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Viaggi di Donne: Storia e Significato del Viaggio Femminile in Arte e Letteratura, Prove d'esame di Antropologia Culturale

Il ruolo delle donne in viaggio attraverso la storia, con un focus sulla loro rappresentazione nell'arte e nella letteratura. Dalle monache del medioevo a viaggiatrici come lady mary wortley montagu e david-néel, le donne hanno lasciato tracce di loro viaggi nei diari e nei racconti. Come il viaggio femminile ha cambiato significativamente nel corso del tempo, da un segno di immoralità a un simbolo di trasformazione e liberazione. Oltre a esplorare le motivazioni dietro i viaggi delle donne, questo documento discute anche del turismo culturale e il suo ruolo nella condivisione e preservazione delle culture locali.

Tipologia: Prove d'esame

2018/2019

Caricato il 29/12/2019

giulia-ramundo
giulia-ramundo 🇮🇹

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Scarica Viaggi di Donne: Storia e Significato del Viaggio Femminile in Arte e Letteratura e più Prove d'esame in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! ANDARE VERSO ORIENTE, Sandra Degli Esposti Elisi PARTE PRIMAIL VIAGGIO E LA SCRITTURA Donne in cammino Siamo stati abituati nel passato, a non vedere immagini di donne in viaggio nemmeno nell’arte e in particolare nella pittura. Lo storico Oursel aveva messo in luce la loro scarsa individuazione nelle tele che ritraggono le processioni, uno dei pochi motivi per cui le donne nel passato uscivano di casa. Fino al ‘900 le donne non hanno molta autonomia nei viaggi. Le donne che viaggiano, che si avventurano in territori sconosciuti alla ricerca delle emozioni suscitate dalla fede, da un desiderio personale, da un paesaggio inconsueto, da un’opera d’arte e che si espongono in pubblico sole sono identificate con l’immoralità, credute di facili costumi. Alcune donne importanti (regine, principesse, pittrici, scultrici) hanno lasciato tracce dei propri viaggi negli scritti di storiografi e letterati, mentre i racconti delle donne comuni sono stati mischiati alla collettività. Medioevo: Egeria, nobildonna, monaca, pellegrina La vita quotidiana delle donne, fino al Medioevo ed oltre, è stato segnato dall’appartenenza ad un luogo come la casa della famiglia di origine oppure la cella del convento, i chiostri e i giardini chiusi ad ogni sguardo indiscreto per coloro che erano destinate ad una vita di preghiera. Egeria era una monaca, destinata ad una vita di silenzi e di meditazione in spazi delimitati, che spinta dall’ardore della fede ha trovato il coraggio di abbandonare i chiostri, che fino ad allora l’avevano protetta, per scoprire i luoghi della presenza divina dalla Galizia, dove si trovava il suo convento, fino ai confini col vicino Oriente. Ha così percorso le città dell’Egitto, ha seguito il tragitto del Nilo, ha attraversato il Sinai e la Terra Promessa, i luoghi biblici e non. Egeria era una donna forte, pronta ad affrontare disagi e fatiche in nome della fede. Egeria è la più citata tra le altre monache viaggiatrici per le numerose lettere scritte alla consorelle del convento e alla famiglia che, a posteriori, ha permesso di costruire il suo diario di viaggio. Altre viaggiatrici erano donne di alto rango, di famiglie aristocratiche. Settecento: Lady Mary Montagu Dal ‘700 i mutamenti che la società industriale ha apportato al vivere quotidiano, hanno modificato anche il modo di viaggiare, sia maschile che femminile. Nel ‘700 gli uomini viaggiavano molto, mentre non ci sono stati aggiornamenti sui viaggi delle donne. Raramente le donne viaggiavano con scopi culturali, ma erano frequenti i viaggi al seguito, soprattutto quelli di mogli che accompagnavano i mariti diplomatici. Infatti la maggior parte delle donne che iniziavano un viaggio, si trovavano all’interno di un gruppo famigliare e di comportamenti prestabiliti: facevano esperienze fondamentali, ma di questo dovevano essere grate al marito. Lady Mary Montagu, che ne ‘700 accompagnò il marito ambasciatore inglese alla corte Turca, è un esempio di mobilità femminile, legata agli schemi sopra citati. Essi partirono nel 1716 a bordo di una nave diretta in Olanda, prima tappa del lungo viaggio verso Costantinopoli, costellato di luoghi, incontri, attività ufficiali e divertimenti di corte. Nelle lettere alla sorella, alle amiche e ai letterati scriveva tutto ciò che vedeva e che viveva. Novecento lettere raccontano la sua biografia: prima i lussuosi interni londinesi dell’Inghilterra aristocratica, poi i paesaggi inesplorati dell’Oriente come l’harem e l’hamman. Descrisse anche altri scenari come quelli di Tunisi, di Genova, di Venezia, della pianura bresciana. Inoltre la vita di Mary Montagu è segnata da una lunga permanenza in Italia: 23 anni. Le lettere e gli scritti rappresentavano, per quei tempi, il grande esordio della scrittura di viaggio femminile. Grazie a Mary Montagu l’immaginario sull’Oriente è radicalmente mutato, infatti le sue descrizioni aumentarono in tutta Europa il fascino verso l’Oriente. Lady Mary Montagu è consapevole di essere una viaggiatrice privilegiata: la sua appartenenza alla nobiltà e il fatto di essere donna le consentono di entrare negli spazi riservati alle donne, e che nessun viaggiatore aveva mai potuto vedere. Ottocento: Amelia Edwards Dall’800 spesso il viaggio era pensato come scappatoia, riscatto dalla monotonia, fuga dalle frustrazioni della non-realizzazione in ruoli rigidi e stereotipati. Viaggiare diventava così il mezzo con cui acquisire libertà. Inoltre diventava ricerca, attraverso l’acquisizione consapevole della propria identità. Amelia Edwards, donna inglese benestante, soggiornò sui laghi svizzeri con un gruppo di conoscenti. Insieme ad un’amica del gruppo decise di attuare una deviazione dal percorso del Gran Tour e di affrontare un itinerario sconsigliato in quanto ritenuto molto difficoltoso, tra le Dolomiti. Verso la fine dell’800 i viaggi delle donne cambiarono, in quanto i loro spostamenti, più di quelli degli uomini, avvertirono lo stacco che segnò l’inizio della società industriale. Ovviamente si trattava ancora di un gruppo ristretto e limitato a donne istruite e benestanti. Novecento Donne come David-Néel, Maillart e Stark sono state viaggiatrici e scrittrici, molto conosciute fin dai primi anni del ‘900, che hanno saputo rendersi indipendenti e hanno fatto del viaggio un’arte e una filosofia di vita che le ha accompagnate lungo tutta la loro esistenza, nei luoghi più lontani, più sconosciuti e impervi. Esse hanno saputo entrare nelle culture locali spogliandosi di tutto il loro bagaglio culturale e della loro formazione occidentale, attraversata da ogni contaminazione e legata all’idea di progresso propria dell’Occidente. Le viaggiatrici non hanno paura di attraversare luoghi selvaggi; non sottovalutano i pericoli che potrebbero affrontare, infatti a questo si preparano fisicamente e psicologicamente. Grazie alla scrittura esse sono in grado di potersi mantenere: scrivono libri di viaggio, diari, romanzi e articoli per giornali. Alexandra David-Néel, viaggiatrice del Novecento David-Néel proveniva da una famiglia aristocratica, ricevette un’educazione cosmopolita e si interessò alle civiltà orientali, studiando il sanscrito e le filosofie orientali e un’eredità le permise di viaggiare. David-Néel si avvicinò al buddismo e desiderava ricevere insegnamenti religiosi direttamente dal Dalai Lama. Per questo era disposta ad attraversare luoghi non segnati sulle mappe e nascondeva una bussola nelle tasche del vestito. Lungo il suo tragitto fu spesso ostacolata dalle autorità tibetane, cinesi e inglesi. Nel 1911 lasciò Tunisi per Marsiglia, dove si imbarcò per Colombo. Attraversò numerosi territori per raggiugere