la sua grande importanza storica sta nell‟essersi concentrato esclusivamente sul genere della satira. Lo sviluppo della satira significa anche la crescita di un nuovo pubblico, culturalmente avvertito, e desideroso di letteratura più aderente alla realtà contemporanea. Trenta libri: per quanto ne sappiamo Lucilio affrontò uno spettro molto ampio di argomenti. Il libro I conteneva un‟ampia composizione nota come Concilium deorum; attraverso una grande parodia dei concili divini, scena tipica dell‟epos, Lucilio riprendeva un certo tipo inviso agli Scipioni: gli dei lo facevano morire di indigestione. In più di una satira si fornivano precetti culinari (come nella satira 2,4 di Orazio). Nel XXX si descriveva un sordido banchetto; più in generale, accenni alla gastronomia connessi con il tema polemico del lusso a tavola ricorrono più libri. Nel libro XX era narrato un banchetto organizzato da un parvenu, antenato letterario dei più famosi Nasidieno (Orazio, Satire 2,8) e Trimalcione. Il libro XVI pare fosse dedicato alla donna amata: quindi Lucilio è anche un antesignano della poesia personale d‟amore, tendenza che ritroveremo sempre più centrale negli epigrammi catulliani e nell‟elegia augustea. E‟ chiara l‟esistenza di un programma letterario decisamente unitario e innovativo, sostenuto da una personalità di vivace anticonformismo. La sua poesia rifiuta un unico livello di stile, e si apre in tutte le direzioni: amalgama il linguaggio elevato dell‟epica, rivissuto come parodia, e i linguaggi specializzati che finora restavano esclusi dalla poesia latina: e forme di linguaggio di tutti i giorni, attinte ai diversi strati sociali. In questa prospettiva Lucilio è – con Petronio - quanto di più vicino al 12 realismo moderno offre la letteratura latina. La disarmonia dello stile di Lucilio è certamente una scelta meditata, rivolta a un preciso programma espressivo, che fonde insieme vita e arte. Come voce personale del genere satirico, Lucilio resterà un modello per tutti i poeti satirici latini, da Varrone in poi. Politica e cultura tra i Gracchi e Silla 133 a.C Tiberio Gracco presenta una nuova legge agraria. L’aristocrazia ostacola Tiberio fino a provocarne la morte. Anche Gaio ci riprova nel 123 a.C,ma fallisce. La soluzione sarebbe stata imposta dai grandi comandanti militari. Gli eserciti personali iniziano a ricoprire un ruolo centrale nella questione della partecipazione alla vita politica: Mario e Silla. Rifioritura dell’oratoria: Scipione Emiliano contro i progetti graccani. Cic riconosce a Emiliano una gravitas (solennità) contrapposta alla lenitas (pacatezza) di Lelio. La generazione successiva: Marco Antonio e Crasso. Il primo cadde vittima dei mariano nell’87,l’altro morì di morte naturale. L’oratoria di Antonio era più patetica,quella di Crasso invece era più varia e dosava tonalità ad effetto. Asianesimo e Atticismo L’eloquenza asiana (Pergamo tra la fine del IV e inizi del III s.) ricercava il pathos e la musicalità,il stile fiorito e ridondante. L’asianesimo romano viene sviluppato da Quinto Ortensio Ortalo. La corrente atticistica predilige uno stile semplice,scarno,conciso,discorsivo,riprende Lisia. Esponenti: Marco Bruto,Calvo. Lo sviluppo della storiografia Interesse per le vicende contemporanee si unisce al tentativo di fondare un nuovo metodo storico. Si ricerca una spiegazione causale degli eventi che apra dibattiti politici F 0E 0 Sempronio Asellione si propone di narrare solo gli eventi a cui ha assistito di persona. Celio Antipatro che si limitava a trattare la seconda guerra punica,lasciando spazio a elementi patetici,fantastici e miracolosi. Lo storico più notevole fu Sisenna che iscrisse delle Historiae,dalla guerra sociale alla morte di Silla. Attento agli eventi politici ma gli elementi romanzeschi e favolosi giocavano un ruolo centrale; lo stile era un asianesimo spinto,abbondanza di arcaismi,rarità lessicali e tinte sovraccariche. Scrisse inoltre delle fabulae milesiae Commentarii In quest’epoca gli uomini politici avvertono il bisogno di scrivere sulla propria vita e sul proprio operato politico Grammatici latini Dibattito grammaticale: scuola di Alessandria vs Pergamo. La prima aveva una tendenza purista e conservatrice,lingua basata su norma (ratio) e analogia,regolarità; quella di Pergamo accettava la lingua come libera creazione (consuetudo),ammettendo deviazioni del sermo cotidianus. La commedia dopo Terenzio: la fabula palliata e togata La palliata sentito come genere all’antica, perciò lo spazio comico si rivolge all’atellana e al mimo che presentava maggiore verismo e flessibilità strutturale. Data l’ambientazione romana della togata, non erano possibili i giochi della palliata (es. gli schiavi non potevano essere più abili dei padroni), ma si apriva ad un maggior verismo. Si ha una smorzatura dei toni comici. L’Atellana Viene regolarizzata, affidata a testi scritti più elaborati e dettagliati. Il mimo: Laberio e Siro Il mimo indica l’imitazione della vita reale: effetti di crudo realismo o parodie di generi più elevati e regolari. Gli attori recitavano sempre senza maschera, ampia espressività del volto, ruoli femminili interpretati da donne. Divaricazione dei gusti del pubblico: l’élite colta richiedeva un’espressione letteraria raffinata, la massa urbana richiedeva forme di spettacolo semplici e volgari: il linguaggio non risponde più alla coesione culturale di epoca precedente. Periodo cesariano Dal 78 al 44 a.C viene abbracciata la poesia neoterica: Catullo,Partenio e i poetae novi. Nuovi capiscuola: Gallo, Virgilio. In questo periodo tutti i generi conoscono una crescita. Gli intellettuali cominciano a rivendicare una maggiore autonomia nel quadro sociale (Cic). Autonomia è parola chiave di Catullo e Lucrezio: sentono l’influsso del modello greco che rielaborano per il contesto romano, modernizzandolo. Non hanno e non esibiscono veri patroni. La dimensione che si afferma è quella del circolo intellettuale. Catullo e Lucrezio sono estranei al potere politico a differenza di Virgilio e Orazio. La poesia neoterica e Catullo Poetae novi è la sprezzante definizione di Cic per indicare le tendenze innovatrici (I sec. a.C). rifiuto della tradizione nazionale (Ennio), vengono definiti cantores euphorionis da Eurforione di Calcide (di poetica alessandrina). Ellenizzazione dei costumi, si assiste ad un lento indebolimento delle forme della tradizione e all’emergere di tendenze filoelleniche. La poesia ha un tono leggero e dimensioni brevi (epigramma) ed è destinata al consumo privato ed esprime sentimenti personali. Carattere ludico: vengono definite nugae. È frutto dell’otium. La poesia neoterica è più consapevole e programmatica rispetto alla nugatoria: l’otium diventa IL centro della vita del poeta, con il conseguente disinteresse per la vita attiva e una rivolta di carattere etico. Convergenza tra epicurei e neoteroi con differenza della valutazione dell’eros: essenziale per i poeti, da eliminare per i filosofi. I vari poeti non sono organicamente collegati da un programma complessivo. I poeti preneoterici Catulo, nato intorno al 150 a.C da famiglia nobile, costretto al suicidio nell’87 a.C. introdusse epigramma di stampo greco, adattandoli dai modelli ellenistici; si raccolse attorno a lui un gruppo di letterati accomunati da un interesse per la poesia di intrattenimento e dai loro gusti letterari. I poeti neoterici La poesia di Levio è il ponte di congiunzione tra la poesia pre e quella neoterica, data la forte rielaborazione dei modelli e dato lo sperimentalismo espressivo. I neoterici: Valerio Catone, nato agli inizi dei I s. a.C. dalla Gallia Cisalpina. Rinnova a Roma la tradizione dei critici-filologi alessandrini. Compose forse epilli. Furio Bibaculo da Cremona, epigrammi contro Augusto, epigrammi affettuosamente ironici su Catone. Terenzio Varrone Atacino da Cremona nell’88 a.C. continuò la poesia di stampo enniano, compone un Bellum Sequanicum, che tratta della campagna di Cesare contro Ariovisto, ma aderì al nuovo gusto neoterico con un opera dedicata alla donna amata “Leucadia”. Si ricorda il poema epico “Argonautae”, traduzione in esametri latini/rifacimento delle Argonautiche di Apollonio. Elvio Cinna nato nella Gallia Cisalpina, adesione ai principi del nuovo gusto letterario. Scrive la Zmyrna. sbarcato a Troia) che si fa archetipo esemplare della vicenda di Catullo e Lesbia, di un coniugium anch‟esso imperfetto e precario. Una menzione il c. 68 merita per il suo destino nella storia letteraria latina: il larga spazio concesso al ricordo e alla vita vissuta, proiettata miticamente, in un componimento che andava al di là delle dimensioni dell‟epigramma, dovevano farlo apparire come il progenitore della futura elegia soggettiva latina. 14 3. Lo stile La cultura letteraria di Catullo è ricca e complessa, in cui accanto all‟influsso alessandrino, è sensibile anche quello della lirica greca arcaica. La lingua catulliana è il risultato di un‟originale combinazione di linguaggio letterario e sermo familiaris: il lessico e le movenze della lingua parlata vengono assorbite e filtrate da un gusta aristocratico che la raffina e le impreziosisce. Particolarmente frequenti, fra i tratti del sermo familiaris, i diminutivi, che nella loro stessa mollezza fonica e formale sembrano rilevare l‟adesione a quell‟estetica del lepos, della grazia, che accomuna la cerchia degli amici e ne condiziona anche i modi espressivi, oltre a ridefinirne la gerarchia dei valori etici. Una stile composito, con un‟ampia gamma di modalità espressive. La vitalità del linguaggio espressivo e l‟intensità del pathos non sono meno nei carmina docta; ma i vari elementi, come ad esempio la selezione di un lessico generalmente più ricercato e la presenza di stilemi e movenze della poesia “alta”, della tradizione enniana concorrano a dare ai carmina docta un carattere più spiccatamente letterario. LUCREZIO Vita e La notizia biografica più ampia su Lucrezio compare nella traduzione del Testimonianze Chronicon di Eusebio fatta da S. Girolamo: Titus Lucretius poeta nascitur: qui postea amatorio poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla insaniae conscripsisset, quos postea Cicero emendavit, propria se manu interfecit anno aetatis XLIV. Non è facile datare questa notizia, e neppure accordarla con quella fornita da Donato: si può affermare con certezza solo che il poeta nacque negli anni 90, morì verso la metà degli anni 50. Oggi 98 e 55 sono generalmente ritenute le date pi verosimili, ma permangono notevoli incertezze. Va respinta la notizia geronimiana sulla follia di Lucrezio: l‟accusa dovrebbe essere nata in ambiente cristiano nel IV secolo al fine di screditare la polemica di Lucrezio. L‟unico riferimento a Lucrezio nell‟opera di Cicerone è una lettera al fratello Quinto del 54. Opere Il poema in esametri De rerum natura, in 6 libri (un totale di 7415 esametri); dedicato a Memmio, verosimilmente Caio Memmio, amico e patrono di Cinna e Catullo. Il testo del De rerum natura è conservato integralmente da due codici del secolo IX (ora conservati a Leida). La prima edizione a stampa fu eseguita nel 1473 da Ferrando da Brescia. 1. Lucrezio e l‟epicureismo romano La via scelta dalla classe dirigente romana nei confronti della cultura greca era stata quella di un filtraggio attento: fu la via battuta dall‟elìte scipionica e poi da Cicerone. Proprio quest‟ultimo erigerà in muro insormontabile nei confronti dell‟epicureismo; visto come dissolutore della morale tradizionale soprattutto perché, predicando il piacere come sommo bene e suggerendo la ricerca della tranquillità, tende a distogliere i cittadini dall‟impegno politico in difesa delle istituzioni. Non minori pericoli presentava la posizione epicurea sulle divinità: negando il loro intervento negli affari umani, tendeva a creare impicci a una classe dirigente che usava la religione ufficiale come strumento di potere. Nel I secolo l‟epicureismo era riuscito a effettuare una discreta diffusione negli strati elevati della società romana: un personaggio di rango consolare come Calpurnio Pisone Cesonino si presentava come protettore dei filosofi epicurei. Meno sappiamo della penetrazione delle dottrine epicuree nelle classi inferiori. In effetti, lo stesso Epicureo raccomandava l‟estrema chiarezza e semplicità dell‟espressione: senza cedere ad antistoriche forzature in senso “democratico”, va ricordato che 15 l‟universalismo del messaggio epicureo, che intendeva rivolgersi a persone di ogni rango sociale, e anche – cosa inaudita nell‟antichità – alle donne. Lucrezio per divulgare la dottrina epicurea in Roma scelse la forma del poema didascalico. Nella sua scelta fu probabilmente guidato dal desiderio di raggiungere gli strati superiori della società con un messaggio che non avesse nulla da invidiare alla “bella forma” di cui talora si ammantavano le altre filosofie. Quasi all‟inizio del poema, Lucrezio afferma che suo proposito è “cospargere col miele delle muse” una dottrina apparentemente amara. Pare che Cicerone fosse l’editore del De rerum natura, notizia piuttosto incerta data la sua avversione alle dottrine contenute. L‟eccezionalità della forma poetica, che faceva della sua opera un unicum nella letteratura epicurea, spingeva Cicerone a non tenere conto di Lucrezio ( preferiva rifarsi direttamente alla fonti greche dell‟epicureismo), ma il motivo determinante di tale silenzio si dovrà riconoscere nella volontà di non concedere spazio e credibilità di interlocutore a chi aveva scritto un‟opera con forti valenze disgregatrici per la società aristocratica cui Cicerone si rivolgeva. 2. Il poema didascalico Il titolo del poema lucreziano, De rerum natura, traduce fedelmente quella dell‟opera più importante di Epicuro, il perduto Perì physeos. La data di composizione non è sicura. Il De rerum natura è articolato in 3 gruppi di 2 libri (diadi). Nel I libro, dopo l‟ouverture con l‟inno a Venere, personificazione della forza generatrice della Natura, sono esposti i principi della fisica epicurea: gli atomi (parti minime della materia, indistruttibili, immutabili) movendosi nel vuoto infinito si aggregano modi diversi e danno origine a tutte le realtà esistenti; successivamente avviene la disgregazione. Nascita e morte sono costituite da questo processo di continua aggregazione e disgregazione. Nel II libro è illustrata la teoria del clinamen: nel moto degli atomi interviene una “inclinazione” minima che permette una grande varietà di aggregazioni (e rende ragione della libertà del volere umano). I mondi possibili sono molti, e sono oggetti al ciclo della vita e della morte. Il libro III e IV costituiscono una seconda coppia, che espone l‟antropologia epicurea. Il libro III spiega come il corpo e l‟anima siano entrambi costituiti da atomi aggregati, ma di forma diversa; l‟anima non può perciò sottrarsi al processo di disgregazione, di conseguenza essa muore con il corpo e non c‟è da attendersi un destino ultraterreno di premio o di punizione. Il libro IV prende in esame il procedimento della conoscenza, trattando la teoria dei simulacra: una specie di membrane, composte dagli atomi, che si staccano dai corpi di cui mantengono la forma e arrivano agli organi di senso. La testimonianza dei sensi è sempre veritiera, e l‟errore può derivare solo da una sua errata interpretazione. Poi Lucrezio introduce una celebre digressione sulla passione d‟amore e in versi carichi di sarcasmo indica la causa do questa passione nella attrazione fisica. La terza coppia ha per oggetto la cosmologia: il libro V dimostra la mortalità del nostro mondo – uno degli innumerevoli mondi esistenti - ; viene quindi trattato il problema del moto degli astri e delle sue cause: una sezione famosa tratta delle origini ferine dell‟umanità. Il libro Vi si sforza di fornire spiegazioni naturali di fenomeni fisici, quali fulmini e terremoti, estromettendone la volontà divina. Con la narrazione della pesta di Atene del 430 l‟opera si conclude bruscamente. Lucrezio potrebbe aver voluto contrapporre l‟ouverture e il finale come una sorta di “trionfo della vita” e di “trionfo della morte”, per mostrare come non esista alcuna conciliazione del contrasto eterno di queste due potenze. Prima del De rerum natura la letteratura latina non aveva mai prodotto opere di poesia didascalica di grande impegno. La tradizione latina non offriva dunque esempi di poesia didascalica di grande respiro; d‟altra parte, Lucrezio ambisce a descrivere, ma soprattutto a spiegare, ogni aspetto importante della vita del mondo e dell‟uomo, e di convincere il lettore della validità della dottrina epicurea. La tradizione ellenistica, che rivive nelle Georgiche di Virgilio, ricerca invece una sua ispirazione in argomenti tecnici e in gran parte sprovvisti di implicazioni filosofiche. La consapevolezza dell‟importanza della materia determina il tipo di rapporto che Lucrezio instaura con il lettore-discepolo, il quale viene esortato, affinché segua con diligenza il percorso formativo che l‟autore propone. L‟ethos del genere didattico ellenistico era stato un ethos puramente encomiastico: rendeva lode alle cose. Al contrario, in Lucrezio, non est mirandum e nec mirum sono le formule che spesso articolano l‟argomentazione: non c‟è da meravigliarsi davanti a questo o a quel fenomeno perché esso è connesso necessariamente con questa o quella regola oggettiva, e non può trarre stupore che abbia capito i principi delle cose. Alla “retorica del mirabile”, Lucrezio sostituisce la “retorica del necessario”; e così necesset est sarà un‟altra formula usata di frequente nelle argomentazione lucreziane. Il destinatario, fatto direttamente responsabile, con le sue reazioni all‟insegnamento, diventa consapevole della propria grandezza intellettuale: è questa la radice del sublime lucreziano. 16 Il sublime diventa non solo una forma stilistica che rispecchia una forma di interpretazione del mondo; ma , anche, una forma di percezione delle cose. Il sublime coinvolgendo il lettore, gli suggerisce un bisogno morale. Il sublime funziona come un invito all‟azione: attraverso la rappresentazione del sublime il poeta esprime con ansia un‟esortazione al lettore: che scelga per sé, un modello di vita, anche forte. Nel progetto didascalico lucreziano il genere stesso diventa una forma problematica: il testo prevede un lettore antagonistico capace di fare di se stesso e delle proprie reazioni emotive un contenuto del poema. La nuova forma, che il genere didascalico assume in Lucrezio, trova il suo necessario corrispettivo nella creazione di un destinatario che sappia adeguarsi alla forza sublime di un‟esperienza sconvolgente. Forma sublime del testo e forma sublime del destinatario (l‟immagine che il testo si fa del suo lettore ideale) sono i segni della trasformazione che il genere didascalico ha dovuto accettare quando ha scelto di farsi mezzo per comunicare un iter morale. Quel che nel genere didascalico tradizionale è una cornice – rapporto docente-allievo – diventa nel De rerum natura un centro di tensione e un tema problematico. La traduzione del genere in discorso didascalico è continuamente inseguita dal dubbio della propria irrealizzabilità. Da questo discendono alcune caratteristiche del poema, prima fra tutte la rigorosa struttura argomentativi. Tra i procedimenti adottati il sillogismo, strumento principe dell‟argomentazione filosofica; l‟analogia, grazie alla quale si tende a ricondurre al noto, al visibile, ciò che è troppo lontano e piccolo per essere osservato direttamente. Il libro che più di ogni altro testimonia la perizia argomentativi di Lucrezio è il III, dedicato alla confutazione del timore della morte. La parte centrale divisa in due sezioni: prima si dimostra che l‟anima è materiale, composta di atomi e vuoto (vv. 94-416); si affronta poi il problema- chiave: se materiale, l‟anima dev‟essere anche mortale, come tutti corpi (vv. la vita) ammirava in Lucrezio non solo l‟acutezza del pensatore, ma anche grandi capacità di elaborazione artistica. La critica moderna ha lungo esitato a sottoscrivere la seconda delle affermazioni, giudicando lo stile del poeta troppo rude e legato all‟uso arcaico, a tratti prosaico e ripetitivo, ma da qualche tempo gli studiosi hanno modificato questa prospettiva, ricollocando Lucrezio e Virgilio nella loro giusta dimensione storica. Anche lo stile, come l‟organizzazione complessiva della materia, doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore. Si spiegano in questa luce le frequenti ripetizioni. Anche l‟invito all‟attenzione 18 del lettore doveva essere reiterato spesso; e alcuni termini tecnici della fisica epicurea, nonché i nessi logici di grande uso (le formule di transizione tra argomenti diversi: quod, paeterea, denique) dovevano restare il più possibile fissi per consentire la lettore di familiarizzare con un linguaggio non certo facile. Alla lingua latina mancava la possibilità di esprimere certi concetti filosofici e Lucrezio si trovò costretto quindi a ricorre a perifrasi nuove (quali primordia o corpora prima per designare gli atomi), a coniazioni, talvolta a calchi diretti dal greco. La povertà della lingua non si estendeva però al di fuori del lessico strettamente tecnico: Lucrezio sfrutta una gran mole di vocaboli poetici della tradizione arcaica (soprattutto enniana): trae le più caratteristiche forme dell‟espressione: un intensissimo uso di allitterazioni, di assonanze, di costrutti arcaici propri del gusto espressivo- patetico dei più antichi poeti di Roma. In campo grammaticale i due fenomeni più vistosi sono il gran numero di infiniti passivi in –ier (più arcaico di –i), ed il prevalere della desinenza bisillabica –ai bel genitivo singolare della prima declinazione (anziché –ae), esclusa ormai ai tempi di Lucrezio dalla lingua d‟uso. L‟esametro lucreziano si differenzia nettamente da quello arcaico di Ennio, rispetto al quale predilige l‟incipit dattilico che sarà usuale nella poesia augustea. Un segno di scarsa capacità di sfruttamento della possibilità espressive dell‟ordine delle parole è stato spesso visto nella tendenza a comporre il verso in due parti quasi sempre equivalenti, o a ricercare un ordine chiastico ( del tipo ab-ba) ,molto diffusi in Virgilio ed Ovidio. Ma certamente il tratto distintivo dello stile lucreziano vi individuato nella concretezza dell‟espressione. Evidenza e vivacità descrittiva, visibilità e percettibilità degli oggetti intorno a cui si ragiona, “corporalità” dell‟immaginario: effetti obbligati da una mancanza di un linguaggio astratto già pronto. Ma le immagini così evocate per spiegare pensieri ed idee, non restano solo mezzi atti ad illustrare l‟argomentazione astratta: diventano il risvolto emozionale di un discorso intellettuale che sceglie di farsi soprattutto descrizione di grande efficacia. Anche se i livelli di stile sono molto diversi, il registro che li unifica è uno solo e continuo: è il registro dell‟enthusiasmòs poetico al servizio di una missione didattica vissuta con ardore eccezionale. CICERONE Vita Marco Tullio Cicerone nasce ad Arpino nel 106 a. C. da agiata famiglia equestre; compie ottimi studi di retorica e filosofia a Roma. Nell‟89 presta servizio militare nella guerra sociale, agli ordini di Pompeo Strabone, padre del Grande. Nel 81 debutta come avvocato. Nel 69 è edile; nel 66 pretore; nel 70 sostiene trionfalmente l‟accusa dei siciliani contro l‟ex governatore Verre, e si conquista la fama di oratore principe.Nel 63 è console, e reprime la congiura di Catilina. Dopo la formazione del I triumvirato, il suo astro inizia a declinare; nel 58 deve recarsi in esilio, con l‟accusa di avere mandato a morte senza processo i complici di Catilina. Allo scoppio della guerra civile, nel 49, aderisce con lentezza alla causa di Pompeo; dopo la sua sconfitta , ottiene il perdono di Cesare. Nel 44, dopo l‟uccisione di Cesare, torna alla vita politica; inizia la lotta contro Antonio (Filippiche). Dopo il voltafaccia di Ottaviano, che, abbandona la causa del senato, e stringe in triumvirato Antonio e Lepido, il nome 19 di Cicerone finisce nella liste di proscrizione. Viene ucciso dai sicari di Antonio nel dicembre del 43. Opere Orazioni: De imperio Cn. Pompei o pro lege Manilia (66); Catilinarie (63); Pro Milone (52);Philippicae (44-43)… Opere retoriche: De oratore (55); Brutus (46); Orator(46)… Opere politiche: De re publica (54-51); De legibus(52-?). Opere filosofiche: Cato maior di senectute (44); Laelio de amicitia (44); De Officiis; Epistolario: Ad Quintum fratrem; Ad Atticum; Ad Familiarem… Fonti Per la conoscenza della vita e delle opere, le fonti principali sono rappresentate dalle sue stesse opere, soprattutto l‟epistolario, dal Brutus, da diverse orazioni. Importante anche la biografia di Cicerone scritta da Plutarco. 