Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto libro Colonialismo degli italiani, Appunti di Storia Contemporanea

Riassunto monografia per orale di storia. Ho preso 30 quindi sarà fatto bene

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 02/02/2023

anna-guidi-2
anna-guidi-2 🇮🇹

4.2

(5)

1 documento

1 / 20

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto libro Colonialismo degli italiani e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! IL COLONIALISMO DEGLI ITALIANI - INTRODUZIONE Colonialismo = un immaginario fatto di utopie; fenomeni globali, settler colonialism → ricerca di territori con il preciso scopo di trasferirvi masse di emigranti per fondare società nuove, militarmente e politicamente dominanti. A volte queste comunità diventano predominanti anche nel numero, eliminando fisicamente o concentrando in riserve le popolazioni autoctone → spesso gli obiettivi erano quelli di “rimuovere” le popolazioni autoctone a vantaggio dei colonizzatori, questa concezione contempla i colonizzati non come attori con cui entrare in una relazione, ma come pura assenza, come fantasme. Sostenere un progetto di popolamento coloniale = sforzo politico ed economico 1. motivare la necessità di possedere colonie 2. convincere i potenziali emigranti a farsi coloni → mito e promessa di benessere si tratta di una questione che in Italia è stata esplorata solo in parte; tuttavia la cultura coloniale italiana è molto ampia e dinamica; a fronte di un'economia segnata dall’assenza di concentrazione di capitale e di una solida struttura industriale, diventa complesso cogliere un nesso con le possibilità di espansione coloniale. Tuttavia in Italia le colonie erano mezzo di risoluzione dei problemi sociali interni eppure i progetti coloniali italiani si sono sempre concretizzati in maniera piuttosto limitata. Risuona l’opinione gramsciana sull’assenza di una spinta reale all'imperialismo italiano, sostituita da problemi di natura interna da risolvere. Solo estendendo lo sguardo dal Risorgimento a oggi si può spiegare come l'idea che Pascoli declamò la “grande proletaria” abbia finito per confluire nel mito repubblicano della brava gente e diventare così uno dei pilastri dell'identità nazionale postfascista. - LA NASCITA DI UN’IDEA ° FATTA L’ITALIA, FACCIAMO LA COLONIA 1855: un enorme veliero, denominato Mameli, salpò da Genove con direzione Melbourne, Australia; era il primo clipper che avrebbe dovuto trasportare non solo merci, ma persone. A capitanare il viaggio Nino Bixio, noto per le gesta in camicia rossa di Garibaldi, passò metà della sua vita navigando. → l’Italia non era ancora unita ma si guardava già intorno oltremare Fine anni 50: il Regno di Sardegna aveva ricevuto più di una proposta coloniale. La più degna di menzione fu quella di Giovanni Stella, che dopo aver viaggiato in Etiopia, pensò di progettare una colonia agricola sul Mar Rosso. Il 3 ottobre 1859 scrisse direttamente a Cavour prospettandogli immensi territori incolti e amene e fertilissime montagne. Cavour aveva altro a cui pensare e non prese la proposta in considerazione. Tuttavia, Stella prese in concessione dal governatore etiopico della regione un territorio nell’attuale Eritrea. (breve esperimento) Poco dopo l’Unità si sviluppò il dibattito sull’opportunità per l’Italia di stabilire colonie penali oltremare (fenomeno del brigantaggio). Mentre si disquisiva invano su questa proposta, cominciava a prendere corpo l’idea di coniugare EMIGRAZIONE E COLONIE all’interno del medesimo discorso. 30/05/1963= Cristoforo Negri (diplomatico e fervente patriota), che già da tempo indagava sulle possibilità di una annessione dell’Etiopia, esortò il governo ad adoperarsi al fine di espandersi in Africa e in Asia.. Per Negri l’Italia era pronta a mettersi in gioco al pari delle altre potenze europee e la colonizzazione era il tassello mancante. s Appare sicuramente precoce pensare a conquiste nel 1863, quando a malapena esisteva l’Italia in quanto Stato Unitario. La nazione appena sorta si guardava intorno, misurando e soppesando con una certa ansia competitiva sé stessa e gli altri, e deducendo che se tutti affermano i propri interessi a suon di cannoni, prima o poi si sarebbe dovuto fare altrettanto; se “coloniale” era un aggettivo che qualificava la moderna potenza europea, non si poteva non tenerne conto mentre si costruiva la nazione. ° IL DIBATTITO SULL'EMIGRAZIONE Boccardo già nel 1857 aveva teorizzato l’esistenza di un nesso tra le migrazioni oltre oceano e il bisogno di migliorare le proprie condizioni tanto materiale quanto morali, sentito da tutte le classi della società. L’economista genovese non traeva queste idee dal nulla bensì dalle opinioni dell’economista inglese Thomas Malthus, ideatore del rapporto tra pressione demografica e disponibilità di risorse naturali, dove il primo fattore cresce più rapidamente del secondo e deve in qualche modo essere tenuto a freno. In Italia di sovrappopolazione non ve ne era traccia e fino agli anni 70 dell’800 l’immigrazione era fenomeno di poco conto in Italia. Nel 1868 fu il parlamento a occuparsi del tema: Ercole Lualdi facoltoso industriale e deputato della sinistra fece presente alla camera il triste aumento di emigrazione:furono solo i primi vagiti di una discussione pubblica complessa e a un aumento del fenomeno migratorio. Solo a partire dagli anni 70 quando i numeri dell’emigrazione iniziarono ad impennare che i politici iniziarono a sentirsi maggiormente coinvolti nel