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La evoluzione delle lingue romanze dal latino: morfologia, sintassi e fonetica - Prof. Man, Appunti di Filologia romanza

Come il latino, una lingua indoeuropea, ha dato origine alle varietà regionali delle lingue romanze come l'italiano, il francese, il spagnolo e altre. Viene discusso il ruolo della fonetica e della morfologia nella evoluzione delle lingue, inclusa la reintroduzione del suono aspirato /h/ e la distinzione fonetica tra quantità e qualità di vocali. Inoltre, viene analizzata la struttura delle parole in morfemi e la classificazione delle lingue basata sui tipi di morfologia.

Tipologia: Appunti

2022/2023

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Scarica La evoluzione delle lingue romanze dal latino: morfologia, sintassi e fonetica - Prof. Man e più Appunti in PDF di Filologia romanza solo su Docsity! Capitolo 1 Le lingue romanze Con il termine lingue romanze si intendono quelle lingue che sono derivate dall’espansione dell’Im- pero Romano. Con Romania intendiamo quell’area in cui queste lingue sono parlate. ROMANZO, dall’aggettivo latino ROMANICE, da cui deriva la forma francese romanz, da cui l’italiano “romanzo”. Il numero delle lingue romanze potrebbe corrispondere a quello di tutte le varietà neolatine parlate sul territorio un tempo occupato dall’Impero Romano e che costituisce ciò che in dialettologia viene definito continuum romanzo. I romanisti usano distinguere per lo più nove lingue romanze: 1. Portoghese 2. Spagnolo 3. Catalano 4. Francese 5. Provenzale 6. Sardo 7. Italiano 8. Ladino 9. Rumeno A queste nove lingue dovrebbe essere aggiunto il dalmatico, il cui ultimo parlante è morto nel 1898. Agli albori della filologia romanza, Diez distingueva solo sei lingue romanze: portoghese, spagnolo, francese, provenzale, italiano e rumeno, tutte lingue nazionali, eccezione fatta per il provenzale. Escludeva invece catalano e sardo, ad esempio, sulla base del prestigio culturale. Si usa poi raggruppare le lingue romanze in famiglie più ampie, da est a ovest sono: ·Balcanoromanzo (romeno, dalmatico) ·Italoromanzo (italiano, sardo) ·Retoromanzo (ladino, friulano e romancio) ·Galloromanzo (francese, provenzale e francoprovenzale) ·Iberoromanzo (portoghese, spagnolo [detto anche castigliano] e catalano) Tuttavia alcune varietà si trovano a cavallo tra due gruppo, come ad esempio il catalano che ha tratti comuni con le lingue del gruppo galloromanzo. Si può quindi dire che la classificazione non è rigi- da. Va poi sottolineato che tutte queste varietà non rientrano nelle frontiere delle nazioni moderne ad es- se associate. Il portoghese, per esempio, si estende fino alla Galizia, all’interno dello stato spagnolo; il francese e parlato anche in Belgio e in Svizzera; il romeno in Moldavia e in alcune parti dell’Ucraina, dell’Albania, della Macedonia e al nord della Grecia. Inoltre da non dimenticare che all’interno di uno stato si possono parlare più lingue. Il romanzo alpino o retoromanzo è stato suddiviso in tre tronconi da Graziadio Isaia Ascoli, due in Italia (friulano e ladino) e uno in Svizzera (romancio). Lo statuto di famiglia di questi dialetti alpini però non è condiviso da tutti; in particolare il friulano, secondo altri studiosi, andrebbe associato ai dialetti veneti italiani. In seguito alla colonizzazione tali lingue si sono diffuse anche in altri continenti, dando vita a ciò che viene chiamata Romània nuova; spesso la varietà parlata in queste aree di nuova colonizzazio- ne, almeno a livello non ufficiale è un creolo. Che cos’è un creolo? Lo sradicamento dalle terre di origine di molte popolazioni, costrette poi a convivere e comunicare con altri o con i padroni che parlavano lingue diverse, portò allo sviluppo di lingue pidgin. Un pidgin è una lingua particolare che non ha parlanti nativi e viene impiegata so- lo in alcune situazioni, ad esempio per il commercio. Quando un pidgin viene usato da una comuni- tà di parlanti in tutte le situazioni in cui si usa una lingua “normale”, quando insomma diventa lin- gua madre di quella comunità, si parla di processo di creolizzazione, ossia la formazione di una lin- gua creola. Questa nuova lingua fa sì che si prendano in prestito molti termini di un’altra lingua, so- litamente quella colonizzatrice, che funziona da lessificatore. Le lingue romanze sono il risultato dell’espansione dell’Impero Romano, ma la Romania moderna non corrisponde a tutta l’area in cui anticamente si usava il latino. Esiste infatti una Romania sub- mersa, un’area nella quale il latino è stato soppiantato da altre lingue, per lo più slave o germaniche. Tra le lingue incontrate dai Romani, solo il greco fu un serio rivale per motivi di prestigio culturale. Capitolo 2 Il latino Le lingue romanze derivano dunque dal latino, che a sua volta fa parte della famiglia di lingue chia- mata indoeuropea. L’idea di questa classificazione in famiglie si ha a partire dall’Ottocento con Schleicher, che sviluppò il modello dell’albero genealogico per illustrare i rapporti fra lingue della stessa famiglia. Nel caso delle lingue indoeuropee la lingua madre sembrerebbe essere stata la lin- gua di un popolo originario dell’Asia centrale nel 3000 a.C., che dal suo luogo di origine ha poi mi- grato attraversi gran parte dell’Asia e dell’Europa. Lingue indoeuropee in Europa sono: -Lingue germaniche (tedesco, inglese, olandese, svedese, ecc.) -Lingue slave (russo, polacco, bulgaro, croato, ecc.) -Lingue celtiche (gallese, gaelico, scozzese, bretone) -Greco -Albanese -Lingue italiche (latino, osco-umbro, italiano, sardo) Le lingue italiche sembrano essere arrivate nella penisola italiana attorno al secondo millennio a.C.; altre varietà di lingue confinavano con le lingue italiche: greco, celtico, etrusco. Alle origini dunque il latino era solo la varietà italica parlata nel Lazio e si diffuse poi gradualmente su un’area molto più vasta. Espansione del latino. L’espansione di Roma copre un arco temporale di circa sei secoli, dal 272 a.C., con la conquista e la sottomissione dell’Italia centro-meridionale, per culminare nel 476 d.C. con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Questo lungo arco di tempo in cui il latino è stato lingua ufficiale di un’area geograficamente ampia e varia da un punto di vista etnico e linguistico, ha inevitabilmente portato conseguenze sul piano strettamente linguistico. Importante sottolineare che con il tempo tutte le lingue mutano. Se dunque da un lato vi è la tendenza fra i parlanti di una lingua a mantenerla stabile per facilitarne la com- prensione reciproca, esiste anche la propensione opposta che tende al cambiamento. In quest’ottica vanno prese in considerazione variazioni di tipo storico e di tipo geografico, legate all’apprendi- mento della lingua. Quando si impara una lingua straniera si tende a introdurre in essa dei tratti tipi- ci della propria lingua: questo sarà successo al latino parlato nelle diverse aree dell’Impero. Infine il latino sarà stato soggetto a una variazione di tipo stilistico: infatti la lingua dello scritto è differente da quella del parlato, e cambia in rapporto con il grado di cultura, età, sesso del parlante e altri fatto- ri. Latino classico e volgare. Fin dalla nascita della filologia romanza, il confronto fra le lingue roman- ze ha rivelato che molte forme erano sì derivate dal latino, ma che questo latino non coincideva esattamente con la lingua “classica”. Possiamo infatti vedere come molte parole comuni nei testi let- terari sono del tutto scomparse nelle lingue romanze. Ad esempio il verbo LOQUI, “parlare”, non ha lasciato traccia, se non in termini come colloquio, interlocutore. Troviamo invece con lo stesso significato termini come parlare (it.), parler (fr.), parlar (occ., cat.), hablar (sp.), falar (port.), che de- rivano anch’essi da parole latine, ma non dalla parola normalmente usata dai latini classici. Infatti bisogna risalire ai termini PARABOLARE, FABULARE, che si riferiscono a un modo particolare di parlare, cioè “raccontare”, parola con significato più ristretto che ha esteso le sue funzioni fino ad un significato più generico. Sul piano dei suoni si può osservare come due vocali toniche distinte del latino classico, E lunga e I breve, in sillabe che presentano identica configurazione, hanno esito simile. Infatti nelle principali trodotto tratti dalle proprie lingue. In questo modo si saranno create delle varietà regionali di latino diverse a seconda della lingua del paese conquistato e che saranno alla base delle diverse lingue ro- manze: osco-umbro nell’Italia centro-meridionale; iberico, celtiberico nella penisola iberica; celtico nella Gallia e nella pianura padana, e via dicendo. Spiegare le divergenze tra le lingue romanze in base all’influenza delle diverse lingue preromane, ossia le lingue di sostrato, era un metodo adope- rato da molti romanisti della fine dell’Ottocento. Si tentò di interpretare in questa chiave vari feno- meni:ØIl dileguo di F- iniziale in castigliano (FABULAR > hablar), attribuito al sostrato basco o ibericoØSpirantizzazione o gorgia toscana, attribuita al sostrato etruscoØPassaggio U > /y/ in fran- cese, attribuita al sostrato celticoIl problema è che abbiamo una scarsa conoscenza di queste lingue e, semmai, è lo studio delle lingue romanze che può dirci qualcosa su di esse e non viceversa. Di tutti gli esempi citati sopra, probabilmente solo il terzo è da attribuirsi con qualche sicurezza al so- strato celtico. Dove l’influenza del sostrato si sente di più è nel lessico perché anche i parlanti nativi di latino avranno presoin prestito termini locali per designare oggetti legati alla realtà locale. Così vi sono alcuni termini celtici che sono entrati a far parte del fondo romanzo comune, come ad esem- pio CAMISIA > it. camicia, fr. chemise, sp. port. cat. camisa, rom. camasa, che indicava un capo di abbigliamento tipicamente celtico. Ugualmente di origine celtica sono le parole cambiare, lancia, lanciare, cammino, becco. Questi termini documentano i contatti precoci tra i Romani e le popola- zioni celtiche. Il numero di termini di origine celtica aumenta in 4SUPERSTRATO, SOSTRATO E ADSTRATOSUPERSTRATO: quando rispetto alla lingua dominante si sovrappone uno strato che non lo copre del tutto ma lo influenza.SOSTRATO: quando la lingua dominante si sovrappone ad un’altra e ne subisce l’influenza.ADSTRATO: strato linguistico adiacente, lingua parlata in un’area confinante con l’area di un’altra lingua. Come tale, esercita su questa un influsso linguistico di va- rio genere. Altra parole che risalgono a lingue preromane in spagnolo sembrano reliquie di un’antica lingua che si estendeva dalle Alpi ai Pirenei, come nava (pianura in montagna) o arroyo (ruscello), mentre so- no di origine sconosciuta ma preromana i termini cama (letto), perro (cane), zorro (volpe). Più diffi- cile è stabilire la presenza di parole proveniente dal sostrato in romeno, che comunque ha in comu- ne con l’albanese alcune parole non latine che potrebbero provenire da una lingua di sostrato, come ad esempio rom. copil, alb. kopil, “bambino”. Un’altra fonte di prestiti lessicali deriva dai contatti continui che i Romani ebbero con i Greci, i quali costituivano, come si è detto, un modello culturale superiore. Non si può infatti parlare di sostrato per il greco, che non fu mai soppiantato dal latino al- meno nell’Impero d’Oriente, ma piuttosto di adstrato o semplicemente di lingue in contatto. I presti- ti dal greco sono dunque antichi per quanto riguarda termini come CAMERA, PLATEA, PETRA; sono più recenti i numerosi termini che sono passati al latino dal greco con l’avvento del cristianesi- mo: ECCLESIA, EPISCOPUS, PRESBYTER, DIABOLUS e via dicendo. Un’ulteriore fonte di in- fluenza esterna sul latino furono le invasioni barbariche che ebbero luogo dal V secolo in poi. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente fece venire meno la presenza di un centro linguistico forte comeRoma, accelerando così la frammentazione linguistica e gettando le basi per le diverse lingue romanze moderne. Le invasioni costituirono un altro momento di contatto fra i popoli di lingue di- verse, che originò ulteriori prestiti lessicali provenienti da quella che è tradizionalmente definita lin- gua di superstrato. È così che troviamo diverse parole di origine germanica in tutte le lingue roman- ze, a riprova del fatto che erano entrate nel latino prima della caduta dell’Impero, quando la Roma- nia era ancora unita. Tra queste parole, che sono definite panromanze, menzioniamo SAPONEM, originariamente un prodotto per capelli. Le invasioni germaniche ebbero luogo sull’arco di diversi secoli, dai primi spostamenti del V secolo fino a quelli verso sud di popolazioni scandinave. L’in- tensità e la durata di tali invasioni, nonché il grado di contatto precedente con la cultura e la lingua latina, sono altrettante variabili che hanno determinato l’influenza delle lingue germaniche sul lati- no e poi sulle lingue romanze. Tra le lingue romanze, infatti, è il francese quella ad aver risentito maggiormente della presenza germanica e i prestiti lessicali dal francone sono numerosi e spesso si sono diffusi dal francese alle altre lingue romanze durante il periodo medievale e dopo. I Franchi, a differenza di altre popolazioni germaniche , avevano avuto in precedenza pochi contatti con i Ro- mani, anche se poi seguirono una politica di alleanza con i Galloromani. La toponomastica di origi- ne francone rivela che la densità degli occupanti franchi era molto maggiore nel nord-est e andava scemando verso sud, fino a diventare una presenza solo nominale a sul della Loira. Questo spiega perché l’elemento francone sia più spiccato in francese che non in occitano. I prestiti franconi pro- vengono dai campi semantici più diversi, a riprova della profonda influenza germanica subita da questa lingua, ma possono essere isolati alcuni campi più significativi. L’amministrazione feudale, per esempi, contiene molti germanismi, poiché furono i Franchi a introdurre e consolare questo si- stema politico nell’Europa medievale. Oltre alle parole che indicano cose e che sono quelle più facilmente prese in prestito da una lingua all’altra, ilfrancese ha assorbito anche alcuni nomi astratti, come ad esempio honte, “vergogna”, or- gueil, “orgoglio” e diversi aggettivi come riche, “ricco”, hardi, “ardito”. Il prestito del francone è stato capillare e molti di questi termini sono poi passati nelle lingue romanze. L’italiano, l’occitano e le lingue iberoromanze contengono anche termini germanici che sono passati direttamente dalla lingua degli occupanti germanici di queste aree, ma in numero molto minore: si tratta per lo più di toponimi e di nomi propri. Ad est della Romania l’influenza germanica è trascurabile mentre assai più presenti sono i prestiti dalle lingue slave. Quella degli Slavi fu una migrazione che andava da est verso ovest; all’epoca romana queste popolazioni si trovavano ancora principalmente a nord del Danubio. Più tardi occuparono la riva meridionaledel Danubio e i Balcani. L’attuale popolazione la- tinizzata della Romanìa proverrebbe da quest’area: tale teoria troverebbe appoggio proprio nei pre- stiti slavi. Attualmente la scuola romena di romanistica si oppone a questa teoria e tende a sottoli- neare il fatto che, anche se la Dacia è stata una colonia romana solo per duecento anni, i lunghi con- tatti con le popolazioni slave ha influenzato profondamente il lessico romeno, sia con termini colti (dall’amministrazione alla religione), sia termini comuni. L’ultima grande ondata che travolse i ter- ritori dell’Impero d’Occidente fu quella degli Arabi, che rimasero nella penisola iberica fino al 1492 con la caduta del regno di Granada. In questi quasi sette secoli di occupazione è ovvio che le lingue iberoromanze abbiano subito l’influenza dell’arabo, tanto più se si pensa che quella araba era una cultura superiore e nuova rispetto a quella dei Visigoti, sicché furono introdotte molte parole designanti cose e istituzioni nuove. Numerosi termini che indicano cibi o prodotti sono arabi. Inte- ressante a questo riguardo è anche il fatto che alcuni di questi termini sono dei prestiti in arabo, sic- ché si ha talvolta il ritorno di una parola latina tramite l’arabo, come per esempio albaricoque, “albi- cocca”, dal latino PRAECOQUUS. La superiorità della cultura araba in campo scientifico e filosofi- co ha fatto sì che diverse parola da questi campi siano state prese in prestito e dallo spagnolo si sia- no poi diffuse in tutta Europa. Ovviamente non è solo lo spagnolo, fra le lingue iberoromanze, ad essere influenzato dall’arabo: anche portoghese e catalano presentano una certa quantità di lessico di origine araba. Un aspetto dei prestiti arabi in iberoromanzo è che i termini sono spesso riconosci- bili dall’iniziale a-, al-, cheè l’articolo determinativo arabo interpretato come parte integrante della parola. In ciò il catalano si comporta in modo simile al siciliano, altra zona di prestiti dall’arabo: an- che in Sicilia il contatto con la civiltà araba portò prestiti lessicali, spesso identici a quelli passati in spagnolo; alcuni di questi prestiti sono poi passati in italiano: zucchero, zafferano, carciofo, arancia, cotone. Molto più difficile, anche per le lingue di superstrato, è stabilire se esse abbiano lasciato tracce nelle lingue romanze fuori dal lessico, nella fonologia e nella morfologia. Per il francese si è ipotizzato che sia dovuta alla massiccia presenza dei Franchi la reintroduzione dell’iniziale aspirata /h/, di cui il ricordo rimane nelle parole che non hanno liaison dell’articolo plurale. Si pensa inoltre che il forte accento di intensità, caratteristico delle lingue germaniche, potrebbe essere responsabile della dittongazione in francese di /e/ e /o/. si è cercato di attribuire al superstrato germanico un trat- to morfologico come l’introduzione della forma impersonale on. Per quanto riguarda lo spagnolo, invece, si attribuisce in prima istanza ai prestiti dall’arabo l’aver reintrodotto nella lingua un discre- to numero di parole sdrucciole. Questo a sua volta avrebbe aperto la strada più tardi ad altri prestiti anche dal latino con un’accentazione proparossitona. L’area che risente di più dell’influenza della lingua di superstrato, però, è senz’altro quella del balcanoromanzo. Al contatto con le lingue slave è attribuito generalmente il fatto che il sistema delle consonanti romene è più ricco di quello delle lin- gue romanze occidentali e contiene anche un numero più ampio di nessi consonantici come, per esempio, bl. hl. Br, ml, sf, spr, str, zb, zdr, zg, zgl. Questi esempi testimoniano un altro fatto fonetico attribuibile allo slavo, la reintroduzione del suono aspirato /h/. Sul piano morfologico, il contatto con le lingue slave, soprattutto meridionali, è considerato responsabile della buona tenuta dei casi grammaticali: come si vedrà, questi sono ereditati dal latino, ma eliminati nelle lingue romanze oc- cidentali, ella morfologia e della sintassi dipendono da una asimmetria o da una lacuna nel sistema che, inconsciamente, vengono colmate e rese simmetriche dai parlanti. Tali modifiche possono esse- reclassificate sotto il nome generico di analogia, particolarmente attivo a livello grammaticale. Così è possibileindividuare alcuni cambi fondamentali anche nel sistema dei suoni del latino che costitui- scono non scolo cambiamenti fonetici, ma anche cambiamenti fonologici che portano a modifiche della struttura fonematica della lingua. Nell’articolare un suono vocalico vi è un passaggio dell’aria costante attraverso gli organi fonatori, la vibrazione delle corde vocali, un leggero movimento della lingua in giù o in su, in dietro o in avanti. Lo schema delle vocali latine, disposto a trapezio, rappre- senta infatti le posizioni della lingua nella cavità boccale: le vocali più alte o chiuse sono /i/ e /u/, mentre quella più bassa o aperta è /a/; distinguiamo poi vocali anteriori (/i/, /e/ e / /) e posteriori (/u/, /o/ e / /). L’articolazione delle consonanti coinvolge maggiormente gli organi fonatori; sono da tenere in con- siderazione:·Il punto di articolazione del suono:oSuoni bilabialioSuoni labiodentalioDentalio- Palatali. Modo in cui passa l’aria per gli organi fonatori:oSuoni occlusivi, con ostruzioneoSuoni fricativi, con passaggio costante dell’ariaoSuono affricato, combinazione delle due modalità precedentioSuo- no laterale, con il passaggio di aria ai latioSuono vibrante, con la produzione di una vibrazione della linguaoSuono nasale·Vibrazione delle corde vocali:oSuono sordo, quando c’è mancanza di vibra- zioneoSuono sonoro, quando si verifica la vibrazione VocalismoIl sistema vocalico del latino “classico” era costituito da cinque vocali, ognuna delle qua- li poteva essere lunga o breve: e dai tre dittonghi: AE, OE, AU. In questo caso si tratta di una distinzione fonologica; per fonema intendiamo la più piccola unità in cui si può dividere una parola: esso è privo di significato, ma la sua sostituzione con un altro fonema può cambiare il significato della parola. I parametri sopraelen- cati costituiscono invece i tratti distintivi dei fonemi e la sostituzione di uno con un altro cambia il fonema e, dunque, il significato della parola. Così, la sostituzione di una vocale breve con la stessa vocale, ma lunga, in una parola ne cambiava il significato o la funzione grammaticale:essere lunga o breve: processo di dittongazione principalmente delle vocali toniche mediane. I risultati della dittongazio- ne sono:·La formazione di un dittongo ascendente, accentato sul secondo elemento da / / e / /ᶓ ᶗ·La formazione di un dittongo discendente, accentato sul primo elemento da /e/ e /o/; alcuni di questi si sono successivamente monottongati, in particolar modo in francese. Dal fenomeno sono esclusi il portoghese, l’occitano e a prima vista il catalano; più complessa è l’evoluzione in questa lingua di Ĕ. Il catalano moderno presenta una /e/ laddove il latino aveva Ĕ, e, almeno per quanto riguarda la varietà orientale, una / / al posto di Ē. Si ipotizza dunque una dittongazione in ᶓie in una fase prelet- teraria che ha permesso l’evoluzione di Ĭ, Ē > , con successiva monottongazione di ᶓie > e. Anche in francese e in italiano sono coinvolte solo le sillabe aperte, mentre in spagnolo anche le sillabe chiuse, come pure in romeno, dove però dittonga solo la vocale anteriore poiché quelle posteriori evolvono in modo diverso (vedi vocalismo tonico). Tale rilievo si incrocia con il problema di come e quando sia avvenuta la dittongazione. È chiaro che la formazione dei dittonghi ascendenti è più diffusa di quelli discendenti, sicché si presume che tale dittongazione sia la più antica: ipotesi ap- poggiata dal fatto che in francese essa è avvenuta in alcune parole sdrucciole che poi hanno perso la vocale postonica, facendo della sillaba tonica una sillaba chiusa. Perché tale fenomeno sia avvenuto è invece un problema non del tutto risolto. Una scuola di pensiero vedrebbe in esso una dittongazio- ne per metafonesi o aromanizzazione della vocale tonica con un altro elemento vocalico che segue, normalmente Ī o Ū. Il risultato è un innalzamento della vocale tonica. Nel caso delle vocali mediane brevi Ĕ ed Ŏ tale innalzamento è parziale e coinvolge soloil primo segmento del suono. Si tratta di un fenomeno simile a quella della frattura delle stesse vocali toniche seguite da un suono palatale, che avviene anche a varietà non coinvolte in quello che sembra il fenomeno più generale, come in occitano, per esempio, oltre che in francese. La dittongazione per metafonesi è inoltre comune nei dialetti italiani meridionali, esclusi da un tipo di dittongazione più generalizzato. La vocale finale che provoca il dittongo, in seguito, può modificarsi e in questo modo il cambio della tonica assume anche una funzione grammaticale, come ad esempio avviene nei dialetti campani. Secondo alcuni dunque, da un’originaria fase di dittongazione di questo genere, il fenomeno si sarebbe esteso anche a quei contesi in cui non viene esercitata l’influenza della metafonesi e ciò sarebbe dimostrato an- che dal fatto che la dittongazione per metafonesi avviene in qualsiasi tipo di sillaba. In francese e in italiano la dittongazione si è estesa oltre l’originale contesto metafonetico, ma solo nelle sillabe aperte; ciò è spiegabile ancora con il ricorso alla struttura della sillaba e al fatto che una sillaba aperta tendeva ad allungarsi, mentre quella chiusa era già di per sé più “pesante”, così da rendere inaccettabile la presenza di un dittongo in tale sillaba, che risulterebbe troppo pesante. Una seconda scuola di pensiero vedrebbe proprio nell’allungamento della sillaba tonica aperta la causa della dit- tongazione: la vocale si allunga fino a scindersi à Ĕ > EE > ie. Il problema è che alcune lingue pre- sentano anche un dittongo in sillaba chiusa. Entrambe le tesi presentano dei problemi, anche se la prima ha il vantaggio di dare una spiegazione unitaria per tutti i casi di formazione di dittonghi ascendenti. Più chiaramente dovuto a un allungamento della vocale tonica in sillaba aperta è il se- condo tipo di dittongamento. Questa evoluzione riguarda il francese, il retoromanzo e alcuni dialetti dell’Italia settentrionale ed è limitata a sillaba aperta. Vocalismo atonoIn linea generale le vocali atone, che formano parte di sillabe di minore importanza nella parola rispetto a quella tonica, si ri- ducono di più che non le vocali toniche, sicché si passa dalle dieci vocali latine a cinque, o anche meno, secondo i seguenti schemi: Vi è però una tendenza a ridurre tutte le atone posteriori a /u/, un’evoluzione chiaramente presente non solo nel romeno e nel siciliano, ma anche in molti dialetti italiani, ad eccezione del toscano, nonché nel portoghese, catalano e, sporadicamente, in spagnolo. Al contrario, il francese tende spes- so a ridurre tutte le vocali atone posteriori a /o/. In effetti, l’evoluzione delle vocali atone dipende in larga misura da quella delle vocali toniche. È importante ricordare che cambiamenti come quelli de- scritti er le vocali toniche non avvengono in modo isolato, una notevole ristrutturazione del vocali- smo tonico doveva per forza scatenare altri cambiamenti nel sistema fonetico e fonologico della lin- gua; perciò se le vocali atone in posizione iniziale si mantengono abbastanza bene, essendo la silla- ba iniziale la più resistente nella parola, le atone nelle altre posizioni si indeboliscono e sono poi og- getto di tutta una serie di riduzioni e assimilazioni che si faranno sentire sugli altri elementi conso- nantici della parola. Tra questi cambiamenti i più importanti sono: 1. Sincope. La sincope è la caduta di una vocale interna che modifica la struttura della parola, facen- dole perdere una sillaba. Si tratta normalmente della vocale immediatamente pre- o postonica, cade a causa dell’aumentata intensità dell’accento tonico. Il fenomeno è presente nel latino arcaico ed è testimoniato in alcune iscrizioni.La sincope rappresenta una tendenza generale delle lingue romanze e risale all’epoca latina; è più frequente a ovest che ad est. Da ciò risulta che l’italiano e il romeno tendono a conservare molte parole proparossitone che non lo spagnolo e, ovviamente, il francese, lingua marcatamente ossitona6.L’importanza della sincope consiste anche nel fatto che ha creato una serie di nessi consonantici nuovi. 