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riassunto libro Dai frammenti alla storia, Appunti di Scienza delle religioni

riassunto libro dai frammenti alla storia per corso introduzione al pentateuco

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 28/03/2024

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simonedalpra-1 🇮🇹

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Scarica riassunto libro Dai frammenti alla storia e più Appunti in PDF di Scienza delle religioni solo su Docsity! DAI FRAMMENTI ALLA STORIA INTRODUZIONE AL PENTATEUCO Galvagno-Giuntoli I. INTRODUZIONE GENERALE DENOMINAZIONE E DELIMITAZIONE “Pentateuco” deriva dall’espressione greca pentàteuchos > pénte + tèuchos = cinque astucci. Entro i quali sono custodi i primi 5 rotoli delle Scritture ebraiche: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Insieme di testi che costituisce la Torah = insegnamento, istruzione, formazione, legge. = Prima parte delle tre parti che suddividono le Scritture di Israele. Per ebraismo è parte fondante e normativa. La secondo parte denuncia l’osservanza della Legge della Torah, e la terza è una riflessione e interpretazione della Torah, o “Legge di Mosè”. 1. Torah 2. Nᵉbi’ìim = Libri storici e profetici 3. Kᵉtubìm = Libri sapienziali La divisione in 5 libri della Torah è giustificata dall’eccessiva lunghezza che un rotolo avrebbe dovuto avere per contenerli tutti. Però forse vi è una motivazione più teologica che vedrebbe la divisione in 5 libri per far emergere il libro centrale, Levitico, che contiene le prescrizioni e le norme che costituiscono Israele come comunità santa, distinta dalle altre nazioni, e quindi esclusiva proprietà di Yhwh. I nomi dei cinque libri della Legge di Mosè I significati dei nomi dei 5 libri derivano dalla tradizione greca (LXX) confluita poi nella Vulgata latina. ● Genesi > Ghénesis (latino Genesis) = “Generazione”. Termine che si trova in 2,4 “biblos gheneséos” = libro delle generazioni. Temi di creazione e generazione. ● Esodo > Exodos (latino Exodus) = “uscita”. Evidenzia la tematica della prima parte del Libro, l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto, con l’aiuto di Dio e la mediazione di Mosè. ● Levitico > Leuitikòn (latino Leviticus) = ”levitico”. Non fa riferimento ai Leviti, gruppo appartenente alla tribù di Levi (“levita” = termine utilizzato in età ellenistica come sinonimo di sacerdote). Con il termine si richiama l’interezza della legislazione cultuale contenuta nel libro, che regolamenta e disciplina sia il culto che la vita. ● Numeri > Arithmòi (latino Numeri) = “numeri”. Si richiama la presenza notevole di liste, elenchi, registrazioni, censimenti contenuti nel libro. ● Deuteronomio > Deuteronòmion (latino Deuteronomium) = “seconda legge”. Traduzione greca dell’ebraico “mishné hattoràh” in 17,18. In ebraico significa “copia della Legge”. Il greco allude alla presenza di una “seconda legge”, un “altro codice”, probabilmente quello proclamato da Mosè in Moab (1,1-5). 1 Invece la tradizione ebraica è solita nominare i libri con le parole iniziali, oppure con quelle che descrivono il contenuto: ● Genesi = Bᵉre’shìt = “in principio” ● Esodo = Shᵉmòt = “numeri” . in allusione alla lista delle persone che con Giacobbe migrarono in Egitto. ● Levitico = Wayyiqrà = “egli [Il Signore] chiamò”. Ricorda l’atto di convocazione di Mosè, da parte di Yhwh. ● Numeri = Bᵉmidbàr = “nel deserto”. Il libro si svolge nel deserto. ● Deuteronomio = Dᵉbarim = “parole”. In relazione ai 4 discorsi di Mosè al popolo durante il suo ultimo giorno di vita. La sequenza e la concatenazione canonica dei cinqui libri Generalmente si può dire che il Pentateuco voglia mostrare come sia avvenuta la costituzione del Popolo d’Israele: (tra un libro e l’altro ci sono delle “saldature” narrative per collegare). ● Si parte in Genesi: da Adamo a Noè e i tre figli. Da Sem al discendente Abramo, capostipite di Israele. Poi al figlio Isacco che genera Giacobbe. Linea generazionale: Adamo > Noè > Sem > Abramo > Isacco > Giacobbe Genesi mostra come essi diventano i patriarchi. Il resto dei libri da Esodo a Deuteronomio si dedica invece a presentare la formazione del popolo di Israele in continuità coi patriarchi. > Il popolo quindi non nasce dal nulla ma da una lunga storia risalendo fino ad Adamo e all’atto creatore di Dio. ● L'inizio del libro di Esodo, rispetto a Genesi, segna il principio di una nuova narrazione. Il nome “Israele” non verrà più utilizzato per indicare il nuovo nome di Giacobbe dato da Dio ma verrà utilizzato per indicare il popolo intero scaturito dai suoi figli. Così come l’espressione “Figli di Israele”. Esodo mostra la costituzione e la liberazione del popolo di Israele dall’Egitto e inoltre si occupa di definire quale dio esso dovrà servire tra tre pretendenti: Yhwh, faraone, Vitello d’oro. Yhwh si mostrerà come unico e vero Dio in grado di liberare il popolo e sostenerlo nel deserto. La fine di Esodo si collega tematicamente all’inzio del Levitico come la presenza della “tenda del convegno” che assumerà il ruolo di luogo di manifestazione di Yhwh come santuario mobile. ● Levitico: I problemi ora sono legati alla convivenza del popolo con Dio che ha iniziato ad abitare in mezzo a loro. Succede ad Esodo ed è il libro centrale della Torah, e si costituisce come un’ampia raccolta di norme e statuti che vogliono regolamentare e disciplinare a livello etico e cultuale la vita del popolo in relazione a Yhwh. ● Con il libro dei Numeri il popolo lascia alcuni episodi concreti del cammino alla presenza di Dio. Descrive alcune tappe importanti nel deserto verso la terra promessa e gli inizi della conquista della terra. Si può descrivere come una campagna militare nel deserto verso la conquista della terra promessa. ● Deuteronomio si colloca in posizione a sé stante. Non sono più discorsi di Dio verso Mosè, ma sono i discorsi dello stesso Mosè rivolti al suo popolo che riguardano parole ricevute da Yhwh. La Legge non è proclamata ma interpretata dallo stesso Mosè. Contestualizzato interamente nell’ultimo giorno di vita di Mosè è una pausa riflessiva tra l’occupazione e l’inizio della conquista della terra. 2 1.4. L’armonia infranta (4,1 - 6,4) I cc. 4-5 raccontano l’incremento della razza umana. Nel c.4 Da Adamo ed Eva nascono Abele e Caino e poi Set. Da Caino e Set nascono altre discendenze. Nel c.5 c’è l’elenco dei patriarchi prediluviani da Adamo a Noè, tra i quali Enoc e Matusalemme (più longevo 969 anni). Il c.4 narra il primo omicidio della storia umana: Caino uccide Abele per invidia e irritazione. Al crimine segue il futuro ramingo dell’omicida e il tentativo di Dio di mettere fine alla logica della vendetta. Con Lamec vediamo che però l’istinto omicida ha una grande diffusione nell’umanità (vedi appunti lezione). Al c.6 vi è il misterioso episodio dell’unione dei Figli di Dio con le figlie degli uomini e la nascita dei giganti e degli eroi antichi che condurrà la limitazione della vita umana a 120 anni da parte di Dio. Ulteriore episodio che evidenzia nuovamente la distanza ormai assunta dalla creazione rispetto al disegno iniziale del Creatore, e pone le premesse per il diluvio imminente. 1.5. Il diluvio (6,5 - 9,17) Viene meno l’armonia del creato presentata al c.1. Diluvio presentato come evento cosmico che travolge la terra asciutta annientando tutti i viventi. La causa della distruzione dell’umanità da parte divina è la violenza che regna tra gli uomini che ha alterato il creato realizzato da Dio. Siccome la violenza è universale anche la distruzione sarà universale. Il diluvio rappresenta il ritorno delle acque alla situazione precedente la creazione. Così è possibile “ripartire da capo”. Noè rappresenta la continuità tra i due momenti di creazione, scelto per la sua integrità e fede. A partire da lui il nuovo inzio può avvenire nella speranza di un’umanità diversa e migliore della precedente. Tuttavia si capisce che nonostante la nuova creazione vi è una violenza inevitabile anche post-diluvio. Dio accetta la presenza della violenza e viene canalizzata nella possibilità di cibarsi di carne e si insiste nell'escludere nei rapporti tra uomini. Al termine del racconto Dio stabilisce un’alleanza con Noè (accompagnata dal segno dell’arcobaleno e simile all’alleanza con Abramo al cap.17), la sua discendenza e tutti i viventi, impegnandosi a non annientare più l’universo (prima volta in cui si parla di alleanza = bᵉrìt). 1.6. Dai figli di Noè alla famiglia dei popoli (9,20 - 10,32) Dai figli di Noè (Sem, Cam e Iafet) prende il via il ripopolamento della terra dopo il diluvio. L’episodio della prima ubriacatura squalifica Cam, capostipite dei Cananei: il figlio è maledetto e destinato ad essere servo dei suoi fratelli. La “tavola dei popoli” presenta l’intera umanità post-diluvio come una sola grande famiglia di popolo, discesa dai figli di Noè. Posizione preminente dei discendenti di Sem. 1.7. La città e la torre di Babele (11, 1-9) Il cap 10 offre un quadro irenico della pluralità delle nazioni. L’episodio in cap 11 pone alla base del fenomeno un passaggio travagliato. La dispersione dell’umanità sulla terra e la differenziazione linguistica sono provvedimenti adottati da Dio per impedire che l’umanità finisca assoggettata a forme di imperialismo e di omologazione culturale. 5 Poi in gn 11,10-26 vi è la genealogia dei patriarchi post-diluviani, che dal primogenito Noè conduce fino a Terach e alla generazione di Abram e i suoi fratelli. 1.8. La storia delle origini: bilancio In Gn 1 -11 vi è un intreccio di due prospettive: ● la tendenza dell’umanità a distruggere ciò che Dio ha creato ● l’abilità divina nel vincere le tendenze distruttive dell’umanità Lo sviluppo dei capitoli può essere sintetizzato nelle categorie di “creazione”, “de-creazione” (diluvio), “ri-creazione” (creazione rinnovata). 2. LE STORIE PATRIARCALI (Gn 11,27 - 50,26) I racconti patriarcali narrano le vicende di quattro generazioni del clan familiare da cui il popolo di Dio prende origine: ● Abramo (11,27 - 25,18) ● Giacobbe (25,19 - 37,1) ● Giuseppe (37,2 - 50,26) Questi sono i tre personaggi che ricevono maggior attenzione. Ma la tradizione Biblica si riferisce alla triade patriarcale con Abramo, Isacco e Giacobbe. Quest perchè tra i primi tre patriarchi la benedizione divina passa individualmente: da Abramo ad Isacco (non a Lot o Ismaele), da Isacco a Giacobbe (non a Esaù). Con la generazione successiva invece la benedizione viene trasmessa coinvolgendo l’intero clan di Giacobbe (a tutti i 12 figli capostipiti 12 tribù Israele). L’origine di Israele è collocata in terra di Canaan mediante una precisa articolazione parentale. Israele è la discendenza di Abramo, Isacco e Giacobbe. Non sono Israele i discendenti di Lot (Ammoniti e Moabiti), di Ismaele (Ismaeliti) e di Esaù (Edomiti). Alle storie patriarcali interessa evidenziare inoltre che la terra promessa ad Israele è precisamente la terra di Canaan. 2.1. IL CICLO DI ABRAMO (GN 11,27 - 25,18) La trama non è evidente. Brevi racconti conclusi in sé stessi. Patriarca è il protagonista principale. Episodi eterogenei per stile narrativo e rilievo teologico. Legame non evidente tra i vari episodi. Abramo risulta come figura passiva incapace di di iniziativa autonoma, obbediente a Dio e al fluire degli eventi. Abramo è l’anziano autorevole, onorato e venerato. Esemplare nei confronti di Dio. Caratteristiche che ne fanno il valido capostipite del futuro Israele. L’obbedienza di Abramo risulta il solido fondamento, ormai acquisito, del futuro Israele. I suoi meriti saranno garanzia per le generazioni future. 6 La vicenda di Abramo è quella di un nomade, nasce in Mesopotamia ma poi vaga soprattutto nella terra di Canaan, ma anche in Egitto e paese dei FIlistei. Nasce da Terach. 10 capitolo su 14 narrano eventi tra i suoi 75 (partenza viaggio) e 100 anni (nascita Isacco) e pongono l’attenzione sull’attesa della discendenza del patriarca, che rappresenta il maggior interesse della trama. 2.1.1. Gli inizi della vicenda, tra promesse e ostacoli (11,27 - 12,9) Abram esce da Ur dei Caldei verso Canaan per scelta di suo padre Terach, che sceglie di migrare. Vi è anche la moglie di Abramo Sarai e il nipote Lot. A Carran Terach muore. ● La vocazione e la promessa della terra: In 12,1-3 subentra la chiamata divina, Dio chiede ad Abram di lasciare il clan paterno per dirigersi verso una terra da Lui indicata. Abram così rilegge la migrazione ne fa un itinerario dettato dalla fede. La prima azione di Abram è l’obbedienza a una richiesta divina e si dirige da Carran fino alla terra promessa Canaan. ● Promessa della discendenza: La questione decisiva del ciclo di Abramo è il tema della discendenza, la promessa della discendenza. Come è possibile credere alla promessa della discendenza vista la sterilità di Sarai? 2.1.2. La moglie-sorella e le ambivalenze dei patriarchi (12,10-20; 20; 26, 1.6-11) (Poco importante - vedi testo) 2.1.3. La prima separazione (13), le prime vittorie (14) La convivenza tra le carovane di Abram e Lot si fa impossibile. Liti tra mandriani sono sintomatiche di un potenziale conflitto. Si separano in modo consensuale e Lot si stabilisce nella valle del Giordano, mentre Abram in Ebron in terra di Canaan. Lot perde così un possibile ruolo nella discendenza di Abram, questo indica che non è lui l’erede atteso. Dopo la separazione Dio si manifesta nuovamente ad Abram rinnovando le promesse. il c14 racconta vittorie militari di Abram. E l’incontro con Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo (elohim). 