1.Tradizione e innovazione nella cultura romana Cicerone è protagonista e testimone della crisi che porta al tramonto della repubblica; egli elabora un progetto nel vano tentativo di porvi rimedio. La sua rimane un‟ottica di parte, legata la progetto di egemonia di un blocco sociale (sostanzialmente i ceti possidenti): un‟ottica che, per rendersi accetta, deve saper profittare anche degli artifici che possono offrire le tecniche di comunicazione. Cicerone mette a frutto tali artifici nelle orazioni e li teorizza nei trattati retorici: ricollocata nel proprio tempo la sua ars dicendi si spoglia dei tratti di vana ampollosità di cui l‟ha rivestita il ciceronianesimo scolastico, per rivelarsi una tecnica produttiva e sapiente, funzionale al dominio dell‟uditorio e alla regìa delle sue passioni. Procedendo negli anni ha progressivamente sentito sempre più forte la necessità di riflettere, rifacendosi al pensiero ellenistico sui fondamenti della politica e della morale. Il fine delle sue opere filosofiche è lo stesso che ispira alcune delle orazioni più significative: dare una solida base ideale, etica, politica ad una classe dominante il cui bisogno di ordine non si traduca in ottuse chiusure, il cui rispetto per il mos maiorum non impedisca l‟assorbimento della cultura greca; una classe dominante che l‟assolvimento dei doveri verso lo stato non renda insensibile ai piaceri di un otium nutrito di arti e letteratura, né, in generale, di quello stile di vita garbatamente raffinato che si riassume nel termine humanitas. 2. L‟egemonia della parola: carriera politica e pratica oratoria L‟attività oratoria di Cicerone si intreccia indissolubilmente con le vicende politiche di Roma nell‟ultimo cinquantennio della repubblica. Rientrato a Roma dopo la morte di Silla, ricoprì la questura in Sicilia nel 75. Si conquistò fama di governatore onesto e scrupoloso, tanto che, nel 70, i siciliani gli proposero di sostenere l‟accusa nel processo da essi intentato contro l‟ex governatore Verre, il quale aveva sfruttato la provincia con incredibile rapacità. Dopo solo pochi giorni dal dibattimento, Verre schiacciato dalle accuse , fuggì dall‟Italia e venne condannato in contumacia. Cicerone successivamente pubblicò la cosiddetta Actio secunda in Verrem, che rappresenta fra l‟altro un documento storico di grande importanza per conoscere i metodi di ciu si serviva l‟amministrazione romana nelle province. Gli aristocratici romani avevano bisogno di ingenti quantità di denaro per finanziare le forme di “liberalità” (cioè corruzione) necessarie a promuovere la loro carriera politica. Lo stile delle Verriane è già pienamente maturo; Cicerone ha eliminato alcune esuberanze e ridondanze. Il periodare è per lo più armonioso, ma complesso; la sintassi è estremamente duttile, e non rifugge, quando è il caso ad un fraseggio conciso e martellante. La gamma dei registri è dominata con piena sicurezza , dalla narrazione semplice e piana al racconto ricco di colore, dall‟ironia arguta al pathos tragico. Entrato in senato dopo la questura, Cicerone nel 66, l‟anno della pretura, parlò del favore progetto di legge del tribuno Manilio che prevedeva la concessione a Pompeo di poteri straordinari su tutto l‟Oriente: un provvedimento reso necessario dall‟urgenza di affrontare Mitridate, Re del Ponto. Cicerone insisté soprattutto sull‟importanza dei vectigalia (tributi) che affluivano dalle province orientali: di tale beneficio la popolazione di Roma sarebbe stata privata se Mitridate avesse continuato nella sua azione. Nella De imperio Cn. Pompei, poi ripudiata dallo stesso Cicerone, si è voluto vedere il suo punto massimo di avvicinamento alla politica dei populares. In realtà più che agli interessi del popolo, Cicerone difendeva tuttavia quelli dei pubblicani, i titolari delle compagnie di appalto delle imposte. I pubblicani costituivano un gruppo laeder all‟interno dell‟ordine equestre, dal 20 quale proveniva Cicerone. Ma è vero piuttosto che egli aveva bisogno del loro sostegno per cementare quella concordia dei ceti abbiente nella quale incominciava a scorgere la via d‟uscita dalla crisi che minacciava la repubblica. Ma le più celebri tra le orazioni consolari sono le quattro Catilinarie, con le quali Cicerone, durante il suo consolato nel 63, svelò le trame sovversive che il nobile decaduto Catilina aveva ordito una volta vistosi sconfitto nella competizione elettorale, lo costrinse a fuggire da Roma e giustificò la propria decisione di far giustiziare i suoi complici senza processo. Sul piano letterario, spicca la I Catilinaria, nella quale Cicerone attacca Catilina di fronte al senato; fece ricorso a un artificio retorico che in precedenza non aveva mai impiegato: l‟introduzione di una “prosopopea” (“personificazione”) della Patria, che è immaginata rivolgersi a Catilina con parole di aspro biasimo. Da allora in poi, sarebbe stato il teorizzatore di quella concordia ordinum che lo aveva portato al potere. Negli anni successivi Cicerone non cessò di esaltare la funzione storica del proprio consolato e della lotta contro Catilina. Il I triumvirato segnò tuttavia un declino delle sue fortune politiche. Un tribuno Clodio, presentò nel 58 una legge in base alla quale doveva essere condannato all‟esilio chi avesse fatto mettere a morte dei civis romani senza processo. La legge mirava a colpire l‟operato di Cicerone. Non più sostenuto dalla nobiltà e da Pompeo, Cicerone dovette abbandonare Roma. Richiamato dall‟esilio nel 57, trovò la città in preda all‟anarchia: si fronteggiavano, in continui scontri di strada, le opposte bande di Clodio e di Milone (difensore della causa degli ottimati e amico di Cicerone). In questo contesto elaborò una nuova versione della propria teoria sulla concordia dei ceti abbienti. In quanto la semplice intesa fra il ceto senatorio ed equestre, la concordia ordinum, si era rivelata fallimentare: Cicerone ne dilata ora il concetto in quello di consensus omnuim bonorum, cioè la concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti, amanti dell‟ordine politico e sociale, pronte all‟adempimento dei propri dei doveri nei confronti della patria e della famiglia. Dovere dei boni sarà non rifugiarsi egoisticamente nel perseguimento dei proprio interessi provati, ma fornire sostegno attivo agli uomini politici che rappresentano la loro causa. L‟esigenza largamente avvertita in Roma di un governo più autorevole, spinge tuttavia Cicerone a desiderare che il senato e i boni, per superare le loro discordie si affidino alla guida di personaggi eminenti, di grande autorevolezza: una teoria che verrà approfondita nel De re publica. In quest‟ottica si spiega probabilmente l‟avvicinamento ai triumviri che Cicerone compie in questi anni, nella speranza di condizionare l‟operato, e di far si che il loro potere non prevarichi su quello del senato ma si mantenga nei limiti delle istituzioni repubblicane. Gli scontri fra le bande di Clodio e di Milone si protrassero a lungo: nel 52 Clodio rimane ucciso. Cicerone si assunse la difesa di Milone (Pro Milone). L‟orazione è evidente antipatia, la considera una “valvola di sicurezza” per scaricare e sfogare le passioni irrazionali del popolo. 22 Non è facile precisare in che modo veniva delineata la figura del princeps, ma alcuni punti sono assodati: il singolare si riferisce al “tipo” dell‟uomo politico eminente, non alla sua unicità; Cicerone sembra pensare a una elìte di personaggi eminenti che si ponga alla guida del senato e dei boni. Ciò significa che Cicerone non prefigura esiti “augustei”, ma intende mantenere il ruolo del princeps all‟interno dei limiti della forma statale repubblicana: pensa alla coagulazione del consenso politico intorno a leader prestigiosi. L‟autorità del princeps no è alternativa a quello del senato, ma ne è il sostegno necessario per salvare la res publica. Perché la sua autorità non ecceda, il princeps dovrà armare il proprio animo contro tutte le passioni egoistiche – il desiderio di potere e il desiderio di ricchezza - . cicerone disegna così l‟immagine di un dominatore-asceta, rappresentante in terra della volontà divina, rinsaldato nella dedizione al servizio dello stato dalla sua despicientia verso le passioni umane. Ispirandosi a Platone, che alla Repubblica aveva fatto seguire le Leggi, Cicerone completò il dialogo sullo stato con De legibus, iniziato nel 52. Nel I libro Cicerone espone la tesi storica secondo la quale la legge non è sorta per convenzione, ma si basa sulla ragione innata in tutti gli uomini ed è perciò data da dio. Nel II l‟esposizione delle leggi che dovrebbero essere in vigore nel migliore degli stati si basa – qui la differenza con Platone – non su una legislazione utopistica, ma sulla tradizione legislativa romana, che ha i suoi punti di riferimento nel diritto pontificio e sacrale. 5. Una morale per la società romana E‟ nel 45 che i lavori filosofici si infittiscono in maniera incredibile, e ciò in coincidenza con eventi dolorosissimi nella vita di Cicerone: la morte della figlia, ma anche la dittatura di Cesare che lo aveva privato di una qualunque ingerenza negli affari pubblici. Divenuto quasi indifferente alle vicende politiche, vive in solitudine, e si tuffa completamente nella composizione di opere filosofiche. De finibus bonorum et malorum dedicato a Bruto, tratta in 5 libri il sommo bene il sommo male, comprende 3 dialoghi: nel primo espone la teoria epicurea che viene confutata, nel secondo si confrontano la teoria stoica e quella accademica e peripatetica, nel terzo è esposta la teoria eclettica di Antioco di Ascalona (vicina al pensiero dell’autore). Le Tusculane disputationes dedicate a Bruto, è un dialogo tra Cic e un anonimo interlocutore, vengono trattati la morte, il dolore, la tristezza, i turbamenti dell’animo e la virtù come garanzia di felicità. Appassionata solennità dello stile. Lo sforzo di Cicerone si muove in generale, nel senso di ripensare tutto il corpus di metodi, teorie, cresciuto entro le scuole filosofiche ellenistiche per ricomporlo in un blocco di senso comune: egli intende così offrire un punto di riferimento alla classe dirigente romana, nella prospettiva di ristabilirne l‟egemonia sulla società. Ma originale in Cicerone è nella scelta dei temi, nel taglio degli argomenti, perché nuovi sono i problemi che la società pone, e nuovi gli interrogativi che egli pone ad essa: ricucire le membra lacerate del pensiero ellenistico, per trarne fuori una struttura ideologica efficacemente operativa nei confronti della società romana. Il suo metodo: esporre le diverse opinioni possibili e metterle a confronto per vedere se alcune siano più coerenti e probabili di altre. L‟eclettismo filosofico di Cicerone obbedisce alle esigenze di metodo rigoroso, che si sforza di stabilire fra le diverse dottrine un dialogo dal quale sia bandito ogni spirito polemico. La stessa ideologia della humanitas, alla cui elaborazione Cicerone dette un contributo notevolissimo, invitava a un atteggiamento intellettuale di aperta tolleranza. Lo spuntarsi della vis polemica, la rinuncia a qualsiasi asprezza nel contraddittorio , la tendenza a presentare le proprie tesi solo come opinioni personali, l‟uso insistito di formule di cortesia: sono tutti tratti rivelatori dei costumi di una cerchia sociale elitaria, preoccupata di elaborare un proprio codice di “buone maniere”. Ma l‟eclettismo ciceroniano mostra una chiusura radicale verso l‟epicureismo. I motivi dell‟avversione sono soprattutto due, fra loro connessi:la filosofia epicurea conduce al disinteresse per la politica, mentre dovere dei boni è l‟attiva partecipazione alla vita pubblica; inoltre, l‟epicureismo esclude la funzione provvidenziale della divinità e indebolisce così i legami della religione tradizionale, che per Cicerone rimane la base fondamentale dell‟etica. Il confronto tra i diversi sistemi filosofici trova uno particolarmente esteso nel De finibus bonorum et malorum. Cicerone riconosceva che lo stoicismo forniva la base morale più solida all‟impegno dei cittadini verso la collettività; ma da uno stoico intransigente come Catone, o da un accademico della morale rigorosa come Bruto, si sentiva lontano per cultura e per gusti: il loro rigore etico gli appariva anacronistico. L‟eclettismo ciceroniano significa anche apertura e simpatia verso filosofie moderatamente aperte al piacere; e il probabilismo accademico forniva la base teoretica al suo tentativo di conciliare tendenze diverse. Un posto particolare occupano i due brevi dialoghi Cato maior de senectute e Laelius de amicizia, composti nel 44. Nel primo, nel personaggio di Catone, che sceglie come portavoce, Cicerone trasfigura l‟amarezza per una vecchiaia la quale sembra soprattutto temere la perdita della possibilità di intervento politico. Nella sua vecchiaia si armonizzano in maniera perfetta il gusto per l‟otium e la tenacia dell‟impegno politico, due opposte esigenze che Cicerone ha invano cercato di conciliare nell‟arco della vita. Nel secondo, Lelio ha modo di intrattenere i propri interlocutori sulla natura e sul valore dell‟amicizia stessa. Amicitia, per i romani, era soprattutto la creazione di legami personali a scopo politico. La novità consiste nello sforzo di allargare la base sociale delle amicizie al di là della cerchia ristretta 23 della noblitas. La fiducia in un rinnovato sistema di valori, in cui l‟amicizia occupi un ruolo centrale, deve servire a cementare la coesione dei boni,; ma l‟amicizia propagandata dal Lelius non è solo politica: si avverte, in tutta l‟opera, un disperato bisogno di rapporti sinceri, quali Cicerone, preso nel vortice delle convenienze della prassi politica, poté provare solo con poche persone. Rimane aperto, tuttavia, uno iato fra una concezione elevata della morale e della virtù e l‟imprescindibile realtà della prassi politica: l‟amicitia rivela alcune ambiguità, nel mostrarsi insieme come ideale di vita allietata da affetti fraterni, e come proposta di forme più o meno velate di convivenza fra sostenitori dell‟ordine sociale. De officiis: trattato, la cui base filosofica è lo stoicismo moderato di Panezio: rifiuto dell’edonismo epicureo e dell’etica del disimpegno, rispetto della tradizione e dell’ordine politico sociale, senza rozzezze arcaiche. Cic vuole rivolgersi ai giovani F 0E 0 funzione pedagogica. Tenta di conciliare la morale romana con la filosofia greca. Equilibrio tra riflessione teorica e precetti validi per tutti i giorni. I 3 libri trattano dell’honestum, dell’utile e del conflitto tra di essi. La virtù fondamentale era costituita, per Panezio, dalla socialità, in cui alla tradizionale virtù cardinale della giustizia si affiancava la beneficenza. La beneficenza teorizzata di Panezio corrispondeva perfettamente allo stile di vita degli aristocratici romani, che – attraverso gli officia e l‟elargizione nei confronti dei concittadini – sapevano procurarsi un seguito politico capace di innalzarli alle più alte cariche dello stato; naturalmente ciò, gia per Panezio, poneva seri problemi, e di maggiori al tempo di Cicerone: troppe volte si era visto come la largitio, o in generale la corruzione della masse mediante proposte demagogiche, potesse essere un mezzo pericolosissimo nelle mani di individui senza scrupoli, decisi a fare dello stato un loro possesso privato. Perciò Cicerone sottolinea chela beneficenza non deve essere posta al servizio delle ambizioni personali. Alla virtù cardinale della fortezza Panezio aveva sostituito la magnanimità (“grandezza d‟animo”), una virtù signorile che scaturisce da un naturale istinto a primeggiare sugli altri, e risplende nella capacità di imporre il proprio dominio di cui da tempo il popolo romano ha dato prova di fronte al mondo. A fondamento della magnitudo animi il De offciis pone un disprezzo quasi ascetico per tutti i beni terreni, come gli onori, la ricchezza, il potere; il conquistare vantaggi agli amici o allo stato ha come presupposto, in chi li conquista, un energico controllo del desiderio personale. In ciò è evidente la volontà di sottoporre a forti vincoli una virtù che, può divenire la passione specifica della tirannide: mentre Cicerone scriveva, l‟esempio di Cesare era ancora sotto gli occhi. Compito della ragione è di controllare gli istinti, di trasformarli in virtù, svuotandoli di quanto essi c‟è di egoistico e prevaricatorio; una volta trasformato in virtù, l‟istinto può mettersi al servizio dello stato e della collettività; se la trasformazione non avviene, è aperta la strada all‟anarchia e alla tirannide. Nel sistema etico del De offciis, il regolatore generale degli istinti e delle virtù è costituito dall‟ultima virtù , la temperanza: all‟esterno, agli occhi degli altri, essa si manifesta come in un apparenza di appropriata armonia dei pensieri, dei gesti, delle parole, che assume il nome di decorum. Ciò significa un ideale di aequabilitas, quasi uniformità, possibile solo per chi abbia saputo sottomettere i propri istinti al saldo controllo della ragione. Una delle novità interessanti nel modello etico proposto nel De officiis è il fatto che il concetto di decorum permette di fondare anche la possibilità di una pluralità di scelte di vita. L‟appropriatezza delle azioni e dei comportamenti che si pretende dell‟individuo, ha infatti le sue radici nelle qualità personali, nelle disposizioni intellettuali di ognuno. Come gli attori del teatro, ognuno dovrà recitare nella vita la parte che meglio si addice al proprio talento: di qui la legittimazione di scelte di vita anche diverse da quelle tradizionale del perseguimento delle cariche pubbliche, purché chi le intraprenda non dimentichi i suoi doveri verso la collettività. Si fa trasparente l‟improponibilità ormai consolidata del modello aristocratico arcaico, che vedeva nel politica e nel servizio verso lo stato l‟unica vera attività veramente degna di un Romano. 