2. Riduzione in iato. La riduzione in iato implica anch’essa la perdita di una sillaba nella parola. Per vocali in iato si intendono gli incontri di vocali che costitui- scono due sillabe successive senza essere separata da una consonante: ciò rappresenta un’infrazione alla normale struttura sillabica. Quando le vocali sono di timbro simile vengono ridotte per lo più a un solo elemento: da PARIETEM a parete (it.), paroi (fr.), pared (sp.) e via dicendo. Quando invece le vocali sono troppo diverse, il primo elemento diventa una semivocale e si istaura così una struttu- ra sillabica più usuale. Questa evoluzione è testimoniata anticamente nei graffiti pompeiani con IA- MUS per EAMUS e nell’Appendix Probi VINEA NON VINIA. In entrambi i casi è illustrata la chiusura in jod di una E in iato. Infatti I ed E si chiudono nella semivocale anteriore /j/, mentre U si chiude in quella posteriore /w/ à tale cambiamento è importante per il fatto che la comparsa nella parola della semivocale /j/ è responsabile di numerosi cambiamenti ulteriori nei suonicontigui:VA- LEAT > valga (it., sp.), vaille (fr.), valha (port., occ.) Da questo esempio si può anche capire come il passaggio della vocale anteriore in iato a iod e la conseguente modifica della consonante oppure della vocale precedente avrà un effetto anche sulla coniugazione di verbi nei casi in cui le desinenze del congiuntivo presente siano formate con -EA-, oppure quelle della prima persona singolare dell’indicativo presente siano -EO o -IO. 3. Le vocali atone sono anche soggette all’influenza di quelle toniche nel senso che si possono avvicinare o allontanare da esse per quanto riguarda il punto di articolazione: in questo caso si parla di assimilazione. Esiste anche la reazione contraria, detta dissimilazione: con essa si spiega anche lariduzione di AU > A quando la vocale tonica è /u/. 4. In diverse lingue romanze viene introdotta una vocale atona, normalmente e prima di nessi consonanti- ci iniziali costituiti da S+CONSONANTE. Tale vocale, detta protetica, è uno sviluppo antico ed è un’evoluzione più tipica delle lingue romanze occidentali.5. Altri cambiamenti che coinvolgono le vocali atone sono importanti perché interferiscono con i marcatori delle diverse funzioni grammati- cali. Questo riguarda principalmente le vocali atone finale dove viene a mancare la distinzione tra -U e -O già nel latino tardo. Infatti le vocali atone finali sono le più soggette al cambiamento o al di- leguo: in galloromanzo cadono tutte le vocali finali tranne la -A e in francese c’è un’ulteriore evolu- zione > ə. In spagnolo si perdono tutte tranne -a, -o e talvolta -e, che però può essere una vocale di appoggio: ma la -e finale di questo tipo non è esclusiva dello spagnolo à nell’Italia meridionale le vocali finali tendono a ridursi a i, u, a oppure a ə. Più resistenti sono le vocali iniziali, che hanno un maggior peso nella parola che non quelle pre- o postoniche o finali, più propense a modificazioni, a dileguare o a ridursi in uno schwa /ə/. Consonantismo Le consonanti sono più forti in posizione iniziale e più deboli in posizione finale; sono soggette a cambiamenti per influenza dei suoni circostanti all’interno della parola o a causa della caduta di vo- cali, che dà luogo a nuovi nessi consonantici. Vi sono meno cambiamenti delle consonanti che inve- stono l’intera area romanza e tali cambiamenti sono riconducibili al periodo latino comune. Fonemi consonantici del latino. L’inventario dei fonemi consonantici latini è più ridotto a rispetto a quello romanzo; il latino ha cop- pie di fonemi sordi e sonori per le consonanti occlusive, ma non conosce le fricative sonore /v/ e /z/, corrispondentialle sorde /f/ e /s/ > tale mancanza sarà colmata in vari modi nel corso dell’evoluzio- ne della lingua. Assenti sono anche le affricate dentali /ts/ e /dz/, le palatali /t / e /d / e le fricative palatali / / e / /, presenti tutte o in ᶘ ᶚ ᶘ ᶚparte nelle lingue romanze. D’altra parte il latino aveva dei fonemi che sono scomparsi nelle lingue romanze.·Tra le consonanti scomparse notiamo in primo luogo le labiovelari kw e gw (QU e GU) che vanno considerate un fonema unico e non un nesso consonantico; queste consonanti sono state ridotte tendenzialmente al solo elemento velare, oppure a velare + semivocale, a seconda delle lingue.·Scomparsa in tutta la Romània è anche la fricativa la- ringale sorda /h/, altro fonema che non aveva la corrispondente sonora. Tale asimmetria si è risolta con il dileguo del suono già in epoca antica, cometestimoniato da forme IC per HIC e ABERE per HAERE, o ancora, OLIM per HOLIM à in questo ultimo caso si tratta di un ipercorrettismo. La per- dita della fricativa laringale si estende anche a parole greche con consonanti aspirate, dove scopare l’elemento aspirato: THIUS > TIUS > zio·Il latino non aveva la fricativa sonora labiodentale /v/: i grafemi v e u rappresentano la vocale /u/, quando costituisce il nucleo della sillaba, o la sua variante dell’Ottocento e in particolare al linguista tedesco Schlegel, individua tre tipi di lingue:1. TIPO ISOLANTE O ANALITICO: tutte le parole sono invariabili e i rapporti grammaticali espressi me- diante l’ordine delle parole.2. TIPO AGGLUTINANTE: le parole sono costruite da una serie di uni- tà o morfemi, ognuno dei quali ha un solo significato grammaticale.3. TIPO FLESSIVO O SINTE- TICO: i rapporti grammaticali sono espressi con la modifica della struttura della parola mediante l’aggiunta di desinenze diverse, ma anche con cambi di struttura interna. Tali modifiche possono esprimere più di una funzione grammaticale Tenendo presente questi tipi, si afferma tradizionalmen- te che l’evoluzione dal latino alle lingue romanze è un’evoluzione che conduce da una lingua sinte- tica a una lingua analitica, ma in realtà il latino non è una lingua completamente sintetica: infatti fa uso di preposizioni isolate per esprimere alcune funzioni grammaticali. Le lingue romanze, poi, fan- no ricorso anche alle desinenze del sistema verbale, sicché non possono essere considerate total- mente analitiche. Sarebbe più corretto vedere il latino e le lingue romanze come due punti lungo una linea che va da una lingua sintetica a una lingua analitica, ma che non si trovano aidue estremi. Il latino aveva ereditato il sistema flessivo delle lingue indoeuropee che erano tutte flessive nelle fa- si più antiche, ma rappresenta già una lingua in parte evoluta verso il tipo delle lingue romanze. Una lingua come ilfrancese ha ormai in parte eliminato le desinenze verbali, caratteristiche dell’ita- liano e dello spagnolo, sostituendole con i pronomi personali obbligatori > a causa dell’evoluzione fonetica in alcuni verbi non vi sono più differenze tra la prima, la seconda, la terza e la sesta perso- na del presente indicativo. La descrizione più tradizionale dell’evoluzione del sistema morfologico del latino va qualificata meglio tenendo presente acquisizioni più recenti in sede di tipologia lingui- stica e di teoria del cambio linguistico: è stato osservato che un aspetto piuttosto costante nel cam- bio linguistico è il passaggio di una lingua con l’ordine sintattico che prevede il complemento og- getto prima del verno (OV) a un ordine che mette il verbo prima del complemento oggetto (VO): le lingue con ordine VO tendono ad avere altre caratteristiche comuni,come l’uso di preposizioni inve- ce che di posposizioni. Poi notiamo che il latino, come le fasi antiche delle lingue indoeuropee, era- no sostanzialmente una lingua con l’ordine OV, mentre le lingue romanze sono lingueprevalente- mente VO. Va ancora ricordato che una delle forze all’opera nel cambio morfologico è l’analogia, che tende ad evidenziare come una serie di forme faccia parte di un sistema e tende a eliminare ap- parenti irregolarità > si osserva un antagonismo tra il cambio fonetico, che altera l’aspetto fonico delle forme e può così confondere itratti che esse hanno in comune con altre forme di uno stesso si- stema, e l’analogia, che tende a ristabilire il rapporto tra le forme e il sistema a cui appartengono. Si consideri l’esempio del verbo “potere”, in latino e in francese:ØLatino: verbo con forme irregolari, possum (1SG), potes (2SG), potest (3SG), posse (inf.): nel corso della storia del latino sarà stato modificato per analogia in modo da rientrare in uno schema più comune di coniugazione, con infini- to *POTERE e presente indicativo *POTEO, *POTES, *POTETØFrancese: in seguito al cambio fonetico si è avuto pouvoir, e il presente indicativo puis, peux, peut. Così nella lingua moderna la 1SG è stata rimodellata sulle altre forme del presene indicativo con accento sul tema per diventare peux; puis è impiegato ora solo nel linguaggio formale nella forma interrogativa. Le forme del pre- sente indicativo hanno poco o niente a che fare con quelle del latino classico. È tale tipo di cambia- mento che agisce all’interno del sistema morfologico latino e che va tenuto ben presente. Il sistema morfologico del latino si articola in un sottosistema nominale, uno verbale e una serie di parole in- variabili come avverbi, preposizioni e congiunzioni. Il sottosistema nominale e quello verbale pre- sentano forme flesse o variabili, dette declinazioni per il primo e coniugazioni per il secondo. Sistema nominale I CASI DEL LATINO·NOMINATIVO = soggetto o predicativo del soggetto·GENITIVO = com- plemento di specificazione·ACCUSATIVO = complemento oggetto·DATIVO = complemento di termine·VOCATIVO = complemento di vocazione·ABLATIVO = complementi vari Il sistema nominale comprende i sostantivi, gli aggettivi, i pronomi e i numerali. Queste classi di pa- role erano declinate: si servivano di desinenze per esprimere numero, genere, caso. Queste stesse desinenze indicavano anche il numero e/o il genere. Se si prede come esempio l’italiano, anche qui si trovano desinenze, ma esse esprimono solo le funzioni di genere e/o numero; lo stesso si può affermare per le altre lingue romanze. Più radicale nella sua evoluzione è ancora il francese, che distingue ormai spesso il numero e il genere solo con le forme dell’articolo preposto. Inoltre i sostantivi latini si dividevano in cinque declinazioni, ognuna con forme singolare/plurale e con sei casi. Qui però vi sono delle imperfezioni e delle asimmetrie: da un lato mancano delle desinenze ca- ratterizzanti i singoli casi, dall’altro alcuni casi hanno desinenze uguali in tutte le declinazioni, men- tre altricasi si differenziano da una declinazione all’altra. Le prime due declinazioni sono accomu- nate da un plurale nominativo in -I e le ultime tre da un plurale in -S. Va osservato che alcune decli- nazioni sono marcate per genere. Se pensiamo alle moderne lingue romanze, è chiaro che il sistema nominale del latino, nel corso della sua evoluzione, si è notevolmente ridotto. L’evoluzione del si- stema nominale del latino va principalmente in direzione della riduzione dei casi da sei a, general- mente, uno solo. Allo stesso tempo vengono ridotti i generi e le declinazioni.SostantiviRiduzione delle declinazioni. Tra le cinque declinazioni, la quarta e la quinta già in latino classico erano delle- classi improduttive, che non generavano parole nuove: così le parole della quinta declinazione fini- rono nellaprima declinazione, mentre quelle della quarta nella seconda. Abbiamo eccezioni: qual- che parola della quintaè stata assimilata alla terza, mentre alcune parola della quarta, di genere fem- minile, sono state assimilate nella prima e dotate della desinenza -A, tipica di tale declinazio- ne.