2.1.4. Abramo, l’uomo dell’alleanza (15-17) Abramo cerca ancora il suo discendente, nel mentre vi è il dono dell’alleanza da parte di Dio. il c16 narra l’iniziativa di Sarai che offre al marito la possibilità di concepire un figlio con la schiava egiziana Agar. I conflitti tra le due donne spingeranno Sarai ad esasperare la serva che poi fugge nel deserto (saranno protetti da Dio e Ismaele avrà discendenza). Ismaele non sarà dunque l’erede atteso. Dio ribadisce poi la promessa di un figlio legittimo. il cap 15 rappresente un quadro unico all’interno del ciclo, tratteggia al v.6 Abramo come il primo credente della storia di Israele (prima occorrenza del verbo “credere” nella Bibbia e l’unica in Genesi riferita a Dio). Gn 15 è il primo testo del ciclo che presenta la relazione tra Abram e il Signore in termini di alleanza, che non dipende da una particolare fedeltà del patriarca o della sua discendenza ma unicamente dalla benevolenza divina. 7 2.2.4. L’arricchimento di Giacobbe e la sua fuga (30,25 - 32,1) labano convince Giacobbe, dopo i 7 anni, a continuare a lavorare per lui. La narrazione vuole però esaltare la genialità di Giacobbe nell’arricchirsi. Cosa che lo fa oggetto di molte ostilità. Così mentre Labano è lontano fugge con la carovana di familiari e beni, da Paddan Aram alla volta di Canaan (dopo un altro intervento divino). La protezione divina consente a Giacobbe di evitare conseguenze pesanti dall’inseguimento di Labano. 2.2.5. L’incontro con Esaù (32,2 - 33,17) Inizia la narrazione dell’incontro col fratello Esaù, che dopo 20 anni, si preannuncia ricco di incognite. Esaù arriva con quattrocento uomini e Giacobbe prepara le cose al meglio e manda dei doni ad Esaù. Pronto ad affrontare anche il peggio. L’incontro avviene con piena riconciliazione tra fratelli, Giacobbe può presentare i doni ricevuti da Dio e farne omaggio al fratello. Le strade dei due fratelli poi si dividono senza alcuna spiegazione. Nel mezzo tra i preparativi e l’incontro si narra di un misterioso episodio notturno, eziologia della località di Penuel. Giacobbe lotta fino all’alba con una figura misteriosa che poi riconosce come divina. Giacobbe riceve la benedizione richiesta e vede anche mutare il suo nome in Israele (Ipotesi > yisra’el > radice in saràh > “colui che lotta con Dio”). 2.2.5. Violenze in Sichèm (Gn 33,18 - 34,31) La narrazione del ritorno di Giacobbe in terra di Canaan vede un episodio autonomo e laterale ambientato in Sichem, che ha come protagonisti i figli. Il figlio del principe di Sichem userà violenza contro Dina e di fronte alla richiesta di matrimonio del principe per suo figlio, i figli di Giacobbe pongono come condizione la circoncisione di tutti i maschi sichemiti. Con l’inganno Simeone e Levi daranno poi il via alla strage dei Sichemiti e al saccheggio della città. Giacobbe non è protagonista come nel resto del ciclo e assiste alla vendetta dei figli ordita senza il suo parere. 2.2.6. Episodi conclusivi (Gn 35,1 - 37,1) Torna Betel in due episodi in occasione del ritorno di Giacobbe nella terra. Il primo vede Giacobbe e il suo clan compiere un pellegrinaggio alla località su indicazione di Dio, per ringraziarlo. Il secondo vede un’altra manifestazione divina in Betel e evidenzia gli aspetti rilevanti della vicenda di Giacobbe: egli è significativo perché Israele (nome ricevuto da Dio), perchè beneficiario della benedizione e delle promesse divine già riservate ad Abramo e Isacco, perché legato a Betel dove DIo gli si è manifestato. La seconda parte del cap 35 racconta la morte di Rachele alla nascita di Beniamino e la sua sepoltura in Betlemme, i’incesto di Ruben, l’elenco dei 12 figli di Giacobbe, la morte di Isacco sepolto in Ebron nella tomba di Abramo. Il cap 36 è dedicato ad Esaù, alle sue mogli e figli. Attraverso questo materiale Esaù è identificato con Edom e identificato come padre degli Edomiti. Gn 37,1 pone fine al vagabondare di Giacobbe, segnalando la sua residenza seppur come straniero nella terra dei suoi padri, la terra di Canaan. 10 2.3. LA STORIA DI GIUSEPPE (GN 37,2 - 50,26) Il mondo narrativo della storia di Giuseppe è molto più unificato per quanto riguarda la trama. Nel racconto DIo non interviene mai direttamente, ma sono i personaggi a riconoscere il suo piano negli eventi a posteriori. Le promesse patriarcali non compaiono nel racconto né Giuseppe risulta desideroso di tornare nella terra dei suoi padri. Rispetto alle storie precedenti Giuseppe si integra in una terra straniera, quella egiziana. Sia lui che i fratelli non temono di compromettere la loro identità e la loro fede nella terra dei faraoni. E’ una storia molto articolata, con attenzione maggiore ai sentimenti e alla psicologia dei personaggi, alla dimensione politica e sapienziale. Narrazione molto originale in Genesi. 2.3.1. La storia di Giuseppe (37,2 - 45,15 ): articolazione della trama Il racconto narra la storia del conflitto tra Giuseppe e i suoi fratelli, iniziando dal dramma del rifiuto fino alla riconciliazione finale. La parte centrale vede Giuseppe ascendere al potere in Egitto. il Cap 37, l’inzio, narra le origini del conflitto e la vendita di Giuseppe (fratello detestato) a una carovana per l’Egitto. Secondo il cap 39 in Egitto Giuseppe inizia la sua carriera e finisce imprigionato per il sotterfugio della moglie del capo famiglia dove si trovava. I cc 40-41 vedono l’ascesa di Giuseppe al potere, grazie alla sua capacità di interpretare i sogni, la sua sapienza e statura politica di leader. Il faraone lo nomina viceré d’Egitto. La carestia in seguito obbliga i fratello al duplice viaggio fino in Egitto da Canaan alla ricerca di viveri per il clan: entrambe le volte incontrano Giuseppe senza riconoscerlo. Durante il primo viaggio sono accusati di essere spie, e lasciano il fratello Simeone come garanzia e promettono a Giuseppe di portare anche Beniamino. il secondo viaggio vede la discesa di Beniamino in Egitto. Alla ripartenza Giuseppe orchestra un tranello, un furto imputabile a Beniamino. Davanti alla prospettiva di rientrare senza Beniamino e far soffrire il Padre i fratelli, tramite Giuda, palesano i sentimenti che li legano al Padre al fratello minore. Giuseppe cambia atteggiamento e si fa riconoscere, e si arriva alla riconciliazione. 2.3.2. I termini del conflitto (37,2 - 36) Rispetto ai conflitti tra fratelli precedenti in questo caso come oggetto non vi è il beneficio delle promesse e della benedizione divine. I motivi vanno ricercati nel ruolo di “figlio prediletto” di Giacobbe avuto da Rachele, e nei sogni del giovane, sogni che lasciano intravedere un futuro potere di Giuseppe, maggiore rispetto agli altri. Il risentimento dei fratelli si trasforma in progetto omicida. Ruben convince i fratelli a non uccidere Giuseppe ma ad abbandonarlo in un pozzo vuoto nel deserto e poi Giuda propone e vende il fratello alla carovana. 2.3.3. Un’interruzione (38) e un intermezzo (39): episodi particolari Nel cap 38 viene narrata la vicenda di Giuda e del suo clan, totalmente estranea alla storia di Giuseppe. Il Cap 39 narra le prime vicissitudini di Giuseppe in Egitto senza concorrere allo sviluppo della trama; concorre però nel qualificare Giuseppe come capace, benedetto da Dio, giusti e capace di resistere a alla seduzione. 11 2.3.4. L’itinerario di Giuseppe e dei fratelli fino alla riconciliazione La narrazione dei due viaggi in Egitto da parte dei fratelli consente di evincere la trasformazione avvenuta sia nel cuore dei fratelli che in quello di Giuseppe. Il primo viaggio fa affiorare nei fratelli il senso di colpa per quanto era successo con Giuseppe. Nel secondo viaggio c’è la possibilità di perdere Beniamino, e Giuda nel suo discorso spiega la situazione a Giuseppe. Sono preoccupati di far soffrire ancora il Padre. Durante il primo viaggio Giuseppe ha l’occasione di conoscere il rimorso che alberga nei fratelli per quanto avevano fatto a lui. Nel secondo viaggio, mediante il sotterfugio, ricrea le condizioni di un tempo. Beniamino nuovo figlio prediletto è isolato rispetto ai fratelli. Che hanno la possibilità di sbarazzarsene senza alcuna responsabilità. Le parole di Giuda però testimoniano il cambiamento avvenuto in loro, la predilezione paterna per Beniamino è accettata e salvaguardata. Giuda espone la sua vita per salvare il fratello minore. Sembra che anche Giuseppe, nella narrazione, abbia vissuto una trasformazione, passando dalla diffidenza, dal rancore e forse dal desiderio di vendetta. Anche lui ha la possibilità di tornare ad essere figlio e fratello. La riconciliazione così può avvenire, Giuseppe manifesta la sua identità, rilegge la storia in termini di fede e dice di voler rivedere il padre e riabbraccia nel pianto i fratelli. (Vedi appunti lezione) 2.3.5. La conclusione della storia di Giacobbe e di Giuseppe (45,16 - 50,26) Gli ultimi capitoli di Genesi concludono le storie di Giacobbe e Giuseppe e rendono palese la loro funzione di transizione dalle vicende patriarcali alle successive vicende dell’esodo. Si racconta la discesa del clan israelitico in terra d’Egitto. L’anziano Giacobbe accetta di scendere in Egitto per rivedere il figlio perduto, con tutto il clan (discesa legittimata anche da un oracolo divino, Dio preannuncia la more di Giacobbe in Egitto ma garantisce accompagnamento e futuro rientro alla terra). L’incontro tra Giuseppe e il padre non è molto enfatizzato nella narrazione. Gli ultimi episodi sono dedicati alla morte di Giacobbe e poi a quella di Giuseppe. Prima di morire Giacobbe accoglie i figli di Giuseppe come figli suoi e li benedice privilegiando Efraim rispetto a Manasse. Benedizioni anche ai 12 figli. Dopo la morte e il funerale una carovana porta le spoglie alla sepoltura dei patriarchi. Dopo la morte di Giuseppe i fratelli si chiedono se la riconciliazione con Giuseppe era stata piena o solo fondata sul desiderio di rivedere il padre, e mettono così ancora alla prova Giuseppe.Egli conferma il carattere pieno e definitivo della riconciliazione. La morte di Giuseppe è preceduta dalla memoria della promessa divina circa il ritorno del popolo nella terra dei padri. ESODO exodus, uscita; SHEMOT (“nomi”) Si rivela l’immagine del Dio LIBERATORE ● Nella storia entra il Popolo di Israele in quanto tale. Dal tempo della schiavitù in Egitto fino alla sosta al Monte Sinai dove il Signore prende possesso del santuario e viene ad abitare in mezzo al popolo. ● Racconta la storia di Mosè: nascita, investitura, funzione di mediatore tra Dio e popolo. 12 L’ALLEANZA AL SINAI (ES 19,1 - 24,11) Dopo tre mesi dall’uscita dall’Egitto arrivo presso il monte Sinai: da qui ripartiranno dopo un anno per la terra promessa. ○ Narrazioni esigue. Molti materiali legislativi e cultuali. ○ Es 19-24 Stipulazione alleanza tra Dio e Israele. Evento che configura l’identità di Dio: non si può dissociare dalla vicenda dell’Esodo (“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile”). Le identità del popolo e di Yhwh sono indissolubilmente legate tra loro. Evidenziato da varie manifestazioni di Dio, celebrazioni alleanza e contenuti proposti all’obbedienza di Israele. ○ Diverse modalità di manifestazione: inaccessibilità – temporale, eruzioni e terremoto – teofania riservata. ○ Necessità di impostare la giusta prossimità con Dio per salvaguardarne alterità e trascendenza. Necessità di trovare segni rituali idonei per esprimere quanto sancito dall’alleanza. Israele deve imparare a “stare al suo posto” dinanzi a Dio e ricorrere a mediazioni (come Mosè). ○ Stipulazione dell’alleanza: Decalogo + leggi del codice dell’alleanza + promesse e indicazioni per il cammino verso Canaan. ○ Elementi significativi: divieto di ridurre in schiavitù – rigetto della magia - salvaguardia dell’orfano e vedova e del forestiero – osservanza sabbatica – uguaglianza – giusta compensazione dei crimini e dei danni commessi. Codice attento a salvaguardare l’uguaglianza di tutti gli Israeliti. ○ Le battute finali delle parole di Dio rivolte a Mosè riguardano le prospettive future di Israele alla luce dell’alleanza. LA ROTTURA E IL RISTABILIMENTO DELL'ALLEANZA (ES 32 - 34) L’episodio del “vitello d’oro” rappresenta il primo tradimento dell’alleanza appena pattuita e conduce al suo rinnovamento. La natura peccatrice di Israele non tarda quindi a manifestarsi. Il popolo non regge l’assenza di Mosè, così realizza un’immagine sacra da adorare, un’immagine di Yhwh. Trasgredisce così uno dei precetti del decalogo. All’inzio la reazione di Dio è vendicativa, poi punitiva. La mediazione di Mosè è decisiva per modificare la reazione. Infine il rinnovamento dell’alleanza delinea definitivamente il volto di Yhwh come misericordioso. ● Il cap 33 evidenzia la particolare e privilegiata relazione di Mosè con Dio che unita alla sua statura riconosciuta da Dio sono motivo di rinnovo dell’alleanza. ● Solenne rinnovamento dell’alleanza. ISTRUZIONI CIRCA LA REALIZZAZIONE DEL SANTUARIO (ES 24,12 - 31,18) E SUA REALIZZAZIONE (ES 35-40) ● La costruzione è storicamente inverosimile. Popolo nomade nel deserto, assenza di materiali. ● Obiettivo: far risalire all’epoca fondante dell’identità del popolo le istruzioni del tempio, del culto e del sacerdozio. E’ Yhwh a chiederne la realizzazione. ● Non si parla di “tempio”, ma di “santuario,””dimora”, “tenda del convegno”. Struttura mobile. ● Indicazioni molto precise da parte di Dio su come costruire. 