dibattito. L'obiettivo di Boccardo è fondare colonie nel vero senso della parola, cioè terre sulle quali si continua il suolo della madre patria, si seguono le medesime leggi e si parla la stessa lingua. Boccardo pensava di trovare questo in Sud America, nei quali esistevano grandi comunità di emigrati italiani. A partire dal 1871 la meta proposta è l’Abissinia, considerata da molti giornalisti il “posto al sole italiano” → queste idee erano ancora limitate ad una elite e lo stesso Stato si mantiene per ora ancora distante dalla questione, i pochi che si sbilanciano credono in un dominio economico, non effettivo. Questa ipotesi viene definita dal celebre avvocato Virgilio “Imperialismo formale”. Esploratori e viaggiatori furono tutt’altro che estranei rispetto alla costruzione di questo oltremare mitico. Il resoconto del viaggio svolto nel 1883 in Amazzonia da Giacomo Bove teorizza la possibilità di trovare ricchezze in un vero locus amoenus. L’idea era quella di una emigrazione di massa fino a raggiungere una maggioranza di Italiani → “VIA ITALIANA” = TRAMITE MIGRAZIONI DI UOMINI, RICCHEZZA E POTENZA. ° GLI ITALIANI IN AFRICA il dibattito rimase per decenni confinato in un ambito ristretto, anche se nel corso del XIX secolo furono sempre più presenti paesaggi esotici nella pittura europea, nelle scenografie teatrali, nelle decorazioni liberty e nella letteratura = esotismo. Inoltre il progresso della tecnica fotografica contribuì a incrementare la familiarità con l’Africa: le immagini di fine 800 ricalcavano il preesistente immaginario esotico, cui si aggiunsero elementi tipicamente coloniali come le barbarie di popoli primitivi. In questo immaginario geografi ed esploratori giocavano un ruolo fondamentale; nei resoconti dei loro viaggi compariva l’immagine di un’Africa misteriosa ed esotica, spesso priva di realtà. L’idea di un posto al sole si inseriva in un contesto in cui si andava consolidando una certa idea dell’Africa, che aveva messo le radici nell’immaginario italiano. ° VERSO LE COLONIE Negli anni 70 dell’800 alcuni pubblicisti e viaggiatori iniziarono a suggerire l’idea che all’Italia servisse una colonia. Questo è il quadro dell’Italia che si fece Rubattino, il quale concretizzò per la prima volta il possesso di un pezzetto di Africa e intendeva aprire nuove vie marittime attraverso l’appendice inaugurato canale di Suez. Nel 1870 la baia di Assab venne acquistata dai notabili locali. Gli ultimi governo di destra storica erano piuttosto disinteressati alla baia e la sua perdita non suscitò affatto scalpore tra la popolazione. Questo disinteresse e questo “ritardo” italiano rispetto agli altri paesi non deve Una grande mano la diedero i fotografi dell’Africa italiana, anche se l’editoria faceva una cernita delle immagini più rassicuranti. Questo significava che ciò che gli italiani potevano vedere era una selezione della realtà e non la vera africa: non c’era la vita delle popolazioni colonizzate, non c’era una rappresentazione realistica dei nuovi territori, sostituiti da onnipresenti elementi iconografici quali palme e cammelli = rappresentazione artefatta che esaltava l’immaginario esotico e i presupposti di superiorità della civiltà europea. A partire dagli anni 90 con l’invenzione della Kodak si ampliò il numero di foto amatoriali, che ampliarono i soggetti offrendo più ampi squarci di vita coloniale. Perfino il più diffuso editore italiano di manuali pratici, Hoepli, diede il suo contributo con il “piccolo dizionario eritreo“. Assai interessante è il pubblico per cui questi vocabolari coloniali erano pensati: un pubblico evidentemente non specialista ma genericamente interessato, potenziale precorritore dei terreni di nuova conquista. Questi dizionari rispondevano quindi all’esigenza pratica di chi si apprestava ad avere quotidiani contatti con le popolazioni colonizzate. In quello pubblicato dal celebre esploratore e pubblicista Manfredo Camperio si trovavano in traduzione frasi come “questo piatto sporco, vai a lavarlo“-significativo esempio di cosa si pensava fosse utile sapere al coloni italiano. Che la colonia fosse Terra Nullius in attesa di essere occupata era già ben più che interiorizzato nella cultura occidentale ed italiana, e le frasi più comuni di questi dizionari lo confermano. I dizionari insieme alla maggior parte degli altri prodotti editoriali coevi, dal frontespizio fino all’ultima delle fotografie, veicolavano l’idea che emigrare in colonia rappresentasse vantaggi, primo fra tutti la posizione di dominatori di popolazioni selvagge e inferiori. Questo mare magnum di carta stampata colpiva come mai prima l’immaginazione e le coscienze di un vasto pubblico e fu quindi una alfabetizzazione, almeno in parte, intorno a temi africani e coloniali. Questa influenza africana si nota anche nei nomi; non pochi furono i bambini battezzati Eritreo, Dogalino, Adua, Tosello (dal capitano Toselli, tra i più celebri martiri della guerra d’Africa). —> FENOMENO INCISIVO NELL'IDENTITÀ NAZIONALE °POPOLARE L’ERITREA Eritrea = colonia necessaria all’Italia —> ma era un progetto possibile? Molti colonialisti si affrettarono a cercare risposte in senso affermativo, ma le informazioni sul luogo erano ancora scarse, il territorio in gran parte poco conosciuto, e nel dibattito pubblico prevaleva un cauto scetticismo. Il giudizio di Sonnino in merito, però, era che la colonia di popolamento fosse possibile in virtù di suolo e clima adatti e di una popolazione indigena rada di fronte al territorio