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riassunto libro arte, una storia naturale e civile, dal 400 alla controriforma, volume 3, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

riassunto completo, capitolo per capitolo

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Scarica riassunto libro arte, una storia naturale e civile, dal 400 alla controriforma, volume 3 e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! 1 Firenze e il primo rinascimento Lineamenti storici: la repubblica di Firenze era fondata sul lavoro e per essere ammessi agli uffici pubblici si doveva essere iscritti a un’arte: una delle corporazioni riunivano i membri di una categoria professionale per difendere gli interessi: 21 corporazioni= 7 Maggiori che raccoglievano professionisti di minore fatica fisica e 14 minori per i mestieri più artigianali. Nella prima metà del 400 Firenze si vide coinvolta in una serie di campagne militari come nel 1406 la repubblica conquistò Pisa, oppure le “guerre di Lombardia” tra Milano e Venezia, o nel 1440 la battaglia di Anghiari. Nel 1434 arrivò a Firenze Cosimo De Medici, il quale si fece signore della città e avviò il predominio politico della sua famiglia. Capitolo 4: tra il duomo e Orsanmichele: Ghiberti, Brunelleschi, Donatello. Nei primi decenni del 400 Firenze aveva conosciuto una straordinaria stagione artistica, dove si elaborava un linguaggio che trovava ispirazione nella letteratura e nell’arte antica, scoprendo nella prospettiva lo strumento per riprodurre scientificamente la tridimensionalità dello spazio reale sulla superficie bidimensionale di un dipinto, di un rilievo o affresco. Filippo Brunelleschi (1377-1446), Donatello (1386-1466) e Masaccio (1401-1428) furono i promotori di questo rinnovamento artistico e culturale a cui si dà il nome di “Rinascimento”. Il concorso del 1401: per la realizzazione di una grande porta bronzea per il Battistero fiorentino di San Giovanni, indetta dall’Arte di Calimala. La chiesa aveva tre ingressi, uno dei quali era già chiuso da due battenti bronzei compiuti nel 1336 da Andra Pisano e a tale modello doveva attenersi la nuova porta. Per il concorso ogni maestro doveva eseguire una formella ministilinea, ossia con una cornice gotica con una storia tratta dall’antico testamento, ossia il Sacrificio di Isacco: per dimostrare a Dio la propria fede Abramo sta per sacrificare il figlio Isacco, ma viene fermato da un angelo. Tra i partecipanti vi furono Brunelleschi, Ghiberti, Jacopo della Quercia. Ghiberti vinse, poiché ha saputo meglio rappresentare la storia: aveva ottima dimestichezza nella lavorazione del bronzo e le soluzioni sono maggiormente equilibrate all’interno della formella, ambientate su un paesaggio roccioso, dove la composizione è centrata sulla figura di Abramo in posa arcuata, che viene bloccato dall’arrivo dell’angelo mentre sta per sacrificare Isacco, rappresentato nudo e ricorda l’anatomia di un torso antico; un altro elemento che rimanda all’antico è il piccolo altare. I caratteri della formella di Brunelleschi sono simili: nella scena non vi è alcun segno del rigore spaziale prospettico e tutto è giocato nella finezza delle figure, dal paludato Abramo colto di profilo dall’angelo al personaggio in basso accovacciato nell’atto di togliersi la spina dal piede, omaggiando la celebre scultura antica “lo Spinario”. Anche Brunelleschi aveva esperienza di orafo, aveva appena finito di lavorare ad alcune figure dell’altare argenteo di San Jacopo nella Cattedrale di Pistoia dove spiccano un paio di profeti con lo stesso tipo di barba e calligrafica dell’Abramo della formella. La prima porta di Ghiberti per il battistero: la porta nord fu commissionata nel 1403 e terminata nel 1424 ed è formata da 28 formelle con cornici mistilinee, dove sono narrate 20 storie evangeliche, ed effigiati gli evangelisti e i dottori della chiesa, prendendo a modello la porta di Andrea Pisano che invece illustra 20 storie di san Giovanni battista e 8 virtù; ora è esposta nel museo dell’opera del duomo di Firenze a fianco alla successiva Porta Del Paradiso di Ghiberti. Adotta uno stile ben diverso: la suprema eleganza di ogni dettaglio corrisponde ai gusti del Gotico internazionale. Nell’Annunciazione l’angelo è una sottile figura di profilo che fa ritrarre la Vergine in posa inarcata, innaturale, l’architettura è un esile archetto che la inquadra simbolicamente, in alto a sinistra l’Eterno lancia la colomba come una palla  apparizione del divino come regia della scena sacra sottostante. Lorenzo Monaco realizza un’altra Annunciazione affiancata da santi dove l’oro, le cromie e le figure incantevoli attestano le caratteristiche del Gotico internazionale in cui ancora si muove Ghiberti. Donatello e Brunelleschi due crocifissi: tra i maestri che svolsero l’apprendistato nell’officina ghibertiana vi era Donato di Niccolò di Betto Bardo detto Donatello (1386-1466). Tra le sue prime opere vi è il Crocifisso della basilica francescana di Santa Croce a Firenze (1406-1408) dove le pieghe taglienti e sinuose del perizoma somigliano a quelle rappresentate nella Crocifissione della porta nord del Battistero. Realizzazione di un uomo morto, dato dalla posizione della testa appesantita, il volto martoriato, resa realistica e quasi brutale dove Donatello esprime una forte espressività, una sensazione di realtà, di vissuto, attraverso inserimento del pathos. Brunelleschi (1377-1446) realizza tra il 1420 e 1430 il Crocifisso dei domenicani di Santa Maria Novella, e per la serena composizione, la costruzione del corpo dato dalla conoscenza delle prospettive e proporzioni 2 (studio sui cadaveri), realizza un corpo perfetto e fa apparire l’opera del Rinascimento maturo. Questa svolta fu dovuta a un viaggio a Roma nel 1410, accompagnato da Donatello dove l’antichità aveva cominciato a parlare agli artisti con una forza e immediatezza sconosciute fino a quel momento e iniziarono a studiare le sculture e i monumenti degli antichi stava iniziando il Rinascimento. Gli evangelisti della facciata del Duomo: nel 1408 l’opera di Santa Maria del Fiore ordinò tre sculture di Evangelisti seduti per la facciata del duomo, affidando il San Giovanni a Donatello, il San Luca a Nanni di Banco (1380-1421) e il San Marco a Niccolò Lamberti, creando una competizione dove il migliore avrebbe realizzato il mancante San Marco che fu poi ordinato nel 1410 a Bernardi Ciuffagni, uno dei collaboratori di Ghiberti. Nel 1415 le figure furono collocate nella facciata e vi rimasero fino allo smantellamento nel 1587, ora si trovano nel Museo dell’Opera del Duomo. L’accostamento tra i quattro Evangelisti rappresenta uno spartiacque tra due differenti mondi artistici: nelle eleganze artificiose dei panni e delle acconciature Lamberti e Ciuffagni guardano ancora al gotico internazionale, mentre il San Giovanni donatelliano manifesta nella fierezza della testa e solidità strutturale un lessico nuovo e concreto, condiviso pure dal San Luca di Nanni di Banco, una reinterpretazione di un filosofo antico. Orsanmichele, Ghiberti, Nanni di Banco e Donatello: sulle pareti esterne di Orsanmichele, le Arti fiorentine posero le statue dei loro santi padroni, per omaggiare il santo protettore, costruito da 14 nicchie popolate da sculture dei primi decenni del 400. Ghiberti realizza l’immagine bronzea di San Giovanni Battista tra il 1412 e il 1416 per la corporazione di Calimala: presenta una forte inarcatura, messa in risalto dalle pieghe del panneggio, la minuziosa barba ben pettinata, dimostrano che la sua lingua figurativa era quella del gotico internazionale. Tra il 1409 e il 1417 Nanni di Banco realizza per l’Arte dei Maestri della pietra e del legname i Santi Quattro Coronati: quattro scalpellini inseriti all’interno di una nicchia in una sorta di silenziosa conversazione tra i quattro, creano profondità e senso di solidità, solennità dei volti ritratti in vesti di robusti patrizi romani con un panneggio sembra pesare con maggiore realismo e naturalezza e disposti a semicerchio seguendo l’incurvarsi della parete. (Cerniera tra la tradizione del gotico e modernità) Attorno al 1417 Donatello realizza il San Giorgio per l’arte dei Corazzai dove il santo cavaliere è rappresentato saldo e severo, mentre guarda l’orizzonte ostentando avanti a sé il grande scudo; i piedi sono ben saldi e la figura appare ben proporzionata. Abbraccia l’antichità: volto con tratti estremamente realistici come le rughe sulla fronte, la capigliatura mossa, occhio vigile, postura salda; fa rivivere l’antico nella modernità; convivenza del gotico e del rinascimento: nicchia arco trilobato. Novità: basamento in pietra raffigurato il cavaliere sul cavallo che uccide il drago, a destra la principessa. Con la tecnica dello stiacciato (dare rilievo) gli consente di costruire una prospettiva lineare eccentrica con un unico punto di fuga e linee guida (più antico esperimento di prospettiva giunto fino a noi; Donatello aveva appreso da Brunelleschi). Donatello eseguì la sua prima grande opera in bronzo: San Ludovico di Tolosa per il tabernacolo della parte guelfa, ma il 1436 cedette la sua nicchia all’arte della Mercanzia che vi collocò il gruppo dell’Incredulità di San Tommaso di Verrocchio, e San Ludovico era stato rimosso e posizionato sulla facciata della chiesa di Santa Croce. Il San Ludovico è assemblato in più pezzi e appare privo di struttura e progettato sull’eccitato incresparsi dei panni al vibrante sbattere della luce. L’invenzione della prospettiva: si assegna a Brunelleschi l’invenzione della prospettiva centrale o lineare intesa come tecnica per rappresentare razionalmente gli oggetti nello spazio, così da ottenere l’effetto della terza dimensione in una superficie bidimensionale, rendendo la sensazione della profondità, dei volumi e distanze. Brunelleschi utilizzò un rigoroso metodo matematico che prevede di individuare sulla superficie un “punto di fuga”, corrispondente al centro dell’orizzonte verso il quale guarda l’occhio dell’osservatore, e fare convergere in direzione di esso una serie di linee, per creare una gabbia spaziale dentro la quale collocare gli oggetti. Ai nostri occhi ciò che è vicino appare più grande e ciò che è lontano più piccolo. A Roma Brunelleschi aveva potuto studiare architetture e sculture antiche e aveva trovato dei modelli da imitare, ma non era possibile fare per la pittura, così Brunelleschi escogitò la prospettiva come mezzo per rendere quei caratteri di ordine e verità pure sulla pittura. Donatello tra il 1423 e 1427 realizza un rilievo di bronzo per la fonte del Battistero di Siena, il Convito di Erode che segna la sorte di Giovanni il Battista: la scena è riallestita, grazie allo “stiacciato” e alla prospettiva in uno spazio tridimensionale. In primo piano la testa del Battista è presentata a un Erode inorridito, mentre di 5 sfarzo e l’assenza di tridimensionalità in confronto con la prova masaccesca. Sul proscenio due angioletti musicanti, la Vergine veste un mantello sapientemente panneggiato che struttura la figura, il bambino è un piccolo Ercole. Colpisce l’utilizzo di una luce fortissima, cui si deve il netto contrasto tra le parti in ombra e quelle illuminate e il manifesto della consistenza del trono in pietra dove non c’è più traccia di riferimenti gotici. Un identico lume rischiara la Crocifissione conservata al museo nazionale di Capodimonte a Napoli che costituiva il vertice del polittico pisano. Masaccio vi esplicita la terza dimensione attraverso il poderoso gesto della piangente Maddalena, che allarga le braccia di spalle, la studiata posizione dei piedi del San Giovanni e la scelta di raffigurare il Cristo quasi senza collo, in un realistico scorcio di sottinsù della testa ormai senza vita. La trinità di Santa Maria Novella: nel 1427 Masaccio affresca per Santa Maria Novella una parete, dove grazie all’uso della prospettiva crea un’architettura illusionistica che audacemente finge un’intera cappella. In mezzo a questa sorta di arco trionfale all’antica, un Padre eterno colossale che sorregge e ostenta la croce da cui pende il Figlio, mentre la colomba dello Spirito Santo si getta in picchiata verso lo spettatore. Ai piedi della croce la Vergine e San Giovanni saldano l’immagine della Trinità a quella della crocifissione. Sulla soglia dello spazio pregano Berto di Bartolomeo (architetto) e sua moglie Sandra. L’affresco ha un senso di pala d’altare, anzi cappella funebre visto si celebrava le messe in memoria dei committenti sepolti sotto il pavimento. Nel registro inferiore, sotto l’altare, giace uno scheletro: alludendo a quello di Adamo esso proclama che la passione, la morte e la resurrezione di Cristo hanno sconfitto la morte di ogni uomo, l’architettura sembra dettata da Brunelleschi, nell’utilizzo degli elementi dell’antico come le colonne con capitelli ionici, arco a tutto sesto, volta a botte. Fu l’ultima opera realizzata da Masaccio perché, dopo essersi trasferito a Roma per ricongiungersi con Masolino, muore nel 1429. Sulla scia di Masaccio: tra i primi intendere le novità fiorentine in pittura fu Stefano di Giovanni detto il Sassetta (1400-1450) -1450) che sarebbe stato uno dei protagonisti della pittura a Senese del primo 400. Intorno al 1423-3424 il Sassetta dipinse un polittico per l'arte della lana di Siena, che è andato smembrato, ma le scene superstiti rivelano quanto le novità brunelleschichiane cominciassero ad essere note oltre i confini fiorentini. Nel frammento di predella con il Sant'Antonio battuto dai diavoli compare già un cielo atmosferico e tre demoni che sembrano disporsi a semicerchio intorno all'Eremita, dando un senso di spazio; le figure conservano una sottigliezza gotica di cui il Sassetta resterà legato per l'intera carriera. Con la tradizione del gotico feci conti anche Guido Di Pietro, meglio noto come Beato Angelico (1395-1455), un frate domenicano la cui fama di Santità sarà poi riconosciuta formalmente nel 1982 da Papa Giovanni Paolo II. Verso il 1429 l'angelico ultimava un trittico per il convento femminile domenicano di San Pietro Martire, Firenze: si osserva il formato gotico della carpenteria, il fondo dorato e la scelta di unificare lo spazio nel registro principale, dove la Vergine che si staglia ancora con quella grazia tipica del gotico. Tuttavia, i quattro santi laterali, tre dei quali con una veste bianca e il mantello nero dei domenicani, si ergono con una statuaria solidità. Il raffinatissimo pavimento in marmo è un motivo che beato e ripeterà tante volte nel corso della sua vita. Appartenenti invece all'ordine carmelitano, il pittore Filippo Lippi (1400 6469), che prese i voti nel 1421 nel convento fiorentino del Carmine, prima che Masaccio lavorasse alla Cappella Brancacci. La possibilità di avere ogni giorno sotto gli occhi gli affreschi, permise a Filippo di essere il più precoce, autentico seguace di Masaccio. A un altare della Chiesa del Carmine Filippo Lippi dovette destinare verso il 1431 Madonna dell'umiltà e santi, che oggi è conservata a Milano. Si tratta di una Pala d'altare di piccole dimensioni dal curioso formato, dove il soggetto prediletto dai pittori gotici e tradotto in termini masaccieschi. Il fondo è azzurro anziché dorato, le figure sono salde, tanto che il gruppo della Vergine con il figlio sembra avere la geometrica compattezza di un cono. L'ampia cappa bianca sull’abito scuro identifica i due santi a destra in due carmelitani: l primo, il martire Angelo di Sicilia, che reca sulla testa alla spada con il quale fu ucciso e il secondo con un giglio fiorito distingue Alberto da Trapani. Filippo Lippi si appresta ad andare oltre: le fisionomie e le capigliature dei fanciulli attorno alla vergine annunciano infatti la scultura di Luca della Robbia di cui si dirà oltre. Paolo Uccello: altro protagonista del primo rinascimento fu Paolo Doni (1397-1475) detto Paolo Uccello per le pitture di animali con cui aveva decorato la propria casa. Dopo un’esperienza nel cantiere ghibertiano della porta nord e un soggiorno a Venezia egli si innamorò della prospettiva. Al 1436 risale il suo monumento 6 equestre di Giovanni Acuto, affrescato su una parete del Duomo di Firenze, per rendere onore ad un condottiero inglese, John Hawkwood, che aveva servito la Repubblica Fiorentina. Fece tesoro dell'illusionismo della Trinità di Masaccio, di Santa Maria Novella: nella resa spaziale della cassa quando nell’accentuato plasticismo del gruppo del cavallo del Condottiero, un tema che fu caro al pittore che presto anche gli altri scultori si troveranno a dover riesumare dalla tradizione classica. Verso il 1438 Paolo uccello dipinse per il fiorentino Leonardo Bartolini Salimbeni tre grandi tavole che raccontano le principali fasi della battaglia di San Romano, combattuta tra Fiorentini e Senesi nel 1432, chiamata guerra di Lucca. I tre pannelli nel quale, nel corso del tempo, sarebbero passati nelle mani dei medici, sono oggi divisi in tre differenti musei e raffigurano rispettivamente, Nicolò da Tolentino alla testa dei fiorentini a Londra National Gallery, il disarcionamento del Condottiero senese Bernardino della Carda a Firenze, Galleria degli Uffizi e Michele Attendolo guida i fiorentini alla vittoria a Parigi al Louvre. In questi dipinti si notano avere proprio ossessione per gli scorci difficili e le geometriche volumetrie delle figure e degli ampi copricapi, Uccello ha studiato molto per realizzare una composizione prospetticamente impeccabile, malgrado l'enorme difficoltà di calare una gabbia prospettica su una affollatissima composizione di figure. Netto e il contrasto tra l'impeto della battaglia in primo piano, le scenette dei lontani paesaggi nel quale il pittore evoca preziosità gotiche. Capitolo 6: pittura di luce Domenico Veneziano, il maestro di Piero della Francesca: pittura di luce= arte che ebbe origine a Firenze sul finire degli anni 30 per impulso di Domenico Veneziano e si diffuse rapidamente nelle regioni del centro Italia grazie al suo allievo Piero della Francesca. Questa pittura ha i suoi cardini nella prospettiva, nell’elaborazione di una composizione essenziale e lineare, in una ordinata narrazione e nell’utilizzo di colori chiari e luminosi. Domenico Veneziano (1410-1461) realizza nel 1439-40 l’adorazione dei magi a Berlino: gruppo della Vergine con il figlio e i magi, il popoloso corteo ci aiuta a comprendere la tridimensionalità del dipinto; l’aperta campagna è illuminata da un cielo azzurro. Questi tondi a Firenze, e non solo, erano usati per decorare gli interni delle dimore più ricche, con una funzione devozionale. Il vero e proprio manifesto del muovo linguaggio di Domenico è la pala d’altare dipinta nel 1445 ca per la chiesa di Santa Lucia de Magnoli a Firenze. Novità: formato quadrato, i protagonisti si stagliano nel concreto spazio di un loggiato, definito dalla prospettiva anche attraverso uno studio geometrico del pavimento; la scena è illuminata dal lume di mezzogiorno che da concretezza ai panneggi delle loro vesti. Gli archi sono gotici, il paramento è decorato da marmi policromi; l’architettura riprende le domus romane, ambienti porticati in tutti e quattro i lati, con elementi come la corona o arco a tutto sesto e nicchie, spazio costruito sulla base di elementi che ricordano l’arte e architettura del 400; colori chiari e pastellati. Gli affreschi perduti di sant’Egidio sono stati iniziati nel 1439 nel coro della chiesa fiorentina di Sant’Egidio, su commissione della famiglia Portinari, fedele ai Medici; era un ciclo di storie della vergine dai caratteri prospettici e luminosi (attestazione=Vasari). Iniziati insieme all’allievo di Piero della Francesca lasciandolo incompiuto nel 1445 e finiti da Andrea del Castagno e Alesso Baldovinetti. Andrea del castagno: tra i primi seguaci della pittura di luce, vi fu Andrea di Bartolo del Bargilla, detto Andrea del castagno, dal paese sul monte in cui nacque (1419-1457), a lui spetta o portare avanti il ciclo che Domenico veneziano aveva lasciato incompiuto in Sant'Egidio. Andrea tende a distinguersi per un carattere più fiero ed energico dei suoi personaggi. Entro il 1447 Andrea aveva affrescato La parete principale del cenacolo del monastero delle Camaldolesi di Sant'Apollonia a Firenze, Dove si apre una sfavillante scatola prospettica di un'ultima cena. Nel trattare un soggetto consueto per i refettori degli ordini religiosi, il pittore scelse di ambientare l'episodio in un edificio all'antica Illustrato praticamente in sezione. L'effetto prospettico è esagerato grazie alle linee del pavimento, del soffitto e del tetto spioventi che convergono verso il centro dell'architettura, Le pareti sono ricoperte da lastre di porfido e marmo colorato. Gli apostoli si ergono statuari nel loro scranno, Giovanni è reclinato sul tavolo accanto a Gesù e Giuda si distingue solitario sul lato anteriore della mensa; quello che ci colpisce dell’ultima cena è il candore della tovaglia, che emerge rispetto ai colori utilizzati per il resto della raffigurazione, che crea una cesura, segnata dalla separazione forte tra Giuda, dalla parte dello spettatore, e Cristo più gli apostoli. Grande attenzione all’antico, a cominciare dalle sfingi che servono da evento che contraddistingue le figure. Nel 1447-49 Andrea realizza le figure di Uomini e donne illustri nella loggia della Villa Carducci di Legnaia, nei dintorni di Firenze. Si trattava di un ciclo profano voluto da Filippo Carducci, un mercante attivo in politica a Firenze. Rifacendosi ai modelli bibliografici letterari classici, Carducci voleva raffigurare la tradizione di uomini 7 illustri come modelli di virtù, comuni fin dal 300. Seguendo un preciso programma, Andrea del castagno, raffigurò in gruppi di 3 una serie di donne virtuose, prodi militari e poeti fiorentini, facendoli affacciare da un’illusionistica loggia all'antica, che era ornata sullo sfondo, da lastre di porfido e marmi colorati. Lo si vede bene nella triade di letterati costituita da Dante, Petrarca e Boccaccio eletti a campioni dell'identità civile e dell'ambizione culturale di Firenze. Voi nel 1456 Andrea affresco nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, il monumento equestre di Niccolò da Tolentino, per rendere onore al Condottiero dell'esercito di Firenze nella battaglia di San Romano. È un'opera modellata sul Giovanni acuto dipinto vent'anni prima da Paolo uccello, ed è concepita proprio come una scultura in cui da una parete si proietta la monumentalità della statua equestre. Piero della Francesca in terra d’Arezzo: il vero profeta della pittura di luce fu Piero della Francesca (1415- 1492) Che nel corso della sua lunga vita. Pietro, coltivò numerosi studi come matematica e prospettiva, sui quali scrisse in tarda età anche un trattato intitolato De prospectiva pingendi. Gli elementi chiave della sua pittura sono, coerenza spaziale, i colori chiari e luminosi, l'architettura all'antica, come quelle che piacevano al Leon Battista Alberti, le figure volumetriche. il giovane pittore era giunto a Firenze, nella natia Sansepolcro, oggi in provincia, provincia di Arezzo che sarebbe rimasta per sempre la sua residenza. Questa città aveva un ruolo strategico essendo al centro delle vie che connettevano la Toscana con l'Umbria, le Marche e l'Emilia e Piero avrebbe percorso spesso quelle vie, per soddisfare le richieste delle numerose corti italiane. la formazione di Piero con Domenico veneziano traspare perfettamente verso il 1443-45 dall’abbagliante Battesimo di Cristo della National Gallery di Londra: Un luminoso e prospettico parallelo della Pala di Santa Lucia de Magnoli. Il solenne Cristo e la soprastante colomba sono il centro della composizione, dove l'effetto di tridimensionale, lontananza è sottolineato dall'atteggiamento di gridare degli alberi dal primo piano al distante paesaggio, tanto simile quest'ultimo a quello del tondo berlinese di Domenico, con il quale il battesimo condivide pure il cielo cristallino. è una visione serena e distaccata. Dalla mano di Battista e prosegue con le mani giunte e il corpo perfettamente diviso; specchio d’acqua serve per contestualizzare il battesimo, anche per dare luce inventata che viene dal mezzogiorno (senza ombra). Bilanciamento del peso proporzionato della simmetria nonostante le figure non siano perfettamente divise, albero spezza la simmetria riconciliazione chiesa d’occidente e oriente= personaggi sullo sfondo a destra dall’abbigliamento della delegazione bizantina. Il battesimo era nato per stare al centro di un grande trittico cuspidato, che si conserva ancora nel Museo Civico di Sansepolcro e fu compiuto entro il 1456 da Matteo di Giovanni, uno dei principali esponenti della scuola senese del 400. Nel 1445 la Confraternita della misericordia di Sansepolcro ordinò a Piero della Francesca un grande politico dove le figure dovevano stagliarsi su fondo dorato. Lo scomparto centrale presenta il centro, il soggetto tipicamente medievale della Madonna della misericordia: la Vergine che accoglie i fedeli sotto il proprio manto è però ho riletto con un linguaggio moderno La Vergine allarga il manto a proteggere un piccolo gruppo di devoti che si posizionano a dare un senso di cerchio e quindi uno spazio autentico e definito; perfezione ovale vergine, aureola, mantello che ricorda cupola, pieghe ricordano scanalature; nonostante il fondo oro Piero conferma le sue caratteristiche. Crocifissione prevede un punto di vista dal basso verso l’alto. Piero avrebbe completato il politico solo nel 1462 perché era stato impegnato altrove come a Ferrara, Rimini, ad Arezzo. Le storie della vera croce: Piero realizza il ciclo delle storie illustrate nella Cappella maggiore della Chiesa di San Francesco ad Arezzo, commissionato dalla famiglia Bacci che inizialmente aveva affidato le pitture a Bicci di Lorenzo, un maestro gotico, che morì nel 1452, avendo decorato soltanto le vele di quello spazio. Ehi. Negli anni successivi, Piero, grazie all'aiuto degli assistenti Giovanni da Piamonte e Lorentino 'Andrea, realizza le storie del legno della Croce di Cristo seguendo il racconto della duecentesca leggenda aurea di Jacopo da Varazze. Pareti raccontano la storia della nascita e il ritrovamento della croce, prima a sinistra poi a destra, su due registri episodi legati da elementi spaziali piuttosto che alla sequenza cronologica dei fatti (es angelo presente su due parti, o struttura in legno) annunciazione è fuori dalle vicende della croce. Episodio di partenza morte di Adamo dove tiene un seme di un albero =sacro legno. Nel successivo riquadro vi sono due episodi: in un paesaggio brullo, la regina di Saba durante un suo viaggio per andare a incontrare Salomone, si inginocchiò di fronte a un ponte che, avendo avuto la preveggenza che il legno con cui esse era stato costruito, sarebbe poi servito a formare lo strumento di morte del Salvatore del mondo. L'incontro tra i due si compie nell'altra metà del riquadro, entro un porticato all'antica, che nella preziosità delle colonne dei 10 di volume, la prospettiva gli rimaneva oscura e lo stiacciato donatelliano veniva utilizzata non per costruire uno spazio tridimensionale, ma per rifinire elegantissimi dettagli. La creazione di Eva nella prima formella della porta del paradiso, Ghiberti la racconta la storia dei progenitori in un unico fondale. Si inizia a sinistra con la creazione di Adamo e si prosegue al centro con quella di Eva, a narrazione continua poi con il momento del peccato originale che ha come conseguenza la cacciata dal paradiso terrestre e raccorda la versione della scena della Cappella Brancacci. La materia è preziosissima e pulita, levigata come i marmi, robbiani I personaggi tendono alla bellezza, che è il dramma, gli alberi sono lussureggianti. Ghiberti racconta più episodi nella stessa storia, in un'unica scena, che tuttavia non è congegnata come un palcoscenico tridimensionale. Nel breve spazio quadrato hanno luogo quattro momenti successivi del racconto biblico, per giunte intrecciate, combinate fra loro. Ghiberti non rinuncia ad articolare la figurazione per episodi Uniti dal filo narrativo più che dalla razionalità prospettica. Le difficoltà intendere la prospettiva emergono con chiarezza nella formella in narra l'avvincente storia di Giuseppe ebreo: Figlio preferito di Giacobbe Giuseppe fu venduto dai fratelli invidiosi e giunto in Egitto fece fortuna, quando i fratelli andarono in Egitto a cercare il grano Giuseppe si fece riconoscere e perdonandoli li accolse presto, disse. Questa scena è illustrata nella formella attraverso 7 episodi predisposte attorno a una grande loggia circolare che Ghiberti non riesce a collocare correttamente nello spazio. Lo scultore si esalta piuttosto nella minuzia delle elegantissime figure arcuate segnate dai panneggi ricurvi o dalla perfezione delle acconciature. Il David e la Giuditta di Donatello: Donatello realizza il David Verso il 1435- 1440 per una sala del vecchio palazzo di Cosimo de medici: è un'adolescente dai capelli lunghi, completamente nudo se non per un cappello in testa e i calzari; nella destra ha la spada e nella sinistra Il Sasso con il quale ha battuto Golia. Nella posa ancheggiante con la mano sinistra sul fianco, il David è di un'eleganza estrema e propone una novità decisiva: si tratta infatti di una statua a tutto tondo, studiata affinché fosse possibile girarla attorno, come si poteva fare con quelle antiche. osservandolo dal sotto in su si poteva incrociare lo sguardo appositamente rivolto verso il basso. Un quarto di secolo dopo, Donatello avrebbe eseguito per Cosimo un altro bronzo di soggetto biblico, l'eroina Giuditta nell'atto di decapitare Oloferne. Si tratta di un'opera compiuta nel 1464, anno di morte di Cosimo e poco prima del decesso di Donatello nel 1466, che ormai era anziano e aveva le spalle lungo soggiorno a Padova. L’esperienza Padovana fu decisiva per la realizzazione di questi due bronzi. Un gruppo scultoreo pensato di nuova tutto tondo, ma di una forza impressionante nello scarto della figura che sta per essere decapitata nel gesto dell'eroina che alza la spada, nel fremente panneggio della sua veste, nella storia ai piedi del basamento. Qui corrono tre scene bacchiche le quali alludono alle brezza di Oloferne, Giuditta, infatti, lo uccise dopo averlo fatto ubriacare. Michelozzo id Bartolomeo, architetto di cosimo: Dopo essersi formato nel cantiere ghibertiano ed essere stato socio di Donatello come Scultore, Michelozzo di Bartolomeo si seppe affermarsi come Architetto, divenendo l'architetto di fiducia di Cosimo de medici. tra il 1444 e il 1460 realizzò il Palazzo Medici che rappresenta un vero e proprio prototipo di edificio rinascimentale. La sua sobria magnificenza risponde all'esigenza del Signore di dimostrare la propria ricchezza del proprio potere, evitando il fasto eccessivo. Inizialmente era una struttura cubica organizzata attorno a un cortile da cui si accede sia gli appartamenti sia retrostante giardino. La facciata era stata alterata in età moderna: le finestre del piano terra, infatti, sono cinquecenteschi attribuito a Michelangelo, mentre il prolungamento sulla strada risale al tardo 600 e alla volontà della famiglia Riccardi, cui i medici avevano venduto l'edificio. Beato Angelico al convento di San Marco: era occupato dal 1436 al 1443 della ristrutturazione del convento di San Marco, finanziata da Cosimo il vecchio.; Gli spazi e razionali del chiostro e della biblioteca sono scanditi dai moduli delle campate, dagli archi a tutto sesto. Il Priore Antonino Pierozzi stabilì che angelico pensasse non solo alle opere mobili della Chiesa, ma che affresca asse anche le pareti del complesso michelozziano. 