ØMANUS, eccezione nell’eccezione: formalmente di quarta, passa alla seconda ed è rimasta femminile dovunqueCambi di genere. Nelle lingue romanze alcune parole hanno cambiato genere per rendere più evidente la corrispondenza fra forma e genere. Tra queste, i nomi degli alberi che in latino erano femminili ma avevano la desinenza -US. Al contrario, parole terminanti in -OR e indi- canti concetti astratti sono passate dal maschile al femminile in galloromanzo, retoromanzo e talvol- ta in romeno. Eventuali altri cambi di genere risultano sporadici e non caratteristici di aree specifi- che, sicché non sembrano rifarsi a regole precise ma risalire piuttosto a fluttuazioni a livello locale in latino.Perdita del neutro. I generi maschile e femminile reggono abbastanza bene dal latino alle lingue romanze; al contrario non è sopravvissuto il genere neutro. Il latino aveva ereditato la distin- zione in tre generi dalle lingue indoeuropee, ma aveva già modificato in parte il significato di tale distinzione: il neutro era diventato solo una categoria grammaticale e non corrispondeva a nessuna realtà esterna. In genere, i sostantivi neutri sono diventati maschili; nel caso dei sostantivi della se- conda declinazione, i neutri si distinguevano comunque dai maschili solo al nominativo e al vocati- vo singolare e al nominativo, vocativo e accusativo plurale. Ciò non costituisce, però, una regola ge- nerale e vi potevano essere oscillazioni nella scelta del genere. Vi è stato anche un cambio di decli- nazione dovuto alla somiglianza formale di un gruppo di neutri della terzadeclinazione terminanti in -US con i maschili della seconda declinazione: qui le forme moderne co -S finale, nonché quelle dell’antico spagnolo, indicano una certa resistenza delle forme del neutro ben oltre il periodo latino. L’eliminazione del neutro non fu infatti così rapido e diede luogo ad alcune situazioni più comples- se, come la sopravvivenza degli antichi plurali neutri in -A > alcuni di questi plurali, forse per il lo- ro senso collettivo, vengono reinterpretati come femminili singolari di prima declinazione, creando una serie di doppioni:ØFOLIUM/FOLIA > foglio/foglia Nelle lingue occidentali (ma anche italiano legno/legna), questi doppioni possono avere significati diversi. La resistenza la totale eliminazione del neutro sembra dunque più forte nelle lingue orienta- li, dove si sono mantenuti i neutri plurali con significato plurale: ciò spiega le forme italiane con singolare in -o e il plurale in-a (ad esempio, corno e corna). Se per l’italiano possiamo parlare qui di fossili del neutro latino, questo non è il caso del romeno, dove sembra che il neutro rappresenti una categoria ancora viva. Tale lingua conserva anche un plurale neutro in -uri < - ORA, che è il risulta- to di una rianalisi a partire dai neutri della terza declinazioni confluiti nella seconda, con la conse- guente perdita di queste desinenza caratteristiche che rimangono così libere per fungereda nuove de- sinenze plurali. Tale desinenza è ancora produttiva ed è impiegata anche per le parole che non l’ave- vano originariamente. Forme simili si trovano in italiano antico, come ad esempio corpora.Riduzio- ne dei casi. Concorrono diversi fattori nella riduzione del sistema dei casi. La perdita di -M finale rendeva identiche le forme di nominativo e accusativo singolare della prima declinazione e quelle di accusativo e ablativo singolare della terza. La perdita della quantità vocalica come opposizione funzionale rese indistinte le forme del nominativo e dell’ablativo singolare della prima declinazio- ne. Per quanto riguarda le vocali finali atone, la perdita della quantità vocalica e la confusione del timbro vocalico tra / /, /e/ɛed /i/, da un lato, e / /, /o/ ed /u/, dall’altro, portarono ad ulteriori confu- sioni tra accusativo e dativo/ablativo ᴐsingolare e tra nominativo singolare e accusativo plurale nel- la seconda declinazione, e nella terza tra genitivosingolare e nominativo/accusativo plurale. Dal punto di vista morfologico, vi era anche una tendenza a rimodellare, per analogia, sul tipo con tema in -i, nominativi singolari della terza declinazione che appartenevano alla classe degli imparisillabi, una tendenza testimoniata nell’Appendix Probi. Il caso che sopravvive nelle lingue romanze, con pochissime eccezioni, è l’accusativo, ed è per questo che si citano le forme dell’accusativo come ba- se delle parole romanze. Che le forme romanze derivino da questo caso e non da altri è dimostrabile comparando le forme nelle lingue moderne che derivano dagli imparisillabi latini. Le parole notte, nuit, noche, noite, nit, noch, noapte non possono derivare dal nominativo NOX o dal genitivo NOC- TIS, l’unica base possibile è l’accusativo NOCTEM oppure l’ablativo NOCTE. Questo significa che l’uso del caso era ridondante e alla fine bastava la preposizione per indicare la funzione della parola nella frase e il caso diventò indifferente. L’eliminazione dei casi non fu immediata e si com- pletò solo tra il V-VII secolo, ma in alcune aree rimase in uso un qualche sistema casuale ancora più a lungo. Un primo esempio è quello del galloromanzo, francese e occitano e retoromanzo: mentre il retoromanzo conserva ancora alcune forme casuali, le lingue galloromanzele hanno conservate solo nella fase medievale, sostanzialmente fino al Trecento. In francese e in occitano si usa parlare di ca- so retto per le forme che derivano dal nominativo e che fungono da soggetto nella frase e di caso obliquo per quelle derivanti dall’accusativo, che si utilizzano per tutte le altre funzioni. La declina- zionedei sostantivi si articola in tre classi per i maschili e in altre tre per i femminili, che si distin- guono in sostanzaper la presenza o assenza di una -S finale al singolare retto, oppure per una forma diversa al singolare retto rispetto agli altri paradigmi. Tali forme derivano dai sostantivi della secon- da declinazione latina con regolare evoluzione delle desinenze -US, -UM, -I, -OS. La seconda clas- se maschile deriva per lo più da quei sostantivi maschili della seconda e della terza declinazione la- tina che non avevano la desinenza in -S, bensì in -ER al nominativo singolare. La terza classe infine deriva dagli imparisillabi latini con o senza accento mobile.Per quanto riguarda i sostantivi femmi- nili, la prima classe deriva dai sostantivi latini di prima declinazione, nonché da quelli di terza senza la desinenza -s al nominativo singolare. L’identità di desinenza al retto e all’obliquo singolare è do- vuta alla coincidenza della base latina in seguito alla caduta di -M, mentre nel plurale dipende, per i sostantivi provenienti dalla prima declinazione, dalla diffusione di un plurale nominativo arcaico in -AS, forse di origine dialettale, che ha soppiantato il plurale classico -AE. La seconda classe deriva dagli altri sostantivi femminili della terza declinazione latina, compresi gli imparisillabi che sono stati rimodellati per evitare l’oscillazione tra nominativo e accusativo e, infine, la terza classe deriva dairimanenti imparisillabo latini. Le forme moderne del francese confermano che è l’accusativo, o il caso obliquo, a sopravvivere normalmente. Tra le lingue romanze moderne, va notata, invece, la so- pravvivenza in romeno di una forma di genitivo/dativo derivata da forme del genitivo e dativo latini ancora in uso, laddove altre lingue farebbero ricorso a preposizioni. In romeno cambiano, per esem- pio, le desinenze quando si impiega l’articolo determinativo, che viene posto al sostantivo e anche quelle dei sostantivi femminili singolari senza articolo determinativo. Nel romeno i casi sono so- ne più regolare. Per le rimanenti decine il fatto fonetico principale riguarda il cambio della posizio- ne dell’accento, arretrato rispetto alle desinenze nell’are centrale della Romània.Le forme per “no- vanta” con -v- presuppongono un’analogia su quelle per “nove”, mentre il catalano sembra riflettere un ulteriore sviluppo, *NORANTA, forse per influenza di *QUARRANTA. Le forme per “settan- ta”, “ottanta”, “novanta” in antico francese non corrispondono a quelle moderne; sono sopravvissuti da un antico sistema di numerazione vigesimale, forse di origine celtica, presente anche in occitano. I discendenti delle forme latine, invece, continuano ad essere impiegati nel francese del Belgio e della Svizzera. Nell’area balcanica il sistema delle decine si presenta come multiplo di dieci, sul modello slavo: tali numerali hanno valore di sostantivi a differenza di quelli delle altre lignue che sono aggettivi. oCento. Viene conservato per lo più il latino CENTUM; al contrario, sono quasi del tutto scomparsi i multipli di cento, che lasciano solo alcune tracce in portoghese, spagnolo, occitano e italiano. Altrove si preferisce scomporre i termini latini e ricomporli come multipli di cento impie- gando i numeri da due a nove. Procede allo stesso modo per i multiplidi cento anche il romeno ma non continua con il termine latino, preferendo il prestito slavo suta.oMille. Anche qui viene conser- vato quasi dovunque il latino MILLE; meno ben conservato è il plurale MILIA, per cui i multipli di mille o non hanno una forma specifica per il plurale. Si distingue ancora il romeno che conserva la forma plurale. ØNumerali ordinali. I numerali ordinali sono impiegati meno di quelli cardinali, sic- ché le forme latine si sono tramandate più o meno bene fino a dieci, mentre i numeri superiori han- no subito modifiche e ristrutturazioni sulla base dei numeri cardinali. Notiamo che al posto di PRI- MUM si è diffusa una forma PRIMARIUM, che poi ha generato nella penisola iberica un’analogica TERTIARIUM. A volte è stato impiegato, per formare gli ordinali da sei a dieci, il suffisso dei nu- merali distribuitivi latini -ENI > -ENUM, forse perché era un suffisso che si aggiungeva ai numeri cardinali e manteneva evidente il proprio rapporto fra cardinali o ordinali. Tali forme si sono diffuse in catalano e in occitano, nonché nello spagnolo noveno, forse proprio a partire da NOVENUM, ter- mine importante nella liturgia. Poi sempre allo stesso scopo si sono create le forme dell’antico fran- cese oidme e nuefme/nueme sulla base di SEPTIMUM. Il francese moderno fa a meno di tutte que- ste forme e ricorre al suffisso -iéme, basato su DECIMUM, ma con evoluzione colta o dialettale; ta- le suffisso viene impiegato anche per i numerali superiori al venti.L’italiano ha fatto ricorso a un suffisso che è chiaramente un latinismo, -esimo; anche nelle altre lingue occidentali, comunque, si incontrano prestiti dal latino. Il romeno elimina del tutto gli ordinalilatini e ne crea dei nuovi con i numeri cardinali e il suffisso m. -lea, f- -a preceduti dall’articolo possessivo. Solo “primo” deriva dal latino, ma dalle forme derivate da PRIMUM. Alcuni numerali ordinali e distributivi latini sono stati continuati nelle lingue romanze, ma con un diverso significato. PronomiL’evoluzione dei pro- nomi si è rivelata più conservatrice che non quella dei sostantivi e ha mantenuto l’accusativo e tal- volta il genitivo-dativo à si verifica uno sdoppiamento di alcune forme dovuto al fatto che ipronomi hanno conosciuto due tipi di evoluzione a seconda dell’accento che portavano nella frase. Infatti an- che all’interno di una proposizione ci sono diversi gradi di accentazione: sono più importanti – e dunque con accentazione primaria – soggetto, verbo e complemento oggetto; meno importanti – e quindi con tonicitàsecondaria – elementi quali preposizioni, congiunzioni e alcuni pronomi. Ne ri- sulta che tali parole, nel corso della loro evoluzione, sono state trattate come atone, e che le loro vo- cali toniche si sviluppano come se fossero atone, ad esempio non dittongando laddove ce lo aspette- remmo. L’emergere e l’impiego di queste forme non è uniforme in tutte le lingue romanze, il che rende alquanto articolata l’evoluzione del sistema dei pronomi. Il sistema dei pronomi romanzi ri- produce abbastanza bene quello latino per quando riguarda diversi tipi di pronomi. I pronomi poi si differenziano per il caso, ma non sempre per il genere o il numero, in quanto i pronomi personali si distinguono per la persona, come il verbo, e non per il genere, mentre i possessivi esprimono un concetto di numero diverso rispetto ai dimostrativi. Se diverse articolazioni del sistema pronominale latino sisono conservate in quello romanzo, non succede lo stesso per le forme > i pronomi che han- no subito più rimaneggiamenti in questo senso sono quelli dimostrativi e anaforici, che sono andati a riempire delle funzioni mancanti in latino, ma presenti nelle lingue romanze, come il personale di tersa persona e l’articolo determinativo. ØDimostrativi. I pronomi dimostrativi, deittici o indicati- vi indicano il posto in cui si trova una persona o una cosa rispetto al soggetto che parla, mentre quelli anaforici o determinativi servono a richiamare e precisare qualcosa di già menzionato nella frase, oppure ad anticipare e determinare qualcosa che li segue. Il latino aveva una serie di pronomi (e aggettivi) dimostrativi e una serie di pronomi (e aggettivi) anaforici, ognuna declinata per genere, numero e caso. La serie di dimostrativi distingueva tre fradi di lontananza del soggetto che par- la:oHIC, HAEC, HOC: “questo”oISTE, ISTA, ISTUD: “codesto”oILLE, ILLA ILLUD: “quello” mentre quelli anaforici sono:oIS, EA, ID: “esso”, “ciò” oIDEM, EADE, IDEM: “medesimo”oIPSE, IPSA IPSUM: “stesso”, “proprio lui”Nel corso dell’evoluzione del latino prima e delle lingue romanze poi, queste due serie vengono sostanzial- mente rimaneggiate. L’anaforico IS trova concorrenza nel dimostrativo ILLE o, in alcune aree, in IPSE, e alla fine scompare. L’anaforico IDEM viene sostituito gradualmente da IPSE il dimostrati- vo HIC da ISTE. Solo il neutro di HIC sopravvive