coltivabile. L’opinione di Sonnino era sostenuta da argomenti che si trovavano in moltissime pubblicazioni (le terre affacciate sul Mar Rosso venivano descritte dei più con un clima identico poco differente da quello italiano, con terreni vergini. All’interno di un opuscolo sulle impressioni ricavate da una visita all’Eritrea i terreni nei dintorni di Massa Hua erano ad esempio descritti come arsi, desolati dei raggi cocenti di un sole torrido nell’estate, per poi risorgere per incanto al mutare della stagione, trasformando il paese in un’immensa prateria.) L’enfasi retorica sulla ricchezza del suolo si coniugava con l’ideologia del popolamento e l’idea che l’uomo occidentale avesse il compito di portare ausilio tecnologico, dove la natura non arrivasse. Tema centrale: nella nascente versione italiana dell’ideologia settler: la colonizzazione non poteva essere lasciata alla responsabilità individuale del singolo immigrato impotente e degli esigui mezzi aventi a sua disposizione. Doveva essere lo Stato quindi a farsi carico di un’impresa che sarebbe stata del tutto impossibile. Il governo italiano aveva infatti stabilito una regia commissione d’inchiesta che nel 1891 diede il suo responso. Partì dal presupposto classico secondo cui l’Italia aveva una popolazione densa, crescente e per conseguenza una numerosa emigrazione, e proprio in risposta a questo fenomeno c’era necessità di una colonia che assicurasse terre coltivabili in clima sano. Il rapporto della commissione ritenne che i terreni eritrei per lunghissimi anni basteranno all’attività colonizzatrice. La commissione concluse suggerendo al governo cautela.la colonizzazione di massa era auspicabile, ma tra qualche tempo: prima sarebbe necessario costruire vie di comunicazioni, avviare iniziative sperimentali, e studiare meglio il paese per risolvere le problematiche interne. Mentre riferivano iniziative più o meno estemporanei da parte dei singoli, anche lo Stato iniziava a muoversi. Il ministero dell’agricoltura presentò al governo alcune note informative sulle possibilità agricole del territorio, mentre il ministero della guerra si occupava di fornire prima le informazioni circa la situazione fondiaria, ovvero i diritti di proprietà di terreni agricoli.infine Crispi affidò al deputato Leopoldo Franchetti la guida di una missione esplorativa che si svolse alla fine del 1889. Franchetti riuscì a convincere Crispi e a farsi incaricare il capo di una missione speciale per la colonizzazione dell’Eritrea, con ampie deleghe all'agricoltura e il commercio, che lo resero in pratica responsabile del progetto di rendere l’Eritrea una colonia di popolamento. La missione lo fece immediatamente entrare in conflitto con i governatori militari della colonia. I piani di Franchetti, in estrema sintesi, prevedevano infatti di lasciare buona parte delle terre agli eritrei e indemaniare una quota, da distribuire poi in concessione ai contadini italiani. Dibattito: -> colonia di popolamento per deviare ai problemi dell’emigrazione Alla base di questa vi erano due problemi: 1. La terra non era l’Eden ubertoso che si vagheggiava 2. I terreni non erano così vuoti come l’ideologia propagandava, ma dovevano essere espropriati (-> eliminazione dei nativi) e indemaniati, con il rischio di esacerbare la tensione e scatenare rivolte contro l’occupazione coloniale,come puntualmente avvenne. -> avamposto commerciale Per l’Italia di fine secolo, il costo economico il costo politico del posto al sole erano molto più di quanto si potesse permettere. Il fallimento del tentativo di fare dell’Eritrea una colonia di popolamento, attribuito spesso errori e impreparazione, è largamente ascrivibile alla completa dipendenza da finanze pubbliche sempre disponibili. Crispi non aveva abbandonato il sogno di una colonia di popolamento, e il ministro degli esteri, Alberto blanc, nelle sue lettere al generale barattieri sottolineò a più riprese l’importanza vitale di uno sviluppo più largo. Barattieri, Crispi, le ambizioni militaristi nei confronti dell’Etiopia e sogni di un popolo di massa, tutto questo viene spazzato via di lì a poco sul campo di battaglia di Adua. Delle due stazioni agricole sperimentali una venne abbandonata già nel 1894 Nell’inverno del 1904 una commissione agricola ispezionare l’altopiano eritreo per trovare 10.000 ettari di terreno incolto e disabitato su cui insediare 200 famiglie appartenenti a una cooperativa socialista romagnolo= girarono per il paese e si resero conto che il Villaggio Franchetti era un rudere abbandonato. E i pochi italiani che ancora coltivavano la terra utilizzavano i sistemi tradizionali eritrei come l’aratro a chiodo, non praticavano la rotazione, non utilizzavano macchinari agricoli… = FALLIMENTO che avrebbe però contraddistinto la colonizzazione italiana fino agli anni 30. °DOPO ADUA La prima guerra d’Africa raggiunse il suo culmine nel 1895, quando le truppe italiane invasero la regione etiopica del Tigré = impreparazione militare, incertezza, scarsa conoscenza del territorio —> 1^ marzo 1896 = gli etiopici inflissero agli italiani la peggior sconfitta vissuta da un esercito coloniale europeo. (5000 morti e 2000 prigionieri) —> FINE DELLA POLITICA DI CRISPI: sconfitta politica dei colonialisti = manifestazioni di protesta e ritiro dalla colonia. = fine dei grandi progetti di popolamento. Quali conseguenze ebbe questo improvviso congelamento delle ambizioni coloniali sull’ideologia del popolamento di massa? Tornò ad essere minoritaria, Dopo