40 affreschi eseguiti da l'angelico e dalla sua bottega attorno al 1440 il convento di San Marco, oggi museo pubblico, è un monumento unico che raccoglie anche tavole destinati in origine ad altri luoghi. Un esempio è l'episodio dell'Annunciazione dove vi è un profondo dialogo con la severità brunelleschiana dell'architettura di michelozzo, con cui si richiama lo spazio misurato e prospettico del porticato dove fa apparire Gabriele alla Vergine. Le figure sono solide e le uniche protagoniste, nulla è concessa eccessi decorativi; Maria si ed umilmente su un povero sgabello fratesco e attorno vi è un Prato. La povertà dei domenicani fra di mendicanti si sposava alla perfezione con la sobria essenzialità della nuova pittura scaturita da Masaccio. deve anche la Pala per l'altare maggiore della Chiesa di San Marco. Il dipinto di formato quadrato rappresenta santi che un 11 tempo stavano negli scomparti laterali di un politico, raggruppati in uno spazio unitario attorno alla vergine. Essi hanno un ruolo al gruppo di frate disposte alla sinistra di Maria si contrappone sul lato d'onore, il terzetto con Giovanni, Lorenzo e Marco (famiglia medici). primo piano sono Cosma e Damiano, padroni, pane, eccellenza della famiglia medici. la Pala appare nella superficie pittorica ad antichi restauri. Rinascimento e rinascenze: la pittura fiamminga e francese Lineamenti storici: la chiave della pittura fiamminga è un’ossessione per l’indagine dei più minuti dettagli della realtà, un’attitudine che discende dal mondo gotico dei fratelli De Limbourg. Con Jan van Eyck la luce, grazie alla pittura ad olio, diviene il mezzo per descrivere la materia della vita di tutti i giorni. Nel 1453 finisce la Guerra dei cent’anni che aveva opposto per oltre un secolo Francia e Inghilterra, con la vittoria della Francia grazie a Carlo VII che, dopo essere stato incoronato, attuò una serie di operazioni militari per riprendere i vasti territori francesi che erano rimasti inglesi a lungo e dando l’avvio a un moderno stato nazionale, ereditato dal figlio Luigi XI nel 1461. Carlo VII non macò a dare vita a una corte in cui prosperarono le arti ed ebbe al suo servizio Jean Fouquet, il più grande pittore francese del 400. Rimanevano ancora feudi autonomi la Provenza che apparteneva a Renato d’Angiò (re di Napoli) e il Ducato di Borgogna, infeudato nel 1363 dal re di Francia Giovanni il buono al quarto figlio Filippo l’ardito (1342-1404), rappresentò per quasi un secolo una sorta di stato cuscinetto tra la Francia e le regioni dell’impero germanico. Era un ducato di grande rilievo strategico e molto ricco, grazie alle fruttuose terre borgognone e ai dinamici mercati fiamminghi; l’ultimo duca sarebbe stato Carlo il temerario e alla sua morte nel 1477, il ducato cessò di esistere e in pochi anni tornò al re di Francia Luigi XI, mentre le fiandre andarono al futuro imperatore Massimiliano d’Asburgo, avendo sposato l’unica figlia dell’ultimo duca. Intorno alla corte borgognona orbitarono artisti di rilievo, il principale centro artistico fu la capitale Digione; filippo il buono nominò Jan van Eyck pittore di corte. Questo nuovo linguaggio pittorico, di realismo, si impose nelle città mercantili fiamminghe e in quelle del borgogna, che per il resto conservarono il loro aspetto gotico. Anche le città del regno di Carlo VII continuavano ad avere lo stesso aspetto gotico perché i rapporti commerciali e culturali che intercorrevano tra queste regioni influivano profondamente sulla pittura, ma non giungevano ad incidere sull’immagine della città. Capitolo 9 l’Italia e le fiandre Nel corso de l400 tra l’Italia e le Fiandre intercorsero rapporti molto stretti. In terra fiamminga ebbe grandi interessi Cosimo de Medici, che nel 1439 aprì a Bruges una filiale della sua banca; insieme con Grand erano i principali centri commerciali. Fu in tale contesto che nacque un nuovo tipo di pittura, i cui pionieri furono Jan van Eyck (1422-1441) e Rogier van der Weyden (1399-1464): indagarono la quotidiana realtà delle cose con una luce e uno sguardo nuovo, scrupolosamente attenti ai minimi particolari, grazie anche all’utilizzo della tecnica ad olio. È un rinascimento alternativo rispetto a Firenze, dove le arti maturavano obbedendo al rigore matematico della prospettiva. Queste due pitture non furono assolutamente incompatibili, ma vi furono continui scambi. Filippo Lippi, tra Masaccio e Van Eyck: nel 1437 a Filippo Lippi fu commissionato la Madonna di Tarquinia, proveniente dalla chiesa di Santa Maria Valverde a Roma ma in origine nel palazzo di Giovanni Vitelleschi: un potente prelato originario di Tarquinia che prima di essere nominato cardinale, fu arcivescovo di Firenze tra il 1435 e 1437 e commissionò quest’opera. Nonostante l’utilizzo della cornice ancora gotica, la Madonna parla il linguaggio del rinascimento masaccesco: il solido gruppo della vergine con il bambino sembra disceso dalle pareti della Brancacci, ma cerca un dialogo diretto con gli angeli che si affollano nei rilievi delle cantorie di Donatello. La novità è l’ambientazione del dipinto nella prospettiva di un interno, uno spazio domestico che a Firenze non si era mai visto. La camera da letto è rischiarata da una luce tenue che entra dalla finestra laterale; Filippo Lippi si dedica con minuziosa attenzione ai dettagli degli oggetti che sembrano uscire dalle due dimensioni del quadro, chiaramente ispirati alle novità della pittura fiamminga, che da oltre dieci anni aveva trovato il suo padre fondatore in van Eyck. Le novità fiamminghe e fiorentine convergono e si fondono in questa tavola. Non troppi anni dopo, verso 1440, Filippo dipinse la pala per l’altare della famiglia Martelli nella chiesa fiorentina di San Lorenzo, illustrando l’episodio dell’annunciazione nello spazio unificato da una scenografia architettonica. La scena si compie al di là delle due grandi arcate di un loggiato all’antica, aperto sul fondo a mostrare la fuga prospettica di un rigoglioso giardino urbano, delimitato da palazzi. Dall’arcata di destra si vede Gabriele inginocchiato di fronte a Maria che si mostra sorpresa dalla miracolosa apparizione e a bilanciare la composizione a sinistra una coppia di angeli. In primo piano risalta una trasparente ampolla di 12 vetro, pronta ad ospitare il giglio dell’arcangelo, ospitata un una specie di nicchia progettata appositamente, chiaramente del linguaggio di Van Eyck. Jan van Eyck, ritratti e pale d’altare: uno dei dipinti più famosi è certamente il ritratto dei coniugi Arnolfini, Voi realizzato in 1434 e Illustra gli elementi cardini della pittura fiamminga. È utilizzata la tecnica della pittura ad olio che permette di avere colori più brillanti, una resa luministica di notevole intensità, capace di scaldare gli interni; Si deve sommare una volontà di rappresentare analiticamente la realtà che si realizza nella minuta descrizione di ogni dettaglio. I pittori fiamminghi a queste date non conoscono la prospettiva lineare brunelleschiana e ricostruiscono lo spazio empiricamente, nel ritratto dei coniugi Arnolfini è facile riconoscere tutto questo: basta osservare l'accentuata verismo dei particolari del pavimento del legno, dei frutti sul davanzale, del lampadario, della firma stessa del pittore oppure dello specchio convesso che riflette la coppia di spalle e il pittore in atto di ritrarli. Vi è un clima di intimità domestica reso attraverso la luce che si irradia dalla finestra sugli arredi eleganti, è come una sorta di fotogramma di una coppia di sposi ritratti nella propria Camera. Dovrebbero essere il facoltoso Mercante Giovanni Arnolfini, uno dei tanti toscani che si arricchì Nelle Fiandre e la moglie Giovanna Cenami. Ehi, manca. Tuttavia l'attenzione sentimentale e le pose lasciano intendere che ci troviamo di fronte a un ritratto celebrativo. Inteso a commemorare il fidanzamento fra i due, dove l'attenzione al dettaglio e riguarda anche la fotografica descrizione delle fisionomie e la resa tattile delle carni, delle vesti dei personaggi che sono disposti frontalmente di tre quarti. Nel 1422 Partiti per Aja al servizio del Conte d'Olanda Giovanni di Baviera, e a seguito della sua morte nel 1425, si trasferì a Bruges e divenne pittore della Corte di Filippo il buono, per conto del quale, tra l'altro, nel 1428-1429 fu in Portogallo a Ritrarre Isabella degli Avis che nel 1430 sarebbe andata in sposa al signore Borgognone. In quel dipinto purtroppo perduto Eyck dovete raffigurare la giovane a mezzo busto, in una veduta di tre quarti su uno sfondo scuro, secondo la tipologia che sempre adottò nei suoi ritratti e che divenne tipica della pittura fiamminga. Nel 1433 realizza l'uomo col Turbante rosso, un uomo Raffigurato a mezzo busto e di tre quarti. È un'immagine di ridotte dimensioni che sorprende per l'evidenza veristica della stoffa, del copricapo, delle pellicce del colletto e del colore della pelle, dell'intensità nello sguardo. utilizza la pittura ad olio e una luce radente, risalta le forme del volto contro lo sfondo scuro. Alcuni vogliono vedere questo dipinto con un suo autoritratto. Dal 1431 sino alla sua morte nel 1441, Van Eyck visse a Bruges, Lavorando per il polittico dell'agnello mistico della cattedrale di San Bavone a Gand. È una grande macchina dal Tare ancora tardo medievale, nel soggetto, nel formato contraddistinta da sportelli dipinti sia davanti che dietro, così da poter alternare due immagini differenti. La Pala era destinata alla Cappella privata del ricco mercante Joo Vyd. Quando gli sportelli sono chiusi Vyd si vede ritratto In basso insieme alla moglie, Inginocchiato di fronte all'estate dei santi San Giovanni Battista Vangelista, Mentre nel registro sovrastante si dispiega la scena dell'annunciazione e nel coronamento, appaiono sibille e profeti. Aprendo i battenti ci si trova immersi in un lussureggiante giardino al centro del quale vi è il divino agnello, simbolo di Cristo adorato dagli angeli, da una varia umanità. Nello scomparto superiore, invece, sono raffigurati Dio padre, la Vergine e il Battista, affiancati da angeli cantori e nelle ante laterali le figure di Adamo ed Eva. Il paesaggio illuminato dal chiarore del cielo ma sfugge ogni rigore prospettico. L'iscrizione di corredo al politico rendono onore a il fratello Hubert, che sappiamo morte nel 1426, dopo avere iniziato l'impresa. Sulla stessa lunghezza d'onda e la Madonna del Cancelliere Nicholas Rolin, che l'autorevole consigliere del Duca di Borgogna volle per la propria Cappella nella chiesa di Notre-Dame-du-Chastel ad Autun. Di formato quadrato, ambientato nella sala di una sontuosa dimora che, oltre le figure del devoto abbigliato con una ricchissima veste di broccato (disegni a rilievo) e della vergine con il figlio incoronata da un Angelo, si apre un luminoso loggiato. lo sguardo si posa su un sottostante e rigoglioso hortus conclusus e da un fiume che riverbera la luce diffusa dal cielo. Questa capacità di raccordare alla descrizione minuziosa e realistica di un interno contemporaneo, la lettura del paesaggio naturale era sconosciuta in Italia. Rogier van der Weyden, dalle fiandre all’Italia e ritorno: Roger van der Weyden nato nel 1399, nel 1435 si trasferì a Bruxelles per affermarsi come pittore ufficiale della città. Dipinse per la Cappella della Corporazione di Balestrieri, una Pala d'altare che aveva al centro la deposizione: Un manifesto di sentita devozioni in cui i personaggi si accalcano senza interesse alcuno per una razionale organizzazione spaziale e si distinguono per la precisione dei dettagli, ma anche per la concreta solidità e la teatrale gestualità di un gruppo statuario tardo medievale. Dopo il 1443 realizza il politico del giudizio universale, per l'ospedale nella cittadina di Beaune. Anche questo Complesso si caratterizza per la possibilità di alternare, attraverso l'apertura e la 15 conservava a Roma. Il Papa era rientrato nell'urbe nel 1443 dopo il lungo esilio fiorentino e sarebbe morto nel 1447 Fouquet dovette dunque scendere in Italia prima di quest'ultima data, e Soggiorno anche a Firenze, avendo modo di ammirare i lavori dei suoi colleghi italiani. Le conseguenze di tale viaggio sono evidenti nelle opere che seguono il suo rientro in Francia. Nel 1452 Etienne piange la morte della moglie Catherine Budè, che fu seppellita nella chiesa di Notre Dame di Melun, per il quale Fouquet dipinse di lì a non molto un dittico oggi smembrato. Dalla cornice proviene un piccolissimo tondo oggi Louvre con l'autoritratto del pittore e la sua firma: un mezzobusto dipinto di tre quarti a monocromo su fondo scuro, è un'immagine di esemplare dell’eccezionale perizia di miniatore, ritrattista del maestro francese. del dittico richiamano invece le novità italiani: a sinistra, il devoto etienne è rappresentato dal tuo Santo Eponimo, Stefano, nel quale si riconosce per il sasso del martirio. Etienne e il suo patrono guardano verso la loro sinistra, dove un tempo vi era l'affascinante figura della vergine con il figlio circondata da Cherubini e Serafini. Illuminata da una luce gelida e astratta, Maria, le forme provocanti di una giovane dalla vita sottilissima, i seni prorompenti e la pelle cristallina che contrasta con il rosso e l'azzurro intenso delle figure angeliche. La scultorea tridimensionalità del corpo fa pensare alla pittura di Piero della Francesca e Riletta con una sottigliezza tutta francese. Lo sfondo è costituito da una parete disposta prospetticamente in diagonale e incrostata dalle forme geometriche di marmi preziosi, richiamando così i gusti di Leon Battista Alberti. Il lume nitidissimo, la saldezza dei personaggi, la netta definizione delle teste sono segni di una convergenza con la pittura di beato angelico, che Fouquet doveva aver conosciuto bene. Lo conferma a certe figure affrescate dal pittore fiorentino nella Cappella Niccolina in Vaticano attorno al 1447 1448. La diffusione del rinascimento in Italia Lineamenti storici: a metà del 400 il nuovo linguaggio rinascimentale si propaga da Firenze agli altri stati italiani appoggiati dalla chiesa o dal Sacro romano impero. La guerra è una presenza quotidiana: un capo di stato doveva essere un buon condottiero e un buon condottiero poteva ambire a diventare capo di stato. Un caso di condottiero finito al potere è quello di Federico Sforza (1401-1466) che era stato al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti e sposando la figlia Bianca Maria nel 1441; in assenza di eredi maschi di Filippo Maria, nel 1450 Francesco divenne signore di Milano. Sotto il suo dominio la capitale iniziò ad aprirsi al rinascimento. All’altro capo d’Italia, la contesa tra Angioini e Aragonesi per il trono di Napoli si concluse quando nel 1442 Alfonso d’Aragona (1396-1458) prese la città e mise fine al breve regno di Renato d’Angiò (1438-1442). Alfonso, detto il magnanimo, unì le capacità militari con la passione per le lettere e le arti: alla sua corte ebbe particolarmente successo la pittura fiamminga come testimonia l’umanista Bartolomeo Facio. La cultura umanistica prosperò e fece prosperare le corti italiane, dal momento che i signori fecero a gara per accogliere i migliori uomini di lettere e per avere a disposizione ottimi maestri per i loro eredi. Gianfrancesco Gonzaga chiamo Vittorino da Feltre come precettore per i propri figli a Mantova, dove Vittorino aprì una scuola detta ca’ gioiosa e dove si formò Federico da Montefeltro, il futuro signore di Urbino. Appassionati di libri quest’ultimo, volle raccogliere ad Urbino una biblioteca costituita da 900 codici latini, greci, ebraici e arabi. L’amore per le lettere antiche coinvolse anche gli uomini della chiesa: Roma, grazie a Eugenio IV, iniziò ad essere una vera e propria capitale del rinascimento. Nel 1453 Costantinopoli fu conquistata dai Turchi del sultano Maometto II segnando la fine dell’Impero romano d’oriente. Il papa Callisto III si impegnò ad organizzare una crociata per conquistare Bisanzio ma non partirà mai. Nel 400 la repubblica di Venezia si ampliò: i confini compresero il veneto e il Friuli, Lombardia, Bergamo, Brescia, fino a Lodi, nell’area adriatica Ravenna, l’Istria e la Dalmazia, Padova che nella sua antica università educò numerosi umanisti e grazie alla presenza di Donatello rappresentò un ponte per la diffusione del linguaggio artistico rinascimentale in Italia Settentrionale. Capitolo 11 paesaggio e città nel 400 Nel 400 il paesaggio in Italia iniziava ad essere apprezzato per i suoi valori estetici, Come ad esempio Monte Amiata o le colline del Montefeltro, dipinte alle spalle dei duchi di Urbino da Piero della Francesca. Nel museo della Certosa di San Martino a Napoli si conserva una delle vedute di città più celebri del 400, la cosiddetta tavola Strozzi; Si chiama così perché proviene dalle collezioni della famiglia Strozzi di Firenze che fece affari con la Corte aragonese di Napoli. La tavola raffigura una Ehi, dettagliata veduta della città di Napoli affacciata sul mare, dove si riconosce in primo piano attorno a lungo molo. Una flotta che si crede fosse quella al rientro dalla battaglia vittoriosa di Ischia, Nel 1465 contro Giovanni d'Angiò. Siamo di fronte a una veduta estremamente accurata e realistica della Napoli del secondo 400, una fotografia fatta con il pennello. La città 16 è chiusa dentro le sue mura, dove risaltano chiese con i loro campanili e fortezze. Vi sono molte differenze con la Napoli di oggi: La città non è più racchiusa dalle mura, ma si è espansa a macchia d'olio sulle colline. Questo fenomeno a partire dalla fine dell'Ottocento ha riguardato tutte le principali città d'Italia, quelle che un tempo erano circondate dalla campagna, subito fuori dalla cerchia delle mura, ora sono Metropoli che tendono a non avere confini. Ce ne possiamo rendere conto osservando un affresco dipinta da Giovanni Stradano sotto la supervisione di Giorgio Vasari per la sala di Clemente VII del Palazzo Vecchio di Firenze. Si tratta di una raffigurazione di Firenze durante la sede delle truppe imperiali di Carlo V nel 1529-1530, che avrebbe avuto come la conseguenza della fine della Repubblica. Firenze solcata dal fiume Arno, è arroccata dietro le mura trecentesche dal suo fitto reticolo di edifici. Si distinguono ancora oggi chiese e palazzi; tutto intorno è il verde di una campagna non troppo popolata. A questo fenomeno è invece rimasta estranea Venezia, che ancora oggi risulta isolata dalla laguna, come appariva nella minuziosa veduta a volo d'uccello incisa nel 1500, un disegno del pittore Jacopo de barbari: Un esempio di cartografia urbana che non trova precedenti, per la precisione, che diverrà modello per molte analoghe vedute di città nei secoli successivi. Già nella seconda metà del 400 architetti e ingegneri militari come Francesco di Giorgio Martini e Giuliano da Sangallo Iniziarono ad escogitare nuovi sistemi difensivi contraddistinte da murature molto spesse e dall’elaborazione di fortificazione a pianta e geometriche, pensate da un lato per evitare di offrire ai colpi del nemico il maggiore numero possibile di superficie piane e dall'altro per difendere la posizione con tiri radenti di artiglieria. Alle torri medievali si sostituirono così tozzi bastioni a pianta circolare o poligonale, che divennero l'elemento cardine della nuova architettura militare. Si può ricordare che Michelangelo si fosse impegnato nel progetto di complessi bastioni a pianta geometrica che avrebbero potuto migliorare le difese della sua città, testimoniato da un disegno per un bastione a forma di stelle, lavorato per la fortificazione della zona del Prato di Ognissanti e mai realizzato. Caduta la Repubblica il Duca di Firenze Cosimo I nel 1564 fondò una nuova città chiamata Terra del Sole, una città fortezza, costruita su pianta rettangolare. Un modello analogo fu utilizzato dal Condottiero Vespasiano Gonzaga per costruire la città di Sabbioneta, nella Pianura padana tra Mantova e Parma. Ha una pianta ancora più complessa a forma di stella, la città di Palmanova non lontano da Udine, dove vi è una rigorosa organizzazione geometrica di questa città, fortezza in cui tutte le strade conducono verso la piazza centrale. Molto diverse la logica con cui fu costruita Loreto, una cittadina delle Marche poco lontana da Recanati. Qui nel 1296, secondo la tradizione, sarebbe stata posata dagli angeli la casa di Nazareth in cui Maria ricevette l'annuncio della nascita di Gesù. La dimora sarebbe giunta miracolosamente in volo da una Palestina divenute islamica e attorno a questa straordinaria, colossale reliquia Loreto sorse come una città destinata ad accogliere pellegrini. Interno del santuario, si conserva la cosiddetta Santa Casa, Costruita da Papa Giulio II nel 1507, affidando la fabbrica della Chiesa al fidato architetto e Donato Bramante. Loreto fu per lungo tempo uno dei maggiori cantieri d'Italia, ancora oggi una delle più importanti mente di pellegrinaggio d'Europa. I pellegrini da lontano vedono la cupola che Giuliano da Sangallo aveva progettato, ispirandosi a quella Fiorentina di Brunelleschi, dopodiché raggiungevano la piazza sulla quale si affacciava la Chiesa ed entravano nella Santa Casa, Che non ha più l'aspetto di una dimora palestinese, ma è stata rivestita nel 500 di preziosi marmi scolpiti da Andrea Sansovino, Bacio Baldinelli, altri maestri. Assai frequenti furono inoltri casi di chiesa innalzate per rendere onore, immagini miracolose. Fu così che potevano sorgere santuari isolati in mezzo alla campagna, ma piuttosto vicino alle porte urbane, così da poter essere facilmente raggiungibili sia dei cittadini sia dagli abitanti del contado. Poco lontano da Cortona, si innalza nella sottostante Val di Chiana la chiesa di Santa Maria delle grazie al Calcinaio. Costruita nel 1485 sul progetto di Francesco Martini. Questa chiesa dalla pianta a croce Latina ed e caratteri rinascimentali, sorge per costruire una Madonna con il bambino dipinta su vasca adibita al luogo di conceria che durante la Pasqua del 1484 iniziò a fare miracoli. Dall'altro lato della valle a Moltepulciano, un affresco risalente al 1300, pare che nel 1518 la Madonna avesse mosso gli occhi di fronte a tre dei voti come se fossi viva. Fu così deciso di innalzare una nuova chiesa progettata da Antonio Sangallo il vecchio, con una pianta centrale a croce greca. Una situazione analoga ricorre a Todi, in Umbria. Dove vi è su un'altura attorno alla medievale chiesa di San Fortunato, un tempio di Santa Maria della consolazione. Era il 1508 quando una vecchia immagine mariana dimenticata cominciò a fare miracoli. Prontamente si decise di costruire attorno a questa grandiosa Chiesa. L'architettura di questa chiesa dipende dal progetto che Bramante aveva elaborato pochi anni prima per la nuova Basilica di San Pietro a Roma. 17 Capitolo 12: Roma moderna Filarete, Beato Angelico, Leon Battista Alberti Il rinnovamento della città pontificia: Martino V (1417-1431) aveva intrapreso una politica artistica determinate rilanciare la città eterna avviando una serie di cantieri che tra la seconda della metà degli anni 20, primi anni 36, però a tirare a Roma maestri del calibro di Masolino, Masaccio Gentile da Fabriano e Pisanello. La città non era molto popolata, le basiliche paleocristiane medievali convivevano con le imponenti tracce dell'antichità. E i prati verdi erano più comuni del selciato. Possiamo farcene un'idea guardando un dettaglio di un affresco che filippino Lippi avrebbe dipinto attorno al 1490 nella Cappella Caraffa in Santa Maria sopra Minerva: sullo sfondo della scena con trionfo di San Tommaso. Da qui non si riconosce un'immagine da cartolina con uno scorcio dell'abside medievale della cattedrale di Roma, San Giovanni Laterano, preceduta da un monumento equestre facilmente riconoscibile nel famosissimo Marco Aurelio traslator poi da Michelangelo in Campidoglio. Antonio Averlino detto Il filarete (1400 1469) ne realizzava una copia di piccole dimensioni che avrebbe poi donato a Piero de medici. Questo fu il prototipo di una nuova tipologia, quella dei bronzetti, ossia una scultura in bronzo intesa a replicare in piccolo un'opera d'arte antica che tanto avrebbe successo avuto nel Rinascimento. Filarete e la porta di san Pietro: dopo essersi formato a Firenze con Lorenzo Ghiberti, Filarete fu a Roma dal 1433 al 1445 per realizzare, su richiesta di Eugenio IV, i due grandi battenti che furono poi trasferiti nella nuova Basilica di San Pietro e recano le immagini di Cristo, della Vergine e dei santi Paolo E Pietro, delle storie del loro martirio. tanto appassionato dell'antichità da Sceglierti, un soprannome che in greco significa amante della virtù. Filarete non seppe aggiornarsi sulla nuova visione dell'antica elaborata da Donatello. Perciò i rilievi sulla sua porta appaiono prive di profondità e le scene risultano affollate all'inverosimile di figure di ornati ispirati all'antichità. In quest'opera la libertà della fantasia e della decorazione domina sul rigore della razionalità prospettica. beato angelico a Roma: Eugenio quarto e chiama Roma il beato angelico, un pittore che sarebbe rimasto nell'urbe almeno fino al 1449. salito al Soglio Pontificio, Papa Nicolò quinto nel 1447, commissionò all'artista le storie dei santi Stefano e Lorenzo della Cappella Niccolina, nel Palazzo apostolico, Ciclo compiuto anche grazie all'aiuto dell'allievo Benozzo Gozzoli (1420-1497). Nella narrazione delle vicende dei due diaconi e Protomartiri l'angelico, seppe rendere solenne lo stile austero Che qualche anno prima aveva adottato nella decorazione del convento di San Marco di Firenze. La scena in cui Lorenzo è consacrato da Sisto II, sembra ritrarre uno dei consueti moventi ufficiale di quella rituale liturgico e di Corte cui Nicolò teneva moltissimo: il Pontefice compie un rito di consacrazione entro un vasto spazio di una chiesa eretta su solide colonne e disposto a sostenere una parete architravate secondo la tipologia delle basiliche paleocristiane. Il papà del II secolo, però, è ritratto con le sembianze di Nicolò V, così come nell’episodio in cui Sisto II affida a Lorenzo i tesori della Chiesa, dove uno spazio unico serve per mettere in scena una duplice sequenza: mentre a sinistra I soldati si apprestano a scardinare il portale rinascimentale del palazzo destra nel cortile interno, il Papa cerca di militarizzare le ricchezze della Chiesa porgendo la Lorenzo. Un simile lume, tale evidenza Ritrattistica alludono un dialogo in tessuto dal beato angelico con il francese Jean Fouquet era scesa a Roma, nel tempo di Eugenio IV. Morì a Roma nel 1455, dove fu sepolto nella Chiesa domenicana di Santa Maria sopra Minerva, dove resta ancora la sua Lastra Sepolcrale. Leon battista Alberti e l’antico: Nicolò V promosse una politica cultura all'artistica focalizzata sul rinnovamento della città Pontificia, e oltre che al Palazzo apostolico, al restauro di alcune chiese, fu dato una particolare attenzione al miglioramento della cinta muraria degli acquedotti e ha un rinnovamento della Basilica costantiniana di San Pietro, pianificata dal Fiorentino Bernardo Rossellino (1409-1469). nel 1619 l'architetto Martino Ferrabosco delinea una ricostruzione della pianta secondo il quale l'antica Basilica avrebbe dovuto mantenere nartece, il corpo longitudinale a 5 navate, rinnovandosi nel transetto e nel coro; il progetto fu soltanto avviato, ma rappresentò una fondamentale premessa per un totale rifacimento della Chiesa che sarebbe stata avviata in mezzo secolo dopo da Giulio II e Bramante. Giocò un ruolo decisivo Leon Battista Alberti: nato a Genova nel 1404 da un mercante, Alberti si era formato tra Venezia Padova e bologna applicandosi a studi di legge lettere matematica astronomia. Questa solida preparazione umanistica e gli permise una significativa carriere nella cura Pontificia che iniziò a Roma nel 1432, quando il Papa Eugenio IV lo reclutò con il ruolo di abbreviatore apostolico. A Firenze fu il segreto di Eugenio IV attorno al 1434- 1443, Dimostrando una grande familiarità con la memoria del linguaggio degli antichi. Leon Battista, ci ha lasciato un autoritratto plasmato su in una piccola placchetta metallica dove, per il vigore del severo profilo e la corta 20 Battista Alberti. Monumento sfacciatamente all'antica, impostato sul modello di grande arcosolio, ovvero un sepolcro inserito entro una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto, affiancata dalle scalate, sovrabbondante di elementi decorativi di gusto archeologico che e impreziosiscono pure il catafalco, sul quale si innalza il letto funebre con la realistica figura del disant. Dietro con un tondo della Madonna con il bambino e gli angeli, c'è spazio per il tema cristiano. Questo rigoroso classicismo albertiano sulla scultura fu un prototipo da imitare. Al Bruni Succedete come Cancelliere Carlo Marsuppini (1398-1453). La tomba gemella fidata desiderio da settignano (1430-1464): Un giovane e dotatissimo scultore che ha le forme classiche volumetriche di Rossellino, preferì l'interpretazione più espressiva e virtuosistica. Al carattere classico di Bernardo, Desiderio ripropose con una coppia di arpie dal piumaggio mosso, naturalistico e citate da un fervore di origine donatelliana. Vasari definisce la personalità artistica di desiderio come un imitatore della maniera di Donatello, capace di scolpire con grande grazia leggiadria. Il bambino sorridente è La prova indiscutibile del talento di desiderio nel cogliere la spensieratezza del fanciullo, che appare un perfetto esempio dell'imitazione della natura. Nel mentre Leon Battista Alberti scrisse un trattato anche per la scultura De statua, Dove indicò una fortunata distinzione fra la scultura per via di porre per via di levare: La prima prevedeva di modellare una maniera plasmabile, mentre la seconda scavare la pietra. Alberti, individuò alla fine della scultura nell'imitazione della natura, proponendo un metodo scientifico per realizzarla, tramite l'individuazione delle proporzioni base del corpo umano e delle caratteristiche individuali. In quest'ottica una statua doveva essere a tutto tondo, accuratamente studiata nell'anatomia e nelle proporzioni. Capitolo 15: Urbino e la corte di Federico da Montefeltro Il palazzo ducale: la città di Urbino capitale del Montefeltro, divenne uno dei centri artistici di Mario maggiore rilievo nel Rinascimento grazie al suo signore che scelse di investire notevoli guadagni nell'arte della guerra nella sua città e nel territorio. il protagonista è Federico da Montefeltro (1422- 2482), che nel 1474 ebbe da Papa Sisto quarto il titolo di duca di Urbino. Come il suo nemico Sigismondo Pandolfo Malatesta, anche Federico seppe coniugare l'abilità militare con la passione per le lettere per le arti. Negli anni 30 Federico era stato allievo dell'Umanista Vittorino da Feltre a Mantova e quando tornò decise di raccogliere ad Urbino nel palazzo ducale uomini di lettere, matematici, artistici. il palazzo si estende su un'area considerevole del centro della città e andò a incorporare una serie di edifici preesistenti nel corso di una lunga serie di lavori avviati nel 1454 e proseguiti per decenni. Il volto del palazzo offre verso l'esterno della città La facciata dei torricini, dove la allungate ed eleganti torri rotonde fiancheggia un prospetto slanciato al centro e dal sovrapporsi di quattro logge, dove le due più in alto hanno un Paramento murario in marmo che richiamano l'antichità. Anche in questo caso Leon Battista Alberti ha giocato un qualche ruolo attestato ad Urbino nel 1464, che deve avere frequentato la Corte di Montefeltro. Per la realizzazione della facciata fu chiamato Luciano Laurana (1420/25 1479), Un architetto nato in Dalmazia è attivo nella Mantova di Ludovico Gonzaga prima di passare al servizio di Federico da Montefeltro dal 1466 al 1472. A laurana si assegna anche il progetto del cortile d'onore dove, contraddistinto dalla razionale successione sui quattro lati di