15 ● Yhwh prende possesso della tenda. La presenza divina diviene parte integrante dell’identità di Israele. Dio dimora stabilmente in mezzo al popolo. LEVITICO > WAYYIQRA’ (Egli chiamò) Il libro del Levitico è incentrato prevalentemente su questioni cultuali ed è costituito quasi interamente da materiale di tipo legislativo. Anche le poche parti narrative affrontano tematiche cultuali. Si preoccupa di organizzare la vita del popolo. Il riconoscimento dell’esodo come fondamento dell’esistenza di Israele porta con sé conseguenze significative per l’identità e la legislazione del popolo: ● Israeliti appartengono Yhwh e sono suoi servitori, in quanto liberatore. ● No schiavitù tra Israeliti in quanto devono a Yhwh la libertà, che va salvaguardata. ● Israele è popolo “santo” quindi l’esistenza deve essere “santa” > normative cultuali + leggi puro e impuro. ● La terra promessa è di Yhwh, Israele non potrà accampare diritti di proprietà assoluta. Riceve il suo nome dai leviti, che esercitavano le funzioni sacerdotali in Israele. Contiene una raccolta di leggi conosciute come la “Torah dei sacerdoti”: presenta leggi e norme che si riferiscono ai riti e ai sacrifici con i quali il popolo celebrava, fortificava e alimentava la sua fede. È ricavato dalla tradizione sacerdotale e indica Mosè come autore delle leggi, secondo l’uso di indicare un personaggio importante per dare valore e autorità a uno scritto. Il Levitico proclama che il popolo di Israele è stato eletto per “essere santo” e perfetto come il Padre (codice di santità: lasciare che la Torah plasmi la vita), e vuole esaltarne l’identità con la Legge e il tempio; l’uomo perfetto è la persona integra, che riesce a mediare tra luce e tenebre del proprio cuore, assumendosi le proprie responsabilità. 5 parti: 1. Sacrifici: olocausto – oblazione – s. di comunione – s. espiatorio – s. di riparazione 2. Consacrazione dei sacerdoti e inaugurazione del culto 3. Regole su puro e impuro 4. Legge di santità: salvaguardare la santità di Israele sia in termini morali che cultuali. 5. Appendice: tariffe e valutazioni di oggetti o persone consacrate a YHWH NUMERI > BEMIDBAR (“nel deserto”) Si chiama così perché comincia con un censimento delle tribù del Sinai. Descrive la successione continua di peccato-castigo-conversione-grazia che il popolo di Dio ha vissuto. Fu scritto dagli esiliati di Babilonia per consolidare la fede, con il ricordo del cammino/pellegrinaggio verso la terra 16 promessa. È un cammino che sembra una processione liturgica, preceduta dall’arca con le tavole dell’alleanza, ed è un ripetuto accamparsi attorno alla tenda del convegno, per rendere culto a Dio. Si tratta di una raccolta indifferenziata di dati eterogenei intorno a un esile filo narrativo: il popolo, dall’accampamento presso il SINAI (ultima parte della sezione sinaitica) raggiunge, dopo una lunga peregrinazione nel deserto della durata di poco meno di quarant’anni, le steppe di MOAB, nell’imminenza della conquista della terra promessa. La durata dell’itinerario dal Sinai alle steppe di Moab è giustificata dall’esigenza di una completa transizione generazionale tra chi era uscito dall’Egitto (tutti destinati a morire nel deserto) e la loro discendenza (destinata a prendere possesso della terra promessa). Numeri è un libro di transizione. Questo libro è definito “Giano bifronte”: da una parte guarda ai libri che lo precedono (Es e Lv – che riprende o sviluppa), dall’altra a quello che lo segue (Dt – che anticipa). LA STRUTTURAZIONE Dopo aver accolto la presenza di Dio nel santuario (Es 40), giunge per Israele il momento della partenza dal SInai verso la terra promessa: per il popolo si tratta di imparare a camminare con YHWH > centro tematico di Numeri. > Il cammino sarà una campagna cultuale e militare. ● 1,1 - 10,10: Preparazione della campagna militare ● 10,11 - 36,13: Esecuzione della campagna: ○ 10,11 - 21,20: la marcia nel deserto ○ 21,12 - 36,13: l’inizio della conquista La preparazione della campagna militare (Nm 1,1 - 10,10) ● Cap 1,1-46 > Censimento del popolo da parte di Mosè, Aronne e 12 capi tribù. Censimento tribù > In Israele 606.550 uomini (Esclusa la tribù di Levi a cui era affidata la cura della dimora). > Marcia imponente. ● Cap 2 > indicazioni disposizioni tribù date dal Signore. ● Cap 3 > attenzione sui Leviti. Sacerdozio > Aronnidi | Cura dimora > Leviti ● Cap 5 > normative sulla purità dell’accampamento ● Gli altri capitoli sono dedicati ancora a prescrizione e alla categoria dei Leviti. ● Cap 9 Celebrazione della prima Pasqua dopo l’Esodo + indicazioni e regolamentazioni sull’itinerario sulle successive tappe nel deserto in vista della partenza. La marcia nel deserto (Nm 10,11 - 21,20) ● Cap 11: solenne momento della partenza dal deserto del Sinai. L’accampamento parte alla volta del deserto di Paran. ○ Primi tre giorni di marcia. ○ Subito dopo la partenza riprendono episodi di mormorazione che avranno tutti esito tragico (a differenza di Esodo). Esempio lamento in Taberà provoca ira divina che con fuoco divora parte accampamento. Tensione tra Israele e Yhwh 17 ● presentazione sintetica dei 40 anni di Israele nel deserto (in retrospettiva storica) ● prima esortazione a Israele circa gli atteggiamenti da assumere nella fedeltà all’alleanza. Prima parte in cui sono presentati per la prima volta i temi teologici fondamentali di Deuteronomio: 1. La fede in un solo Dio 2. la proibizione di qualsiasi forma di idolatria 3. Conseguenze derivanti da accettazione o negazione di tali precetti. Il secondo discorso di Mosè (1,1 - 4,43) (“trattato di vassallaggio”) Rappresenta il cuore di Deuteronomio e articolato attorno al codice deuteronomico e la struttura rispecchia il modello degli antichi “trattati di vassallaggio”, con parti storico-programmatiche, ingiunzioni normative + benedizioni e maledizioni. > Introduzione generale + tre sezioni. ● INTRODUZIONE ○ 4,44-49 Funge da titolo e da transizione dal discorso precedente. Definisce i contenuti successivi come “legge” e “istruzioni, leggi e norme”. ● SEZIONE 1 (5-11): Osservare i comandamenti in una logica di alleanza: ○ Il decalogo e la mediazione mosaica. Parti narrative, esortative e storiche: enunciazione Decalogo (quasi uguale a Es) + legittimazione mediazione mosaica. Cambia la motivazione sull’osservanza del sabato = custodire la libertà ricevuta dono nell’esodo. ○ Cap 6 - 9,6 Unicità di Yhwh, consacrazione Israele (+ spiegazione elezione) e dono della terra. (Dt 6,4-9 > “Ascolta, Israele”). ○ Cap 9,7 - 10,11 L’indole peccatrice di Israele. Mosè ricorda gli avvenimenti passati dicendo che le trasgressioni future sono certe. ○ Cap 10,12 - 11,32 L’amore richiesto a Israele. > Esortazione di Mosè all’osservanza e ad amare Dio. Amore e osservanza come condizioni necessarie per beneficiare della terra promessa. Conclusione della prima sezione del discorso. ● SEZIONE 2 (12 - 26): Il codice deuteronomico ○ Terza grande raccolta normativa del Pentateuco dopo il codice dell’alleanza e la legeg di santità: il codice deuteronomico. ○ Cap 12-14 Unità, fedeltà e purità di culto. Accentramento del culto in unico luogo. ○ Cap 14-15 Obblighi sociali e religiosi. norme che regolano il legame tra culto e vita del popolo. Divieto di schiavitù, attenzione al povero/orfano/vedova. ○ Cap 16-18 Le feste e le autorità. Norme sulle festività e sulle figure istituzionali (giudici, re, sacerdoti e profeti > suddivisione autorità mosaica). ○ Cap 19-25 Leggi varie: diritti fondamentali persona (matrimonio, proprietà, verità nei giudizi, vita, pena capitale, guerra, giustizia sociale). ○ Cap 26,1-16 L’offerta delle primizie e delle decime. ● SEZIONE 3 (26,16 - 28,68): La conclusione dell’alleanza ○ Ricalca i formulari di alleanza tipi dell’area mesopotamica. ○ Yhwh si impegna ad essere Dio di Israele ed elevarlo sopra ogni altra nazione. 20 ○ Israele si impegna ad obbedire a tutti i comandi di Dio, seguire le sue via e ascoltare la sua voce. ○ Pagina conclusiva: configura maledizioni e benedizioni divine in base all’osservanza dei comandamenti. Il terzo discorso di Mosè (28,69 - 32,52) Due parti: 1. Cap 29-30 Tema dell’alleanza 2. Cap 31-32 Ultime disposizioni in vista della morte imminente di Mosè Mosè non può entrare nella terra promessa ma è invitato a salire sul monte Nebo per contemplarla e concludere i suoi giorni. Benedizioni finali e morte di Mosè (33-34) Le ultime parole di Mosè sono benedizioni (oracoli e auspici) in forma poetica. Come Isacco e Giacobbe avevano benedetto il figlio prima di morire, così Mosè benedice le singole tribù di Israele. Le parole di Mosè dell’ultimo giorno si concludono con prospettive positive e celebrano il popolo eletto di Yhwh. Dt 34 porta a conclusione anche tutto il Pentateuco, con la morte di Mosè si conclude l’esistenza della figura fondamentale della storia di Israele, destinato a morire fuori dalla terra promessa a 120 anni. La scena è portata a compimento dalla sepoltura, lutto e successione da parte di Giosuè. Conclude con un bilancio della figura di Mosè, figura che nessuno avrebbe più eguagliato in Israele. 21 III. LA COMPOSIZIONE DEL PENTATEUCO Nella Mishnah si afferma che “Mosé ricevette la Torah al Sinai. Egli la comunicò a Giosué; Giosué agli anziani, gli anziani ai profeti e i profeti agli uomini della Grande Assemblea”; Per i maestri d’Israele era essenziale la sicurezza che la Torah fosse giunta intatta fino a loro dalla mano ispirata di Mosé. Possiamo dire che questa affermazione appartiene al genere letterario delle confessioni di fede. Altra cosa è cercare di capire come ciò fosse avvenuto, il che fa parte della riflessione critica. INIZIO DELLA CRITICA ● Già il Talmud babilonese di fronte al racconto della morte di Mosé (Dt 34, 5-12) concludeva che esso fosse scritto da Giosué, sottraendo quindi un lembo alla totale attribuzione del Pentateuco alla penna di Mosé. ● Nel medioevo il rabbino ispanico Ibn Ezra (XI secolo) considerò che logicamente alcune parti del Pentateuco non potevano risalire a Mosé, come Gn 12,61. ● Spinoza e Hobbes nel XVII secolo sottrassero l’intero Pentateuco agli scritti di Mosé. Queste posizioni furono aspramente censurate dalle autorità religiose (Spinoza fu scomunicato dalla comunità ebraica). La Chiesa cattolica si oppose a queste teorie fino ancora al 1906. Tuttavia in ambito accademico lo studio critico prese sempre più piede a partire dal XVII secolo, accompagnato dallo studio in lingua originale dei testi e poi dagli studi su testi accadici ed egizi. Si evidenziò che le incongruenze dei testi sono numerose: Noé imbarca due coppie di animali e poi ne deve prelevare sette; Giuseppe rapito dai Madianiti o dagli Ismaeliti? Racconti “doppione” (creazione, decaloghi, vocazione di Mosé, di Abramo ecc.) Come spiegare le incongruenze: l’ipotesi di “fonti” letterarie” ● WITTER (1683-1715) osserva che in Gn 1-3 Mosé nomina Dio chiamandolo prima ‘elohim (Gn 1,1-2,3) e poi Yhwh ‘elohim (Gn 2,4-3,24) e ipotizza che Mosé abbia usato due fonti (che chiama in tedesco QUELLE); ● Dopo la morte di WITTER (a 32 anni) ASTRUC (1684-1766) prosegue l’analisi del testo fino a Es 2 e ipotizza varie “mémoires” (memorie) di cui Mosé si sarebbe servito. ● EICHHORN (1752-1825) prosegue tali ricerche ma contrariamente ai primi due ritiene che non fosse Mosé il redattore che ha raccolto tali varie fonti/memorie. 1 “Nel paese si trovavano allora i Cananei”. Per Ibn Ezra quell’allora implica che i Cananei fossero definitivamente spariti da Canaan, il che non era ai tempi di Mosé. 22 Sinai, aggiunto Abramo e Isacco (il credo storico riguardava solo Giacobbe) nonché la storia di Giuseppe. L’autore Javista sarebbe vissuto al tempo della monarchia unita, quando cioè Israele pareva poter realizzare la promessa di benedizione per tutte le nazioni contenuto nel cd kerygma Jahwista di Gn 12, 1-3. Noth e la storia della trasmissione Noth (1902-1968)- cercando come ALT e Von RAD quale potesse essere l’antico nucleo fondante della Torah – si accorge studiando il libro di Giosué che non contiene materiale proveniente dalle fonti J E e P. Studia allora il libro che precede, il Deuteronomio, e formula l’ipotesi che sia legato ai libri che seguono, come un prologo ai libri da Giosué a 2Re, che definisce “opera storica deuteronomistica”. Contrariamente a Wellhausen e Von Rad,che avevano aggiunto Giosué al Pentateuco, toglie il libro del Deuteronomio: i quattro che restano li considera il nucleo originale (tetrateuco). Questo nucleo conterrebbe cinque tematiche indipendenti, lungamente rielaborate e ritrasmesse3: parla di una “storia della trasmissione – Überlieferungsgeschichte). Tali tematiche antiche secondo lui non danno alcun peso a Mosé come guida (Führer) – qui tradirebbe una sua posizione politica contraria appunto al Führer nazista dei suoi tempi. Solo più tardi Mosé viene valorizzato dall’autore deuteronomista. Il nucleo antico, limitato ai primi quattro libri, conferiva tuttavia a Israele il carattere uno e unico (quindi a prescindere dalla conquista della terra): Noth parlava di una alleanza tra tribù, che con termine greco chiama anfizionia. Prima della monarchia Israele sarebbe quindi già stata unita dalla fede e da un esercito, riunendosi in santuari che erano anche il luogo di prima elaborazione orale delle cinque grandi tematiche originarie. Contrariamente all’idea introdotta da de Wette, poi, rivaluta i racconti e non solo i materiali legislativi e giuridici: conferisce importanza al racconto sacerdotale “P”, che sarebbe più antico del materiale legislativo in esso contenuto. Rendtorff: un nuovo punto di partenza RENDTORFF (1925- 2014) scopre una contraddizione incolmabile nell’uso simultaneo di due metodologie esegetiche: quella della storia delle forme e quella dell’ipotesi documentaria. Infatti, appare contraddittorio supporre da un lato cicli narrativi formati da piccole unità letterarie e al contempo supporre fonti complete, conseguenti e parallele, come presupposto dalla ipotesi documentaria. Non sarebbe immaginabile un redattore che pianifichi un racconto e poi si limiti a raccogliere storie precedenti, lasciando anche alcune incoerenze. Ad esempio la promessa della terra fatta ai patriarchi in Genesi scompare quasi del tutto nell’Esodo, in particolare quando Dio appare a Mosé nel roveto ardente non gli promette affatto di condurre Israele in Canaan, ma più vagamente in una terra in cui scorre latte e miele (Es 3,8.17). Rigetta l’idea di fonti che attraversano l’intero Pentateuco e riprendendo Noth postula sei (invece che 5) unità narrative maggiori ma non orali, bensì scritte: la storia delle origini, le storie dei patriarchi, l’uscita dall’Egitto, la marcia nel deserto, la pericope del Sinai e la conquista della terra (aggiunge quindi la storia delle origini). Per lui quindi, contrariamente a Von RAD non è esistito alcun Jahwista di epoca monarchica. Individuò invece nel Pentateuco due redazioni: una di natura deuteronomistica e una di natura sacerdotale, entrambe di epoca esilica o post-esilica. 