Adua nessuno voleva più sentirne parlare. Non era l’idea di colonialismo in sé ad essere messo in discussione, l’ anticolonialismo post Adua, rumoroso e certo maggioritario, non escludeva una frangia possibilista, uno spiraglio guardacaso legato alla possibilità di emigrare. Il problema era la scelta infausta dell’Eritrea. I socialisti italiani, così come la seconda internazionale in generale, erano rimasti perlopiù ripiegati su un antimilitarismo che lasciava spazio alla possibilità di un colonialismo alternativo e pacifico. Lo stesso dicasi per il fronte cattolico. All’insuccesso totale del colonialismo e dei suoi piani, i liberali contrapponevano i successi delle comunità italiane costituitesi nelle Americhe; riprese vigore, in particolare, l’attenzione all’emigrazione verso sud (rivista “l’amazzonia” del 1898, in cui si considerava il Brasile come giusto sbocco per l’esuberanza demografica. In questo dibattito, l’allora giovane economista Luigi Einaudi con il suo “un principe mercante” fu l’alfiere della soluzione mercantilista, che immaginava per l’Italia un’espansione pacifica lungo le rotte delle migrazioni transatlantica; si fondava sul presupposto che lo Stato dovesse incoraggiare lo spostamento verso quei paesi dove gli italiani formano già un nucleo solido = COLONIALISMO PACIFICO. Seppure ebbe un certo momento di gloria dovuto alla triste prova offerta dalla politica italiana in Africa, questa visione libero scambista era destinata a scricchiolare presto a causa del vecchio e il risolto problema della debolezza di un capitale industriale e commerciale semplicemente incapace di accompagnare le rotte dell’emigrazione atlantica e penetrare nei mercati americani. Era, inoltre, un’ideologia ormai in aperta contraddizione con un contesto internazionale sempre più militarizzato e orientato alla conquista territoriale da parte di imperialismi aggressivi in reciproca concorrenza = visione anacronistica della colonizzazione. Nel 1901 venne creato il commissariato Generale dell’emigrazione, con lo scopo pratico di riunire in sé le competenze in materia e l’obiettivo politico di gestire e coadiuvare i flussi migratori in modo che questi coincidessero con l’interesse nazionale.Tuttavia, trasformare l’emigrazione libera in colonizzazione sponsorizzata dallo Stato nelle Americhe era estremamente difficile e costoso. Fu solo questione di tempo prima che si ricomincia a parlare di popolamento in Africa: il 25 settembre 1905 si svolse un Congresso a cui parteciparono i presidenti di tutte le società geografiche coloniali, il tema del popolamento fu al centro del dibattito.negli anni successivi si parlò con sempre maggiore enfasi sulla necessità di conquistare la Libia = ritorno alle visioni pre-adua (tanto che nel 1906 istituirono l’istituto coloniale italiano). Molti erano i segnali della rinascita, nel primo decennio del XX secolo, di un’ideologia che morta non era, ma che di certo dopo Adua non si sentiva benissimo. 10 anni dopo, in un’atmosfera più propizia, torno quindi in auge l’idea del popolamento, sebbene in modo diverso rispetto a prima. Se subito dopo Adua il proposito era immaginato come lontana ipotesi, sospirando che fortuna sarebbe per l’Italia poter collocare in colonia almeno otto dei suoi figli per ogni chilometro quadrato; 10 anni dopo si criticava sia il pessimismo di quelli che battezzavano la nostra colonia come una landa di sabbia infuocate, sia l’entusiasmo ingenuo di quelli che proclamano l’Eritrea un Eldorado. I postumi di Adua erano ormai smaltiti se perfino un giornalista assai critico verso le velleità che spire come Gustavo chiesi scrisse che le vergini e le nuove regioni d’Africa erano territori da occuparsi; continuavano ad arrivare richieste di acquisto di terre africane che il governo però limitò. Nel 1909, il primo ordinamento fondiario dell’Eritrea limitò fortemente la possibilità di indemaniamento della terra, e di fatto rinuncia definitivamente alla colonizzazione contadina di massa. Orientamento ribadito nel successivo ordinamento fondiario del 1926. —> la ragione di questa serie di politiche restrittive è ovvio: eliminata la possibilità di coltivare con il supporto dello Stato, ben poche opportunità restano a chi volesse trasferirsi in una colonia piccola e povera di risorse. Meno consigliabile ancora era l’immigrazione di operai e manovali italiani, essendoci Tripolitania e Cirenaica l’Italia poteva infatti giocare la carta dell’eredità romana, per cui spettava gli italiani, successori di Roma una sorta di diritto storico su quelle terre. (Studi dimostrano come effettivamente negi anni della guerra italo-turca per il possesso della Libia le antichità romane servirono a legittimare le pretese italiane, alimentando la costruzione di un’identità nazionale che rimandava direttamente alla classicità attraverso il combinato disotterramenti, come la venere di cenere, e propaganda) Salvemini, nel 1914, volle scrivere a beneficio dei posteri che non tutti perdettero la testa dietro alle mistificazioni dei giornali. Non tutti, ma l’ondata nazional-colonialista fu di sicuro davvero pervasiva: ● Il movimento femminile italiano che decise ingiallente di rimanere fuori dalla questione libica, finì con l’essere inghiottita dal sentimento nazionalista ● Lo stesso avvenne per il mondo cattolico Un punto metteva d’accordo tutti, da ormai molti decenni: l’applicazione dell’ideologia colonialista, fondata sul nesso profondo tra emigrazione e colonizzazione, avrebbe dato come risultato il trasferimento di masse di lavoratori una colonizzazione il cui carattere essenzialmente proletario sarebbe stato sancito ed eternato da Giovanni Pascoli. Il 26 novembre 1911 il celeberrimo poeta pronunciò presso il teatro Barga, vicino a Bologna, il sermone “la grande proletaria s'è mossa“. 