nelle particelle affermative del galloromanzo. Tutto ciò lascia dunque solo tre forme, ISTE, ILLE e IPSE, con la conseguente perdita anche dei tre grandi dimostrativi. In alcune lingue romanze si continua a distinguere i tre gradi grazie all’impiego di altre forme o alla creazione di forme nuove. ISTE funziona come dimostrativo di prima persona, IPSE come dimostrativo di seconda e ILLE di terza. Tali pronomi però non si trovano sempre nella forma semplice, ma in una forma rafforzata dalla particella ECCE. La tendenza a rafforzare i prono- mi è testimoniata anche in epoca antica, mentre le diverse forme assunte dalla particella ECCE si deducono dalla comparazione delle lingue romanze. L’occitano presentava una varietà di pronomi dimostrativi e le forme derivate da ILLUM possono presentare anche palatalizzazione. In quelle lin- gue che mantengono durate il Medioevo una declinazione bicasuale, va notata la presenza di forme distinte per il caso retto quello obliquo, nonché forme derivate dal genitivo-dativo con funzione di dativo. Forme analoghe sono presenti in romeno dove il dativo-genitivo è ancora impiegato. C’è poi da notare un tratto costante del sistema di questi pronomi, che è l’interferenza conle forme del pro- nome relativo: QUI e CUI. CUI infatti genera un analogico *ISTUI /*ILLUI accantoa ISTI/ILLI che sta alla base delle forme romanze in -ui, mentre i femminili dativi in -ei del romeno, per esem- pio, si spiegano con un analogico *ISTAEI/*ILLAEI. Il plurale genitivo-dativo romeno in -or, rara- mente presenta anche nel francese, si spiega per analogia con il pronome personale lor < ILLO- RUM, un genitivo plurale, con il ricorso all’influenza del relativo QUĪ, per cui ISTE > ISTĪ e ILLE > ILLĪ, che si spiegano con le forme del nominativo francese con innalzamento metafonetico della I breve di ILLE, nonché della forma nominativa singolare, ormai colta, in italiano: questi. I tre gradi della distanza sono limitati principalmente alle lingue iberiche. L’italiano ha eliminato, peril dimo- strativo di secondo grado, le forme IPSE, preferendo *ACCU+TIBI+ISTUM “questo vicino ate” > codesto. È interessante il caso del francese perché in francese moderno vi è un’ulteriore evoluzione che ha portato alla “specializzazione” delle forme, con la sostantivizzazione dei continuatori di cil (<ILLE) e l’aggettivizzazione dei continuatori di cist (<ISTE), per cui non è possibile fare distinzio- ni di distanza. Tale distinzione viene indicata con la posposizione di particelle.ØArticolo . L’artico- lo determinativo non esiste in latino, ma è presente in tutte le lingue romanze. La formazione dell’articolo in latino tardo e nelle lingue romanze sembra anche parallela alla sua comparsa nelle lingue germaniche e risale probabilmente al VI secolo circa. Tale sviluppo è anche intimamente le- gato all’evoluzione dei pronomi dimostrativi. Il pronome anaforico IS viene sostituito dal dimostra- tivo ILLE, oppure, in alcune aree, da IPSE, comincia a essere impiegato sempre più frequentemente soprattutto per richiamare una cosa già detta. Ciò risulta chiaro in un testo come la Itinerarium Ege- riae, che aumenta notevolmente l’uso dell’aggettivo dimostrativo ILLE o l’anaforico IPSE, che già aveva sostituito IDEM in questa funzione di richiamo di un elemento già noto. Questa è la loro fun- zione primaria in testi della bassa latinità, mentre le altre funzioni dell’articolo si svilupperanno nel corso del Medioevo e dopo. D’altra parte, l’articolo può ancora ritenere qualcosa del suo originario valore dimostrativo: in poche aree, come Sardegna e nel catalano delle Baleari, si usano ancora deri- vati di IPSE: risulta chiaro come l’evoluzione dell’articolo rifletta la sua posizione quasi esclusiva- mente proclitica e dunque atona, per cui vi è la tendenza a perdere una sillaba, generalmente la pri- ma, ma talvolta la seconda. Allo stesso modo sono cambiate le forme derivate da ILLE nelle altre lingue romanze. Quelle lingue che avevano, o hanno tutt’ora dei casi, declinano anche l’articolo. Si può constatare dunque come le forme di ILLE sono state influenzate dal relativo QUI e CUI. L’arti- colo italiano il non sarebbe un caso di conservazione della prima sillaba di ILLUM, come sp. el, ma una variante dell’antico italiano ‘l, variante di lo preceduto da vocale. Ciò significherebbe che la forma originaria dell’articolo italiano era lo e ne spiega l’alta frequenza nei testi antichi. Il romeno rappresenta un caso a pare. Anche se le forme sono derivate da ILLUM, cambia la posizione, che è ora enclitica. L’articolo indeterminativo in tutte le lingue romanze deriva dal numero cardinale UNUS, UNA. Questo veniva impiegato in latino anche con il significato di “un certo” e in questo senso era sinonimo di QUIDAM; per questo articolo il romeno si allinea alle altre lingue, ponendo- lo in posizione proclitica. ØPronomi personali . I pronomi personali latini si distinguono per la persona ma non per il genere. I nominativi infatti avevano la stessa funzione della desinenza del verbo e così la loro presenza non è necessaria in latino; solo in francese richiede il pronome perso- nale soggetto con il verbo. Più frequente è l’impiego di questi pronomi negli altri casi. Il latino di- stingueva solo tra due persone, il destinatore, “io”, e il destinatario, “tu”, più i rispettivi plurali, che si declinavano per i diversi casi. È chiaro che interessa conoscere solo le forme di quelli che sono sopravvissuti, osservando anche che la sopravvivenza sarà comunque maggiore che per i sostantivi, perché si continua a distinguere tra soggetto e complemento oggetto del verbo à dunque vengono mantenuti il nominativo e l’accusativo. Per il complemento oggetto si distingue tra forme atone, im- piegate con il verbo, e forme toniche, impiegate con una preposizione e si è ricorso anche alle forme del dativo latino. Il pronome di 1SG si ridusse da EGO > *EO per poi svilupparsi con l’accento sul- la prima sillaba, oppure spostato alla seconda (afr., fr., sp., cat.). Le forme dell’accusativo toniche e atone indicano che in latino, o in una fase già “preromanza”, vi doveva essere una certa insicurezza riguardo alle funzioni di ME > me e MIHI > mi, TE > te e TIBI > ti, che si sono confuse in occitano e antisimmetriche in italiano rispetto al latino e alle lingue iberiche; il francese moi è un’evoluzione tonica di MEI. Il romeno conserva il dativo con tale funzione, mie < MIHI e come forma tonica dell’accusativo adotta quello che era forse una forma suffissata interrogativa. Per il plurale, solo il romeno conserva le forme del dativo, mentre le altre lingue impiegano solo il nominativo e l’accu- sativo. La distinzione tra forme toniche e atone viene mantenuta in italiano e in romeno. In latino il pronome personale poteva anche essere unito e posposto ad altri elementi, tra cui la preposizione CUM + ABLATIVO. Alcune lingue romanze continuano queste forme, precedute talvolta anche da un ridondante CUM perché si era dimenticato che il significato di “con” era già espressa nella for- ma composta. ØRiflessivo . Il latino non aveva un pronome di tersa persona, ma aveva un prono- me riflessivo, riferito alla persona che faceva da soggetto del verbo quando il verbo era alla terza persona. Questo pronome, SE, era privo di nominativo e identico al singolare e al plurale. Si decli- nava come TU e ne segue le sorti nelle lingue romanze: funzione di pronomi e, spesso, aggettivi, detti indefiniti. L’evoluzione di questi termini, più che una questione di mantenimento o modifica di un sistema, appartiene all’ambito delle scelte lessicali. Si può osservare che questi termini non sono sopravvissuti dovunque e va anche detto che ALTERUM ha assunto anche il significato dell’indefinito latino ALIUS, scomparso tranne che nelle forme anti- che di francese, catalano e portoghese. Ciò costituisce un esempio della direzione presa dall’evolu- zione degli indefiniti: dove vi erano più termini con significati simili in latino, tendono a ridursi nel- le lingue romanze. Alcuni indefiniti sostituiti sono QUIDAM, ALIQUIS e QUISQUE. Nel primo caso, il numerale UNUS ne assumeva le funzioni, dando origine all’articolo indeterminativo; per esprimere invece il significato pieno, si è ricorso a CERTUS, UM, oppure a *CERTANUS. QUI- SQUE sopravvive nell’occitano, ma in generale viene sostituito dalla proposizione distributiva gre- ca “cata” o da una neoformazione basata su questa. Dall’incrocio tra CATA UNUS e QUISQUE (ET) UNUS si ha afr. Chascun > fr. chacun, di cui probabilmente it. ciascuno. Il romeno impiega in- vece un’altra neoformazione, fiecare, basata sulla 3SG del congiuntivo presente del verbo a fi, “es- sere” e il pronome care, “quale”, che corrisponde letteralmente a “qualsiasi”. ALIQUIS viene sosti- tuito da una neoformazione creata sulla base do ALIQUIS e UNUS, mentre il romeno ha ricorso a cineva, composto di cine, “chi”, e va < vrea, “volere”. Lo spagnolo e il portoghese sono stati inter- pretati da alcuni come diretti derivati di ALIQUEM, e probabilmente sono formazioni analogiche più moderne. Una simile sorte è toccata, in francese, a personne, ma anche “nessuno” e “niente”.In generale, le lingue romanze offrono una varietà di termini negativi che presuppongono una serie di neoformazioni nel latino delle diverse aree. In latino classico i pronomi e gli aggettivi negativi era- no NIHIL e NEMO, però mancava di diverse forme che venivano supplite da NULLUS, motivo per cui probabilmente scompaiono le prime due nelle lingue romanze ad eccezione di NEMO. Soprav- vive invece NULLUS. Per lo più, come per gli altri indefiniti, si tende a preferire neoformazioni composte con UNUS, UM. Dalle espressioni latine RES NATA “nessuna cosa nata”, HOMINEM NATUM “nessun uomo nato” si ha NATA > sp., port. nada e NATUM + QUI > sp. nadie, “nessu- no”. Infine, NE GENTEM > it. niente. Sistema verbaleIl sistema verbale latino si conserva più intat- to del sistema nominale; solo il francese deve far ricorso ad una particella preverbale, nella fattispe- cie il pronome personale che sostituisce spesso le desinenze verbali. Il sistema verbale delle lingue romanze non è meno articolato di quello latino, ma ciò non vuol dire che non vi siano stati cambia- menti. Un’importante fattore nell’evoluzione verbale del sistema verbale è l’analogia che tende a rafforzare i rapporti nel sistema contro l’azione del cambio fonetico, che talvolta oscura questi rap- porti; per analogia sarà possibile:>Creare verbi nuovi “regolari”, spesso sulla base del supino>Ri- formare un intero tempo per eliminare le irregolarità che poi possono essere introdotte di nuovo a causa dell’evoluzione fonetica e portare ulteriori modifiche analogiche. Molti verbi che erano rego- lari in latino non lo sono più nelle lingue romanze, soprattutto per quei tempi, come l’indicativo pre- sente e perfetto, in cui l’accento cade sul tema in alcune voci e sulla desinenza in altre, il che porta a un’evoluzione diversa della voale del tema quando è tonica rispetto a quando è atona. Il verbo latino Il verbo latino è coniugato e ricorre a diverse desinenze, desinenze che esprimono più di una funzio- ne, come succede tutt’ora nelle lingue romanze. Allo stesso modo, il verbo latino è marcato da per- sona, numero, tempo, aspetto, modo e voce. Tali categorie trovano in buona parte riscontro nel siste- ma verbale delle lingue romanze. Una categoria che non viene normalmente contemplata nelle de- scrizioni tradizionali del sistema romanzo è l’aspetto, ossia i diversi modi di concepire lo svolgi- mento dell’azione espressa dal verbo, come se ne rappresenta la durata, la compiutezza, la ripetitivi- tà ecc. L’aspetto spesso viene confuso con il concetto di tempo, che mette in rapporto il momento temporale in cui si svolge l’azione del verbo con quello in cui lo si enuncia. Anche l’italiano distin- gue l’aspetto, ma il fatto che nelle grammatiche normative di tale lingue si parli solo di tempo, pas- sato remoto o imperfetto significa che tale distinzione non è sentita come primaria. Nell’evoluzione dal latino alle lingue romanze la distinzione di tempo ha avuto il sopravvento su quella di aspetto, anche se in latino era proprio su una distinzione tra aspetto perfettivo e imperfettivo che si innestava la distinzione di tempo. L’aspetto perfettivo era spesso marcato dall’infisso /-u/, nella grafia U/V, nella fonetica /-w/ dopo vocale e /-u/ dopo consonante. L’infisso /-w/, caratteristico della prima e della quarta coniugazione, scompare nel corso dell’evoluzione della lingua. Un’altra categoria che manca nel sistema italiano e romanzo è la voce deponente accanto a quelle attiva e passiva. Il depo- nente in latino svolgeva spesso la funzione di ciò che viene chiamata anche la voce media; si tratta di una categoria in cui l’azione espressa dal verbo coinvolge principalmente il suo soggetto. Che si può esprimere in italiano con un uso pronominale o riflessivo del verbo. I verbi deponenti latini ave- vano forma passiva ma significato attivo. Il verbo latino si divide tradizionalmente in quattro coniu- gazioni in base alla vocale caratteristica del tema:-ARE-ĒRE-ĔRE-IREInoltre ha tre temi principa- li: 1. Imperfettivo2. Perfettivo3. Supino, sul quale si formano il participio passato, l’infinito futuro e il participio futuro.Su questi tre temi si formano tutti i temi e le altre forme non finite derivate dal verbo, con l’aggiunta delle desinenze e, talvolta, di un suffisso o un infisso particolare. Sul tema dell’imperfettivo si formano:·Presente, le cui desinenze variano a seconda della vocale tematica del- la coniugazione ·Imperfetto, con l’aggiunta dell’infisso -B- e le desinenze -AM, -AS, -AT, -AMUS, -ATIS, -ANT·Futuro, con l’aggiunta dell’infisso -B- e le desinenze -O, -IS, -IT, -IMUS, ITIS, UNT, oppure con la sola aggiunta delle desinenze -AM, -ES, -EST, -EMUS, -ETIS, -ANTIl tema del per- fettivo si caratterizza generalmente per la presenza dell’infisso /-u/; inoltre vi erano anche temisig- matici o con raddoppiamento Molti di questi temi sono sopravvissuti nelle lingue romanze, principalmente nelle forme del passa- to remoto. Sul tema del perfettivo si formano: · Perfetto, con l’aggiunta delle desinenze -I, -ISTI, -IT, -IMUS, -ISTIS, -ERUNT · Piuccheperfetto, con l’aggiunta delle desinenze -ERAM, -ERA, -ERAT, -ERAMUS, -ERATIS, -ERANT · Futuro anteriore, con l’aggiunta delle desinenze -ERO, -ERIS, -ERIT, -ERIMUS, -ERITIS, -ERINT Il tema del supino si ottiene togliendo la desinenza -UM. Su questa base si forma anche il participio passato con l’aggiunta delle desinenze aggettivali della prima classe, -A e -UM. Sulle stesse basi si formano i vari tempi del congiuntivo e i passivi, ognuno con desinenze proprie; importanti sono le forme del congiuntivo piuccheperfetto, formato sul tema del perfettivo con le ca- ratteristiche desinenze -ISSEM, -ISSES, -ISSET, -ISSEMUS, ISSETIS, -ISSENT. Si osserva che manca un congiuntivo futuro, che richiede una perifrasi con il participio futuro, e che si ricorre ugualmente a una perifrasi con participio passato + verbo essere per esprimere tutti i passivi per- fettivi. Vi sono anche una serie di forme non finite del verbo, costruite sugli stessi temi, come imperativi, infiniti, altri participi, gerundi, forme che non sono sopravvissute nelle lingue romanze, ad eccezio- ne dell’infinito presente, imperativo presente, gerundio e participio presente. Questi ultimi due si formano sul tema dell’imperfettivo, il gerundio con la desinenza -NDUM e il participio che si declina come gli aggettivi di seconda classe con la desinenza -N, -NTIS. Coniugazioni Superficialmente, le quattro coniugazioni latini si sono conservate in italiano, francese, catalano, occitano e romeno; in spagnolo e portoghese vi è invece una confusione tra la II e la III coniugazio- ne, che risulta nel passaggio dei verbi di III alla II. La realtà è però più complessa: le quattro forme distinte di infinito non corrispondono ad altrettanti tipi di desinenze diverse; inoltre alcune lingue hanno aumentato in numero di coniugazioni. In effet- ti, il catalano antico aveva cinque coniugazioni perché distingueva due forme derivate dalla III, or- mai divenute una sola. Anche il rumeno ha sviluppato una quinta coniugazione in -î, che rappre- senta una variante della coniugazione in -i. I tipi possono aumentare poi grazie all’inserimento di in- fissi nella coniugazione del verbo; particolarmente diffuso è l’infisso incoativo, che dà un infinito del tipo FLORESCERE, o in altre aree viene inserito in alcuni tempi della IV coniugazione. Il rome- no inserisce un simile infisso in alcuni verbi della V, mentre nella I molti verbi si coniugano con l’in- fisso -ez-, derivato dal suffisso verbale di origine greca. In tutte le lingue le coniugazioni più produt- tive sono la prima e la quarta, soprattutto la prima: essa tende ad accogliere i verbi nuovi anche ir- regolari, che vengono reimpostati su un modello regolare. Il latino ha diversi modi per aumentare i verbi della prima coniugazione; inoltre può creare verbi sul- la base del supino di verbi irregolari o apparentemente tali, o ricorrere ad alcuni suffissi per creare verbi di I coniugazione sulla base di sostantivi e aggettivi. Tra queste ricordiamo: -IARE -ICARE -IZARE/IDIARE I verbi appartenenti alla IV coniugazione furono aumentati grazie al passaggio in questa classe di verbi della III coniugazione con desinenze in -IO, nonché di alcuni della II coniugazione, la cui desi- nenza in -EO sarebbe venuta a coincidere con -IO per la chiusura della E in iato. Alcune eccezioni a questi passaggi nelle classi più produttive sono i verbi irregolari. Sopravvivenza di forme Alcune forme verbali sopravvivono nella funzione originale: ciò riguarda principalmente indicativo presente, congiuntivo presente, indicativo imperfetto e indicativo imperfetto. Ø Indicativo presente. La resistenza maggiore riguarda l’indicativo presente, probabilmente per- ché è il tempo impiegato più frequentemente. Vi sono però alcuni cambiamenti nelle forme dovuti ad analogia per eliminare alcuni dei guasti provocati dal cambio linguistico. L’effetto del cambio fonetico coinvolge le voci con l’accento sul tema rispetto a quelle con l’accento sulla desinenza e causa, nelle lingue moderne, l’apofonia, alternanza vocalica nel tema. La presenza di iod nelle desinenze di alcune voci modifica la consonante finale del tema; ciò può essere illustrato nel verbo VOLERE italiano: voglio, vuoi, vuole, vogliamo, volete, vogliono. Le desinenze base dell’indicativo presente vanno precedute dalla vocale tematica; per quanto ri- guarda le desinenze, poi, vi è una tendenza alla riduzione: solo il romeno mantiene quattro serie di desinenze, mentre altrove si riducono a tre o solo a due. Dal punto di vista delle desinenze vengono dunque a coincidere la II e la III coniugazione in italiano e in catalano, mentre il galloromanzo riduce a due le serie di desinenze, una serie per la prima co- niugazione e una serie per tutte le altre. Ciò che serve ad aumentare le serie di desinenze dell’indi- cativo presente è l’aggiunta degli infissi -ESC/-ISC, oppure -EZ-, il che, insieme alla sua quinta co- niugazione, porta il romeno ad avere ben otto tipi di coniugazioni diverse. In alcune voci vi è una neutralizzazione delle desinenze: si è diffusa una singola forma che è diven- tata caratteristica della persona in tutte le coniugazioni. È il caso dell’italiano -iamo, derivato forse dalla 1PL del congiuntivo presente -EAMUS, -IAMUS e del francese -ons, per la stessa persona, di derivazione oscura, ma forse da (S)UMUS, 1PL del verbo “essere”. Alcune altre desinenze caratte- ristiche del presente si sono poi diffuse anche in altri tempi, come -o per la prima persona e -no per la sesta in italiano, estese a imperfetto e futuro. In romeno la -i della quinta persona non è etimolo- gica, ma è la desinenza -i della seconda persona che si è estesa, dunque, a caratterizzare la 2SG e la 2PL. Ø Congiuntivo presente. Nei registri stilistici meno formali, il modo congiuntivo tende ad essere omesso e sostituito dall’indicativo. È il caso delle moderne lingue romanze ed era anche il caso del latino parlato. Tale tendenza ha prevalso in rumeno, dove non si distingue tra indicativo e congiuntivo presente tranne che nella 3SG e 3P; il fatto che si tratti di un congiuntivo viene indicato prefiggendo al verbo la particella sa. Nelle altre lingue il congiuntivo presente si conserva, ma si riduce a due sole serie di desinenze, un tipo con vocale tematica -E- per la I coniugazione e un con vocale tematica -A- per le altre. Il congiuntivo presente è soggetto ad apofonia nel tema dovuta al normale cambio fonetico; inoltre numerosi verbi presentano una vocale anteriore in iato nella desinenza. sconosciuta neanche una forma sintetica. Sembra che l’ausiliare sia da far risalire al verbo “avere”. In alcuni dialetti romeni l’ausiliare è derivato da a vrea, “volere”. Passato perifrastico. In tutte le lingue romanze si tende a ricorrere a delle perifrasi per esprimere il passato. Il latino operava tra aspetto e tempo e la forma CANTAVIT si traduce con cantò oppure ha cantato. Infatti CANTAVIT fungeva sia da perfettivo presente che da passato semplice o remoto, una possibile fonte di confusione che viene ovviata con la sostituzione della prima funzione con la perifrasi HABERE + participio passato, mentre la seconda continua la funzione di passato sempli- ce. L’origine di questa perifrasi sembra risiedere in espressioni come HABEO EPISTULAM SCRIPTAM, “ho una lettera scritta”, poiché il verbo HABERE indica possesso e regge un complemento oggetto. Con il passare del tempo l’espressione viene grammaticalizzata e il verbo HABERE perde il suo significato pieno, assumendo il ruolo di ausiliare; la funzione di verbo viene assunta dal participio provocando un cambio nell’ordine della frase. In questa nuova costruzione l’ausiliare esprime la persona, il modo, il numero e il tempo e il participio esprime l’aspetto perfettivo. Su questa base, poi, è possibile generare tutta una serie di nuove forme come il trapas- sato prossimo, il futuro anteriore, ecc., fino ai cosiddetti temps surcomposes del francese, tempi in cui l’ausiliare è già in un tempo composto e che si riferiscono a un’azione che è anteriore a una che è già anteriore rispetto a chi parla. La genesi di forme come ho scritto una lettera a partire da espressioni come ho la lettera scritta è facile da capire quando si tratta di verbi transitivi che reggono un complemento oggetto diretto. più complicato è immaginare lo stesso passaggio dei verbi intransitivi, come i verbi di movimento, dove è il soggetto del verbo a essere coinvolto nell’azione > si ricorre a un ausiliare in cui il soggetto è paziente, cioè subisce l’azione del verbo come il verbo “essere”. Tale uso è conservato in italiano: sono andato, e in occitano, mentre il romeno e le lingue iberiche non fanno questa distinzione. Va anche osservato come in nessun caso s sua giunti di nuovo a una forma sintetica, come è suc- cesso per il futuro perifrastico, forse a causa dell’ordine sintattico della perifrasi. Vi è stata una certa specializzazione degli ausiliari. In romeno le forme dell’ausiliare a avea presentano contrazioni non impiegate quando il verbo è usato con il significato di “possedere”; in spagnolo haber è ormai impiegato solo come ausiliare, sostituito da tener per il senso di “possedere”. Tale sostituzione di haver con ter si è estesa fino all’ausiliare portoghese. Questi tempi nuovi hanno avuto successo, anche se in misura diversa a seconda delle lingue. In francese parlato ormai non viene più impiegato il passato semplice, derivato dal perfetto latino, ma le sue funzioni sono state assunte dal passato prossimo, uno sviluppo che può anche essere osser- vato nelle regioni settentrionali dell’Italia. nel meridione è il perfetto ad essere impiegato spesso invece di un passato prossimo. Perfetto perifrastico. Un caso a parte è il perfetto perifrastico del catalano, che non va confuso con il passato prossimo perifrastico, che si esprime regolarmente con haver. In catalano parlato e anche in molti registri scritti, il perfetto sintetico derivato dal latino è sostituito da una perifrasi basata su anar “andare” al presente e l’infinito del verbo. Anche qui le forme dell’ausiliare sono diverse da quelle del verbo semplice, il che crea in effetti un ausiliare sulla radice va-. L’origine di tale forma non è chiarissima. In altre lingue questo tipo di costruzione implica un’azione futura; non mancano esempi di quest’uso in catalano antico. Nella lingua antica, però, sono anche frequenti i casi in cui anar + infinito viene impiegato come presente, e questo spesso in testi narrativi, dove il presente narrativo funziona come un passato, un uso che si trova anche in occita- no. Sembra che l’origine di questa forma sia da ricercare in questo impiego narrativo e la sua estensio- ne ad altri contesti al fatto che essa offre una serie di forme regolari, uguali per qualsiasi tipo di verbo, a differenza del perfetto sintetico. Passivo perifrastico. Le forme sintetiche del passivo sono scomparse e sono state sostituite da una perifrasi composta dal verbo “essere” + il participio passato. Una simile perifrasi già esisteva in latino; infatti le forme sintetiche erano impiegate solo per il passivo delle forme verbali imperfettive, mentre quelle perfettive si esprimevano con perifrasi quali CANTATUS EST, per esempio, per il perfetto passivo > l’idea di perfettività e di passato era espressa dal participio, sicché il verbo ausi- liare era al presente. Il diffondersi del passato prossimo, in cui è l’ausiliare a indicare il tempo, ha fatto sì che anche questi passivi fossero reinterpretati in base al tempo dell’ausiliare. Così CANTA- TUS EST da perfetto diventa presente e per tutti i passivi perifrastici è l’ausiliare che indica il tem- po, oltre la persona, il numero e il modo. Al passivo lo spagnolo mantiene una distinzione tra azione conclusa e non conclusa, facendo ricor- so al verbo estar che indica uno stato. La perifrasi con “essere”, dunque, forma la base del passivo in tutte le lingue romanze eccetto il ro- meno, dive si è diffuso quello che costituisce una forma alternativa di passivo soprattutto in italiano e spagnolo, e cioè l’impiego del riflessivo con SE. Si tratta di un uso impersonale del riflessivo, che il francese rende con il soggetto impersonale on. Verbi irregolari Il latino aveva diversi verbi irregolari, come anche le lingue romanze, ma non sono necessariamen- te gli stessi verbi ad essere irregoalri; per esempio il verbo “avere” tende ad essere irregolare nelle lingue romanze, soprattutto all’indicativo presente. Si è visto anche come alcuni verbi irregolari sia- no stati regolarizzati per analogia, ma che il cambio fonetico li ha di nuovo resi irregolari. Tra i verbi irregolari romanzi, abbiamo alcune forme dei verbi “essere” e “andare”. Il primo era irregolare in la- tino ed è rimasto irregolare anche se, nel corso della storia, alcune forme del verbo latino ESSE sono state sostituite. Similmente formato da parti di altri verbi è “andare”: il verbo latino IRE è so- pravvissuto solo in parte e qui si è fatto ricorso a VADERE “camminare” e a un verbo ancora sco- nosciuto, ma forse derivato da AMBULARE, per riempire i vuoti. In spagnolo e portoghese IRE si è confuso persino con ESSE in alcune forme, mentre al contrario il romeno abbandona del tutto que- sta irregolarità e adotta per “andare” un verbo regolare a merge”. Parole indeclinabili Questa categoria include tutte quelle parole che hanno una funzione grammaticale, ma che non hanno parti flessive: avverbi9, preposizioni e congiunzioni. > Preposizioni. Le preposizioni sono state importanti nella riduzione del sistema dei casi in quanto sostituiscono spesso le funzioni delle desinenze flessionali. Tra le preposizioni più comuni sopravvissute, oltre a DE, AD e IN, ricordiamo: o Contra o Inter o Cum o Pre o Pro Alcune preposizioni sono state impiegate come avverbi, come ad esempio POS(T). Non vi è sistematicità nel trattamento di queste particelle e le singole aree operano spesso scelte diverse con il materiale lessicale a disposizione. Infine, molte preposizioni romanze testimoniano, nella loro forma, una tendenza della lingua parlata ad accumulare preposizioni, come nel caso del già citato PRO AD. > Congiunzioni. Furono meno resistenti delle preposizioni. Qui è chiaro il fatto che la lingua si sia conservata principalmente attraverso il parlato, che non impiega tante forme diverse di congiunzio- ne, preferendo la paratassi all’ipotassi à sono dunque sufficienti le congiunzioni di coordinazione e poche di subordinazione. Quasi dovunque sopravvie la congiunzione copulativa ET (italiano, portoghese, occitano, francese, spagnolo e catalano), mentre il rumeno preferisce l’alternativo SIC, presente con la stessa funzio- ne di coordinazione anche in francese antico e in occitano. Questa particella sta alla base delle particelle affermative. La congiunzione negativa si esprime con NEC; la disgiunzione con AUT. La congiunzione avversa- tiva rivela la sopravvivenza di MAGIS, ma in alcune aree troviamo anche PER HOC, mentre il ro- meno ancora una volta fa una scelta diversa con IPSA RE. Ridotte al minimo sono anche le congiunzioni di subordinazione. Sopravvivono la temporale QUANDO, le condizionali SI e SE; la congiunzione più diffusa è *QUE. Tale modo di introdurre la subordinata, con un’unica forma di congiunzione, è tipica della lingua parlata. Nuove congiunzioni di subordinazione tendono a comparire quando la lingua sviluppa una prosa scritta più articolata, destinata alla lettura. Capitolo 6 L’aspetto più trascurato è stato spesso quello della sintassi, perché è un sistema molto più aperto che non quello della fonologia e della morfologia. Vi sono infinite possibilità per ordinare le parti di una frase a seconda dello stile o dell’enfasi desiderati ed è perciò difficile tentar di dar conto di tutte le possibilità sintattiche delle diverse lingue romanze e dei loro rapporti con le possibilità sintattiche del latino. Va comunque temuto conto che l’evoluzione della sintassi romanza è piuttosto omoge- nea e che le apparenti differenze sono spesso da attribuirsi all’influenza della grammatica normati- va degli standard moderni. Tradizionalmente l’evoluzione dal latino alle lingue romanze viene de- scritta come un’evoluzione da una lingua sintetica a una lingua analitica. Una conseguenza di que- sta evoluzione era la perdita, nel sistema nominativo, delle desinenze casuali e il ricorso ad altri mezzi per stabilire i rapporti fra le parole nella frase. Uno di questi mezzi è l’impiego di preposizio- ni; un altro è il ricorso a un ordine fisso delle parole in base al quale si possono capire le relazioni fra di loro. Un’altra affermazione tradizionale sull’evoluzione della sintassi latina è che in latino l’ordine della frase era piuttosto libero, mentre nelle lingue romanze è abbastanza fisso. Il rapporto tra un so- stantivo e l’aggettivo, nella frase latina, per esempio, è reso esplicito dalla desinenza. Nelle lingue romanze questo non era possibile e il rapporto è reso dalla giustapposizione dell’aggettivo al so- stantivo. Tipicamente, il sintagma nominale nelle lingue romanze prevede l’ordine: determinante (articolo, dimostrativo) - aggettivosostantivo- aggettivo, con una preferenza per l’aggettivo che se- gue il sostantivo. Un simile sintagma può costituire, a sua volta, il soggetto o il complemento del verbo. Anche qui la frase latina ammetteva varie e possibili posizioni per il soggetto e il complemento, poiché erano sempre riconoscibili grazie alla desinenza. Le lingue romanze preferiscono far precedere il sogget- to al verbo e far seguire il complemento. Alcune lingue romanze comunque utilizzano in alcune cir- costanze una particella, detta accusativo preposizionale o accusativo personale, per indicare l’oggetto della frase. Lo spagnolo e il portoghese, per esempio, quando il complemento oggetto è una persona, un oggetto animato, un animale personificato, ricorrono alla preposizione “a” < lat. AD: vi a Juan (sp.); vi a Joao (port.) “ho visto Giovanni”, come anche nell’italiano regionale “ho vi- sto a Giovanni” (campano); il romeno usa la preposizione “pe” < lat. PER: am vazut-o pe Maria “ho visto Maria”. La presenza sporadica di un simile accusativo, che impiega anche altre preposizioni, in una serie di dialetti attraverso l’intera area romanza fa pensare che fosse un’innovazione risalen- te al periodo latino comune. Il cambiamento più importante nella sintassi latina sembra essere quello della posizione del verbo rispetto al complemento oggetto e, eventualmente, rispetto al soggetto, da cui sembrano dipendere molti altri cambiamenti a livello della sintassi e anche della morfologia. Una costante del cambio lin- guistico sembra essere il passaggio da un ordine sintattico che prevede il complemento oggetti pri- ma del verbo (OV) a un ordine che mette il verbo prima del complemento (VO). Questo cambia- mento implica una serie di modifiche in quanto le lingue con ordine OV presentano determinate ca- ratteristiche tipiche, mentre quelle con VO ne presentano delle altre, sicché, quando una lingua cambia dall’ordine OV a quello VO, mette in moto una serie di altri cambiamenti in modo che il tipo linguistico, prima OV, si adegui al tipo VO. In una lingua con l’ordine OV: 1. Il sostantivo tende a precedere suffissi e posposizioni; 2. Il verbo principale precede gli eventuali ausiliari; 3. Nella comparazione, l’aggettivo precede l’elemento che esprime la comparazione; 4. Gli aggettivi, i genitivi, le frasi relative precedono il sostantivo. In una lingua VO: 1. Delle preposizioni precedono il sostantivo; 2. Gli ausiliari sono più numerosi e precedono il verbo principale; invece a quanto osservato sulle lingue OV. L’articolo, però, da dimostrativo, assume gradualmente la funzione di marcatore del sostantivo in lingue che non hanno più le desinenze di caso e, come in altri elementi di questo tipo, occupa la posizione di un prefisso. Ciò è in linea con quanto osservato dal- la linguistica per l’articolo in lingue di tipo VO. Tra le lingue romanze è ancora il francese che ha allar- gato di più la funzione dell’articolo come marcatore del sostantivo e, in questa lingua, le differenze di nu- mero e di genere si desumono da esso. Al contrario, il romeno fa eccezione con un articolo posposto, un fatto dovuto all’influenza delle lingue balcaniche circostanti, ma tra le lingue romanze è anche quella che fa ancora qualche uso di desinenze casuali. Pronomi personali atoni Apparentemente contradditorio con l’ordine VO è la posizione dei pronomi personali atoni. In latino il pronome era impiegato per richiamare qualcosa di già menzionato e perciò si trovava verso l’inizio della frase. Le lingue romanze si distinguono dal latino per aver sviluppato una doppia serie di pronomi, tonici e atoni, detti anche clitici perché sono atoni e occupano una posizione fissa nella frase, general- mente nelle vicinanze del verbo. I clitici tendono, infatti, a precedere le forme finite del verbo (lo vedo), nel qual caso si parla di pro- clitici, mentre tendono a essere enclitici, a seguire le forme infinite del verbo e l’imperativo, mantenendo in questo caso l’ordine VO (vederlo). Nelle fasi antiche del romanzo la posizione dei clitici era determinata da quella del verbo senza di- stinzione tra forme finite e forme infinite10. Quando il verbo era in posizione iniziale il clitico generalmente lo seguiva, perché vi era una ten- denza a non far cominciare una frase con un elemento debole come un clitico. Ancora oggi, in espressioni fisse è possibile trovare vendesi, cercasi ecc. In un secondo momento la posizione del verbo non è stata più determinante e si è arrivati alla si- tuazione moderna dove la proclisi è più frequente, fatto che contraddice l’ordine VO. Il motivo sembra anco- ra da ricercarsi nel fatto che i clitici obliqui stanno diventando, anch’essi, degli elementi prefissi al verbo, una situazione che è più chiara in francese, dove il loro impiego è praticamente obbligatorio e porta spesso alla ripetizione del complemento, rispetto all’italiano, dove non è necessario ripetere il pronome. In fran- cese, vi è proclisi anche con le forme finite del verbo: le trouver “trovarlo”, mentre al contrario, l’enclisi con le forme finite del verbo rimane d’uso comune in portoghese: procura-me “mi cerca”. Posizione del soggetto Importante, nelle lingue romanze, è la posizione del soggetto nella frase, poiché da esso dipende l’identificazione del soggetto rispetto all’oggetto. L’ordine normale della frase è soggetto-verbo-og- getto (SVO) rispetto all’ordine più comune del latino, SOV. Per arrivare a quest’ordine sembra che ci sia stato il passaggio attraverso una fase in cui il verbo, quando non occupava la prima posizione nella frase, ne occupava la seconda e l’elemento che lo precedeva poteva essere il soggetto, l’oggetto, un com- plemento indiretto, un avverbio. Si dice che questi elemento che prendevano la prima posizione sono tema- tizzati, sono cioè quelli percepiti come più importanti. In una frase senza enfasi particolare è il soggetto il tema, quindi è diventato più diffuso l’ordine SVO. La lingua in cui questa regola è applicata più estesamente è il francese, che ha reso obbligatorio, in mancanza di un soggetto espresso, la sua pronominalizzazione. In al- tre lingue, invece, compreso l’italiano, l’ordine, nella frase principale almeno, è più libero e si hanno molti esempi di tematizzazione di altri elementi, come anche del verbo in prima posizione. Il verbo prende normal- mente la posizione iniziale, anche in francese, in frasi imperative e nell’introdurre un discorso diretto. L’interrogazione Un altro contesto in cui è normale l’inversione del verbo e del soggetto nelle lingue romanze è nelle interrogazioni. In latino l’interrogazione poteva essere espressa con un morfema interrogativo: QUIS? QUID? ecc., oppure con il suffisso -NE, -NONNE sulla parola da sottolineare nell’interrogativa: TU- NE ATTULISTI?; non vi erano, generalmente, grandi cambiamenti nell’ordine sintattico. Nelle lingue romanze l’interrogazione viene ancora introdotta da un morfema interrogativo: che co- sa? quando? In assenza di tale morfema, la lingua parlata ricorre alla semplice intonazione per espri- mere l’interrogazione senza modificare l’ordine sintattico. Un’altra possibilità, in assenza di morfema specifico, però, è l’inversione: è venuto Pietro? In una lingua come il francese, dove è obbligatorio dell’impiego del pronome soggetto, tale pronome deve sem- pre seguire il verbo in casi di interrogazione; se il soggetto è espresso, si ha, in effetti, una falsa inversione. Il francese, insomma, preferisce mantenere l’ordine SVO e aggira una vera e propria inversione nella frase in- terrogativa grazie all’introduzione di ciò che costituisce ormai un nuovo morfema interrogativo: est-ce que? La negazione Le lingue romanze esprimono la negazione sostanzialmente come in latino e con l’impiego dello stesso termine latino, NON. Vi sono però delle particolarità. In primis la particella negativa in latino dovreb- be seguire il verbo. Il fatto che non lo faccia è un’ulteriore dimostrazione di come il latino fosse già una lingua evoluta rispetto alle lingue OV “pure”. È per questo che il modo di esprimere la negazione in ro- manzo risulta identico a quello latino. In secondo luogo il francese ha sviluppato dei caratteri propri per la negazione. Come per i prono- mi, questa lingua presenta un’evoluzione tonica e atona di NON > non (ton.) e