3 Le cinque tematiche sono: uscita dall’Egitto, soggiorno nel deserto, ingresso nella terra, promesse ai patriarchi, teofania del Sinai. 25 Verso una nuova sensibilità esegetica RENDTORFF mette in crisi il modello documentario e dell’antichità delle fonti J ed E, nonché le teorie di ALT di risalire ai primordi di Israele nomade, di NOTH di ricostruire il periodo premonarchico (anfizionie) e di VAN RAD circa l’antichità dei credo storici. Dagli anni settanta si è entrati in una incertezza che perdura. Dagli anni 70 il baricentro circa la formazione di gran parte del Pentateuco e la sua reazione finale si è spostato sulle epoche esiliche e post esiliche. L’esegesi in ambito francofono e americano si è inoltre spostata sullo studio della forma finale del testo biblico, ossia la loro forma canonica e finale ‘Canonical Criticism’. Quindi l’interesse andò sulle tecniche narrative. Ma questo aiuta anche lo studio del testo, dato che esaminando da vicino forma e struttura si colgono disomogeneità e strati redazionali. SPIEGAZIONI RECENTI SULL’ORIGINE DEL PENTATEUCO La crisi dell’approccio documentario portò soprattutto a ripensare la fonte J, considerata quella risalente alla corte di Salomone, mentre rivalutata è la fonte P. Tuttavia, ora per fonte non si intende più documenti completi, indipendenti e paralleli, bensì tradizioni e redazioni basate su frammenti e complementi. La fonte D (deuteronomista) conserva valore, mentre scomparirà la fonte E (elohista) dai modelli esegetici. Jahwista: apertura di nuove frontiere Possiamo individuare tre posizioni di massima: ● Rendtorff e la scuola di Heidelberg che rifiutano J come fonte letteraria; ● Alcuni autori tra cui Schmid, Rose e Van Seters che ritengono J posteriore al deuteronomio e alla storia deuteronomista ma precedente a P. Questi autori appartengono alla cosiddetta “critica letteraria” che congettura un tardivo scritto jahwista; ● Un terzo gruppo di autori tra cui Weimar e Zenger che ridimensionano notevolmente J. Schmid dimostrò che quanto attribuito alla fonte J è materiale che per stile lessico e tematiche è collocabile sul finire della monarchia, quindi prossimo all’esilio babilonese e alla fonte D. J non sarebbe inoltre uno scrittore unico, ma una fonte risultante da processi redazionali multipli (diversamente da quanto credeva tra gli altri von Rad). ROSE, allievo di Schmid, dimostrò addirittura che i testi Jahwisti presupponevano quelli della storia deuteronomistica. Quindi J è posteriore a D. Scopo di J sarebbe stato di dare fiducia al popolo - in esilio dopo il disastro del 587 aC - scrivendo un primo tetrateuco da mettere come preludio al Deuteronomio e alla storia deuteronomistica (‘vedete che anche i nostri padri sono stati in esilio nel deserto e ci son rimasti 40 anni’… NDR). 26 Van SETERS Secondo questo autore J sarebbe stato uno storico (sul tipo di Erodoto) che scrisse durante l’esilio. Diversamente da Rose, ritiene però che l’autore si sia servito di un nucleo iniziale che lui ha integrato (teoria dei complementi della scuola di Heidelberg). La teoria assomiglia a quella formulata da von RAD, ma l’autore avrebbe scritto quattro o cinque secoli dopo. WEIMAR e ZENGER Lo Jahwista secondo questi autori è da ridimensionare. Rivalutano la teoria documentale da collocare in età salomonica, ma riducono a uno stretto nucleo il materiale attribuibile a tale fonte: alcune pericopi tra Genesi e Numeri. ZENGER ha da ultimo proposto la seguente sequenza: ● una opera storica gerosolomitana composta da circoli sacerdotali e profetici attorno al 700 aC (cioè dopo la caduta del Regno del Nord); ● una opera storica esilica durante l’esilio; ● il racconto sacerdotale (P) scritto verso il 520 aC ● integrazione esiliche e post esiliche al deuteronomio. ● Conclusioni sullo Jahwista Dopo gli studi di Rendtorff emerge uno jahwista : ● Non autore unico; ● Non individuo; ● Non risalente all’antico Israele, perché tra l’altro sarebbero mancate le basi socio-culturali per farlo (Finkelstein osserva che mancano evidenze archeologiche di racconti lunghi prima dell’ottavo secolo – NdR). Mancano poi richiami e convergenze tra Pentateuco e profeti preesilici, che invece ci sono negli scritti esilici e post esilici. Base del Pentateuco sarebbero quindi cicli di racconti o di singole storie, senza connessioni antiche tra loro. Si pensi alla storia delle origini (GN1-11) e a quella dei patriarchi (Gn 12-50). Vanno quindi recuperate le teorie dei “frammenti” che diventarono racconti completi solo in epoche relativamente recenti della storia di Israele (esilio e post esilio), contrariamente a quanto riteneva von Rad, che collocava l’opera di connessione ai tempi della monarchia unificata. Scomparsa dell’Eloista Questa fonte, che era stata delineata dal ILGEN e poi ridefinita da KUENEN che vi aveva isolato P, non aveva completamente convinto Wellhausen, che parlò di una redazione jehowista, listo di J e E. La sempre minore importanza di J, portò alla pratica scomparsa nella critica esegetica della fonte E. Rinvigorimento del Sacerdotale Questa fonte non è da vedersi tanto come un documento, ma come una redazione che da un lato riutilizza materiali più antichi e dall’altra li sistematizza in base a una ideologia, stile e teologia ben definiti con funzione unifcante. SKA (1946-…) parla di relativa indipendenza del Sacerdotale, che da un lato dialoga con gli scritti che lo hanno preceduto, dall’altro li ristruttura nella sua teologia. 27 Contro questa ipotesi si osservò che il libro di Giosué contiene dei brani che proseguono e concludono la storia del Tetrateuco: per esempio la conclusione della vicenda di Giuseppe, il racconto della traslazione delle cui ossa si trova in Gs 24,32. Parimenti si è osservato un parallelo tra la vita di Giuseppe e Giosué, entrambi morti a 110 anni. Anche la storia della manna si conclude nel libro di Gs 5,12 ed infine la vicenda di Caleb, iniziata in Numeri e conclusa nel libro di Giosué. Alcuni hanno così evocato un antico Esateuco (Wellhausen e Kratz). Altri autori propendono invece per una inclusione tardiva di testi nel libro di Giosué, e in particolare di Gs 24, l’ultimo capitolo del libro in cui si unisce la storia dei patriarchi alla conquista della terra. Prova testuale di questa inclusione tardiva sarebbe Gs 24,26 in cui si dice che “Giosué scrisse queste parole nel libro della legge di Dio” creando così un parallelo con Mosé, autore del Pentateuco, che scrisse “in un libro tutte le parole di questa legge”. Il testo di Gs 24,26 si ritrova poi in Neemia 8,18 “Libro della legge di Dio” quando si celebra per la prima volta dai tempi di Giosué la festa delle capanne. RÖMER ne conclude che quando si parla di “Libro della legge di Dio” si fa riferimento all’Esateuco, mentre con “libro della legge di Mosé” si fa riferimento al Pentateuco. Parlare di Esateuco o di Pentateuco è fondamentale per stabilire se il possesso della Terra sia condizione necessaria e imprescindibile per l’esistenza di Israele. Un autore come OTTO ritiene che in epoca persiana tra il V e l’inizio del IV secolo le due prospettive si siano fronteggiate e solo in epoche molto recenti il libro di Giosué sia stato scorporato dai cinque che precedono dando vita al Pentateuco, che si conclude con la morte di Mosé (sul monte Nebo, in vista della Terra ma fuori di essa). Evidenze intra-bibliche di datazione del Pentateuco Due riferimenti all’esilio sarebbero in Lv 26 “li deportai nella terra dei loro nemici” e in Dt 30, 4-5 “Yhwh Dio tuo ti riporterà nella terra dei tuoi padri”, datando così il testo a un’epoca almeno persiana. Giuntoli aggiunge alcune citazioni dal libro di Neemia5 (che si ritiene di età ellenistica, fine IV secolo, NdR) per concludere che nel IV secolo il Pentateuco doveva essere ritenuto documento autoritativo. Tentativo di sintesi ● Il Pentateuco risale a epoche postesiliche. ● Non si pensa più a epoche remote, né a un unico redattore (vecchia idea di von Rad di uno jahvista alla corte di Salomone). ● Tuttavia sfuggono i complessi processi che hanno portato alla redazione attuale. ● Pare convincente il modello di Weinberg della comunità gravitante attorno al tempio che sulla base dell’autonomia concessa al Tempio stesso struttura i cinque libri della Torah. ● Si osservi però l’eterogeneità di contenuto dei cinque libri: - Es contiene materiale P e Dt; - Gn non contiene materiale Dt; 5 La lettura del libro della “legge di Dio” durante la festa delle Capanne in Ne 8,18 allude a vari passaggi del Pentateuco. La costruzione delle capanne richiama Lv 23, 39-43, e l’atteggiamento di grande gioia richiesto nella celebrazione richiama Dt 16, 11.14. 30 - Lv solo materiale P; - Dt non contiene materiale P; - Nm oltre a materiale P pare contenere tradizioni molto recenti e si differenzia dagli altri libri. ● Contrariamente a quanto ritenuto fino agli anni 50, il Pentateuco molti testi di origine pre-sacerdotale e sono state le redazioni tardive a dargli contenuti e forma; ● Nasce dalla volontà del giudaismo nascente di definire la propria identità politica, religiosa, socio-economica e culturale, ossia le condizioni per dire di appartenere al popolo eletto; ● La varietà di materiale del pentateuco e in particolare dei codici legislativi lo qualificano come un’opera di compromesso; ● Non ci sono quindi un progetto e una finalità unici e individui: per RÖMER la coerenza del Pentateuco risiede nella sua manifesta diversità di contenuti e fini; ● Vi sarebbero rappresentati una pluralità di interessi6, benché la corrente dominannte sia quella sacerdotale. Excursus – Le caratteristiche basilari della letteratura antica secondo J.-L. SKA Giuntoli espone qui i principi basilari che - secondo il professor SKA – sostengono il processo compositivo della letteratura antica. ● Legge della antichità o della precedenza: “più importante è quel che è più antico”. Esemplare è quel che san Paolo afferma in Gal 3, 17-19: la giustificazione per la fede è più importante della giustificazione per legge. La fede infatti precede il dono della legge: Abramo ha creduto prima che a Mosé fossero date le Tavole della Legge. Altro esempio: i santuari. Quello di Betel fu fondato da Giacobbe, mentre quello di Gerusalemme dallo stesso Abramo (il monte Moria del sacrificio di Isacco viene tradizionalmente identificato con la collina del tempio di Salomone). Più importante perché precede, quindi! SKA spiega che il culto di YHWH resiste all’esilio a Babilonia perché precede. D’altra parte il racconto della creazione giustifica la precedenza e quindi la prevalenza di YHWH su tutti gli altri dei. Si spiega dunque che il racconto della creazione preceda quello dei patriarchi. ● Legge della conservazione: è corollario della prima, dato che non si può eliminare quello che precede e quindi è più importante. Questo spiega perché si siano accumulati e giustapposti racconti che per la loro antichità non potevano essere rimossi (es: i tra codici legislativi di Esodo 21-23, Deuteronomio 12-26 e Levitico 17-26, tutti provenienti da YHWH). ● Legge della continuità e attualità: l’AT mostra una chiara volontà di attualizzazione di materiali più antichi. Un esempio è la probabile inserzione postesilica del discorso di YHWH 6 La chiusura del Pentateuco in Dt 34, ossia prima della conquista della terra, che lo oppone a una coeva conflittuale struttura a Esateuco, che comprendeva la conquista della Terra da parte di Giosué; il fatto che nel Deuteronomio sia contenuta una legittimazione del santuario di Garizim (Dt 27, 4-8); una inclusione in genesi della storia di Giuseppe, cha pare legata alla legittimazione di una fazione pro Egitto di cui riferisce Geremia (capitoli 41-44). 31 a Giacobbe durante il suo sogno. Esso in epoca postesilica incoraggia gli israeliti a fare ritorno in patria, proprio come comandato da Dio a Giacobbe. ● Legge dell’economia: scrivere nell’antichità era attività elitaria che presupponeva un ordine sociale in grado di consentire a una parte della popolazione di non partecipare al processo produttivo. Ciò rende improbabile l’esistenza di un individuo scriba scrittore alla corte di Salomone: profeti scrittori emersero in Israele solo nell’VIII secolo (Osea e Amos al Nord e Isaia e Michea al Sud). La pergamena era inoltre costosissima: la superficie veniva interamente coperta di scrittura e conservata fino alla consunzione. Non c’erano dunque grandi possibilità di inserire aggiunte e le occasioni di modificare i testi erano rare. Pare improbabile dunque ipotizzare grandi quantità di strati (però magari lì usavano il papiro e non le pergamene? NdR). Il Pentateuco sarebbe quindi opera di anonimi in quanto nessun testo fa spiccare lo stile di una personalità individuale. Era secondo SKA voce corale di un popolo che nello scritto si riconosceva uno. SKA lo paragona a una carta costituzionale. 