1. Premessa: non racchiude nulla di particolarmente nuovo, l’Italia era un paese di lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco e pertanto emigravano, trasformando il mondo attraverso la loro fatica. 2. Di fatto Pascoli sintetizzava superbamente trent’anni di costruzione di un immaginario fondato su una terra fertile abbandonata su cui l’Italia rivendicava un ulteriore legittimità fondata sull’onnipresente richiamo al passato romano. 3. I coloni declamate da Pascoli erano, oltre che il colore Tari fondamentalmente brave persone. Pascoli sottolinea più volte che questi bravi soldati fossero proletari e contadini, e negò recisamente la veridicità delle atrocità commesse in Libia. 4. Lo stesso Pascoli in un altro momento del discorso, esaltando la modernità della tecnologia bellica italiana declamò i suoi ardimenti scientifici tra cui l’aeronautica, che diede il triste record di aver prima battuto leali e piovuto la morte sugli accampamenti nemici. 5. Anche la propaganda nazionalista si mangia spesso la fiaba degli arabi in ansiosa attesa dei liberatori sostenendo in diverse e se occasioni sulle pagine del “idea nazionale” che bisognasse trattare quell’accozzaglia di bastardi come razza inferiore °FLUSSI E RIFLUSSI - Ben pochi italiani resistettero alle potenti sirene imperialiste - L’ideologia colonialista era fondata sul proposito di creare una colonia di popolamento: l’emigrazione di massa si sarebbe dovuta impiantare su terreni vuoti per definizione con un processo di progressiva appropriazione della terra e sostituzione della popolazione. Mentre la conquista si concretizzava, però alcuni esperti di questioni coloniali sollevarono qualche dubbio sulle condizioni del terreno e le possibilità che la Libia avrebbe potuto offrire.—> queste valutazioni caute, che videro allineati pochi ma importanti studiosi già all’indomani della conquista, soppiantarono presto il rumoroso ma effimero entusiasmo nazionalista. L’occupazione della Libia fu ben più dura di quanto vagheggiato: lungi dall’essere una passeggiata militare, dovette fronteggiare un’accanita resistenza da parte degli arabi, tutt’altro che non sia attesa di essere liberati dal giogo ottomano. La terra promessa era tutt’altro che un eden; ma di li a poco, il vento di guerra europeo avrebbe distratto gli italiani dalle questioni imperialiste. Si riprese a parlare di colonialismo nel 1919 quando il Convegno nazionale coloniale riaffermò in modo generico il principio di colonie di popolamento. Il colonialismo post bellico era abbastanza debole, anche sui fogli dei circoli colonialisti i toni, nel dopoguerra erano ormai cambiati: la colonia di popolamento era uno sbiadito fantasma. Questa situazione ricorda molto quanto avvenuto per l’Eritrea dopo la disfatta di Adua. L’avvento al potere del fascismo, nell’ottobre 1922, non rappresentò da questo punto di vista un momento di radicale discontinuità. Certo, in linea con l’idea nazionaliste, il fascismo considerava l’espansione coloniale un tema prioritario. Ma nonostante il manifesto interessi di Mussolini per le questioni coloniali, la propaganda restò perlopiù nelle mani dell’iniziativa privata. Ciò premesso, i primi anni del fascismo videro un ritorno delle colonie nell’agenda politica italiana. Nell’ambito della cultura, temi e paesaggi coloniali non erano rimasti del tutto estranee alla letteratura dei primi due decenni del secolo; ma fu solo negli anni 20 che la letteratura di ambientazione coloniale posto definitivamente dall’essere opera di oscuri ufficiali o esploratori, all’entrare nell’ambito della narrativa nazionale mainstream. Una nuova parola d’ordine inizio circolare in questi primi anni 20: bisognava assolutamente dare agli italiani non più una colonia in cui emigrare, bensì una coscienza coloniale. Conclusioni dell’esperto De Cillis: Se nei 10 anni di occupazione si era finora fallito era per due ordini di motivi: 1.perché hai pionieri agrari italiani che si affacciavano nella colonia immediatamente dopo l’occupazione erano indesiderabili, avventurieri senza capitali né conoscenze ma armati di forti pretese 2.la straordinaria tenacia con la quale gli indigeni si opponevano alla cessione dei terreni e quindi le pazze pretese di compensi da esse richiesti. - L’IMPERO DEL LAVORO Dalla prospettiva dell'ideologia coloniale la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, una frattura tra le più cruciali della storia d’Italia, non ha segnato un cambio di passo, una cesura netta, quanto il biennio 1926-1927. Fu solo alla metà del decennio che Mussolini, superata la crisi Matteotti e accelerata la costruzione del regime totalitario, si apprestò a varcare la nuova politica migratoria, demografica e coloniale. Bisogna però fare un passo indietro: nella prima metà degli anni 20 gli Stati Uniti, con due provvedimenti, uno del 1921 e uno del 1924, posero restrizioni all’immigrazione introducendo quote massime che andarono a colpire in particolare l’Europa meridionale —> generale riorientamento dei flussi migratori. Italia: il fascismo inizialmente prese iniziative per favorire l’emigrazione velocizzando il rilascio dei passaporti e liberalizzando le esistenti restrizioni sull’ emigrazione