loggiati con archi a tutto sesto, combinati da un'inedita soluzione di pilastri ad angoli. Sopra l'arcata e corrono iscrizioni in latino che ricorda le Gloriose imprese del committente. Alla magnifica, monumentale dimensione di tanti ambienti, si contrappone il carattere privato del piccolo studiolo riservato al duca. È una stanzina decorata nella parte alta da un ciclo di uomini illustri, dipinto da giusto di Gand E Pietro Barroguete. Esempi della vita virtuosa personaggi dell’antichità e della modernità, sia pagani, sia cristiani= riconciliazione tra le due culture (paganesimo antico e cristianesimo). All’epoca vi erano delle iscrizioni che riportano il nome dei personaggi e sotto ogni ritratto vi era un’iscrizione dedicatoria dove Federico esprime il suo rapporto con il personaggio; esempi di virtù con il quale Federico si rapporta quasi sullo stesso piano (lo fanno anche altri signori). Nella parte inferiore, l'arredo ligneo decorato con una serie di tarsie prospettiche realizzate verso il 1474 1476 nella bottega di Giuliano e Benedetto da Maiano. I pannelli urbinati dove non manca la riproduzione dell’armatura del Signore, dimostrano Come le tarsie possono essere trasformate in uno strumento per creare degli effetti di illusione spaziale, minuziosa resa veristica dei dettagli. Elementi rappresentati: simboli che alludono ad onorificenze o qualità che Federico vuole riconoscere a sé stesso ermellino con manto bianco=fedeltà, bombarda=utilizza in funzione difensiva. Tarsie lignee presentano varie rappresentazioni: doppia natura di Federico è visibile in un angolo: Federico vestito con toga da umanista, dall’altro lato dentro l’armadio si trova la sua armatura; libri, figure=virtù teologali, attribuito a Sandro Botticelli. Sotto lo studiolo ci sono due ambienti: tempietto delle muse e cappella del perdono =unione di due civiltà e momenti: pagano 21 e cristiano. Muse: Figure femminili=protettrici delle arti (poema epico, danza, musica). Muro separatorio che in realtà unisce (scritto). Tempietto delle muse ora spoglio, la ricostruzione fa capire come doveva essere: ai lati le muse (fatte da Giovanni Santi), in fondo Apollo (Timoti Olippi), decorato dai marmi. Piero della francesca a Urbino: Piero della Francesca, poter stabilirsi per qualche tempo a Urbino e nella metà degli anni 60 dipinse il Dittico Montefeltro oggi agli Uffizi, nel quale ritrasse il Duca Montefeltro, la moglie Battista sforza, sposata nel 1460. La coppia mostrata di profilo, come aveva insegnato Pisanello, ma le due figure a mezzo busto si sta io non sono sfondo di paesaggio, è come se Piero l'avesse disposti davanti a una finestra del Palazzo Ducale con dietro le colline e gli specchi d'acqua del Montefeltro. Piero Si sofferma risaltare ogni dettaglio attraverso la pittura minuziosa e luminosa, ispirata alle novità fiamminghe. Questi preziosissimi effetti eykyani sono ottenute anche grazie alla scelta di utilizzare la pittura ad olio che si riflettono nella concretezza delle carni, carni e dei tessuti, delle vesti dei due protagonisti. I due pannelli sono dipinti anche sul retro, dove Piero ha raffigurato il trionfo dei due personaggi accompagnati dalla allegoriche figure delle virtù: Federico e Battista guidano i loro carri e sullo sfondo, ancora una volta il Monte Feltro e in basso descrizione che celebrano il condottiere sua moglie. La Madonna di Senigallia Rappresenta maestose, volumetriche figure a mezzobusto che si adattano all'atmosfera ovattata e domestica di un interno rischiarato da raggi di luce filtrate dalla finestra, di chiara influenza fiamminga. Dall'altro lato è una nicchia rinascimentale, dove un paio di mensole sorreggono i brani di natura morta di un cesto e un contenitore secondo il gusto nordico. Una delle caratteristiche è quello di ricondurre ogni elemento della natura alla perfezione delle forme geometriche (porta ad astrattezza); le 5 forme. Federico torna protagonista nella Pala Montefeltro, nella Pinacoteca di Brera a Milano, Che Piero dipinge verso il 1472 1474 per Urbino. Chiuso in una lustra armatura, il duca ritratto di profilo, The voto, inginocchiato di fronte alla vergine, la quale, rega sulle ginocchia al figlio, accompagnata da una Corte di santi ed angeli. Lei ha il centro di una rigorosa composizione prospettica che al punto di fuga in mezzo al viso e continua con una assoluta razionalità nelle forme architettoniche dell'area presbiteriale in cui ordinata la sacra conversazione. Le pareti decorate con riquadri di marmi Policromi, le Scalinate capitelli fanno pensare a Leon Battista Alberti. La Pala si sarebbe adattata alla perfezione al tempio malatestiano, dimostrando che nonostante lo odio, i due condividevano i medesimi gusti. L'uovo di struzzo appeso sopra la Vergine? Si tratta di un oggetto non troppo raro tra le suppellettili liturgiche del tardo Medioevo. Piero ha voluto raffigurarlo per accentuare l'effetto tridimensionale della architettura. Tavola che segna una svolta: luogo rappresentato allude alla rinascita, come Piero costruisce le figure= ricondurre ogni elemento al rigore perfetto della forma geometrica Vergine riconducibile all’ovale quasi perfetto; fisicità, volumetria che ricorda Masaccio (Piero formato a Firenze), però in Piero manca l’espressività e la drammaticità di Masaccio; colori vivaci, brillanti, la luce legata a Venezia. Presenze fiamminghe a Urbino: Giusto di Gand e Pedro Berroguete: Voi nel Montefeltro si dovette conservare anche un dipinto di Jan Van Eyck e Giusto di Gand e Pedro Barruguete. Sceso dalle Fiandre in Italia, giusto di Gand nel 1474, Ultimava una grande Pala d'altare per Urbino, che aveva avuto una storia tormentata: il fiorentino Paolo uccello ne aveva eseguito la sola predella nel 1467-68, così nel successivo al 1469 si cercò di commissionare il resto della Pala a Piero della Francesca, ma la cosa non andò avanti. Alla fine la Pala rispondeva al linguaggio in tutto e per tutto nordico. Fu chiamato giusto di dipingere la comunione degli apostoli: Ehi, culmine dell'ultima cena, e tutti hanno abbandonato la tavola e discepoli sono inginocchiati attorno a Cristo, il quale offre il sacramento. La scenografia, le fisionomie dei personaggi e le forme degli angeli sono tipicamente fiamminghe, ad eccezione di una faccia conosciuta, è quella del Duca Federico, di profilo sulla destra a precedere un gruppo di cortigiani che assistono all'atto. Riallacciandosi al tema eucaristico, Paolo uccello aveva narrato nel giardino in sei episodi, il cosiddetto miracolo dell'ostia profanata: la storia di un ebreo parigino che aveva oltraggiato il sacramento ed essendo stato scoperto, finì al rogo insieme alla sua famiglia. La vicenda inizia con la vendita dell'ostia all'ebreo e nell'ambientazione Paolo uccello offre l'occasione allestire una scatola prospettica. Il castigliano Pedro Berruguete aveva un linguaggio chiaramente eychiano Dovuto da profondi rapporti fra la Fiandri e la penisola iberica. Giusto e Pedro collaborarono al ciclo degli uomini illustri nello studiolo del Palazzo Ducale e allo spagnolo si riconosce anche il ritratto urbinate di Federico da Montefeltro: Il duca è ripresa in un attimo di riposo, ancora in armi, siede su uno scranno intento alla lettura di un libro, mentre un 22 fanciullo elegantissimo si appoggia appena il suo ginocchio e non lo vuole disturbare. L'atmosfera intima, la luce soffusa e la pittura oleosa indaga ogni dettaglio soffermandosi sui bagliori metallici dell'armatura oppure sulle gemme luccicanti. Il bambino è Guidobaldo da Montefeltro, erede di Federico, nato nel 1472. Fortezze e città ideali: In quegli anni Federico accolse ad Urbino, il senese Francesco di Giorgio Martini, affidandogli non solo il cantiere del Palazzo Ducale, ma anche quello di rendere più sicuri i suoi domini, costruendo una serie di fortificazioni. Francesco di Giorgio fu il primo grande interprete della architettura militare, studiata per difendersi dalla potenza delle armi da fuoco. Al tema delle fortificazioni Francesco di Giorgio dedicò numerose pagine di un trattato sull'architettura, rimasto manoscritto che illustrò con svariati disegni di fortezze appositamente ideate per difendere il Montefeltro. Tra tutte le fortezze di Federico spicca la Rocca di Sassocorvaro, costruita dopo che nel 1474 il duca aveva assegnato questo borgo al Segretario Ottaviano Ubaldini della Carda. Francesco di Giorgio, progettò una fortezza che impianta ricorda la forma di una tartaruga, un aspetto quanto mai massiccio. Una teorica predilizione per edificio antropomorfico zoomorfi, si accorda la necessità di opporsi alle nuove armi da fuoco, e Compattando le mure scarpate disponendola il più possibile in obliquo per evitare di offrire ai colpi del nemico, il facile bersaglio di una superficie piana. Per questo le piante sono prive di pareti rettilinee distinte da un susseguirsi di Torrione circolare, corpi avanzati. Un'altra fortezza è la Rocca di San Leo, piazzaforte ubicata al confine con lo Stato riminese, dove Francesco ideò una coppia di poderosi torrioni Cilindrici innalzati sul limitare della rupe e Uniti da una Cortina. La novità in questo periodo non furono solo le fortezze, ma anche la nascita di città fondate su disegni urbanistici; Lo stesso Federico da Montefeltro aveva organizzato Urbino attorno al suo palazzo, accanto al quale aveva fatto costruire Francesco di Giorgio, una nuova cattedrale. Purtroppo la Chiesa non è più quella originale perché a seguito di un terremoto nel 1789 fu ricostruita in forme neoclassiche. Nella Galleria Nazionale di Urbino si conserva un dipinto noto come città ideale: dove vi è raffigurato un'ampia piazza di una città con un edificio a pianta rotonda di gusto antiquario, Chiuso letteralmente ad una serie di palazzi che fanno l'effetto di quinte teatrali. Non ci sono abitanti, si individuano solo le solide, proporzionate e forme geometriche degli edifici. Anche se spesso è stato riferito a Luciano Laurana, è bene riconoscere nel dipinto un'opera giovanile di Donato Bramante. Capitolo 16: Pio II un papa umanista tra Pienza e Siena Pienza: la città di Pio II e di Bernardo Rossellino: nel 1458 il senese Enea Silvio Piccolomini, fu eletto Papa (1405-1464) e scelse il nome di Pio II, con allusione al Pio Enea di Virgilio. Pio II scelse di raccontare la sua vita in una sorta di autobiografia scritta in latino in terza persona che intitolò commentari; Qui descrisse una grande impresa, da lui voluta, la costruzione di una nuova città che portava il suo nome, Pienza. In realtà si trattava di un piccolo villaggio vicino a Siena, dove era nato e nel quale decide di trasformarla in la vera e propria città, Dotata di diocesi di un vescovo e ricostruito in forme moderne. Affidò il progetto a Bernardo Rossellino che Approntato un piano urbanistico e incentrato su una piazza dominata dal prospetto all'antica cattedrale, consacrata nel 1462. Allestì la piazza Come un palcoscenico teatrale, adottando una pianta trapezoidale capace di dare maggiore ampiezza allo spazio e lasciando i lati della Chiesa centrali due vuoti. La cattedrale di Pienza si innalza al centro della piazza con una facciata in travertino, tripartita dalle grandi arcate a tutto sesto e sormontata da un timpano con al centro lo stemma del Pontefice. È di chiaro carattere albertiano tale da ricordare quello del tempio Malatestiano. Infatti, allo stesso modo di Rimini, l'interno della Chiesa è gotico, nelle volte a crociera o sostenuti da pilastri negli alti finestroni. Il Papa richiese a rossellino di attenersi al modello delle chiese nordiche, ossia le chiese ad Aula nelle quali la Navata centrale e le Navate laterali, condividono la medesima altezza. Ehi, dunque, la Chiesa è costruita da in cui quella centrale più ampia, mentre in Altezza si eguagliano per rendere il tempo è più elegante e luminoso; I finestroni erano studiati per diffondere la luce naturale. Il palazzo Piccolomini, sempre eseguito da Rossellino, si ispirò alla facciata della dimora che Leon Battista Alberti, aveva disegnato per Giovanni Rucellai a Firenze. organizzato come gli altri edifici del Rinascimento, attorno a un cortile centrale destinata ad essere dimora del Pontefice nei periodi di vacanze: originale del palazzo, non si coglie dalla piazza, Ma sono entrandovi aggiungendo fino alla loggia aperta sul giardino pensile, dove si erge un panorama mozzafiato. Il Papa chiese migliori pittori senesi di allora di dipingere per la cattedrale, non più politici ma Pale di formato quadrato rinascimentale, prive di Pinnacoli gotici. Il modello è bene illustrato dalla pala di Matteo di Giovanni: E sarei cane, registro principale, una luminosa Madonna con bambino e santi, affiancata dalla coronata, da una lunetta con la flagellazione, dove le figure si distinguono per un dinamismo aggressivo. Un solo aspetto della tradizione 25 prospettiva, una grande finestra a mostrare un paesaggio che sarebbe una realistica veduta di ciò che si poteva ammirare dalla dimora dei Gonzaga. È uno scorcio dell'Antico ponte di San Giorgio e del circostante bacino lacustre; Quest'immagine ha il merito di documentare come, al contrario di oggi, il ponte fosse allora coperto. Era stato il comune alla fine del dodicesimo secolo, a far costruire il ponte in un intervento per regolare riorganizzare il corso del fiume Mincio; Fu così che Mantova non fosse più circondata da palude, ma ben 5 laghi, Trasformando radicalmente il territorio E proteggendo Mantova dai nemici. La camera degli sposi: Gianfrancesco Gonzaga, padre del Ludovico, aveva chiamato Pisanello per raffrescare una sala del castello di San Giorgio con un ciclo cavalleresco di tendenze del gotico internazionale. Al contrario, invece, gli affreschi di Mantegna realizzati tra il 1465 e il 1474, hanno un carattere rinascimentale, Nella Camera picta, Meglio nota come Camera degli sposi. In quest'Aula di rappresentanza, la concretezza del racconto di quotidiano e scene di corte sono illustrate Tramite un finto loggiato coronato di festoni, dove tendaggi si aprono a mostrare il sole di personaggi su sfondi di paese. In una scena, Lodovico è seduta accanto alla moglie Barbara di Brandeburgo e di fronte alla sua Corte riceve un Segretario con una lettera. In un'altra scena, un signore mantovano incontra il figlio Francesco, ormai divenuto cardinale, il primo della casa dei Gonzaga. L'alto Prelato reca per mano il fratello minore Ludovico, che tiene a sua volta il piccolo Sigismondo, mentre accanto al Marchese si riconosce il nipotino Francesco, che ne erediterà il titolo. è una grandiosa celebrazione dinastica e Mantegna Allestisce un paesaggio dominato da una città fortificata, dove la cinta muraria è ispirata alle mura aureliane di Roma e gli stessi edifici si vestono all'antica. Queste architetture riflettono il gusto di Ludovico Gonzaga, che negli stessi anni cambiava il volto alla città con la consulenza di Leon Battista Alberti. Il soffitto della camera degli posi e il prodigio degli scorci: nel soffitto della Camera degli sposi, il tema antiquario è chiamato a fare cornice a una soluzione prospettica straordinariamente innovativa. Mantegna con la pittura finge una serie di elementi architettonici e una festosa sequenza di busti di Cesare clipeati, ossia entro un clipeo, come se fossero scolpiti in rilievo. Ogni Medaglione È identificato da una scritta e Al centro si staglia un oculo prospettico aperto su Cielo dal quale si affacciano alcuni spiritelli curiosi, con un chiaro riferimento alla piccola finestra aperta su Castel Sismondo da Piero della Francesca nel Tempio Malatestiano. Loculo della Camera è una prova dell'eccezionale capacità prospettiche di Mantegna, sia nella concezione sia nella resa tridimensionale dello spazio. Una capacità che emerge di continuo ancora negli anni 60, come ad esempio nel Cristo morto nella Pinacoteca di Brera: Innanzitutto l'opera non è dipinta su tavola, ma su tela, una cosa abbastanza inconsueta; Il soggetto è il compianto sul Cristo Morto, ma i dolenti si fanno di lato, ridotte poco più che teste piangenti. Il corpo nudo di Gesù è poggiato su una dura pietà che monopolizza la scena; Il sudario delle pieghe metalliche si cala dal bacino poco sopra le caviglie, lasciando a Mantegna un attento studio dell'anatomia. L'atmosfera e cupa, i colori sono spenti e l'artista sceglie di farci osservare il cadavere dal basso, esaltando quindi le qualità anatomiche. Leon battista Alberti a Mantova San Sebastiano e Sant’Andrea: von Leon Battista Alberti giunse a Mantova in occasione del Concilio nel 1459 e Ludovico Gonzaga. Ne approfitto per avviare con lui una collaborazione. All'artista si devono i progetti di un paio di chiese mantovane che avrebbero necessitato di un apposito direttore di lavori e in questo caso toccò a Luca Fancelli (1430-1495), Voi, un fiorentino trasferitesi sulle rive del Mincio dove strinse profondo rapporto di fiducia con il Marchese di Mantova. Verso il 1460 Leon Battista, disegno la chiesa di San Sebastiano, dall'aspetto classico del prospetto e con un'originalissima struttura rialzata su una cripta, è concepita con una pianta centrale che giocava a mettere insieme le forme geometriche del cerchio e del quadrato. Preannunciando la predilezione per gli edifici approccio greca che avrebbe percorso il maturo Rinascimento, Il risultato fu eccezionalmente moderno. Nel 1470 si diede l'avvio al cantiere intesa, ricostruire in forme moderne la chiesa medievale di Sant'Andrea, Che custodiva la venerata reliquia del sangue di Cristo, voluta dal Marchese Ludovico. Alberti studiò un ennesimo affacciati ispirata a un tempio antico maestoso e all’interno una pianta basilicale con arcata lacunari della navata e delle cappelle laterali che ricorda la grandiosità dell'antica Basilica di Massenzio a Roma. L'artista si distingue per la scelta di compattare le superfici dei suoi prospetti, preferendo le consuete colonne l’uso delle lesene. Capitolo 19: Ferrara e gli Estensi, tre pittori e un progetto urbanistico Nella Ferrara di Lionello e Borso d’Este: molto tempo prima di trasferirsi a Mantova, Mantegna aveva fatto una breve apparizione a un Ferrara, soggiornando nel 1449 presso la Corte del Marchese Leonello d'Este, stirpe degli Estensi. Anche Ferrara era un grande centro culturale e nel decennio in cui leonello d'Este fu 26 signore di Ferrara, (1441-1450) In città si incrociarono artisti eterogenei, da Pisanello a Piero della Francesca e dal fiammingo Roger Van der Weyden, Leon Battista Alberti. Nella principale piazza ai piedi del Palazzo Ducale si innalza un monumento pubblico che reca il segno del passaggio in città di Leon Battista Alberti avvenuta nel 1444. Si tratta del cosiddetto arco del cavallo, eretto nel 1450-51 dal fiorentino Nicolò Baroncelli, per sostenere un gruppo equestre in bronzo di Nicolò III Deste, distrutto nel 1796, oggi è sostituito da una libera coppia novecentesca. Baroncelli si era occupato del destriero, mentre la sovrastante statua del padre era stata eseguita dal fiorentino Antonio Di Cristoforo. La tipologia evoca il gattamelata di Donatello rispetto al quale si distingue per un'invenzione antiquaria ancor più sofisticata, ossia porre la statua equestre in cima ad un arco come modalità rappresentativa che il rappresentato sia sopra ogni altro mortale. Alla morte di Lionello Ferrara passò nelle mani del fratello borso d'Este (1413-1471) Che ebbe altrettanta passione per le arti. Una sua effige fu commissionata nel 1451 a Donatello, che allora si trovava a Padova e che tuttavia hanno rispetto l'impegno. Nello stesso anno il pittore Bono da Ferrara affrescava un San Cristoforo nella nel lato destro della Cappella Ovetari degli Eremitani, nel cantiere che avrebbe visto come protagonista Mantegna. La monumentalità del gigante che reca Gesù fanciullo sulle spalle nella raffigurazione del paesaggio, ricorda molto la pittura di Piero della Francesca. Lo stile rovente di Cosmè Tura: al tempo di Borso d'Este vi fu una vera e propria scuola pittorica ferrarese che ebbe come suo primo grande protagonista Cosmè Tura (1433-1495) e trova la sua icona in una Musa conservata a National Gallery di Londra. Voi la tavola era originariamente parte di una serie di 9 Muse destinate a decorare lo studiolo della delizia di Belfiore, una residenza degli estensi; Tura vi lavorò verso il 1458 1466. In questa figura sembra di riconoscere qualcosa di ogni grande artista che aveva frequentato Ferrara negli anni di Lionello: Pisanello, evocato nel tono cortese, mentre il perfetto valle del volto e la saldezza strutturale della giovane, La luce tersa e il panneggio attestano una buona conoscenza della pittura di Piero della Francesca. Per l'accesa e cromie, la precisione descrittiva dei dettagli viene in mente la pittura fiamminga di Van der Weyden. Questa miscela esplosiva mira a un linguaggio eccentrico: Nella posa della Musa nel fantasia del trono nel tenore metallico delle superfici sembra che Cosmè Tura abbia avuto a che fare con la frequentata bottega di Francesco Squarcione a Padova. I mesi del palazzo Schifanoia: il salone dei mesi di palazzo Schifanoia e un edificio sorto per godersi le gioie della vita. Per il salone di rappresentanza Borso d'Este chiese all'umanità e Astrologo Pellegrino Prisciani di imbastire un programma finalizzata celebrare la Corte attraverso un ciclo allegorico dei 12 mesi dell'anno che attorno al 1469 sarebbe stata affrescato da una affinata equipe di pittori ormai aggiornata sulle novità di tura. il solo nome documentato e quello di Francesco del Cossa (1430-1478) Grazie una lettera con il quale il pittore chiedeva a Borso di essere pagato per l'esecuzione delle scene di Marzo, Aprile, maggio. Il tema dei misi godeva in ambito cortese fin dal Gotico internazionale, è stata organizzata su tre registri paralleli: In alto il trionfo della divinità mitologica del mese, al centro il segno zodiacale con relative figure allegoriche e in basso uno scorcio della vita di Corte. A dominare Aprile sotto il segno del Toro è Venere trionfante su un carro trainato da una coppia di cigni sul quale compare pure Marte incatenato e tutto intorno a un gruppo di giovani accompagnato sullo sfondo dalle tre grazie e da vari gruppetti di conigli. Nel registro inferiore compare il duca Borso Mentre rientra prima da una battuta di caccia e dona una moneta al giullare di Corte Scolora, in lontananza il racconto del palio di San Giorgio. Il dettaglio del giovane seduto sul cornicione del proscenio, sufficiente rivelare quanto Francesco del corsa sapesse ben collocare le figure nello spazio. Alcuni episodi del mese di settembre sono stati riconosciuti gli esordi del terzo protagonista della pittura ferrarese, ossia Ercole de Roberti (1450-1496): Il divino vulcano trionfa sul carro, il gruppo dei Ciclopi è impegnato nelle armi nella sua fucina in cui si mostra uno scudo con la Lupa Romolo e Remo. Marte, la Vestale Ilia, dentro un letto coperto dal lenzuolo si accoppiano e dal loro amore nasceranno i gemelli, ai quali il mito segna all'origine di Roma. L’evolversi della pala d’altare: lo stile eccentrico visto nel salone dei mesi non si limitò alla raffigurazione profane, ma ebbe fortuna anche sugli altari delle chiese, Come TI mostrano un paio di palle che con il tempo sono andate purtroppo smembrate e adesso possono essere ricostruite solo virtualmente. Nella seconda metà degli anni 70 Cosmè Tura realizza un trittico centinato per la cappella della famiglia Roverella nella chiesa ferrarese di San Giorgio fuori le mura. lo scomparto centrale con la Madonna del bambino e gli angeli e al National San Gallery di Londra. Lo spazio della Pala vuole essere unico grazie alla prospettiva, le grandi arcate in scorcio degli elementi superiori alle figure sacre che sono innervate nel medesimo estro della Musa 27 di Belfiore dei mesi del palazzo Schifanoia. A seguito delle controversie sorte con Borso d'Este per i pagamenti, Francesco del Cossa si trasferì a Bologna, dove dipinse nei primi anni 70 una Pala per la Cappella Grifone nella chiesa di San Petronio. Anche questo era un trittico di formato rinascimentale che al centro Vi era San Vincenzo Ferrer e dal Registro superiore faceva affacciare l'elegante coppia dei santi Floriano e Lucia. Per la realizzazione costa si fece aiutare da Ercole de Roberti; così la pittura ferrarese iniziò a diffondersi tra l'Emilia e la Romagna. Ercole seppe dare vita ad un registro più quieto del suo linguaggio ed è quanto emerge nella Pala dipinta tra il 1479 e il 1481 per l'altare maggiore della Chiesa di Santa Maria in Porto, nei pressi di Ravenna. Si tratta dell'unica opera documentata di Ercole de Roberti che adotta un formato molto più moderno rispetto a Tura e Cossa. Le cornici divisorio sono assenti, la misura centinata adotta uno spazio unificato tramite un quadriportico all'antico, al centro del quale si erge un curioso baldacchino in cui siede la Vergine con il figlio, accompagnata da Anna ed Elisabetta. Dietro vi sono attenti studi sull'altare padovano di Donatello a cui rimanda, oppure il travestimento archeologico delle scenette evangeliche che ornano la base è il coronamento del trono. È tutto ferrarese, il piglio delle figure di Sant'Agostino e del Beato Pietro degli onesti. Quest'ultimo era stato miracolosamente scampato da una tempesta in mare, in prossimità delle coste ravennate e spiega Lo sfondo di una Marina offuscata da un cielo carico di nubi su una città portuale circondata da alture che ricorda quelle della costa Della Romagna. Un precoce progetto urbanistico: l’”addizione erculea” di Biagio Rossetti: Ferrara conobbe l’attenzione degli estensi per una razionale riorganizzazione dello spazio urbano nell’addizione erculea. Già Bolso d’Este aveva iniziato ma suo fratello e successore Ercole (1471-1505) realizza il grande progetto che permise di raddoppiare lo spazio viario, migliorare le difese militari e offrire una dimensione più aperta rispetto alle vecchie strade medievali. attorno al 1484 l'architetto Biagio Rossetti disegno il nuovo impianto urbanistico che fu realizzato tra il 1492 1510. L'addizione erculea prendeva spunto dal modello romano degli assi viari ortogonali tramandati da Vitruvio, impostando la città su due viali: L'uno sud nord collegava il castello estense con la nuova parte della città e l'altro est ovest univa porta Po con porta Mare. Il fulcro era il quadrivio degli angeli, in cui le arterie si intersecavano e sorge il poderoso palazzo dei diamanti: Progettato da Rossetti nel 1492 per Sigismondo d'Este, questo edificio deve il suo nome alla scelta di decorarne i prospetti con un bugnato marmoreo lavorato in forma di punte di diamante. Capitolo 20: gli Sforza e il primo rinascimento a Milano Filatere, realtà e fantasia: Nel 1447 Filippo Maria Visconti morì senza figli maschi, lasciandomi in eredità alla figlia Bianca Maria, che nel 1441 aveva sposato il Condottiero Francesco sforza (1401-1466); Quest'ultimo, nel 1450 si impose con come nuovo duca di Milano e la Corte milanese iniziò ad aprirsi ad un nuovo linguaggio rinascimentale. Nell'area dove sorgeva il vecchio castello di porta giovia, il duca Francesco volle ristrutturare trasformandolo in una nuova residenza fortificata. Per proteggere l'ingresso fu innalzato un possente Torrione merlato di gusto gotico, uno dei simboli di Milano; La torre originale andò distrutta nel 1521 a causa di esplosione e quella attuale, non è altro che una ricostruzione compiuta tra il 1901 e il 1905. La torre denominata del filarete, in virtù dell’attribuzione del progetto originario, allo scultore e architetto fiorentino Antonio a Berlino detto il filarete, che dopo le esperienze romane si era trasferito nel 1451 presso la Corte sforzesca. Durante il soggiorno milanese il Filarete scrisse un trattato dedicato alla progettazione di una città ideale denominata Sforzinda, in onore al suo mecenate: Questo scritto è corredato da numerosissimi illustrazioni progettuali. Sforzinda avrebbe dovuto avere una pianta perfettamente geometrica a forma di stella, centrata su una piazza centrale dominata da un'altissima torre, e nel suo seguirsi di molteplici registri, mette insieme in maniera un po’ bizzarra i caratteri rinascimentali con la tradizione gotica di gusto lombardo, anticipando l'effetto della Torre del Castello Sforzesco. Questa città non fu mai fondata, ma la miscela di stili torna nella maggiore impresa architettonica milanese del maestro: l'ospedale maggiore, fondato nel 1456. La facciata si distingue per la presenza di bifore ad arco acuto e dell'oggetto con colonne archi a tutto sesto nel registro inferiore. È la medesima cultura ibrida di gotico e Rinascimento che percorre i disegni del Trattato. Vincenzo Foppa, solidità rinascimentale e verismo nordico: La Cappella privata del fiorentino Pigello Portinari nella Chiesa domenicana di Sant Eustorgio fu consacrata la conservazione della reliquia della testa di San Pietro martire. Si ignora che abbia progettato l'architettura della Cappella, ma si comprende la chiara ispirazione e razionali moduli brunelleschi della sacrestia vecchia di San Lorenzo della Cappella pazzi a Firenze. Qui, tuttavia, si aggiungono nelle lunette negli arconi una serie di affreschi con le storie di San Pietro 30 Capitolo 22 Giovanni bellini e l’origine della pittura veneziana Gli esordi di Giovanni Bellini, sulle orme di Mantegna: Nel 300 La pittura veneziana era restia a raccogliere le novità annunciate da Giotto mantenendo una fedeltà nell’aulica tradizione bizantina; le novità della metà del 400 Stimolarono Venezia ad aprirsi al Rinascimento. In seguito al breve passaggio e laguna di Antonello da Messina, la metà degli anni 70, la luce e il colore divennero gli strumenti di rappresentanza della realtà peculiare che presto avrebbe adottato su larga scala la tecnica dell'olio su tela destinata ad imporsi in tutta Europa; due processi linguaggi distinti che confluiscono non solo temperamento. Il principale protagonista fu Giovanni Bellini detto Il Giambellino (1430-1516), un pittore che ebbe una grande capacità di prendere il meglio da maestri con il quale venne a contatto e rielaborarlo in maniera personale. Per questa ragione, le prime opere somigliano a quelle di Mantegna, mentre le ultime a quelle di Tiziano. Nato a Venezia in un ambiente artistico ancora devoto al Gotico internazionale, anche il padre Jacopo svolgeva la funzione professionale di pittore e aveva frequentato la bottega di gentile da Fabriano; La bottega di Jacopo si trovò a confrontarsi con le novità padovane di squarcione di Donatello. Inoltre, nel 1453 Nicolosi a Bellini, sorella di Giovanni e gentile, andò in sposa a Mantegna. La prima fase, impronta un stile padovano ben documentato nella pietà del museo Correr di Venezia: è una sorta di variante della pietà di Donatello per l'altare del Santo; intenerisce le durezze delle figure tipiche di Mantegna, attraverso una luce calda che leviga le forme di Cristo morto e degli spiritelli ai sui lati. Sullo sfondo è rischiarata da un cielo crepuscolare. Un borgo maturato nell'entroterra Veneto, arricchito da architettura all'antica come piacevano a Mantegna. Il rapporto tra Bellini Mantegna è ben testimoniato nel modo di interpretare il crepuscolare episodio dell'adorazione di Cristo nell'orto: Alla versione che Mantegna aveva dipinto per la Pala di San Zeno nel 1459, Bellini risponde con una tavola del museo londinese. Cerca di intenerire le durezze mantegnesca attraverso una luce calda e rischiarata dal cielo e si diffonde nella campagna in cui Cristo si inginocchia, recitare la sua preghiera. I gusti della competenza potevano imporre a Giovanni l'utilizzo di formati gotici, come nel caso della Trasfigurazione del Museo Correr: Nella zona superiore i segni di un'originaria cornice cuspidata fu mutilata per ridurre il quadro a galleria, nato invece per stare al centro di una Pala d'altare. L'episodio in cui Cristo Conversa sul Monte Tabor con Mosè Elia al cospetto dei Discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, è narrato alla maniera di Mantegna, particolarmente nella saldezza delle figure, Nelle pieghe indurite nella base rocciosa in primo piano, Facendo risalire il dipinto agli anni 50 nel 400. Bellini avrebbe dipinto la medesima scena, finire degli anni 70/1, tavola destinata alla Cappella del Duomo di Venezia, oggi al museo di Capodimonte a Napoli. La distanza fra le due versioni è enorme: lo stile è diverso, le asperità mantegnesca sono circoscritte alla sedimentazione rocciosa sul proscenio e la superficie del dipinto brilla di un'eccezionale luce visiva dovuta all'utilizzo della pittura ad olio, capace di addolcire le figure, modellare le forme; La luce si irradia nella campagna veneta. Pittura, olio, colore, natura sono i cardini della nuova pittura veneziana in cui Giovanni appare indiscutibile profeta. Antonello da Messina a Venezia e le conseguenze su Bellini: forse era ancora al 1474, quando Antonello giunse a Venezia, dove fu presto impegnata a dipingere la palla di un altare laterale della Chiesa di San Cassiano, Su committenza del Patrizio Veneziano Pietro bon. Nel Marzo 1476 il duca di Milano Gian Galeazzo sforza cercò di convincere Antonello a trasferirsi presso la sua Corte, ma Pietro bon riuscire a trattenerlo a Venezia. di questo dipinto e resta solo un lacerna della zona centrale con la Madonna con il bambino accompagnata dalle frammentarie figure dei santi Nicola, Maddalena, Orsola e Domenico. Con una ricostruzione si può dimostrare la costruzione originale: il gruppo della Vergine con il figlio in trono al di sopra di un alto basamento accompagnata da santi laterali, entro una sola in architettura di un abside preziosa. È una sorta di risposta veneziana, la Pala Montefeltro di Piero della Francesca, che avrebbe avuto un'enorme successo sulla laguna e inaugurarla fu probabilmente Giovanni Bellini. Quest'ultimo aveva messo appunto un assetto simile a quello della Pala di San Cassiano in un dipinto per la chiesa veneziana dei santi Giovanni e Paolo, compiuto nei primi anni 70, andato perduto. Nel 1480 il pittore rispose con una monumentale Pala per la chiesa di San Giobbe: è un'opera che della Pala di San Cassiano e riprende non solo il modello ma anche le qualità luministiche naturali delle figure degli oggetti; In entrambi i dipinti, ad esempio, San Domenico appare con la tonsura dei capelli, tipica dei frati, sprofondato nella lettura. Eh? Similare anche nella convergenza di stile, infatti, entrambe le scene si compiono in un abside spaziosa e moderna, messi in prospettiva in una calotta decorata a mosaico che esalta le radici bizantine. A Venezia, Antonello lascia una piccola tavola in cui raffigurò San Girolamo nello studio come se fosse un umanista del 400, seduto di fronte 31 alla sua scrivania in mezzo e sui libri; La scena si svolge al di là di una sorta di finestre illusionistica, le forme di un arco gotico catalano, così come le maioliche nel pavimento e che seguono un ordinato ordito spaziale. L'intera composizione è sorretta da una rigorosa prospettiva italiana, evidente nella costruzione tridimensionale. Del pacchetto in cui siede la figura del Santo e nella fuga prospettica in cui passeggia il Leone. Il particolare uso della luce, la minuziosa cura dei dettagli, invece, sono di un linguaggio nordico. Nel 1525 fu vista Venezia a Casa del Patrizio Alvise Pasqualino da Marcantonio Michiel. Il siciliano lasciò molti dipinti di ritratti a Venezia. Fra questi vi era il giovane con veste rossa, rappresentato di tre quarti sul fondo. Cure corredati in basso da un cartellino con la firma e la data 1474. Giovanni, Usalo identico schema adottato alla posa di tre quarti, dimostrando di aver compreso a pieno il valore delle Novità antonelliana. Fa l'effetto di ritratto che emerge dal fondo scuro di radice fiamminga, con una concretezza a tutta italiana, la malinconica annunciata di palazzo Abatellis a Palermo: Al di sotto del solito velo e la guarda umilmente verso di noi cercando l'angelo che l'ha disturbata dalla lettura, dove il libro è aperto sul leggio posto sullo spigolo delineato dalla luce a dare un senso di spazio tridimensionale. Fu eseguito per Venezia, il laterale di un trittico nella chiesa di San Giuliano e il celebre a San Sebastiano di Dresda: Un dipinto in cui Antonello appare più italiano che mai, nei comignoli veneziani degli edifici, nella perfetta scansione spaziale e nel plasticismo di un nudo che ricorda le figure di Piero della Francesca. Le avanzate esperienze e modi stilistici assorbiti nella penisola sono fusi e armonizzati. La profondità del palcoscenico in cui Sebastiano subisce il martirio, enfatizzata dalle linee prospettiche della pavimentazione, dagli scorci del frammento di una colonna in primo piano e dall'uomo sdraiato a sinistra. Questo è uno degli ultimi lavori del maestro siciliano che nel 1477 torna a Messina e muore nel 1479. Resistenze gotiche Carlo Crivelli e Alvise Vivarini: A Venezia negli anni 70 del 400, ancora il gotico era duro a morire, Rispondendo alle esigenze di committenze meno aggiornate rispetto a quelle della capitale, infatti maestri e dipinti viaggiavano sulla stesse rotte commerciali delle mercanzie. Il pittore Carlo Crivelli, nato a Venezia nel 1430, formatosi alla scuola padovana dello squarcione decise negli anni 60 di stabilirsi nelle Marche, dove ottenne un grande successo Divulgando una pittura che esaltava colossale politici di formato gotico. Uno di questi fu compiuto nel 1473 per la cattedrale di Ascoli Piceno: Un complesso di 5 scomparti e due registi sul fondo oro che esalta i caratteri tipici dello squarcione, tanto nell'espressione nervose dei panneggi quanto nel festone di frutta che corrono al trono in cui siede la Vergine col figlio al centro. È questo è il linguaggio che crivelli destino nei decenni seguenti prima di morire ad Ascoli nel 1495. La bottega dei Vivarini tenne invece la propria base nella laguna nell'isola di Murano, il Capostipite fu Antonio, un pittore di formazione gotico internazionale, che assieme al suo compare Giovanni d’Alemagna, fu coinvolto nel 1448 nelle vicende iniziale del cantiere della Cappella Ovetari di Padova. Il fratello Minore Bartolomeo, il figlio Alvise nel corso della carriera verrebbero comprese il valore delle esperienze di Giovanni Bellini. Nel 1476, Alvise dipinse un polittico per il convento francescano di Monte Fiorentino Nel Montefeltro, dimostrando di avere ben assimilato Le novità padovane. Lo spazio infatti, unificato attraverso il pavimento i santi Francesco, Pietro, Paolo e Giovanni Battista negli Scomparti Laterali e la Vergine al centro, la quale siede su un trono solide, molto semplici e tenendo il bambino disteso sulle ginocchia. Sono immagini che assumono consistenza anche grazie alla nitidezza della luce tersa, A dipendenza della volontà di seguire le sperimentazioni di Bellini. Il gusto Albertiano a Venezia, Giovanni Bellini, Mauro Codussi e Pietro Lombrardo: Verso il 1475 Bellini dipinse una Pala per la chiesa di San Francesco a Pesaro e testimonia la volontà dell'ambiente artistico veneziano di aprirsi alle suggestioni del linguaggio antiquario e prospettico di Leon Battista Alberti. Il dipinto illustra l'incoronazione della vergine con quattro santi: Un soggetto che nella tradizione era associata alla forma del politico Gotico e Giovanni interpreta in maniera nuova. Le figure di santi che avrebbero dovuto stare negli scomparti laterali, si raccolgono di fianco a Cristo e alla Vergine nell'unica scena delimitata a una preziosissima cornice intagliata, in cui risaltano le storielle della pretella e le piccole figure di santi dei pilastrini laterali, mentre sul coronamento una pietà. L'aspetto più innovativo e nella rigorosa razionalità prospettica del pavimento del trono decorato con motivi di gusto antiquario e che sulla spalliera si apre un quadro nel quadro, una veduta di paese sovrastata da un castello. È come se Bellini volesse combinare due mondi diversi, la natura e il colore che si imporrà nella pittura veneziana con la cultura prospettica, il recupero dell'antico di Leon, Battista, Alberti e Piero della Francesca. 32 Sul finire degli anni 60, Mauro Codussi (1440-1504) Avviò il cantiere della Chiesa di San Michele nell'isola, dando una svolta all'antica architettura veneziana. L'edificio sorge nell'isola della laguna intitolata San Michele. Si distingue per la candida facciata coronata ai lati da una coppia di volute al centro da un ampio timpano arcuato; Una soluzione ispirata Leon Battista Alberti nel Tempio Malatestiano a Rimini. San Michele in isola fu il primo edificio rinascimentale della laguna e il motivo del timpano arcuato e del prospetto sarebbe divenuto canonico delle chiese veneziane di fine 400. Si ritrova anche nella chiesa di Santa Maria dei miracoli con uno scrigno di marmi Policromi e realizzata a partire dagli anni 80 su progetto Di Pietro Lombardo (1435- 1515); L'edificio testimonia il diffondersi del gusto albertiano nella laguna. Pietro Lombardo, tuttavia, si formò a Padova, dove ultimò nel 1467, il monumento sepolcrale del giurista Antonio Rosselli nella Basilica del Santo di chiaro modello delle tombe Bruni e Marsuppini scolpite da Bernardo Rossellino e desiderio da Settignano in Santa Croce a Firenze. Un alieno in Laguna, il Bartolomeo Colleoni del Verrocchio: Nella seconda metà degli anni 80 si cominciò a ristrutturare la scuola grande di San Marco, che avrebbe avuto una facciata progettata da Mauro Codussi. Nella piazza si innalzò il colossale monumento equestre che avrebbe superato in audacia il gattamelata di Donatello. Per rendere onore al Condottiero Bartolomeo Colleoni, nel 1480 la Repubblica recluta Andrea del Verrocchio che dovette realizzare un modello a grandezza naturale della scultura. Tuttavia, verrocchio morì nel 1488, lasciando il lavoro non compiuto che fu completato dal veneziano Alessandro Leopardi ed inaugurato nel 1496. Quando giunse a Venezia, Verrocchi era al culmine della sua carriera e dimostra di sapere andare oltre all'esempio donatelliano in due modi: Accentuando tanto la resa espressiva del volto del condottiero quanto il dinamico destriero. Che siano tre zampe laddove l'equino donatelliano appoggiava su tre zampe a terra e una su una sfera. Verso il nuovo secolo: umanesimo e cultura antiquaria Lineamenti storici: a meno di un anno dalla caduta di Costantinopoli (1453) a Lodi, in Lombardia fu siglata la pace tra la repubblica di Venezia e il ducato di Milano, passato agli Sforza, che garantì stabilità negli assetti territoriali e politici fino alla fine del 400. Le principali potenze dell’Italia erano: Venezia, Milano, Repubblica di Firenze, lo stato della chiesa e il Regno di Napoli degli Aragonesi, Mantova con i Gonzaga, Ferrara con Estensi e Urbino con Federico da Montefeltro. A Firenze, i discendenti dei Medici dovettero fronteggiare un complotto della famiglia de’ Pazzi con alleati il papa Sisto IV e Ferdinando d’Aragona. Fu così che Lorenzo de Medici nel giro di pochi anni raggiunse una pace che consolidò i confini della repubblica dando vita all’età di Lorenzo il Magnifico. Francesco della Rovere (1414-1484) entrò nell’ordine francescano e insegnò grazie alla sua formazione umanistica; nel 1471 divenne papa con il nome di Sisto IV e si distinse per il mecenatismo e nepotismo. L’attenzione per Roma diede vita a opere pubbliche come la Biblioteca Vaticana e la costruzione della Cappella Sistina (1480-82). Attraverso il nepotismo fece diventare suo nipote Giuliano pontefice, con il nome di Giulio II, oppure assegnò signorie a parenti più stretti. Ad aiutare Lorenzo de Medici fu il sultano Maometto II che occupò Otranto e minacciava direttamente Roma e Napoli. Così i due alleati della famiglia Pazzi fecero pace con Firenze e riconquistarono Otranto per espellere i Turchi. Nel 1479 la repubblica di Venezia aveva raggiunto un accordo di non belligeranza con il sultano che gli garantì scambi commerciali e artistici, tanto che il pittore Gentile Bellini soggiornò dal 1479 al 1481 a Costantinopoli. Il re di Francia Carlo VIII, essendo nipote id Maria d’Angiò, vantava di un diritto ereditieri sul regno di Napoli e nel 1494 valicò le Alpi e cacciò gli Aragonesi, ma per breve tempo a causa di un’insurrezione filo aragonese. Ciò diede vita al periodo delle “guerre d’Italia” tra le grandi potenze straniere: Luigi XII, non solo rivendicò il trono di Napoli, ma anche il ducato di Milano e nel 1499 i francesi presero Milano, tuttavia, si scontrò con il re di Spagna Ferdinando il cattolico. I due sovrano ratificarono il trattato di Lione con il quale Milano diventava francese e Napoli spagnola. Morto Loreno il magnifico il figlio non seppe opporsi all’arrivo dei francesi in toscana e fu cacciato da Firenze. La repubblica fu guidata dal domenicano Girolamo Savonarola, dove opponeva ogni tipo di lusso e aspirava a farla diventare una ideale città cristiana. Fu accusato di eresia e fu impiccato e arso in piazza della Signoria nel 1498. La nuova repubblica promuoveva le arti come strumento per esprimere i propri valori civili. Tra i bersagli di Savonarola vi furono gli eccessi e licenze degli ecclesiastici come lo spagnolo Rodrigo Borgia, papa con il nome di Alessandro VI dal 1492 al 1503, celebre per la sua dissolutezza nella vita e le sue amanti. Roma continuò ad essere capitale artistica in espansione e celebri artisti si fecero strada nella città, come il giovane Michelangelo, capace di imitare le sculture antiche e lavorare il marmo. 35 Le favole pagane di Sandro Botticelli: Sandro Botticelli realizza la primavera (1478-82) e la nascita di Venere (1482-85) su committenza di Lorenzo di Pierfrancesco Medici. Primavera: al centro la dea dell’amore Venere che si erge in mezzo a un bosco di aranci e infinite specie vegetali, accompagnata in alto da Cupido bendato; alla sua sinistra il vento di primavera Zefiro rapisce per amore la ninfa Clori, dove la loro unione da vita a Flora, la personificazione della primavera che veste di un abito ricamato di piante e incede spargendo fiori. A destra danzano le tre grazie, mentre Mercurio scaccia le nubi. La lettura deriva da una serie di testi latini e che interpretano secondo quella che riconduciamo alla filosofia neoplatonica. Nascita di Venere: la dea sopra una conchiglia approda sull’isola di Cipro, sospinta dal vento di Ponente Zefiro e accolta da un’ancella nelle vesti della primavera che le porge un manto fiorito per coprirla; Episodio tratto da Metamorfosi di Ovido. Botticelli rinuncia alle predilezioni prospettiche della pittura fiorentina del 400 e propone scene senza resa spaziale; le figure appaiono bidimensionali e prive di vigore plastico, proponendo una visione di un paradiso divino e ideale. Il compimento della Cappella Brancacci: nello stesso periodo (prima metà anni 80) Masaccio e Masolino avevano lasciato incompiute le storie di san Pietro, che erano state ultimate da Filippino Lippi, figlio illegittimo di Filippo Lippi e formatosi con Botticelli; dalla pittura di Sandro dipendono le sue opere più antiche come i tre arcangeli e tobiolo della Galleria a Torino. Per completare il ciclo filippino adottò un dialogo di austerità massaccesca, con una composizione severa e semplificata, priva di attenzione agli ornati come si vede nella crocifissione di San Pietro. Nelle forme dei volti e dei panni si riconosce la resa grafica simile a Botticelli. Ghirlandaio e Filippino, le influenze della pittura fiamminga e l’antico: le cappelle familiari in edifici pubblici furono realizzati da Domenico Ghirlandaio (1449-1494) nella Cappella Sassetti in santa Trinità e in quella Tornabuoni in santa Maria novella, dove a Filippino Lippi si deve inoltre la Cappella strozzi. Le vedute d’insieme dei tre ambienti si trovano ad avere a che fare con spazi gotici costruiti molto tempo prima, contraddistinti da volte a crociera e lunghi finestroni a sesto acuto; i nuovi affreschi adottano un allestimento di gusto antiquario tramite elementi architettonici dipinti in maniera illusionistica. Ghirlandaio e la cappella Sassetti: Francesco Sassetti dirigeva un banco mediceo e volle per la sua cappella che fosse decorata con una serie di episodi della vita del suo santo onomastico, Francesco d’Assisi e affidò il lavoro a Domenico Birgordi, detto il Ghirlandaio, che lo realizzò tra il 1482 e 1485. Soprannome ereditato dal padre Tommaso, un orafo specializzato nella realizzazione di Ghirlande; dopo l’apprendistato con Alesso Baldovinetti (“pittore di luce”), entrò in contatto con Verrocchio, dove elaborò un linguaggio chiaro e sereno che lo rese famoso. Nelle storie illustrate scelse di ambientare alcune scene a Firenze, come nella Conferma della regola appare Piazza della signoria; in primo piano una serie i personaggi tra il quali, il committente in abito rosso sulla destra. Al centro della cappella vi è una sorta di Trittico costituito dalla pala d’altare con l’adorazione dei pastori e le figure inginocchiate del Sassetti e sua moglie Nera Corsi di lato; nel sarcofago adattato a mangiatoria e nelle lesene della capanna si leggono richiami all’antico, mentre nel verismo dei pastori e committenti si legge un omaggio alla pittura fiamminga. Un riferimento è al Trittico Portinari, dipinto attorno al 1477-78 dal pittore di Gand, Hugo van der Goes (1440-1482) su commissione di Tommaso Portinari, direttore di un banco mediceo. L’opera fu inviata per nave dalle Fiandre a Firenze, dove giunse nel 1483 per essere collocata nella chiesa di sant’Egidio. Al centro troviamo la natività, con tono rustico dei pastori e accompagnata ai lati da uomini e donne di casa Portinari, inginocchiati. La pala con l’apparizione della Vergine a San Bernardo di Chiaravalle di Fililppino Lippi si conserva nella Badia Fiorentina e risale alla metà degli anni 80 del 400, un dipinto carico di suggestioni nordiche nella definizione di dettagli, nel realismo del committente Francesco del Pugliese raffigurato a bezzo busto e nell’accensione cromatica del paesaggio. Filippino è stato capace di adattare il suo linguaggio alle esigenze e farlo maturare reagendo alle novità. Nel settembre del 1485 Domenico Ghirlandaio affrescò la cappella maggiore della chiesa di Santa Maria Novella, su committenza di Giovanni Tornabuoni, zio di Lorenzo il Magnifico e prevedeva un programma delle storie della vergine e di San Giovanni battista, completate nel 1490. Nella natività della vergine vi è una grande resa illusionistica nell’accurata descrizione di una scena domestica, con le donne Tornabuoni ritratte nel fare visita alla donna e i ricchi arredi della camera. Una camera simile, ma più austera, torna nella scena della nascita di San Giovanni battista. Il registro antiquario si esalta nell’episodio in cui l’angelo compare nel tempio ad annunciare a Zaccaria la futura nascita del Battista, con una scenografia di arco romano e numerosi membri ad assistere. 36 La cappella Strozzi fu affrescata da Filippino Lippi con le storie dei santi Filippo e Giovanni Evangelista, concluso nel 1502, dieci anni dopo la morte del committente. Studiando l’antico a Roma, Filippino dette al suo linguaggio una svolta in senso archeologico; nella scena del martirio di San Giovanni Evangelista il protagonista è immerso in un pentolone di olio bollente del quale uscirà illeso e si distingue per la narrazione appassionata e la carica espressiva dei personaggi, ma anche per il gusto antiquario palesato nelle vesti dei centurioni e nella presenza di trofei. Il monumento sepolcrale di Filippo Strozzi è dovuto a Benedetto da Maiano, maggiore scultore dell’epoca e maestro di Michelangelo. Il giardino di San Marco, gli esordi di Michelangelo e la scultura: Michelangelo Buonarroti nacque nel 1475 a Caprese in provincia di Arezzo e il padre lo mandò a formarsi nella bottega di Domenico Ghirlandaio. Il giovane apprese le tecniche pittoriche nel cantiere della cappella Tornabuoni dove diede prova della sua bravura. Le vite di Vasari e la biografia ufficiale pubblicata nel 1550 da Ascanio Condivi furono la principale fonte per la ricostruzione della carriera del grande maestro che visse fino al 1564. Grazie alle fonti possiamo dire che la vera formazione avvenne nel Giardino di San Marco di Lorenzo il Magnifico, dove si intraprendevano lo studio della pittura, scultura, architettura attraverso lo studio e il disegno dell’arte antica e dei maggiori artisti fiorentini dell’400. Anche Michelangelo si esercitò disegnando le figure affrescate da Masaccio nella Cappella Brancacci come testimonia un disegno in cui Michelangelo ha copiato la figura di San Pietro in atto di pagare il tributo. Le sculture sono esposte nella casa Buonarroti a Firenze, come la Madonna della scala dove l’ispirazione donatelliana è evidentissima nell’utilizzo dello “stiacciato”, nei panni aderenti e nelle forme della vergine e dei bambini. A indirizzare lo studio di Donatello fu certamente Bertoldo di Giovanni (1440-1491), ultimo allievo e assistente di Donatello e a cui Lorenzo aveva affidato la custodia del Giardino di San Marco. Michelangelo sperimentò un linguaggio diverso nella Battaglia dei centauri, dove il tema era un espediente per studiare il movimento e le pose dei corpi. Non è mai stato completato, un vero e proprio groviglio di nudi dove si rinuncia allo stiacciato e si fa concretamente emergere dal fondo delle figure solide, volumetriche e carnose. Poco dopo il 493 Michelangelo intagliò un crocifisso ligneo per la chiesa di Santo Spirito, era la prima opera pubblica, destinata alla chiesa agostiniana costruita nel 400 su disegno di Brunelleschi. Le forme piene e levigate sono segno di Benedetto da Maiano e la perfezione della descrizione dipende dal fatto che il giovane maestro aveva avuto la possibilità di sezionare e studiare i cadaveri. Attraverso le gambe Michelangelo annuncia la sua futura “maniera” dove avranno un ruolo chiave le figure colte in movimenti innaturali, ma cariche di energia. Capitolo 24: la corte di Roma, dalla cappella Sistina alla scoperta delle grottesche Melozzo da Forlì, un affresco per la biblioteca di Sisto IV: nel 1475 papa Sisto IV sancì con una bolla la fondazione della biblioteca Vaticana, una vera e propria istituzione, dove il ruolo di bibliotecario cadde in Bartolomeo Sacci detto il Platina (1421-14841); il papa volle che le aule fossero decorate e in un affresco si fece ritrarre nel momento della nomina del Platina come bibliotecario, ambientata in un proscenio di una luminosa navata con un soffitto a cassettoni, pilastri squadrati e arcate a tutto sesto secondo il linguaggio architettonico rinascimentale. Il papa siede di profilo ed è accompagnato dai familiari mentre il Platina è inginocchiato al centro. L’affresco si trova di fronte all’ingresso e realizzato con caratteri prospettici dal sotto in su, eseguito verso il 1477 da Melozzo da Forlì (1438-1494), famoso come esperto di prospettiva. Richiama la camera degli sposi appena terminata da Mantegna a Mantova (1474), giocato sui valori della luce, tridimensionalità e l’accentuata fuga della scenografia. Richiama la dimestichezza di Piero della Francesca, dove Melozzo la apprese a seguito di un soggiorno ad Urbino. Nella Roma sistina si ristrutturavano edifici in forme nuove, come la chiesa di Santa Maria del Popolo dove si venerava un’antica immagine della Vergine dipinta da San Luca e dove la pala in formato di tempietto all’antica fu realizzata da Andrea Bregno. La cappella sistina: la cappella sistina è un involucro in mattoni, mosso da una merlatura che contiene un’aula rettangolare, coperta da una volta, attribuita secondo Vasari a Baccio Pontelli, realizzata nel 1477-81 sotto la direzione di Giovannino de Dolci. A ciò si contrappone l’interno pieno di colori, dal pavimento in marmo fino alla volta, affrescata attorno al 1481-82: in basso uno zoccolo con finti arazzi, poi una serie di riquadri narrativi e in quello successivo ai lati dei finestroni, alcune figure di papi entro nicchie illusionistiche e infine la volta con un cielo stellato di tipo medievale, come il precedente nella Cappella degli Scrovegni di Giotto, realizzato dal pittore umbro Pier Matteo d’Amelia. Oggi al posto del cielo vi sono le storie della Genesi di Michelangelo e il giudizio universale nella parete terminale, cancellando alcuni affreschi fondamentali per la comprensione del significato: andò perduta l’assunzione della vergine con il ritratto di Sisto IV che ricordava come la cappella 37 fosse intitolata alla madonna assunta; furono inoltre distrutte alcune immagini di papi e gli episodi della nascita di Mosè, la natività di Cristo. Erano le scene iniziali della storia nel secondo registro che raccontavano da un lato la vicenda di Mosè, ero dell’antico testamento, e dall’altro quella di Cristo, protagonista del nuovo testamento. Sisto IV fa realizzare questo ciclo tenendo conto e giustificando la continuità della chiesa sulla base della storia, addirittura partendo da Mosè fino alla consegna delle chiavi di Cristo a San Pietro, ossia la fondazione della chiesa. Sisto IV arruolò una equipe di pittori giunti dalla Toscana e dall’Umbria come Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli e Cosimo Rosselli e una serie di aiutanti. Ghirlandaio realizzò la vocazione di Pietro e Andrea dove la scena si apre in una veduta di un lago, da un lato Cristo che chiama a sé Pietro e Andrea e dall’altro Giovanni e Giacomo; dalla folla emerge la passione ghirlandaiesca per i ritratti; vi è un’ordinata serenità data dalla pittura di luce e dal rigore di Masaccio. A Sandro Botticelli si attribuiscono tre storie: le prove di Mosè, Le prove di Cristo e la punizione dei ribelli. Quest’ultima voleva sottolineare la pena riservata a chi non rispettava l’autorità ecclesiastica derivata da dio, attraverso un episodio dell’antico testamento, ambientato in un paesaggio lacustre dell’Italia centrale, con un arco di trionfo antico. Le figure tendono ad essere più bidimensionali che volumetriche, molto differente dalla scena di fronte realizzata da Pietro Perugino. Perugino e il nuovo stile umbro: L'episodio della consegna delle chiavi nella Cappella Sistina, realizzato da Perugino e presenta una scena ben ordinata: in primo piano al Centro Pietro si inginocchia a ricevere due enormi chiavi dal giovane Gesù, dai capelli lunghi, sotto lo sguardo degli apostoli e di altri personaggi in abiti quattrocenteschi, due dei quali sulla destra, recano un compasso e una squadra identificati come Baccio o Pontelli e Giovannino de dolci, ossia il progettista e il direttore del cantiere sistino. l'Ambientazione si svolge su una piazza Pavimentata con grandi lastre di Candido marmo che indirizza la fuga prospettica verso l'edificio a pianta centrale e disposto sul Fondo e allude al tempio di Salomone, affiancato da due archi antichi che richiamano le forme di quello di Costantino e in lontananza un quieto paesaggio. In secondo piano si muovono eleganti figure e narrano due ulteriori episodi evangelici, il tributo della moneta e la tentata lapidazione di Cristo. In questo episodio l'ordine, una precisione di una composizione prospettica scandita su dei piani diversi e illuminata da una luce chiarissima, fa risaltare le forme tridimensionali dei protagonisti e dell'architettura, coerenti con il gusto del 400. Pietro Vannucci, fu detto Il Perugino perché era nato verso il 1450 città del Piave, non troppo distante da Perugia e Quando dipinse la consegna delle chiavi, il perugino era già un maestro affermato, tanto che Sisto IV gli affidò alle pitture perdute nella parete dell'altare e Tre ulteriori storie della Cappella Sistina. In lui, quindi, si può riconoscere il vero regista del ciclo, anche perché in quasi tutte le scene ricorre lo stesso tipo di paesaggio sereno e verdeggiante, punteggiato da alberelli magrissimi, che ricorda la terra natia. Perugino si formò a Firenze come allievo di Andrea del Verrocchio e Trova conferma nelle figure del Cristo e degli apostoli più giovani, nella consegna di delle chiavi che sembrano ispirate dalla grazia del gruppo verrocchiesco dell'incredulità di San Tommaso di Orsanmichele. Deriva dal verrocchio anche il modo di accartocciare, i lunghi mantelli in ampie pieghe e l'evidenza della luce cristallina. Nel cantiere sistino ebbe numerosi assistenti, fra tutti il giovani pittore Bernardino di betto detto il Pinturicchio (1456-1513), che con Pietro Aveva collaborato anche le storie di San Bernardino nel 1473. Pinturicchio si affermò presto a Roma, rielaborando in maniera personale alcune soluzioni del maestro, come evidente, ad esempio, la derivazione della consegna delle chiavi nell'affresco con i funerali di San Bernardino nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma. Appartiene al ciclo delle storie di San Bernardino, dipinto alla metà degli anni 80 in una Cappella che apparteneva Nicolò Buffarini, un avvocato che lavorava per la curia. Perugino si Mosè fra Perugia Roma e Firenze, dove stabilì la sua bottega e nel trapasso fra la stagione di Lorenzo il magnifico e quello del Savonarola, maturò nuovo linguaggio che è ben rappresentato nella Pala compiuta nel 1493 per la chiesa di San Domenico a Fiesole, oggi agli Uffizi. Ritroviamo una serenità nel paesaggio umbro, davanti a un semplicissimo loggiato, la Madonna con il bambino siede al centro su un piedistallo ornato con motivi antiquario, ed è affiancata da San Giovanni Battista, che piega la testa e San Sebastiano che, pure, infilzato dai dardi, non esprime dolore. Il suo successo arrivò in Lombardia alla Corte di Ludovico Il Moro, il quale gli commissionò una Pala per la Certosa di Pavia e Isabella d'Este, invece, un dipinto per il suo studiolo di Mantova. Tutte queste opere condividono l'utilizzo della pittura ad olio, quanto il medesimo linguaggio che adottò fino alla fine della sua lunga vita nel 1523, Ripetendo all'infinito i medesimi modelli. 40 dopodiché Pinturicchio lo coinvolgeva nell'impresa della Liberia Piccolomini E andava cercando nuovi stimoli che li avrebbe trovati presto a Firenze, Incontrandomi che Michelangelo e soprattutto Leonardo. Capitolo 25: la Milano di Ludovico il Moro e altre esperienze lombarde Leonardo a Milano: nel 1483 Leonardo da Vinci è attestato a Milano e vi sarebbe rimasto fino al 1499 al servizio della corte di Ludovico Maria Sforza detto il Moro, un signore appassionati oltre che di armi, di lettere e arti. Leonardo si propose come pittore a tutto tondo, testimoniato da una lettera di presentazione conservata all’interno del Codice Atlantico nella quale elenca le proprie competenze, soffermandosi sulle capacità di ingegnere militare e di macchine da guerra. Leonardo voleva realizzare il monumento equestre in onore di Francesco Sforza, ma non fu mai portata a compimento; elaborò una soluzione inedita, immaginando il duca in groppa a un destriero impennato su due zampe al di sopra di una figura distesa e sconfitta; lo attesta un disegno. Entro il 1493 realizzò un modello al vero in terracotta ma non andò oltre con la complicata fusione. Si occupò del sistema dei Navigli: i canali navigabili, dove Leonardo in veste di ingegnere idraulico studiò sistemi di chiuse per risolvere il dislivello e realizzò nella “conca dell’incoronata” una coppia di portelli per regolare la portata d’acqua. Nel 1483 Leonardo dipinge la pala per la cappella della confraternita dell’Immacolata Concezione nella chiesa di San Francesco Grande, dove l’edificio è andato distrutto ma del dipinto sono arrivate fino a noi due versioni. La più antica, conservata al Louvre, la vergine delle rocce presenta la Vergine seduta a terra su un paesaggio roccioso e allarga le braccia, a destra a proteggere sotto il mantello il piccolo san Giovannino, inginocchiato a mani giunte e rivolto verso Cristo fanciullo. Nudo in primo piano con le gambe incrociate e accompagnato da un giovane angelo, questi benedice il compagno di giochi; la composizione si regge, non solo sulla disposizione piramidale, ma anche sulla calcolata rispondenza dei loro gesti, le figure appaiono palpitanti di vita, grazie allo sfumato una tecnica che attenua i contorni, tendendo a fondere attraverso il colore, con l’aria umida della scena. Lo sfondo è rappresentato da uno specchio d’acqua circondato da montagne rocciose e nebbiose. Prospettiva aerea=data dall’area che in realtà si muove e separa una cosa dall’altra; contrapporre lo sfondo scuro da un primo piano con incarnato chiaro dei soggetti, non ricorre alla linea (linea tratteggiata). Moti dell’animo si traducono in espressioni dei volti, dialogo muto espresso attraverso i gesti, sguardi. La seconda variante realizzata attorno al 1506-08, al national Gallery di Londra, presenta un’atmosfera più limpida, grazie ai toni azzurri del manto della Vergine e delle lontane montagne. Tutto è più definito: l’angelo evita di indicare e le aureole sono sospese sulla testa. La dama con l’ermellino conferma la notevole abilità di ritrattista: dal fondo scuro emerge una giovane ben vestita, con il perfetto ovale del volto sottolineato dai capelli lisci raccolti in un velo e una treccia, secondo la moda dell’epoca; Tra le mani ha un candido animale, simbolo di purezza. Realizzato verso il 1489-90 quando Ludovico sposò Beatrice d’Este. La luce intensa ricorda i ritratti della pittura fiamminga di Antonello da Messina; le loro teste scartano rispetto ai corpi, in una gestualità che suggerisce il movimento. La più ambiziosa impresa fu l’ultima cena (cenacolo) rappresentata nella parete principale del refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, compiuto entro il 1498, utilizzando non l’affresco: dipingeva su intonaco asciutto della parete e ritoccava continuamente le figure per perfezionarle. Fu un lavoro accurato, lento e lunghissimo, però a causa della tecnica il dipinto è arrivato assai deteriorato. Per la luce soffusa e l’adozione dello sfumato si respira un’atmosfera simile alla vergine delle rocce, ma il paesaggio è un salone privo di ornati e aperto sul fondo da tre finestroni dai quali filtra la luce. Le figure sono rappresentate in gruppi di tre che formano gruppi piramidali. La novità sta nella scelta del tema: l’annuncio del futuro tradimento che provoca negli apostoli turbamento, reso attraverso la gestualità attraverso i gesti e le espressioni Leonardo vuole rendere i moti dell’animo dei personaggi. Stesso tema ma di carattere diverso è l’ultima cena che Domenico Ghirlandaio verso il1480, realizza per il refettorio di Ognissanti a Firenze: anche qui Cristo annunciava il tradimento ma la reazione è meno concita, le figure appaiono timide e poco disinvolte, mentre quelle di Leonardo si proiettano verso la maniera moderna. Bramante pittore e architetto: prima di Leonardo a Milano vi era Donato Bramante (144-1514), proveniente da Urbino, segnato dalle esperienze di Piero della Francesca. Questa influenza è ben evidente nella tavola della pinacoteca di Brera, datata 1490 (cristo alla colonna) e raffigurante Cristo di mezza figura, attentamente studiato nell’anatomia e legato a una colonna di forme di un pilastro e decorato con motivi antiquari. La luce 41 netta e risoluta fa apparire il torso di Gesù levigato come una statua di marmo e i capelli riflettono filamenti metallici. Dalla finestra si scorge uno specchio d’acqua con un paesaggio di colline verdeggianti e lontane montagne rocciose. Bramante fu specializzato soprattutto in architettura, e fu coinvolto nel cantiere della chiesa di Santa Maria presso san Satiro dove seppe usare la prospettiva per risolvere un problema di spazio. La muraglia in fondo alla chiesa era priva di superficie necessaria per il prolungamento, così Bramante ricavò, al centro della parete rettilinea un vano illusionistico capace di fingere la profondità di molti metri. L’occhio ha la sensazione che dietro l’altare si estenda un coro capiente, sormontato da una arcata. Ebbe anche un ruolo per il cantiere della chiesa di Santa Maria delle Grazie per rinnovare il presbiterio e il tiburio, che reimpostò la superficie in un grande quadrato con una luminosa cupola e due absidi e sul fondo dell’area presbiteriale. Le pareti esterne evidenziano il gusto lombardo per la bicromia e la profusione decorativa resa con elementi all’antico. Cantieri lombardi, la certosa di Pavia: la facciata con l’esuberanza cromatica e ornamentale sembra un’architettura gotica, mancante delle cuspidi, ma osservando meglio si notano elementi architettonici rinascimentali con bifore e lunette con archi a tutto sesto, timpani, finestre rettangolari, ormanti di gusto antiquario. Il complesso è stato fondato nel 1396 da Gian Galeazzo Visconti ma la facciata risale agli Sforza; Ludovico il Moro accelerò il cantiere grazie al coinvolgimento di Giovanni Antonio Amadeo, uno dei maggiori scultori lombardi del tempo. Nella scena del cristo deriso, le figure di rovente espressità sembrano una cultura squarcionesca, mentre il gusto archeologico e la precisione prospettica degli sfondi architettonici si sente il peso delle novità bramantesche. Canteri lombardi, la cappella Colleoni a Bergamo: il condottiero Colleoni nei primi anni 70 volle innalzare un mausoleo, nel centro della città vicino a piazza della cattedrale, accanto alla chiesa di Santa Maria Maggiore, al posto della sagrestia di quest’ultima, la facciata presenta elementi rinascimentali, secondo il gusto lombardo. Le due edicole poste sopra dei due finestroni che affiancano il portale, incorniciano i busti clipeati di Giulio Cesare e dell’imperatore Traiano, rileggendo figure dell’antichità in una personale espressività: il collo si allunga, gli occhi si allargano ricordando la pittura di Mantegna. Dentro il mausoleo troviamo il monumento sepolcrale di Bartolomeo Colleoni, unico elemento superstite della cappella del 400. L’arca si eleva su alti pilastrini, costituita dal soprapporsi di due sarcofagi che illustrano sul fronte le storie della passione e le storie della natività di Cristo. In alto la statua equestre di Bartolomeo, dove l’originale fu rimossa nel 1493 perché troppo pesante e il sostituto è in legno dorato. A sinistra si trova il monumento sepolcrale per la figlia prediletta Medea, morta a quindici anni nel 1470; solo nel 1842 il monumento fu traslato nel mausoleo. Si tratta di una versione lombarda dei modelli di sepolcri all’antica, messi a punto a Firenze da Bernardo Rossellino, con una cornice antiquaria e sfondo bicromo; la madonna col bambino è affiancata dalle sante Caterina d’Alessandria e da Siena e la giovinetta è distesa serenamente sul letto di morte. I pittori lombardi, Mantegna e lo studiolo di Isabella d’Este: Bernardo Zenale realizza adorazione del bambino al centro di un polittico destinato alla confraternita dell’Immacolata Concezione in san Francesco a Cantù: le fisionomie dei volti o il paesaggio roccioso ricordano la pittura di Leonardo ma la luce tersa e il chiaro ordine spaziale derivano da Bramante. Il bergamasco Bartolomeo Suardi (1480-1530) fu detto Bramantino per la sua dipendenza dall’artista che lo educò ai valori della prospettiva e al gusto per le forme grandiose e monumentali. Bramantino li interpretò in maniera personale come si vede nel cristo risorto, una versione enigmatica del cristo alla colonna bramantesco, in cui la luce fredda, l’accurato studio delle anatomie danno vita a una glaciale versione del redentore, che nella metallica articolazione del sudario richiama Mantegna. Andrea Mantegna continuava a Mantova ad essere pittore dei Gonzaga e dipinge per il nipote Francesco la Madonna della vittoria, eseguita nel 1496 per celebrare l’esito della battaglia di Fornovo. Entro un pergolato con frutti e animali, al centro sopra un piedistallo decorato all’antica con storie della genesi, si staglia la vergine con il bambino, accompagnata da San Giovannino, due santi mantovani (Andrea e Longino) e due santi guerrieri (Michele e Giorgio). A sinistra Francesco Gonzaga in armi che si inginocchia e all’opposto santa Elisabetta, patrona ed eponima della moglie del committente Isabella D’Este. Isabella d’Este (1474-1539) non aveva ancora sedici anni quando sposò Francesco Gonzaga e seppe mettere in piedi una corte colta, essendo lei appassionata di lettere, musica, moda, scacchi, grande collezionista di arte antica e moderna, ed ebbe al suo servizio uno scultore ed esperto di antiquaria Giancristoforo Romano 42 e il letterato Baldassare Castiglione. Accolse Leonardo, il quale ritrasse la marchesa in un foglio oggi al Louvre, dove appare elegante, ben in carne e con un’ampia scollatura. Isabella progettò nel Castello di San Giorgio due ambienti, uno studiolo e una grotta; la grotta era destinata a conservare un’eccezionale raccolta di antichità e lo studiolo ad accogliere una serie di dipinti, che Isabella cercò di commissionare ai principali pittori del tempo. L’arredo è andato disperso e il ciclo di allegorie di conserva al Louvre. Il primo dipinto, 1497, fu il Parnaso di Mantegna: il pittore non effigiò soltanto le muse in atto di danzare al suono della cetra di Apollo, ma anche Mercurio assieme al cavallo alato pegaso, Vulcano in lontananza sulla grotta e Venere e Marte uniti con ai piedi una figura dell’amore celeste. Dovrebbero alludere a Francesco Gonzaga e Isabella d’Este, la quale corte fiorisce le arti, simboleggiate dalle muse. La marchesa ordinò una tela a Pietro Perugino, la lotta tra amore e castità, che avrebbe dovuto essere corredata da una numerosa serie di figure mitologiche. Dipinto consegnato nel 1505, si ha un gruppo di figure in primo piano con alle spalle un paesaggio umbro. Isabella cercò di avere un dipinto anche da Giovanni Bellini, ma non ebbe successo. Capitolo 26: Venezia alla fine del secolo Giovanni Bellini: Giovanni Bellini nel 1488 aveva completato due dipinti: uno voluto dalla famiglia Pesaro per la chiesa francescana dei frati, l'altro dal Doge in carica Agostino Barbarigio. Nella pala dei Frari Bellini seppe trovare un'eccellente equazione per soddisfare la committenza desiderosa di un trittico con un'opera che non si adeguasse al passato. Penso dunque ad una carpenteria tripartite, preferendo il formato gotico, una decorazione di gusto antiquario; Giovanni Seppe unificare Lo spazio tra gli scomparti attraverso la costruzione prospettica degli archi tecnici. L'utilizzo della pittura ad olio offre un morbido naturalistico tono riecheggiante Antonello da Messina ai Santi Nicolò, Pietro, Marco e Benedetto che si affacciano nei pennelli naturali, così come la Madonna con il bambino e i teneri angioletti musicanti pieni del podio. Il basamento riecheggia i valori prospettici Albertiani e l'abside è rasserenata da una luce diffusa e calda. La tela per il doge ha lo scopo di celebrare la famiglia barbarigo: Il doge ritratto inginocchiato, mentre alle sue spalle San Marco lo presenta alla vergine con il figlio alla presenza di Sant'Agostino. Agostino è il Santo eponimo del Doge, Marco non è solo il patrono della Serenissima, ma anche eponimo del fratello del committente. La scena è ambientata sul balcone Con una veduta dell'entroterra Veneto, con un castello e una cornice dell'arco alpino. Solo un tendaggio difende il gruppo dalla natura; sono tutti spunti che esploderanno poi nella pittura di Giorgione, nel secolo successivi, anche perché Bellini sperimenta due dei cardini della pittura veneziana del 500: la tecnica dell'olio sottile, il cosiddetto tonalismo, ovvero una pittura che non è definita precisamente dal disegno, dalla prospettiva, ma è concepita attraverso uno studiato accostamento di toni del colore, utilizzato per dare forma alle figure, rendere intensamente gli effetti atmosferici dell'aria che circonda o del cielo che illumina. Cima da Conegliano: Giovanni Battista cima da Conegliano (1486-1516) Realizza per la chiesa di Santa Maria dei battuti una pala tra il 1492 1993 con chiara preferenza a Bellini: Una tipica sacra conversazione con la Madonna e il bambino al centro, su un trono sopraelevato, la coppia di angioletti musicanti e santi ai lati. Il gruppo divino è protetto da un alto quadriportico che alterna gli elementi architettonici di gusto antiquario, con le superfici decorate a mosaico dei pennacchi della cupola soprastante. Manca tuttavia l'abside perché sul fondo cima dipinge un cielo azzurro naturale. anche cima. Dedico molto impegno alla raffigurazione del paesaggio Veneto, come dimostra la Pala d'altare nella galleria dell'accademia di Venezia, Dove il soggetto sacro sembra ambientato nella campagna di Conegliano. Un San Girolamo mezzo nudo che tiene un sasso con il quale, appena finito, di percuotersi per fare penitenza e San Ludovico di Tolosa con un umile veste francescana, omaggiano la Madonna con il bambino. La Vergine non siede su un trono, bensì su uno sperone di roccia, dietro un albero di arancio. Ecco perché questa immagine è nota come Madonna dell'Arancio. Il paesaggio è diverso Rispetto a quello che vediamo noi oggi nell'entroterra veneto. C'è anche un asino con il suo padrone, ovviamente San Giuseppe e alle loro spalle, un sentiero che conduce a un borgo murato su un'altura. La tavola fu eseguita nel 1496, 1498 per la Chiesa francescana di Santa Chiara, nell'isola di Murano e si distingue non solo per il tema agreste, ma anche per una luce netta e decisa, capace di plasmare le forme dei suoi personaggi. Gentile Bellini e Vittore Carpaccio, teleri e scuole: nel 1577 un incendio distrusse quando aveva dipinto, tra l'altro Giovanni e soprattutto gentile Bellini, il quale era stato incaricato sin dal 1477 di rinnovare le storie di Alessandro III e di Federico Barbarossa, Affrescata da gentile da Fabriano e Pisanello nella sala grande del 45 dal cardinale Raffaele Riario, Grande collezionista, scoprire l'inganno e in volle incontrare l'autore di questa eccezionale Cupido. Michelangelo andò a Roma con la fama di artefice capace di imitare perfettamente l'antico. Nel Museo del Bargello a Firenze rimane il Bacco che Michelangelo scolpì è appena giunto nell'urbe e, dopo avere ulteriormente approfondito lo studio dell'antico, infatti, il Bacco appare come una statua di assoluto gusto archeologico. Scolpita, tutto tondo è caratterizzato una grande levigata superficie del marmo. Fu proprio Raffaele Riario a commissionare la statua compiuta tra il 1496 e il 1497 e passato ben presto nelle mani del banchiere fiorentino Jacopo Galli, amico di Michelangelo a Roma. In quegli anni Michelangelo si dedicò anche alla pittura e dipinse la Madonna di Manchester, chiamata così perché fu esposta per la prima volta al pubblico nella città inglese nel 1857 ed è un dipinto su tavola degli antica collezione romana della famiglia borghese. Al centro sia della Madonna 6 1 scoperta accompagnata dal figlio che ha il compagno di jogging San Giovannino e ai lati due coppie di angeli, ma solo una di queste è abbozzata, dal momento che il dipinto non è mai stato finito. Il modo in cui le pieghe dei pani si gonfiano, i ginocchia della vergine, Il volto carnoso, la riccia, capigliatura hanno Somiglianze con il gruppo del Bacco pure nel trattamento delle carni nude, nella atteggiarsi di San Giovannino che pare una traduzione sacra, colori del piccolo satiro e marmo. L'aspetto più singolare è nella scelta di astenersi da qualsiasi ornato e sfondo architettonico, infatti le figure si ergono su una superficie neutra, come se fossero scolpite. Nel 1498 il cardinale Jean Bilheres de Lagraulas Voi commissionò a Michelangelo la pietà, Una statua in marmo a grandezza naturale, da collocare nella Cappella di Santa Petronilla in San Pietro, cara ai re di Francia. Michelangelo nel 1497 si era recato a Carrara per scegliere il marmo e ultimo alla statua, nel 1499. Il soggetto della Madonna con il Cristo morto sulle ginocchia non è troppo diffusa nella scultura italiana, deriva infatti da il Vesper Builder nordici. Tuttavia, è abissale la distanza formale tra queste immagini. La pietà vaticana, dove risale una pienezza di forma e scultore, in realtà persino da Giorgio Vasari. Michelangelo non ambiva soltanto ad essere al pari della natura degli antichi scultori, ma voleva apparire un ex uno lapide, cioè “in un sol sasso”. Il gruppo Scultoreo reca, inoltre, unica tra le opere di Buonarroti, una firma, Utilizzando il verbo all'imperfetto consueto per alludere a una perenne perfettibilità dell'arte tipica della tipologia di firma adottata in antichità. Inoltre, Michelangelo raffigura la Vergine Molto giovane a tirando qualche critica. La pietà chiudeva un secolo e simultaneamente annunciavano nuova stagione, quella della maniera moderna che si sarebbe ben presto aperta a Firenze con il ritorno di Michelangelo in patria. La maniera moderna Lineamenti storici: Voi, lo storico Fiorentina Francesco Gucciardini, (1483-1540), scriveva a proposito della situazione italiana: dapprima l'Italia era divisa in 5 Stati Il papato Napoli, Venezia, Milano e Firenze e vi era equilibrio ma Con l'arrivo dei francesi, le città e Ducati, regni caddero e le guerre si fecero più improvvise e violenti. All'apertura del secolo il Ducato di Milano era conquistato dai francesi e il Regno di Napoli vede un passaggio della corona, di lì a poco sarebbe toccato anche alla Repubblica di Venezia. Sul finire del 1508 Le maggiori potenze europee, Asburgo, Spagna, Francia, papato, Mantova e Ferrara si coalizzarono nella Lega di Cambrai per attaccare la Serenissima e spartirsi i suoi territori. Tuttavia, l'obiettivo non fu raggiunto. Nel 1503 Giuliano della rovere era diventato Papa con il nome di Giulio II e seppe distinguersi come mecenate; Inoltre fece sciogliere la Lega di Cambrai e nell'anno successivo la Lega Santa, dove il Papato e Venezia si unirono con il fine di liberare il Ducato di Milano e cacciare i francesi dall'Italia. Giulio II era riuscito nel suo intento di cacciare i francesi dall'Italia, ma ben presto morì nel 1513. lo Succedete Giovanni de medici, eletto Papa con il nome di Leone X che al contrario del predecessore non era un Papa incline alla guerra ma si distinse per la sua magnificenza del mecenatismo, Protettore non solo delle arti, ma anche del suoi familiari. Infatti, nel 1513 nominò l'Arcivescovo di Firenze e suo cugino Giulio de medici, che sarebbe stato eletto a sua volta con il nome di Clemente VII. Il clima del suo pontificato è illustrato nel ritratto di Raffaello, nel quale Leone X appare seduto in uno scrittoio in atto di leggere un manoscritto Miniato con una lente tra le mani a una campanella; Lo affianca due familiari, Giulio de medici a destra e Luigi De Rossi, nipote del Papa. Al di là del realismo, dei volti, dei dettagli, il dipinto è decisamente celebrativo, contraddistinto da un'atmosfera serena e gioiosa. Nel 1517 il frate Martin Lutero aveva fisso nella porta della Chiesa di Ognissanti le sue 95 tesi, il quale contrastava la vendita delle indulgenze da parte della Chiesa di Roma. La cosiddetta in. Era perdonare i peccati e permettere a chi beneficiava di raggiungere più rapidamente il paradiso. L'indulgenza si poteva ottenere attraverso opere meritetorie o denaro della Chiesa. Questo fenomeno si ampliò soprattutto all'inizio del 500, perché Giuli X lo utilizzava per finanziare le sue imprese in campo militare 46 artistico, così pure Leone X. Anche Girolamo Savonarola a biasimava gli eccessi della Chiesa, È uno dei maggiori intellettuali d'Europa, Erasmo da Rotterdam, il quale nel 1511 pubblicò l'elogio della follia in cui critico la corruzione del denaro, ma la sua posizione era più vista come un umanesimo cristiano, intesa conciliare il gusto dell'antico con quello per Cristo. Lutero elaborò la dottrina secondo la quale la salvezza non si può acquistare ma deve essere ottenuta per fede in base alla volontà di Dio. Iniziò così lo scontro con il papato: Nel 1521 Lutero fu scomunicato e difese le sue convinzioni nella dieta di worms di fronte al nuovo imperatore Carlo Quinto, che rimase fedele alla Chiesa. Questa guerra durò fino alla metà del 600. Carlo V (1500-1558) nel 1519 divenne l’imperatore del Sacro romano impero si trovò a essere l'uomo più potente d'Europa. Oltre alle ampie terre di famiglia si aggiungevano quelle del nuovo mondo, ampliate dalle spedizioni dei conquistadores, che garantivano loro utili a finanziare le imprese. Per più di una trentina d'anni, Carlo quinto sarebbe stato protagonista della politica europea, cercando di contrastare la riforma in Germania i turchi non Mediterraneo. E il re di Francia Francesco I. Intanto Leone X era morto nel 1521 e lo avrebbe sostituito Giulio de medici, eletto con il nome di Clemente VII (1523-1534). Capitolo 28: Firenze all’inizio del 500 Leonardo, Michelangelo, Raffaello Il David di Michelangelo: Giorgio Vasari chiamò maniera moderna la fase matura del Rinascimento, contraddistinta da Leonardo, Raffaello e Michelangelo, ma anche da altri artisti come Giorgione e Tiziano da Venezia pure dall'Emilia, con Correggio e Parmigianino. Nel 1501 gli operai della cattedrale di Firenze Commissionarono a Michelangelo una statua dell'eroe biblico David, per uno dei confronti contrafforti del Duomo. Un'enorme blocco di marmo alto più di 5 m conservato nei depositi fin dal 1463, quando era stato poco più che sbozzato dallo Scultore Agostino di Duccio. Nel 1504 si decise di nominare una Commissione per stabilire il luogo dove conto collocarlo, poiché capirono che il contrafforte era sprecato. Per questo Commissione furono chiamati Leonardo Andrea della Robbia, filippino Lippi, Botticelli, Perugino e e fu posto davanti al Palazzo Vecchio. Raffaello e Leonardo studiarono il David, testimone un disegno di Leonardo che copio il David trasformandolo in un Nettuno con dei cavalli marini, in un possibile progetto per la Fontana. Il Giovinetto David, molto prima di diventare il re, aveva ucciso il gigante Golia con un colpo di fionda. Per questo David era raffigura una figura cara e fiorentini, simbolo della libertà dello Stato. Michelangelo raffigura un giovane atleta completamente nudo, dal fisico perfetto e reso attraverso uno studio anatomico. il David non ha vinto ma è prima di lanciare contro Golia il colpo mortale: La posa è carica di energia al peso del corpo appoggiato sulla gamba destra E sopra si distende il braccio destro, mentre quello sinistro cade e impugna L'arma, Il capo è girato e la gamba sinistra si flette. La battaglia di Anghiani e la Battaglia di Cascina, Leonardo e Michelangelo: Pier Soderini fece decorare la sala del Consiglio grande del Palazzo Vecchio con scene di battaglia per ricordare le imprese militari della Repubblica. Si pensa a due enormi affreschi di 17 m di larghezza e 7 in altezza, dove il primo fu richiesto Leonardo, il secondo Michelangelo, ma nessuno dei due ci è giunto fino a noi E il salone Fu decorato cinquant'anni dopo da Giorgio Vasari. Nel 1503 Leonardo era tornata a Firenze e aveva realizzato l'episodio della battaglia di Anghiani Dove i fiorentini avevano sconfitto l'esercito dei Visconti. La passione di Leonardo per i cavalli, moti dell'animo fece sì che la storia della battaglia si focalizzasse sulla scena in cui il gruppo di Cavalieri si azzuffavano. Il cartone preparatorio per la pittura definitiva Testimonia il fatto che Leonardo sperimentò una tecnica ad encausto ma fu un fallimento poiché non si mantenne. Oltre agli studi del maestro, restano alcune copie del gruppo dei Cavalieri in lotta per la bandiera che ci fanno conoscere come dovevano apparire. Nel 1504 Pier Soderini aveva incaricato Michelangelo di dipingere la battaglia di Cascina combattuta contro i Pisani. Michelangelo prese spunto Per ridurre l'episodio uno studio di nudi in movimento, infatti, scelse di raffigurare il momento appena precedente, quando i fiorentini furono avvertiti dell'arrivo del nemico mentre stavano facendo il bagno nell'Arno per rinfrescarsi dalla calura estiva. Il cartone doveva essere compiuta nel 1505, quando Michelangelo fu chiamato a Roma da Giulio II, per questo non fu mai tradotto ad affresco. Il cartone fu condotto nella sala del Papa, nel convento di Santa Maria Novella, Dove migliore artisti accolsero a studiarlo. Testimonia l'energia della composizione basata sulla tensione degli atletici corpi, colti in scorci difficile, in movimenti innaturali. Scultura in pittura, il Tondo Doni: Michelangelo era convinto del primato della scultura sulla pittura, per questo le sue pitture ci appaiono come traduzioni su un supporto bidimensionale di voluminose statue. Il nome del dipinto deriva al nome del committente, il banchiere Agnolo Doni. Il dipinto è dominato dal 47 massiccio, gruppo Scultoreo della Sacra Famiglia, colta in una cosa quanto mai eccentrica, innaturale, perché la Vergine muscolosa, inginocchiata a terra, si volta in una torsione del busto a prendere il piccolo Gesù nudo che le viene passato sopra la spalla destra dal marito Giuseppe Accoccolato alle spalle di lei. è una sorta di complicato esercizio di equilibrio, in cui assiste divertito San Giovannino, messo il secondo piano, al di là di una trincea dove si separa dal fondale roccioso popolato da una serie di nudi. Essi rimandano alla predilezione di Michelangelo per la purezza della figura umana e in alcune si possono omaggiare la posa di due celebri sculture antiche, l'apollo di Belvedere con il secondo nudo da sinistra e lacoonte con il terzo nudo da destra, riscoperto nel 1506, Michelangelo doveva conoscere bene e averlo esaminato dal vero. Questo dipinto è stato realizzato per celebrare la nascita nel 1507 di Maria doni, primogenita di Agnolo e Maddalena Strozzi. Un'identica carica di energia potenziale concentrata in un tondo scolpito in marmo verso il 1505 da Michelangelo per il fiorentino Bartolomeo Pitti. Qui la Vergine, accovacciata è costretta entro le dimensioni troppo piccole, del formato circolare alle quali sembra voler sfuggire con il capo che oltrepassa la cornice. L'opera deve essere considerata non finita, seppure portata a uno stadio di finitura molto avanzato, e si comprende chi nel dare vita alle figure Michelangelo ha giocato con notevole virtuosismo sugli effetti della maniera, rendendo poco più che grezza alcune superfici e lo spessore del marmo come distinguere gerarchicamente gli attori: Maria è scolpita in alto rilievo alla testa, quasi a tutto tondo, il bambino, invece, ha solo la testa in alto rilievo con un corpo di minore volume, mentre il Sas Giovannino è un rilievo stiacciato. Pittura in scultura, i bronzi di Giovan Francesco Rustici: Leonardo aveva un'idea radicalmente opposta da quella di Michelangelo per quanto riguardava il rapporto tra pittura e scultura. E scrisse un trattato dove affermava che la pittura è una vera e propria scienza superiore alla poesia poiché rappresenta con più verità e certezza, le opere di natura mentre la scultura non è scienza ma arte meccanica. Ecco perché Leonardo non pratico mai la scultura per via di levare in marmo ma l'esercito per via di porre, ossia in bronzo. L'arte di calimala decise di rinnovare i monumentali gruppi scultori realizzati latino di Camaino nel 1322, per coronare le porte del Battistero. Nel 1502 fu commissionato il battesimo di Cristo ad Andrea Sansovino Che giunse sopra la porta del paradiso nel 1569; Il gruppo di tre statue in bronzo fu commissionato nel 1506, allo Scultore Giovan francesco rustici, amico fedele di Leonardo. Il gruppo Scultoreo rappresenta all'interrogatorio testimonianza del Battista, alludendo all'episodio in cui Giovanni rivela la sua missione di precursore di Gesù, Rispondendo ad alcune domande alle sacerdote di lieviti, per questa ai lati del Battista, sono rappresentati un sacerdote e un levita. Nel Realizzare l'impresa ebbe al fianco Leonardo e spiega il suo carattere all'interno dei personaggi, come il gesto dell'indice alzato verso il cielo, che rimanda al San Giovanni Battista Leonardesco al Louvre, oppure La testa calva e volumetrica del levita che ricorda gli studi leonardeschi del corpo umano in un foglio per gli studi di cavalieri per la battaglia di Anghiari. Il giovane Raffaello matura con Leonardo, Michelangelo e Fra Bartolomeo: Raffaello Siepe, fare tesoro delle novità dell'uno e dell'altro degli artisti quando soggiorno a Firenze tra il 1504 al 1508; seppe di sapere evolvere rapidamente rispetto alla lezione del suo maestro perugino. Raffaello, dunque, giunse a Firenze sul finire del 1504 e continuo a Frequentarla fino al 1508, quando fu chiamato a Roma da Giulio II. Tra le prime opere abbiamo un cartone con la Madonna con il bambino, Sant'Anna e San Giovannino che Leonardo e sposa nel convento dei servi ottenne un immediato successo. Il cartone è andato perduto ma restano due interpretazioni leonardesche: un cartone con la Madonna col bambino, Sant'Anna e San Giovannino National Gallery di Londra e l'altra tavola al Louvre Con la Madonna col bambino, Sant'Anna, agnellino. In entrambe le immagini ricorrono i più tipici caratteri leonardeschi, il paesaggio montano e roccioso, la disposizione piramidale delle figure, la resa sfumate gestualità eccettuata, i moti dell'animo. la Madonna del Cardellino degli Uffizi, chiamata così per la presenza dell'uccellino presentato da San Giovannino al piccolo Gesù, realizzato nel 1506 su commissione del mercante Lorenzo nasi, probabilmente per le nozze con Sandra Canigiani. Raffaello vi adotta a un paesaggio umbro, il gruppo delle figure per l'impostazione piramidale della composizione denota lo studio di Leonardo. Voi a ciò si aggiunge la conoscenza di Michelangelo a cui fanno pensare la testa dolcissima di Maria, le fattezze del piccolo Giovanni. L'altra tavola, Madonna col bambino e santi, Giuseppe, Elisabetta e Giovannino, detto Sacra Famiglia Canigiani, fu commissionata da Domenico Canigiani, fratello di Sandra, per le nozze con Lucrezia Frescobaldi nel 1507. Voi si tratta di una Sacra Famiglia in cui la composizione piramidale ancora più accentuata, culminando con San Giuseppe che guarda sotto di sé i fanciulli Giovannini e Gesù, accompagnate dalle 50 vorrebbe condividerne il dolore ma non riesco a trattenere un sorriso. Questo ritratto viene messo in rapporto e quelle colte le riflessioni sull'amore del Letterato Pietro Membo. Rappresenta al meglio quel clima erudito che si respirava nella cerchia dell'amicizia di bimbo, a cui dovete partecipare pure Giorgione. La Venere dormiente di Desda: La dea è ritratta nuda e dormiente in pose ispirata all'antico, ma non ha nulla di archeologico. E una bellissima giovane che si è addormentata in campagna e si copre pudicamente con la mano a sinistra. Commissionato in occasione del matrimonio celebrato nel 1507 tra Girolamo Marcello e Morosina Pisani; Con questa Venere, Giorgione mise appunto un modello per esaltare la bellezza femminile che sarebbe diventato un classico della pittura erotica e avrebbe ispirato i grandi maestri come Tiziano, Goya e Manet. Si chiude così la breve carriera del pittore che usciva di scena poco più di trent'anni avendo dato la svolta decisiva alla pittura italiana e lasciando il suo erede del giovane Tiziano che dalla bottega Giorgionesca si mosse per diventare il maggiore pittore veneziano del 500. L’affermazione di Tiziano: Tiziano Vecellio nacque nel 1480 8490 in una località che rientrava nei confini della Serenissima, figlio di un notaio, intraprese la carriera di pittore a Venezia, legato sia Giorgione, con il quale sappiamo che collaborò ali affreschi della facciata del fondaco dei tedeschi nel 1508. sembra che nella Venere di Dresda il giovane Tiziano avrebbe completato il paesaggio, aggiungendovi la figura di Cupido, Tuttavia, non è chiaro se abbia lavorato per completare un dipinto che Giorgione aveva lasciato incompiuto oppure perché il committente aveva richiesto di aggiungere qualche elemento. Certo è che il borgo della campagna sulla collina a destra è quasi identico nel noli me tangere della National Gallery di Londra, che Tiziano aveva dipinto poco tempo dopo la morte di Giorgione. è questo l'episodio in cui Cristo risorto, in prossimità del suo sepolcro vuota, Appare alla Maddalena per confortarla, ma non si lascia toccare da lei. Tiziano non ha raffigurato nessun sepolcro, ma ha messo in mano a Cristo una zeppa, perché secondo la tradizione, Maddalena non l'avrebbe riconosciuto e scambiato per giardiniere. Le figure sono immerse nella natura e nel colore, con macchie di azzurro, giallo, grigio. Tiziano ha completamente assimilato il linguaggio di Giorgione come lui, mentre scena un episodio sacro con i colori del naturale. Nei primi tempi tizianesca si conserva un ritratto in cui il pittore potrebbe avere effigiato di profilo con la testa appena voltata, il Patrizio veneziano Girolamo Barberigo attorno ai trent'anni, affacciato da un davanzale. Se Tiziano non avesse scritto il suo nome con le iniziali sul davanzale, sarebbe stato ritenuto opera di Giorgione, Testimonianza di come Tiziano avesse completamente assimilato la maniera del maestro. Nel 1511 per sfuggire alla peste si rifugiò a Padova, dove realizzò Tre storie di Sant'Antonio da Padova, Frescata nella scuola del Santo. La Confraternita volle per la sua sede un ciclo che raccontasse la bibliografia del Santo titolare con il quale collaborarono maestri diversi. tiziano illustro tre miracoli più famosi: antonio che fa parlare il neonato per scagionare la madre dell'accusa di adulterio, Antonio che riattacca il piede a un giovane e Antonio che risana una donna pugnalata dal marito geloso. Osserviamo quest'ultima scena dove in primo piano via il tragico assalto all'ombra di una rupe, l’uomo sconvolto dall'IRA, impugna un pugnale con il quale sta per accanirsi sulla moglie distesa terra con il braccio alzato per proteggersi. I protagonisti risaltano sul registro neutro del paesaggio, dai colori vivi delle teste e dei panneggi. L'uomo si riconosce in lontananza inginocchiata di fronte a Sant'Antonio che ascolta il suo pentimento, il quale avrebbe provveduto a risanare la donna, che pareva morta, Ma questo episodio possiamo solo immaginarlo, perché Tiziano non l'ha dipinto. A un tema matrimoniale, appartiene amore sacro o profano della galleria borghese di Roma di Roma realizzato verso il 1514-1515. davanti a un idilliaco paesaggio Veneto. Due donne si appoggiano ad una vasca decorata sul fronte con un rilievo, una è vestita, l'altra quasi completamente nuda che alza il braccio sinistro su reggere un vaso ardente; Tra di loro è rappresentato un Cupido. L'interpretazione ha fatto pensare alla rappresentazione della figura vestita l'amore profano, mentre l'altra quello sacro. Questo dipinto deve essere collegata alle nozze tra Il veneziano Niccolò Aurelio e la Padovana Laura Bagarotto, celebrate nel 1514. Si riconoscono gli stemmi di entrambi i personaggi sul fronte della vasca e nel bacino e soprastante. Clima culturale raffinato tale da comprendere questi rimandi ed elementi della composizione, infatti si partiva da un tema erotica, oggi letto con più chiarezza. Donna vestita elegantemente alla moda, l’altra coperta da manti =rappresentazione allegorica dell’amore: una parte legata all’aspetto sensuale, l’altra legata all’aspetto più spirituale. Putto immerge braccio nel sarcofago ricorda la mescolanza= mescolare i due aspetti della vita coniugale, dell’amore a cui alludono le due donne. Paesaggio morbido verso la donna nuda, più tortuoso verso la donna vestita (rimanda al contrasto tra le due). Rispetto a quel modo indefinito di rappresentare il corpo della donna, c’è un’attenzione più viva e concreta. Al di là del soggetto, Tiziano sta crescendo la forma 51 adottata per la vasca echeggia a quella di un sarcofago antico. e a testa l'interesse per il mondo classico e le figure si fanno più solide e monumentali. Di lì a poco realizzò la gigantesca Pala per l'altare maggiore della Chiesa dei Frari “l'Assunta”, Dove la Commissione giunse nel 1516 e collocato sull'altare nel 1518. È un'opera che apre un nuovo capitolo della pittura veneziana, lasciando alle spalle la tradizione belliniana. Nell'assunto e il colore veneziano adattato a figure imponenti e dalle fatiche, gestualità sulle quali costruire l'intera composizione giocata su tre semplici livelli: La sorpresa degli apostoli in basso, l'ascesa di Maria in un emiciclo di angeli al centro e l'eterno in un e mi empireo dorato sulla sommità. Questa Pala non ebbe immediato successo perché gli artisti e il pubblico erano abituati ai gusti di Giovanni Bellini e fu Oggetto di critiche, ma ben presto i veneziani si accorsero della modernità del dipinto, per il dinamico vigore dei personaggi e la libertà compositiva e gli accesi colori. Lorenzo lotto: Tiziano riuscì ad affermarsi a Venezia per l'assenza di reali concorrenti: Morti Giorgione, Bellini gli unici due pittori che avrebbero potuto misurarsi con lui erano Lorenzo lotto e Sebastiano Luciani, ma entrambi, per ragioni diverse, si affermarono lontano dalla laguna. Nato a Venezia nel 1480, Lorenzo lotto si distinse fin dai primi anni del 500. Treviso protetto dal Vescovo Bernardo De Rossi, per il quale ottenne nel 1506 una Pala destinata alla chiesa di Santa Cristina di quinto nel contagio trevigiano. Nel coronamento, il Cristo in pietà sorretto dagli angeli, riprendo un tema caro, la pittura veneziana del 400. La sacra conversazione del registro principale appare una risposta polemica alla Pala di San Zaccaria, compiuta da Bellini nel 1505; La composizione quasi identica, ma i personaggi sono come innervate da uno spirito capriccioso. Venezia non era pronta per questa pittura anticonformista e da allora in poi l'otto appare quasi come un pittore in fuga. Si trasferì nelle Marche lavorando per Recanati e Jesi e tra il 1506 al 1513 e un breve Intermezzo romano che nel 1509 lo vide addirittura attivo nel cantiere delle stanze vaticane. Nel 1513 Lorenzo era Bergamo e ottenere a Commissione di una Pala per la Chiesa domenicana dei santi Stefano e Domenico ad Alessandro Martinengo Colleoni, ora nella chiesa dei santi Bartolomeo Stefano Computer nel 1516 si stacca completamente dall'arte veneziana contemporanea. Una sacra conversazione ambientata in un edificio stravagante dove l'apertura verso il cielo di tradizione mantegnesca lombarda convivono con i mosaici veneziani e una galleria di colonne e volta a lacunari in stile antiquario, memoria dell'esperienza Roma di Bramante e Raffaello. lotto lascia piena libertà all’indisciplinato atteggiarsi e alla esasperata gestualità degli attori, nel quale non c'è distinzione tra protagonisti e comparse. gli angioletti si contorcono a stendere il telo oppure giocano con elementi dell'apparato effimero. Lotto rimase a Bergamo fino al 1525 e gran parte della sua carriera la svolse nelle Marche. Sebastiano del piombo prima di Roma: voi nella Venezia del primo 500 si formò un pittore che avrebbe fatto fortuna nella Roma dei Papi e tanto da ricevere nel 1531 la carica di piombature delle bolle pontefici, ossia con lui che apponeva il sigillo di piombo e decreti lettere del Papi. Per questo Sebastiano Luciano fu tale con il nome del Sebastiano del piombo. Nato a Venezia nel 1485, la sua prima professione fu la musica, un suonatore di liuto e decise di praticare la pittura prima col vecchio Giovanni Bellini, poi col giovane Giorgione. Sebastiano mostra uno spiccato ambito verso la pittura e Giorgionesca, dove la più importante palla che si conserva nella Chiesa di San Giovanni in Cristoforo, realizzata nel 1510- 1511 dimostra questo linguaggio: nelle fisionomie degli uomini e delle donne nella materia sfumata e la composizione è marcata da grandi campiture. I personaggi appaiono grandiosi, segno di un'attenzione particolare alla solennità e l'equilibrio compositivo, evidente nella assoluta precisione della fuga prospettica del pavimento. La novità sta nell'allestimento della scenografia, dove lascia poco spazio ad un distante paesaggio, dominata dalle robuste colonne di una possente architettura rinascimentale al quale siede Giovanni Crisostomo, Effigiato di taglio, intento alla scrittura e lo affiancano sei santi. Nel 1511 Sebastiano decise di dare una svolta alla sua vita, infatti incontrò Agostino Chigi, un ricco mercante di Roma, il quale lo invitò nell'urbe; Così la carriera proseguì nell'urbe, dove sarebbe stato uno dei protagonisti della maniera moderna. Capitolo 30: la Roma di Giulio II e Leone X Giulio II, Bramante e il nuovo progetto del San Pietro: agli inizi del 500 Roma aveva accolto Donato Bramante, il quale si sarebbe occupato di numerosi monumenti architettonici, Come ad esempio il tempietto di San Pietro in Montorio. È un edificio a pianta centrale innalzato sul luogo in cui san pietro avrebbe subito il martirio, al centro del Chiostro e convento francescano di San Pietro in Montorio, sul Colle del Gianicolo. Si distingue per una misura monumentale per l'aspetto sobrio e frontalmente classico; Bramante, infatti, adotta 52 l'ordine dorico sia per i capitelli delle colonne sia per la rigorosa successione di metope e triglifi ad evocare un antico mausoleo costituito da una galleria anulare esterna da un vano centrale sormontato da una cupola che richiama quella del Pantheon. Fu portata a termine prima del 1506, quando Bramante si stava occupando della costruzione della nuova Basilica di San Pietro voluta da Papa Giulio II. nello stesso anno in cui si fondò la Basilica, si fece fondere una medaglia memoria. All'evento eseguita dall'orafo soprannominato Caradosso, Allo stesso modo della medaglia che raffigura il tempo malatestiana di Rimini, progettato da Leon Battista Alberti, questa medaglia documenta il progetto di Bramante per San Pietro. Donato aveva in mente una chiesa a pianta centrale a croce greca, Sormontata da una grande cupola rotonda centrale e da quattro cupole più piccole, destinate a coprire le cappelle disposte tra i bracci della Croce. L'edificio avrebbe avuto una facciata all'antica, simile a un prona o classica e dotata di una cupoletta e una torre avrebbe dovuto in alzarsi in ognuno dei quattro angoli, dai quale sporgevano solo le absidi. Ogni elemento architettonico avrebbe parlato latino antico e l'interno Sarebbe stato dominato da l'intersecarsi di due grandi navate, coperte da un'ampia volta decorata a lacunari che Raffaello avrebbe rappresentato nella scuola di San Pietro. Pescata nelle vicine stanze vaticane. per portare a compimento questo cantiere ci sarebbe voluto più di un secolo e quando Bramante morì sarebbe stata impostata una cupola assai diversa, disegnata da Michelangelo. Molti architetti si sarebbero succeduti nella direzione della fabbrica, ecco perché quella Basilica che noi ammiriamo oggi non corrisponde, quella dell'immagine della medaglia. Non ci sono torri angolari, la cupola svetta in verticale, la pianta è a croce Latina e si sviluppa in tre navate. Per immaginare come sarebbe stato all'interno della Basilica di San Pietro e di Bramante si deve andare nella chiesa di Santa Maria del popolo, il quale Giulio secondo volle che Bramante costruisce un nuovo coro, culminanti in un’abside all'antica preceduta da una volta, con enormi lacunari. è una soluzione molto più monumentale e rigorosa rispetto a quelle lombarde, dove le forme architettoniche predominano sulla decorazione. La campata precedente al coro reca nella volta una serie di affreschi compiute nel 1510 da Pinturicchio, secondo il gusto di Alessandro VI; Sotto gli affreschi, uno di fronte all'altro vi sono due monumenti sepolcrali che Giulio II commissionò ad Andrea Sansovino per ricordare la memoria di due cardinali, Ascanio Maria sforza, fratello di Ludovico Il Moro e Girolamo Basso della rovere, cugino del Papa. Realizzò due tombe gemelle realizzate dal medesimo aspetto compositivo: nell'aspetto tripartito, richiama la forma di un arco trionfale romano ornato da motivi antiquari. Nella Fornice centrale si erge il catafalco con il cardinale defunto e al cliccato su un fianco con la testa appoggiata su un braccio, come se stesse dormendo. In questo modo lo spettatore poteva vedere meglio il defunto e offrivo una visione più serena della morte rispetto al passato, Dove questa soluzione troverà una immediata fortuna. Nelle nicchie laterali vi sono due statue raffiguranti la virtù della giustizia e della prudenza, che assomigliano a due divinità pagane e al di sopra due virtù soprastanti sedute ai lati del coronamento rappresentanti Fede, speranza, dove si mostrano con la parte superiore del corpo scoperto, evocando la predilezione per il nudo degli scultori greci e romani. Sansovino asseconda la predilezione per la scultura antica che percorreva la Roma del primo 500. A gennaio del 1506 in un luogo detto la capoccia, non lontana dalla chiesa di San Pietro in vincoli, fu fatto una scoperta archeologica di enorme clamore. Fu ritrovata una scultura in marmo dove il gruppo raffigurava il sacerdote Troiano Lacoonte che stando a quanto aveva raccontato Virgilio nell'Eneide, fu strangolato Insieme con i figli da due serpenti marini inviati da Atena perché aveva cercato di convincere il suo popolo a rifiutare il cavallo lasciato dai greci. Si trattava dell'opera descritta da Plinio il vecchio nella naturalis istore, il quale citava che Lacoonte era all'interno della casa di Tito imperatore. Giulio II volle acquistare lacoonte per la sua collezione ed incaricò Bramante di allestire un cortile dell'estate nel giardino del Belvedere, Con all'interno il gruppo di Age Sandro, Polidoro e Antinoro che stavano al centro circondato da altre statue antiche di collezione di Giulio II come l’apollo e il torso, detti del Belvedere in virtù dell'ubicazione. Era una collezione curiale, visibile solo all'interno dei rituali della Corte Pontificia e si fa risalire all'origine dei Musei Vaticani. Quel cortile fu ben presto visitato da artisti corsi di a studiare le opere considerate più importanti dell'antichità, Come ad esempio, fra i tanti Michelangelo rese poi omaggio alle due figure all'interno del tondo doni. Fu proprio Michelangelo, nel 1506 analizzando lacoonte ad accorgersi che il gruppo non era stato scolpito in un solo blocco di marmo, come affermava Plinio, ma aveva circa quattro congiunte realizzati in modo molto nascosto e saldate stuccate in modo tale che non si riconoscessero facilmente. I moderni avevano superato gli antichi scolpendo ex uno lapide, come fece Michelangelo con il David. 55 alle figure per il sepolcro come i prigionieri e gli schiavi previsti per il registro inferiore; Il cosiddetto morente, un giovane atletico studiatissimo nell'anatomia dal volta graziato con una posa con torta per la flessione della gamba sinistra, il soprastante braccia alzate, piegato, omaggia il lacoonte. Un confronto con uno dei quattro prigioni abbozzato nel 1520 Mostra una giovane figura umana che sta cercando di liberarsi dalla materia che lo ricopre. C'è una tensione in quest'opera che mostra con quale vigore Michelangelo Aggredisse il blocco di marmo per far emergere la figura che immaginava al suo interno. L’antico e la maniera, Andrea Sansovino e Raffaello in Sant’Agostino: Johann Goritz nel 1510 decise di fondare un altare sul terzo pilastro sinistro nella Chiesa di Sant'Agostino, Con un gruppo scultoreo ricavato da un solo blocco di marmo che raffigura sant’Anna insieme alla Madonna con il bambino, commissionato ad Andrea Sansovino. l'artista prese spunto dal cartone della Sant'Anna che Leonardo aveva esposto a Firenze qualche anno prima e vi rese al meglio le espressioni del maestro di Vinci nel sorriso accennato nella vecchia Santa Velata. Ricorda la passione di Andrea per l'antico, la figlia Maria che appare come una solenne matrona romana, Voi che tieni in braccio un gioioso fanciullo sgambettante. Al di sopra della nicchia dell'altare, un affresco in cui Raffaello aveva raffigurato il profeta Isaia e di grande somiglianza con le opere che Michelangelo aveva realizzato come l’Ezechiele della Sistina o il Mosè di marmo. ancora prima che la volta della Cappella fosse inaugurata, è Raffaella, aveva avuto un modo di vederla e aveva arricchito il suo repertorio con il linguaggio michelangiolesco. Il profeta Srotola una pergamena che reca una citazione del suo libro profetico scritto In ebraico; Alle sue spalle due putti che sostengono una ghirlanda e una tavola ansata con una scritta in greco. Raffaello e la stanza di Eliodoro: La seconda stanza delle stanze vaticane Serviva per le udienze Pontefice, Per questa ragione il programma iconografico si distingue per una forte valenza politica, reso con una storia millenaria in cui la chiesa, gli eroi biblici si salvano da miracolose minacce. Le storie narrate in questa sala dovevano essere un monito per i nemici della Chiesa; Un linguaggio drammatico, segnato dalle novità di Michelangelo e dalla pittura veneziana. La volta è tripartita in quattro storie dell'Antico Testamento, allestite come se fossero finti arazzi, dove le figure sono grandiose e paesaggi assolutamente spogli, perché Raffaello aveva già studiato la genesi nella Cappella Sistina. La stanza è detta di eliodoro dal soggetto della prima scena affrescata nel 1512, è tratta da un episodio apocrifo dell'Antico Testamento. Nella lunetta si vede a destra un gruppo dove un Cavaliere, accompagnato da due giovani armati travolge un uomo in armatura caduta a terra, mettendo in fuga il suo seguito. Il vaso pieno di ricchezza accanto al protagonista sconfitto, fa capire che si tratta di Eliodoro d’Antiochia, emissario del re di Siria Seleuco IV, che era stata incaricata di Profanare il tempio di Gerusalemme su treno dei tesori destinati alle vedove e gli orfani. A metterli in fuga fu un Cavaliere, inviato direttamente da Dio in seguito alle ripetute preghiere del Sommo sacerdote Onia che vediamo in giro occhiato al centro, al di sotto di una spaziosa Navata del tempio che fugge in prospettiva e riluce di bagliori dorati delle volte. A sinistra Giulio II sul trono mobile sostenuto da alcuni personaggi ritratti con notevole attenzione, Proprio davanti al gruppo delle vedove degli orfani. Il messaggio è che la Chiesa non lotta per il proprio potere, ma in difesa dei deboli, contro l'avidità dei principi. Il Papa parla veneziano, infatti Raffaello aveva conosciuto Lorenzo lotto e Sebastiano del piombo ed era capace di assorbire ogni suggestione e farla propria. Nella seconda scena la messa di Bolsena nel 1263 si verificò un miracolo che diede origine alla festa del corpus domini caro a Giulio II. L'episodio che allude alla difesa dell'eresia poiché fu celebrata una messa da parte di un prete che dubitava della trasformazione del pane, del video in corpo e sangue di Cristo. Al momento della consacrazione, l'ostia inizio a gettare sangue di stipando i dubbi del celebrante. L'atmosfera tenebrosa e sul lato destro, via Giulio secondo, inginocchiate di fronte all'altare con la sua Corte di cardinali, Di chiara pittura veneta. La terza scena racconta la liberazione di San Pietro dal carcere grazie alla preziosa miracolosa di un Angelo. Questa vicenda vuole alludere anche la liberazione dei territori della Chiesa dalla minaccia francese. Nel 1513 Raffaella l’ha diviso in tre momenti: Al centro, dietro le sbarre, l'angelo appare in un bagliore di luce dentro la cella Di Pietro dormiente a destra L'Angelo E Pietro che se ne sta una andando mentre i due carcerieri. Dormono sulle scale e a sinistra la fuga che era stata scoperta. La villa di Agostino Chigi, Peruzzi, Raffaello, Sebastiano del Piombo e Sodoma: uno dei più illustri committenti di Raffaello negli anni 60 fu Agostino Chigi, imprenditore, banchiere, uno dei più influenti personaggi del continente; A Roma ebbe il compito di gestire le finanze pontificie, sostenere le imprese del Papa Giulio II. Volle costruire una villa suburbana nota come villa della Farnesina, perché nel 1580 fu acquistata dal cardinale Alessandro Farnese, Appena fuori Roma, in una posizione strategica in prossimità 56 del Tevere. Il progetto fu affidata all'architetto senese Baldassarre Peruzzi, che si era formato con Francesco di Giorgio Martini. L'architetto utilizza un modello di Villa assolutamente nuovo, infatti appare come un palazzo a due piani che si apre con una loggia a 5 arcate e due ali, gettati verso il giardino con il quale aveva in origine dimensione assai maggiori ed era impreziosito da piante rare, statue, reperti archeologici. sia le pareti interne sia quelle esterne erano decorate con il gusto all'antica. Dell’interno rimane la sala di galatea con un dipinto compiuto da Raffaello verso il 1511 1512: È il trionfo della ninfa del Mare, Galatea compare su una conchiglia trainata da due delfini in mezzo alla Corte di divinità marine con tre amorini. La storia volle che la ninfa si fosse innamorata di un bellissimo giovane Aci che un giorno fu ucciso dal Ciclope Polifemo, poiché anche lui era innamorato della donna. assiste, infatti, si erge l'enorme Polifemo, Con un flauto e un bastone disegnato da Sebastiano del piombo che adotta un linguaggio assolutamente veneziano nel paesaggio e nel colore. In questa decorazione. Agostino Chigi, coinvolto il più pittori a Sebastiano aspetta anche il ciclo delle 10 lunette sovrastanti con poesie mitologiche di chiara pittura veneziana. In alto nel soffitto, baldassare Peruzzi aveva raccontato l'oroscopo di Agostino Chigi, ossia una serie di personificazione di pianeti e costellazioni in veste di divinità antiche. Per alludere all'ordine del cielo nel giorno della nascita del committente. La sala delle prospettive fu affrescata nel 1518, in cui domina una pittura illusionistica attraverso il quale le pareti fingono nicchie con statue e un loggiato, aperto su un paesaggio Romano, dove il balcone appaiono veri. Questa sala appartiene una campagna decorativa voluta da Chigi in previsione delle nozze con la veneziana Francesca, Ordeaschi celebrate nel 1509 a cui Sodoma toccò il compito di affrescare nella Camera da letto le storie di Alessandro Magno. Sodoma raffigura in stile raffaellesco, una ricca camera dove la bella Rossana siede sul letto seminuda e Alessandro si volta verso di lei, una chiara allusione al matrimonio tra Agostino e Francesco; L'episodio si svolge al di là di una balaustra aperta al centro. L'incendio di borgo, le logge, la bottega di Raffaello: Nel 1514, Raffaello affrescò nelle stanze vaticane, la sala da pranzo che prese il nome stanza dell'incendio del borgo: Siamo nell'847 nel quartiere di borgo davanti al Vaticano, dove divampò un incendio che vediamo i lati della lunetta in dove appaiono delle vere e proprie quinte architettoniche, Popolato di figure che fuggono da un lato e cercano di spegnere le fiamme dall'altro. Lontano, al centro si riconosce la facciata dell'antica Basilica paleocristiana di San Pietro in cui si affaccia a Papa Leone IV che placa l'incendio con la sua benedizione. Si vuole alludere alla politica di pacificazione di Leone X e anche le ulteriori storie completate nel 1517 sarebbero stati i protagonisti pontefici di nome Leone, Affidate alla bottega di Raffaello. Nel 1515 fu commissionato un ciclo di 10 arazzi con le storie dei Santi Pietro e Paolo per il registro inferiore della Cappella Sistina, Raffaello si limitò a fornire una serie di cartoni sulla base del quale gli arazzi furono tessuti a Bruxelles, una tra le botteghe più prestigiose dell'epoca. A ciò si aggiungevano richieste di ritratti dipinti per devozione privata e pale d'altare; Raffaello furono inoltre caricato di occuparsi della tutela dello studio dell'Antichità di Roma. Ciò impose all'artista a realizzare una bottega ben organizzata in cui accolse numerosi giovani come Giulio Romano, Perin del Varga, Polidoro da Caravaggio e Giovanni da Udine. Due furono le principali imprese decorative compiute nel 1518-19 sotto la regia di Raffaello, dalla sua bottega, la loggia al secondo piano del palazzo apostolico e la loggia di psiche nella Villa di Agostino Chigi. La decorazione delle logge vaticane comprende una galleria di ben 13 campate. Tornata ad affresco, e a stucco ad illustrare nelle volte le storie dell'antico e del nuovo testamento. La loggia della Farnesina racconta le storie di amore e psiche tratta dall'asino d'oro dello scrittore latino Apuleio, a richiamare l'amore tra Agostino e la moglie. Il ciclo è impostato su un ordinato pergolato dal quale si affacciano personaggi e storie ed ebbe enorme fortuna. Giulio de Medici, una gara tra Raffaello e Sebastiano del Piombo: Giulio de medici, noto con il nome di Papa Clemente VII volle commissionare al fine del 1516 Due pale d'altare, una Raffaello e l'altra Sebastiano del piombo, una chiara competizione tra i due artisti. Sebastiano del piombo fu aiutato da Michelangelo, il quale gli avrebbe fornito dei disegni. La prima opera michelangiolesca di Sebastiano è la pietà, realizzata nel 1516 per l'altare della Chiesa San Francesca Viterbo. La tavola mette insieme un notturno reso con bellissimi accostamenti di colore nel segno dell’origine veneta del pittore, con una volontà di ridurre la composizione alle sole figure della vergine e che piange il figlio morto. Tali figuri si distinguono per una solidità michelangiolesca, in particolare nel corpo attentamente studiate di Gesù. Era un modo per cercare una sintesi tra il colore veneziano e il disegno fiorentino. Nel 1517 Sebastiano realizza la risurrezione di Lazzaro per la cattedrale di Narbonne; Anche qui, con alcuni disegni di Michelangelo, Dove il British Museum conserva un 57 disegno preparatorio per la figura di Lazzaro che Sebastiano segui l'idea e dispose sulla destra del dipinto quasi completamente nudo nel liberarsi dalle bende. In mezzo alla folla, Cristo si erge indicare l'uomo e miracolato sotto lo sguardo delle sorelle Marte, Maria e lontano un paesaggio ancora di sapore Veneto giocato sui toni scuri del cielo nuvoloso e lo specchio d'acqua. Raffaello nel 1518 dipinse una tavola divisa in due parti: In alto la Trasfigurazione con Gesù che si leva in cielo sul Monte, affiancato dall'apparizione dei profeti Mosè ed Elia, Mentre gli Apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo sono prostrati sbigottiti dalla manifestazione. In base alle pendici del Monte, altri apostoli è un gruppo di persone che accompagna il fanciullo posseduto dal demonio che Gesù avrebbe guarito. La tavola meta assieme, il sereno ordine della visione con la drammatica tensione della scena inferiore con personaggi impose magniloquenti che preannunciano la successiva pittura della maniera. Raffaello Inoltre, adotta un registro cromatico contrastato che apre uno squarcio di paesaggi in lontananza; A sinistra due figure di giovani inginocchiati che sarebbero stati i titolari della cattedrale di Narbonne, ossia i santi giusto e pastore. Nel 1520 Raffaello morì e fu sepolto nel Pantheon. La Trasfigurazione fu destinata sull'altare maggiore di San Pietro in Montoro, mentre la risurrezione di Lazzaro finì nella cattedrale di Narbonne. Capitolo 31: Aurea Parma, Correggio e Parmigianino: Correggio e la cultura Raffaellesca: nel 1513 Giulio secondo commissiona Raffaello una Pala per l'altare maggiore della Chiesa di San Sisto, la cosiddetta Madonna Sistina oggi a Dresda. È un'originalissima, versione di una Pala d'altare: si coglie la forza spirituale di un trittico medioevale con al centro la Madonna più in alto e lati due santi; C'è la fantasia di Mantegna nelle Ali Coloratissime degli Angioletti: C'è il colore di Tiziano nel rosso del mantello di San Sisto; Ci sono le nuvole morbide di Correggio; C'è nella Santa Barbara dei colori acidi, gesti artificiosi, il manierismo. Ma c'è anche un movimento del cinema dato dal drappeggio della tenda verde appesa. Elemento di innovazione= abbandona lo studio del contesto naturalistico mantenuto fino ad ora, inserisce la vergine all’interno di uno spazio ultraterreno, dove gli elementi della natura scompaiono per lasciare posto a questa atmosfera creata dall’intreccio di nuvole, avvolto da una luce, come se fosse su un palcoscenico. Sisto ci indica e parla a Maria e Nella Vergine c'è la dolcezza infinita di Raffaello perché perse sua mamma quando era giovane E nella lunga vita in seguì la tenerezza di volti i di ogni Madonna e qui rappresenta uno sguardo struggente della donna. Raffaello doveva dipingere un quadro sulla morte, ma ha creato il ritratto di vita. Questo dipinto fu fondamentale ponte per diffondere la cultura raffaellesca in Emilia, dove in quegli anni emerse il giovane pittore Antonio Allegri, detto Correggio (1489-1534), Il quale affresca la Camera della Badessa, dell'antico convento Benedettino di San Paolo a Parma, Voluta dalla colta Badessa Giovanna da Piacenza, realizzata nel 1519 con l'immagine della dea Diana sulla cappa nel cammino e nella volta un realistico pergolato che si apre in una successione di ovali. In ognuno di essi è dipinta una coppia di putti che giocano, a volte sono accompagnati da animali e sono fanciulli come quelli di Raffaello, perché prima di lavorare a questo ciclo Correggio avrebbe fatto un breve viaggio a Roma E avrebbe visitato la loggia di psiche. Questa Camera sembra essere una pronta risposta, Anche nelle lunette illusionistiche posta alla base del pergolato. Osservando la lunetta con le tre grazie, notiamo che nell'interpretare il celebre soggetto antico Correggio rinuncio alla perfezione anatomica della statuaria classica e preferisce forme ingrandite, ridondanti. È evidente che aveva conosciuto la pittura di Michelangelo, che però sa tradurre in una morbidezza nel tutto nuova. Ci sono gli elementi più vicini alla committenza, come lunette a monocramo legate al mito di Diana, dea della saggezza, verginità, razionalità e riferimento all’antico: modo colto di rapportarsi alla storia. Due cupole a Parma: la cupola della Chiesa di San Giovanni Evangelista fu la prima opera pubblica di Correggio a Parma e gli fu affidata nel 1520 dall'abate Giro la spinola e nel 1524 fu terminata. Anche qui Correggio si mosse da Mantegna, dal Loculo prospettico, ma nello spazio sei più basso di una cupola, dove racconto una storia che ha a che fare con il Santo titolare della Chiesa, ambientato in un libero e luminoso spazio di un cielo luminoso e la tiridimensionalità è resa solo attraverso le figure. al centro la figura è dipinta in uno scorcio difficile e sotto di lui in un cerchio di nubi un gruppo di uomini: È la rappresentazione della parusìa, ovvero la visione del secondo avvento di Cristo sulla terra che San Giovanni Evangelista ebbe nell'isola di Patmos in Grecia. I personaggi sotto sono gli apostoli dei corpi possenti dalle pose articolate, 60 furioso. In una tavola della galleria borghese di Roma si riconosce Melissa: La maga buona, che profetizza la discendenza della casata estense nell'Unione tra Ruggeri e Bramante. La libertà cromatica di Tiziana appare come arrangiati, in un gusto cortese che risalta la preziosità dell'abito, trasformando il paesaggio di matrice Giorgionesco in una visione onirica e fantastica, dove i castelli si fanno fiabeschi. questa sorta di esotica Sibilla nell’ottavo canto del poeta liberava i cavalieri cristiani e Saraceni dalla malvagia maga Alcina che aveva trasformato in alberi pietre animali, restituendo loro le armi; A tutto ciò alludono l'armatura in primo piano, il docile cane e le figure simili alle statuette attorcigliate negli alberi. Capitolo 33: novità a Firenze, la scuola dell’Annunziata e Michelangelo Andrea del Sarto, Pontormo e Rosso nell’Annunziata: la chiesa della Santissima Annunziata Firenze ha un ingresso molto particolare: a modo delle basiliche antiche romane, preceduta dal cortile porticato detto chiostrino dei voti, Realizzato nella metà del 400 su disegno di michelozzo e appare come una severa galleria di gusto brunelleschiano, allestito ad arcate a tutto sesto, sorretta da colonne con capitelli corinzi. Fin dalla seconda metà del 400 si cominciarono ad affrescare alcune pareti, ma fu soltanto tra il primo e secondo decennio del 500 che il Chiostrino assunse il più importante ciclo di affreschi della Firenze del tempo E vide il confronto tra Andrea del sarto e i suoi giovani allievi Pontormo e Rosso fiorentino. affreschi che rispondevano al linguaggio più complesso in cui I modelli di Leonardo, Raffaello e Michelangelo ne erano riletti in uno spirito che cominciava a farsi inquieto. La maniera moderna si faceva così maniera, ovvero lo stile del Rinascimento maturo mutava in qualcosa di più complicato ed eccentrico; si ha la consapevolezza nella pittura Fiorentina che la passione per l'archeologia è finita e si preferisce infatti l'esercizio sui maestri del Rinascimento. Andrea del sarto (1486-1530) ebbe la fortuna di ritrovarsi nella Firenze che Leonardo, Raffaello e Michelangelo avevo ormai abbandonato. Figlio di un sarto, da quel nome si era formato con Piero di Cosimo e fece il suo esordio nel Chiostrino dell'Annunziata fresca in questore di San Filippo benizzi, fondatore dell'ordine. Fu l'inizio della sua carriera di successo e avrebbe rappresentato una figura di primissimo piano per la pittura Fiorentina, la sua fama giunse fino in Francia, dove il soggiorno tra il 1518 e 19, chiamato dal re Francesco I. Uno stile sempre attenta all'equilibrio della composizione, tanto da essere definito pittore senza errori. Tutti i caratteri del pittore si ritrovano nella Natività della Vergine, compiute nel 1514: Il soggetto è lo stesso che Il Ghirlandaio aveva raffigurato un quarto di secolo prima in Santa Maria Novella, ma l'atmosfera è assolutamente diversa. Lo spazio è grandioso e il clima sei meno celebrativo e più intimo; Sulla ricchezza degli arredi predomina nei gesti delle figure, Memoria di Leonardo, presente anche nello sfumato delle carni. La posa pensierosa, malinconica del vecchio Gioacchino seduto sul letto, fa capire che Andrea conosceva la novità romane di Michelangelo e la grazia dei volti femminili è impensabile senza Raffaello. Al di là di questo, emergere soprattutto l'equilibrio della scena. Nello stesso periodo educava Nella sua bottega due giovani apprendisti che furono coinvolte nel ciclo del Chiostrino: Jacopo Carrucci detto Pontormo (1494-1557) perché è nato appunto a Pontorme e l'altro Giovanni Battista di Jacopo, detto Il rosso fiorentino (1494-1540) per il vivace colore di capelli. Il giovane Pontormo, affresco l'episodio della visitazione nel 1516: La scena si svolge su un severo palcoscenico di un emiciclo preceduto da alcuni scalini, al centro la vecchia Elisabetta si inginocchia di fronte alla cugina Maria, assistita da un gruppo di donne fanciulli, tutte affrescate con una pittura morbida, dolce, sfumata, di effetto quantomai naturale. La morbidezza è figlia dello studio di Leonardo, nel rosso e nel malva si riconosce la volontà di guardare la pittura romana di Michelangelo secondo una passione che pontormo palesa anche in altri dettagli: Cancella saluto sulle scale, ricorda le madonne che Buonarroti aveva raffigurato nel tondo doni, soltanto che questa appare come svuotata di energia, oltremodo pensierosa. Anche il fanciullo reclama, l’aspetto malinconico di certe figure. Malinconico è il carattere di pontormo, portato alla solitudini e terrorizzato dai malesseri reali; Inizio a rompere i ponti con i grandi modelli fiorentini. L'assunzione della vergine dipinta tra il 1513 e 14 da rosso fiorentino Rompe ancora di più la tradizione, Tanto che nel 1515 frati dell'Annunziata chiedo ad Andrea del sarto di dipingere, ma fortunatamente non se ne fece nulla. L'episodio è descritto con grande rigore, non ci sono architetture ornate, paesaggi, tutte giocate attraverso due gruppi di figure. In alto la Vergine assunta in un cielo innervato da bagliori luminosi, circondata dagli angioletti in scorci frutto di un attento studio della pittura di Michelangelo. In basso, gli apostoli si dispongono sul proscenio dove salvare il miracolo. La misura dell'insieme travolta dalla macchia 61 verde del lungo mantello che deborda oltre la cornice dell'affresco; Le teste sono fin troppo eloquenti nel voltarsi verso di loro. Il giovane rosso va ben oltre il suo maestro, in una miscela esplosiva e personalissima, i moti dell'animo di Leonardo con la conoscenza delle incisioni nordiche ridondanti di espressività. Tre pale d’altare: nel 1517 Andrea del sarto aveva avuto la Commissione della Pala per l'altare maggiore della Chiesa del convento francescano femminile di San Francesco dei Macci, Il dipinto è famoso come la Madonna delle Arpie, perché la Vergine con il figlio si erge al centro di un piedistallo ottagonale, agli angoli del quale sono dei mostriciattoli che Vasari definiva arpie ossia, creature mitologiche con il volto di donne e corpo di uccello. La composizione è equilibrata, le figure sono solide, statuarie, si dispongono davanti a una parete neutra e segue lo schema piramidale con al Vertice la Vergine dall'area raffaellesca che abbraccia con tenerezza il figlio al lato sinistro San Francesco, mentre a destra Il giovane San Giovanni in atto di scrivere il Vangelo. Si riconosce qualche tratto di inquietudine nell'occhio, fare furbesco e il Cristo bambino nelle cose contorte dei due spiritelli che sembrano due giovanissimi facchini. Nel 1518 Pontormo dipingeva una Pala, richiestagli dal gonfaloniere di giustizia Francesco Pucci per l'altare della Chiesa di San Michele Visdomini, dove ancora oggi si conserva. I colori vivaci e sono una cifra stilistica della tavola, dove l'ordine della Madonna delle arpie si disgrega; gli angioletti facchini finiscono gli angoli superiori ad aprire il tendaggio sul quale si mostra Maria che siede dentro a una nicchia a un contorno contrapposto. non si capisce come faccia il piccolo Gesù a stare in equilibrio sulle ginocchia del Padre Giuseppe, con il quale condivide simmetricamente alla testa reclinata lo sguardo visionario. San Giovanni Evangelista siede in primo piano con una lunga barba, con aria stanca; San Francesco è un frate devotissimo che stringe le mani in preghiera e sembra non accorgersi del piccolo Battista o del San Giacomo che gli protegge le spalle. nel 1518 il Monaco Leonardo Bonafede, Commissione al rosso fiorentino, una Pala per la chiesa di Ognissanti: È una sacra conversazione piuttosto tradizionale nelle impostazioni, con la Madonna con il bambino in trono al centro, affiancata da quattro santi in piedi. I colori sono vivaci, lo spazio è un po compresso, il rosso non presta attenzione a costruire la scatola tridimensionale concentrandosi sulle figure tanto espressive. Il risultato sono attori stravaganti e spigolosi e con le mani che sembrano artigli e gli occhi attoniti, Come ad esempio San Girolamo, per la sua estrema vecchiaia ha un aspetto demoniaco. Questa pala non fu ritenuta consona e finì in campagna nella Chiesa di Santo Stefano a Grezzano, nel Mugello, e che rientrava tra i possedimenti dell'ospedale di Santa Maria Nuova. Il cambiamento di sede portò un mutamento nei soggetti: I santi Appaiata Maria avrebbero dovuto effigiare Benedetto Leonardo, mentre ci sono Antonio Abate, protettore degli animali e Stefano patrono della Chiesa, riconoscibile per l'attributo della pietra sulla testa. I due simpatici spiritelli sono appassionati nella lettura ed è una specie di variante alla tenera coppia del Raffaello nella Madonna Sistina. Rosso Fiorentino a Volterra: rosso fiorentino si spostò a Volterra, dove gli fu richiesto alla commissione di una Pala da una Confraternita per la Cappella della Croce, di giorno un edificio Gotico Affrescato con il ciclo delle storie della Croce. Per stare in mezzo a questi affreschi tanto antiquati, la Confraternita vuole un'immagine della deposizione della Croce che rosso dipinse nel 1521 e oggi si conserva nella Pinacoteca di Volterra. Una grande Pala centinata, dall'intonazione cupa: La croce solide geometriche, ha impiantata su un paesaggio desolato che occupa un quarto del fondale, costituito da un cielo tanto azzurro quanta stratta sul quale risaltano i personaggi. Tragiche maschere tridimensionali che si affaccendano a calare il corpo vivido di Cristo sulla croce, arrampicandosi sulle tre scale dipinte come forme pure ed essenziali. Sotto esplode il dolore nella terza torsione del giovane Giovanni, nel raccoglimento delle tre donne verso le quali si slancia in rosso la Maddalena inginocchiata. L'effetto è quella di una traduzione paranoica della volta della Cappella Sistina; Rosso fiorentino punta tutto sulla figura umana ma rinunci ai muscoli, al plasticismo dei corpi. La sua umanità è scheletrica, esasperata, diabolica in certi volti e i volumi non sono mai torniti, ma tendono ad un'accentuata, sfaccettata geometrizzazione. La deposizione parlava un linguaggio modernissimo che solo con il 900 le enormi potenzialità di questo dipinto sarebbero state comprese. Michelangelo e Leone X, San Lorenzo alla sagrestia nuova: voi Leone decimo a Firenze di due grandi progetti che interessarono la Basilica di San Lorenzo e videro il coinvolgimento di Michelangelo. Il Papa, infatti voglio completare la facciata della Chiesa di San Lorenzo e Indisse un concorso tre migliori architetti che poi nel 1516 decide ad affidare l'incarico a Michelangelo, il quale nel giro di un paio d'anni elabora un progetto definitivo. Questo cantiere ebbe vita breve perché fu dismesso nel 1521, Ecco perché la facciata di 62 San Lorenzo ci appare ancora grezza. Abbiamo un modello ligneo realizzato da Michelangelo che si conserva al museo di Casa Buonarroti, nel quale l'autore aveva spartito la facciata su due registri per nascondere la differente altezza tra la Navata centrale, quelle laterali, presentando un coronamento orizzontale appena mosso dal Timpano centrale. L’effetto sarebbe stato quello di un palazzo maestoso, revocando a suo modo i gusti. Brunelleschi, in netto contrasto con le superfici vuote, i massicci elementi architettonici. Il cantiere si arenò in poco tempo perché i medici affidare alla Michelangelo due nuovi progetti: Il cardinale Giulio de medici, ossia Papa Clemente VII decise di riunire la raccolta di libri della famiglia in una biblioteca a fianco della Basilica definita laurenziana. Michelangelo si occupa di progettare la biblioteca della via, un cantiere che coinvolse svariati maristi e durò molto; Fu inaugurata nel 1571 E Michelangelo Diresse lavori fino al 1534, quando si spostò a Roma. Disegno la sala di lettura ed è uno spazio rigoroso, ordinato che nella pianta longitudinale ricorda la biblioteca di San Marco di Michelozzo. Ai lati si dispongono banchi lignei Per i lettori il soffitto e il pavimento ripetono i medesimi partiti decorativi E le pareti laterali sono scandite da grigi, elementi architettonici in pietra serena. Il Papa Leone X Volle inaugurare un nuovo mausoleo, mi dice nella chiesa di San Lorenzo in cui collocare le tombe di Giuliano, Duca di Nemours e il nipote Lorenzo, Duca di Urbino e Suo padre Lorenzo, zio Giuliano: Una Cappella autonoma da innalzare alla fine del transetto destro. Michelangelo progetto l'architettura e l'arredo scultoreo lavorandovi fino al 1534. La sagrestia nuova sorse su una pianta quadrata con scarsella simile a quella della Sagrestia vecchia e come questa fu chiusa in alto da una cupola, infatti l'omaggio al modello evidentissimo. votiamo un severo Augusto brunelleschiano nel contrasto tra il candore delle superfici bianche e il grigio delle modanature della pietra. L'arredo marmoreo si compone dell'altare della scarsella, delle due tombe gemelle di Giuliano e Lorenzo nelle pareti laterali del gruppo Scultoreo della Madonna con il bambino affiancata dei santi Cosma e Damiano, Patroni dei medici nella restante parete, pensata per accogliere le spoglie di Lorenzo il magnifico, e del fratello Giuliano. Nelle due tombe si affrontano nei fianchi. Michelangelo rompe la tradizione costruendo strutture massicce per profondità, altezza, tripartita suddivise in due registri. In alto sono tre nicchie in forma di finestre, due volte a contenere figure allegoriche, quella centrale, la statua del defunto è effigiato, vivo e seduto; in basso il sarcofago, contraddistinto da un coperchio da due volute classiche sulle quali sono adagiate una figura maschile, una femminile, in allusione al tempo che conduce alla morte. Sono le personificazioni della notte, del giorno e dell'aurora e del crepuscolo. Alcune estate non appaiono finite, come si vede nell'allegoria del giorno e della notte della Madonna con il bambino che Michelangelo ha disposto a sedere con la gamba destra attorno alla sinistra, ginocchio sopra al ginocchio del bambino. È un vero e proprio emblema dell'artificio della maniera dove si riconosce l'essere rimasta abbozzata. Questo gruppo fu pensato per stare al centro del monumento di Lorenzo e Giuliano de medici che sarebbe dovuto essere simile agli altri due, ma non fu mai innalzato. Oggi la vediamo in mezzo all'estate di santi Cosma e Damiano che avrebbero dovuto affiancare alla tomba dei magnifici, Dove queste ultime due estate sono realizzate da Giovanni Angelo Montorsoli, Raffaello da Montelupo. Dal sacco di Roma alla controriforma Lineamenti storici: Il Papa tra la Repubblica di Firenze e Venezia si alleano nel 1526 con la Francia di Francesco I costituendo la Lega di cognac. Nel frattempo, nel 1523 era stato eletto il cardinale Giulio de medici con il nome di Papa Clemente VII, che diede vita a una nuova stagione di mecenatismo. nel 1527 l'esercito di Carlo V costituito dai lanzichinetti, con cui sto a Roma e la saccheggiò. Il Papa fu costretto a scappare una fortezza di Castel Sant'Angelo e nel 1529 si giunse alla pace di Cambrai Con il quale la Francia riteneva la Borgogna, lasciando L’Italia all'impero. nel 1530 Borgogna Clemente VII incorona Carlo V imperatore del Sacro romano impero, e pochi mesi dopo le truppe imperiali conquistarono Firenze imponendo una Signoria medicea guidato da Alessandro de medici. Carlo Quinto trascorse gran parte del suo tempo a combattere con grandi campagne militari contro la Francia, i Turchi e il Mediterraneo. ABC, favore del figlio Filippo secondo che nel 1559. Avrebbe ratificato con Enrico, secondo di Francia, figlio di Francesco primo, il trattato di Cateau Cambrésis, Che segnava la fine delle guerre d'Italia. Il Ducato di Milano, il Regno di Napoli, Sicilia e Sardegna erano sotto il controllo spagnolo. La Chiesa aveva ancora il dominio temporale; La Repubblica di Firenze era fedele alla Spagna come la Repubblica di Genova, gli estensi di Ferrara, Gonzaga di Milano e i Farnese del Ducato di Parma e Piacenza; Soltanto Venezia restava una Repubblica autonoma. Agreement, settimo morto 65 evidente nella veste della vergine, è destinata ad essere una sua peculiare cifra stilistica, assieme a quella della predilezione per le figure allungate. Anche il rosso fiorentino, nel 1524 si reca a Roma e realizza una tavola che Vasari vuole eseguita per il vescovo di Sansepolcro Leonardo Tornabuoni. Rosa pare meno demoniaco nel tema della pietà e evita la carica espressiva eccessiva e allestisce una sofisticata penombra. Una scena dominata dal possente corpo di Cristo morto, Con il torso attentamente studiato e le ginocchia piegate per entrare nella tavola. Quest'ultima soluzione fa pensare a Michelangelo, tuttavia, la figura non è complessata a caricarsi di energia, pare invece rilassata e sensuale. Gesù è come se si fosse assopito, in un quieto sonno, accompagnata da quattro angeli che recano i ceri funerari senza dolersi troppo, sono giovani di grande bellezza che si scambiano sguardi. Maniera o manierismo: nelle vite di Vasari e la parola maniera è di norma sinonimo di stile, ad indicare lo stile dei campioni Leonardo, Michelangelo, Raffaello, volendo alludere a uno stile che non si ispira più alla natura ma alla maniera di altri artisti. Il Manierista precedenza fu lo stesso Michelangelo che inizia a rompere i ponti con la tradizione, dove il giudizio universale divenne il manifesto della maniera per l'assoluta libertà della composizione, per il ricorrere di potenti figure umane colti in posa innaturale con torte. Gli artisti e in seguito si muoveranno anche sempre dalle ricerche michelangiolesche e riempiranno i loro dipinti di tali figure, dette serpenti innate perché somigliano alla tortuosità di una serpe E rappresenta la forma della lettera S. Nella seconda metà del 500, le figure serpenti la maniera sarebbe diventata la moda italiana ed europea. Con il 600 la maniera fu soppiantata dalla nuova pittura di Carracci e Caravaggio. Questo stile anticlassico fu tale che il ciclo di affreschi di pontormo nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze, andò distrutto; Perché si intrecciavano le storie della genesi e il giudizio universale in un ordine che non vi era né storia né in misura. In molti bozzetti disegnati dall'artista, come ad esempio la creazione di Eva Sormontata da Cristo giudice, si conosce la profusione verso le figure serpenti nate. Soltanto nel 900 l'arte della maniera fuori scoperta, dove fu introdotta la definizione di manierismo, a indicare una connotazione del fenomeno del 500. Capitolo 36: la diaspora degli artisti, la maniera si espande Jacopo Sansovino: con il sacco di Roma, numerosi artisti a Roma fuggirono, accolti da altre signore da altre città: Parmigianino rientrò in Emila, Baldassarre Peruzzi trova rifugio a Siena, rosso fiorentino tra il sepolcro e Città di Castello, Perin del Varga a Genova. Fu così che la maniera inizia rapidamente ad espandersi a macchia d'occhio sul territorio italiano. Durante il sacco di Roma tra gli artisti affermati vi era il fiorentino Jacopo Tatti, detto il sansovino per essere stato allievo dell’Andrea Sansovino, più volte il rapporto con Michelangelo e Raffaello, che seppe muoversi dai maestri moderni con un nuovo linguaggio allineato con il pittore Andrea del sarto. Verso il 1515 Jacopo scolpì una Statua del baco che, affiancandola quella di Michelangelo, ci si accorge che il mito è trattato in modo diverso: la statua Michelangiolesca è quasi un falso archeologico, mentre il Bacco di Jacopo è innervato di movimento, cerca la posa serpentina e mostra una grazia raffaellesca. Jacopo fu coinvolto come architetto nel progetto di Leone X per la facciata di San Lorenzo a Firenze e grazie ai due papi di casa medici la carriera di Sansovino proseguita da Firenze e Roma dove si trovava nel 1527 a quel punto dovette fuggire dal sacco imperiale si rifugiò a Venezia dove sarebbe rimasto per tutta la vita dando una svolta all’ambiente artistico lagunare. Inizialmente si occupò di risolvere i problemi statici delle antiche cupole poi ebbe un’infinità di commissioni pubbliche e private. In piazza San Marco si occupa di tre edifici: il palazzo della zecca che coniava le monete, il tesoro dello Stato, un edificio quadrato, realizzato in pietra d'istria che si affacciava verso il molo con una possente facciata su tre registri e con le soprastanti colonne doriche ioniche affiancate da grandi aperture rettangolari delle finestre. Al secondo piano il motivo del timpano Inserito a coronare le finestre anziché essere un coronamento isolato e finisce per essere costretto tra le due colonne ioniche. Oggi è la libreria nazionale Marciana, ovvero l'antica biblioteca pubblica della Serenissima. Il secondo edificio fu il grande palazzo della libreria, che nel 1537 sarebbe stato avviato e ultimato a finire del secolo dall'architetto Vincenzo Scamozzi. L'architettura veneziana rinuncia alla fedele indole classica, infatti si progettò un ampio loggiato su due livelli, con un ordine dorico in bus e ionico in alto, coronato da una balaustra intervallata da statue. L'effetto è quello di un edificio in cui vuoti dell'apertura e prevalgono sulla struttura le regole classiche sono infrante. Nella loggiato superiore compare il nuovo motivo tipico della maniera, la serliana: Si tratta di un particolare tipo di trifora costituita da tre aperture, quella 66 centrale ad arco e laterali tra beate, dei cui il nome deriva dall'architetto Sebastiano Serlio. Tra il 1537 49 si occupa di costruire il terzo palazzo, la loggetta ai piedi del campanile di San Marco, Allineato con i gusti della libreria. Fu ricostruito nel 1912 a seguito del crollo del campanile avvenuto nel 1902. L'edificio fu corredato da un ciclo di storie bronzee dovute allo stesso sansovino, nel quale domina il tema dell'antico: Ad esempio la pollo che dimostra la continuità con il Bacco fiorentino nell’atteggiarsi della figura e nella rilettura originale del tema Antiquario. Poco lontano, alla sommità dello scalone di accesso al Palazzo Ducale Sansovino vi pose nel 1567 un Nettuno e un Marte, due colossi di marmo nel quale i due personaggi per la Repubblica di Venezia erano il corrispondente di quello che il David di Michelangelo era stato per la Repubblica Fiorentina. Giulio Romano nella Mantova dei Gonzaga: Giulio Romano si trasferì nel 1524 alla Corte Mantovana di Federico Gonzaga, Sua madre è Isabella D’este con il quale condivise la passione per le arti. Lo vediamo effigiata mezza figura con la spada a fianco, il suo amato cagnolino in un ritratto di Tiziano datato 1529. Correggi esegui per lui amori di Giove che documentano la predilezione per una pittura sensuale di cui pure Giulio Romano era campione; Lo attesta l'atmosfera erotica dei due amanti oggi all'ermitage un dipinto del 1524, il quale Giulio aveva fornito i disegni per 16 incisioni erotiche che tramite il linguaggio fortemente antiquario, mostravano i possibili modi di accoppiamento tra uomo e donna. Si potrebbe parlare di pornografia censurata nella Roma di Clemente settimo, che l'incisore Marco Antonio Raimondi fu imprigionato e le stampe furono distrutte; Giulio Romano si salvò da possibili ripercussioni grazie al trasferimento a Mantova. Il pittore arriva in citta insieme a Baldassarre Castiglione, (1478-1529) umanista e diplomatico dove la familiarità con l'ambiente artistico raffaellesco era di lunga data, il Sanzio stesso lo aveva dipinto ritratto a mezzobusto, dove baldassare appare di tre quarti, abbigliato con grande classe. Giulio Romano e Palazzo te: Palazzo Te, una dimora suburbana costruita entro il 1534 sull'isola di Tiglieto, da cui deriva il nome; L'isola non esiste più da quando il lago Paiolo era stato interrato. Il palazzo. Fu utilizzato da Federico per i propri svaghi con l’amata Isabella boschetti, ma anche per ricevimenti istituzionali di Corte. Presenta una pianta quadrata con un grande cortile centrale e prevede un solo piano, Che nelle superfici dei prospetti annuncio le predicazioni per il bugnato rustico Visibile soprattutto nella loggia d'onore, facciata sulla pescheria che si apre nel lato posteriore del palazzo verso un giardino chiuso da una grande esedra. Voi, Giulio Romano non si occupa solo del progetto architettonico. La direzione del cantiere, ma anche della decorazione ad affresco degli interni: Narro quella stessa storia d'amore psiche con il quale aveva già esperienza nell'alloggio della Villa di Agostino Chigi a Roma. Qua Riecheggia un maggiore senso di movimento e più accesi scarti cromatici, dove i protagonisti sono coinvolti nella preparazione del loro banchetto nuziale. Giulio Romano affresca una nuova sala con una storia mitologica tratta dalla metamorfosi di Ovidio: la sconfitta, il loro vinosa caduta dei giganti che cercano di assalire l’olimpo e sono duramente respinto e fulminanti da Giove. È un'allusione alla vittoria dell'imperatore Carlo V che scende in Italia e assoggetta a sé i vari staterelli delle signorie: Figure enormi, ultras pessime, movimenti tumultuosi se assenza di un chiaro spazio prospettico e volontà di andare contro ogni regola compositiva, al fine di stupire lo spettatore. Decorazione che parte dalla volta e segue un movimento rotatorio riveste tutte le pareti e arriva anche nel pavimento a mosaico che riprende il movimento. Genova, Andrea Doria e Perin del Vaga: Il tema della caduta dei giganti fu dipinto anche da Perin del vaga a Genova, che ha ricostruito una scena con un preciso ordine: vola in alto sono le divinità dell'Olimpo dipinte con fattezze raffaellesche che gesticolano attorno a Giove, il quale, infuriato, sta scagliando la Folgore. La sottostante distesa di nude figure serpenti rappresentano i giganti sconfitti. A differenza di Giulio Romano perin visse la tragedia del sacco di Roma, fu imprigionato e costretto a pagare una taglia per ottenere la libertà. Decise quindi di cambiare area attorno al 1528 si trasferì a Genova per un decennio, prima di tornare a Roma per concludere la sua. Carriera, servizio di Paolo III. Genova era stata restaurata in Repubblica grazie all'ammiraglio Andrea Doria, il più valoroso condottiero dei mari, il quale fu ritratto da Sebastiano del piombo, ormai anziano, dove appare in severa veste nera, al di là di davanzale, decorato con rilievi di gusto antiquario di tema navale. Doria fece danzare un palazzo sul Golfo nel 1529, una vera e propria Reggia corredata di giardini, che c'è giunta in forme alterate. Oggi si trova al centro di edifici di nuova costruzione. In questo cantiere di lavoro per in del vaga, il quale realizza una serie di affreschi celebrativi per l'ammiraglio e di Carlo V Computer nel 1533, sulle ampie volte dei due saloni di rappresentanza ammiro sia la caduta dei giganti, che è una perduta immagine di Nettuno in atto di placare le acque dopo il naufragio di Enea. Così come l'antica divinità, anche l'ammiraglio Andrea Doria a dominava i mari. 67 Polidoro da Caravaggio nel meridione spagnolo: Guido del sacco di Roma, il lombardo polidoro caldara detto Polidoro da Caravaggio (1499-1543) dovette inventarsi una vita;, allievo di Raffaello nell'Urbe seppe specializzarsi nella pittura di facciata all'antica, con i prospetti dei palazzi dipinti a chiaroscuro, cioè a monocromo con figure e fregi di soggetto antiquario a fingere decorazioni scultoree. Dopo il sacco di Roma, Polidoro, abbandono Roma e si sposta nel meridione spagnolo fino ad arrivare nel 1528 a Messina dove sarebbe rimasto fino alla sua morte, Dove però come architetto pittore. Realizzò la salita al calvario destinata alla Chiesa dell'Annunziata dei catalani (Una delle rarissime architetture medievali Messinese), Oggi si trova a Napoli, realizzato nel 1534. Un linguaggio contraddistinto da un'accentuata carica espressiva dei personaggi dall'esuberanza di brani di natura. Cristo sfinito è crollato sotto il peso della Croce accanto a due aguzzini, la Vergine è svenuta tra le braccia delle pie donne, mentre Giovanni Prega a mani giunte, Maria Maddalena invece inginocchiata, si addolora in primo piano sopra di lei, Santa Veronica con un velo in cui è impresso il volto di Cristo. Voi poco più lontano un gruppo di soldati che incontrano il corteo dei curiosi che si affacciano su una rupe. Dietro questo dipinto vi sono le esperienze romane, l'aggressiva intensità degli attori era stata sperimentata ne facciate di chiaroscuro, dove le figure necessitano di movimento e carattere. Il paesaggio compare con architettura, l'antica e la natura è ridondante. Verso la metà degli anni 20, nella Cappella di fra Mariano Fetti in San Silvestro al Quirinale, aveva affrescato il ciclo di storie della Maddalena dei San Caterina da Siena, di cui restano dei lacerti. Si osservi il matrimonio mistico di Santa Caterina da Siena, un paesaggio che anticipa di quasi un secolo la nascita del genere del paesaggio seicentesco. L'episodio raffigurato da grande distanza con figure veramente minuscole, il vero soggetto è la natura. La salita al calvario appare come una risposta del dipinto identico soggetto che Raffaella aveva realizzato nel 1517. Polidoro però interpreta in maniera assolutamente personale, scardinando lo statuario rigore compositivo raffaellesco con una violenza espressiva, urlate inaudita. Bizzarrie toscane, Pontormo: voi, Jacopo Pontormo, realizzò per la Cappella della Famiglia Capponi all'ingresso della Chiesa di Santa Felicita a Firenze nel 1526/1528 una tavola molto curiosa: E una variante serratissima di una composizione piramidale priva di fondale architettonico, è costituita da 11 figure avvinte in un nodo inestricabile, Dove gli attori sono ispirati alla volumetria di Michelangelo, ma sembrano essere gonfi di aria. I volti sono allucinati, colori contraddistinte da ritarare accese. La deposizione di Santa Felicita ha goduto di grande soggetto oppure in tempi vicini a noi, per Il linguaggio tanto stravagante, di conseguenza di una personalità alienata e malinconica del pittore. Verso il 1528-30 Pontormo dipinse una parla per la chiesa di Carmignano, una visitazione: in un fondale essenziale, privo di orpelli decorativi, si stagliano quattro donne che, per le pose contorti, gli sguardi strinati, le vesti gonfio, colorate, paiono sorelle delle pie donne di Santa felicita. In primo piano di profilo la giovane Maria braccia, la più anziana cugina Elisabetta e alla scena assistono due figure che ci guardano frontale, una giovane con i capelli raccolti, un'anziana velata. Bizzarrie toscane, Beccafumi: A Siena, si affermava Domenico Beccafumi (1484-1551) scoperto dal senese Lorenzo Beccafumi che lo fece suo familiare con la possibilità di studiare; divenne un protagonista della maniera a Siena. Nel corso degli anni 20 si trovò a dipingere per la chiesa dei Carmelitani a Siena il soggetto di San Michel che sconfigge gli angeli ribelli: un tema, che allude alla capacità della Chiesa cattolica di difendersi dalla riforma. La prima versione non era stata per niente ortodossa: L'Arcangelo Guerriero e si ergeva in alto sotto di lui una gran confusione di figure nella lotta tra angeli ribelli sconfitti, raffigurati con un nudo michelangiolesco e Reinterpretati con sbattimenti di luce. Beccafumi, lascio il dipinti completo perché non piaceva alla committenza. Nella seconda versione, approvata e si conserva la chiesa del Carmine, domenica adotta una composizione molto più ordinata, divisa in tre registri: il Dio padre e in alto, circondata da angeli ordinati, una sorta di abside fatta di figure, il tram dal centro che alza la spada per sconfiggere Lucifero sconfinato nel registro inferiore. Gli effetti luministici sono mirabolanti perché nel colore, nella luce che l'estro di Domenico emerge al meglio. Nel 1529 ebbe la commissione di un vasto ciclo di affreschi per la volta di una sala del palazzo pubblico, detta oggi del concistoro: Avrebbe dovuto essere un manifesto di valori repubblicani da mostrare l'imperatore Carlo V. Raffigurato una volta all'antica ordinariamente spartita in riquadri al centro del quale vi erano le figure allegoriche della giustizia e dell'amor di patria, della mutua benevolenza, ossia la Concordia. Al di sotto con uno stile brillante di colore di movimento e un atteso, attento rigore spaziale, una serie di eroi di storie antiche. Esempio di civiltà repubblicana, nel sottolineare la necessità di sacrificare l'interesse personale a quello dello Stato e l'esigenza del rispetto delle leggi. 70 contemplativa rachele, alludo la possibilità di salvarsi con la preghiera della fede, mentre l'attiva Lia richiama la salvezza attraverso le opere. Attorno agli anni 60, Michelangelo inizia a progettare scolpire il gruppo della pietà destinata alla propria sepoltura in Santa Maria Maggiore, dove non c'erano solo Cristo, la Vergine ma anche la Maddalena e Nicodemo in un intreccio di figure. Non finì mai questa impresa e nel 1561 fu acquistata dal fiorentino Francesco Bandini, da cui deriva il nome. Abbandonata la pietà Bandini, simili da scolpire, una nuova pietà detta rondanini, dal nome del Palazzo romano in cui oggi è conservata. Come quella precedente, il corpo nudo di Cristo Scivolava e cadeva sotto il peso della morte. e a sorreggerlo vi era solo la madre. Anche quest'opera è un non finito. Michelangelo architetto, il campidoglio e la cupola di San Pietro: Il Papa gli affidò anche un intervento di riqualificazione del Campidoglio. Su quel Colle, nell'antica Roma sorgevano il tempio di Giove Capitolino e l'edificio del Tabularium, adibita ad archivio di Stato. Sui resti di quest'ultimo, nel dodicesimo secolo, fu costruito il palazzo Senatorio, ora e sede municipale romana; In questo edificio cominciava a prendere forma la grande piazza che sarebbe stata progettata da Michelangelo e portata a compimento dopo la sua morte. Prima dell'intervento e il palazzo senatorio guardava verso il foro. Oggi invece costituisce lo sfondo di una piazza rivolta verso il Centro della città, a cui Michelangelo lavorò, rinnovando il palazzo Senatorio, il palazzo dei conservatori. Scelta una pianta trapezoidale per dare l'illusione di uno spazio più grande, focalizzare maggiormente l'attenzione sul palazzo Senatorio; ecco perché sono orientati in obliquo le facciate del palazzo dei conservatori e del palazzo nuovo, due edifici gemelli caratterizzati da un porticato al pianterreno ed elementi tipici dell'architettura michelangiolesca. la piazza fu pavimentata con un motivo geometrico disegnata da Michelangelo, accoglierlo al centro, un piedistallo con un'antica equestre di marco aurelio, in precedenza in San Giovanni Laterano. Michelangelo si occupò anche del cantiere del palazzo Farnese, infatti si dedicò a terminare la facciata con un'imponente cornicione, concepito come non avere proprio scultura rimodulando il Finestrone centrale, a cui aggiunge il potere lo stemma Pontificio. questa visione dell'architettura col Milan è il progetto che Michelangelo ebbe più a cuore, la cupola della Basilica di San Pietro. Fino ad allora erano state innalzate solo i quattro grandi piloni del transito che avrebbero dovuto sostenere la cupola pensata da Bramante. Raffaella, ipotizzò una pianta longitudinale, ma Michelangelo recupero l'idea di quella centrale, immaginando un'enorme cupola a sesto rialzato come quella innalzata da brunelleschi nella cattedrale di Firenze e non rotonda come quella del Pantheon. la cupola fu completata, fine del 500 sotto la Direzione di Giacomo della Porta e Domenico Fontana. Il Buonarroti era giunto fino alla realizzazione del massiccio tamburo con un ordine gigante che alterna una coppia di possenti colonne a finestrone incoronati da timpani e turno triangolari o arcuati. Tiziano a Roma: Tiziana Roma fa colto da Paolo terzo e Fu guidato da Giorgio Vasari nella scoperta dei monumenti antichi e moderni della città. Il cardinale Alessandro aveva invitato Tiziano nell'Urbe mentre stava dipingendo per lui nel 1544, la danae. è la prima versione di un soggetto mitologico ed erotico allo stesso tempo, la figlia del re Argo, Posseduta da Joy sotto forma di pioggia dorata che Tiziana avrebbe raffigurato molte volte. La donna assume forme corpulente nella precisa volontà di un aggiornamento sulle novità di Michelangelo che Tiziano aveva studiato. Il colore liquido, vibrante e luminoso, tipico della pittura veneziana. Tiziano si dedicò anche a ritrarre Paolo terzo ora al museo di Capodimonte si conserva appunto il ritratto di Paolo, terzo con i nipoti Alessandro e Ottaviano Farnese. il vecchio Papa ingobbita allo scrittoio, si volta verso il nipote Ottaviano che accende un inchino, mentre alle spalle di Paolo terzo, il Cardinale Alessandro ci guarda con autorevole devozione. Mi sono colori accesi giocati sulle differenti tonalità del rosso e l'intonazione appare più cupa. Questo dipinto finisce per essere una palese raffigurazione del fenomeno del nepotismo, nel quale i gesti, gli sguardi, fanno percepire una trama di ambizioni e intrighi. Fasti farnesiani, la villa di Caprarola: nel 1559 il Cardinale Alessandro fece Costruire un palazzo a ridosso del borgo di Caprarola, attualmente in provincia di Viterbo. Realizzato dall’architetto Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573) e presenta un'architettura molto particolare: Si tratta di un'esibizione del potere farnesiane che domina sul paesaggio di campagna alto, laziale e del borgo sottostante. È allo stesso tempo Villa fortificazione, palazzo signorile. All'interno vi è un cortile circolare, una scala elicoidale che porta in ambienti affrescati, con grottesco e illustrazioni celebrative del casato. Realizzate dai migliori pittori attivi in quegli anni, come i fratelli Marchigiani Taddeo e Federico Zuccari, oppure gli emiliani Jacopo zanguidi detto Bertoja e raffaellino da Reggio e Antonio tempesta. Il salone principale, detto dei fasti Farnesiani, perché la volta e le 71 pareti narrano la storia familiare del Medioevo al 500, quando i Farnesi furono I protagonisti della politica europea. Taddeo zuccari, narrato con un linguaggio molto chiaro, l'incontro tra il cardinale Alessandro e Carlo Quinto, avvenuto a worms. La controriforma, Jacopo Vignola e Scipione Pulzone: nel 1563 a Trento si chiedeva il Concilio Dove la controriforma sostituì uno stile più austero, con nuove tipologie di edifici sacri per coinvolgere i fedeli, dove le chiese divennero più spaziose, accoglienti. Nelle pale d'altare si richiede un soggetto comprensibile che doveva raccontare con chiarezza le scritture. il Cardinale Alessandro nel 1561 cominciò a pensare al progetto della Chiesa di Gesù Elaborato assieme al suo architetto di fiducia, il Vignola. Presenta una pianta longitudinale a croce Latina con un'ampia navata affiancata da cappelli e tra la navata e il presbiterio. Vien diretto rapporto tra clero e popolo. Vignola morì nel 1573. A proseguire la fabbrica sarebbe stato l'allievo Giacomo della porta, a cui si deve la facciata della Chiesa. Il compianto sul Cristo Morto stava al centro della Cappella intitolata Alla passione e regala. Data 1593 la firma di Scipione Pulzone, Dove il contenuto è estremamente chiaro grazie a una composizione ordinatissima, un linguaggio diretto, Conforme, nitide e colori non troppo accesi. Le figure serpentine, gli artifici dei seguaci di Michelangelo sono ormai banditi. Il colore di Barocci e la devozione di san Filippo Neri: il sacerdote Filippo Neri viva la controriforma con uno spirito di allegria, coinvolgendo nella devozione il popolo e i giovani, Era particolarmente sensibile all'estetica che gli permise di apprezzare la pittura di Federico barocci. Quest'ultimo nel 1563 a causa di una malattia, si ritira a Urbino, dove avrebbe lavorato per il resto della sua vita. Nel 1575 realizza la Madonna del gatto, un'opera esemplare nella sua maniera, che dalle figure gigantesche serpentina in Michelangelo, si preferisce la composizione più ordinata e serena, dove la pittura di Raffaello e correggere, interpretata attraverso colori vivacissimi, estrema dolcezza di atteggiamenti, gesti, fisionomie. Il gatto è il vero protagonista, infatti sta per saltare verso l'uccellino che il piccolo Giovanni gli mostra. 1586, barocci di pinze per Santa Maria. In scena una visitazione nel quale si vede la Sant'elisabetta sopra la scala fuori da una casa che abbraccia e porge la mano alla Vergine, mentre San Zaccaria esce per incontrarla e San Giuseppe e posa per terra una tasca. La Roma di Sisto V: Sisto quinto volle trasformare l'urbanistica dell'urbe, il quale affidò i lavori all'architetto ti cinese Domenico Fontana assieme a Giacomo della porta, che si occuparono anche di concludere la cupola di Michelangelo. Offrirono la città eterna, un'organizzazione urbanistica moderna e razionale. Fu ricostruito un nuovo acquedotto, detto acqua felice, dove si riutilizzava l'antico acquedotto alessandrino. La nuova Roma prevedeva che le principali basiliche fossero collegate da via monumentale e diritte, concentrandosi soprattutto su Santa Maria Maggiore per riequilibrare la presenza della Basilica di San Pietro oltre il Tevere. Santa Maria Maggiore Chiesa che Sisto, quinto dottor di una Cappella e di cui fece innalzare un ricco monumento sepolcrale, fu il fulcro a quale andarono a ruotare tre nuovi edifici: La strada felice che giungeva fino a Santa Croce in Gerusalemme e dall'altra Trinità dei Monti, La via Merulana diretto a San Giovanni Laterano e la via panisperna verso piazza Venezia. Recuperò inoltre quattro obelischi facendoli col locale in piazza San Pietro, davanti all'abside di Santa Maria Maggiore, in piazza San Giovanni in Laterano, in piazza del popolo. Non dimenticò la colonna traiana e quella di Marco Orie Aurelio, la quale fece restaurare e volle sulle sommità delle statue in bronzo di San Pietro e San Paolo a sostituire quelle perdute degli antichi imperatori. Capitolo 38: la repubblica di Venezia La gloria di Tiziano: Tiziano aveva dipinto una pala che anticipava il senso scenografico di quelle architetture, nel 1519 Jacopo Pesaro ordinò a Tiziano un dipinto per l’altare di famiglia nella chiesa dei Frati: un’immagine costruita in diagonale con la madonna con il bambino seduta in alto di tre quarti su un podio e domina le figure sottostanti, al fianco i santi Francesco e Antonio da Padova. Sulle scale San Pietro emerge dalla sua lettura per guardare il committente Jacopo Pesaro effigiato di profilo e accompagnato da un soldato e una figura con il turbante a ricordarci che Jacopo fu il condottiero capace di sconfiggere i Turchi. Oltre al gioco di accordi e contrasti cromatici, nella pala colpiscono le due gigantesche colonne che fuoriescono dalla dimensione della pala, alludendo a uno spazio ancora maggiore; Tiziano ha voluto costruire una sorta di finestrone affacciato sulla navata sinistra della chiesa. Nel 1530 realizza per il signore di Mantova Federico Gonzaga la cosiddetta Madonna del coniglio, un dipinto di devozione privata dove mette a frutto ciò che aveva imparato da Giorgione concependo un’ambientazione 72 agreste. La vergine siede su un prato in mezzo alla campagna e accarezza un coniglio mentre prende il figlio dalle mani di Caterina d’Alessandria; sullo sfondo un pastore si siede a guardia del suo gregge, illuminato da un chiarore del cielo al tramonto con lo sfondo delle Dolomiti. Nel 1538 realizza la venere di Urbino, chiamata così perché prima di confluire nella raccolta dei Medici, apparteneva al signore di Urbino Guidobaldo II della Rovere. Tiziano riprende il modello della venere di Dresda di Giorgione: la bella giovane nuda, si copre con la mano il pube, all’interno di una camera di una ricca dimora e ai suoi piedi un cagnolino simbolo di fedeltà e sullo sfondo due domestiche che armeggiano su un cassone, forse la dote, lega il dipinto a un episodio legato a nozze; sembra che le carni siano reali, corpo vivo, forme sono morbidamente costruite attraverso lo sfumato tra una tonalità e l’altra, coronato dalla capigliatura rosso/dorata, riccia. Sullo sfondo uno sfarzo di cielo e la donna non dorme è sveglia e guarda verso lo spettatore. Nell’ultimo ventennio della sua vita fu impegnato ad una commissione di Filippi II in una serie di dipinti per soggetto il mito antico, definiti “poesie”, equivalenti visivi di quanto il poeta latino Ovidio aveva narrato nelle Metamorfosi. Il primo dipinto al di là di una tenda, il cacciatore Atteone scopre diana e le sue compagne mentre nude, fanno il bagno. Il secondo dipinto mostra Diana che impugna l’arco in primo piano, puntando verso il cacciatore che si sta trasformando in cervo, dove è sbranato dai suoi cani. Resta la passione per la bellezza e la sensualità femminile, come quella del colore ma la narrazione diviene più febbrile e le pennellate più rapide, i toni più scuri e tragici. A confronto i due dipinti si vede con chiarezza che il secondo dipinto è reso con fare più abbreviato perché il pittore si stava avvicinando alla sua morte (1576). L’ultima fase della sua attività lo vide formulare un linguaggio personalissimo e disperato, visibile attraverso l’opera la punizione di Marsia nella Repubblica Ceca: il sileno Marsia al centro è scorticato da Apollo sotto gli occhi del vecchio re Mida a destra, Marsia aveva osato sfidare il dio in una gara di musica e una volta sconfitto fu punito per il suo atto di superbia. È un’immagine cruenta, qui la pittura di Tiziano si è sfaldata e le forme umane sono plasmate dalla luce e dal colore con un senso di realtà di enorme forza espressiva. Allo stesso modo di Michelangelo anche Tiziano volle un’immagine della Pietà destinata alla propria cappella sepolcrale ai Frari; il progetto fallì e la pietà è finita nella chiesa di Sant’Angelo. Di fronte a una massiccia nicchia, affiancata dalle statue di Mosè e Sibilla, la vergine sorregge il corpo di cristo mentre la maddalena grida il suo dolore allargando le braccia, il vecchio seminudo inginocchiato è un autoritratto dell’artista in veste di Nicodemo o san Girolamo. La forza espressiva, l’atmosfera tenebrosa, la materia vibrante è un vero e proprio testamento spirituale di Tiziano. I destini di Lorenzo lotto: Lorenzo Lotto dovette cercare fortuna nell’entroterra o nelle Marche; nel 1527 realizza un’annunciazione per Recanati: uno dei suoi dipinti più personali, innervato di commovente spirito popolaresco e ricco di invenzioni inconsuete e spiritose. L’ordinata stanza è sconvolta dall’animazione dei personaggi agitati: Dio padre sembra quasi si tuffa dalla nube, l’angelo è inginocchiato in una posa complicatissima e la vergine è impaurita in primo piano, ma il più impaurito è il gatto che scappa in mezzo alla stanza. Sempre nel 1527 fece un ritratto al collezionista di anticaglie Andrea Odoni: formato orizzontale ritrae con grande verosimiglianza Andrea di mezza figura elegantemente vestito e seduto alla scrivania con frammenti marmorei antichi. Tra il 1540 e 1542 dipinse una pala per la chiesa domenicana dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia: il soggetto è inconsueto a richiamare una politica umanitaria della repubblica attraverso la figura del vescovo di Firenze Antonino Pierozzi. Ecco che nell’elemosina di sant’Antonino lotto ha dedicato la parte alta della figura del vescovo che ascolta due angeli; nella metà inferiore due chierici si affacciano da una balaustra a ricevere le suppliche della sottostante folla di miseri. Nel 1552 si trasferì a Loreto e si fece oblato della santa casa e morì due anni dopo. La prestezza di Tintoretto: alla metà del secolo a Venezia nuove generazioni emergono, trovando i campioni in Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1519-1549) e Paolo Caliari detto il Veronese (1528-1588), due maestri che segnarono la pittura del secondo 500. Tintoretto era soprannominato così perché figlio di un tintore di panni e nel 1548 dipinse una tela gigantesca destinata alla scuola grande di san marco, nel quale è raffigurato un miracolo del patrono di Venezia e titolare di quella confraternita. Una folla gesticolante si accalca attorno a un corpo nudo disteso a terra entro una cornice architettonica; molti indossando un turbante perché siano ad Alessandria, dove uno schiavo, contro 75 Bronzino, un pittore glaciale: Agnolo di Cosimo detto il Bronzino (1503-1572) era allievo di Pontormo e si affermò all’interno della corte medicea realizzando ritratti di corte, con tono aristocratico adatto a celebrare il granduca e la famiglia. Nel 1545 realizza il ritratto della duchessa con il figlio Giovanni, particolare nella maniacale attenzione ai particolari della veste e gioielli; la donna ha un volto ovale perfetto, la fronte alta e i capelli raccolti, raffigurata seduta con il braccio attorno al collo di Giovanni. Madre e figlio in posa e etichetta che impone non ci sia accenno ai sentimenti, figure impenetrabili dalle fredde tonalità di colore perfettamente realizzate da Bronzino. A partire dal 1540 si era occupato di decorare la nuova cappella realizzata per Eleonora di Toledo (moglie duca) in Palazzo Vecchio, dove realizzò una pala con il compianto su cristo morto: una sorta di risposta alla deposizione del maestro, dove la vergine, aiutata da Giovanni e Maddalena, tiene il figlio morto sulle ginocchia, mentre una folla di dolenti si dispera e in alto degli angioletti. Nella scena manca il dolore perché Bronzino non cede al sentimento e le figure sono cristallizzate dai colori freddi. Il Perseo di Cellini: voi nel 1545 benvenuto Cellini decide di rientrare a Firenze e si afferma nella Corte di Cosimo primo come scultore di statue di grandi dimensioni; Vuole realizzare una statua di marmo di bronzo per la piazza della Signoria, così Cosimo Gli affidò all'esecuzione di un monumentale perse o da realizzare in bronzo. Donatello, rappresento per benvenuto un modello costante. Era inoltre sicuro che la tecnica della fusione del bronzo potesse essere ulteriormente perfezionata; Progettò ed eseguì tutto il processo esecutivo del Perseo sperimentando nuove soluzioni. dare il tipo di terra migliore la fuori è un rito dimensionale del due, come l'imperatore Luca, la stessa artiglieria dell'effige dipinta dal Bronzino. L'accuratezza nei tratti del volto in Italia pittura e i decori dell'armatura testano la perizia di Cellini nella rifinitura del bronzo. Il perseo richiese 9 anni di lavoro e fu ultimato nel 1554 ed ottenne un immediato successo, fu posto sulla loggia della Signoria: L'eroica figura di Perseo, figlio di Dana, di, con la sua stretta nella testa, preciso la testa, circondata da serpenti per i capelli, che mostra orgoglioso alzando il braccio sinistro. Nudo, se non per l’elmo di Ade e i calzari, è sostenuto da un elegante basamento marmoreo a pianta quadrata, dove su ogni nicchia vi sono i bronzetti rappresentanti Giove, danee, minerve, mercurio, ossia i genitori divini protettori dell'eroe. Dietro questa scelta si intravede la volontà di Cosimo di paragonarsi al Perseo. L’impresa richiese 9 anni per due ragioni: la difficoltà della fusione del bronzo nel il procedimento a cera persa e necessità di cesellare con un'accuratezza quando uscite da loro. Giambologna, un fiammingo alla corte di Cosimo: Giambologna, il nome con cui fu conosciuto in Italia lo scultore fiammingo Jean de Boulogne, nato nelle Fiandre nel 1529, e morto a Firenze nel 1608; Si trasferì a Firenze e trovò un protettore nel colto Collezionista Bernardo vecchietti che lo introdusse alla Corte medicea. Fu reclutato per diversi cantieri medici e cominciò a elaborare un linguaggio capace di condurre estreme conseguenze il movimento e le contorsioni cara la maniera attraverso figure che preferivano un'atletica snellezza alla possanza. una delle invenzioni più celebre, uno statua di bronzo, in cui l'antico Messaggero degli dei mercurio, con solo l'elmo e Calzari Alati, con la attribuito del CADUCEO, ossia il bastone alato con due serpenti attorcigliati è colto nell'atto di spiccare il volo. la produzione fu realizzata nel 63 e fu replicata in numerosi esemplari. Giambologna per rispondere alle madrelingue che lo definivano incapaci di realizzare Stato di bronzo e realizza il colossale gruppo Marmoreo che Francesco Primo fece collocare nella loggia della Signoria inaugurata nel 1583. È un intreccio di tre figure, nude in movimento, scolpito in un solo blocco di marmo, un vecchio che in basso si piega come ripararsi da una giovane che alza le braccia perché rapite da un atletico uomo che la cinge. Si tratta della storia romana del ratto di Sabina, Titolo esplicitato attraverso il rilievo posta alla base del gruppo, dove i romani rapiscono le donne Sabine per popolare la città fondata da Romolo. Giambologna concepisce una composizione elicoidale continua ed era il massimo traguardo possibile. Fontane di Nettuno tra Firenze e Bologna: A Firenze, il duca volle innalzare la prima Fontana pubblica della città sormontata da una statua di Nettuno, quale emblema della sua capacità di governare le acque e della potenza Fiorentina sui mari. La fontana avrebbe dovuto essere realizzata da Baccio Bandinelli, che tuttavia morì nel 1560, a quel punto si scatenò una competizione che vedi protagonisti, Bartolomeo Ammannati, Cellini, Vincenzo Danti, Giambologna i quali realizzarono un modello in terracotta che alla fine il duca Preferì quello di Bartolomeo Ammannati (1511-1592). Nel 1565 si poteva augurare la Fontana con al centro il colossale Nettuno Che si erge al centro su di una conca che ha la funzione di carro tirato da quattro cavalli di mare, e più vicino a noi le statue in bronzo di una serie di divinità, si sporgono dei bordi della grande Vasca 76 Ottagonale. Giambologna trova il modo di realizzare il proprio progetto a Bologna, realizzando nella piazza Grande una Fontana di Nettuno, Collaborando con l'architetto siciliano Tommaso Laureti e Del Fonditore Zanobi Portigiani chiamate occuparsi del corredo scultoreo in bronzo: Un ciclopico Nettuno alla sommità e quattro putti sui piedi, le quattro arpie agli angoli del basamento, gli emblematici emblemi araldici. Le figure hanno una posa identica, ma alla rigidezza del marmo fiorentino, il bronzo bolognese risponde con un nuovo modo di rendere il movimento. Un moto circolare che si accentua con il gesto della mano sinistra. Capitolo 40: terre imperiali la Sicilia, Napoli, Milano, la Spagna Messina, le fontane di Montorsoli: prima ancora di Firenze, Bologna. Nettuno aveva fatto la sua comparsa nella lontana Messina. L'antica divinità si ergeva come se impugnando il Tridente uscisse dal mare a placare Scilla e Cariddi, i terribili mostri che incutevano timore ai naviganti. Messina rientrava i confini dell'impero e questa Fontana era un omaggio a Carlo quinto, volendo alludere tramite Nettuno al suo dominio i suoi successi della sua flotta contro i turchi. Ultimata nel 1557 per volontà del Senato Messinese, fu danneggiata col tempo da vicende belliche, terremoti. Fu realizzata dal toscano Giovanni Angelo Montorsoli (1507-1563), già conosciuto come Collaboratore di Michelangelo nella sagrestia nuova. Montorsoli, era giunto a Messina nel 1547 ed era stato incaricato subito di realizzare una Fontana intitolata A Orione, il mitico fondatore della città: computer. Nel 1553, in prossimità del Duomo, è costituita dal sovrapporsi della vasca, di due tazze circolari coronata dalla Stato di Orione, accompagnata dal fedele cane Sirio. Sotto di lui una serie di putti, creature marine, mentre sui bordi della vasca quattro figure nude barbute, che sono le divinità dei quattro fiumi ossia il Tevere, il Nilo, L’ebro e il Camaro. Il programma Iconografico fu realizzato dal matematico umanista Francesco Maurolico. L'idea delle tazze sovrapposte era stata elaborata fin dal 1538 da Nicolò Tribolo nella Fontana di Ercole d'Anteo, nella villa di castello e ebbe fortuna nei giardini Medicei. Una di queste fontane fu scolpita tra gli anni 50 e 60 dallo Scultore Francesco Camilliani, popolata da 50 statue e il complesso sarebbe stato venduto a l'erede della città di Palermo, successivamente Posizionata nella nuova piazza del Centro di Palermo, a palazzo Pretorio. Un michelangiolesco a Napoli, Marco Pino: il senese Marco Pino, arrivò a Napoli nel 1552, giungeva da Roma dove aveva partecipato al cantiere della sala Paolina in Castel Sant'Angelo, diretto da per Perin Del vaga e fatto amicizia con Michelangelo. La Pala dell'altare maggiore della Chiesa di Sant'Angelo a Nilo fu completata nel 1573 ed è un emblematica: per la posa contorto in cui l'Arcangelo Michele sconfigge la figura distesa di lucifero per la capacità di mediare la paziente gestualità michelangiolesca con l'audacia di colori vivacissimi e affascinati aperture di paesaggio. Questo tipo di pittura venne apprezzata e Marco Pino divenne un pittore di punta di Napoli. La maniera a Milano, Pellegrino Tibaldi: nella Roma della sala Paolina si mosse anche Pellegrino tibaldi, un giovane lombardo. Chi divenne uno dei maggiori artisti della Milano spagnola. Verso il 1562 si stabilì a Milano, chiamata come architetto della città del Cardinale Carlo Bartolomeo E progettare, costruire nel 1569 la chiesa di San Fedele, una sede dell'ordine gesuita. L'interno è pensato per favorire la predicazione, il coinvolgimento dei fedeli attraverso una sola ampia navata che pure affiancata da cappelle laterali, focalizza l'attenzione sull'altare maggiore dove si erge il ciborio che ha custodisce il sacramento. Qui si conserva la deposizione di Cristo di Simone Petenzaro alunno di Tiziano: Si presenta come un'immagine austera e devota, dove le forme appaiono compatte, solidificate da una luce netta. Questa tela corrisponde alle esigenze della controriforma, ma risulta ben diversa dalla pittura di Tiziano, che tra l'altro a Milano aveva lasciato il drammatico Cristo coronato di spine in Santa Maria delle grazie. Simone Peterzano elaborò un linguaggio più aderente al vero E fu con lui che Caravaggio svolge il suo apprendistato. Fedeltà all’impero, Giuseppe Arcimboldi e Leone Leoni: Quando Caravaggio entrò nella bottega di peterzano, il pittore milanese Giuseppe Arcimboldi era servizio della Corte del sacro impero. Fu così che nel 1562 Giuseppe era trasferito a vienna alle dipendenze di Rodolfo, secondo il quale aveva un gusto per le più stravaganti forme del manierismo. E trovo un vero e proprio campione in Arciboldi. Al pittore si deve le stranissime teste allegoriche composte da un accostamento di fiori, frutta e verdure animali visibile ad esempio nell'autunno: Un profilo di un buffo uomo barbuto dal grande naso e folta capigliatura, dove le fattezze sono costruite montando assieme fiori, frutti, ortaggi. Questo dipinto è una parte di un ciclo delle quattro stagioni. L'artista sa essere ancora più eccentrico, come dimostra il ritratto del cuoco realizzato dalla di stoviglie e differenti animali arrostiti. Questo tipo di invenzioni fa pensare alla caricatura, ossia un tipo di 77 immagine scherzose umoristiche che ha origini molto antiche ed estremamente popolare E ricorda la predilezione che Leonardo da Vinci ebbe per lo studio delle teste grottesche. Orafo e Scultore Leone leoni (1509-1590) allo stesso modo di Cellini ebbe una vita avventurosa, alternando scandali, violenze, medaglie e Stato di bronzo. A lui si devono due straordinari ritratti in bronzo di Carlo Quinto, il primo compiuto nel 1555 conservata a Roma, mostra l'imperatore a mezza figura senza braccio, con il volto barbuto accuratamente descritto nei dettagli, Ritratto come comandante militare del 500, facendolo stare su una base in cui L'Aquila imperiale, affiancata da due nude figure serpenti innate, ditela Moni che si identificano in Ercole Minerva. Il secondo è una scultura a tutto tondo in bronza, commissionata dallo stesso imperatore Dove vuole mostrarsi in due differenti versioni: Nudo come una divinità antica e abbigliato di una elegantissima armatura, e come condottiero del suo secolo. Leone Leoni acquistò una dimora e la ristrutturò Con una facciata a due ordini delle grandiose figure di telamoni, gli omenoni, Realizzate dallo Scultore Antonio Abbondio, con un carattere tanto grottesco, la casa fu definita a casa degli Omenoni. Leone, suo figlio Pompeo furono coinvolti nella decorazione scultorea della principale Cappella della Chiesa del monastero dell'Escorial a Madrid. Era stato Filippo secondo a volere la costruzione del complesso come un monastero dell'ordine dei Gerominiti, Dove Il progetto fu affidata all'architetto spagnolo Juan Bautista de Toledo e Il cantiere fu proseguita dal suo allievo quando il Re era completata nella metà degli anni 80. L'escorial si erge con due torri angolari, un astero paramenti in pietra e si staglia sul Verde paesaggio come una solenne, severa fortezza dominata al centro della Chiesa di San Lorenzo. La struttura quadrilatera vuole alludere alla graticola, allo strumento del martirio del titolare. Un greco italiano e spagnolo: Domenico Theotocopulos noto con il soprannome spagnolo El Greco si trasferì a e la sua pittura si trasfigurò nel fuoco deformante dell'arte di Tintoretto. Nel 1570, scesa a Roma, viene introdotta la Corte del cardinale Alessandro Farnese. In una tela rappresenta mezza figura, un ragazzo che soffiò su un tizzone per ravvivarne il fuoco e accendere una candela; Un grande risultato di effetto luce che annuncia i risultati della pittura caravaggesca. Nel 1575 dipinse la cacciata dei mercanti dal tempio e sempre sorprendere con un concentrato saggio di tutto ciò che aveva imparato: La michelangiolesco dei corpi, il colore di Tiziana e veronese, la passione di tintoretto e il senso dell'architettura classica di Palladio. In primo piano pose un tributo esplicito autoritrae indovini si assieme al suo mentore clovio e simboli viventi delle due culture italiane che aveva fatto proprio e Tiziano e Michelangelo. Nel 1586 risale uno dei suoi capolavori, la sepoltura del Conte de Orgaz Che raffigura un miracolo avvenuto nel 1323 nella Chiesa stessa di Santomio Toledo, per il quale il quadro fu dipinto, Dove si credeva che durante i funerali di un amatissimo benefattore fossero apparse Santo Stefano e Sant'Agostino. Nella versione del greco Stefano il diacono che indossa la dalmatica decorata e appena un ragazzo lo sforzo di colore alle guance di rosso mentre solleva le gambe del morto con un'armatura che riflette il volto E le luci; L'altro capo, il vecchio Agostino, vestito in Gran pontificale. Dietro un cordone di personaggi Vestiti di nero. Realizza Lacoonte sotto un cielo degno di manet, dove le figure del gruppo classico si slegano e si contorcono come fiamme, la Troia sullo sfondo a sembianze di Toledo. In un gioco di specchi tra forme, l'antica e passioni moderne che la vera eredità, che questo greco trasformata in italiano regalo alla sua terza padre, la Spagna. Gli albori di Caravaggio, la pittura della realtà in Lombardia: lontano dai principali centri artistici d'Italia d'Europa, Nelle città di Brescia e Bergamo si mosse un filone di un’arte semplice e concreta, che riflette la sobria quotidianità della vita di un tempo. caposcuola Girolamo Romanino (1484-1559), Chiamate così perché la sua famiglia era originaria di romano di Lombardia, nella pianura bergamasca. Formatosi nella pittura di Venezia, svolge la sua carriera tra il Veneto e la Lombardia; Negli affreschi eseguiti nel 1531 per il Cardinale Bernardo Cles nel castello del Buonconsiglio a Trento emerge tutte le verve di un linguaggio astruso e divertente, fondato sulla pittura sfumata di Giorgione, è testimoniato dal gruppo dei quattro suonatori di flauto nella Lunetta. Atmosfere diversa nella cena in casa del fariseo, nella Cappella del Sacramento della Chiesa, versione San Giovanni Evangelista: Qui è tutto più serioso, la luce ha un ruolo fondamentale di dare compattezza alle figure e gli oggetti disposti sul tavolo, facendola emergere dall'oscurità del fondo e dando risalto al mantello della Maddalena Piegata, ungere i piedi del Cristo seduto a capotavola. Anche Antonio Bonvicino, detto Il Moretto (1498-1554) Prese spunto dalla pittura veneta, dove gli umili emergono come protagonisti. Si osservi la versione della cena in casa del Fariseo per la chiesa di Santa Maria in Calchera, Brescia: Nei pareti sono scavare le figure imponenti e soli delle vivande. Sul tavolo sono di un'impressionante accuratezza, come dei veri e propri brani di natura morta. L'ultimo di questi pittori a Giovanni Girolamo
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