ne (aton.), quest’ultima impie- gata solo nella posizione preverbale atona, mentre la prima forma, in antico francese, si trova in posizione to- nica anche con il verbo un impiego caduto nell’uso della lingua moderna, dove “non” è particella negativa “no”. La forma atona ne, dunque, viene ad assumere la funzione di negazione della frase, ma è normale che sia accompagnata da un secondo termine che segue il verbo e che serviva a rafforzare la ne- gazione: pas. Tale uso non è sconosciuto alle altre lingue romanze (non capisce mica), ma non è obbligatorio come in francese dove ormai la negazione con solo ne è letteraria o caratteristica di espressioni fisse. Un ulteriore sviluppo ne francese moderno parlato è di fare a meno della particella ne, per cui è pas l’elemento negativo, che inoltre segue il verbo. Anche altre varietà presentano un’evoluzione simile: italiano, specie settentrionale (voglio mica), occitano moderno (voli pas). Come risultato una serie di parole, impiegate all’origine per raf- forzare l negazione, hanno assunto significato negativo: personne (fr.) > “nessuno”; rien “cosa” > “niente”; res (cat.) “cosa” > “niente”, cap “capo” > “niente, nessuno”. Capitolo 7 La costruzione del lessico Il lessico è la parte della lingua che cambia più facilmente e in modo meno sistematico. È infatti la parte della lingua più esposta alle influenze esterne e alle mode; accoglie, a seconda dei diversi momen- ti storici, elementi nuovi che in seguito potrà mantenere o lasciare cadere in disuso. Il motivo per cui cambia il lessico sono vari e si incrociano con fattori sociologici, psicologici ecc. Da un lato, un cambio a livello del lessico avviene quando un concetto può essere espresso in modo mi- gliore con un’altra parola rispetto a quella impiegata prima. Dall’altro lato, si ricorre a una parola nuova quan- do una pi vecchi cade in disuso. Le ragioni possono essere più di una ma coinvolgono fattori come la sostitu- zione di u termine più generico con uno più specifico o l’irregolarità delle forme, oppure l’omofonia dovuta al cambio fonetico. I mezzi a disposizione della lingua per creare parole nuove sono vari. Si può utilizzare un termine già presente nella lingua, allargandone il significato: in questo caso si tratta di cambio semantico, in quanto no si tratta di una parola nuova, ma di una modifica del suo significato. La cosa più facile è ovviamen- te prendere in prestito la parola da un’altra lingua. Si effettua dunque un prestito linguistico, come è il caso de molti anglicismi in italiano moderno, più o meno adattati alla fonetica dell’italiano. Ø Il prestito può apparire sotto forma di calco, cioè come una traduzione dell’espressione straniera: sk scraper > grattacielo. Ø Il calco può anche essere parziale: una parola subisce un’estensione di significato, aggiungendo suo significato primario un’ulteriore significato, che è quello di una parola straniera di forma simil Realizzare “rendere reale” oppure “guadagnare” > “rendersi conto” sulla base dell’inglese realiz che ha quest’ultimo significato. Infine, la lingua ha la possibilità di crearsi nuove parole con il ricorso a prefissi e suffissi per modifi- care significato di una parola esistente o di formare un verbo nuovo da un sostantivo o da un aggettivo e viceversa. I prefissi e i suffissi possono essere più o meno produttivi, possono cioè “passare di mo- da” o Spesso troviamo doppioni simili tra parole colte e popolari, come anche parole con evoluzione po- polare affiancate da un aggettivo colto, preso in prestito in un secondo momento: è il gaso di lega- le rispetto a legge < LEGEM, oppure di fiore, con FL > fj, rispetto all’aggettivo floreale. Parole non latine Una parte del lessico è costituita da prestiti da altre lingue. Alcuni prestiti stranieri sono entrati a far parte del fondo comune delle lingue romanze, e sono quindi prestiti di vecchia data, come i greci- smi CAMERA, PLATEA, PIETRA, oppure i celtismi CAMISIA, CARRUM, il germanismo SAPO- NEM. Altri invece sono più locali o più recenti e riflettono la realtà etnica e linguistica delle diverse aree colonizzate da Roma, nonché il tipo e l’entità delle invasioni barbariche a seguito della caduta dell’Impero. Così, il lessico del francese contiene più termini di origine celtica o germanica; quello spagnolo più iberismi e arabismi; quello romeno più slavismi. Alcuni di questi termini “locali” sono poi passati a far parte del lessico delle altre lingue romanze in fasi storiche successive: è il caso, per esempio, dei germanismi in italiano o in spagnolo arrivati dal francese o dall’occitano nel Me- dioevo, grazie all’influenza di queste culture sulle altre aree europee durante tale periodo. Numero- si sono poi i prestiti tra le lingue romanze o da lingue di altre famiglie linguistiche in epoche succes- sive a seconda delle peculiarità storiche delle singole aree, prestiti che tuttora continuano. Non sono estranei ai prestiti stranieri delle origini alcuni casi di calchi linguistici. Alcuni esempi so- no: *COMPANIO/COMPANIONEM, formato su CUM PANE “con il pane”, cioè “compagno di men- sa, con il quale si divide il pane”, che traduce alla lettera un’espressione gotica, GA-HLAIBA. Lo spagnolo contiene anche qualche termine, di origine latina, che ha subito un’estensione del signifi- cato o ha cambiato significato per l’influenza dell’equivalente termina arabo: infante (sp.) < INFAN- TEM “bambino”, diventa “principe, figlio di re” sul modello arabo walad “bambino, figlio di re”; pla- tea “argento” < *PLATTA “piatto” sembra un’influenza dall’arabo lugayn, oppure waraqa, che signifi- cano ambedue “lamina, argento”. Creazione di parole Le lingue hanno anche la possibilità di creare parole nuove sulla base del lessico esistente ricor- rendo a prefissi, suffissi e parole composte. Anche il latino aveva a disposizione questi mezzi, sic- ché molte parole nelle lingue romanze sono basate su creazioni nuove di questo tipo, che sfruttano prefissi e suffissi vecchi e nuovi in uso nella lingua classica oppure solo nei registri meno formali. Nella storia si è però spesso perso di vista il fatto che un termine fosse all’origine una forma deriva- ta, in quanto la forma su cui si basava è caduta in disuso. È il caso di HIEMS “inverno” che è scom- parso, mentre sopravvive il suo derivato HIBERNUS; oppure di DIES “giorno”, soppiantato in alcu- ne aree dal derivato DIURNUS. Altrove troviamo DIES, passato alla prima declinazione: DIA > dia (sp. port. cat. occ.), zi (rom.). Prefissi I prefissi latini corrispondono per lo più alle preposizioni e aggiungevano alla parola qualcosa del loro significato, anche se, a lungo andare, questo rapporto di è perso. Tali prefissi includono AD, CUM, DE, EX, IN, RE e, soprattutto nei registri meno aulici, DIS. Sono principalmente i verbi a rice- vere un prefisso, che poi sarà trasmesso agli eventuali sostantivi e aggettivi formati sulla loro base. Un esempio è il verbo latino FLARE “soffiare”, che viene sostituito dalla forma SUBFLARE. Allo stesso verbo, però, sono stati aggiunti altri prefissi che ne cambiano il significato: INFLARE “gon- fiare”; CUMFLARE “gonfiare”; ADFLARE o AFFLARE “trovare”. L’evoluzione fonetica nasconde spesso il prefisso originale. Non sempre tutte le aree adottano lo stesso prefisso, oppure non lo adottano affatto. È il caso del verbo INITIARE, che più spesso appare con il prefisso CUM: CUMI- NITIARE. Il significato dei prefissi era indebolito e l’uno poteva valere l’altro: come INFLARE e CUMFLARE. Scopo di una forma prefissata era spesso quello di evitare che la parola base si riducesse eccessi- vamente a causa del cambio fonetico: così a EDERE “mangiare” si preferisce CUMEDERE, men- tre altrove il termine è semplicemente sostituito da un altro: MANDUCARE. I prefissi latini continuano ad essere impiegati nella creazione di parole nuove e possono anche portare alla sostituzione delle forme più antiche. La parola CUMVITARE è stata in parte sostituita da un più recente INVITARE. I suffissi I suffissi possono svolgere due funzioni: 1. Creare parole nuove per derivazione; 2. Indicare affettività, cioè esprimere l’atteggiamento di chi parla. Si hanno suffissi accrescitivi, diminutivi, peggiorativi ecc. Tra i molti suffissi impiegati in latino vi so- no i diminutivi -ULUS, -CULUS, -ELLUS, -CELLUS, che di frequente perdono il significato diminuti- vo per creare semplicemente parole nuove, spesso per controbattere gli effetti del cambio fonetico. Tale tendenza è registrata anche nell’Appendix Probi: > AURIS non ORICLA [< AURICULA] > VETUS non VECLUS [< VETULUS] Qui si vede come questi suffissi, essendo atoni, perdono la vocale postonica: AURIC(U)LA, VET(U)LUM. Altri esempi sono GENUS > GENUC(U)LUM e, nel galloromanzo, SOLEM > SO- LIC(U)LUM [rispetto a SOLEM > sole (it.), sol (sp. port. cat), soare (rom.)]. Anche per i suffissi, dunque, è possibile che alcune aree ne aggiungano uno ad alcune parole e al- tre no, e non sembra che ci siano sempre regole particolari per spiegare tali scelte. Per esempio: FRATEM (fr. occ. it. merid. Rom.), ma FRATELLUM (it.)12; o TAURUM/TAURELLUM. Con il tempo è stato preferito come suffisso il tipo –(C)ELLUM a –(C)ULUM perché il primo è un suffisso tonico, mentre il secondo era atono. Così, se in latino si ha normalmente AVI(C)ULUM “uc- cellino”, da AVIS, nelle lingue romanze si diffonde la forma AVICELLUM (ma AVEM > ave (sp. port.). sono quindi stati preferiti i suffissi tonici, tra i quali: -ATUS, -ARIUS, -ENSIS. Le lingue romanze continuano a impiegare suffissi non solo per creare parole nuove ma anche co- me suffissi diminutivi, accrescitivi ecc. In questo caso si distingue il francese che impiega un agget- tivo per esprimere il diminutivo: une petit main “manina”, preferendo nuovamente una preposizione a una posposizione. Vi sono una serie di suffissi, che servono a creare verbi nuovi sulla base di ag- gettivi e sostantivi, oppure dei participi passati, specie laddove il verbo era irregolare. Il suffisso più comune è -ARE, che crea verbi della prima coniugazione: Ø CANTUS > CANTARE Ø AUSUS > AUSARE (osare) Ma si hanno anche altri suffissi: Ø -IRE: UNUS > UNIRE Ø -ICARE: CARRUS > CARRICARE Ø -IZARE/-IDIARE: BAPTIZARE Ø con evoluzione più popolare: *WERRA + -IDIARE. Ancora oggi questi sono i suffissi più produttivi per la creazione di verbi nuovi anche sulla base di parole non latine. Parole composte Le parole composte possono essere formate da due sostantivi, da aggettivo più sostantivo, da so- stantivo più aggettivo, o da verbo più sostantivo. Alcune parole composte hanno una storia conti- nua dal latino alle lingue romanze: è il caso dei giorni della settimana, costituiti da due sostantivi, la parola DIEM e il nome di una divinità al genitivo: · LUNAE DIEM MARTIS DIEM e, con l’ordine inverso, DIEM *LUNIS, DIEM MARTIS. Il cambio nell’ordine dei sostantivi è significativo: in MARTIS DIEM si vede l’ordine tipico del latino con il determinante a sinistra, mentre DIEM MARTIS rivela la preferenza romanza per l’ordine a de- stra. Come regola generale, le parole composte in latino rispettano l’ordine sintattico del latino, an- che quando la parola è composta da sostantivo e verbo. Per esempio, il basso latino CARNEM LE- VARE segue il tipo OV, mentre le composizioni romanze preferiscono l’ordine VO: parabrezza. Nelle lingue romanze il tipo di parola composta più frequente è quello formato da verbo e comple- mento, oppure da sostantivo e aggettivo; meno comune quello con sostantivo più sostantivo. Per l’influenza dell’anglo-americano, però, quest’ultimo tipo sta aumentando con tutta una serie di nuo- ve parole composte che, inoltre, rispettano l’ordine delle composizioni inglese: cartamoneta > pa- per money. Infine, sono anche composizioni molte preposizioni romanze: · PRO AD > para (sp. port.) · AD ANTE > avanti (it.) · DE IN ANTE > denante > delante (sp.), denan (occ.) · APUD HOC > avec (fr.) Conclusioni Il lessico costituisce la parte più instabile della lingua, ma è anche sulla base del lessico che si può giudicare il grado di compattezza delle lingue romanze, che nonostante tutto conservano un ampio fondo di lessico comune derivato dal latino. Ciò dipende non solo dalla presenza di parole con una storia continua dal altino al romanzo, ma anche dai prestiti dal latino o dagli scambi tra le diverse lingue romanze nel corso della loro storia. Vi sono quindi linee di evoluzione che le lingue romanze anno in comune e che sembrano risalire a cambiamenti già insiti in latino, specie nel latino “popolare”. Pur essendo coscienti del fatto che, se- condo alcune scuole di pensiero, le convergenze linguistiche fra le diverse lingue romanze vanno spiegate con sviluppi paralleli in seno alle singole lingue, siamo convinti che la grande compattez- za tra queste lingue sia il risultato di una storia sostanzialmente comune. ciò non vuol dire che le lingue romanze siano identiche. Le lingue romanze moderne sono più o meno vicine al loro comu- ne antenato, il latino. La lingua rimasta più simile al latino è l’italiano standard; le lingue più conser- vatrici sono poi il romeno, il sardo e il portoghese, mentre la lingua più innovatrice è il francese.
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