di maschi in età di leva. Ma le restrizioni degli Stati Uniti crearono un problema al quale il fascismo rispose tramite un ribaltamento concettuale portando il sovrannumero da vizio a virtù. = trasformò la sovrappopolazione da problema a risorsa —> IL NUMERO COME FORZA. Mussolini traeva dal filosofo tedesco Oswald Spengler la teoria secondo cui l’incremento demografico era l’unica soluzione per il popolo italiano, e per la razza bianca, in un contesto di concorrenza globale. Solo due anni prima il principale giornale del regime parlava di esuberanza di popolazione; ora, seguendo mussolini le teoria di Matheus veniva considerata un errore. I capovolgimenti teorici dovevano essere accompagnati da soluzioni pratiche: ● politiche di incremento di natalità ● Popolamento coloniale 1926: Mussolini partì per visitare la Libia e le possibilità di colonizzazione —> ma se il numero era forza, come si accorda la ricerca della potenza demografica con il trasferimento di masse di italiani in africa? 1. Pensare lo spazio coloniale come parte di quello nazionale, sia nel concepire l’emigrazione coloniale come modo per fare spazio alla crescita della popolazione in patria 2. La popolazione eccedente avrebbe dovuto lasciare il paese esclusivamente per una metà coloniale. L’ideologia colonialista fu quindi rimasticata dal fascismo, rinnegando Malthus e sostituendolo con Spengler; quello che prima era sfogo adesso è uno slancio vitalistico ed espansivo. Lo anticipò Mussolini da Tripoli nel 1926 e lo ribadì alla camera il ministro delle colonie Federzoni: l’Italia si apprestava alla guerra finale contro la resistenza libica. Di lì a poco, con la nomina del generale Badoglio a governatore unico delle due collane libiche, prima prese l’avvio l’espansione verso il sud della Tripolitania, poi l’annientamento della resistenza in Cirenaica. Obiettivo: imporre l’Italianità attraverso la presenza fisica dei coloni = sostituzione etnica oltre che culturale ed economica. Es: la parte più fertile della Cirenaica, ora svuotata dei suoi abitanti, doveva essere mantenuta libera per i coloni. 1935: si passa alla conquista dell’Etiopia —> Si pensava di destinare intere zone del paese ai soli bianchi costruendo villaggi, città, paesi e regioni tipicamente europee = ELIMINARE PER SOSTITUIRE in Etiopia così come in Libia. Oltre a questioni legate al problema dell’emigrazione, ci sono questioni legate a obiettivi internazionali e interni, di prestigio e consenso, che pesarono nelle decisioni del duce in un quadro di consolidamento del regime in piena accelerazione. °FABBRICARE LA COSCIENZA COLONIALE L’accelerazione non fu solo militare, ma anche culturale e propagandistica; creazione di una coscienza coloniale = tra le principali preoccupazioni del fascismo -> gli italiani dovevano imparare a pensare all’Italia come impero. Ideologia colonialista, fino ad allora lasciata all’iniziativa di privati, diventa ora un fatto di Stato, e in conseguenza di ciò, oltre che in perfetta aderenza con la politica di progressivo accentramento che il regime porto avanti nel corso degli anni 20, il fascismo aveva cose in toto la propaganda coloniale. -> Istituto coloniale italiano divenne fascista e ad esso vennero delegate le attività di propaganda coloniale -> L’organizzazione di conferenze in giro per la penisola, da sempre uno dei capisaldi della propaganda colonialista, venne anche si centralizzata sotto gli auspici dell’istituto, che sulla scia dell’Empire day britannico, organizza la Giornata Coloniale -> spostamento del target da una più o meno ristretta élite borghese alla massa nel senso più largo possibile, grazie a manifestazioni come la Giornata Coloniale, il tema entrò nelle piazze. -> nelle scuole venne sollecitato l’acquisto per le rispettive biblioteche della Rivista delle colonie italiane. Le colonie costituivano il palcoscenico su cui allestire una rappresentazione di come il fascismo dovesse essere: inverato di alcuni dei suoi tratti fondamentali; esibizione di potenza, modernità, rinnovamento sociale. Inoltre si riprese il legame con l’antica Roma, anzi, fu con il fascismo che questo richiamo a Roma divenne continuo e onnipresente, sistematico, vero elemento strutturale del discorso del regime. Il colonialismo di popolamento veniva così messo in diretta continuità con il passato. essere ideale di minoranza. All’interno di questa dinamica di alti e bassi, l’ideologia colonialista fu sempre discussa, dibattuta, appoggiata o criticata. ● Con il fascismo questo stato di cose fini e l’ideologia colonialista cessò di essere la componente di un dibattito per diventare pragmatica, ideologia di Stato e di regime, indiscussa e dominante. ● Un secondo elemento di forte discontinuità intrinseco della versione fascista dell’ideologia coloniale fu la stretta connessione tra popolamento e razza -> ossessione per la costruzione di un impero che fosse solamente popolato da masse di emigranti italiani, ma che fosse anche razzialmente puro. Questo carattere traeva origine da una cultura scientifica italiana che aveva sviluppato e consolidato teorie sull’esistenza di una gerarchia tra le razze, al cui vertice c’era naturalmente la razza bianca. Di conseguenza, il metissage era incompatibile con il progetto mussoliniano di rigenerazione del popolo italiano attraverso incremento quantitativo e qualitativo che non poteva essere “sporcato“. Soluzione: Una legislazione razzista, che a partire dal 1936, con norme via via più severe, sancire assoluta separazione