le sue mete. Il suo era un viaggio esistenziale, alla ricerca di luce e verità attraverso territori non facili: Ceylon, Sikkim, Nepal, Tibet, Birmania, Singapore, Indocina, Cina, Giappone, Corea. Arrivò a Le Havre 14 anni dopo essere partita. Dopo un soggiorno a Parigi, ripartì nel tentativo di ritornare in Tibet, ma le fu precluso per via della Seconda Guerra Mondiale. Ma viaggiare non voleva dire necessariamente essere liberi: lo dimostrano i viaggi forzati degli schiavi o quelli dettati da necessità economiche, politiche o dall’obbligo di spostarsi al seguito. Tra questi le donne furono numerose, come le schiave o le galeotte. Dal viaggio reale al viaggio virtuale Giunti al tempo presente, il senso di questo percorso femminile si sfuma. La globalizzazione che sembra travolgere le particolarità locali, indebolire le identità, impoverire le culture, ci mette di fronte a due opposti: la possibilità di andare dovunque e il senso del limite, che emerge dalla consapevolezza che non sembrano esservi più altri luoghi da raggiungere. Navigare in rete offre la più ampia possibilità di muoversi spettacoli che si tenevano a palazzo prima della guerra non vi è documentazione scritta né audiovisiva che ne consentisse il recupero e ne rimaneva solo la memoria di pochi. La convinzione secondo cui l’arte tradizionale debba essere esclusa dal commercio mondiale non può più reggere, perché significherebbe chiudere la tradizione al di fuori dei processi culturali reali. Così le tradizioni risulterebbero cristallizzate in un ipotetico passato. La loro prima funzione non è quella di perpetuare costumi del passato, ma di regolare le transizioni tra i membri di una stessa società, non senza rinnovamenti. Le tradizioni dunque, per mantenere la loro vitalità, devono essere in grado di proiettarsi nel futuro, anche aprendosi al confronto con altre culture, con le tradizioni di altri popoli. In viaggio verso la Cambogia odierna La Cambogia è stata per troppo tempo isolata dal resto del mondo e l’immagine che ne abbiamo in Occidente è legata alla memoria dei massacri dei Khmer rossi o dalla grave carestia degli anni ’70. La Cambogia è stata la culla di una delle civiltà più ricche del sudest asiatico. La civiltà di Angkor, caduta cinque secoli fa, è ancora ben presente nell’immaginario collettivo del popolo khmer. Il sito di Angkor, con i suoi templi, è una fonte di ispirazione e di orgoglio per tutti i khmer. L’immagine di Angkor Wat in Cambogia è un simbolo per il presente, mentre per il turista è il simbolo di una civiltà perduta. In realtà questa idea di purezza incontaminata della civiltà è solo uno stereotipo, spesso sfruttato dal turismo. Angkor Wat: l’antica capitale tra parole e immagini Alla fine del 1200 un funzionario cinese raggiunse l’antica capitale della Cambogia navigando lungo il Mekong. Egli è stato il primo ad aver descritto attentamente le fortificazioni, le porte d’accesso, i templi, la vita quotidiana della città e della sua gente. Nel corso degli ultimi secoli missionari, commercianti e viaggiatori hanno riscoperto il fascino di questi luoghi. Dal 1907 Angkor diventa un terreno di conquista per i turisti: nei primi mesi di quell’anno una folla di persone attraversò i recinti e salì le gradinate dei monumenti principali. I percorsi che affrontavano i turisti del primo ‘900 sono gli stessi di oggi. Le apsara (ninfe celesti) scolpite ovunque sulle pareti e sulle colonne dell’intero complesso archeologico, sono ancora uno dei simboli più diffusi della Cambogia e hanno un ruolo protettivo e propiziatorio per la popolazione khmer. Nelle danzatrici divine che popolano i bassorilievi in tutto il paese si ritrova la raffigurazione di quella danza che ha ammaliato gli spettatori di tutta Europa. Nell’attuale panorama artistico e culturale cambogiano si manifesta una complessità di fenomeni, che vedono convivere conservazione e trasformazione, tradizione ed apertura all’esterno. ANDARE IN INDIA In viaggio verso l’India Da anni l’india è una delle destinazioni orientali predilette. Negli anni ’70 e ’80 l’India era meta irrinunciabile per gli appassionati di musica tradizionale indiana e musicisti di sitar o per gli amanti di danza e teatro. L’India è una federazione di stati differenti geograficamente tra loro. La lingua ufficiale è l’hindi, ma si parla l’inglese come lingua ponte e ci sono altre 21 lingue. Il 65% della popolazione è alfabetizzato. In India il rumore regna sovrano. La vita quotidiana è un alternarsi di odori e i colori sono ovunque, soprattutto nei sari che vestono le donne. Scrittrici indiane Negli ultimi vent’anni sono parecchi i libri scritti da autrici indiane. Ci inoltriamo in modi di vita completamente diversi dai nostri. Il mondo femminile è fatto di povertà, dolori e tentativi di sopravvivenza oppure, al contrario, di sete luminose, di gioielli raffinati. Sono narratrici che danno voce al dolore e alle lotte per le donne indiane, indipendentemente dalla religione che professano e contro l’assoggettamento ai voleri del padre prima e del mariti poi. Scrivono contro le violenze che le donne subiscono in famiglia. Scrivono tutte in inglese. Il mio viaggio Un ashram è un centro per la comunità, un luogo in cui vivere. Al suo interno ci si raccoglie in preghiera, si lavora e si combattono le battaglie del quotidiano: la lotta contro l’alcolismo, contro le caste, contro lo sfruttamento delle donne. Il fuoco sacro va mantenuto sempre acceso, perché la cenere cosparsa sul capo dà pace e sicurezza, protegge dagli spiriti maligni. Lo Sthan è un luogo in cui la donna regna sovrana. La maggior parte dei riti nello sthan sono compiuti da donne e agli uomini sono assegnati ruoli secondari. Pellegrinaggio Mahaprastan, ovvero la grande partenza, è il grande viaggio che Cederna, assieme a due amici, ha preparato per affrontare le Hills Himalayane, nel nord-ovest dell’India: le montagne sacre, le confluenze delle diverse sorgenti del fiume sacro, il Gange. Gli hindu considerano il Gange un fiume sacro e credono che basti bagnarsi nelle sue acque per aver cancellati tutti i peccati. Pensano che morendo sulle sue sponde si venga ammessi in uno stato di felicità che durerà fino ad una nuova trasmigrazione dell’anima. C’è anche l’uso di gettare nel fiume i cadaveri dei defunti. La gente poi vi fa il bagno e ne beve le acque. Varanasi (l’antica Benares, città sacra) è il luogo privilegiato a cui ogni indiano di religione hinduista aspira. Benares è un luogo privilegiato in cui morire, perché Brama ti sussurra all’orecchio, perché morire qui vuol dire terminare il ciclo delle reincarnazioni, vuol dire morire definitivamente. ANDARE IN GIAPPONE Otsuka nel suo romanzo racconta la vita delle donne che all’inizio del ‘900 hanno lasciato il Giappone per emigrare in America e sperare in un futuro migliore. Giovani donne che lasciano la famiglia, si trovano nei locali di un piroscafo diretto a San Francisco, faticano a comprendersi tra loro perché parlano dialetti diversi, sono dirette verso un paese sconosciuto, con una lingua che non capiscono e un marito visto solo in fotografia. Quando arrivano, spesso i mariti non corrispondono fisicamente a quelli nelle fotografie inviate, non esistono le belle case descritte e le posizioni lavorative sono tutt’altro. Di giorno sono costrette al lavoro nei campi e di notte sognano il ritorno a casa. Nel frattempo crescono anche i loro bambini, cittadini americani, anche se di origine giapponese, che poco alla volta, si allontanano dai cibi e dalle usanze della propria famiglia. Poi, dopo Pearl Harbour, diventano cittadini descritti come traditori, spie, attentatori e lentamente vengono allontanati, deportati e rinchiusi in campi profughi.
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