32 LA LEGGENDA La leggenda è un genere letterario che tende ad evidenziare o enfatizzare le specifiche caratteristiche di un personaggio, oppure, legittimare e approvare alcuni luoghi o istituzioni specialmente quelli di culto. Es. La legatura di Isacco. L'EZIOLOGIA Questo è un genere letterario molto particolare, esso lo possiamo trovare in narrazioni approntate per dare ragione attraverso un intreccio narrativo non casuale, la narrazione elaborata mette in evidenza lo stato di una realtà e come sia venuta in essere es. sorte della città di Sodoma e di Gomorra, immagine della moglie di Lot, cugino di Abramo, trasformata per punizione in una statua di sale. Dunque, un discorso sulle cause circa le realtà di cui si narra. LA FAVOLA Questo genere letterario mette in scena un mondo di pura fantasia e di irrealtà, i cui personaggi possono essere sia figure umane che del regno vegetale o animale. Le finalità di questo genere possono essere sia di natura didattica sia di natura politica. es.: famoso serpente parlante, episodio legato a Balaam, figlio di Beor . LE LISTE Le liste sono generi letterari che rappresentano una serie di elenchi, di nomi, di oggetti, per i quali la condivisione di comuni caratteristiche consente una loro più o meno univoca catalogazione. Es. liste di itinerario come le peregrinazioni del popolo nel deserto dopo la liberazione dall' Egitto e prima dell'ingresso nella terra di Canaan. Inoltre, liste più comuni come le genealogie che tracciano le discendenze di importanti personaggi delle origini di Israele. LE LEGGI Un genere letterario molto utilizzato all' interno del Pentateuco e quello legislativo. Infatti, il termine toràh significa proprio <<legge>> quindi insegnamento, istruzione. Tre sono le principali raccolte legislative all'interno della Toràh: il codice dell'alleanza (Es 21-23), il codice deuteronomico (Dt12-26) e la legge di santità (Lv17-26). Il diritto israelitico ha delle peculiarità che lo porta a distinguersi dal Vicino Oriente antico, porta in evidenza e coesiste sia il diritto sacro e cultuale, sia quello civile a differenza di altri popoli dove i due tipi di diritto erano ben separati. 35 il sistema legislativo di Israele è detto essere sia casuistico che apodittico. Alla tipologia casuistica appartiene l'enunciazione delle leggi che sono introdotte (protasi)dalla preposizione ipotetica <<se>>-che descrive il caso oggetto della specifica legge -e sono seguite (apodosi) da una struttura grammaticale che ricorre all' uso di verbi alla terza persona con significato spesso impersonale, con la quale si espone la pena per l'infrazione commessa. Quindi, in sintesi, le proposizioni ipotetiche introdotte dalla congiunzione <<se>>(protasi) espongono il caso particolare che la legge viene ad affrontare, mentre il prosieguo della frase (apodosi) riferisce la sanzione specifica da applicarsi a seconda del caso. Il Pentateuco oltre ai generi letterari elencati in precedenza sporadicamente ne utilizza anche altri che enunciano segnalazioni di notizie e resoconti. altro genere letterario rappresentato all' interno del Pentateuco è quello costituito dal discorso di addio, a scene dal letto di morte, espressioni proverbiali, canti, visioni profetiche e oracoli di guerra. La letteratura biblica ha evidenziato rapporti con le tradizioni letterarie dei popoli del Vicino Oriente antico a partire dal XIX sec.; troviamo sia all'interno della "mezzaluna fertile", sia in Asia Minore, Siria, Libano e Palestina, un numero crescente di testi spesso non chiari, ma, hanno illuminato ed arricchito il contesto letterario e sociopolitico -culturale di vari testi della Scrittura. Nel 1799 un soldato dell'esercito napoleonico rinvenne un frammento di pietra chiamata poi "la stele di Rosetta " dal nome della città del delta sul Nilo composto dalla parte alta da scrittura geroglifica e parte bassa in scrittura greca, la stele è attualmente conservata presso il British Museum di Londra e riproduce un decreto emesso nel 196 a. C. a favore del faraone Tolomeo V Epifane in occasione della sua incoronazione. Da allora questi reperti hanno suscitato interesse verso gli studi linguistici degli antichi del Vicino Oriente, hanno fatto in modo che vengano prodotti molti testi che hanno dato vita alla comprensione delle Scritture ebraiche in Israele, tra cui molti linguaggi: l'egiziano, il sumerico, l'accadico, l'hittita, l'hurrita, l'ugaritico, il fenicio, il moabita e l'ammonita. Anche il materiale impiegato per le scritture di questi reperti ha suscitato interesse, si va da un materiale resistente e duraturo come la pietra, poi l'argilla essiccata o cotta, fino ad arrivare alla ceramica, la malta, il pellame, la cera e il papiro. Raramente su avorio e metallo. Oltre al materiale anche i sistemi di scrittura sono stati molteplici come pure i linguaggi. Tutto ciò ha dato vita a generi letterari utilizzati e prodotti, tra cui miti, epiche, testi storiografici, testi legali e commerciali, lettere, inni, preghiere, lamenti e rituali, testi commemorativi, e dedicatori, poesie amorose, e testi sapienziali; occorre però sottolineare che pochi testi sono stati comparati con i generi anticotestamentari cioè i primi cinque libri delle Scritture di Israele. Si rilevano anche contatti e relazioni con le civiltà del Vicino Oriente, tra cui la Mesopotamia, dove nei testi, Abramo viene presentato come uno straniero residente nella terra di Canaan in quanto emigrato dalla Mesopotamia, anche in Egitto si rilevano contatti stando alla testimonianza di Geremia. In sintesi, e per concludere diciamo pure che Israele nella sua storia travagliata e ostile ha da prova di entrare in contatto con diversi mondi politici economici, militari e sociali di altri popoli a lui vicini. 36 LE LETTERATURE DEL VICINO ORIENTE IN GENESI 1-11 E GENESI 12-50 Il paragrafo qui di seguito sembra analizzare i primi undici capitoli del libro della Genesi, sottolineando il loro debito verso le narrazioni cosmogoniche del Vicino Oriente antico, in particolare quelle provenienti dalla Mesopotamia. Si discute come queste influenze siano presenti nelle descrizioni bibliche della creazione e del diluvio, prendendo in considerazione diversi testi antichi come l'Enuma Elish, l'Epopea di Gilgamesh, il Mito di Atramhasis e altri. Si fa notare che la Genesi presenta somiglianze con l'Enuma Elish, un poema mesopotamico che narra dell'ascesa di Marduk come sovrano degli dèi e della creazione del mondo. Tuttavia, a differenza delle cosmogonie mesopotamiche, la Bibbia non offre una storia mitica preesistente alla creazione del mondo. Vengono esaminate alcune similarità tra le narrazioni della creazione, come l'uso di concetti simili come l'uso dell'argilla nell'Enuma Elish e nella Genesi, sottolineando la dignità umana come immagine e somiglianza di Dio. Anche i racconti del diluvio in Genesi (capitoli 6-9) presentano parallelismi con i miti mesopotamici, come l'Epopea di Gilgamesh e il Mito di Atramhasis, condividendo temi come il diluvio causato dall'eccessiva moltiplicazione umana e la costruzione di un'arca per il salvataggio degli esseri viventi. Tuttavia, nonostante queste somiglianze, si sottolinea che la Genesi mostra differenze significative rispetto ai racconti mesopotamici, come l'assenza di una pluralità divina coinvolta nella creazione, la visione dell'uomo come immagine di Dio e il modo in cui Dio sceglie di interagire con l'umanità. L'analisi mette in luce come la Genesi abbia potuto attingere da varie tradizioni letterarie antiche, riadattandole in modo appropriato per creare i propri racconti, sottolineando al contempo la specificità della visione biblica del mondo e della creazione umana. Il testo riconosce anche che altri miti antichi provenienti dall'Egitto, come l'Inno a Ptah e l'Inno a Ra, hanno elementi di convergenza minori rispetto alle narrazioni bibliche della creazione. In sintesi, l'analisi confronta e mette in relazione le narrazioni bibliche con i racconti cosmogonici dell'antico Vicino Oriente, evidenziando le somiglianze, le influenze e le differenze tra di essi. Possono essere rilevate delle possibili influenze e dei parallelismi tra alcuni racconti della Bibbia e le narrazioni mesopotamiche antiche, in particolare la Lista Regale Sumerica e il racconto del diluvio universale presente in Genesi 6-9. Il testo sembra sottolineare come le tematiche del rapporto tra esseri divini e umani, così come la presenza di figure mitiche o giganti, siano presenti in diverse tradizioni mitologiche e antiche, non solo nella Bibbia ma anche in altre culture come la mitologia greca, egizia, ugaritica e appunto mesopotamica. La menzione delle unioni tra esseri divini e umani in Genesi 6:1-4 e la presenza di giganti sulla terra possono essere considerate simili a temi ricorrenti in altre mitologie e tradizioni antiche. La storia di Ghilgamesh stesso, che è per due terzi divino e per un terzo umano, riflette un'idea simile di mescolanza tra divinità e umanità. Inoltre, si menziona la Lista Regale Sumerica, un'opera che registra una cronaca della storia della regalità in Mesopotamia, divisa in due ere: una precedente e una successiva al cataclisma del diluvio. 37 Sono evidenziate diverse similitudini e parallelismi tra i trattati di vassallaggio assiri e hittiti con alcune sezioni dei testi biblici, soprattutto riguardo alla struttura letteraria, alle maledizioni e agli impegni di fedeltà. Si suggerisce che le maledizioni presenti in alcuni testi biblici potrebbero essere considerate come condizioni di inadempienza a un giuramento di fedeltà a Yahweh, simili a quanto avveniva nei trattati neo-assiri. Si evidenzia anche che Israele, nel suo rapporto con il sovrano divino, si impegnava come un popolo responsabile di fronte al suo sovrano, differenziandosi dai trattati di vassallaggio in cui era solitamente solo il sovrano e i suoi sudditi a impegnarsi nei confronti del sovrano umano. Infine, si sottolinea che, sebbene ci siano influenze e paralleli tra le leggi e i trattati del Vicino Oriente antico e le Scritture bibliche, l'analisi proposta non indica una diretta copiatura o prestito letterario. Piuttosto, si tratta di una riflessione su come le esperienze storiche e culturali dell'antico Vicino Oriente abbiano contribuito a plasmare la teologia dell'alleanza del popolo di Israele. Questo tipo di analisi è importante per comprendere meglio il contesto culturale e storico in cui sono stati composti i testi biblici, mostrando come le influenze e le interazioni tra diverse culture abbiano contribuito a plasmare i testi sacri dell'antico Israele. Inoltre, si nota che la legge biblica è orientata maggiormente a ripristinare la moralità perduta piuttosto che a punire, mentre i codici del Vicino Oriente antico si concentrano spesso su sanzioni e punizioni per gli infrattori. Nonostante queste differenze, tutti i codici hanno lo scopo comune di promuovere la giustizia e la fedeltà agli obblighi contrattuali, pur esprimendo tali principi in modo differente in base alla loro cultura e alla loro prospettiva legale e morale. IPOTESI CIRCA GLI EFFETTIVI CONTORNI STORICI DELLE EPOCHE RAPPRESENTATE Questo paragrafo tratta della relazione tra storia e racconto all'interno dei testi delle Scritture di Israele, concentrandosi in particolare sul libro della Genesi e sul contesto storico dei patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe. L'autore esamina il rapporto tra storia e narrazione, sottolineando che molti dei testi storici dell'Antico Testamento sono vere e proprie creazioni narrative, piuttosto che resoconti storiografici accurati. Si sottolinea che la distinzione tra "storia" nel senso di resoconto storiografico e "racconto" nel senso di narrazione non è sempre netta, soprattutto nei testi biblici. Molte volte, gli scritti dell'Antico Testamento mostrano una tendenza a "drammatizzare" gli eventi storici o a ritrarre i personaggi con elementi artistici, aggiungendo discorsi o azioni che potrebbero non essere accaduti nella realtà storica, ma nel contesto della narrazione. Per quanto riguarda il libro della Genesi e i patriarchi, l'autore sottolinea che le informazioni riguardanti Abramo, Isacco e Giacobbe sono principalmente attestate nel libro della Genesi stesso, con poche menzioni all'interno di altri testi biblici, soprattutto in epoca tardiva. Tuttavia, i riferimenti a questi patriarchi nei testi profetici pre-esilici sono scarsi o assenti. Ciò porta a dubbi sulla storicità di questi personaggi e dei loro contesti, specialmente considerando le discrepanze cronologiche e anacronismi presenti nelle narrazioni. 40 Nonostante l'incertezza storica riguardo ai patriarchi, si riconosce che le storie su di loro possono contenere memorie dei costumi e delle usanze di Israele in epoche precedenti alla loro stesura. Si suggerisce che queste figure patriarcali potrebbero essere radicate in storie e leggende anteriori, diventando parte del patrimonio culturale di Israele. Infine, si afferma che i racconti dei patriarchi non devono essere considerati fonti storiche affidabili, ma piuttosto narrazioni teologiche e narrative che hanno lo scopo di universalizzare la visione del Dio di Israele come creatore dell'universo e di tutti i popoli, rendendo Israele un popolo sottomesso ma con una vocazione e un'identità specifica all'interno del mondo. L’esperienza dell’esodo tra storia e mito di fondazione. Il testo analizza il racconto dell'esodo degli Israeliti dall'Egitto nella Bibbia, confrontandolo con fonti storiche e documenti archeologici dell'epoca. Si evidenziano diversi punti che sollevano dubbi sulla storicità dell'evento: ● Mancanza di conferme esterne: Non ci sono fonti storiche o epigrafiche al di fuori della Bibbia che confermino l'esodo come un evento storico. ● Datazione tardiva dei testi biblici: I racconti dell'esodo e dei patriarcali furono scritti durante periodi esilici e post-esilici, molti secoli dopo l'evento presunto, senza conferme esterne. ● Contraddizioni e numeri inverosimili: I dettagli del racconto, come il numero elevato di persone coinvolte nell'esodo, mancano di credibilità demografica e logistica per l'epoca. ● Mancanza di riferimenti storici egizi: I documenti dell'antico Egitto non menzionano l'esodo degli Israeliti o eventi ad esso correlati. ● Storia e mito di fondazione: L'ipotesi si propone che l'esodo potrebbe essere più un mito nazionale di fondazione per il popolo di Israele piuttosto che un evento storicamente accurato, considerando la mancanza di prove concrete al di fuori dei testi biblici. In sintesi, nonostante il racconto dell'esodo sia presente nella Bibbia, mancano evidenze esterne che possano confermare la sua storicità, sollevando dubbi sulla sua natura storica e suggerendo la possibilità che sia più un mito fondativo che un evento storicamente documentato. La conquista della terra di Canaan tra storiografia e fiction Il testo affronta la questione della conquista della Terra Promessa da parte degli Israeliti, come raccontato nella Bibbia, analizzando la problematicità della sua storicità. Si mettono in luce diversi punti: ● Contraddizioni nel racconto: Si sottolinea l'apparente incoerenza tra la presunta debolezza e l'indebolimento degli Israeliti durante l'esodo dall'Egitto e la successiva sconfitta delle potenti città cananee. ● Manca di prove storiche: Non vi sono prove al di fuori dei racconti biblici che confermino la conquista israelita delle città cananee nel 1200 a.C., come narrato nel Vecchio Testamento. ● Assenza di tracce archeologiche: Mentre alcune città menzionate nel racconto biblico sono state scoperte dagli scavi archeologici, non ci sono prove convincenti di una conquista israelita nelle testimonianze archeologiche del periodo presunto. ● Influenza egiziana in Canaan: Durante il periodo in cui si suppone sia avvenuta la conquista, l'Impero Egizio esercitava un controllo significativo sulla regione di Canaan. Questo solleva dubbi su come Israele avrebbe potuto conquistarla senza affrontare una resistenza da parte dell'Egitto. 41 ● Problemi topografici e storici: Gli itinerari biblici del viaggio degli Israeliti non coincidono con le conoscenze topografiche del tempo presunto della conquista. ● Diverse teorie e modelli: Gli studiosi hanno proposto diverse teorie sull'insediamento di Israele in Canaan, inclusi modelli di pacifica immigrazione e di rivolte interne delle popolazioni autoctone. ● Narrazioni teologiche: Si suggerisce che il racconto della conquista nella Bibbia possa essere più una proiezione dei desideri e delle aspirazioni politiche e religiose di epoche successive che una descrizione accurata degli eventi storici. In conclusione, il testo mette in discussione la storicità del racconto della conquista della Terra di Canaan da parte degli Israeliti, suggerendo che potrebbe essere una narrazione influenzata da esigenze e aspettative più recenti anziché un resoconto preciso di eventi storici del passato. Una postilla su Mosè Una domanda sorge spontanea: e Mosè? Il testo appunto, sembra sia un estratto di un'analisi critica su Mosè e il suo ruolo nella storia ebraica, probabilmente tratto da un testo accademico o religioso. Il brano sembra affrontare diversi aspetti della figura di Mosè, tra cui la mancanza di riscontri storici extra-biblici sulla sua esistenza, l'origine egizia del nome "Mosè", le possibili ragioni dietro questa scelta di nome e la rilevanza di Mosè nella definizione dell'identità ebraica. Inoltre, si evidenzia che non vi sono prove extra-bibliche dell'esistenza storica di Mosè, e la sua figura sembra essere stata riflessa e riletta da diverse prospettive teologiche e ideologiche nel corso della storia ebraica, soprattutto in periodi successivi all'esilio. Il testo sembra mettere in discussione anche la storicità di alcuni eventi legati a Mosè, come l'Esodo e il monte Sinai, sottolineando le incertezze e le diverse ipotesi riguardo alla loro collocazione geografica. Questa analisi critica mostra come la figura di Mosè sia stata oggetto di interpretazioni e reinterpretazioni nel corso dei secoli, influenzata dalle esigenze e dalle prospettive delle diverse epoche storiche e culturali dell'ebraismo. Il sistema del puro e dell’impuro e il suo rapporto con la prassi liturgica Questo paragrafo vuole mettere in evidenza il riferimento alla complessa visione religiosa e culturale dell'antico Israele, in cui concetti come "puro" e "impuro", "sacro" e "profano" avevano un ruolo fondamentale nella vita quotidiana, nell'organizzazione sociale e nell'approccio religioso. Queste distinzioni, infatti, non erano solo concetti astratti ma si manifestavano attraverso pratiche e comportamenti specifici che regolavano molti aspetti della vita degli israeliti. Il concetto di "puro" e "impuro" era strettamente legato alla ritualità e alla legge religiosa. Gli israeliti consideravano certi oggetti, animali, luoghi o situazioni come "puri" e altri come "impuri". Questa distinzione non era legata solo a una questione di igiene o fisicità, ma soprattutto riguardava la sfera sacra e religiosa della vita. Ad esempio, toccare un cadavere o venire in contatto con certi animali o oggetti specifici veniva considerato "impuro" e richiedeva particolari rituali di purificazione per ritornare allo stato di purezza e reintegrarsi nella comunità. In contrasto, ciò che era considerato "puro" era spesso associato alla sfera del sacro e del divino, come il santuario, l'altare o oggetti consacrati a Dio. 42 La Pasqua prevede due rituali principali: il sacrificio di un agnello giovane e integro e la celebrazione dei pani azzimi, senza lievito. Questi riti si originano da contesti e periodi differenti: il sacrificio dell'agnello si riferisce a pratiche di propiziazione della fertilità delle greggi, mentre gli Azzimi sono associati al raccolto del primo grano e celebrano la libertà dall'oppressione egiziana. La memoria dell'esodo dall'Egitto è il fulcro di queste celebrazioni. La Pasqua simboleggia la transizione da uno stato di schiavitù a una vita libera e fertile, mentre gli Azzimi riflettono la novità dell'intervento divino e la liberazione dal vecchio regime oppressivo. La decima piaga, la morte dei primogeniti, segna la condanna del faraone per la sua opposizione a Yhwh. Queste festività, con i loro riti rivisitati e reinterpretati, celebrano la nuova vita, la libertà e la presenza di Dio nell'esperienza storica di Israele. Il concetto di memoria presente in queste celebrazioni è evidente nel loro significato attuale e nella continuità attraverso le generazioni, influenzando anche celebrazioni successive come l'Eucaristia cristiana. Vi sono altre festività ebraiche, in particolare: ● la festa delle Settimane (Shavuot), ● la festa delle Capanne (Sukkot) ● la festa del Capodanno ebraico (Rosh Hashanah) Queste festività sono importanti nel calendario ebraico e hanno significati specifici legati alla storia e alla tradizione del popolo ebraico. La festa delle Settimane, o Shavuot, è celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua ebraica. Originariamente legata alla mietitura, questa festa fu successivamente associata alla commemorazione della rivelazione della Torah a Mosè sul Monte Sinai. È anche conosciuta come la festa della donazione della Torah. La festa delle Capanne, o Sukkot, è celebrata nel settimo mese del calendario ebraico ed è anche nota come la festa delle capanne o delle tende. Questa festa è collegata alla stagione del raccolto, quando si costruivano capanne temporanee come ricordo del tempo in cui gli Israeliti vagavano nel deserto. È una celebrazione della protezione divina e della gratitudine per i raccolti. Il Capodanno ebraico, o Rosh Hashanah, segna l'inizio dell'anno nel calendario ebraico. È un momento di riflessione, di pentimento e di rinnovamento spirituale, in cui si soffia il shofar (corno di ariete) e si recitano preghiere speciali. È considerato un periodo in cui le persone chiedono perdono per gli errori commessi durante l'anno precedente e cercano di iniziare l'anno nuovo con buone intenzioni. Vi sono altre festività ed istituzioni ebraiche: ● il Giorno dell'Espiazione (Yom Kippur), ● Purim, Chanukkàh, ● il sabato, ● l'Anno Sabbatico ● l'Anno Giubilare. Il Giorno dell'Espiazione è una delle festività più significative del calendario ebraico, celebrata nel settimo mese, chiamato Tishri. È un giorno di riposo, di digiuno e di espiazione, caratterizzato da rituali specifici eseguiti dal sommo sacerdote per espiare i peccati del popolo. Questi rituali coinvolgono sacrifici, inclusi l'ingresso del sommo sacerdote nel Santo dei Santi e l'aspersione del sangue di animali sacrificati per la purificazione. 45 Purim commemora un evento storico legato al libro di Ester, evidenziando un tentativo fallito di persecuzione antisemita. È considerata una festa più profana, caratterizzata da gioia e divertimento. Chanukkàh, o la Festa delle Luci, si riferisce alla riconsacrazione del Tempio profanato nel 168 a.C. da Antioco IV Epifane. La celebrazione coinvolge l'accensione delle candele in ricordo della ricollocazione del candeliere nel Tempio. Il Sabato (Shabbat) è il settimo giorno della settimana, dedicato al riposo e alla celebrazione in Israele. La sua origine esatta rimane incerta, ma è legato al concetto di cessazione dell'attività lavorativa e alla sua intima relazione con Dio. L'Anno Sabbatico e l'Anno Giubilare sono istituzioni legate all'osservanza religiosa e all'economia ebraiche. L'Anno Sabbatico prevede il riposo dei terreni agricoli e la remissione dei debiti ogni settimo anno, mentre l'Anno Giubilare avviene ogni cinquanta anni, con il rilascio dei debiti e il ritorno delle proprietà alle famiglie originarie. Queste festività e istituzioni hanno un'importanza significativa nella storia e nella pratica religiosa ebraica, ognuna con il proprio significato simbolico e storico. È opportuno, infine, fare ulteriori considerazioni: il periodo persiano segnò un momento cruciale per i Giudei che vivevano al di fuori dei confini di Gerusalemme e della provincia di Giudea. Il tempio di Gerusalemme divenne un simbolo di unità nel culto di Yhwh per la diaspora ebraica. Anche la preghiera di Salomone durante la dedicazione del primo tempio incoraggiava gli adoratori di Yhwh che vivevano al di fuori della terra a rivolgere le loro preghiere verso Gerusalemme e il suo santuario. L'accento della tradizione deuteronomica sullo studio e sulla recitazione della Legge di Mosè sembra aver continuato a essere significativo nel contesto della diaspora. In tale contesto, la raccomandazione del Deuteronomio di scrivere alcuni comandamenti sugli stipiti delle porte delle case potrebbe giustificarsi come sostituzione del culto sacrificale, che era possibile solo nel tempio di Gerusalemme. La Legge e la sua meditazione potrebbero aver assunto un ruolo fondamentale, specialmente per le famiglie lontane dal tempio e dai suoi culti. Nonostante molti testi sacerdotali e post-sacerdotali sottolineino l'importanza del tempio e del suo culto, ci sono pratiche rituali come la circoncisione (Gn 17) e la celebrazione della Pasqua (Esodo 12) che, apparentemente, potevano essere eseguite anche altrove. Questi rituali, almeno nella loro descrizione, sembrano separati dall'obbligo di essere celebrati nei cortili del tempio di Gerusalemme. È possibile che questa vaghezza riguardo al luogo di celebrazione di tali rituali abbia favorito i membri della diaspora ebraica che non risiedevano nei confini della provincia persiana giudaica, consentendo loro di praticare tali rituali lontano dal tempio di Gerusalemme. La circoncisione e la Pasqua, essendo aspetti liturgici centrali del giudaismo, sembrano essere state praticate al di fuori del tempio di Gerusalemme, così come il precetto del sabato, anche in luoghi diversi dalla sede del tempio principale. Questa flessibilità potrebbe aver favorito la coesione e la pratica religiosa dei Giudei dispersi in diverse regioni. Istituzioni familiari Il testo analizza la vita degli antichi Israeliti, concentrandosi sul ciclo vitale individuale descritto nel Pentateuco. La famiglia, organizzata intorno al clan o alla "casa del padre", costituiva l'unità principale della società israelita biblica. I nuclei familiari si espandevano a includere più generazioni, comprendendo nonni, genitori, figli, eventualmente nipoti e anche schiavi o servi. 46 Nel contesto familiare, la nascita aveva un ruolo cruciale, con la procreazione vista come parte essenziale per preservare l'economia familiare. I figli erano celebrati con nomi significativi e sottoposti alla circoncisione all'ottavo giorno dalla nascita. Il matrimonio era fortemente orientato alla gestione e alla preservazione del patrimonio familiare. Le leggi riguardanti l'eredità davano diritto ai figli maschi, mentre le donne potevano ereditare solo in circostanze specifiche. Il matrimonio era spesso combinato all'interno dello stesso clan o con parenti stretti, contribuendo così alla durata e alla forza del potere familiare. La poligamia era pratica comune, specialmente in caso di sterilità della moglie legittima. Il divorzio richiedeva un documento ufficiale e la società riconosceva i secondi matrimoni dopo il divorzio o la vedovanza. La morte era considerata la fine fisica e spirituale dell'individuo. Gli Israeliti credevano in un aldilà chiamato "She'ol", un regno dei morti simile all'Ade greco, inaccessibile e distante dalla presenza divina. I funerali avvenivano presto, e la sepoltura doveva avvenire entro il tramonto del giorno della morte, con alcuni casi di sepolture particolari per persone di rilievo. L'imbalsamazione non era una pratica comune in Israele, tranne per casi specifici come quelli di Giacobbe e Giuseppe che morirono in Egitto. 47 I LUOGHI TEOLOGICI DELLA PRESENZA DI DIO NEL CREATO LA PRESENZA DI DIO- La tradizione P delinea i termini della presenza divina nell’universo. Memore del trauma sperimentato da Israele nel 589 ( distruzione tempio da parte dei Babilonesi) la teologia P evita di legare la presenza di Dio nel mondo alla sacralità di una particolare località. YHWH è là dove Israele si trova. LA GLORIA- La presenza divina nel mondo è strettamente abbinata alla realtà di Israele. IL SANTUARIO- Questa convinzione della teologia sacerdotale affiora in modo evidente dal carattere mobile del santuario, predisposto per essere scomposto e ricomposto ad ogni tappa delle peregrinazioni di Israele tra il Sinai e Canaan. Per la teologia P la sacralità del santuario non dipende più di tanto dalla località della sua ubicazione, bensì dal fatto di rappresentare il nucleo dell’identità di Israele, dimora nell’universo e nella storia della presenza divina.COMPARAZIONI UTILI-Comparando l’impianto narrativo e teologico del racconto P con altri miti di creazione nel vicino oriente antico si nota che in tali miti il Dio creatore, al termine della sua opera, era solito farsi costruire un palazzo come segno e condizione della sua signoria sul mondo creato. Invece Gn 1 si chiude con la delimitazione di un tempo sacro,il sabato(7o giorno) , giorno di riposo di Dio dalla sua opera creatrice. A rappresentare la dimora di YHWH nella creazione sarà il popolo di Israele. Israele è per la teologia P la dimora di YHWH nella storia. IL SIGNIFICATO DEL SINAI- Il santuario viene a rappresentare il nucleo e a consentire l’esercizio del culto, cioè di segni rituali della relazione che lega reciprocamente YHWH e Israele. In questa prospettiva teologica il Sinai non rappresenta il luogo dell’alleanza tra Dio e il suo popolo (già stipulata con Abramo) ma il luogo dell’edificazione del santuario e dell’inaugurazione del culto (Es 25-31 ; 35-40 ; Lv 9 ). Santuario inaugurato in Es 40,34 quando la gloria di Dio viene a prenderne possesso. ISRAELE NEL CONSENSO DELLE NAZIONI Nell’impianto teologico sacerdotale l’identità di Israele è messa a punto anche in rapporto al resto delle nazioni e nei termini dello sviluppo. La TAVOLA DEI POPOLI (Gn 10) e le formule di TOLEDOT nell’insieme di genesi concorrono a puntualizzare la collocazione di Israele rispetto all’insieme delle nazioni e rispetto ai popoli della regione (es le storie patriarcali vedono la delimitazione genealogica tra la stirpe di Israele e i rami collaterali da cui provengono le popolazioni limitrofe). Queste coordinate geografiche e genealogiche del popolo concorrono a delineare la funzione significativa rispetto alla signoria divina nei confronti dell’intera umanità. ULTERIORI CONNESSIONI DELLA VICENDA DI ISRAELE CON LA STORIA DELLE ORIGINI L’INCREMENTO BENEDETTO- Nel racconto sacerdotale l’incremento numerico della stirpe patriarcale è promesso da Dio ai patriarchi e ne viene segnalata la progressiva realizzazione collegando così le vicende di Israele al programma delineato da Dio nella storia delle origini. 50 Infatti il comando di proliferare dato da Dio in origine ad Adamo (Gn 1,28) e poi reiterato a Noè dopo il diluvio(9,1.7), trova un richiamo nelle successive benedizioni indirizzate da Dio ai patriarchi (17,2.6.16 ; 35,11). LE PROMESSE DIVINE-Sarà la moltitudine di Israele ad essere la prova evidente dell’adempimento sia della promessa di Dio che dell’esecuzione da parte dell’uomo del comando divino. CONNESSIONI MINORI- Accanto alle grandi tematiche teologiche considerate ( alleanza,il significato,la consistenza e la collocazione del popolo rispetto alle nazioni, il santuario) vi sono anche alcuni tratti tematici o stilistici minori che rafforzano la prospettiva complessiva. Le acque, che durante il diluvio sommergono l’umanità violenta e malvagia,sono richiamate da quelle che travolgono il faraone e gli egiziani. Dio così si manifesta come assoluto sovrano non solo della storia ma anche della stessa creazione: Yhwh è il solo signore delle acque e degli abissi. YHWH CREATORE E SALVATORE- Così il Dio creatore dell’universo coincide con il liberatore di Israele. La stessa premura che Dio poi riserva al suo popolo si manifesta nel fornire di cibo l’umanità appena creata (Gn 1,29) e anche nello sfamare Israele nella sua peregrinazione nel deserto. Anche il precetto del sabato, con osservanza del riposo, è associato da Es 16,3 al riposo che Dio stesso si era dato dopo i sei giorni lavorativi nel creare. Sempre su questa linea si collocano le allusioni testuali tra Gn 2,1-3 e la fine di Esodo 40 : la realizzazione del santuario porta a compimento il senso della creazione divina,già simboleggiata dalla realtà del settimo giorno. IL MINORE INTERESSE PER L’APPRODO DELLA VICENDA E DEL POPOLO IL RILIEVO DELL’INIZIO- Anche da questi semplici richiami è possibile notare quanto sia importante, per lo scritto sacerdotale, il costante richiamo alle origini : si tratta di dare alla rinnovata comprensione dell’identità di Israele un fondamento consistente, che si radichi nella realtà stessa della creazione divina. Forse per questo la tradizione sacerdotale dedica un attenzione minore alla delineazione del traguardo ultimo del sorgere di Israele e del suo cammino. Questo spiega l’incertezza degli studiosi nell’individuazione della fine dello scritto P. FINALITÀ INCERTA- Quale traguardo propone la tradizione sacerdotale al cammino di Israele? Una serie di testi significativi P (Gn 17,8 ; 35,12 ; Es 6,2-8) promettono a Israele il possesso della terra, abitata dai patriarchi solo a titolo provvisorio, da stranieri (gherim). Però si deve riconoscere che il racconto sacerdotale non conosce l’effettiva presa di possesso della terra, il cammino di Israele rimane incompiuto. IL POSSESSO DELLA TERRA- La teologia sacerdotale esprime una convinzione tradizionale sommandola con il realismo storico imposto dal contesto storico contemporaneo(no autonomia politica,dominio impero Achmenide). Sia il quadro politico rappresentato dall’impero achmenide sia le resistenze rispetto al programma ideologico e teologico, elaborato dalla tradizione P da parte di quelli che non avevano sperimentato l’esilio, spiegano perché lo scritto P sfumi quello che avrebbe dovuto rappresentare il naturale approdo dell’itinerario di Israele: così il possesso della terra risulta parte dell’identità di Israele prospettato da YHWH ma rimane al di là da venire. 51 SINTESI CONCLUSIVA-La tradizione sacerdotale attinge nel fondamento delle origini per vivere il presente dell’identità di Israele nella storia e la speranza di costruire un futuro migliore. 2)LA TEOLOGIA DELLA TRADIZIONE DEUTERONOMISTICA I TERMINI DEL RILIEVO- La tradizione deuteronomistica non ebbe un ruolo importante nell’elaborazione unitaria del Pentateuco ma giocò un ruolo significativo nella messa a punto della fede dell’Israele biblico. DIVERSI SVILUPPI- Precedente, nei suoi inizi, alla teologia sacerdotale, la tradizione D. conobbe sviluppi successivi, che impediscono di considerare la teologia un dato monolitico. IPOTESI DI RIFERIMENTO- Il libro del Deuteronomio contiene le linee di fondo di questa teologia,nei suoi differenti sviluppi, e fu inizialmente destinata ad offrire le chiavi teologiche di comprensione della successiva STORIA DEUTERONOMISTICA. Solo in un secondo momento esso fu scorporato da tale storia e collocato a chiusura del Pentateuco. IL RILIEVO DELLA CATEGORIA DI ALLEANZA L’ALLEANZA COME RECIPROCITA- La categoria di alleanza è utilizzata dalla teologia deuteronomista per configurare i rapporti tra YHWH e il suo popolo. La reciprocità è espressa bene nella formula YHWH è il dio di Israele, Israele è il popolo di YHWH. Non è possibile comprendere l’identità di Dio senza considerare la relazione con il suo popolo e non è possibile comprendere l’identità di Israele senza tener presente il legame con il suo Dio. I TERMINI DELLA RECIPROCITA-L’alleanza è il contesto in cui YHWH rivela sé stesso mediante l’impegno che assume nei confronti di Israele. Dall’altra, l’alleanza segna l’intera esistenza di Israele, implicato nell’obbedienza a norme e precetti indicati da Dio. LA FEDELTA IMPLICATA- La reciprocità dei due partners in questa relazione di alleanza è connotata dalla tradizione deuteronomistica in termini di amore: un amore che significa fedeltà ai termini pattuiti sia da parte divina sia da parte del popolo. TRA MEMORIA E PARENESI- Il continuo passaggio in deuteronomio dalla memoria del passato all’esortazione circa il futuro è proprio perché, memori di come Yhwh si è rivelato nella loro storia passata, gli Israeliti sono esortati a rimanergli fedeli per continuare a beneficiare dei suoi doni. YHWH UNICO DIO DI ISRAELE L’UNICITà DI YHWH-In deuteronomio si intravede il percorso che ha condotto la fede di Israele a maturare la presa di coscienza monoteista. DALLA MONOLATRIA-Per la tradizione D. Yhwh è l’umico Dio di Israele.Affermazioni come quella di Dt 6,4-5 e 10,12.17 non vanno al di là di una prospettiva monolatrica e di una indicazione di tipo nazionale: esistono molteplici divinità ma gli israeliti sono tenuti ad adorare YHWH. L’unicità di Yhwh non rappresenta, nell’originaria teologia deuteronomistica, un fatto metafisico ma un opzione di ordine cultuale: Yhwh è l’unico Dio di Israele. 52 -LA RIFORMULAZIONE DELLE PROMESSE DIVINE AI PATRIARCHI LE PROMESSE PATRIARCALI-Le promesse divine ai patriarchi (Gn 12-50) configurate dalla tradizione sacerdotale(P) sono ancorate all’orizzonte di compimento delle promesse (discendenza,terra) , a un piano storico verificabile nei suoi esiti più o meno felici. FORMULAZIONE POST P- Successive formulazioni delle promesse divine tendono per un verso ad aumentarne il numero e per l’altro verso a collocare l’orizzonte del loro compimento su un piano metafisico, tendente all’infinito e non verificabile sul piano delle effettive realizzazioni storiche. -IL DECALOGO REDUPLICATO E RIVISTO LA DUPLICE FORMULAZIONE- Nel pentateuco si hanno due formulazioni del decalogo: 1) Es 20,1-17 2)Dt 5,6-21 La ricerca esegetica ritiene la versione Dt precedente a Es. L’inserzione di Es 20,1-17 rispose a due istanze, una letteraria e l’altra teologica: da una parte si sentiva l’esigenza di armonizzazione con il parallelo contesto di Deuteronomio. Per un altro verso,in tale reduplicazione affiorava una significativa differenza circa la motivazione dell’osservanza del sabato: -Dt: sabato segno della libertà a suo tempo ricevuta con l’esodo -Es sabato motivato con la teologia della creazione, sabato è parte della creazione divina e Israele è chiamato ad osservare il riposo. -LA LEGGE DI SANTITÀ IL RETROTERRA STORICO-La legge di santità (Lv 17-26) rappresenta il più recente dei codici legislativi del pentateuco.In dialogo con i codici più antichi,la legge di santità riflette le istanze e la sensibilità dell’Israele post esilico. La teologia che affiora è incentrata sulla salvaguardia della santità di Israele. La santità è intesa come separazione dagli altri popoli e in questi termini è letta l’esperienza fondante dell’esodo. La santità deve essere custodita attraverso l’adeguata celebrazione del culto, l’osservanza delle leggi di purità e degli altri comandi divini. In questa prospettiva teologica le categorie di peccato e di espiazione ricevono particolare considerazione: a fronte della consapevolezza di poter facilmente compromettere la santità con il peccato occorre focalizzare forme adeguate per poter tornare ritualmente a partecipare della santità di Dio. -IL FINALE La pagina conclusiva di deuteronomio e dell’intero pentateuco (Dt34) riferisce la morte di Mosè. La pagina è riconosciuta come post D e post sacerdotale. Per un verso il passaggio tratteggia il rilievo unico della figura di mosè all’interno della storia di Israele e dunque sancisce la superiorità di tutto ciò che proviene dalla sua figura per la fede e l’identità di Israele. Per un altro verso la morte di Mosè sul monte Nebo, fuori dalla terra promessa, sancisce il carattere incompiuto dell’intero pentateuco. 55 Il pentateuco si chiude senza la realizzazione di significative promesse divine: possesso della terra, consistenza del popolo, essere benedizione per le altre nazioni,la promessa del re. Questo carattere incompiuto del pentateuco porta significative implicazioni teologiche e dato da non dimenticare quando si analizzeranno alcune tematiche rilevanti dei primi 5 libri biblici ed il significato complessivo della prima sezione del canone biblico. 4)TEMATICHE TEOLOGICHE RILEVANTI NEL PENTATEUCO I TRATTI DELLA FEDE E DELL’IDENTITà- I primi 5 libri del canone biblico, la torah, delineano i tratti costitutivi della fede e dell’identità di Israele. -LA COLLOCAZIONE NELL’UNIVERSO YHWH CREATORE E DIO D’ISRAELE- I racconti della creazione esprimono la convinzione che Dio sia principio e fondamento dell’universo e tratteggiano le dimensioni fondamentali del cosmo e della storia e il rilievo centrale che ha l’uomo in essi. E per Israele il fatto di essere stato scelto come proprietà particolare da parte divina gli conferisce una statura ulteriore rispetto alle altre nazioni. Per questo il pentateuco si preoccupa di delimitare l’identità di israele sia rispetto ai popoli limitrofi sia in generale rispetto a tutte le nazioni. Israele è consapevole di non essere un popolo come gli altri e tale forte autocoscienza sarà vissuta in seguito come motivo di responsabilità o di estraneazione rispetto alle altre nazioni. -L’ALLEANZA UNA RELAZIONE VITALE-L’alleanza è la realtà che custodisce l’esperienza vitale che i due partners hanno fatto l’uno dell’altro e l’amore che li lega. L’alleanza è memoriale di un agire che apre a un altro agire. MEMORIA DEL FONDAMENTO-Il patto consente a israele la memoria di quanto Yhwh ha operato agli inizi e nel corso della sua storia e tale memoria è essenziale per non smarrire sé stesso. CORRISPONDENZA ESIGITA-Inoltre la memoria dei mirabilia dei fonda e richiede che il popolo si metta in gioco nell’osservanza di quanto richiesto da Yhwh; nella logica dell’alleanza l’iniziativa divina richiede adeguate risposte da parte dell’interlocutore umano. 3 DIFFERENTI CONCEZIONI- Il pentateuco racchiude tre differenti concezioni dell’alleanza, tre differenti individuazioni delle basi adeguate su cui fondare la relazione tra Yhwh e Israele. La teologia D concepisce l’alleanza tra Yhwh e israele in termini bilaterali e condizionati. Pur cosciente dell’asimmetria tra le parti, in questa concezione i contribuenti stipulano il patto impegnandosi all’osservanza delle condizioni pattuite: nella misura in cui israele è fedele ai comandamenti richiesti Yhwh è tenuto a benedirlo e proteggerlo; nella misura in cui Yhwh è fedele alla storia del suo popolo Israele è tenuto ad osservarne i comandamenti. L’alleanza viene meno se uno dei contraenti non rispetta i termini. Questo modo di intendere l’alleanza è analogo alle categorie della sapienza biblica tradizionale ed esprime il modo più 56 elementare di articolare i rapporti uomo-Dio, secondo la logica di uno scambio commerciale ( Dio premia i giusti e punisce i cattivi). INSOSTENIBILITà DEL MODELLO-Questa concezione dell’alleanza andò in crisi con la distruzione del tempio e la deportazione, interpretate come castigo divino per il peccato del popolo. Israele si rese conto dell’insostenibilità di questo modo di intendere e vivere l’alleanza. TEOLOGIA P- Tale presa di coscienza conduce la teologia sacerdotale a rileggere l’alleanza in termini unilaterali e incondizionati: il legame tra yhwh e Israele sussiste in virtù dell’unilaterale assunzione di responsabilità da parte divina, che non pone condizioni alla controparte umana. Si tratta di un impostazione che salvaguarda il primato di dio e pone in termini marcatamente asimmetrici la partecipazione della controparte umana. La TERZA CONCEZIONE di alleanza presente nel pentateuco è riconducibile alla teologia di santità. Questa prospettiva,pur salvaguardando il primato dell’iniziativa divina nel patto, recupera il rilievo dell’atteggiamento umano e evidenzia alcuni gesti penitenziali efficaci grazie ai quali riconciliarsi con Dio in forma rituale. -LA LEGGE IL DONO DELLA LEGGE- Sia la legge proveniente dalla bocca di Yhwh sia quella pervenuta con la mediazione di Mosè sono riconosciute come dono di Dio per la vita del popolo.Con questo dono il popolo è riconosciuto all’altezza delle richieste di Yhwh, in grado di rispondere alla sua volontà. SALVAGUARDIA DELLA LIBERTÀ- Allo stesso tempo la legge donata a Israele è salvaguardia della sua libertà, no un modo per soggiogare il popolo. Proprio perché espressa e motivata a partire dall’evento dell’esodo, la legge divina è espressione della stessa volontà amorosa di Yhwh nei confronti del suo popolo. I tre codici legislativi presenti nella prima sezione del canone testimoniano come,sotto la categoria di legge, siano stati conservati materiali provenienti da epoche differenti e rispondenti a visioni teologiche e contesti sociali alquanto differenti, anche a costo di inevitabili incongruenze. A monte c’è la convinzione che la legge donata da dio non sottrae israele dal compito della sua differente declinazione nelle diverse epoche della storia: l’osservanza della legge non esaurisce il compito di Israele rispetto a tale istanza, ma lo impegna a un discernimento sempre ulteriore della volontà di Dio nel variare delle circostanze storiche e sociali,fatte salve le convinzioni di fondo. Non a caso, secondo Dt 16-18 le differenti figure istituzionali di Israele non solo sono sottoposte alla legge, ma sono funzionali alla sua interpretazione e applicazione. -IL CULTO IL RILIEVO DEL CULTO- I sacrifici, le loro tipologie,l’uso dei materiali, la compilazione di manuali a servizio dei sacerdoti per l’attuazione corretta dei riti e le pratiche cultuali fisse e occasionali presenti nel pentateuco furono senza dubbio il frutto di un evoluzione storica. La pluralità delle forme rituali previste esprime la centralità del culto nella relazione tra Yhwh e il suo popolo e , di riflesso, nella vita sociale di Israele. Olocausto, oblazione e sacrificio di comunione rappresentano le forme originarie e più comuni del culto israelitico. Numerose convinzioni di fede sottostanno a questi tipi di rituale sacrificale e in essi trovano espressione. 57 sia riuscito a custodire nella storia la sua identità, giocandola in modo pressochè esclusivo su coordinate di ordine religioso. Nell’insieme del pentateuco Israele è il popolo di Dio perché ha ricevuto da Yhwh una serie di doni decisivi che lo rendono tale e gli consentono di vivere di tale identità: il rilievo specifico nell’universo creato da dio; l’elezione celeste, realtà permanente manifestatasi nell’esodo; l’alleanza; la legge; il culto; alcune istituzioni di riferimento; le promesse ( terra,incremento popolo,essere paradigma di benedizione per le nazioni). Questi doni consentono a Israele di essere tale, perché la radicano nella memoria del fondamento, gli consentono di vivere nel presente la responsabilità della sua elezione e lo aprono al futuro compimento delle promesse divine, offrendogli una direzione e una speranza per il suo cammino nel tempo. ASPETTI NON ESSENZIALI- Allo stesso tempo, guardando all’insieme del pentateuco e considerando i tratti essenziali che esso lascia in eredità a Israele, è interessante notare come manchino, a questo punto della vicenda del popolo, dimensioni che saranno significative in alcune epoche della sua storia e in alcuni filoni della sua teologia: il possesso della terra e la monarchia. La monarchia, specie in deuteronomio, è presa in considerazione e in qualche modo configurata ma in vista dell’ingresso nella terra, non come elemento necessario all’itinerario di Israele. ISRAELE POST ESILIACO-L’essenza di questi due elementi è comprensibile nel quadro dell’epoca che vide la chiusura del pentateuco: la fine dell’epoca persiana non vedeva la presenza di tutti gli israeliti nella terra (inizio realtà della diaspora) e il possesso della terra non era tale (dominazione impero Achemenide). La terra dunque era parte dell’identità di Israele in quanto legame storico e promessa di possesso futuro, non in quanto proprietà acquisita. Tanto meno era verosimile legare l’identità del popolo a un fondamento di tipo politico: non vi erano possibilità di una restaurazione della monarchia . L’ISRAELE DI SEMPRE-Ciò che poteva sembrare una resa dinnanzi alle avversità della storia venne però a rivelarsi nei secoli successivi in opportunità decisiva. L’aver riconosciuto in modo adeguato i termini della propria identità nel momento della fissazione della torah consentirà a Israele di attraversare lunghi secoli della sua storia lontano dalla terra e privo di autonomia politica, mescolato alle nazioni ma senza confondersi con esse. 5)PENTATEUCO E CANONI BIBLICI: DIFFERENTI COMPRENSIONI NELLE TRADIZIONI CREDENTI SIGNIFICATO DEL CANONE-Il canone biblico non rappresenta il semplice elenco dei libri ritenuti ispirati dalla tradizione ebraica o cristiana. Il canone riflette il processo che ha condotto una comunità credente a riconoscere in determinati testi la rivelazione della parola di Dio e l’espressione adeguata della propria fede. La pluralità di libri racchiusa nel canone biblico testimonia che nessun singolo libro racchiude l’intera verità della rivelazione, verità plurale nella sua ricezione e trasmissione. Questa pluralità di libri viene trasmessa nel canone organizzandola in differenti sezioni: per ordine storico, letterario e teologico. 60 PLURALITà DEI CANONI-Il discrimine fondamentale tra canone ebraico e canone cristiano discende dal riconoscimento della figura di Gesù, con la conseguente assenza o presenza di libri del nuovo testamento. CANONE EBRAICO-La tradizione cristiana più antica ha riconosciuto come ispirati un maggior numero di testi ebraici precristiani e, secondo una sensibilità più storicizzante, li ha organizzati in un numero maggiore di sezioni diversamente articolate. Il pentateuco è l’unica sezione del canone biblico condiviso dalle diverse forme di canone, sia nella sua delimitazione che per la sua collocazione iniziale. -LA COMPRENSIONE EBRAICA DELLA TORAH IL carattere inconcluso del pentateuco non è solo decisivo per la messa a punto dell’identità di Israele ma offre anche rilevanti prospettive per la comprensione del canone biblico. LE QUESTIONI IRRISOLTE:sono entrati nella terra promessa?israele ha preso effettivo possesso della terra?Inoltre la questione di Israele benedizione per le altre nazioni,della monarchia,la fraternità sociale,se l’elezione e l’alleanza hanno superato le temperie della storia,se Yhwh è rimasto fedele al suo popolo,come si sono comportati i leaders successivi a Mosè…. LO STACCO TEOLOGICO-Tali questioni aperte debbono essere percepite nella loro rilevanza e nella loro portata permanente. Infatti non basta voltare pagina e inoltrarsi nel libro di Giosuè per trovare risposta a queste domande. Il rotolo della torah finisce con Dt 34, c’è uno stacco tra la torah e i successivi libri. A CONFRONTO CON LA TORAH-A fronte del rilievo primario della torah,l’immagine dei differenti rotoli e l’originaria assenza di una strutturazione rigida del canone ebraico consente di pensare alle successive sezioni del canone ebraico come ricerca e testimonianza di risposte rispetto alle domande rimaste inevase dal finale aperto della vicenda costitutiva di Israele. I PROFETI ANTERIORI-Una prima risposta è contenuta nell’opera storica deuteronomistica (Gs- 2Re, i profeti anteriori della tradizione ebraica) , che sembra il naturale proseguimento narrativo del pentateuco. Si tratta del tentativo di conquista della terra e della realizzazione della monarchia. Tentativo fallito perché al termine della vicenda Israele si trova nuovamente al di fuori della terra, in esilio, e privato di una configurazione politica autonoma, cioè senza monarchia. I PROFETI POSTERIORI-In modo analogo anche la predicazione profetica testimonia l’istanza critica della parola di Dio rispetto alla vicenda del popolo nelle varie epoche della sua storia e mantiene vivi sia il radicamento della memoria fondante di Israele sia l’esigenza di ulteriorità rispetto a qualsiasi realizzazione storica. La parola profetica dice sempre che dio si attende altro da parte del popolo, che la sua (in)osservanza della legge,le sue istituzioni, le sue attese, non sono all’altezza di quanto ricevuto, come dono e compito nella legge, nel corso della sua vicenda costitutiva. I TEMI APOCALITTICI- I testi apocalittici affermano poi che le questioni rimaste aperte sulle rive del Giordano potranno ricevere adeguata risposta solo dall’irrompere di Dio nel piano della storia. E in modo analogo si pongono le attese messianiche testimoniate nel tardo ebraismo biblico. Anche il salterio ( struttura pentapartita) si pone come meditazione orante della torah, mentre la letteratura sapienziale colloca il confronto con gli elementi fondanti e con quelli irrisolti della torah sul piano della riflessione circa la consistenza e la verità dell’umano. 61 LA PRASSI SINAGOGALE- Da secoli la prassi liturgica sinagogale privilegia la superiorità della rivelazione contenuta nei primi 5 libri del canone, a motivo della relazione unica di Mosè con Yhwh e dall’assenza di successive figure profetiche del suo livello. La torah è l’unica custodita nell’ARON (armadio appositamente destinato all’interno della sinagoga alla conservazione del rotolo sacro) La torah è anche l’unica sezione ad essere letta in modo continuativo di sabato in sabato, in linea con la richiesta di lettura pubblica attestata in Es 24,7 e Dt 31,9-13 . A commento del passo della torah letto la prassi sinagogale vede seguire la lettura di un testo della sezione profetica mentre, nelle grandi festività, alla proclamazione della torah è abbinata la lettura di una Meghilot (cantico dei cantici, Rutt, lamentazioni, Quoelet e Ester). Tale prassi testimonia come il canone ebraico sia strutturalmente rivolto all’indietro, a sempre meglio comprendere e commentare il suo nucleo incandescente rappresentato dalla torah. LA COMPRENSIONE CRISTIANA DEL PENTATEUCO Il cristianesimo sorge in parallelo con l’imporsi del codice, rispetto al rotolo, come mezzo di diffusione dei testi. Tale passaggio porta a un organizzazione rigida del canone: nel codice la disposizione dei libri e delle diverse sezioni tende a fissarsi. SVOLTA CRISTOLOGICA- Anche un aspetto teologico caratterizza l’articolazione del NT. Ponendo la figura del Cristo e la rivelazione ricevuta per suo tramite in continuità con la precedente rivelazione a Israele, la comunità cristiana tende a una comprensione storicizzante della scrittura di Israele, sottolineando l’unità storico salvifica dell’intera rivelazione. DIFFERENTE SCANSIONE- Sommando i due fattori, tecnico e teologico, si giunge a scandire il canone veterotestamentario in pentateuco, libri storici, libri sapienzali e libri profetici. Il pentateuco mantiene la sua posizione iniziale, i libri storici (profeti anteriori) proseguono la storia salvifica, i libri profetici vanno a chiudere le scritture antiche. La collocazione finale della sezione profetica lascia intravedere la differenza fondamentale tra canone ebraico e canone cristiano. Nella tradizione ebraica la sezione profetica è intesa a commento della torah, mentre nella tradizione cristiana l’AT è strutturalmente rivolto in avanti, apre al compimento futuro rappresentato da Cristo. Viene ridimensionata l’assolutezza dei primi 5 libri biblici: la fede cristiana riconosce quanto di rilevante è stato donato a Israele e con questi doni si pone in continuità, ma la figura di Mosè è ridimensionata dinnanzi al vertice riconosciuto in Cristo. Cristo viene visto come il compimento delle dimensioni rimaste irrisolte nel pentateuco. Sono riletti alla luce di Cristo i tratti costitutivi della fede e dell’identità di Israele, pur con diversi modelli di interpretazione. ESEMPI TEMATICI-La realtà della creazione approfondita come creazione in Cristo (Gv 1,3 ; Col 1,16-17) e la dignità dell’uomo è giocata sul fatto di essere eletto sempre in lui e chiamato alla piena confermazione a lui. L’identità della chiesa, nuovo Israele, non è più giocata sulla logica della separazione e della delimitazione ma è testimonianza del regno, sua presenza visibile ed invisibile nella storia, mentre la sua santità non è più questione di estraneazione dalle nazioni ma di incorporazione a cristo. 62
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