tra le razze non solo attraverso ordinanze segregazionisti dei governatori di colonia, ma anche con leggi entrate nel corpus giuridico nazionale. Mantenendo la linea della purezza, è chiaro che la politica era contraria ai rapporti tra italiani e donne etiopi perciò il duce facilitò e promosse il trasferimento delle donne = le brave fasciste avrebbero così contribuito a dare ad ogni uomo la possibilità di costituirsi una famiglia con una donna della propria razza -> ragioni eugenetiche e sociali -> ragioni economiche: non dimentichiamoci le disparità salariali tra uomini e donne = Una forte immigrazione di lavoratrici avrebbe consentito sensibili economie sui salari. Questa costante preoccupazione per il metissage e la purezza razziale, culminata con la legislazione che discriminava africani, ed ebrei, dal 1938, può essere considerata l’autentico tratto distintivo del progetto fascista. ● Il terzo elemento che contraddistingue ideologia coloniale del fascismo rispetto ai precedenti liberali è la centralità assoluta del lavoro. Elemento preesistente, quello degli emigrati-planetari, portati in primo piano negli anni della guerra in Libia dal sermone pascoliano, venne fatto assurgere dal fascismo a perno della retorica e della propaganda. Innumerevoli esempi di questa peculiare declinazione lavori stica dell’ideologia colonialista, secondo cui gli italiani in Africa avevano dimostrato al mondo che la capacità e la resistenza dei lavoratori italiano non sono un mito, sono una bella realtà. In sostanza, il regime si intestava l’invenzione del colonialismo di popolamento, ovviamente elaborato e ampiamente sperimentato altrove in molteplici occasioni in dimensioni decisamente più grandi rispetto a quelle, modeste, dell’Italia fascista. Peculiarità del fascismo fu semmai, in primo luogo lo sforzo economico e organizzativo senza eguali, in secondo luogo l’ossessivo controllo con cui gli apparati dello Stato tentarono di gestire ogni più minuto aspetto e una pervasiva presenza degli apparati statali, con relativa ipertrofia burocratica. Il regime riteneva invece che fosse la sua ideologia colonialista essere unica, rispetto a tutte le altre potenze ma, in particolare rispetto all’impero britannico, che della propaganda fascista era il principale obiettivo polemico. Quello britannico era, secondo i fascisti, un popolamento in progressiva decadenza, con i territori coloniali sfruttati economicamente ma lasciati deserti o quasi. Infine, in quanto lavoratori italiani erano inevitabilmente brava gente. Quella fascista era una forma nuova di colonizzazione che veramente può dirsi rivoluzionaria in quanto fondata sul binomio colonizzazione democratica (cioè popolamento intenso di nazionali) e elevamento materiale e morale. Il termine di paragone di nuovo, erano principalmente i britannici: laddove quelli tenevano a bada i colonizzati con la ferocia sommaria dei mezzi repressivi, gli italiani no, erano inconfondibilmente diversi, e la loro occupazione era caratterizzata da un’impronta profondamente umana. Più che sottolineare l’evidente distanza tra questa fantasia e la realtà di una guerra coloniale tra le più brutali, prima evidenziare come nell’ideologia colonialista incentrata sul popolamento proletario risieda l’origine e il fondamento del mito, successive tutto era ben vivo, del colonialismo dal volto umano. La ripetizione e quasi ossessiva della parola lavoro, posta in diretta connessione con il carattere prioritario delle migrazioni coloniale, diventa così già nel 1943 epitome dell’esperienza coloniale nel suo complesso: una parola perfetta, perché al suo interno racchiudeva le cause che giustificavano l’espansione coloniale italiana, il tratto che lo distingueva, la sua virtù morale, il suo esito pratico e la sua eredità. ->La grande proletaria di Pascoli e l’impero del lavoro di Mussolini si erano ormai saldati entro nuovo edificio ideologico. - IL LUNGO RETAGGIO DELLA REPUBBLICA Con la guerra, l’Italia sconfitta dovette cedere le sue colonie: entrambe occupate e amministrate militarmente dagli alleati. Italia che risorse dalle ceneri della guerra e del fascismo, era antifascista, repubblicana e democratica, ma si ricordò prontamente del suo impero oltremare, e al tavolo dei negoziati post bellici, chiese niente meno che la restituzione di tutte le colonie.tutte tranne una, l’Etiopia, in cui si era reinsediato il legittimo monarca Selassie. -> La decisione fu allungo rinviata e le trattative si conclusero con un nulla di fatto. Trattato di pace = 19 febbraio 1947 sottoscritto dal ministro degli Esteri Carlo Sforza = L’Italia rinunciò ogni diritto e titolo su tutti i possedimenti in Africa. L’Italia chiese di ottenere almeno il TRUSTEESHIP, ossia un'amministrazione fiduciaria a tempo determinato, con l’obiettivo di accompagnare le colonie alla loro indipendenza: Libia = indipendente il 24/12/1951 Eritrea = annessa all’Etiopia il 15/09/1952 Somalia = Affidata per un decennio l’amministrazione fiduciaria italiana, impreparazione all’indipendenza, a partire dal 1 aprile 1950. —> Intenso lavoro diplomatico -> MEMORANDUM ON THE ITALIAN COLONIES: espressione articolata organica a scopo di fare pressione e favorire la restituzione delle ex colonie, il tutto legato a un documento che discriminava l’Italia liberale e fascista, rimuovendo quindi l’aspettò bellico della conquista. Motivazione base di questa richiesta era la solita: l’Italia aveva ancora bisogno di colonie per ovviare ai problemi legati al surplus