6. Cicerone prosatore: lingua e stile Come quella di Lucrezio, l‟opzione di Cicerone era fondamentalmente “puristica”: evitare il grecismo. Di qui una costante e accanita sperimentazione lessicale nella traduzione dei termini greci. Risultato fu l‟introduzione di molte nuove parole; Cicerone gettò in tal modo le basi di quel lessico astratto destinato a divenire patrimonio della tradizione culturale europea: per esempio qualitas, essentia e così via. Il contributo più notevole all‟evoluzione della prosa europea fu nella creazione di un tipo di periodo complesso e armonioso, fondato sul perfetto equilibrio e rispondenza delle parti, il cui modello egli trovò in Demostene. La creazione di un simile periodo comportava l‟eliminazione delle incoerenze nella costruzione, degli anacoluti, delle “costruzioni a senso” e delle altre forme di incongruenze che la prosa arcaica latina aveva ereditato dal linguaggio colloquiale. Veniva poi l‟organizzazione delle frasi in ampie unità che manifestassero un‟accurata ed esplicita subordinazione delle varie parti i sui culti e i suoi rituali, è una creazione egli uomini. La storia, come è concepita nelle Antiquitates è soprattutto storia di costumi, di istituzioni, anche di mentalità; è la storia collettiva del popolo romano sentito come organismo unitario in evoluzione. Solo nel quadro di questa vicenda collettiva i magni viri trovano il loro posto e hanno diritto alla memoria dei posteri. Che lo stato romano fosse creazione del popolo intero era del resto l‟idea di Cicerone nel De re publica, che a sua volta risaliva a Catone. Quaestiones Plautinae: commento linguistico grammaticale alle commedie di Plauto e De Comoediis Plautinis dove affronta il problema delle commedie di Plauto. Il De Lingua Latina era una trattazione che affrontava i problemi di origine della lingua, di morfologia,di sintassi, e stilistica. Dava rilievo all’assimilazione di elementi stranieri nella formazione della lingua. Le etimologie erano spesso fantasiose. La composizione delle Saturae Menippeae dové iniziare presto (80 a. C.) e si protrasse a lungo. Il tema della tristezza dei tempi e della decadenza dei costumi romani doveva essere effettivamente diffuso nelle Menippeae; la satira acre dei vizi dei contemporanei era l‟altro risvolto dello sguardo rivolto al passato. Così Varrone veniva a trovarsi inaspettatamente vicino ad alcune tematiche della predicazione popolare dei filosofi ellenistici: trovò perciò un modello in Menippo di Gàdara: in lui 26 trova la mescolanza di realismo crudo e libera immaginazione fantastica, ed anche il tono amaro e tagliente della predicazione popolare. Altri modelli nelle Saturae di Ennio e Lucilio; fortissimo l‟influsso di Plauto (l‟autore più citato nelle Menippeae). nella letteratura latina, dettero inizio al genere letterario al quale si ricollegheranno il Satyricon di Petronio e la Apokolokyntosis di Seneca. Quintilliano nell‟ottica di una satira tota nostra ignorava ogni precedente greco, ma le nostre testimonianze non mancano di denunciare il rapporto di imitazione ed emulazione che lega Varrone a Menippo. Il più importante fattore di identità sembra affidato alla tecnica del prosimetro, quell‟irregolare successione di prosa e verso all‟interno della narrazione che è del tutto abnorme alla pratica consueta. Ciò che soprattutto distingue la menippea da altre forme prosimetriche è la sostanziale integrazione del verso nel contesto narrativo della fabula: l‟episodio metrico, insomma non si limita di solito a commentare “liricamente” lo svolgersi degli eventi raccontati. Se la satira di Seneca dà tutta l‟impressione di un fondo colloquiale più costante, appare veramente vario e irriducibile l‟impasto linguistico di Varrone. Il virtuosismo varroniano si traduce in un‟inesauribile creatività verbale di stampo plautino. Ma l‟autentico segnale di genere è i ricorso ad una folla di stilemi greci, che connotano convenzionalmente la forma di un apparente parlato estemporaneo. Nella ricerca comica della menippea sta inscritto anche un continuo effetto metaletterario: il testo satirico, con consapevolezza e con distaccata malizia, guarda ironico ai modelli della poesia “grande” e alle regole secondo cui sono costruiti. I Logistorici in prosa, svolgevano argomenti morali con esempi dalla storia e dal mito: Marius de fortuna, Orestes de insania. Metteva in scena i contemporanei o scomparsi da poco. Le Disciplinae organizza tutto il sapere della scienza antica condizionando il futuro, distinguendo ciò che sarebbe poi stato trivium dal quadrivium. I Rerum rusticarum libri (3 libri) scritti nel 37 con forma dialogica: trattato sulla conduzione della villa romana. Nigidio Figulo I Commetarii grammatici (29 libri) accostava argomenti di grammatica e antiquari. Aveva interessi filosofici, cosmologici e storico-naturali. Filosofo neopitagorico. Cesare lo esiliò e morì nel 45. CORNELIO NEPOTE Vita Cornelio Nepote nacque nella Gallia Cisalpina, probabilmente intorno al 100 a. C. Si stabilì a Roma dove si diede a una vita di studi. Prima dl 32 Nepote pubblicò la prima edizione della sua opera principale, il De viris illustribus. Morì forse dopo il 27. Opere Si è conservata una parte dell‟opera più vasta di Nepote il De viris illustribus, una raccolta di biografie che doveva abbracciare almeno 16 libri; ci rimangono il libro sui comandanti militari stranieri; e le biografie di Catone e Attico, tratte dal libro sugli storici latini I chronica: esposizione sistematica della cronografia universale con attenzione al sincronismo fra gli avvenimenti della Grecia, Roma, dell’Oriente. Quanto ci rimane del De viris illustribus è solo una piccola parte di quella che doveva essere l‟impresa più vasta e ambiziosa di Nepote: una grande raccolta di biografie costruita con l‟intento di fare di questo genere letterario il veicolo di confronto sistematico fra la civiltà greca e romana. Cornelio Nepote raggruppava i suoi personaggi secondo categorie “professionali” (re, condottieri, filosofi, storici, oratori...); il raffronto sistematico fra romani e stranieri sembra costituire il non trascurabile apporto originale di Nepote. il progetto di Nepote è sintomatico di un‟epoca di cui i Romani incominciano ad interrogarsi sui “caratteri originali” della loro civiltà, e contemporaneamente ad aprirsi all‟apprezzamento dei valori di tradizioni diverse. Addirittura di una forma di “relativismo culturale” si può parlare a proposito della praefatio ai libri sui generali stranieri. I concetti di “moralmente onorevole” e “moralmente turpe”, egli precisa, non sono gli stessi presso i greci e presso i romani: la distinzione dipende dai maiorum instituta (le tradizioni nazionali) di ciascun popolo. Comunque le diversità dei singoli popoli serve a dare ragione di costumanze divergenti, non a propagandare un‟incondizionata adesione agli usi stranieri. Cornelio Nepote resta, nel complesso, uno scrittore mediocre: la qualità dell‟esecuzione non può dirsi alla pari alla novità del progetto. Il suo merito maggiore è certo quello di avere influenzato la Vite Parallele di Plutarco. 27 La più originale, e probabilmente riuscita fra le biografie di Nepote, è senza dubbio quella che egli dedicò al suo amico e prottettore Attico. Narrando la vicenda umana di Attico, Nepote ha voluto indicare ai propri lettori l‟esempio di una felice quanto difficile conciliazione fra virtù arcaiche e valori modernizzanti., fra esigenze di fedeltà alla tradizione romana e ricerca della tranquillità personale. Creando il “personaggio” di Attico, Nepote addita un nuovo modello etico il quale si sforza di conferire dignità a scelte di vita non più imperniate sulla partecipazione all‟attività politica. CESARE Vita Gaio Giulio Cesare nacque a Roma nel Luglio del 100 a. C. da una famiglia patrizia di antichissima nobiltà. Fu questore nel 68, edile nel 65, pretore nel 62, pretore nella Spagna Ulteriore nel 61. Nel 60 stipulò con Pompeo e Crasso l‟accordo segreto cosiddetto “I triumviato”, in vista ella spartizione del potere. Nel 59 rivestì il consolato. Dall‟anno successivo intraprese l‟opera di sottomissione dell‟intero mondo celtico; la conquista delle Gallie si protrasse per 7 anni e con essa Cesare si procurò la essa di un vastissimo potere personale. Cesare invase l‟Italia alla testa delle sue legioni (gennaio 49), dando inizio alla guerra civile. Nel 48 sconfisse a Farsalo l‟esercito senatorio di Pompeo. Divenuto padrone assoluto di Roma, aveva ricoperto. talora contemporaneamente, la dittatura e il consolato. Il 15 marzo del 44 veniva assassinato da un gruppo di aristocratici di salda fede repubblicana. Opere Opere conservate: Commentarii de bello Gallico, in 7 libri; Commentarii de bello civili, in 3 libri; De analogia, frammenti. Opere spurie: oltre al libro ottavo del De bello Gallico; le ultime 3 opere del cosiddetto Corpus Caesarianum, e cioè Bellum Alexandrinum; Bellum Africanum, Bellum Hispaniense. Fonti Le opere autentiche e spurie dello stesso Cesare; la Vita di Cesare di Svetonio e quella di Plutarco; orazioni e lettere di Cicerone; Appiano Bellum Civile; Cassio Dione. 1. Il commentarius come genere storiografico Il termine commentarius, un calco greco, indicava un tipo di narrazione a mezzo fra la raccolta dei materiali grezzi (appunti personali, rapporti al senato, e così via) e la loro rielaborazione nella forma artistica – cioè arricchita degli ornamenti stilistici e retorici - tipica della vera e propria storiografia. Uomini politici importanti, come Scauro o Silla; ed anche Cicerone composero commentarii. Cesare intendeva senza dubbio inserirsi in questa tradizione: opere composte per offrire ad altri storici il materiale sul quale impiantare la propria narrazione. In realtà sotto la veste dimessa, il commentarius, come Cesare lo concepiva e lo praticava, andava probabilmente avvicinandosi alla historia. Cesare usa una ammirabile sobrietà nel conferire al proprio racconto efficacia drammatica, evitando effetti grossolani e plateali e soprattutto i pesanti fronzoli retorici: in questa direzione va anche l‟uso della terza persona che distacca il protagonista dall‟emozionalità dell‟ego e lo pone come personaggio autonomo nel teatro della storia. De bello Gallico: 7 libri che compredono il periodo tra il 58 e il 52,sottomissione della Gallia. Primo libro: campagna contro gli Elvezi, secondo, rivolta delle tribù galliche,terzo, campagna contro le popolazioni della Costa Atlantica, quarto, operazioni contro i Germani che avevano passato il Reno, quarto e quinti,spedizioni contro i Britanni, quinto e sesto, campagna contro la Gallia belgica (insurrezione nel 52 guidata da Vercingetorige) , settimo, espugnazione di Alesia e cattura di Vercingetorige. Scritto anno per anno, raffinamento dello stile che tende verso l’historia. De bello civili: 3 libri, i primi due eventi del 49, il terzo del 48 senza coprirlo del tutto. Cesare colpisce la vecchia classe dirigente ricorrendo ad una satira sobria, che culmina nel quadro della prima battaglia di Farsalo. Vuole mostrarsi come colui che si è mantenuto nell’ambito delle leggi,che le ha difese. Ciò spiega la tendenza a rassicurare i ceti possidenti. Insiste sulla propria volontà di pace: la guerra è voluta dal rifiuto della pace da parte dei Pompeiani. 4. La veridicità di Cesare e il problema della “deformazione storica” Lo stile scarno dei Commentarii cesariani, il rifiuto degli abbellimenti retorici tipici della historia, la forte riduzione del linguaggio valutativo, contribuiscono al tono apparentemente oggettivo della narrazione cesariana. Ma la critica moderna ha creduto di scoprire interpretazioni tendenziose e deformazioni degli avvenimenti a fini di propaganda politica; indubbia è la connessione dei Commentarii con la lotta politica. La presenza di procedimenti di deformazione è innegabile: non si tratta mai di falsificazioni vistose; ma di omissioni più o meno rilevanti, di un certo modo di presentare i rapporti tra i fatti. Cesare “osò andare contro l‟insolenza della nobiltà”. Il Bellum Iugurthinum è largamente indirizzato a mettere in luce le responsabilità della classe dirigente aristocratica nella crisi dello stato. Giugurta, dopo essersi impadronito col crimine dl regno di Numidia, aveva corrotto col denaro gli esponenti dell‟aristocrazia romana inviati a combatterlo in Africa. Mario eletto console nel 107 , riceve l‟incarico di portare a termine la guerra in Africa; Mario modifica la composizione dell‟esercito arruolando i capite censi. Nella narrazione sallustiana, l‟opposizione antinobiliare, cui Sallustio si riallaccia, rivendicava il merito della politica di espansione, della difesa del prestigio di Roma. Come nella precedente monografia, introduce al centro dell‟opera un‟excursus che indica nel “regime dei partiti” la causa prima della dilacerazione e della rovina della res publica; Sallustio a tal fine trascura di parlare di quell‟ala favorevole a un impegno attivo in guerra. Le linee direttive della politica dei populares sono esemplificate nei discorsi che Sallustio fa tenere dal tribuno Memmio e da Mario: rappresentativi dei migliori valori etico-politci espressi dalla “democrazia” romana. Il discorso di Mario esprime soprattutto le aspirazioni della elite italica ad una maggiore partecipazione al potere; tuttavia il giudizio complessiva rimane legato da ambivalenze e sfumature. Come già nei confronti di Catilina, Sallustio non nasconde la propria perplessa ammirazione per l‟energia indomabile, segno di virtus, anche se corrotta, di Giugurta. La personalità del re barbaro è rappresentata in evoluzione: la sua natura non è corrotta fin dall‟inizio , ma lo diviene progressivamente. Il seme della corruzione viene gettato durante l‟assedio di Numanzia, dai romani. 4. Le Historiae e la crisi della res publica La maggior opera storica rimase incompiuta per la morte dell‟autore: le Historiae iniziavano col 78 a. C. e i frammenti non vanno altre il 67. Dopo la monografie, Sallustio si cimentava ora in un‟impresa di 30 ampi respiro: si imponeva il ritorno alla forma annalistica, l‟opera influenzò molto la cultura augustea. Delle lettere rimaste importante e quella che Sallustio immagina scritta di Mitridate: dalle sue parole affiorano i motivi delle lagnanze dei popoli soggiogati e dominati da Roma; il solo motivo che i Romani hanno di portare guerra a tutte le atre nazioni è la loro inestinguibile sete di ricchezze. Le Historiae dipingono un quadro in cui dominano le tinte cupe: la corruzione dei costumi dilaga, salvo qualche nobile eccezione (fra le quali Sallustio ammira Sertorio che aveva fondato in Spagna una nuova repubblica), sulla scena politica si affacciano soprattutto avventurieri, demagoghi e nobili corrotti. 5. Lo stile di Sallustio A condizionare in larga misurala futura evoluzione stilistica della storiografia sarà proprio Sallustio che, nutrendosi di Catone, elaborò uno stile fondato sull‟incocinnitas (il contrario della ricerca ciceroniana di simmetria, il rifiuto di un discorso ampio e regolare, proporzionato), sull‟uso frequente di antitesi, asimmetrie e variationes di costrutto: il difficile equilibrio, fra questo dinamismo e un vigoroso controllo, produce un effetto di gravitas austera e maestosa. Alla gravitas di questo stile concorre le ricca patina arcaizzante. L‟arcaismo non è solo nelle scelte di parole desuete, ma anche nella ricerca di una concatenazione delle frasi di tipo paratattico. Estrema è economia dell‟espressione (asindeti e omissioni di legami sintattici); ma alla condensazione del discorso, reso essenziale, reagisce il gusto per l‟accumulo di parole quasi ridondanti. Uno stile arcaizzante, ma innovatore, perché il suo andamento spezzato è del tutto anticonvenzionale e perché lessico e sintassi contrastano quel processo di standardizzazione che si stava verificando nel linguaggio letterario. 43 a.C (morte di Cic) – 17 d.C (morte di Ovidio) Caratteri di un periodo Età augustea: dalla morte di Cesare a quella di Augusto. Tutte le figure dominanti della poesia hanno rapporti con Augusto e il suo entourage. Il tema dominante è quello della “grande paura”, la guerra civile ha raggiunto eccessi disumani, permangono contrasti e lacerazioni. Ottaviano si presenta come la promessa di un ordine e di una ricostruzione nazionale che dovrà passare attraverso la nuova guerra civile con Antonio,conclusasi con la vittoria di Azio del 31 a.C. Il ricordo delle guerre civili sarà cancellato dalla propaganda augustea attraverso le res gestae. Nel distacco tra quest’opera e i poeti augustei si percepisce lo iato tra propaganda e ideologia. I poeti romani gareggiano con i classi greci: Virgilio guarda ad Omero, Orazio ad Alceo, Properzio a Callimaco, in un rapporto di imitazione libero e complesso. I generi a Roma erano ancora un obiettivo da raggiungere al tempo dei poeti neoterici: toccherà agli autori di questa generazione definire i tratti forti del genere scelto. -Poesia bucolica: rispecchia il mondo pastorale e il suo immaginario. -Elegia romana (Properzio,Gallo,Tibullo): rappresenta un rapporto amoroso tormentato e ineguale basato sul serviutium amoris e sulla scelta di una vita degradante. La letteratura in questo periodo è abbastanza matura da coprire tutte le esigenze di rappresentazione e espressione (poeta vate). Virgilio da forma al mito della campagna italica, Orazio si esprime circa temi civili e morali, ma non sappiamo con quanta sincerità si esprimesse. Si criticano gli influssi orientali, i consumi di lusso,la licenziosità. Mecenate mostrava come si potesse essere culturalmente attivi senza rinunciare all’otium. La dimensione privata subisce un notevole sviluppo tra repubblica e principato F 0E 0 ripiegamento del nuovo modello politico. Dopo Virgilio la poesia o è celebrativa o è apolitica e disimpegnata. Orazio analizza,nel secondo libro delle Epistole, le difficoltà del teatro. Ovidio prospetta l’amore non come scelta di vita, ma come frutto di una società mondana. Gallo è già un autore affermato ai tempi delle Bucoliche, è il tramite fra la poesia neoterica e quella d’amore di età augustea. Si suicida nel 26 a.C. Rufo introduce Orazio a Mecenate, compose un Thyestes (tragedia), pare fosse di gusti epicurei. In uno dei frammenti del De morte (poesia didascalica), critica Antonio. Mecenate e il suo circolo: nativo di Arezzo intorno al 70 a.C. e morto nell’8 a.C. consigliere politico e diplomatico di Ottaviano,rompe con le tradizioni della repubblica,ostentava estetismo e culto dell’amicizia privata, promosse una letteratura nazionale,coltivava personalmente una poesia negatoria,intimistica e ironica,al contrario del progetto politico-letterario che propugnava. Non ebbe fortuna come poeta. Augusto scrive le “res gestae divi augusti” destinate alla riproduzione su iscrizioni pubbliche, stile asciutto ed efficace, sostiene di aver liberato la repubblica romana dai cesaricidi e da Cleopatra. Spiega che la fonte delle sue cariche è derivata da volontà di senato e popolo. Pollione ritirato a vita privata, esercitò una fronda culturale al nuovo regime,incoraggiò le recitationes,scrisse delle “Historiae” (perdute; dal I triumvirato alla battaglia di Filippi del 42 a.C) F 0E 0 senso critico e anticonformismo. Messalla 64 a.C. – 8 d.C., esercita un suo autonomo patronato letterario (Tibullo). Notevole oratore, grammatico,retorico,erudito. VIRGILIO Vita Publio Virgilio Marone nacque presso Mantova nell‟ottobre del 70 a. C., da piccoli proprietari terrieri. I luoghi dell‟educazione Roma e Napoli, dove forse ha frequentato il filosofo epicureo Sirone. D‟altra parte le Bucoliche denunciano chiaramente frequentazioni epicuree. La datazione delle Bucoliche è da collegare agli avvenimenti del 41, quando nelle campagne mantovane ci furono confische di terreni, destinate ai veterani di Filippi; Virgilio riecheggia il dramma di contadini espropriati. E‟ certo che le Bucoliche non recano traccia di quello che sarà il grande amico e protettore, Mecenate; mentre vi ha rilievo la figura protettiva di Pollione. Tutta la vita di Virgilio è povera di eventi esterni e raccolta su un tenace lavoro poetico. Dal 29 in poi il poeta fu tutto assorbito dalla composizione dell‟Eneide: l‟opera fu pubblicata per volere di Augusto (che pare seguisse lo sviluppo del lavoro): Virgilio era morto nel settembre del 19 a.C. e fu sepolto a Napoli. Opere Bucolica, dieci brevi componimenti in esametri (829), chiamati anche egloghe e composti fra il 42 e il 39; Georgica, poema didascalico in quattro libri di esametri (2188) completati nel 29; Aenèis, poema epico i 12 libri in esametri: in totale poco meno di 10.000 esametri. L‟opera fu edita dagli esecutori del testamento. Fonti Oltre alle notizie ricavabili dai testi autentici, abbiamo una serie di Vitae, tardo antiche, il nucleo risale all‟attività biografica di Svetonio: la più famosa di queste Vitae si deve a Elio Donato, il grammatico del IV secolo. Tutte le opere autentiche sono commentate sin dal secolo I d.C. 1. Le Bucoliche Sino alla pubblicazione del libro della Bucoliche, Teocrito era stato l‟autore greco meno frequentato dalla cultura romana, che così fortemente urbana si rivolgeva ad altri modelli. La poesia degli Idilli, è tutta rivolta alla ricostruzione nostalgica e dotta di un mondo pastorale tradizionale. Protagonisti dell‟azione erano i pastori e insieme a loro un paesaggio ricco ma statico: tutto sospeso in una vita quotidiana rarefatta ma illuminata dalla poesia. L‟incontro di Virgilio con questo genere, che è anche un mondo immaginario, fu straordinariamente felice. Imitare Teocrito significò, alla fine, una sorta di simbiosi che non ha precedenti nella letteratura romana, e neppure forse veri continuatori. Il risultato non si può ridurre ad un semplice processo imitativo. Non esiste, in pratica, una singola egloga che sta in rapporto “uno a uno” con un singolo idillio. La presenza di Teocrito è stata risolta in una trama di rapporti talmente complessa che la nuova opera sta alla pari con il modello. In questo senso le Bucoliche – così neoteriche per 31 dottrina, stilizzazione, culto della poesia – sono davvero il primo testo della letteratura augustea. Già ne interpretano l‟esigenza di fondo, “rifare” i testi greci trattandoli come classici. Il titolo d‟insieme Bucolica, “canti dei bovari”, racchiude il tratto fondamentale di questo genere, che rievoca uno sfondo pastorale in cui i pastori stessi sono messi in scena come attori e anche creatori di poesia. Al singolare si preferisce il termine egloga (“poemetto scelto”). Nessun altro libro poetico a noi noto, prima di Virgilio, esibisce lo stesso livello di complessità architettonica e di unitarietà. Struttura: -il primo componimento è dedicato ad Ottaviano -l’ultimo a Gallo -il quinto e il sesto alludono a Cesare -1 e 9 si riferiscono alla guerra civile in Italia -2 e 8 sono monologhi amorosi la natura. Lo spazio georgico del poema ha una sua cintura protettiva. Il giovane Ottaviano si profila come l‟unico che può salvare il mondo civilizzato dalla decadenza e dalla guerra civile (I 500 segg.): siamo prima di Azio, nell‟incertezza che nasce dalla morte di Cesare e da Filippi. Altrove appare già come vincitore e portatore di pace. Il nuovo principe assicura le condizioni di sicurezza e prosperità entro cui il mondo dei contadini può ritrovare la sua continuità di vita. Per questo tipo di cornice ideologica, le Georgiche si possono considerare il primo vero documento della letteratura latina nell‟età del principato. Il principe Augusto, e accanto a lui il suo consigliere Mecenate, sono accolti nell‟opera non solo come illustri dedicatari, ma anche come veri e propri ispiratori. Il ruolo di destinatari della comunicazione didattica è assegnato invece alla figura collettiva dell‟agricola. Dietro a questo destinatario ideale, si profila invece il destinatario reale dell‟opera: un pubblico che conosce la vita della città e la sua crisi. E‟ abbastanza difficile credere che le Georgiche siano direttamente ispirate da un “programma augusteo” di risanamento del mondo agricolo. L‟immagine dell‟economia rurale che traspare dal poema è una idealizzata costruzione regressiva, inadeguata alla realtà dell‟epoca. L‟ “eroe” del poema è il piccolo proprietario agricolo, il coltivatore diretto: Virgilio ha al massimo pallidi accenni per le grandi trasformazioni in corso. Più notevole ancora è la mancanza di un qualsiasi accenno al lavoro schiavile, vero cardine dell‟economia agricola. L‟idealizzazione del colonus, ha evidentemente un puro significato morale. Più facile è cogliere, a questo livello, precise convergenze tra Virgilio e la propaganda ideologica augustea. Come l‟esaltazione delle tradizioni dell‟Italia contadina e guerriera, ha come sfondo il clima di guerra contro Antonio. I temi dei quattro libri sono, rispettivamente, il lavoro dei campi, l‟arbicultura, l‟allevamento del bestiame, l‟apicultura: sono quattro delle attività fondamentali del contadino. L‟ordine con cui questi lavori sono collocati descrive una curva, per cui l‟apporto della fatica umana diviene sempre meno accentuato, e la natura è sempre più protagonista; la struttura del libro, inoltre sembra orientata dal grande al piccolo. Ogni libro delle Georgiche è dotato di una “digressione” conclusiva, di estensione piuttosto regolare: le guerre civili; la lode della vita agreste; la peste animale nel Norico, la storia di Aristeo e delle sue api. Hanno chiaro valore di cerniera i proemi: due volte lunghi ed esorbitanti rispetto al tema dei libri (I,III); due volte brevi e strettamente introduttivi (II, IV). Il I e il III libro sono così accoppiati, e lo sono anche nelle grandi digressioni finali: guerre civili e pestilenza degli animali si richiamano quasi a specchio, e gli orrori della storia corrispondono ai disastri della natura. Rispetto a questi finali, rasserenante è l‟effetto delle altre digressioni: l‟elogio della vita campestre si oppone alla minacci della guerra,e la rinascita delle api replica allo sterminio della peste. Queste grandi polarità fra i temi della vita e della morte danno un senso all‟architettura formale. La digressione finale del IV libro, a differenza delle altre, ha carattere narrativo. E‟ introdotta come àition alla maniera alessandrina: “origine”, e spiegazione, di un fatto mirabolante, la bugonia: proprietà delle api che possono nascere dalla corruzione di una carcassa bovina. 33 Aristeo – personaggio mitico, grande civilizzatore e scopritore di tecniche – ha perso la sue api per una epidemia. Senza volerlo aveva causato la morte di Euridice, la sposa di Orfeo. Con un sacrificio di buoi viene placata la maledizione; e dalle vittime del sacrificio, miracolosamente, si sviluppa la vita di nuove api. Virgilio ha collegato due miti abbastanza diversi tra loro, ripensandoli entrambi e disponendoli in una struttura a cornice. In questo pesa molto la tradizione della poesia alessandrina e neoterica, quella dei racconti ad incastro. Alcuni temi fondamentali del poema si ritrovano ora sotto mutata veste, cioè sotto specie non più didattica ma narrativa. La figura di Orfeo fonde insieme le grandi possibilità dell‟uomo, che col suo canto arriva persino a dominare la natura, e il suo sacco, l‟impossibilità di vincere le leggi naturale della morte. Aristeo, invece, indica una diversa strada: la paziente lotta contro la natura è sostenuta da una tenace obbedienza ai precetti divini e conduce fino alla rigenerazione delle api. 5. L‟Eneide L‟aspettativa di un nuovo epos era forte nella cultura augustea. Il poeta che nelle Bucoliche rifiutava di cantare reges et proelia accetta ora di affrontare questo peso. La tradizione “enniana” avversata dai neoterici non si era mai estinta del tutto, ma l‟epica serviva per lo più alla celebrazione di imprese contemporanee. In realtà la nuova epica non si proponeva di continuare Ennio ma di “sostituirlo”: perciò era inevitabile un confronto diretto con Omero. Secondo i grammatici antichi l‟intenzione dell‟Eneide sarebbe duplice: imitare Omero e lodare Augusto “partendo dai suoi antenati”. Un primo sguardo mostra che si tratta di una semplificazione: i 12 libri sono concepiti come una risposta ai 48 dei due poemi omerici. Eneide I-VI racconta il travagliato viaggio di Enea da Cartagine alle sponde del Lazio, con una retrospettiva sulle vicende che avevano portato Enea da Troia a Cartagine. Dal VII comincia la narrazione di una guerra che si concluderà solo con la morte di Turno all‟ultimo verso del libro XII. Perciò si usa parlare di una metà “odissiaca” dell‟Enedie (I-VI) e di una metà “iliadica” (VII-XII). L‟Iliade narra le vicende che portano alla distruzione di una città; l‟Odissea narra, facendo seguito a questa guerra, il ritorno a casa di uno dei distruttori. Queste due storie epiche, queste fabulae, si presentano in Virgilio in sequenza rovesciata: prima i viaggi, poi la guerra; ma questo comporta anche un‟inversione dei contenuti. Il viaggio di Enea non è un ritorno a casa come quella di Odisseo; è fondamentalmente un viaggio verso l‟ignoto. La guerra di Enea non serve a distruggere una città, ma a costruirne un nuova (l‟antenata di Roma). Questa complessa trasformazione non ha precedenti nella poesia antica. Si potrebbero distinguere i diversi livelli nel rapporto di trasformazione. L‟Eneide è innanzitutto una particolare contaminazione dei due poemi omerici. In secondo luogo, vi è anche una continuazione di Omero. Infatti le imprese di Enea fanno seguito all‟Iliade – il libro II di Virgilio racconta l‟ultima notte di Troia che nell‟Iliade veniva solo profeticamente intravista – si riallacciano all‟Odissea - nel III libro Enea segue in parte la traccia delle avventure di Odisseo, affrontando pericolo che l‟eroe greco ha già attraversato. Virgilio riprende l‟esperienza dell‟epos ciclico: la catena di narrazioni epiche che “integravano” la poesia di Omero in una sorta di continuum. In terzo luogo, l‟Eneide racchiude in sé una sorta di ripetizione di Omero. La guerra nel Lazio è spesso vista come una ripetizione della guerra di Troia; alla fine però, nella nuova Iliade i Troiani sono vincitori ed Enea uccide il capo avversario, Turno, come Achille uccide Ettore. Ma si vede bene che la ripetizione è anche superamento di Omero. La guerra porta alla costruzione di una nuova unità. Alla fine, Enea riassume in sé l‟immagine di Achille vincitore e, soprattutto quella di Odisseo che dopo tante prove conquista la patria restaurando la pace. Questo ci riporta all‟altra intenzione di Virgilio: “lodare Augusto partendo dai suoi antenati”. Il poema si stacca dal presente per una distanza quasi siderale: gli antiche ponevano un intervallo di 400 anni fra la distruzione di Troia e la fondazione di Roma. Gli eventi dell‟Eneide sono trattati come “storici”, ma non si tratta, tecnicamente parlando di storia romana. Questo spostamento permette a Virgilio di guardare il mondo di Augusto da lontano; l‟Eneide è attraversata da scorci profetici che conferiscono alla storia un orientamento “augusteo”, ma non cessa di essere omerica. Infatti sono omeriche le tecniche narrativa che permettono Virgilio di guardare da lontano la Roma augustea. Nell‟Iliade Zeus profetizza il destino degli eroi e la distruzione di Troia; nell‟Eneide Giove profetizza non solo il destino di Enea ma anche la futura grandezza di Augusto che riporterà finalmente l’età dell’oro. Nell‟Odissea Odisseo scende verso l‟Ade e ottiene uno scorcio sul suo destino, nell‟Eneide Enea impara dal regno dei morti non solo il suo personale futura, ma anche i 34 grandi momenti critici dello sviluppo di Roma. Si sperimenta così un difficile equilibrio fra la tradizione dell‟epos eroico e il bisogno di un‟epica storico-celebrativa. Il momento di sintesi fra dimensione omerica e dimensione augustea fu dato da Virgilio da una vecchia leggenda. L‟Italia conosceva una serie di “leggende di fondazione” collegate alla guerra di Troia; fra queste storie acquistò particolare peso la leggenda di Enea. Da scoperte archeologiche recenti, il culto di Enea è attestato a Lavinium, a sud di Roma, sin dal IV secolo a. C. Tra il II e il I secolo la sua figura acquistò crescente fortuna, e per ragioni politiche. Il mito dell‟origine troiana dei Romani ne traeva sostegno: il più nobile eroe troiano sopravvissuto sarebbe stato connesso, per via genealogica, a Romolo. Questo permetteva alla cultura romane di rivendicare una sorta di autonoma parità con i Greci, nel tempo i cui Roma egemonizzava il Mediterraneo greco. I Troiani erano consacrati dal mito omerico come grandi antagonisti dei Greci; da Roma sarebbe nata la loro rivincita (anche Cartagine venne opportunamente ricollegata alla leggenda di Enea tramite la regina Didone). Così Roma legittimava il suo nuovo potere attraverso uno sfondo storico profondissimo. Inoltre, attraverso la figura del figlio di Enea Ascanio/ Iulio, una nobile casata romana, la gens Iulia, rivendicava per sé nobilissime origini. Qui venne a saldarsi il cerchio tra Virgilio Augusto e l‟epica eroica. L‟Eneide svolge la leggenda di Enea dall‟ultimo giorno di Troia sino alla vittoria di Enea e alla fusione di Troiani e Latini in un unico popolo. Il poeta ha rimaneggiato i dati sulla venuta di Enea nel Lazio,le variabili notizie su una guerra con i Latini (o con una parte) seguita da un’alleanza,sono state rifuse in un’unica guerra seguita da una conciliazione. La guerra è stata rappresentata da Virgilio come scontro fra Troiani e Latini; coalizzati questi ultimi con numerosi popoli italici: i primi invece con gli Etruschi e con una piccola popolazione greca stanziata nel Lazio. Nessun popolo è radicalmente escluso da una contributo positivo alla genesi di Roma; persino i greci, tradizionale nemici dei Troiani, forniscono un decisivo alleato, l‟arcade Pallante; e soprattutto si prestano come la più nobile preistoria di Roma. L‟Eneide è perciò un‟opera di denso significato storico e politico; non è però un poema storico. Il taglio dei contenuti è dettato da una selezione “drammaturgia” dal materiale, che ricorda più Omero che Ennio. La più nuova e grande qualità dello stile epico virgiliano sta nel conciliare il massimo di libertà con il massimo di ordine. Virgilio ha lavorato sul verso epico, l‟esametro, portandolo insieme al massimo di regolarità e al massimo di flessibilità. La ricerca neoterica aveva affermato dure restrizioni nell‟usare le cesure, nell‟alternanza tra dattili e spondei, nel rapporto tra sintassi e metro. Virgilio plasma il suo esametro come strumento di una narrazione lunga e continua, articolata e varia. La struttura ritmica del verso si basa su un ristretto su un ristretto numero di cesure principali, in configurazioni privilegiate. Si ha immediatamente successivo all‟esperienza di Filippi. A questa situazione di disagio è quasi naturale collegare asprezze, polemiche, toni carichi, linguaggio poetico violento. Ciò ci consegna un‟immagine del poeta molto diversa da quello stereotipo ( buon gusto, affabilità, senso della misura, distacco dalle passioni) cui è sempre stata collegata la fortuna di Orazio nella cultura europea. Orazio rivendica il merito di aver trasferito in poesia latina i metri di Archiloco; ma rivendica anche esplicitamente i diritti dell‟originalità: agli afferma di aver mutuato da Archiloco i metri (numeri) e l‟ispirazione aggressiva (animi), ma non i contenuti (res). Archiloco dava voce a gli odi e ai rancori, alle passioni civili e alla tristezze di un aristocratico greco del VII secolo a. C. Orazio scriveva nella Roma dominata dai triumviri e sarebbe entrato presto nell‟entourage di Ottaviano; era figlio di un liberto, era appena uscito da una difficile esperienza politica. L‟aggressività di Orazio non può rivolgersi che contro “bersagli minori”:personaggi scoloriti, anonimi o fittizi. Anche per influsso dei Giambi di Callimaco (un altro dei modelli greci per gli Epodi) Orazio, in ogni modo, doveva sentire connaturata a una raccolta giambica l‟esigenza della varietà. 2. Le Satire Secondo Quinitliano, satura tota nostra est, egli non riusciva cioè ad indicare autori greci che fossero serviti come punto di riferimento agli autori di questo genere letterario. E anche Orazio, nei componimenti programmatici che forniscono le coordinate della sua poesia satirica, indica in Lucilio l‟inventore del genere. Il che non era affatto scontato. Lasciando pure da parte l‟antica satura drammatica, su cui siamo poco informati (forse un‟azione scenica rudimentale, accompagna_ ta dal flauto,con mimica e danza), aveva scritto satire Ennio. Anche qui manchiamo di notizie sufficienti: si ritiene in genere che le sue Satire fossero caratterizzate dalla varietà (di metro, stile, contenuto). Ma Orazio non nomina Ennio e Quintiliano lo escluderà dalla linea Lucilio-Orazio-Giovenale. Lucilio era quindi identificato come colui che aveva fissato i tratti costitutivi della poesia satirica. A lui risaliva un elemento fondante: la scelta dell‟esametro come forma di metrica della satira. Ma soprattutto Lucilio aveva praticato questo genere letterario come strumento dell‟aggressione personale, della critica mordace. Lucilio organizzava dunque la rappresentazione della società contemporanea, soprattutto del ceto dirigente. Nella sua poesia aveva però posto una grande varietà di temi e di interessi; più importante di tutti era però l‟elemento autobiografico: la satira luculliana conteneva fatti, personaggi e osservazioni connesse alla vita personale. Anche in questo Orazio sarà consapevole di raccogliere l‟eredità del maestro. Orazio stesso non sottovalutava le differenze che lo separavano dall‟inventor del genere: egli però sottolineava principalmente quelle relative allo stile, criticando in Lucilio la sciatta e abbondante facilità. Al piacere gratuito dell‟aggressione (un tratto “aristofanesco” vivace in Lucilio) Orazio sostituisce l‟esigenza di analizzare i vizi mediante l‟osservazione critica e la rappresentazione comica delle persone. In Lucilio non è chiaro il rapporto tra diatriba e aggressività; invece in Orazio è chiaro il collegamento tra questi due componimenti: l’attacco personale è sempre collegato a una ricerca morale; analizzare i vizi serve ad individuare una strada per pochi,attraverso le storture di una società in crisi. Lucilio attaccava con virulenza i cittadini eminenti, avversari di cui condivideva la condizione. Ciò non sarebbe stato possibile al figlio di un liberto:ma, quel che più conta, per trarre insegnamento dalla condotta dei propri simili criticandone gli errori non era necessario scegliere bersagli di elevato livello sociale. Come gli aveva insegnato suo padre, impara da chi gli sta vicino, da quelli che incontra per strada. La morale oraziana ha radici nell‟educazione, nel buon senso tradizionale, ma è costruita con elaborati dalle filosofie ellenistiche, che giungono ad Orazio anche attraverso il filtro della diàtriba (la tradizione di letteratura filosofica popolare, illustrata da dialoghi ed aneddoti). 37 Gli obiettivi fondamentali della ricerca di Orazio sono l‟autàrkeia (l‟autosufficienza interiore) e la metriòtes (la moderazione, il giusto mezzo). Nessuno di questi concetti appartiene ad una setta specifica, ma l‟epicureismo è la tradizione filosofica che ha un peso maggiore nella satira di Orazio. L‟affinità intellettuale, l‟indulgenza, la dedizione, la comunanza di vita, la compattezza nei confronti dell‟esterno: tutto ciò risente delle teorie epicuree. La ricerca morale non caratterizza soltanto le satire che si potrebbero chiamare “diatribiche”, quelle cioè in cui si è sviluppata, alla maniera della diàriba , una discussione (con argomenti, obiezioni, esempi) su uno specifico problema (come 1,1; 1,2; 1,3), ma anche quelle in cui il poeta –sul modello del Lucilio “autobiografico” – rappresenta una scena, racconta un episodio. In questi casi, l‟interesse morale non è separabile dalla rappresentazione stessa: è come una lente attraverso cui il poeta osserva gatti e personaggi. Il meccanismo fondamentale del genere satirico nella prima raccolta consisteva nel confronto fra un modello positivo (l‟obiettivo della ricerca morale) e tanti modelli negativi (i “tipi” della società romana). Nel libro II, invece, registriamo innanzitutto un regresso della componente rappresentativo-autobiografica; nelle satire argomentative risulta poi dominante la forma di dialogo e per di più il ruolo dominante non spetta al poeta, bensì all‟interlocutore. La coincidenza tra il poeta e la “voce satirica” (quella che argomenta e confuta) aveva assicurato un punto di riferimento alla ricerca morale del I libro. Ora che il poeta si ritira in secondo piano non c‟è più la possibilità di estrarre un senso unitario dalle contraddizioni della società: tutti gli interlocutori sono depositari di una loro verità, anche se non tutte equivalenti. La satira, dice Orazio, non è vera poesia: per essere poeta ci vuole ispirazione divina e una voce capace di trasmettere suoni sublimi (1,4). La satira è dunque letteratura più vicina alla prosa, distinta da questa solo per il vincolo del metro. Ma non va preso troppo alla lettera e soprattutto non se ne deve dedurre che lo stile delle Satire sia frutto di facile improvvisazione. Il linguaggio della conversazione colta che egli si propone di riprodurre richiede cure raffinate e pazienti, non meno faticose di più apprezzati livelli della produzione letteraria. Mobilità e varietà sono le caratteristi_ che prime dello stile delle Satire, che di volta in volta si modella docilmente sui soggetti. 3. Le Odi La lirica oraziana non può essere intesa a prescindere dal rapporto organico con la tradizione greca. Se negli Epodi Orazio si dichiarava erede di Archiloco, per quel che riguarda la produzione lirica egli rivendica orgogliosamente il titolo di Alceo romano (Carmina 1). Ma simili dichiarazioni possono essere fraintese facilmente dal lettore moderno: esse rimandano in realtà a un rapporto di imitatio che significa soprattutto obbedienza alla lex operis (le regole che organizzano il genere letterario in cui il poeta vuole operare) e quindi del decorum letterario. L‟imitazione, com‟è intesa da un poeta latino, è una componente del linguaggio poetico e non un ostacolo all‟originalità della creazione. Il rapporto con Alceo: Orazio è orgoglioso di averne divulgato per primo i modi: per ciò egli ha diritto all‟apprezzamento che spetta a colui che apre vie sconosciute. Nel richiamarsi ad Alceo, Orazio approfittava dell‟auctoritas del suo modello per avvalorare la coniugazione di componenti diverse nel suo mondo lirico: l‟attenzione alle vicende della comunità e un canto più legato alla sfera privata. Alceo come sappiamo dai rinvenimenti papiracei, era stato anche poeta gnomico: a lui è dunque naturale collegare la forte componente moraleggiante della lirica oraziana. Un tratto caratteristico del modo in cui Orazio intende il rapporto con la lirica greca arcaica, e con Alceo, è la ripresa evidente ( a volte quasi un citazione che serve da motto): poi però il poeta procede in maniera sua propria e il modello viene quasi dimenticato. Ma i versi di Alceo erano espressione degli amori e degli odi di un aristocratico, impegnato in prima persona nelle aspre lotte politiche della sua città. In Orazio invece l‟interesse per la res publica è vivace, ma è quello di un intellettuale che dopo un effimero coinvolgimento nelle tempeste civili, vive al riparo dei potenti signori di Roma. Per Orazio la poesia come ristoro dall‟impegno, come pausa in mezzo alle battaglie, era poco più che un‟immagine letteraria. L‟altro grande rappresentante della lirica eolica, Saffo, ha lasciato una traccia minore nella poesia di Orazio. Un ruolo notevole è svolto anche dalla lirica corale, è in particolar modo fra i lirici corali Pindaro. La ricerca oraziana del sublime, soprattutto nella poesia di argomento civile, sembra nutrirsi di suggestioni provenienti da Pindaro: periodi ampi, di andamento impetuoso, solenne gravità della gnome ( la sentenza breve e concettosa di valore morale). 38 Il richiamarsi di Orazio alla lirica greca arcaica aveva indubbiamente le caratteristiche di una precisa scelta programmatica ed esprimeva la volontà consapevole di distinguersi dall‟alessandrino dei neoterici. Ciò non significa naturalmente che Orazio non sia poeta “moderno” e che la sua lirica prescinda dall‟esperienza ellenistica. Da qui viene un vasto repertorio di temi, immagini, situazioni. Ma, come l‟esempio di Alceo poeta civile incontrava in Orazio una esigenza attuale di attenzione appassionata per le vicende della res publica, così neanche la poesia alessandrina è pura suggestione letteraria: essa è la “forma” della vita quotidiana di Roma metropoli ellenizzata: una mondanità fatta di amori, feste, danze, poesia. E‟ consolidata l‟immagine di Orazio poeta dell‟equilibrio sereno, del distacco dalle passioni, della moderazione; ci fa intuire il ruolo centrale che nella lirica oraziana è svolto dalla meditazione e dalla cultura filosofica. A nozioni elementari Orazio ha saputo dare una formulazione tanto nitida e incisiva da consegnarle all‟eredità europea, che spesso ha attinto alla sua poesia come a un tesoro di massime. Il punto centrale è la coscienza dalla brevità della vita, che comporta la necessità di appropriarsi delle gioie del momento, senza perdersi nell‟inutile gioco delle speranze, dei progetti o delle paure. La più famosa è l‟esortazione a Leocone(1,11.6 segg.): …Dum loquimur fugerit invida aetas : carpe diem, quam minum credula postero. (“… Mentre parliamo sarà già fuggita la vita invidiosa: cogli il giorno, e non credere al domani.”). Il carpe diem non va frainteso come un banale invito al godimento: in Orazio (come in Epicuro) l‟invito al piacere non è separato dalla consapevolezza acuta che quel piacere stesso è caduco, come caduca la vita dell‟uomo. Questa meditazione può talvolta tradursi in un canto della propria serenità: la felicità dell‟autàrkeia, la condizione del poeta-saggio, libero dai tormenti della follia umana benedetto dalla benedizione dagli dei. E tuttavia saggezza, equilibrio, l‟aurea mediocritas di chi sa fuggire tutti gli eccessi e adattarsi a tutte le fortune non sono un possesso sicuro, acquisto una volta per sempre. Orazio non ignora la forza di un intellettuale eminente e rispettato, che è interlocutore e anche punto di riferimento della élite sociale augustea. Questo aspetto didascalico si accenta nelle epistole del II libro e soprattutto nell’Ars Poetica. La società augustea è anche una società di letterati e di amanti della letteratura: i problemi di critica letteraria, di poetica e politica culturale sono fra quelli di più viva attualità. Augusto è l‟interlocutore 40 primario (implicito ed esplicito) di questi discorsi sull‟arte e sulla letteratura. Restava aperta (ed urgente agli occhi del principe) la questione del teatro latino. Tale questione è centrale nelle epistole letterarie di Orazio: nella 2,1, in un specie di disputa “degli antichi e dei moderni”, Orazio si schiera decisamente dalla parte di questi ultimi, in nome del principio callimacheo dell‟arte colta e raffinata. L’Ars poetica sembra tuttavia orientare la sua analisi dell‟arte e della poesia sui problemi della letteratura drammatica. Egli comunque resta fedele nell‟Ars ai suoi principi, predicando un‟arte raffinata (v.291: si raccomanda dei perfezionare con il labor limae), colta (leggere e rileggere i grandi modelli greci), attenta (i principi fondamentali: coerenza e decorum). Nel quadro di queste riflessioni Orazio ha occasione di disegnare preziosi tracciati di storia della cultura e della letteratura sia greca che romana, nonché di aprire interessanti squarci sulla “vita quotidiana” del letterato romano. L’elegia Gallo,Tibullo,Properzio,Ovidio F 0E 0 massimo periodo per l’elegia è la seconda metà del I a.C. L’elegia in greco indicava un componimento in distici elegiaci. (ELEGIA GRECA) Componimento di carattere guerresco,esortatorio,polemico,politico,moraleggiante,erotico,lutto,lamentazion i funebri. Sul modello di Antimaco,alcuni poeti riuniscono i componimenti sotto il nome di una donna. Il tratto distintivo dell’elegia latina,invece,è l’impostazione fortemente soggettiva e autobiografica che ha precedenti “deboli” (collegamenti fra vicende mitiche e personali). Invece l’elegia latina conserverà tratti oggettivi che generalizzano la storia personale in una visiona più ampia,inglobando elementi comici,epigrammatici,lirici. Nel mentre che si dichiara fortemente autobiografica,l’elegia latina sviluppa elementi topici e canonici: l’amore riempie l’esistenza e le da senso,rare gioie e molte sofferenze,il poeta si abbandona al dolore,pratica una vita di degradazione. Pur essendo ribelle ai valori del mos maiorum,li recupera,codificandoli nel proprio universo. Rifiuto della poesia elevata in favore della musa leggera (debito verso Catullo e i neoterici con cui condivide la ricerca formale,l’eleganza,la rivolta morale,il gusto dell’otium). Gallo Nato da umile famiglia forse nel 69,nella Gallia Narbonese,si schiera con Ottaviano. Cadde in disgrazia,fu mandato in esilio e si uccide nel 26. Fu autore di 4 libri di elegie,col titolo di “Amores” dedicati a Licoride,detta anche Volumnia/Citeride. All’elemento erotico si accosta l’erudizione mitologica e geografica. Emerge la funzione della donna come fonte di ispirazione,di identificazione poesia-vita,la coscienza della nequizia,la comparsa del corteggiamento. Fu probabilmente Gallo a dare la genere i suoi connotati,confermandosi erede della poesia alessandrina. TIBULLO Vita Con buona approssimazione datiamo la suo morte poco dopo quella di Virgilio, fine 19 e inizi 18 a. C. La nascita fra il 55 e il 50 a. C., nel Lazio centrale; la famiglia agiata, apparteneva al ceto equestre. Il punto di riferimento centrale della sua biografia è il rapporto di amicizia e protezione che lo legò a Messalla Corvino, nobile repubblicano che conservò una posizione di prestigio anche sotto Augusto. Tibullo seguì il suo patrono in alcune delle spedizioni militari affidategli: come quella vittoriosa in Aquitania che valse Messalla l‟onore del trionfo, celebrato nell‟elegia 17 dal poeta. Opere Sotto il nome di Tibullo l‟antichità ci ha trasmesso una raccolta eterogenea di elegie – il cosiddetto Corpus Tibullianum – in 3 libri, di cui solo i primi due sono attribuiti al poeta. Il I libro è dominato soprattutto dalla figura di Delia alla quale sono dedicate 5 elegie: ci descrivono – conformemente alla topica del genere – una donna volubile, capricciosa ,amante del lusso e dei piaceri mondani, e una relazione tormentata, sempre insediata dai rischi del tradimento. Alle elegie per Delia si alternano quelle per un giovinetto, Màrato, dal tono meno sofferto. Completa il libro l‟ultima elegia che celebra la pace e la vita agreste. 3 delle 6 elegie del II libro, forse incompiuto, sono invece dedicate alla donna che ne è nuova protagonista, Nèmesi (“Vendetta”, cioè colei che ha scalzato Delia dal cuore del poeta), una figura dai tratti più aspri, una cortigiana avida e spregiudicata. Tibullo è comunemente noto come poeta dei campi, della serena vita agreste. Eppure non manca, nemmeno in lui, lo scenario abituale della poesia elegiaca, la vita cittadina, sfondo degli amori e degli intrighi, degli incontri furtivi e dei tradimenti. Una tendenza, una spinta tipica della poesia elegiaca, è quella di costruirsi un modo ideale, uno spazio di evasione, di rifugio dalle amarezze di un‟esistenza tormentata. Questa lacerante tensione trova il suo sfogo nel mondo del mito, dove il poeta proietta la propria esperienza, assimilandola ai grandi paradigmi eroici. In Tibullo però il mondo del mito è assente e la sua funzione è svolta dal mondo agreste. E‟ forte in lui questo bisogno del rifugio, di uno spazio intimo e tranquillo, in cui proteggere e coltivare gli affetti dalle insidie e dalle tempeste della vita. Dietro i tratti di idillio bucolico (si avverte l‟influenza di Virgilio), la campagna di Tibullo rivela il suo carattere italico, col patrimonio di antichi valori agresti celebrati dall‟ideologia arcaizzante del principato: in ciò, nell‟atteggiamento 41 antimodernista, Tibullo rappresenta forse il caso più vistoso di quella contraddizione che la poesia elegiaca, dichiaratamente anticonformista e ribelle, cova in se stessa. Le nostre conoscenze della poesia alessandrina sono oggi tali che ci consentono di ritrovare nell‟opera di Tibullo molti dei tratti distintivi della poesia ellenistica; e nonostante che in lui manchino tracce dell‟erudizione sottile esibita dagli Alessandrini e sia quasi assente l‟evocazione di miti preziosi che decorino la composizione, senza anche a Tibullo compete l‟etichetta di poeta doctus. Il suo stile rivela in ogni punto, e con regolarità, la sforzo di una scrittura attentissima, dove la semplicità è il risultato di una scelta artistica. “Terso ed elegante” così lo definisce Quintilliano. La sua fortuna fu superiore a quella di chi (probabilmente Properzio) appare al lettore odierno più meritevole e pregnante. Il dibattito fu precoce, l‟inizio di una storia della critica: si intravede il partito “classico” pronto ad ammirare l‟equilibrio di Tibullo, e quello opposto, sensibile alla costruzione ruvida improvvisa ma infallibile di Properzio. Episodio significativo di tale fortuna, il Goethe delle Elegie romane. Il Corpus Tibullianum I due codici più importanti di Tibullo ci hanno trasmesso un raccolta di componimenti poetici di cui solo una parte sono da attribuire al poeta: il cosiddetto Corpus Tibullianum, diviso in 3 libri nei codici, ma il III libro fu diviso dagli umanisti in due, quindi oggi si parla di quattro libri. I primi 6 componimenti del III libro del Corpus sono opera di un poeta che si denomina Lygdamo. Si era creduto che fosse Tibullo stesso. Fu il dotto tedesco Voss a rendersi conto che Lygdamo fissa il suo anno di nascita con questo verso: cum cecidit fato consul uterque pari (III 5,18), lo usa allo stesso scopo anche Ovidio (Tristia IV 10,6); quando nella battaglia di Modena morirono ambedue i consoli (43 a. C.). Ma chi è allora questo poeta? L‟ipotesi più ovvia è che Lygdamo sia il giovane Ovidio., ma si scontra con ragioni di tipo soprattutto linguistico-stilistico. Probabilmente sarà un poeta della cerchi di Messalla. Alle 6 elegie di Lygadmo fanno seguito un lungo carme in esametri, il Panegyricus Messallae . il mediocre componimento costituisce un elogio dell‟uomo politico. L‟autore ignoto sarà stato un altro poeta del suo circolo. Ma indipendentemente dall‟identità degli autori, l‟intero Corpus Tibullianum è innanzitutto documento prezioso di quell‟importante ambiente culturale e letterario che fu il circolo di Messala. PROPERZIO Vita Sesto Properzio nacque in Umbria, Assisi, fra il 49 e il 47 a. C. La famiglia benestante, era di rango equestre, ma a seguito della guerra di Perugia, subì lutti e confische di terre. Si trasferì a Roma per tentare forse la carriera politica, ma già nel 29 lo vediamo inserito nei circoli mondano-letterari della capitale e legato ad una donna, Cinzia. L‟altro evento importante è il contatto con Mecenate e il suo famoso circolo; ma i suoi legami furono stretti soprattutto con Ovidio. Mori forse nel 16 a. C. Opere Di Properzio possediamo 4 libri di elegie. Libro I: 22 elegie. Il libro si apre nel nome di Cinzia e il fascino della donna colta e raffinata sul giovane innamorato dà vita più o meno direttamente a tutte le elegie di questo I libro. Libro II: 34 elegie. Reca traccia vistosa, nella I elegia, dell‟incontro con l‟ambiente ufficiale di Mecenate, cioè la recusatio della poesia epica, che è quanto dire della poesia celebrativa. Cinzia è sempre al centro del libro. Libro III: 25 elegie. Ancora dominato dalla figura di Cinzia, ma con l‟ombra dell‟imminente discidium, del distacco definitivo. Tuttavia compaiono motivi legati alle fortune e all‟ideologia augustea. C‟è inoltre un‟attenzione nuova per la moralità antica, una disponibilità maggiore di fronte ai temi graditi agli ambienti ufficiali: un chiaro indizio del percorso che il poeta stava compiendo verso la sua “integrazione difficile” al regime. Libro IV: 11 elegie di maggiore impegno e maggiore lunghezza. Due sole elegie dedicate ancora a Cinzia Fonti Riferimenti autobiografici nelle stesse elegie; accenni in Ovidio Sulla figura di Cinzia, ci informa Apuleio. Era consuetudine già dei poeti alessandrini , passata poi tra i néoteroi, dare a una raccolta di componimenti il nome della donna che vi era celebrata. Infatti, nel 28 a. C. Properzio pubblicò nel nome di Cynthia il I libro delle elegie. 42 Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis, contactum nullis ante cupidinibus (I 1,1 segg.) (“Cinzia per prima mi ha preso, infelice, coi suoi occhi / nessuna passione mi aveva prima toccato”). Egli si presenta come prigioniero dalla passione per lei, e irrimediabilmente destinato, a causa sua, a una vita dissipata. Cinzia è una donna ricca di cultura letteraria e musicale, che vive da cortigiana negli ambienti mondani, frequentati da uomini politici e letterati. Legarsi a un tale donna significa per Properzio compromettersi socialmente, contravvenire al codice di rispettabilità cui un uomo della sua condizione è tenuto. Properzio porta all‟estremo e coerentemente “teorizza” quella che era già stata la rivolta di Catullo, il rifiuto del mos maiorum, del primato dei valori della civitas, per un‟esistenza totalmente dedita all‟amore. Un‟esistenza dedita all‟otium, al servitium nei confronti della donna amata, fa tutt‟uno con l‟attività letteraria dal poeta-amante, che della sua vita fa materia seduzione a una giovane donna. Quella figura tanto deprecata dalla tradizione elegiaca appare sotto una luce sostanzialmente positiva; la lena è progenitrice del poeta didascalico, del maestro d‟amore, perché analoga è la concezione dell‟eros che le due opere presuppongono. La relazione d‟amore, perduto agli occhi di Ovidio il suo carattere di passione devastante, costituisce ormai un gioco intellettuale, divertimento galante, soggetto ad un corpus di regole sue proprie, a un codice estetico che è ricavabile dall‟elegia erotica latina. L‟Ars amatoria è un‟opera in 3 libri, in metro elegiaco, che impartisce consigli sui modi di conquistare le donne (I), ed conservarne l‟amore (II); il III libro, aggiunto più tardi per risarcire scherzosamente le donne dal danno procurato coi primi due, fornisce viceversa insegnamenti su come sedurre gli uomini. L’andamento precettistica è interrotto da inserti narrativi di carattere mitologico e storico come exempla sulla validità dei precetti impartiti. La figura del perfetto amante delineata da Ovidio si caratterizza ovviamente per i suoi tratti di disinvolta spregiudicatezza, di insofferenza e impertinente aggressività nei confronti della morale tradizionale. In realtà il carattere libertino e spregiudicato dell‟Ars non ne costituisce più che la sua veste scintillante: l‟eros ovidiano perde ogni impegno etico, ogni velleità di ribellione contro la morale dominante. L‟elegia ovidiana coltiva piuttosto ambizioni di segno contrario: nel negare l‟impegno totalizzante della precedente poesia d‟amore,nel neutralizzarne le spinte aggressive, Ovidio cerca una riconciliazione della poesia elegiaca con la società, e suo modo cerca di sciogliere, una vistosa contraddizione dell‟elegia, che nel suo orgoglioso contrapporsi al sistema tradizionale dei valori sociali e culturali non aveva saputo elaborare modelli etici alternativi. A questo atteggiamento contraddittorio, e tendenzialmente arcaizzante, della poesia elegiaca Ovidio contrappone i valori della modernità, un‟accettazione entusiastica dello stile di vita della scintillante Roma augustea. All‟esalazione del cultus , degli agi e delle raffinatezze, risponde anche il poemetto Medicamina faciei femineae che si oppone la tradizionale rifiuto della cosmesi e illustra la tecnica di preparazione di alcune ricette di bellezza. Il ciclo didascalico è concluso dai Remedia amoris, l‟opera che insegna come liberarsi dall‟amore. Motivo topico della poesia erotica era l’incurabilità di Amore,cosa che Ovidio rovescia affermando che bisogna liberarsi da esso se comporta sofferenza. 4. Le Heroides Se l‟eros è il tema unificante della produzione giovanile ovidiana, l‟altra grande fonte della sua poesia è il mito; l‟opera che più di esso si alimenta sono le Heroides. Con questo titolo si designa una raccolta di lettere poetiche: la prima serie è scritta da donne famose, eroine del mito greco ai loro amanti o mariti lontani: Penelope a Ulisse, Fedra a Ippolito, Arianna a Teseo, Medea a Giasone, ecc. La seconda è costituita dalle lettere di tre innamorati accompagnate dalla risposta delle rispettive donne: tra cui Paride ad Elena. Dell‟originalità di quest‟opera, con cui crea un nuovo genere letterario, Ovidio si dice orgoglioso.se personaggi e situazione appartengono al grande patrimonio del mito, molti elementi sono mutuati dalla tradizione elegiaca latina, dove sono ricorrenti motivi come la sofferenza per la lontananza della persona amata, recriminazioni,lamenti, suppliche, sospetti di infedeltà. Tra le epistole che risentono di più del modello elegiaco, c‟è quella di Fedra e Ippolito, in cui l‟eroina euripidea perde i suoi tratti di nobile dignità tragica per assimilarsi a una dama spregiudicata della società galante, tesa a sedurre il figliastro con le lusinghe di un facile furtivs amor. Nelle Heroides il modello elegiaco fa da filtro attraverso cui passano i materiali narrativi dell‟epos, della tragedia, del mito. E‟ un‟ottica ristretta, convenzionale, che porta le eroine ovidiane ad imporre tagli “elegiaci” sul materiale narrativo dell‟epos, della tragedia, del mito; è un processo di deformazione, di sistematica reinterpretazione, di riscrittura coerente. Così, nella epistola 7, Didone seleziona nel modello virgiliano gli elementi funzionali alla sua interpretazione persuasiva; così si spiega l‟insistenza su un‟ipotesi come quella della gravidanza, che rovescia la formulazione nell‟Eneide, dove si trattava di una speranza delusa. Ovidio introduce il lettore in un universo letterario nuovo, né epico o mitico né elegiaco, ma fondato sulla compresenza di codici e valori, sulla loro interazione. Certo la scelta della forma epistolare imponeva vincoli precisi al poeta, soprattutto la I serie, che si configurano come monologhi costruiti prevalentemente su una situazione-modello, il “lamento della donna abbandonata”. La struttura della lettera non permetteva molte variazione: data per nota la lettore colto la situazione di partenza, l‟andamento fonologico è solo interrotto qua e là da qualche flash-back. Il personaggio è ignaro del suo futuro,quindi solo l’autore onnisciente può preannunciare eventi futuri. Spetta al lettore e alle sue conoscenze colmare le lacune narrative. C‟è ancora un aspetto da sottolineare. Le Heroides propriamente sono poesia del lamento, sono l‟espressione della condizione infelice della donna, lasciata sola o abbandonata dallo sposo-amante lontano. Ma se a causare la sofferenza è per lo più questo ritrovarsi abbandonate dall‟amato, non mancano altre cause di infelicità per le figure femminili delle: le eroine soffrono in quanto donne. Nelle Heroides il genere elegiaco sembra così tornare alla proprie origini di poesia del dolore e del lamento. Nell‟operazione di “riscrittura” messa in atto, Ovidio rielabora i testi della tradizione spostando la prospettiva e dando voce alla donna e alle sue ragioni. Nell‟approfondimento della psicologia femminile (forte l‟influsso del modello euripideo) è anzi proprio uno degli aspetti più notevoli delle Heroides. 5. Le Metamorfosi Dopo Virgilio, che con l‟Eneide aveva realizzato il grandioso progetto di un poema epico di tipo omerico, di un epos nazionale, Ovidio segue un‟altra direzione. La veste formale sarà quella 45 dell‟epos (l‟esametro sarà il marchio distintivo), e così le grandi dimensioni (15 libri), ma il modello è quello dei un “poema collettivo”, che raggruppi cioè una serie di storie indipendenti accomunate da uno stesso tema. Al tempo stesso però proprio mentre opera questa scelta di poetica alessandrina (nei contenuti e nella forma), Ovidio rivela anche l‟intenzione di comporre un poema epico, che la poetica callimachea aveva notoriamente messo al bando. Ne dà conferma lo stesso impianto cronologico del poema, illimitato (dalle origini del mondo ai giorni di Ovidio). Ciò riavvicinava il poeta agli orientamenti del principato e di rispondere, anzi, alle esigenze nazionali ed augustee. Le circa 250 vicende mitico-storiche narrate nel corso del poema sono ordinate secondo un filo cronologico che subito dopo gli inizi si attenua fino a rendersi quasi impercettibile per lasciar spazio ad altri criteri di associazione. Le varie storie possono essere collegate, ad esempio, per contiguità geografica, o per analogie tematiche, o invece per contrasto, o per semplice rapporto genealogico fra i personaggi, o ancora per analogia di metamorfosi, e così via. Dopo il brevissimo proemio inizia la narrazione della nascita del mondo dall‟informe caos originario e della creazione dell‟uomo: il diluvio universale e rigenerazione del genere umano grazie a Deucallione e Pirra segnano il passaggio dal tempo primordiale al tempo del mito, degli dei e semidei, delle loro passioni e dei loro capricci. Fino ai personaggi della guerra troiana che ci introducono nella storia per arrivare fino all‟età di Augusto. Alla fluidità della struttura corrisponde la varietà dei contenuti. Molto variabili sono già le dimensioni delle storie narrate, oscillanti dal semplice cenno allusivo, allo spazio di qualche centinaio di versi, che fa di molti episodi dei veri e propri epilli. Ovidio non tende all‟unità e all‟omogeneità dei contenuti e delle forme, quanto piuttosto alla loro calcolata varietà; tende soprattutto alla continuità della narrazione, al suo armonioso fluire e dipanarsi. La tecnica di narrazione. Non solo l‟ordinamento cronologico è piuttosto vago, ma viene continuamente perturbato dalle ricorrenti inserzioni narrative proiettate nel passato. Ovidio, il narratore principale, fa frequente ricorso alla tecnica, già alessandrina, del racconto a incastro, che gli permette di evitare la pura successione elencativa delle varie vicende incastonandone una o più all‟interno di un‟altra usato come cornice. La metamorfosi, la trasformazione di un essere umano in animale, in pianta, in statua o in altra forma, era un tema presente già in Omero, ma caro soprattutto alla letteratura ellenistica, della quale soddisfava anche un gusto caratteristico, quello dell‟eziologia, della dotta ricerca delle cause (la metamorfosi descrive l‟origine delle cose e degli essere attuali da una loro forma anteriore). Nel poema ovidiano la metamorfosi è il tema unificante fra le tante storie narrate: il poeta cerca anche di dare retrospettivamente dignità filosofica alla sua opera mediante il lungo discorso di Pitagora che indica nel mutamento la legge dell‟universo. In realtà l‟argomento centrale dell‟opera è rappresentato dall‟amore, ma ambientato nell‟universo del mito nel mondo degli dei e dei grandi eroi. Alla dimensione mitica non corrisponde però un ethos idealizzante, una grandezza di valori. Il mito non ha per Ovidio la valenza religiosa, la profondità che ha in Virgilio: accentua una tendenza insita nella cultura ellenistica e fa del mito un ornamento della vita quotidiana. Il mondo del mito, per il letteratissimo Ovidio, è innanzitutto il mondo delle finzioni poetiche: e le Metamorfosi costituirà una sorta di grandiosa enciclopedia del mito per i millenni futuri, la summa di uno sterminato patrimonio letterario. I personaggi agiscono seguendo ognuno un proprio punto di vista, convinti tutti di padroneggiare la realtà: il poeta, solo depositario del “punto di vista vero”, analizza questa moltiplicazione delle prospettive. Rifiutando l‟impersonale oggettività del poeta epico, il narratore delle Metamorfosi interviene spesso per commentare il corso degli eventi. Al carattere spettacolare di questo universo, corrisponde anche una tecnica narrativa che privilegia i momenti salienti dei quegli eventi, ne isola singole scene, sottraendole alla loro dinamica drammatica. Nella sua natura eminentemente visiva, nella sua immediata evidenza plastica (qualità che contribuisce a spiegare l‟immensa fortuna di modello delle arti plastiche), questa poesia amante della spettacolarità spesso nelle sue forme più orride, anticipa caratteri importanti del gusto letterario del nuovo secolo, del “manierismo imperiale”. 6. I Fasti I Fasti sono l‟opera ovidiana meno lontana dalle tendenze culturali, morali, religiose del regime augusteo. Sulle orme dell‟ultimo Properzio, delle sue “elegie romane”, anche Ovidio si impegna sul 46 terreno della poesia civile: il progetto è quello di illustrare gli antichi miti e costumi latini, seguendo la traccia del calendario romano. L‟opera deve molto soprattutto al modello degli Aitia callimachei, sia nella tecnica compositiva che nel carattere eziologico, di ricerca delle origini della realtà attuale dal mondo del mito. Ovidio si impegna in accurate ricerche di svariate fonti antiquarie: da Valerio Flacco, Varrone, a Livio. Sullo sfondo di rifugio rispetto alla cura che gli apporta la narrazione degli eventi più recenti e contemporanei: un atteggiamento implicitamente polemico nei confronti della storiografia sallustiana, che aveva posto la crisi di Roma centro della propria indagine. Il pessimismo liviano, che pure esiste, non è altrettanto lucido; pur riconoscendo il carattere “epocale” e non episodico della crisi, Livio rifiuta di concentrare l‟interesse su di essa, sforzandosi invece di non considerarla separatamente dal quadro generale della storia di Roma. Dalle parti conservate dell‟opera emerge la giustificazione dell‟Impero di Roma, alla cui edificazione hanno cooperato una fortuna sostanzialmente non diversa dalla provvidenza divina, e la virtus del popolo romano. 48 Quando Livio rivolge il suo sguardo a quel percorso di oltre sette secoli, egli mostra reverenza quasi sgomento, davanti a tanto spazio di tempo e di fatti. Nella rievocazione le immagini del passato agiscono come modelli di comportamento sociale e individuale, sia positivi che negativi. La mitologia del passato, non solo ha senso per gli uomini presenti, ma anche dà senso al loro agire. 3. Lo stile della narrazione liviana Nel gusto stilistico, Livio oppose nettamente alla tendenza di Sallustio, avvicinandosi, piuttosto alla stile che Cicerone aveva vagheggiato per la storiografia romana. Quintilliano, che riconosceva la superiorità di Sallustio come storico, contrapponeva alla sua brevitas austera e sentenziosa la lactea ubertas di Livio: uno stile ampio fluido e luminoso, senza artifici ne restrizioni, che evita ogni asperitas.La coloritura poetica del racconto è cospicua e frequente. Ereditando una tendenza già presente, Livio lascia largo spazio alla drammatizzazione del racconto. Certo, la passione moralistica che contraddistingue la concezione liviana della storia ( non studio politico che spieghi atteggiamenti ed eventi, bensì la narrazione da condurre in termini di singole personalità rappresentative), risente parecchio della tradizione storiografica ellenistica, quello stile storiografico che si usa definire “tragico”. Cosi la historia , più che ricerca della verità, poteva diventare attività retorica, rientrare nella categoria del letterario. Il suo scopo era di mostrare che qualità mentali e morali hanno un impatto decisivo sugli avvenimenti: l‟atmosfera di una città agiata, i sentimenti di un popolo,i pensieri e desideri di un personaggio, tutto questo non è “obbiettività”, non è il distacco impersonale che ogni teorico pretenderebbe da uno storico serio. La “pateticità” di Livio non ha nulla a che sia paragonabile al pathos acceso di Sallustio; è piuttosto un discorso arioso di rappresentare e di narrare: un modo “sentimentale” (c‟è più ethos che pathos), che ottiene l‟effetto di aggiungere una suggestione di maestà epica. Il modello di stile storiografico elaborato da Livio divenne rapidamente un classico, e rivaleggio con l‟altro modello, Sallustio, il quale esercitò nell‟antichità un influsso predominante. Livio oppositore di Sallustio, e seguace di Cicerone, dunque. Ma è pur vero che il periodare di Livio, confrontato con quello del modello, risulta spesso carico, affollato; insomma, se il periodo ciceroniano è fatto per essere ascoltato, quello liviano si attende di essere letto. Orientamenti della storiografia La tradizione storiografica continua con Pollione: 76 a.C – 4 d.C, di Chieti. Seguace di Cesare,Antonio,Augusto. Posizione di notevole indipendenza,amico di Carullo e Cinna. Tendenza atticiste,forte ostilità con Cic. Le Historiae,iniziate il 35 a.C,coprivano il periodo dal I triumvirato in poi; forse fino alla battaglia di Filippi. Abbiamo solo frammenti. Atticismo molto esasperato,affettata secchezza,composizione scabra. Agrippa,genero di Augusto,scrive un’autobiografia. Augusto scrive commentarii de vita sua. Pompeo Trogo scrive Historiae Philippicae in 44 libri. Il titolo riprende quello delle storie filippiche del greco Teopompo. Compone una storia dalle antiche vicende di Babilonia fino ai tempi dell’autore. Trogo a differenza di Livio,considerava l’impero macedone il più grande di tutti. Si avvaleva di Timagene (storico greco antiromano). Era un imitatore di Sallustio,tendeva ad esagerare nei discorsi indiretti. Il rapporto del principato si era già incrinato nell’ultima parte di Augusto e Tiberio non era un abile organizzatore del consenso. Patercolo Velleio lo celebra,scrive le Historiae in 2 libri dalle età remote fino all’epoca contemporanea (ampiamente trattata). L’interpretazione della storia recente si incentra sull’opera di risanamento e pacificazione interna. Velleio è portatore del lealismo verso il principato della classe militare, fa ritratti paradossali ad esempio Mecenate (politico energico e gaudente debosciato). Ci informa sui gusti del pubblico e sulle vicende dei generi letterari. Valerio massimo con i suoi Factotum et dictorum memorabilium (lodi a Tiberio),apparteneva alla clientele di Sestio Pompeo. L’opera è una raccolta di exempla divisi a seconda della materia trattata,sottodivisi in exempla romani e stranieri con tendenziosità verso i primi. Domina il mos maiorum. Storiografia dell’opposizione senatoria Si esprimeva nel culto dei martiri repubblicani,nella letteratura favorevole a Germanico e alla sua famiglia. Il regime si lascia andare a gesti di intolleranza repressiva: Labieno si suicida. Storiografia e intrattenimento letterario Quinto Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, in 10 libri: i primi due perduti. Scrive sotto il regno di Claudio. Il mito di Alessandro Magno fu sempre vivace nella Roma imperiale,era un eroe da romanzo. Rufo è stato più un narratore che storico,dato che si abbandona a fonti contrastanti. Vuole colpire il lettore. Erudizione e discipline tecniche Tre biblioteche fondate a Roma. Valerio Flacco,grammatico,scrisse opere perdute. Si possono ricordare dei Rerum Etruscarum Libri. Interesse grammaticale era legato alla ricerca antiquaria; i lemmi offrivano occasione per excursus sull’antica Roma e i popoli italici. Rimane il Compendio di Sestio Pompeo Festo. Cultura e spettacolo: la letteratura della prima età imperiale La scomparsa di Mecenate provocò un distacco che non si sarebbe più sanato se non in modo occasionale tra il principato e i letterati. Solo Nerone tenta un recupero del consenso del senato e una ripresa del mecenatismo. Nerone promosse le attività artistiche,istituì i Neronia (certame poetico). I Flavi adottano tendenze antiellenistiche,propugnano la ripresa della poesia epica e di Cic e della retorica. La pantomima,rappresentazione teatrale di carattere drammatico con accompagnamento musicale e mimo,conosce un successo grandioso tanto che Stazio fu anche librettista. Ci fu un tentativo di recupero del grande teatro tragico da parte dell’élite senatoria,ma non fu efficace. Seneca il Vecchio Nato a Cordova in Spagna intorno al 50 a.C. la sua opera (Oratorum et Rhetorum sententiae divisiones colores) testimonia la venuta meno della funzione civile della retorica,la quale si concretizza in futili e fittizie esercitazioni. I due esercizi tipici più in voga sono la controversia-dibattimento da posizioni contrapposte di una causa fittizia-e la suasoria-tentativo da parte dell’oratore di orientare l’azione di un personaggio famoso in una certa situazione. Scopo dell’oratore è stupire l’uditorio ricorrendo al lavoro formale; stile brillante e prezioso F 0E 0 asianesimo. Furono introdotte le recitationes da Asinio Pollione con conseguente mutamento di destinazione dell’opera che diventa un bene di consumo. Gli autori mirano a strappare applausi andando a scapito dell’organicità dell’opera (viene definita “letteratura argentea”). I contenuti sono insoliti,forti tinte espressionistiche,toni cupi e patetici,esasperazione del pathos,tutto ciò esprime l’intimo disagio della realtà sociale. SENECA Vita Lucio Anneo Seneca nacque in Spagna, Cordova, da ricca famiglia equestre, forse nel 4 a. C. Venne presto a Roma, dove fu educato nelle scuole retoriche, e filosofiche. Iniziò l‟attività forense e la carriera politica, così fortunata che Caligola, geloso, lo condannò a morte, ma fu salvato da un‟amante dell‟imperatore. Non si salvò dalla relegazione che, nel 41, gli comminò Claudio, con l‟accusa di coinvolgimento nell‟adulterio di Giulia Livella. Dalla Corsica, tornò nel 49, per intervento di Agrippina, che lo scelse come tutore del figlio di primo letto, il futuro imperatore Nerone. In questo modo accompagnò l‟ascesa al trono del giovane Nerone (54 d. C.) e da allora resse la guida dello stato: è il celebre periodo di buon governo; fino al matricidio compiuto da Nerone (59 d. C.), che costrinse il filosofo a gravi compromessi. Viene coinvolto nella celebre “congiura di Pisone”: condannato a morte da Nerone, si suicidò nello stesso 65 d. C. Opere Della vasta produzione senecana, quelle di carattere filosofico occupano lo spazio maggiore. Alcune di queste raccolte, dopo la morte, in 12 libri di Dialogi: sono trattati, per lo più brevi, su questioni etiche e psicologiche. Altre opere filosofiche tramandateci autonomamente, sono i 7 libri De beneficiis, il De clementia, indirizzato a Nerone e 20 libri comprendenti le 124 Epistulae morales ad Lucilium. Di carattere propriamente scientifico la Naturales Quaestiones, in 7 libri. Abbiamo 9 tragedie cothurnatae, cioè di argomento greco e il Ludus de morte Claudii (o Apokolokyntosis), una satira menippea sulla singolare apoteosi dell‟imperatore Claudio. Fonti Molte notizie da Seneca stesso; importanti i libri XII-XV degli Annales di Tacito; Cassio Dione; Svetonio. 1. I Dialogi e la saggezza stoica Consolatio ad Marciam indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Sordo per consolarla della perdita del figlio. Il genere della consolazione, già coltivato nella tradizione filosofica greca, si costituisce attorno a un repertorio di temi morali (la fugacità del tempo, la precarietà della vita, la morte come destino ineluttabile…) che saranno parte della riflessione filosofica di Seneca. Ad helviam Matrem: tranquillizza la madre sulla condizione del figlio esule. Ad Polybium,liberto di Claudio,per consolarlo della perdita del fratello si rivela un tentativo di ottenere dall’imperatore il ritorno a Roma. Le singole opere dei Dialogi costituiscono trattazioni autonome di aspetti o problemi particolari dell‟etica stoica, il quadro generale in cui l‟intera produzione filosofica senecana si iscrive (uno stoicismo, comunque, che ha stemperato l‟antico rigore dottrinale). un aspetto già fondamentale in quella classica, era sempre stata forte l‟ispirazione repubblicana e l‟esecrazione della tirannide). La scarsità di notizie esterne non ci permette di saper nulla di certo sulle modalità della loro rappresentazione. Ciò che sappiamo sulla destinazione della letteratura tragica in età anteriore a Seneca – e cioè che si continuava sì a rappresentare normalmente in scena le tragedie, ma che ci si poteva anche limitare a leggerle nelle sale di recitazione – ha indotto studiosi a ritenere che quelle di Seneca fossero tragedie destinate soprattutto, ma non solo, alla lettura. Le varie vicende tragiche si configurano come conflitti di forze contrastanti, come opposizione tra mens e furor, fra ragione e passione:la ripresa di temi e motivi rilevanti delle opere filosofiche rende evidente una consonanza di fondo fra i due settori della produzione senecana, e ha alimentato la convinzione che il teatro senecano non sia che una illustrazione, sotto forma di exempla forniti dal mito, della dottrina stoica. L‟analogia non va troppo accentuata, perché nell‟universo tragico, il logos, il principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni e arginare il dilagare del male. Un rilievo particolare ha la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere. L‟atteggiamento che tiene nei confronti dei modelli greci denota, da un lato maggiore autonomia, e al tempo stesso però presuppone un rapporto continuo col modello, sul quale l‟autore opera interventi di contaminazione, di ristrutturazione, di razionalizzazione dell‟impianto drammatico. Il rapporto con gli originale è mediato comunque dal filtro del gusto e della tradizione latina; il linguaggio poetico ha la sua base costitutiva nella poesia augustea – Ovidio – . Le tracce della tragedia latina arcaica si avvertono nel gusto del pathos esasperato, nella tendenza al cumulo espressivo, ecc. Spesso l‟esasperazione della tensione drammatica è ottenuta mediante l‟introduzione di lunghe digressioni (ekphràseis), esorbitanti rispetto alla consuetudine epica e soprattutto tragica. 6. L‟Apokolokyntosis Un‟opera davvero singolare è il Ludus de morte Claudii; ma il nome sotto cui l‟opera è più comunemente nota è quello greco di Apokolokyntosis, che ci fornisce Cassio Dione. Parola che implicherebbe un riferimento a kolkynta, cioè la zucca, forse un emblema della stupidità e, secondo Dione sarebbe una parodia della divinizzazione di Claudio decretato dal senato alla sua morte. Nel testo non c‟è accenno a una zucca e l‟apoteosi di fatto non ha avuto luogo; ma il curioso termine va inteso non come “trasformazione in zucca”, ma piuttosto come “deificazione di una zucca, di uno zuccone”, con riferimento alla fama non proprio lusinghiera di cui Claudio godeva. Altri dubbi sono stati suscitati dal fatto che, a quanto sappiamo da Tacito, lo stesso Seneca aveva scritto la laudatio funebris dell‟imperatore morto. Il componimento narra la morte di Claudio e la sua ascesa all‟Olimpo nella vana pretesa di essere assunto fra gli dei, i quali lo condannano invece a discendere, come tutti i mortali, negli inferi, dove egli finisce schiavo del nipote Caligola e da ultimo in mano al liberto Menandro: una condanna di contrappasso per chi aveva fama di aver vissuto in mano dei suoi potenti liberti. L‟opera rientra nel genere della satira menippea, e alterna perciò prosa e versi di vario tipo in un singolare impasto linguistico. In un passo in senari giambici si può addirittura riconoscere una gustosa autoparodia di Seneca tragico, con allusioni al Hercules furens. I generi poetici nell’età giulio-claudia È probabile che la frammentazione delle opere e dei generi sotto Tiberio, Caligola e Claudio corrisponda ad un declino contestuale (es. Emilio Macro, morto nel 16 a.C., poesia didascalica annalistica; poemetti in esametri su uccelli, serpenti ed erbe. Si ricollega ad Ovidio). Si sviluppano l’astrologia, l’astronomia a partire da Cesare. Gli stoici sottolineano l’importanza dell’uomo col cosmo. Germanico designato successore di Tiberio, compose un poema incompleto in esametri “Aratea”. Fu assassinato probabilmente. Scrive versione dei “Fenomeni” di Arato. Attenta cura formale, pochi riferimenti filosofici. Manilio poema didascalico in esametro in 5 libro “Astronomica”. Il poema è un tentativo di dare dignità poetica alla tematica. Ricerca di una ratio cosmica; Manilio è uno stoico. La volontà didascalica porta Manilio verso la poesia lucreziana: il suo esametro imita Ovidio, inserisce digressioni mitologiche F 0E 0 tendenza alla brevitas , difficoltà dei temi e oscurità. La generazione ovidiana produsse tentativo di modernizzare l’epos, Lucano si riallaccerà ma sarà ostacolato. L’appendix virgiliana Nessuna delle opere comprese nell’Appendix ha probabilità di essere virgiliana. Dirae (maledizione): poesia di invettiva, variazione del tema della confisca dei campi. A queste seguono 80 esametri circa un lamento d’amore pastorale dedicato a Lidia che è infatti l’altro nome dell’opera. Catalepton: contenitore di piccoli testi a soggetti e metri variabili, 15 componimenti (forse 2 autentici). Culex: epillio in esametri, un pastore stava per essere ucciso dal serpente. Concepito come una parodia dell’epica seria. Ciris: Scilla, che tradisce il padre, si trasforma in airone. Influenzata dalla poesia neoterica e dalle Metamorfosi. Fedro È il primo autore a presentarci testi favolistici destinati alla letteratura. Gli fornisce una misura, una regola. Fedro fissa lo schema greco che constava di una premessa e/o postilla (morale), gli animali umanizzati sono maschere dotati di psicologia fissa e ricorrente. Aderisce alla mentalità delle classi umili, ma è assente il realismo descrittivo e linguistico. Non manca di accenni polemici verso la società; pare sia nato intermedia del principato di Augusto. Forse muore intorno al 50. 5 libri di favole in senari giambici, ma ci sarebbe un altro gruppo di favole nell’appendix Perottina. Calpurnio Siculo, scrive 7 ecloghe in cui i pastori sono allegorie di personaggi storici, l’Arcadia traveste la realtà contemporanea. Sulpicia celebre per il crudo realismo erotico delle liriche dedicate al marito. LUCANO Vita Marca Anneo Lucano nasce a Cordova, nel 39 d. C., figlio del fratello di Seneca. Si trasferisce a Roma, dove si forma. Entra nella corte di Nerone, che per un certo periodo lo ha fra i suoi intimi amici. Subentra una brusca rottura con l‟imperatore: gelosia letteraria da parte di Nerone, o forse le idee di nostalgico repubblicanesimo di Lucano. Caduto in disgrazia e allontanato dalla corte, aderisce alla congiura di Pisone. Si toglie la vita nel 65, a meno di 26 anni. Opere Si è conservata l‟opera principale, il poema epico Bellum civile o Pharsalia, in 10 libri (8000 esametri circa), incompiuto per la morte dell‟autore. Fonti Tre biografie antiche, di cui una di Svetonio (nel De poetis); il libro XV degli Annales di Tacito (sulla congiura di Pisone). 1. Una storia versificata? Dai titoli delle opere perdute sembra di poter cogliere una totale adesione ai gusti e alle direttive neroniane: come Silvae e libretti per pantomime. Di tutt‟altro genere risulta essere la Pharsalia: anche se non essa non era fin dall‟inizio in contrasto marcato con le tendenze culturali di Nerone, il modo in cui Lucano ha scelto di trattare il proprio argomento (la guerra civile fra Cesare e Pompeo) si risolve in un‟esaltazione dell‟antica libertà repubblicana, e in un‟esplicita condanna del regime imperiale. Libro I - Dopo l‟esposizione dell‟argomento, e lungo elogio di Nerone, Lucano passa ad esporre le cause della guerra. Narrazione del passaggio del Rubicone da parte di Cesare. Libro II - Lamenti dei Romani che ricordano il precedente conflitto fra Mario e Silla e giungono alla consapevolezza che quello fra Cesare e Pompeo sarà ancora più terribile. Libro III - Appare in sogno a Pompeo l‟ombra di Giulia, figlia di Cesare e sua prima moglie, per minacciargli terribili sciagure. Cesare entra a Roma e si impadronisce del tesoro pubblico. Libro VI -Sesto uno dei figli di Pompeo si reca consultare la maga Erìttone; episodio della negromanzia: la maga richiama in vita un soldato il quale rivela la rovina che incombe sulla famiglia di Pompeo e su Roma. Libro VII- Battaglia di Farsalo, vittoria di Cesare. Eroica morte di Domizio Enobarbo, antenato di Nerone. Pompeo fugge. Libro VIII- Pompeo fugge in Egitto. Ma il re Tolomeo lo fa uccidere al suo arrivo. Libro IX: dopo la morte di Pompeo, Catone assume il comando dell’esercito repubblicano. Libro X: gli alessandrini tentano una sollevazione contro Cesare. Il libro si interrompe. La critica antica ha ripetutamente mosso al poema di Lucano una serie di censure: l‟uso e l‟abuso delle sententiae concettistiche, che avvicinerebbero lo stile della Pharsalia a quello oratorio, la rinuncia agli interventi della divinità , uno ordine di narrazione quasi “cronachistico” o “annalistico” , tipico più delle narrazioni storiche che poetiche. La perdita del materiale storiografico impedisce di accertare in che misura Lucano abbia seguito le proprie fonti. Di certo la fedeltà scrupolosa alla fonte storica viene sacrificata alle “deformazioni” della verità a fini ideologici, soprattutto per quel che riguarda Pompeo, Cesare e rispettivi sostenitori; in dalle fonti; tal caso l‟alterazione riguarda il modo presentare o di colorire alcuni degli avvenimenti tramandati ma altre volte essa si spinge fino la punto di inserire episodi estranei alla realtà dei fatti, come la scena di negromanzia del libro VI. 2. Lucano e Virgilio: la distruzione dei miti augustei Le critiche a Lucano presuppongono un confronto più o meno esplicito con l‟Eneide di Virgilio: a ragione si è potuto parlare di una sorta di “anti-Eneide”, e del suo autore come un “anti-Virgilio”. Nelle mani di Lucano il poema epico stravolge la caratteristiche che gli erano state proprie nella tradizione letteraria romana fin dai tempi di Nevio e di Ennio: da monumento eretto a testimonianza delle glorie dello stato e dei suoi eserciti, si trasforma nella indignata denuncia della guerra fratricida, del sovvertimento di tutti i valori morali, dell‟avvento del regno dell‟ingiustizia. Lucano sembra proporsi una sistematica confutazione del modello mediante una sorta di ribaltamento delle sue affermazioni, una ripresa in chiave polemica (o “antifrastica”, come è definita) di espressioni e situazioni virgiliane. C‟è un tono di risentita indignatio nei confronti del modello: è come se Virgilio, nell‟Eneide, avesse perpetrato un inganno, coprendo con un velo di mistificazioni la fine delle libertà romana e la trasformazione dell‟antica res publica in tirannide. Lucano sembra prefiggersi il compito di smascherare l‟inganno, di scrivere un poema che non giustifichi il potere del principe parola latina satura. (Si noti che il titolo usuale Satyricon non è esatto; si tratta di un genitivo plurale neutro, retto da libri). La parte che abbiamo copre parte dei libri 14 e 16 e la totalità del libro 15; è verosimile che quest‟ultimo coincidesse in gran parte con la “Cena di Trimalcione”. Non sappiamo di quanti libri fosse composto il romanzo. Il testo ebbe un destino capriccioso e complesso; fu mutilato e antologizzato in età tardo-antica. Di questa riduzione una sezione – la Cena Trimalchionis – ricompare soltanto nel XVII secolo, in un codice ritrovato in Dalmazia. Pregiudizi moralistici inibirono a lungo la diffusione di Petronio, soprattutto nelle scuole. Ma lo sviluppo del romanzo europeo fu profondamente influenzato dal Satyricon. Flaubert e Joyce sono debitori di questo esperimento narrativo. 1. Il Satyricon Del Satyricon sono incerti l‟autore, la date di composizione, il titolo e il suo significato, l‟estensione originaria, oltre a questioni quali il genere letterario in cui si inserisce e le motivazioni per cui quest‟opera venne concepita e pubblicata. Nessun autore antico ci dice chi fosse il misterioso Petronius Niger Arbiter, autore secondo la tradizione manoscritta del Satyricon. Tacito non parla dell‟opera, ma ci presenta nel XVI libro degli Annali uno straordinario ritratto di un cortigiano di Nerone, di nome Petronio, e considerato da Nerone il giudice per eccellenza dello chic e della raffinatezza: il suo elgantiae arbiter. L‟identità di questo Petronio con l‟autore del Satyricon è oggi accettata dalla stragrande maggioranza degli interpreti, anche se non poggia su nessuna testimonianza. Tacito delinea un personaggio paradossale: valido uomo di potere; proconsole di Bitinia; ma la qualità che lo rendeva prezioso a Nerone era la raffinatezza, il gusto estetico. Fu spinto al suicidio nel 66: nessuna ostentazione di severità stoica, anzi il suo suicida sembra essere stato concepito come una parodia del teatrale suicidio tipico di certi oppositori politici. Incidendosi le vene, e poi rallentando ad arte il momento della fine, Petronio passò le ultime ore a banchetto, occupandosi di poesia. E‟ chiaro che il ritratto deve molto all‟arte di Tacito; tuttavia, a molti lettori le somiglianze con l‟atmosfera del romanzo sono apparse troppo belle per essere false. Spregiudicatezza, acuto sguardo critico, disillusione, senso della mistificazione, cultura letteraria sono tutte qualità che l‟autore del Satyricon divide con il Petronio letterario. E‟ legittimo interrogarsi su certi aspetti del testo, cercando dei punti di contatto con l‟atmosfera della corte neroniana. Si è pensato che il gusto di Petronio per i bassi fondi abbia una sottile complicità con i gusti dell‟imperatore; gli storici anitneroniani attribuiscono a Nerone un‟intensa vita notturna, condotta in incognito, frequentando bettole e postriboli, mescolandosi a risse. Tutti gli elementi di datazione interni, cioè desunti dal testo stesso, concordano con una datazione non oltre il principato di Nerone. Lo stile del romanzo ha dato più lavoro ai critici: il linguaggio parlato da alcune figure del romanzo – i liberti del convito in casa di Trimalcione- è profondamente diverso dal latino letterario che ci è familiare. Abbiamo qui una preziosa fonte di informazione sulla lingua d‟uso popolare, che si può combinare con attestazioni di tipo sub-letterario, come i graffiti di Pompei, glosse e con quelle tracce di lingua d‟uso che recuperiamo, spesso a fatica, da poeti quali Plauto o Catullo. Ma in sintesi, diremo che i volgarismi sono spie non di uno stato “tardo”, storicamente tardo, della lingua, ma di uno strato “basso”. Il modo in cui si è formato il testo è assai problematico. Siamo di fronte a un frammento di narrazione che deve aver subito qua e là dei tagli, forse anche delle interpolazioni e degli spostamenti di sezioni narrative. La parte più integra è il famoso episodio della Cena di Trimalcione. Di sicuro, questi era 55 preceduto da un lunghissimo antefatto (14 libri ?!) e seguito da una parte di lunghezza per noi imprecisabile. La storia è narrata in prima persona dal protagonista Encolpio, che compare in tutti gli episodi. Encolpio attraversa un successione indiavolata di peripezie. Da principio il protagonista, un giovane di buona cultura, che ha a che fare con un maestro di retorica. Apprendiamo poi che viaggia in compagnia di un avventuriero dal passato burrascoso, Ascilto, e di un bel giovinetto, Gitone; fra questi personaggi corre un triangolo amoroso. Entra in sena una matrona, Quartilla, che coinvolge i tre in un rito in onore del dio Priàpo: si rivela un pretesto per abusare sessualmente dei giovani. Poi i tre vengono scritturati per un banchetto in casa di Trimalcione, un ricchissimo liberto di sconvolgente rozzezza. Descrizione minuziosa della cena, una teatrale esibizione di lusso e kitsch; la scena è dominata dagli amici liberti di Trimalcione e dalla loro rozzezza. Seguono altre avventure di Encolpio. Nessuno dei termini che usiamo per definire la narrativa di invenzione (novella, romanzo,ecc.) ha una tradizione classica, ne reali corrispettivi nel mondo antico. Gli antichi applicavano a queste opere narrative termini molto generici (historia, fabula). Per questa classe di testi non abbiamo trattazioni teoriche; sospettiamo che di narrativa si facesse un grande consumo, ma pochi letterati antichi si occupano del fenomeno. I critici moderni chiamano in genere “romanzi” un gruppo ristretto di opere che cadono in queste due tipologie molto differenti: a) due testi latini, tra l‟altro reciprocamente indipendenti e poco simili fra loro: il Satyricon e le Metamorfosi di Apuleio; b) una serie di testi greci, databili fra il I secolo d.C. e il IV. Al contrario dei romanzi latini, questa serie di opere greche è unita da una notevole omogeneità e permanenza di tratti distintivi. Soprattutto, la trama è quasi invariabile: si tratta di traversie di una coppia di innamorati che vengono separati dalle avversità,e primi di riunirsi e coronare il loro amore, superano mille avventure e pericoli. L‟amore è trattato con pudicizia, come una passione seria e esclusiva: molta suspense della storia sta nei modi avventurosi con cui l‟eroina serba fino in fondo la sua castità. Nel romanzo di Petronio l‟amore è visto in modo diverso. Non c‟è spazio per la castità, e nessun personaggio è un serio e credibili portatore di valori morali; il sesso è trattato esplicitamente ed è visto come una continua fonte di situazioni comiche. Così il rapporto omosessuale tra Encolpio e Gitone sarebbe la parodia dell‟amore “romantico” che lega i fidanzati del romanzo greco. D‟altra parte, la narrativa “seria” non è sicuramente l‟unico genere a cui Petronio poteva riferirsi. A partire dal I secolo a. C. ha grande fortuna una letteratura novellistica, caratterizzata da situazioni comiche, spesso piccanti e amorali. Un filone importante è quello che gli antiche spesso etichettano come fabula Milesia, perché risale a un‟opera greca di notevole popolarità di Aristide. Sappiamo con certezza che Petronio utilizzò ampiamente questo filone di narrativa. I temi tipici di questa novellistica, quasi “boccaccesca”, si oppongono a qualsiasi idealizzazione della realtà: gli uomini sono sciocchi, le donne pronte a cedere. E‟ andata perduta una gran quantità di questa produzione narrativa popolare. Nessun testo narrativo classico, a nostra conoscenza, si avvicina anche lontanamente alla complessità letteraria che caratterizza Petronio. Complessa, innanzitutto la trama del romanzo: le scene che si susseguono libere sono, in realtà, collegate da fitto gioco di richiami. Ancora più complessa è la forma del romanzo. La prosa narrativa è interrotta, con apprezzabile frequenza, da inserti poetici: alcune di questi sono affidati alla voce dei personaggi, sono motivati e hanno come uditorio i personaggi dell‟uditorio. Altre parti poetiche sono strutturate come interventi del narratore, che nel vivo della sua storia abbandona la relazione degli avvenimenti per commentarli. Ma l‟uso libero e ricorrente di inserti poetici allontana il Satyricon dalla tradizione del romanzo, e lo avvicina, dal punto di vista formale, ad altri generi letterari. La libera alternanza di prosa e versi non ha presenza marcata nei testi narrativi che conosciamo. Il punto di riferimento più vicino è una “satira menippea” , l‟Apokolokyntosis di Seneca. La storia: richiamandosi al filosofo cinico Menippeo di Gàdara (II secolo a. C.), Varrone aveva intitolato Satire Menippeae le sue composizioni satiriche. Da quel che rimane, sembra che questo tipo di satira fosse un contenitore aperto, vario per temi e soprattutto per forma. A questa tradizione si richiama l‟opera di Seneca, un testo in prosa che si apre a svariati inserti poetici: sia citazioni di autori classici, che nel contesto narrativo assumono una valenza parodiata e distorta, sia parti poetiche composte in proprio, spesso rielaborazioni di moduli poetici tradizionale. Una caratteristica interessante è il continuo scontro di toni seri e giocosi, di risonanze letterarie e di crude volgarità: il tutto sorvegliato da una raffinata tecnica compositiva, che ricorda piuttosto da vicino Petronio. 56 Rimangono alcune differenze assai nette. La satira senecana è un testo di satira inteso come libello, come attacco personale concepito in una precisa situazione e rivolto contro un bersaglio esplicito, il defunto Claudio. In Petronio, nessun intento del genere è percepibile, e al di là delle singole parodie, non si intravede un disegno polemico unificante. Il Satyricon deve molto alla narrativa per trama e struttura del racconto, e qualcosa alla tradizione menippea, per la tessitura formale (il “prosimetro”); ma trascende, in complessità e ricchezza di effetti, entrambe le tradizioni. Il dato più originale della poetica di Petronio è forse la sua forte carica, realistica evidente a noi soprattutto nella Cena di Trimalcione. Il romanzo ha una sua storia da raccontare, ma nel farlo si sofferma a descrivere luoghi, sono quelli tipici e fondamentali del mondo romano: la scuola di retorica, la pinacoteca, il banchetto, la piazza del mercato, il postribolo, il tempio. L‟autore ha vivo interesse per la mentalità delle varie classi sociali, oltre che per il loro linguaggio quotidiano. La satira ci offre un elemento di contrasto. Il “realismo” della satira si sofferma in genere su tipi sociali ben precisi – il parassita, il ricco stupido, il poetastro – e questi tipi sono costruiti tutti attraverso un filtro morale; il poeta satirico li guarda attraverso il suo ideale. Petronio, invece, non offre ai suoi lettori nessuno strumento di giudizio, visto che la narrazione è condotta in prima persona, da un personaggio che è dentro fino al collo in quel modo sregolato. L‟originalità di Petronio del realismo petroniano sta dunque non tanto nell‟offrirci frammenti di vita quotidiana, ma nell‟offrirci una visione del reale che è critica quanto disincantata. Sottili effetti ironici nascono continuamente dall‟uso di modelli letterari elevati, che non sono solo direttamente imitati nelle parti poetiche, ma forniscono anche una traccia per le parti narrative. Esempio: Encolpio perseguitato de Priàpo, si paragona ad Ulisse perseguitato da Positone. Richiami alla grande epica sono frequenti; soprattutto ricorrenti ci appaiono le allusioni all‟Odissea. La struttura “di viaggio” del romanzo rende abbastanza naturale questo privilegio, ma si è pensato che tutta la storia di Encolpio sia in qualche modo concepita come una parodia dell‟Odissea. Un ipotesi suggestiva quanto pericolosa. La spiegazione più naturale è che la parodia omerica del romanzo di Petronio vada riassorbita nel gioco complessivo delle parodie, variegato tessuto del Satyricon. Se Priàpo aveva un ruolo dominante, è facile capirne i motivi: questo buffo dio del sesso rurale dà la tonalità giusta alla storia, proprio come le nobili divinità dell‟Olimpo contraddistinguono l‟epica, e ne marcano il livello elevato. apparenza di virtù (omosessualità). III descrive l’amico Umbricio che abbandona Roma. IV si narra del consiglio riunito da Domiziano su come cucinare un rombo. V descrive la cena di Virrone e l’umiliante condizione dei clienti. VI contro l’immoralità e i vizi delle donne.,VII la decadenza degli studi e la misera condizione dei letterati. VIII oppone la falsa nobiltà di nascita contro quella vera dell’ingegno. IX in forma di dialogo riferisce un gigolò mal ricompensato per le sue prestazioni. X insensatezza di brame umane. XI cena lussuosa VS cena modesta di un amico. XII attacca i cacciatori di eredità. XIII imbroglioni e frodatori. XIV educazione dei figli. XV cannibalismo in Egitto. XVI i privilegi della vita militare. GIOVENALE Vita Poche e incerte le notizia sulla vita di Giovenale, ricavabili in parte dai rari accenni autobiografici presenti nelle sue satire. Decimo Giunio Giovenale sarebbe nato nel Lazio, ad Aquino, tra il 50 e il 60, da famiglia benestante. All‟attività poetica arrivò in età matura; visse, come l‟amico Marziale, all‟ombra dei potenti, nella disagiata condizione di cliente, privo di autonomia economica. Morì sicuramente dopo il 127. Opere La sua produzione poetica è costituita da 16 satire, in esametri (per 3869 versi), suddivise in 5 libri forse dall‟autore stesso. Tra il 100 e il 127 la loro pubblicazione. La letteratura del tempo, col suo dilettarsi dei trite leggende mitologiche, è ridicolmente lontana, agli occhi di Giovenale, dal clima morale corrotto, dalla profonda abiezione in cui versa la società romana. Di fronte all‟inarrestabile dilagare del vizio sarà l‟indignazione la musa del poeta, e la satira il genere obbligato. Così nella I satira, Giovenale enuncia le ragioni della sua poetica e la centralità che in essa occupa la indignatio. Al contrario di Orazio, non crede che la poesia possa influire sul comportamento degli uomini, giudicati prede irrimediabili della corruzione. Giovenale rifiuta di uniformarsi alla tradizione satirica precedente, razionalistica e riflessiva, ma il suo rifiuto investe le forme stesse del ragionamento e del giudizio morale, gli schemi del pensiero moralistico romano. Questo, com‟è noto, si costituisce grazie a un‟operazione di adattamento alla società romana del grande patrimonio di topoi della diatriba cinico-stoica, e informa nelle maniere più varie la riflessione sui problemi di etica personale e di morale sociale, fornendone gli schemi di impostazione e i tipi di soluzione. Sono appunto le risposte della morale diatribica che Giovenale rifiuta, di quella morale che insegna a restare indifferenti di fronte al mondo delle cose concrete, 58 esteriori, e a coltivare l‟apàtheia e l‟autarkeia del saggio. Rigetta e demistifica col rancore dell‟emarginato, di chi si vede escluso dai benefici che la società elargisce ai corrotti e costretto all‟umiliante condizione del cliente. L‟astio sociale, il risentimento per la mancata integrazione,è una componente importante della satira “indignata” di Giovenale; al suo sguardo deformato di moralista, la società romana appare irrimediabilmente perversa. La sua furia aggressiva non risparmia nessuno, accanendosi soprattutto sulle figure più emblematiche della società e del costume della capitale. Bersaglio privilegiato sono le donne, le donne emancipate e libere, che per il loro disinvolto muoversi nella vita sociale personificano agli occhi del poeta lo scempio stesso del pudore. Questa radicale avversione al suo tempo, e la rabbiosa protesta conto l‟oppressione la miseria in cui versano gli umili e i reietti, hanno fatto parlare di un atteggiamento “democratico” di Giovenale, ma è una prospettiva illusoria: il suo atteggiamento verso il volgo, gli indotti, è di profondo e irrevocabile disprezzo. Un marcato cambiamento di toni si avverte nella seconda parte dell‟opera di Giovenale, negli ultimi due libri, in cui il poeta rinuncia alla violenta ripulsa dell‟indignatio assume un atteggiamento più distaccato, mirante all‟apàtheia degli stoici, riavvicinandosi a quella tradizione diatribica della satira da cui si era distaccato bruscamente. Mentre, nella tradizione precedente, proprio l‟avere come oggetto la realtà quotidiana aveva fatto sì che la satira adottasse un livello stilistico umile, un tono familiare e senza pretese (il sermo), adesso che questa realtà ha assunto caratteri eccezionali, che il vizio l‟ha popolata di mostri, anche la satira dovrà farvi corrispondere caratteri grandiosi. Non più stile dimesso, ma simile a quello dell‟epica e soprattutto della tragedia. Giovenale trasforma quindi profondamente il codice formale del genere satirico, recidendo il legame con la commedia e accostando la satira alla tragedia, sul terreno dei contenuti e dello stile, analogamente “sublime”. Un procedimento usuale è il ricorso alla solenni movenze epico- tragiche proprio in coincidenza con i contenuti più bassi e volgari. Il suo realismo ha naturalmente una forte spinta deformante, che si esplica soprattutto nel tratteggiare figure e quadri di violenta crudezza. STAZIO Vita Publio Papirio Stazio nasce a Napoli fra il 40 e il 50. A Roma ebbe il giovane poeta successi nelle gare poetiche. Protetto da Domiziano; rientrò a Napoli, morì nel 96. Opere Silvae, 5 libri in versi in vario metro, editi a partire dal 92. Due testi epici in esametri. Thèbais, in 12 libri (oltre 10000 versi), pubblicata nel 92; Achillèis, lasciato incompiuto: rimane solo il libro I e l‟inizio del II. 1. Le Silvae Da una trattazione che guardi insieme a tutti i poemi epici di età flavia, esorbitano le Silvae, opera non epica con caratteri legati al gusto contemporaneo. Stazio è un letterato professionale, che vive della sua opera. Il titolo dell‟opera vuole indicare forse una raccolta di “schizzi”, ma queste poesie sono un preziosissimo documento sulla società dell‟epoca. I “committenti” delle varie poesie si rispecchiano in molte di esse, rivelandoci mentalità e atteggiamenti di ceto colto e benestante. I valori che guidano questo sistema sociale: il ripiegamento sulla vita privata e l‟ideologia del “pubblico servizio” nelle strutture dell‟impero. Altrettanto importanti storicamente le poesie cortigiane rivolte a Domiziano, che ci illustrano lo sviluppo del culto imperiale, i cerimoniali, le manifestazioni pubbliche. Gli artifici della poesia si adattano bene a mimare l‟artificiosa architettura delle ville e dei giardini, dove le realtà naturale è amabilmente trasformata in spettacolo. Il poeta si mostra perfettamente inserito in una società gerarchica, entro una rete di autorevoli protettori che ha il suo centro immobile nel simulacro divinizzato del principe. Il poeta delle Silvae si atteggia a cantore orfico integrato nella comunità; la poesia funge ora da ornamentazione, costruisce una ovattatura su cui si sono deposti, come preziosi, gli oggetti, e i gesti del quotidiano. Questa futilità “leggera” è però l‟erede di una poesia grande e vigorosa; ne eredita i modi e giunture espressive, valori ed elaborazione formale. Ma la nuova funzione di questa poesia si può definire estetizzante, nel senso che deve rendere belli e gradevoli oggetti, uomini e gesti, ma solo a patto di 59 distanziarsene: le ekphràseis (cioè le digressioni) di Stazio più che descrizioni sono encomi,più che mostrare qualcosa al lettore vogliono lasciarlo contento e soddisfatto. Per il loro carattere d poesia colta, tradizionale e riflessa, hanno spesso faticato a trovare estimatori. La sua capacità di “improvvisare”, la sua velocità nel comporre è il gesto retorico di una poetica dell‟opera “minore” o “minima”, che raccoglie l‟originaria spinta proveniente dalla tradizione epigrammistica. La tenera poesia “sentimentale” di Stazio, benpensante e conciliativa, aspira a essere il ritratto della buona società imperiale. Ma il gusto e la poetica del sentimento rispondono ad un‟ampia politica di direzione e controllo della pubblica emotività. L‟età neroniana aveva inaugurato la moda di pubbliche gare di poesia: consolidatasi, ora serve piuttosto a un programma di restaurazione civile e morale, all‟esaltazione dei valori e delle forme letterarie tradizionali. Il carattere spettacolare che ispira gli agoni poetici destinati a compiacere le masse eterogenee della metropoli, si accorda bene con la straordinaria fortuna che forme di spettacolo come il mimo presso il pubblico romano. Lo spettacolo del mimo, suscitatore di facili e sensuose emozioni, si incontra con la “teatralizzazione” quotidiana del mito imperiale. 2. La Tebaide Se Lucano aveva cantato “guerre più che civili”, il tema di Stazio sono addirittura fraternae acies. Contro Lucano Stazio sceglie un tema mitologico, dotato di un complesso apparato divino: ma la sostanza del contenuto riporta irresistibilmente verso il Bellum civile. Libro I – Il vecchio Edipo chiama le Furie dell‟oltretomba a perseguitare la Casa di Tebe. I due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, si preparano a spezzare il patto di governo, per cui a turno, di anno in anno, uno regnava e l‟altro lasciava Tebe. Libro II – L‟oltretomba si apre e torna sulla terra Laio, che convince Eteocle a tradire il patto col fratello e a tenere tutto il potere per sé. Libro XI – I due fratelli rivali si danno la morte reciproca in singolar tenzone. Suicidio di Giocasta, cacciata di Edipo da Tebe. Il nuovo re è Creonte. Libro XII – Creonte vieta la sepoltura ai cadaveri nemici. Il re di Atene, Teseo, interviene e ristabilisce giustizia e pietà. Uniti sul rogo funebre, i due fratelli sono ancora in lotta: due fiamme nemiche e divise. Nell‟epilogo Stazio dichiara di avere l‟Eneide come modello, che la Tebaide dovrà seguire a distanza. Il piano dell‟opera è in 12 libri, divisi in due esadi; la seconda è tutta una storia di guerra, come la “metà illiadica” dell‟Eneide; la prima più variata, ha funzione di lunga preparazione, e insieme contiene tratti “odissiaci” (il viaggio), come la prima metà dell‟Eneide. Posto sotto questa costellazione di influssi, l‟opera non manca affatto di unità. Il difetto più tipico della Tebaide è piuttosto l‟ossessiva ricorsività di motivi e atmosfere. Tutta la storia è dominata da una ferrea necessità: la casa di Edipo è schiacciata non tanto da una maledizione di vendette famigliari quanto da una ferrea Necessità universale. La scelta ideologica è chiaramente virgiliana: salvare l‟apparato divino dell‟epica, ma rendendolo più “moderno” con l‟approfondire la funzione del Fato. Ma un tema così negativo porta Stazio molto vicino alla posizione di Lucano. Il risultato è un compromesso che avrà grande influsso sulla storia dell‟epica occidentale. Le divinità epiche tradizionali appaiono come svuotate o appiattite: le forza divine più vitali sono invece personificazioni di idee astratte, con tonalità persino allegoriche. Schiacciate dalle leggi del cosmo e della predestinazione, le figure umane sono a loro volta appiattite. Stazio concede molto poco alle sfumature psicologiche. La grande quantità di eroi comportava una trama complessa, e soprattutto l‟assenza di un protagonista. I pericoli di dispersione sono controllati con energia. Le similitudini, ad esempio, sono pensate in sequenze omogenee, con un effetto a volte ossessivo: le immagini della natura rispecchiano di continuo gli eventi umani. E‟ la concezione stoica della sympàtheia che già Seneca aveva saputo trasformare in tema letterario. L‟assenza di riferimenti diretti all‟attualità non costringe Stazio a eludere gli incubi propri della sua epoca. Una guerra civile vista come scontro fra tiranni specularmene uguali; la degenerazione di una famiglia regnante in dispotismo Campania. E‟ in tale veste – e per cause di servizio - che muore il 24 agosto del 79 d. C. travolto dall‟eruzione del Vesuvio. Opere Tutte le opere sono andate perdute, tranne la Naturalis Historia. Plinio sosteneva di non aver mai letto libro tanto cattivo da non aver qualche utilità; e Plinio leggeva di continuo, schedava, prendeva appunti. Il risultato finale fu un‟opera in 37 libri, destinata ad inventariare la somma delle conoscenze acquisite dall‟uomo. Il piano dell‟opera: I. Indice generale e bibliografia libro per libro; II. Cosmologia; III-IV. Geografia; VII. Antropologia; VIII-IX. Zoologia; XII.XIX. Botanica; XX-XXXII. Medicina; XXXIII-XXXVII. Metallurgia e mineralogia. Il testo è preceduto da una lettera dedicatoria al futuro imperatore Tito. Fonti Diversi passi autobiografici nella sua opera; una biografia nel De viribus illustribus di Svetonio. Il documento più interessante viene da 3 lettere del nipote Plinio (il Giovane). 1. Plinio il Vecchio e l‟enciclopedismo 62 Uno sforzo di sistemazione del sapere è evidente in tutta la cultura romana della prima età imperiale e si esprime soprattutto i opere di tipo manualistico. La destinazione pratica di queste sintesi tende a indebolire la tensione teorica e lo sperimentalismo autonomo; d ‟altra parte non favorisce lo sviluppo di capacità critiche. I tempi sono maturi per lo sviluppo di vere enciclopedie, intese come “inventari” delle conoscenze acquisite. La Roma imperiale conosce una grande espansione dei ceti che noi chiameremmo tecnici e professionali: medici, architetti, agronomi, amministratori; in parte coincidono con la nascente burocrazia imperiale; in parte i governatori della province sono sempre meno condottieri e sempre più dei tecnici. Nello stesso tempo, la curiosità si afferma anche come forma di intrattenimento, di consumo culturale. I testi naturalistici di successo non sono, naturalmente le severe opere di Aristotele; sono i cosiddetti paradossografi (dal greco paràdoxon “stranezza”) gli autori che alimentano un vero e proprio nuovo genere letterario. Si tratta di raccolte in cui confluiscono aneddoti, piccole curiosità scientifiche, notizie antropologiche, ed estratti da opere scientifiche più serie. Il più celebrato autore è Lucinio Muciano. La letteratura paradossografica esprime molto bene il limite della cultura scientifica romana; accoglie genuine curiosità e vivaci interessi pratici, ma non contiene in sé nessun principio sistematico; ancor più importante la mancanza di collegamento fra esperienza pratica e tradizione: l‟arricchimento delle esperienze non porta direttamente a un cambiamento dei modelli acquisiti. La gigantesca opera erudita di Plinio il Vecchio è la realizzazione più compiuta di questa tendenze della cultura romana. Una cultura che aveva già conosciuto grandi e piccole opere di sintesi, come la trattatistica di Varrone, il manuale di architettura di Vitruvio, ecc. Ma nessuno di questi autori concepì un progetto di conservazione integrale dello scibile; né esistevano opere greche in qualche modo paragonabili. L‟enciclopedia di Plinio fu quindi una scommessa originale per dimensione e ambizioni. E‟ una circostanza favorevole, non certo casuale, il fatto che l‟autore fosse vicino a certe posizioni degli Stoici. Sicuramente stoica la concezione dell‟universo come complessa solidarietà, retta da una Preveggenza divina, una macchina cosmica che l‟uomo deve conoscere, era un‟idea atta a guidare un progetto di enciclopedia. Ma la mentalità enciclopedica è per Plinio un accomodante eclettismo; una scelta filosofica troppo precisa finirebbe per ridurre la quantità di materiale da registrare e da classificare. Di fatto, nello stesso libro della cosmologia Plinio affianca con disinvoltura professioni stoicheggianti a curiose divagazioni magico- astrologiche, imparentate a qualche fonte orientale. Evidente nella Nautralis Historia, è un altro aspetto della personalità di Plinio: il suo impegno che potremmo definire “spirito di servizio”. Questo è il vero apporto originale e personale, in un‟immensa congerie di nozioni e teorie altrui, di suo porta senso pratico, e serietà morale, qualità tipiche di un operoso funzionario imperiale. Stilisticamente, Plinio è considerato da molti critici il peggior scrittore latino. Si consideri che, la stessa folle ampiezza del lavoro era incompatibile con un processo di regolare elaborazione stilistica; inoltre, la tradizione enciclopedica romana non comportava un particolare sforzo di bello scrivere. L‟opera era troppo lunga per essere letta difilato e anche, naturalmente, per essere usata nelle scuole. D‟altra parte l‟architettura stessa facilita la consultazione. Bisogna riconoscere che la Naturalis Historia, prima che le nostre enciclopedie moderne generalizzino l‟uso dell‟ordine alfabetico, è uno dei testi antichi meglio organizzati e consultabili. MARZIALE 63 Vita Marco Valerio Marziale, nacque nella Spagna Tarragonese tra il 38 e il 41. Venne a Roma trovando appoggio dalla famiglia spagnola più in vista nella capitale, quella di Seneca, che lo introdusse nella buona società: conobbe Calpurnio Pisone e gli ambienti dell‟opposizione senatoria a Nerone. Dall‟ 84, comincia a pubblicare regolarmente i suoi componimenti: il successo gli arrise, e sotto Domiziano ricoprì cariche onorifiche (ottenne il rango equestre), venendo a contatto con personalità eminenti (il futuro imperatore Nerva, scrittori quali Silio Italico, Quinilliano, Giovenale), ma non ne conseguirono consistenti benefici economici. Nel 98 torna definitivamente in patria dove morirà verso il 104. Opere Di Marziale ci resta una raccolta di Epigrammi distribuiti in 12 libri. Tale corpo centrale è preceduto da un altro libro a sé di 30 epigrammi (Epigrammaton liber),e seguito da altri due libri (noti come XIII e XIV) dal titolo Xenia e Apophoreta: brevissime iscrizioni, ognuna di un solo distico, per accompagnare doni di varia natura in occasione della festa dei Saturnali, e omaggi offerti nei banchetti ai convitati. I metri sono vari, ma prevalente è il distico elegiaco. Varie anche le dimensioni dei componimenti: dall‟epigramma di un solo distico a quelli di 10 versi e più, fino ad alcune decine. Gli epigrammi sono in totale più di 1500. 1. L‟epigramma come poesia realistica Un aspetto importante della cultura letteraria dell‟età dei Flavi, nel clima di restaurazione morale che la caratterizza, è la tendenza al recupero del genere poetico più alto, l‟epica, ma si assiste anche alla diffusione e al cospicuo successo di genere come l‟epigramma che è considerato il più umile di tutti. A Roma l‟epigramma non aveva una grande tradizione, su tutti Catullo. L‟origine dell‟epigramma risale all‟età greca arcaica, dove la sua funzione (come il nome stesso attesta: “iscrizione”) era essenzialmente commemorativo: inciso su pietre tombali, o su offerte votive. In età ellenistica però l‟epigramma, per conservando la sua caratteristica brevità, mostra di essersi emancipato dalla forma epigrafica e dalla destinazione pratica: è un tipo di componimento adatto alla poesia d‟occasione, a fissare l‟impressione di un momento, di un piccolo avvenimento. I temi sono di tipo leggero: erotico, simposiaco, satirico-parodistico, accanto a quelli tradizionali di carattere funebre. Nell‟ambito della poesia latina, l‟epigramma non aveva una grande tradizione, e di essa ci è rimasto poco: con l‟eccezione di Catullo, quasi nulla sappiamo dei poeti che Marziale indicava come suoi auctores. Di fatto è solo con lui che l‟epigramma trova riconoscimento artistico. A Roma, Catullo valorizza la forma breve (già in sé privilegiata dalla poesia callimachea) come la più idonea a esprimere sentimenti, gusti, passioni, nonché a farsi strumento di vivace aggressione polemica. Marziale farà dell‟epigramma il suo genere esclusivo, apprezzandone la duttilità, la facilità ad aderire ai molteplici aspetti del reale: pregi che Marziale polemicamente contrappone ai generi illustri (epica, e tragedia). E‟ proprio il realismo, l‟aderenza alla vita concreta, che Marziale rivendica come tratto qualificante della propria poesia. Nei suoi epigrammi il pubblico poteva trovare la concisa rievocazione di un evento spettacolare, o lo spunto per accompagnare con un bon mot un dono agli amici o ai convitati, oppure la commemorazione di fatti concreti, ecc. Marziale osserva lo spettacolo della realtà e dei vari personaggi che ne occupano la scena con uno sguardo deformante che ne accentua i tratti grotteschi e li riconduce a tipologie ricorrenti: deformazione e grottesco sono il frutto di una tecnica di rappresentazione molto ravvicinata, un effetto ottico che focalizza i singoli personaggi e tratti isolati negando uno sfondo, un contorno. L‟atteggiamento del poeta è però quello di osservatore attento ma per lo più distaccato, che raramente si impegna nel giudizio morale e nella condanna: una satira sociale priva di asprezza, che preferisce il sorriso all‟indignazione risentita. 2. Il meccanismo dell‟arguzia I temi degli epigrammi di Marziale sono vari, e investono l‟intera esperienza umana: accanto a quelli più radicati nella tradizione, altri riguardano più da vicino le vicende personali del poeta o il costume sociale dell‟epoca. In generale l‟epigramma di Marziale sviluppa fortemente l‟aspetto comico-satirico: in ciò prosegue un processo avviato già da un precedente autore di epigrammi, il poeta greco di età neroniana Lucilio, che si inserisce nella tradizione satirica romana, attenta all‟analisi del costume sociale e pronta a tratteggiare i tipi più rappresentativi. Ma da Lucilio Marziale mutua anche alcuni procedimenti formali, ad esempio la tecnica della trovata finale, della battuta che chiude in maniera brillante il breve giro di pensiero. Così l‟epigramma acquista una fisionomia e una forma tipica, diventa un meccanismo comico costruito appunto in funzione del fulmen in clausola, della stoccato finale. Le forme compositive generalmente si riconducono ad una modalità ricorrente che ha indotto i critici a 64 fissare uno schema-tipo: una prima parte, che descrive la situazione, l‟oggetto, il personaggio, suscitando nel lettore una tensione di attesa, e la parte finale che – con effetto sorprendete (aprosdòketon) – scarica quella tensione in un paradosso. Una tale scelta poetica comporta naturalmente un linguaggio e uno stile conformi, aperti alla vivacità dei modi colloquiali e alla ricchezza del lessico quotidiano. Accanto ai termini che designano una realtà umile e ordinaria, Marziale si compiace di introdurre altri drasticamente osceni. Ma un poeta duttile come lui sa alternare forma espressive molto varie: notevole il ricorso in funzione parodistica di moduli solenni della poesia illustre. Una ricchezza di modalità espressive che corrisponde alla molteplicità dei temi e alla varietà del reale di cui l‟epigramma intende farsi interprete. QUINTILIANO Vita Marco Fabio Quintiliano nacque in Spagna intorno al 35: suo padre era maestro di retorica. Fu richiamato a Roma, da Galba, nel 68, ed incominciò la sua attività di maestro di retorica, senza interrompere l‟avvocatura. La sua attività di insegnamento ebbe grande successo (fra i suoi allievi Plinio il Giovane e probabilmente Tacito), tanto che nel 78 Vespasiano gli affidò la prima cattedra statale. Domiziano lo incaricò dell‟educazione dei suoi nipoti, cosa che fece ottenere a Quintiliano gli ornamenta consularia. Morì nel 95. Opere E‟ andato perduto un trattato De causis corruptae eloquentiae. Pure perduti i due libri Artis rethoricae, sorta di dispense che gli allievi di Quinitiliano trassero dalle sue lezioni e che pubblicarono contro la sua volontà. Si è e il senato, si sforza di delineare un modello di comportamento per i principi futuri: fondato sulla concordia fra imperatore e ceto aristocratico, e sulla intesa politica, e integrazione sociale fra quest‟ultimo e il ceto equestre. Non senza qualche ingenuità, Plinio sembra rivendicare una funzione “pedagogica” nei confronti del principe: traspare il tentativo di esercitare una blanda forma di controllo sull‟imperatore. Ma i reali rapporti fra Plinio e Traiano emergono chiaramente dall‟epistolario intercorso fra i due, conservato nel libro X della Epistulae. Plinio si comporta come funzionario scrupoloso e leale, ma anche alquanto indeciso, che informa Traiano di tutti i problemi che sorgono e da lui si attende consigli e direttive. Dalle risposte di Traiano traspare talora un lieve senso di fastidio per continui quesiti che gli sottopone. Famoso l‟atteggiamento di assunto dall‟imperatore a proposito della questione dei Cristiani: in mancanza di una legislazione in materia, dà istruzione a Plinio di non procedere se non in caso di denunzie non anonime. 2. Plinio e la società del suo tempo 66 Nelle Epistulae è probabile che Plinio segua soprattutto un criterio di alternanza di argomenti e motivi, in modo da evitare al lettore la monotonia. Le lettere sono infatti solitamente dedicate ciascuna a un singolo tema, sempre trattato con cura attenta dell‟eleganza: questa è una delle differenze che separa questo epistolario, concepito per la pubblicazione, da quello ciceroniano,modello di riferimento, dove l‟urgenza della comunicazione spingeva spesso l‟autore ad affastellare argomenti più vari. Le lettere di Plinio sono in realtà una seria di brevi saggi di cronaca sulla vita mondana, intellettuale e civile. Elogia personaggi diversi, soprattutto poeti; ma è raro che per qualche personaggio non trovi una frase gentile che ne metta in evidenza le caratteristiche positive. Plinio si rivela un frequentatore assiduo delle sale dove si tenevano recitationes e declamationes, manifestazione che egli stesso contribuiva ad organizzare. E‟ un entusiasta, che non lesina parole di lode a quasi tutti i versificatori ei conferenzieri che ascolta. Plinio no è preoccupato, come il suo maestro Quintiliano o il suo amico Tacito, dalla crisi della cultura; la letteratura di cui si diletta è essenzialmente frivola, destinata all‟intrattenimento e a un consumo frivolo: si tratta, oltre a brani di oratoria declamata, soprattutto di versiculi, di nugae poetiche spesso insipide. Si capisce come l‟estrema mondanità di Plinio e il suo essere contemporaneamente un uomo ricchissimo, un importante personaggio politico, e uno stimato letterato, lo ponessero in una posizione privilegiata come osservatore della sua epoca. Nel suo epistolario compaiono le massime figure del tempo, da Traiano a Tacito, a Svetonio. Un quadro di insieme della letteratura nell‟età dei Flavi e di Traiano, e il nome di un gran numero di autori ci è conservato solo attraverso l‟epistolario di Plinio. I toni sempre smorzati e accomodanti, il signorile senso della misura a scapito di una vigorosa caratterizzazione della propria personalità – insomma, quanto rende Plinio un autore “minore” agli occhi dei lettori moderni” contribuirono invece al successo e lo resero un modello già presso gli antichi. TACITO Vita Publio Cornelio Tacito nacque nel 55 probabilmente nella Gallia Narbonese, forse da una famiglia equestre. Studiò a Roma; iniziò la carriera politica sotto Vespasiano . Dopo essere stato pretore nell‟88, Tacito fu per qualche anno lontano da Roma, in Gallia o in Germania, per un incarico. Nel 97 fu consul suffectus; proconsole in Asia nel 113. Morì probabilmente intorno al 117. Opere De vita Iulii Agricolae, pubblicata nel 98; De origine et situ Germanorum (comunemente noto come Germania); Dialogus de oratoribus, successivo al 100; Historiae, in 12 o 14 libri, composte entro il 110; Annales (o Ab excessu divi Augusti), in 16 o 18 libri, forse rimasti incompleti per la morte dell‟autore. Delle Historiae ci sono pervenuti solo i libri I-IV, parte del V e alcuni frammenti; degli Annales i libri I-IV, una esigua parte del V, il VI, parte del XI, i libri XII-XV e parte del XVI. 1. Le cause della decadenza dell‟oratoria L‟autenticità del Dialogus è stata contestata fin dal XVI secolo, soprattutto per ragioni di stile; e perplessità rimangono anche fra i moderni. Il periodare del Dialogus ricorda molto da vicino il modello neociceroniano, cui si ispirava l‟insegnamento della scuola di Quintiliano. Ma è probabile che l‟insolita “classicità” dello stile sia da spiegarsi con l‟appartenenza dell‟opera al genere retorico, per il quale Cicerone costitutiva ormai un modello canonico. Il Dialogus de oratoribus si riallaccia alla tradizione dei dialoghi ciceroniani su argomenti filosofici e retorici. Il dialogo si conclude con un discorso di Materno, evidentemente portavoce di Tacito, il quale sostiene che una grande oratoria era possibile solo con la libertà, o piuttosto con l‟anarchia, che regnava al tempo della repubblica, nel fervore dei tumulti e dei conflitti civili; diviene anacronistica, e sostanzialmente non più praticabile, in una società tranquilla e ordinata come quella conseguente alla instaurazione dell‟impero. Il Dialogus ambientato nel 75/77 in casa di Curiazio Materno, fra quest’ultimo,Marco Apro,Messala e Giulio II. Si contrappongono i discorsi di Apro e Materno in difesa di eloquenza e poesia, con l’arrivo di Messala si tratta il tema della decadenza dell’oratoria e indica le cause del deterioramento dell’orazione. Con l’arrivo di Materno si esprime l’idea che una grande oratoria fosse possibile solo in presenza di libertà. L‟opinione attribuita a Materno rappresenta una costante del pensiero di Tacito: alla base di tutta la sua opera sta infatti l‟accettazione della indiscutibile necessità dell‟Impero come unica forza in grado di salvare lo stato dal caos delle guerre civili. Il principato restringe lo spazio per l‟oratore e l‟uomo politico, ma al principato non esistono alternative. 2. Agricola e la sterilità dell‟opposizione 67 Agli inizi del regno di Traiano, Tacito pubblica il suo primo opuscolo storico, che tramanda ai posteri la memoria del suo suocero Giulio Agricola, artefice della conquista della Britannia. Per il tono qua e là encomiastico l‟opera si richiama in parte allo stile delle laudationes funebri; si incentra principalmente sulla conquista dell‟isola, lasciando un certo spazio a digressioni geografiche ed etnografiche, derivanti da appunti di Agricola, e in parte da notizie contenute nei Commentarii di Cesare. Nell‟elogiare il carattere del suocero, Tacito mette in rilevo come egli, governatore della Britannia e generale di un esercito in guerra, avesse saputo servire lo stato con fedeltà, onestà e competenza anche sotto un principe pessimo come Domiziano. Ma alla fine cade in disgrazia presso lo stesso imperatore. Attraversando incorrotto la corruzione altrui, Agricola sa morire senza andare in cerca della gloria di martirio ostentato, al ambitio mors (come il suicidio degli stoici) che Tacito condanna in quanto di nessuna utilità alla res publica. L‟esempio di Agricola indica come anche sotto la tirannide sia possibile percorrere una “via mediana”. 3. Virtù dei barbari e corruzione dei Romani Gli interessi etnografici sono al centro della Germania. Quest‟ultima costituisce per noi praticamente l‟unica testimonianza di una lettura specificatamente etnografica che a Roma doveva godere di una certa fortuna: si può risalire fino al De bello gallico di Cesare. E‟ stato sottolineato come le notizie contenute nella Germania non derivino da osservazione diretta, ma quasi esclusivamente da fonti scritte: la maggior parte della documentazione è tratta dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio. Gli intenti: probabilmente un‟esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di una civiltà decadente, in filigrana, la Germania sembra percorsa da una vena di implicita contrapposizione dei barbari, ricchi di energie ancora sane e fresche, ai Romani. La debolezza e la frivolezza della società romana dovevano allarmare lo storico senatore: i Germani, forti, liberi e numerosi potevano rappresentare una seria minaccia per un sistema politico basato sul servilismo e la corruzione. Non stupisce, tuttavia, che Tacito si addentri anche in una lunga enumerazione dei difetti di un popolo che gli appare essenzialmente barbarico, l‟indolenza, la passione per il giuoco, la tendenza all‟ubriachezza e alle risse, l‟innata crudeltà. 4. I parallelismi della storia La parte che ci è rimasta delle Historiae contiene la narrazione degli eventi degli anni 69-70. Dal regno di Galba fino alla rivolta giudaica, l‟opera nel suo insieme doveva estendersi fino al 96, l‟anno della morte di Domiziano; nel proemio, Tacito afferma di riservare invece per la vecchiaia la trattazione dei principati di Nerva e Traiano. Le Historiae affrontavano perciò un periodo cupo, sconvolto da varie guerre civili, e concluso da una lunga tirannide. L‟anno col quale si apre la narrazione, il 69, aveva visto succedersi 4 imperatori (Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano); era anche stato divulgato un “arcano” dell‟impero: l‟imperatore poteva essere eletto altrove che a Roma, poiché la sua forza si basava principalmente sull‟appoggio delle legioni di stanza in paesi anche lontani. E‟ stato notato un certo parallelismo fra l‟ascesa al potere di Traiano e gli avvenimenti del 69: il predecessore di Traiano, Nerva, si era trovato come Galba ad affrontare una rivolta dei pretoriani che faceva traballare le basi del suo potere; come Galba, aveva designato per adozione un successore. L‟analogia si ferma a questo punto: Galba si era scelto come successore Pisone, un mobile di antico stampo, poco adatto, per il suo rigore “arcaizzante”, a conciliarsi la benevolenza delle truppe. Nerva, invece, aveva consolidato il proprio potere associandosi al governo Traiano, un capo militare autorevole. Probabilmente Tacito aveva preso parte al consiglio imperiale nel quale venne decisa l‟adozione di Traiano: in esso saranno riemerse, da parte di membri tradizionalisti dell‟aristocrazia senatoria, posizioni di anacronismo non dissimile da quello di Galba. Tacito ha voluto mostrare in Galba il divorzio ormai consumato fra il modello di comportamento rigorosamente ispirato al mos maiorum e la reale capacità di dominare e controllare gli avvenimenti. Tacito è convito che solo il principato è in grado di garantire la pace, la fedeltà agli eserciti e la coesione dell‟Impero; naturalmente il principe non dovrà essere uno scellerato tiranno come Domiziano, né un inetto come Galba. Addita come unica soluzione praticabile nel principato “moderato” degli imperatori d‟adozione. Lo stile narrativo delle Historiae ha un ritmo vario e veloce, ciò ha implicato, da parte di Tacito, un lavoro di condensazione rispetto ai dati forniti dalle fonti: a volte qualcosa è omesso, ma più spesso sa conferire alla propria narrazione efficacia drammatica suddividendo il racconto in singole scene. Tacito è un maestro nella descrizione delle masse, spesso incalzante e spaventosa: dalla descrizione traspare in genere il timore misto a disprezzo per le turbolenze dei soldati e della feccia della 68 capitale. Ma un disprezzo quasi analogo lo storico aristocratico lo ostenta anche per i suoi pari, i componenti del senato: l‟adulazione manifesta verso il principe che cela l‟odio segretamente covato nei suoi confronti. Le Historiae raccontano per la maggior parte fatti di violenza, di prevaricazione e di ingiustizia: di conseguenza la natura umana è dipinta in toni costantemente cupi. Ciò non toglie che Tacito non sappia
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