di popolazione interna = si ritorna al presupposto malthusiano. La democrazia dall’impresa coloniale fascista ereditò l’esaltazione del lavoro, enfatizzando come l’azione trasformata compiuta dai lavoratori italiani dava loro, adesso, un legittimo diritto sulla terra d’Africa. Ideologia colonialista post bellica si definì quindi molto precocemente. La Repubblica democratica e antifascista recuperò quindi i principali temi dell’ideologia colonialista prima liberale e poi fascista, sintetizzandoli nella necessità di possedere colonie di popolamento in cui convogliare l’emigrazione nazionale. Protagonisti di queste richieste furono i componenti della democrazia cristiana, convinta assertrice della legittimità delle richieste italiane sulla base del lavoro italiano che si è incanalato verso quelle terre. Uno dei membri della DC e della costituente, Gaspare Ambrosini affermava che italiano abbia ricacciato le sabbie strappando la terra africana alla natura cattiva e all’incuria degli uomini tramite il nostro lavoro. La terra abbandonata e vuota trasformata da un lavoro che rendeva gli italiani pacifici costruttori e non dominatori. = Ideologia che passando alla Repubblica trattenne i suoi sentimenti, tra il Kuhn i tratti prettamente fascisti. Il tema era centrale anche per i socialisti: lo stesso Pietro Nenni, partecipando nel 1947 al congresso nazionale per gli interessi del popolo italiani in Africa, superò d’un balzo le contraddizioni tra colonialismo e socialismo individuando proprio nel lavoro italiano il nodo della necessità di mantenere un legame con le ex colonie tramite amministrazione fiduciaria. La classe politica fu insomma concorde nel presentare, almeno fino al 1950, una narrazione che differiva rispetto a quella prebellica per pochissimi elementi: 1. Nessun legame con le origini romane 2. Aggiunta al topo del lavoro di una sfumatura di vittimismo + L’equivalenza lavoratore-brava persona, apparsa in passato, salita ora in primissimo piano. 3. Erano stati espunti dal discorso tutti gli elementi riconducibili non solo il razzismo ma più in generale all’imperialismo aggressivo. Conseguenza inevitabile fu lo slittamento da una rappresentazione della colonia come terra promessa ubertose fertilissima, a terra aspra e difficile che solo il sacrificio trasformato in Eden. Inoltre si continua, come nel periodo del fascismo, a sottolineare la differenza e la superiorità morale rispetto agli omologhi britannici nelle modalità di conquista. ° COLONIALISTI SENZA COLONIE 1945-1950 = mentre la classe politica si spendeva perché l’Italia mantenesse un qualche ruolo nell’ex colonie, non poteva certo restare a guardare ciò che rimaneva di una lobby colonialista sopravvissuta quasi in toto alla guerra e al fascismo in virtù della mancata epurazione dell’amministrazione coloniale. I capofila della lobby colonialista = Gregorio Consiglio —> Secondo lui la legittimità era fondata sul fatto di essere un popolo di 47 milioni, che saranno 60 fra vent’anni e che preme irresistibilmente per riversarsi da qualche parte e che sicuramente starai operai in Africa per forza di storia e di geografia = RIPRESA LETTERALE DELL’IDEOLOGIA OTTOCENTESCA, NAZIONALISTA E MUSSOLINIANA. Non distanti affermazioni del conte Danilo de Micheli, vicepresidente di Confindustria, quando in un’intervista dichiarò che il problema dell’Italia era lo sbocco per le superante manodopera. In questa lobby colonialista gli ex funzionari rivestirono un ruolo di primo piano. L’ex governatore della Somalia, Caroselli, forte del fatto che le popolazioni colonizzate non ci hanno cacciato per insurrezione da quelle terre, ancora nel 1953 sosteneva che lungo tutta la storia della loro esperienza coloniale gli italiani hanno sacrificato, costruito, donato e lasciato in Africa tutto quello che è un grande popolo, di antica civiltà, di provata tolleranza, disagio e bonaria comprensione umana poteva dare. Inoltre ad alzare la voce a favore della restituzione delle colonie alla nazione erano proprio gli ex coloni -> I circa 200.000 italiani che dalle colonie si Ri-trasferirono in Italia nel corso degli anni 40 furono protagoniste di primo piano nella costruzione di un’ideologia colonialista repubblicana. Questi si unirono in associazioni rappresentative come l’associazione nazionale profughi d’Africa orientale e la federazione nazionale combattenti, profughi italiani d’Africa. Queste associazioni assolvevano principalmente a due scopi: 1. Rappresentare al governo le problematiche dei profughi, sollecitando l’intervento statale 2. Esercitare pressione politica -> Le associazioni di ex coloni furono in esausti contributori all’operazione di riscrittura della storia coloniale italiana. Come sarebbero diventate le ex colonie senza più italiani ? La risposta era sempre la stessa: miseria, abbandono, nudo e sterpaglie, senza gli italiani quella terra si vedrebbe automaticamente riso spinta verso il nomadismo e le barbarie. La “prova lampante“ era la Cirenaica, dove le terre abbandonate dai coloni italiani erano tornate deserto, laddove i nostri avevano creato un paradiso terrestre. In ultimo bisogna sottolineare come anche gli ex coloni e ereditare uno dei tratti più tipici del discorso coloniale di epoca mussoliniana: l’assoluta originalità, e superiorità morale dell’impero italiano. Il termine di paragone erano sempre i britannici, il motivo di genialità era, ancora, il colonialismo proletario dunque “buono”
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved