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riassunto libro di psicologia delle organizzazioni, Schemi e mappe concettuali di Psicologia Delle Organizzazioni

riassunti del libro di psicologia delle organizzazioni proposto dalla professoressa Emanuela Inguscio

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 26/03/2022

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Scarica riassunto libro di psicologia delle organizzazioni e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Psicologia Delle Organizzazioni solo su Docsity! 1 LA MOTIVAZIONE LAVORATIVA 1.Introduzione  Perché le p lavorano?  Da cosa dipende il livello di investimento di energia fisica e mentale nel lavoro?  Come possiamo convincere i dipendenti a lavorare con più attenzione alla qualità? 2.Approcci allo studio della motivazione La motivazione lavorativa è l’insieme dei processi psicologici che provocano la nascita, la direzione e la persistenza di azioni volontarie dirette verso un obiettivo” o, più recentemente, come “”l’insieme degli stimoli interni alla persona che portano ad assumere un determinato comp o raggiungere un certo risultato caratterizzandosi per intensità, persistenza e direzione”. Esistono 2 approcci allo studio della motivazione: DETERMINISTICO L’individuo è sostanzialmente una macchina, controllata da bisogni interni e sollecitata da stimoli esterni, capace di apprendere i comp più funzionali al soddisfacimento di tali bisogni e al raggiungimento di una condizione di piacere. Rientrano le teorie psicoanalitiche, etologiche, socio biologiche, il comportamentismo e la Gestalt. Ci sono dei costrutti ricorrenti: 3.La motivazione lavorativa Nel contesto lavorativo è possibile riconoscere due ambiti di investimento motivazionale: INTENZIONALISTICO L’individuo è una divinità capace di autodeterminarsi in funzione di intenzioni e progetti, prendere decisioni, definire strategie comportamentali volontariamente indirizzate a realizzarli. Il cognitivismo, il costruttivismo e l’interazionismo sociale rappresentano le più note teorie che si collocano all’interno di questo approccio. EDONISMO Si intende la propensione a massimizzare il piacere, la soddisfazione e gli stati emotivi positivi ed evitare la sofferenza, il dolore e gli stati emotivi negativi. All’interno di questo principio generale vi possono essere significative differenze individuali sia nella valutazione delle esperienze che conducono a sperimentare piacere o dolore, sia nella capacità di transitare per un’esp emotiva spiacevole al fine di conseguirne una piacevole in futuro. OMEOSTASI Le p tendono a cercare uno stato di equilibrio interiore, in cui le esigenze sono soddisfatte. Ci sono motivazioni omeostatiche, ma anche antiomeostatiche, che risultano orientata al cambiamento alla trasformazione dello stato di equilibrio presente in un certo momento, in modo da pervenire ad un nuovo di equilibrio più soddisfacente. MOTIVAZIONE INTRINSECA vs ESTRINSECA Quando la motivazione deriva dallo svolgimento dell’attività in sé, e dunque l’individuo agisce per fare quello che fa, senza altri scopi, si parla di motivazione intrinseca; quando l’azione non è di per sé motivante, ma la si compie perché ad essa è associata una ricompensa, si parla di motivazione estrinseca. Ci possono essere situazioni “miste”, ovvero in cui a un’attività di per sè motivante è attribuita anche una ricompensa (es. portivo che viene pagato per giocare).  La PRESTAZIONE: corrisponde al fare per l’organizzazione realizzare delle attività, raggiungere obiettivi di produzione, perseguire il miglioramento continuo;  L’APPARTENENZA: ha a che fare con lo stare nell’organizzazione sentirsi parte, identificarsi con l’azienda, manifestare fedeltà e lealtà, costruire buone relazioni. Questa distinzione, tuttavia, non va intesa con rigidità infatti, il concreto agire organizzativo porta con sé elementi di entrambe le dimensioni. Tuttavia, può essere utile poter distinguere tra profili motivazionali orientati prevalentemente all’una (“mercenari”, innamorati del proprio lavoro ma disinteressati dell’azienda per cui lo fanno) o l’altro (networked coinvolti nelle relazioni e orgogliosi di lavorare per la propria azienda ma poco impegnati a raggiungere gli obiettivi). Prevedere quale “profilo motivazionale” svilupperà un neoassunto è uno dei principali obiettivi delle pratiche di selezione del personale. 4.Le teorie legate ai bisogni Un primo approccio allo studio della motivazione lavorativa ha provato a identificare quali bisogni si collocano alla sua origine: i bisogni insoddisfatti vengono considerati degli stati interiori che generano uno stato di disequilibrio, da cui deriva un comp diretto a ripristinare l’equilibrio. Queste teorie risultano ancora oggi di interesse in quanto smentiscono uno degli assunti più diffusi nel senso comune: “si lavora solo per guadagnare“. Al contrario, esse consentono di spiegare che mediante il lavoro soddisfano bisogni più ampi. E questa è la ragione per cui la motivazione lavorativa frequentemente non si esaurisce quando l’individuo dispone di una grande quantità di denaro, a volte le persone rinunciano ad andare in pensione, pur avendone la possibilità, perché preferiscono continuare a lavorare. 4.1.MASLOW E LA GERARCHIA DEI BISOGNI 4.3.MCCLELLARD E IL BISOGNO DI RIUSCITA Anche la proposta di MCCLELLARD (1961) si esprime in un modello caratterizzato dalla presenza di 3 bisogni: 4.3.MCCLELLARD E IL BISOGNO DI RIUSCITA Anche la proposta di MCCLELLARD (1961) si esprime in un modello caratterizzato dalla presenza di 3 bisogni. BISOGNI: SUCCESSO AFFILIAZIONE POTERE Secondo l’autore, in base al principio di FRUSTRAZIONE-REGRESSIONE, quando i bisogni di un livello superiore non sono soddisfatti le p incrementeranno gli sforzi per soddisfare i bisogni di un livello inferiore. Allo stesso modo, il soddisfacimento dei bisogni di ordine inferiore porterà le p a desiderare di soddisfare i bisogni di ordine superiore. A differenza di MASLOW, in questo modello i differenti tipi di bisogni possono essere contemporaneamente attivi: è sufficiente un livello minimo di soddisfazione dei bisogni di esistenza per provare il desiderio di sviluppo. A differenza di ALDERFER e MASLOW, secondo l’autore l’educazione gioca un ruolo fondamentale nella dinamica motivazionale di ciascun individuo, in quanto è attraverso essa che viene a definirsi quale sarà il bisogno prevalente. Secondo l’autore la personalità dell’individuo può essere descritta in base al tipo di bisogno che risulta dominante, è, quindi, possibile individuare “3 TIPI IDEALI”: 4.4.LA TEORIA DELL’AUTODETERMINAZIONE DI DECI E RYAN Osservando la vita quotidiana delle p, si può rilevare come esse siano curiose, vitali, desiderose di imparare, di assumere responsabilità e di mettersi alla provaAUTOMOTIVATE. Allo stesso tempo, ci sono situa in cui emergono disimpegno, passività e alienazione. A partire da queste considerazioni DECI e RYAN si sono proposti di approfondire la dinamica alla base della motivazione intrinseca vs estrinseca, e in particolare di identificare quali sono i fattori che facilitano o ostacolano la piena espressione dell’agenticità umana. HIGH ACHIVERS Le p definiranno gli obiettivi ambiziosi e faranno di tutto per raggiungerli, anche in assenza di una ricompensa. Il raggiungimento degli obiettivi è impo per se stesso e non per i premi che lo accompagnano. Si tratta di p che desiderano raggiungere l’eccellenza professionale, ricercano obiettivi qualitativamente molto elevati e lavorano con maggiore impegno. È impo che le cause del successo siano completamente attribuiti al contributo del sogg e che il feedback sia immediato, chiaro e diretto. Le situa devono essere sfidanti, ma non impossibili, altrimenti il bisogno di successo lascia posto alla manifestazione motivazionale complementare, rappr dal bisogno di evitare l’insuccesso (LOW ACHIVERS). HIGH AFFILIATORS Sono orientati verso la ricerca di buone relazioni, della cooperazione e di un clima sociale positivo all’interno dei gruppi di appartenenza. Le p tenderanno a lavorare soprattutto con coloro che si mostrano amichevoli, poiché desiderano sviluppare, prima di tutto, relazioni confidenziali e supportive. Essi non traggono piacere nel raggiungimento di HIGH NEEDY OF POWER Desiderano esercitare influenza sul proprio ambiente di vita e sulle altre p, e saranno molto proattivi nel fare proposte e ipotesi di soluzione ai problemi, così come nello stabilire cosa ciascuno deve fare quando ci si organizza in vista di un obiettivo comune. Essi utilizzeranno qualsiasi condizione di superiorità cui sia possibile fare appello pur di far prevalere la propria intenzione. Gli autori hanno ipotizzato la presenza di 3 bisogni fondamentali: Se la p, nella sua esperienza ha modo di soddisfare uno o più di questi bisogni, risulterà intrinsecamente motivato ad agire nella specifica situa che si trova a vivere, mentre se ciò non è possibile, la motivazione dipenderà dalla ricompensa associata allo svolgimento delle attività e al raggiungimento degli obiettivi. Tra questi due estremi, troviamo 4 tipi di comp motivati in modo estrinseco, che si differenziano in base al grado in cui la loro regolazione è autonomia: nelle organizzazioni di lavoro è impo generare le giuste condizioni per avvicinare le modalità di regolazione dell’azione verso l’autodeterminazione, in quanto ciò può generare maggiore autoefficacia, persistenza, benessere e integrazione nel gruppo. Le modalità con cui attuare questa trasformazione consistono nel far sentire le persone competenti, autonomo e in relazione, ovvero nel consentire di soddisfare i 3 bisogni generali previsti dalla teoria, senza esercitare eccessive pressioni, che portano a soffocare la naturale propensione ad agire che ciascuno è in grado di esprimere. 4.5.LA TEORIA BIFATTORIALE DI HERZBERG Secondo HERZBERG esistono 2 tipi di bisogni che le p possono soddisfare all’interno dell’esp lavorativa: All’estremo opposto, vi è la non-motivazione, quello che gli autori chiamano “lo stato in cui manca l’intenzione di agire che deriva dal non prendere in considerazione un’attività, non sentirsi in grado di svolgerla oppure non aspettarsi che conduca ad un risultato desiderato”. COMPETENZA È il desiderio di sentirsi capaci di poter superare le sfide che si incontrano. AUTONOMIA È il desiderio di sentirsi liberi di fare a modo proprio. RELAZIONALITÀ È il desiderio di sentirsi vicini agli altri. La motivazione intrinseca ha origine all’interno della p, e in questa condizione la p sperimenta interesse, soddisfazione e piacere per quello che fa. Comp a regolazione ESTERNA (messi in atto per soddisfare una richiesta oppure ottenere una ricompensa). Comp a regolazione tramite INTROIEZIONE (messi in atto per evitare il senso di colpa o per sentirsi orgogliosi). Comp a regolazione tramite IDENTIFICAZIONE (messi in atto perché ritenuti impo). Comp a regolazione INTEGRATA(messi in atto in quanto coerenti con i propri bisogni e valori). È da evitare la trasformazione di una motivazione intrinseca in estrinseca: ciò potrebbe avvenire a causa di una inadeguata gestione delle ricompense, ad esempio un’azienda che retribuisce comportamenti di cittadinanza organizzativa che in precedenza erano svolti volontariamente: se la ricompensa viene giudicata in adeguata, o se l’azienda cessa di erogarla, si avrà una diminuzione dell’impegno in tali comportamenti, in quanto il loro controllo è stato spostato dall’interno all’esterno. I primi corrispondono ai primi 3 livelli della piramide i MASLOW, e ven ono soddisfatti dalla presenza di quelli che egli definisc FATTORI DI IGIENE: retribuzione, t tela della salute sicurezza, pre enza di un clima relazionale positivo. Se questi bisogni non vengono soddisfatti, la p si troverà in una condizione di demotivazione e cercherà opportunità di lavoro. Se vengono soddisfatti, non ci sarà nè demotivazione nè motivazioni: essi rappresentano le condizioni minime per poter attivare un rapporto di lavoro, ma non sono fonte di vera e propria soddisfazione e motivazione lavorativa. I secondi, che corrispondono ai bisogni di stima e autorealizzazione di MASLOW, vengono soddisfatti dai FATTORI MOTIVAZIONALI: le responsabilità attribuite, i riconoscimenti ottenuti, l’apprendimento di nuove competenze. In presenza di questi elementi, la p percepirà soddisfazione e motivazione lavorativa, a patto però che siano presenti anche i fattori di igiene. 5.1.LA TEORIA DELL’ASPETTATIVA DI VROOM Secondo VROOM è possibile prevedere il livello di attivazione motivazionale connesso con una sequenza comp mediante l’analisi di 3 variabili: Poiché le 3 variabili si collocano in una relazione moltiplicativa, la teoria di VROOM prevede che sia sufficiente che una sola di esse sia prossima allo 0 per produrre come esito un drastico calo dell’investimento motivazionale. Sebbene vi siano stati risultati contraddittori circa la validità della teoria, essa identifica delle variabili che hanno un significativo impatto sulle decisioni individuali relative all’energia da investire nei contesti lavorativi. 5.2.LA TEORIA DELL’EQUITÀ DI ADAMS ADAMS ritiene impo sia il confronto tra impegno e risultato per se stessi, sia l’osservazione di come questo rapporto si presenta per gli altri. L’EQUITY THEORY, di ADAMS ipotizza 3 processi principali, riferiti a: VALENZA Ovvero la misura di quanto intensamente si desidera ricevere la ricompensa associata all’esecuzione di un’attività o al raggiungimento di un obiettivo. ASPETTATIVE Ovvero la probabilità di essere in grado di eseguire l’attività o di raggiungere l’obiettivo. SRUMENTALITÀ Cioè la stima del legame tra l’esecuzione dell’attività o il raggiungimento dell’obiettivo da un lato e l’ottenimento della ricompensa dall’altro. FORZA DELLA MOTIVAZIONE = VALENZA X ASPETTATIVA X STRUMENTALITÀ percezione di equità nelle relazioni interpersonali. allineamento vs scarto tra contributo fornito e risultato ottenuto. misurazione dell’equità in termini di relativizzazione di tale equità per confronto con quanto accade ad altri sogg. Una p sarà tanto più motivata quanto più alta risulterà l’equità percepita nel rapporto tra contributo fornito (competenze, cura) e risultato ottenuto. Viceversa, in caso di inequità “positiva” (risultato maggiore del contributo), egli difficilmente aumenterà il contributo, piuttosto vi sarà una “ristrutturazione mentale”(si tenderà a riformulare la valutazione, diminuendone la positività). La p, inoltre, valuterà in che misura altre p, a fronte dello stesso contributo, ottengono anche lo stesso risultato. Se da questo confronto emergerà una percezione di equità, allora la forza della motivazione potrà aumentare, mentre in presenza di un’inequità “negativa” (quando gli altri ottengono lo stesso risultato per contributi inferiori o risultati maggiori per uno stesso contributo), si tenderà al disimpegno. In presenza di un’inequità “positiva” (risultati inferiori per uno stesso contributo) difficilmente aumenterà il contributo offerto, bensì si potrà ignorare il confronto fatto e cercare termini di paragone più convenienti. 5.3.LA TEORIA DEL GOAL-SETTING DI LOCKE LOCKE che ha preso in considerazione la relazione esistente tra obiettivi consapevoli, intenzioni e prestazione, giungendo a riconoscere come gli obiettivi siano le più impo determinanti cognitive del comp lavorativo. Secondo LOCKE gli obiettivi influenzano il comp motivato in quanto: In presenza di obiettivi si agisce in modo più efficace sia in termini di “processi di pensiero” (attenzione, concentrazione..), sia in termini “energetici” (sforzo e persistenza). Questo vantaggio si realizza a patto che gli obiettivi siano ritenuti impo, cioè significativi. dirigono l’attenzione e la concentrazione mobilitano lo sforzo sul compito incoraggiano la persistenza di tale sforzo facilitano l’elaborazione di strategie Inoltre, risultano più motivanti obiettivi chiari, specifici e sfidanti, ma non impossibili da raggiungere. Un obiettivo molto complesso e raggiungibile nel lungo termine, potrà essere motivante solo se verrà articolato in diversi sotto-obiettivi a breve termine, e se al raggiungimento si ciascuno di essi seguirà un feedback sul risultato ottenuto e sul grado di avvicinamento all’obiettivo finale. 5.4.IL MODELLO RICHIESTE-RISORSE LAVORATIVE E IL COSTRUTTO DI ENGAGEMENT Secondo gli autori del modello, benessere e prestazione sono influenzati dal livello di equilibrio tra caratteristiche positive (RISORSE ) e caratteristiche negative (RICHIESTE) che qualificano il lavoro svolto dalle p. Le richieste lavorative rappresentano quegli aspetti fisici, sociali e organizzativi del lavoro che richiedono uno sforzo fisico o mentale, e che sono quindi associati ad alcuni costi fisiologici e psicologici. Le risorse lavorative sono quegli aspetti fisici, sociali o organizzativi del lavoro caratterizzati da uno o più dei seguenti aspetti:  Sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi lavorativi;  Riducono le richieste lavorative e i costi fisiologici e psicologici associati;  Stimolano la crescita e lo sviluppo personale. IN SINTESI  i differenti profili di personalità hanno un potenziale motivazionale che può essere attivato dal contesto, specificatamente nel momento in cui risultano maggiormente presenti occasioni di gratificazione dei bisogni che ciascun profilo di personalità porta a percepire come più rilevanti; dall’altro, che la coscienziosità e la stabilità emotiva, in base alle ricerche fin qui svolte, sembrano essere le dimensioni di personalità che si associano a un maggior investimento di energie nel lavoro. 6.Gli interventi in organizzazione Qualsiasi organizzazione è interessata ad alimentare e promuovere la motivazione dei propri dipendenti. Se si guarda la letteratura, esistono molti manuali che suggeriscono tecniche e tattiche finalizzate a questo scopo. 6.1.La progettazione del lavoro Tra i modelli che hanno ispirato proposte relative alla progettazione del lavoro, vi sono quello di HERZBERG e ARGYRIS, cui si deve la genesi di pratiche relative al: JOB ENLARGEMENT Una strategia di integrazione di tipo orizzontale volta a promuovere la varietà delle attività da svolgere attraverso l’attribuzione di un maggior numero di compiti con contenuti professionali differenti, ma con uguali caratteristiche di discrezionalità. JOB ENRICHMENT Una strategia di integrazione di tipo verticale volta a favorire un aumento del grado di responsabilità rispetto a ciascun compito mediante l’acquisizione di spazi di discrezionalità in precedenza attribuiti a un livello gerarchico superiore. JOB ROTATION Una strategia di integrazione che si realizza nel corso del tempo mediante l’assegnazione a posizione organizzative differenti che prevedono compiti con caratteristiche di discrezionalità analoghe e richiedono competenze simili per essere svolti. Gli autori hanno puntato a evidenziare il potenziale di motivazione intrinseca presente nelle attività di lavoro e a sottolineare come in molti casi questo potenziale venga limitato a causa di errori nella progettazione dei compiti da assegnare a ciascun attore organizzativo. Tali autori criticano la propensione di stampo taylorista a un’eccessiva parcellizzazione delle attività, che in questo modo perdono di significato e di interesse per gli individui chiamati a realizzarle. Le 3 principali strategie di integrazione (job enlargement, job enrichment e job rotation) vengono proposte per rimediare a questi errori. Secondo questi autori i fattori intrinseci motivanti di una mansione sono costituiti: La contemporanea presenza di queste 3 condizioni dà origine a una carica motivazionale, interna alla persona, che a sua volta genera soddisfazione e disponibilità a impegnarsi. Affinché ciò avvenga, ogni mansione assegnata a una posizione organizzativa deve essere progettata in modo da tenere in considerazione 5 caratteristiche: Attraverso la valutazione di tutte le variabili considerate si può giungere a determinare quello che gli autori definiscono come “livello di motivazione potenziale”: ovvero un punteggio che riflette la probabilità un lavoro attivi un’elevata motivazione intrinseca. Della SIGNIFICATIVITÀ, l’individuo deve percepire il suo lavoro come degno di valore o importante per il suo sistema di credenze. Dalla RESPONSABILITÀ, l’individuo deve essere certo di rispondere personalmente dei risultati ottenuti con i propri sf rzi. Dalla CONOSCENZA DEI RISULTATI, l’individuo deve essere in grado di determinare se gli esiti del lavoro sono soddisfacenti oppure no. VARIETÀ DELLE ABILITÀ RICHIESTE Quante più sono le abilità richieste dai compiti assegnati tanto meno si percepirà monotonia. IDENTITÀ DEL COMPITO Grado di completezza delle proprie attività rispetto al processo nel suo insieme e all’obiettivo finale. SIGNIFICATO DEL COMPITO Impo dei compiti che si svolgono e capacità di influenza sulle attività degli altri. AUTONOMIA NELL’ESECUZIONE Possibilità di effettuare scelte e risolvere problemi nel corso dello svolgimento dei compiti. FEEDBACK RICEVUTI IN RELAZIONE AI RISULTATI RAGGIUNTI Info di ritorno relative all’efficacia e alla qualità delle proprie prestazioni. Tra gli interventi proposti dagli autori per incidere sulla motivazione potenziale ci sono: 6.2.Il Management by Objectives La teoria del GOAL-SETTING di LOCKE evidenzia come una gestione per obiettivi dei processi di lavoro favorisca la motivazione delle p, confermando l’intuizione che l’economista DRUKER aveva sintetizzato nella proposta del MANAGEMENT BY OBJECTIVES (MBO). Secondo l’autore quando i lavoratori vengono coinvolti nella definizione degli obiettivi e hanno un buon grado di autonomia nella scelta del corso di azione da seguire per raggiungerli, saranno più propensi a sentirsi responsabilizzati circa il conseguimento degli obiettivi stessi, e dunque a investire energie nel lavoro. Uno stile direttivo basato sul comando e controllo, invece, può condurre a esiti di deresponsabilizzazione e disimpegno dei lavoratori. La sfida della gestione per obiettivi è rappresentata dalla necessità di declinare gli obiettivi generali dell’organizzazione in obiettivi specifici attribuiti alle differenti unità di lavoro (da livello macro a livello micro). Una politica di MBO comprende 4 principali passaggi: Nella letteratura manageriale queste caratteristiche degli obiettivi sono state riassunte nella formula SMART OBJECTIVES dove SMART è l’acronimo di “specific, measurable, assignable, relevant e time based”. COMBINARE I COMPITI Piccoli compiti dovrebbero essere raggr originandon e uno più complesso ORGANIZZARE UNITÀ DI LAVORO NATURALI Non è opportuno frammentare le attività che si presentano in modo unitario e possiedono al loro interno un senso compiuto. STABILIRE UNA RELAZIONE CON I CLIENTI In questo modo i lavoratori possono percepire più facilmente l’utilità di ciò che fanno e ottenere feedback sulla loro prestazione. ATTRBUIRE RESPONSABILI TÀ PERSONALI Le p devono sentirsi direttamente responsabili dei risultati del proprio lavoro. INCREMENTAR E LA DISCREZIONA LITÀ APRIRE DIVERSI CANALI DI FEEDBACK L’INDIVIDUAZIONE CONDIVISA: L’individuazione degli obiettivi è esito di un confronto al quale concorrono sia i capi sia i collaboratori che giungono a un accordo relativo agli aspetti qualitativi (il contenuto degli obiettivi), e quantitativi (livello di risultato atteso). LA SPECIFICAZIONE IN TERMINI MISURABILI: gli obiettivi assegnati ai differenti attori organizzativi consistono in una sintetica illustrazione del risultato atteso. L’ASSEGNAZIONE DI UN TRAGUARDO TEMPORALE: ciascun obiettivo ha un periodo di tempo entro il quale deve essere raggiunto (3-6 mesi, 1 annoobiettivi a breve termine; 2-3 anni obiettivi a medio termine). IL MONITORAGGIO DI FEEDBACK: verificare a intervalli regolari (ogni 2 settimane, ogni mese, ogni 2 mesi) il grado di raggiungimento degli obiettivi concordati, o di avvicinamento ad essi. 2 SODDISFAZIONE SUL LAVORO E AFFETTIVITÀ LAVORATIVA 1.Introduzione Le p hanno atteggiamenti diversi verso il loro lavoro. Questi atteggiamenti variano rispetto a molte dimensioni, tra le quali:  l’obiettivo;  la specificità;  l’intensità;  la salienza;  la stabilità. Un particolare atteggiamento verso il lavoro è la SODDISFAZIONE LAVORATIVA. 1.1.Definizione e natura della soddisfazione lavorativa La soddisfazione lavorativa è una serie di risposte psicologiche multidimensionali del proprio lavoro. Queste risposte hanno componenti COGNITIVE (VALUTATIVE) e AFFETTIVE (EMOZIONALI). Distinguere queste due componenti non nega il loro stretto e inseparabile legame. La soddisfazione lavorativa si riferisce a valutazioni interne all’individuo della gradevolezza del proprio lavoro. Queste valutazioni possono rivelarsi all’esterno oppure all’interno. Queste risposte possono essere organizzate lungo continuum che vanno da buono a cattivo e da positivo a negativo. Possono essere quantificate utilizzando tecniche di misurazione che colgono la valutazione di aspetti o caratteristiche del lavoro, le risposte emotive ad eventi che accadono sul posto di lavoro e, a seconda di come gli atteggiamenti sono definiti, disposizioni comportamentali, intenzioni e comportamenti agiti. La soddisfazione lavorativa ha una MULTIDIMENSIONALITÀ che riguarda tutta l’esperienza lavorativa e comprende componenti specifiche, ovvero quando l’individuo è soddisfatto con aspetti specifici del suo lavoro (es. la paga, i colleghi..). La concezione tripartita classica degli atteggiamenti, che comprende elementi cognitivi, affettivi e comportamentali, è andata incontro ad un processo di progressiva erosione in psicologia del lavoro. Con l’EVOLUZIONE AFFETTIVA si riconosce che le reazioni affettive hanno una componente valutativa. Le risposte affettive sono più di una mera valutazioni, tanto quanto i giudizi valutativi non hanno natura affettiva, sebbene gli stati affettivi possono influenzare i giudizi valutativi. La soddisfazione lavorativa è una reazione affettiva (ovvero emozionale) ad un lavoro che risulta dal confronto operato dal dipendente da ciò che ha e con ciò che desidererebbe avere. WEISS e CROPANZANO hanno sostenuto che l’affettività e l’umore al lavoro rappresentano componenti importanti degli atteggiamenti e anche potenziali ed importanti predittori dei comportamenti lavorativi. Esiste una possibilità che le emozioni provate al lavoro possano traboccare in maniera più generale degli altri atteggiamenti lavorativi, influenzando altri comportamenti non lavorativi collegati al benessere emotivo dell’individuo. 1.2.Similarità concettuali e differenze empiriche tra atteggiamenti sociali e lavorativi Quando identifichiamo un atteggiamento verso uno specifico ogg, abbiamo solo identificato il generale orientamento di un gruppo di p rispetto a quell’ogg; non abbiamo, però, identificato se o come essi possano decidere di mettere in atto un comp specifico rispetto allo stesso ogg. È importante distinguere tra: SODDISFAZIONE LAVORATIVA E COMPORTAMENTI LAVORATIVI: Gli atteggiamenti lavorativi sono robustamente correlati ad una larga varietà di specifici comportamenti lavorativi: Gli atteggiamenti verso il lavoro possono essere più salienti e accessibili per i lavoratori rispetto agli atteggiamenti sociali. Un lavoro non è qualcosa a cui pensare solo occasionalmente. Il lavoro è una presenza costante nella vita delle p. Le p sono sempre consapevoli della soddisfazione che hanno verso il proprio lavoro. Gli atteggiamenti sono altamente personali. I diversi aspetti della soddisfazione lavorativa includono valutazioni del proprio lavoro, delle attività che ci identificano e dunque non sono assimilabili a valutazioni di un concetto astratto, quali sono spesso gli atteggiamenti sociali. ATTEGGIAMENTI VERSO UN OGGETTO. INTENZIONI COMP DI PORTARE A TERMINE UN CERTO ATTO. ATTEGGIAMENTI VERSO UN COMPORTAMENTO. Questi 2 predicono Stabiliscono la corrispondenza tra atteggiamento e atto. RITIRO DAL COMPITO RITIRO DAL LAVORO TENTATIVI DI CAMBIARE LE CARATTERISTICHE DI UNA SITUA LAVORATIVA Presenza al lavoro Ritiro psico Comp prosociali Decisione di andare in pensione Turnover Voti per l’elezione dei rappr sindacali Attività precedenti il voto Riflettono tentativi di ritirarsi dai compiti lavorativi mantenendo però l’appartenenza all’org. Rappr tentativi di cambiare le caratteristiche di una situa lavorativa SODDISFAZIONE LAVORATIVA E PRESTAZIONE LAVORATIVA: La soddisfazione lavorativa correla con la prestazione lavorativa. Se non è possibile evitare i sentimenti negativi generati dal lavoro, si tende ad evitare il lavoro più che si può, mettendo in atto comp di ritiro dal lavoro. Gli atteggiamenti lavorativi, se forti abbastanza, possono condurre al ritiro dal lavoro attr il pensionamento o l’abbandono. 2.Modelli teorici della soddisfazione lavorativa Individuiamo vari modelli teorici della soddisfazione lavorativa. Questi modelli cercano di rendere conto degli antecedenti e della complessità degli atteggiamenti lavorativi che si riscontrano nelle p che lavorano. 2.1.Il MODELLO CORNELL Rappr un fondamento teorico per gli studi successivi e da questo derivano: Questo modello considera il ruolo dei fattori esterni alla p e all’org e l’impatto che nanno sulle p. Il MODELLO CORNELL si differenzia da altre teorie sugli atteggiamenti lavorativi per l’influenza assegnata alle CORNICI DI RIFERIMENTO sulle valutazioni degli esiti lavorativi. Le cornici di riferimento possono essere definite come gli standard che le p usano per valutare i risultati ottenuti tramite il proprio lavoro. Le cornici di riferimento sono considerate dei moderatori degli effetti dei risultati del lavoro sui diversi aspetti della soddisfazione lavorativa, nel senso che se un certo livello di risultato è giudicato soddisfacente dipende in modo fondamentale dagli standard posseduti dalle persone. Questi standard individuali sono influenzati sia dalle passate esp della p, sia dalla condizione economica presente, gli standard di vita e i valori. Da studi emerge che ci sono robuste correlazioni negative tra livello economico di una comunità e atteggiamenti verso il lavoro e correlazioni positive tra diffusione di condizioni abitative non ottimali e soddisfazione lavorativa. Questo perché le persone con condizioni di vita migliori hanno minore soddisfazione lavorativa. Le persone che vivono in comunità più povere tendono a valutare positivamente il proprio lavoro perché le alternative potrebbero essere peggiori. Le alternative sono simili alle cornici di riferimento, tuttavia: UTILITA' vs CORNICI DI RIFERIMENTO: La prima agisce sulla valutazione degli INPUT, le seconde sulla valutazione degliOUTPUT. Se vi è molto lavoro, vi è l'utilità di scartarlo per occupare posizioni specifiche, al contrario, se il mercato del lavoro è in crisi le p attribuiranno meno importanza agli INPUT e saranno più soddisfatti del loro lavoro il JOB DESCRIPTIVE INDEX (questionario per misurare la soddisfazione lavorativa). Il RETIREMENT DESCRIPTIVE INDEX 3.Confronto tra modelli teorici Questo modello integrativo è molto simile al modello CORNELL. Ciò che offre questo modello, tuttavia, è la possibilità di aggiungere al modello CORNELL 2 componenti impo: ORIGINE DELLE INFLUENZE SUGLI ATTEGGIAMENTI RISPETTO AL LAVORO: Nessuna di queste teorie che legano una vasta varietà di antecedenti aI vari elementi della soddisfazione attraverso il meccanismo delle valutazioni cognitive e dei confronti con gli standard individuali e con risultati del SINTESI sebbene gli psicologi del lavoro abbiano studiato numerosi tratti in relazione alla soddisfazione lavorativa, appare chiaro che le CSE rappr le associazioni più robuste con il concetto. Sebbene si possa essere fiduciosi nel valore predittivo delle CSE, esso rappresenta un concetto complesso e devono essere ancora condotto ricerche mirate. Il riconoscimento che i contributi personali (imput) e i risultati del ruolo lavorativo devono essere contestualizzati. Inclusione del processo di confronto come variabile a sé stante. VALUE PERCEPT MODEL JCM CORE-SELF EVALUATIONS MODELLI DISPOSIZIONALI MODELLO DI CORNELL Solo questo enfatizza l’influenza di variabili macro, o di variabili esogene, esterne al lavoro dell’individuo. Enfatizzano l’influenza delle caratteristiche del lavoro, con l’influenza di ciascun caratteristica del lavoro presumibilmente moderata dal valore o dal GNS della p. Pongono l’accento sulle influenze dirette dalla persona e dalle altre micro- variabili. lavoro, include riferimenti alle emozioni al lavoro che possono essere suscitate da eventi lavorativi. L’affettività è stata non considerata al punto da essere completamente sparita dallo studio degli atteggiamenti. Tuttavia, questo non vuol dire che le valutazioni cognitive del proprio lavoro siano del tutto prive di contenuto emotivo. 4.Nuovi sviluppi teorici 4.1.Employee engagement e job satisfaction La soddisfazione lavorativa è stato l’atteggiamento lavorativo più studiato. Tuttavia, è stato proposto un altro nuovo atteggiamento lavorativo: l’EMPLOYEE ENGAGEMENT. MACEY e SCHNEIDER, nell’ambito di questo atteggiamento, hanno proposto una distinzione tra assorbimento ed entusiasmo per i compiti lavorativi da una parte, e sazietà e appagamento dall’altra. Questi autori sostengono che i primi siano il motore della prestazione lavorativa. Ma, poiché ci sono vari problemi si rende chiara l’importanza di continuare ad investire nello studio della soddisfazione lavorativa, che dovrebbe essere considerato il termine di paragone con il quale confrontare qualunque nuovo costrutto. 4.2.Work role affect La de-enfatizzazione della componente affettiva degli atteggiamenti sociali è andata in parallelo con lo stesso trattamento riservato all’affetto o alle emozioni all’interno degli atteggiamenti lavorativi. WEISS e CROPANZANO hanno richiamato l’attenzione sul disinteresse mostrato dalla ricerca per le tematiche connesse all’affettività e hanno proposto una teoria degli atteggiamenti che enfatizza l’affettività, ponendola allo stesso piano delle valutazioni cognitive, ipotizzando antecedenti differenti per le valutazioni cognitive e affettive. Questa teoria, denominata la TEORIA DEGLI EVENTI AFFETTIVI (AET), enfatizza legami tra eventi lavorativi e affettività lavorativa. La teoria ipotizza legami tra stati affettivi al lavoro e i comportamenti spontanei concomitanti, quali ad esempio il ritiro dal lavoro e i comportamenti di cittadinanza organizzativa, piuttosto che comportamenti più ragionati e messi nato a distanza di tempo maggiore come il turn-over e il pensionamento. L’affettività viene definita come le reazioni emotive degli individui ad aspetti del proprio lavoro e ad eventi che accadono mentre sono al lavoro. Come un individuo si sente al lavoro. Questi eventi e i cambiamenti negli stati affettivi che innescano possono essere effimeri, oppure avere un’influenza più lunga su come le persone valutano il proprio lavoro. Gli stati affettivi e i sentimenti innescati dagli eventi lavorativi hanno importanti conseguenze sui comportamenti lavorativi. L’AET si differenzia da altri approcci per: Gli stati affettivi sul lavoro sono dinamici. Gli eventi lavorativi sono imprevedibili e la loro influenza contribuisce alla natura dinamica dell’affettività esperita sul posto di lavoro. Un aspetto importante e di questo nuovo approccio allo studio degli atteggiamenti lavorativi è la possibilità di indagare l’esistenza di relazioni osservate a livello del singolo individuo che possono essere diverse da quelle che si osservano quando si prende in esame un campione intero di individui. Esempio: a livello di analisi tra individui, coloro che stimano livelli più alti di affettività positiva, tendono a mettere in atto un numero maggiore di comportamenti di cittadinanza organizzativa. A livello del singolo individuo la relazione è negativa, le persone riportano livelli più bassi di affettività positiva mentre sono impegnata ad aiutare qualcuno. Non bisogna aspettarsi di trovare necessariamente le stesse relazioni oppure relazioni necessariamente opposte o di entità molto diversa a diversi livelli di analisi. La distinzione fatta tra cognizione e affettività è imperfetta. Quando le persone valutano il proprio lavoro entrano in gioco sia processi affettivi che processi cognitivi e, sebbene si sia assunto finora che le cognizioni siano meno effimere degli stati affettivi, questa assunzione è piuttosto relativa e a volte potrebbe risultare addirittura del tutto falsa. A livello neurologico, l’affettività e le cognizioni potrebbero essere davvero inseparabili. La cognizione di ordine superiore si basa su input valutativi sottoforma di emozioni; le cognizioni e le emozioni sono connesse inestricabilmente nella nostra architettura psicologica. Quando le persone pensano al proprio lavoro, esse esperiscono stati affettivi generati da ciò che pensano. Le persone esperiscono stati affettivi mentre sono al lavoro e riflettono su questi stessi stati affettivi. È possibile che siano necessari sforzi cognitivi per far fronte alle emozioni esperite al lavoro, al fine di poter continuare a svolgere la propria attività efficacemente. Gli stati cognitivi ed affettivi sono pertanto strettamente collegati, sia livello psicologico che psicobiologico. Evidenze indicano che quando gli individui mettono in atto alcune specifiche operazioni mentali, esiste una relazione reciproca tra aree celebrale specializzate nel processare le emozioni e quelle specializzate nel processare le cognizioni. Una versione modificata del modello AET include la personalità tra i moderatori delle influenze sia delle cognizioni a livello di analisi inter-individuale, che degli stati affettivi a livello intra-individuale. Gli eventi lavorativi possono produrre un tipo di effetto per una certa persona e un effetto diverso per un’altra. Esempio: un’interazione sociale può indurre umore positivo in una persona estroversa e risultare stressante per una persona introversa. 4.3.Personalità, variabilità intra-individuale e core self-evaluations Le distinzioni tra strutture e caratteristiche del lavoro ed eventi lavorativi Enfasi sugli stati emotivi come componenti degli atteggiamenti Relazioni ipotizzate tra affetto sul lavoro e comportamenti influenzati dagli stati affettivi da una parte, e tra la soddisfazione lavorativa e i comportamenti influenzati dalle valutazioni cognitive del lavoro dell’altra. L’ipotesi è che le disposizioni moderino il legame tra eventi e stati affettivi. Per molto tempo, lo studio delle emozioni rispetto al comp organizzativo è stato trascurato. La situa è iniziata a cambiare negli anni ’80 in seguito alla pubblicazione di “Per amore o per denaro: La commercializzazione della vita intima”, che ha introdotto il concetto di lavoro emotivo; e dai successivi studi di RAFAELI e SUTTON. A partire dagli anni ‘9’, i lavori di PEKRUN e FRESE e di ASHFORTH e HUMPHREY hanno suscitato un interesse ancora più forte. Tuttavia, lo slancio verso lo studio dell’affettività e delle emozioni nel contesto lavorativo è avvenuto nel 1996 con l’introduzione della TEORIA DEGLI EVENTI AFFETTIVI (AET). In questa teoria, WEISS e CROPANZANO postulano che nell’ambiente lavorativo le p siano esposte a diversi “EVENTI AFFETTIVI” che inducono delle risp affettive, le quali a loro volta determinano atteggiamenti e comp. L’interesse è aumentato col tempo. Oggi, l’interesse verso questo tema è attestato dalla serie annuale di libri intitolata “Ricerche sulle emozioni in ambito organizzativo” e da diversi convegni internazionali organizzati sul tema. Nonostante tali progressi, questo settore si mostrava ancora frammentato agli inizi del millennio, gli interessi degli studiosi che se ne sono occupati spaziavano su una molteplicità di temi, tra cui, l’intelligenza emotiva, il lavoro emotivo, sena cercare, però, di integrarli tra di loro. Per risolvere questo problema, ASHKANASY ha messo a punto un modello integrato, comporto di 5 livelli, per l’analisi delle emozioni in ambito org. 2.Un modello multilivello per l’analisi delle emozioni in ambito organizzativo generale del costrutto Questo modello è così composto: LIVELLO DELLE DIFFERENZE INTRA- INDIVIDUALI Il focus è sulle variazioni temporali delle emozioni all’interno della singola p. Gli autori nella AET hanno sostenuto come siano gli “eventi affettivi”, positivi o negativi, affrontati quotidianamente dalle p al lavoro a determinare sia le loro risp comp immediate, sia lo sviluppo di quegli atteggiamenti che possono influenzare il loro comp lavorativo a più lungo termine. LIVELLO DELLE DIFFERENZ E INTER- INDIVIDUA LI Si focalizza sulle differenze tra p e sui loro atteggiamen ti. LIVELLO DELLE RELAZIONI INTERPERSONALI Comprende sia il lavoro emotivo, sia i vari aseptti della comunicazione emotiva, tra cui il riconoscimento di un’emozione attr il tono della voce e delle espressioni facciali. Un modello che analizza le emozioni org a questo livello è quello denominato “INQUADRAMENTO INTEGRATO DAL PROCESSO INTERPERSONALE” di ELFENBEIN. LIVELLO DEL GRUPPO Il focus si sposta sui gruppi e sulla leadership, includendo il tono affettivo del gruppo e il contagio emotivo. LIVELLO DELL’ORGANIZ ZAZIONE Prende in esame l’org nel suo complesso, ed è ispirato al concetto di “clima emotivo” introdotto da DE RIVERA che, nelle intenzioni degli autori, coglie un fenomeno di gruppo oggettivo, ovvero che può essere chiaramente percepito. Questo modello integra i contributi proposti da diversi autori, e concettualizza le emozioni come un processo con una specifica sequenza cronologica. 1)Il processo emotivo inizia quando una p è esposta ad uno stimolo elicitante 2)lo elabora e vi attribuisce un significato 3)sperimentando così degli stati emotivi che 4)determinano atteggiamenti, comp, cognizioni, così come espressioni facciali. 2.1.Livello 1: variabilità emotiva intra-individuale AFFETTIVITÀ POSITIVA/UMORE POSITIVO + creatività + flessibilità cognitiva + attenzione sulle risorse del compito lavorativo + accuratezza nell’elaborazione delle info + efficienti capacità di problem solving + apertura mentale + persistenza nel raggiungimento di esiti desiderati EMOZIONI NEGATIVE Alcuni studi sostengono che provare emozioni negative possa aumentare l’efficienza dei lavoratori. IPOTESI “PIÙ TRISTI, MA PIÙ SAGGI” + monitoraggio stimoli ambientali - suscettibilità alla persuasione - suscettibilità alle persuasioni cognitive(bias) Studi hanno suggerito che il comp lavorativo non sia influenzato solo dalle dinamiche emotive interne al lavoratore. È possibile, infatti, che il lavoratore sia influenzato da “INFUSIONE DELL’AFFETTO”. Questo fenomeno suggerisce una stretta covariazione tra cognizioni e stati affettivi, e dunque che i giudizi sociali possono a volte dipendere dall’umore del momento. In situa di incertezza le p si dimostrano più disposte a correre rischi nel prendere comunque una decisione quando l’umore era positivo, piuttosto che negativo. DATI EMPIRICI A SOSTEGNO DELL’AET: L’AET è una teoria incentrata sul ruolo delle fluttuazioni temporali delle emozioni e dell’umore nelle p al lavoro. Queste fluttuazioni possono essere indagate solo con tecniche di ricerca che permettono di misurare in tempo reale gli stati emotivi dei lavoratori, ed altre variabili ad essi associate. Per questo, i primi studi hanno usato, per la raccolta dei dati, il metodo del diario giornaliero. Tuttavia, l’approccio più diffuso ad oggi è il METODO DEL CAMPIONAMENTO DELL’ESPERIENZA, noto anche come “VALUTAZIONE ISTANTANEA ECOLOGICA”. Gli studi che hanno testato le assunzioni dell’EAT hanno offerto risultati incoraggianti e hanno permesso di offrire risp ad alcune impo domande sulle relazioni dinamiche tra affettività e soddisfazione. Ad esempio, WEISS e colleghi hanno confermato che l’affettività e la soddisfazione lavorativa potevano essere considerati due costrutti correlati ma distinti. 2.2.Livello 2: variabilità emotiva inter-individuale A questo livello, le differenze individuali determinano la frequenza, l’intensità e la durata delle esperienze emotive e di umore, sia positive sia negative. I due aspetti più studiati delle differenze Inter-individuali nell’ambito del comportamento organizzativo sono: I ricercatori tendono ad adottare 3 approcci principali allo studio dell’intelligenza emotiva che corrispondono a 3 correnti di ricerca: 2.3.Livello 3: emozioni a livello interpersonale Si fa riferimento a come le emozioni vengono mostrate e comunicate nelle interazioni diadiche. Infatti, le emozioni svolgono un ruolo chiave nei processi di comunicazione. Autori hanno dimostrato che molte espressioni facciali sono universalmente riconosciute in diverse culture. Nonostante questo, vari autori hanno notato che alcune persone sono più precise nel riconoscere le emozioni manifestate dai membri della loro cultura di appartenenza. I gruppi culturali potrebbero dunque avere un loro “dialetto” emotivo. Le persone si differenziano tra loro per la loro abilità nel riconoscere le emozioni e le espressioni non verbali. AFFETTIVITÀ DI TRATTO WEISS e CROPANZANO hanno indicato che è una caratteristica di personalità associata a stabili differenze tra individui nella regolazione affettiva generale. Per quanto riguarda il contesto organizzativo, l’affettività di tratto positiva e negativa è un utile predittore della prestazione organizzativa. INTELLIGENZA EMOTIVA È il risultato di quattro abilità: l’affettività positiva di tratto prediceva la soddisfazione lavorativa complessiva a livello individuale. L’affettività negativa di tratto è stata indicata come mediatore dell’effetto degli stressor lavorativi sullo sviluppo dei sintomi dello stress, era inoltre associata alla percezione di ingiustizia. L’abilità di percepire le proprie emozioni e quelle degli altri L’abilità di assimilar e le informazi oni attravers o l’elabora zione cognitiva L’abilità di comprend ere la funzione delle emozioni L’abilità di utilizzare gestire le emozioni nei processi decisionali La prima corrente di ricerca si basa sul modello dell’intelligenza emotiva intesa come abilità. Questi studiosi si servono per misurare l’intelligenza emotiva di una misura di abilità. La seconda corrente di ricerca si basa sulla stessa definizione di intelligenza emotiva, ma fa ricorso a misure Self-report o riportate dai pari. La terza corrente di ricerca si basa su altre definizioni del costrutto, e utilizza varie misure Self-report o riportate dai pari. HÄRTEL, HSU e BOYLE hanno evidenziato il fatto che le policy dell’organizzazione sono spesso le determinanti principali degli esiti emotivi individuali e di gruppo. 3.Discussioni e conclusioni Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, GOOTY, GAVIN e ASHKANASY hanno notato delle aree in particolare da indagare: 4 LA DISCRIMINAZIONE NEL LAVORO LEGATA ALL’ETÀ 1.Introduzione La forza-lavoro in gran parte dei paesi industrializzati sta invecchiando soprattutto perché le persone lavorano più a lungo per ragioni economiche e perché la longevità è aumentata. Persone con diverse età tenderanno a lavorare fianco a fianco come mai era successo prima. Di conseguenza, la probabilità che si verifichino discriminazioni legata all’età nei posti di lavoro è in aumento. 2.Stereotipo vs discriminazione Sebbene i termini “stereotipo” e “discriminazione” siano spesso usati come intercambiabili è utile fare una differenziazione. “Stereotipare” si riferisce a un processo di generalizzazione delle caratteristiche di uno specifico gruppo. Gli stereotipi sui lavoratori più anziani includono l’essere più costosi, essere poco disposti ad apprendere, resistere alle nuove tecnologie il cambiamento, ma i lavoratori più anziani sono allo stesso tempo considerati più affidabili. All’opposto, la discriminazione implica la traduzione degli stereotipi in effettivi comportamenti sul posto di lavoro. Stereotipare può essere considerato un processo che è spesso alla base dei comportamenti di discriminazione nei contesti lavorativi. Lo stereotipare può non sempre portare alla reale discriminazione, ma la discriminazione spesso è causata da qualche tipologia di stereotipo. Ovviamente, gli stereotipi spesso non riflettono la realtà, come nel caso dei lavoratori più anziani: NG e FELDMAN hanno trovato che solo uno stereotipo comune del Una mancanza di uniformità nella definizione di alcuni termini, tra cui “affettività”, “emozioni” e “umore”. Una tendenza a focalizzarsi sull’affettività positiva e negativa, piuttosto che sui diversi effetti delle emozioni discrete. La necessità di condurre maggiori studi al LIVELLO 1. La necessità di tener conto maggiormente delle variabili di contesto nello studio delle emozioni in ambito organizzativo. lavoratore più anziano, ovvero la minore motivazione ad apprendere, aveva una base reale. Inoltre, altre analisi hanno dimostrato che lavoratori più anziani generalmente hanno atteggiamenti lavorativi più positivi dei lavoratori più giovani e possono esprimere una prestazione lavorativa migliore. Gli stereotipi possono essere:  ESPLICITI: funzionano a livello cosciente (es. io penso che un lavoratore più anziano sia più lento);  IMPLICITI: funzionare a livello incosciente. 3.Le fasce di età, stereotipi e discriminazione nei contesti lavorativi Principalmente, la letteratura sulla discriminazione di età nei contesti lavorativi si è focalizzata sulla discriminazione nei confronti dei lavoratori più anziani. Tuttavia, una sfida aperta è quella di determinare chi può essere considerato un lavoratore anziano. Per anni, la ricerca negli Stati Uniti ha utilizzato la soglia over 40. Nell’Unione Europea, le politiche occupazionali considerano come lavoratore anziano un lavoratore over 45. Tuttavia, oggi, l’età secondo dopo la quale il lavoratore viene considerato anziano sta cambiando, alcune fonti suggeriscono che il limite inferiore di età per un lavoratore anziano sia tra i 50 e 55 anni. Inoltre, la questione relativa che è considerato lavoratore anziano è complicata dalle norme di una particolare professione e se l’età di una persona conferma lo stereotipo dell’età per quello specifico lavoro. Altre operazionalizzazioni di ciò che si intende per lavoratore anziano si sono focalizzate su quanto una persona è vicino all’età di pensionamento nel proprio contesto nazionale. L’idea di lavoratore anziano dovrebbe essere differenziata dalla più ampia categoria di persone anziane utilizzata in molta della letteratura sugli stereotipi non lavorativi. 4.I meccanismi di azione teorici degli stereotipi e della discriminazione legati all’età 4.1.Modello del contenuto dello stereotipo: competenza vs calore IL MODELLO DEL CONTENUTO DELLO STEREOTIPO (SCM): Questo modello assume che le p. formano i propri giudizi sugli altri principalmente in base a due dimensioni: CALORE I giudizi rel tivi al calor includono caratteristiche associate c n l’essere gentile, sincero e onesto. FISKE e colleghi hann suggerito che le p. si valuterebbero prima l’un l’altro i base a quanto calore e quanta competenza hanno percepito, e poi tali giudizi sociali andrebbero a determinare i vari stereotipi circa i membri di alcuni gruppi. Congiuntamente a questo modello, le persone possono essere categorizzato in quattro gruppi: 1) BASSA COMPETENZA-ALTO CALORE (persone di basso status sociale o anziane); 2)ALTA COMPETENZA-BASSO CALORE (persone di status elevato); 3)BASSA COMPETENZE-BASSO CALORE; 4) ALTA COMPETENZA-ALTO CALORE. Questa categorizzazione distingue tra membri all’interno e all’esterno del gruppo, determina chi approcciare per fare amicizia e con chi condividere risorse di valore o evitare la competizione. L’ implicazione di questo modello è che gli stereotipi possono essere legati sia a giudizi positivi che negativi da parte degli altri. (Esempio: nel contesto lavorativo, i lavoratori più anziani venivano percepiti come più calorosi, più tolleranti, piuttosto che come più competenti, sicuri di sé, indipendenti. A causa dell’esistenza di stereotipi,i lavoratori più anziani potrebbero subire discriminazioni legate all’età). I risultati di vari studi hanno confermato l’esistenza di credenze comuni relativa il gruppo di lavoratori più anziani: i lavoratori più anziani sono percepiti come più calorosi, ma meno competenti dei candidati più giovani. 4.2.Teoria dell’identità sociale, la categorizzazione sociale e gli stereotipi di età lavorativa LA TEORIA DELL’IDENTITÀ SOCIALE afferma che le p. vivono in un mondo sociale all’interno del quale si costruiscono un’immagine di sé sulla base delle appartenenze ai loro gruppi. La relazione di un individuo con un determinato gruppo può essere classificata in: - INDIVIDUO INTERNO DEL GRUPPO (membro); - INDIVIDUO ESTERNO DEL GRUPPO (non membro). Unirsi a determinati gruppi ed essere trattati come un membro interno del gruppo accresce l’autostima degli individui, quando gli individui vengono percepiti in modo diverso dai membri di un gruppo e vengono trattati come p. esterno del gruppo ciò può portare a percezioni negative su se stessi. La SIT è stata applicata ai contesti lavorativi per spiegare i problemi associati alla discriminazione associata all’età. Un altro meccanismo stereotipico basato sull’età e che potrebbe influenzare i lavoratori è l’AGE BASED STEREOTYPE. Un JOB-AGE STEREOTYPE si verifica in base alla percezione di corrispondenza tra l’età di una persona e l’età stereo tipicamente associata allo svolgimento di una determinata occupazione lavorativa. I titoli professionali potrebbero avere anche un effetto nella formazione dei JOB-AGE STEREOTYPES. Infine, ci sono anche gli stereotipi di età specifici a determinati settori lavorativi. COMPETENZA I giudizi relativi alla competenza si riferiscono ad avere ottime capacità e all’essere intelligente. 4.3.Stereotipi impliciti vs stereotipi espliciti 4.3.Stereotipi impliciti vs stereotipi espliciti Gli stereotipi potrebbero essere basati su: ATTEGGIAMENTI ESPLICITI si riferiscono a quei processi cognitivi che sono controllati coscientemente. La valutazione degli stereotipi espliciti avviene attraverso i Self report in cui alle persone veniva chiesto di valutare persone più anziane. Tuttavia queste misure potrebbero essere capaci di cogliere solo una parte del fenomeno associato agli stereotipi, le persone, infatti, potrebbero non essere sempre consapevoli dei propri atteggiamenti o anche se ne fossero consapevoli potrebbero non dare risposte oneste a causa della questione legata alla desiderabilità sociale. ATTEGGIAMENTI IMPLICITI si riferiscono a processi cognitivi che si verificano automaticamente al di fuori della consapevolezza I 2 metodi comunemente utilizzati per valutare gli stereotipi impliciti degli individui sono: PRIMING COGNITIVO (ovvero la presentazione di uno stimolo all’individuo che resta fuori dalla sua coscienza) dipende dall’attivazione di determinate associazioni nella memoria. TEST DI ASSOCIAZIONE IMPLICITA (IAT) Lo IAT chiede alle persone di accoppiare un determinato stimolo “bersaglio” (ad esempio, persone più anziane) ad una categoria valutativa (buono-cattivo. Più velocemente le p. associano lo stimolo- bersaglio alla categoria valutativa più forti sono le associazioni implicite tra i due.  lavoratori con basse capacità con contratti flessibili, part-time, a tempo determinato;  persone che erano in pensione ma che sono tornata a lavorare. Cosa può essere fatto per progettare dei processi di reclutamento che non discriminano implicitamente le persone in base alle loro età? Gli studi hanno trovato prova a supporto degli stereotipi negativi nei confronti dei lavoratori più anziani durante i processi di selezione e assunzione. I candidati più anziani hanno meno probabilità di essere assunti se confrontati con i candidati più giovani. Alcune ragioni includono la percezione e gli stereotipi negativi circa la produttività, le abilità cognitive, la motivazione e l’anzianità dei lavoratori più anziano. L’impatto negativo implica potenzialmente delle prestazioni diverse determinate dalla semplice differenza di età nei processi di selezione. Differenze strutturali dovute all’età in termini di intelligenza fluida di alcune caratteristiche di personalità potrebbero avere delle ripercussioni sui risultati dei test, producendo una differenziazione tra la prestazione dei più anziani e le prestazioni dei più giovani. Un’area collegata che ha ricevuto scarso interesse da parte dei ricercatori è la diversa validità delle procedure di selezione determinata dall’età dei candidati. Il bagaglio di competenze di un lavoratore più anziano è principalmente costituito da conoscenze e capacità esecutive derivanti dall’esperienza della maggior anzianità di servizio. Frequentemente, i test utilizzati nelle procedure di selezione sono basati su diverse tipologie di criteri che includono la conoscenza dichiarativa, la memoria di lavoro, l’intelligenza fluida. In breve, le pratiche di selezione di uso più frequente potrebbero non essere in grado di determinare cosa sia una buona prestazione per un lavoratore più anziano, e come questa differisca rispetto da una buona prestazione di un lavoratore più giovane.  LE OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE E LO SVILUPPO : i lavoratori più anziani sono trascurati nelle politiche organizzative di formazione e di sviluppo delle risorse umane. La discriminazione legata all’offerta formativa è promossa anche da alcuni stereotipi correlati all’intenzione e alla capacità di impegnarsi nei processi di apprendimento e di sviluppo.  LA VALUTAZIONE DELLA PRESTAZIONE : nonostante gli stereotipi portino ad aspettarti il contrario, sono state osservate poche differenze in termini di prestazioni tra lavoratori più anziani e lavoratori più giovani. Nei casi in cui sono state osservate prestazioni diverse, per i più anziani generalmente erano leggermente più alta nelle dimensioni relative ai comportamenti di cittadinanza organizzativa e comportamenti di sicurezza. È impo osservare che nonostante questi lievi aumenti di prestazione con l’età, ci sono anche evidenze secondo cui le valutazioni soggettive della prestazione risultano in punteggi più bassi per i lavoratori più anziani. La ricerca ha trovato una minore benevolenza da parte dei datori di lavoro nel valutare i lavoratori più anziani.  LA RETENTION: La retention consiste in un set di strategie volte a trattenere e salvaguardare il personale di valore all’interno dell’organizzazione, prevenire la perdita di talenti e di conoscenze organizzative. I programmi di retention comunemente utilizzati nelle organizzazioni sono: lo sviluppo delle carriere (opportunità di crescita personale); la formazione e lo sviluppo delle capacità (programmi formativi); il rafforzamento dell’identificazione organizzativa (socializzazione, miglioramento del clima organizzativo); il job design (progettazione del lavoro); le politiche centrate sul riconoscimento del merito, sulla giustizia organizzativa e sulla frequenza e costruttiva restituzione dei feedback ai lavoratori. Le strategie retention potrebbero differire in funzione dell’età dei lavoratori, e dovrebbero prendere in considerazione la composizione demografica dell’organizzazione e le differenze generali al suo interno. I dati hanno mostrato che il sistema aziendale non è pienamente pronto ad offrire quest’opportunità di retention ai lavoratori più anziani. Inoltre, la prontezza del sistema aziendale a gestire le politiche sui lavoratori più anziani è molto diversa a seconda del paese. Dal punto di vista del lavoratore, questi deficit nelle politiche di retention, determinano percezione di discriminazione nelle attività di gestione e sviluppo delle carriere per i lavoratori più anziani 6.Quando è più probabile che si verifichino discriminazioni legate all’età sul lavoro? Esistono diversi stereotipi sui lavoratori più anziani e più giovani, che sono sia positivi che negativi. Ma tali stereotipi possono portare a reali comportamenti discriminatori sul lavoro? Uno studio ha esaminato le differenze relative alle modalità con cui valutatori di diverse età valutavano persone di età diversa quando veniva chiesto loro di simulare dei processi decisionali relativi all’impiego dei lavoratori per diversi scopi organizzativi. I risultati mostrano che le persone più giovani valutavano i lavoratori più giovani più positivamente rispetto alla qualifica professionale, il potenziale di sviluppo e alla qualifica per lavori fisicamente impegnativi rispetto ai lavoratori più anziani. Dall’altro lato, le persone più giovani valutavano i lavoratori più anziani più positivamente rispetto alla stabilità. Gli autori concludevano che la discriminazione legata all’età si verifica contro lavoratori più anziani quando i valutatori erano giovani; in assenza di info rilevanti per il lavoro sui lavoratori, e quando ai valutatori veniva chiesto di valutare simultaneamente lavoratori anziani e giovani. Tuttavia, gli stereotipi di età non portano sempre decisioni lavorative negative. Inoltre, ci sono altri fattori che potrebbero spiegare come gli stereotipi legati all’età portino alla discriminazione. È più probabile che la discriminazione si verifichi nei casi in cui i decisori esperiscono sovraccarico cognitivo (ad esempio distrattori, sotto pressione temporale). Tuttavia, sebbene ci siano prove relative agli effetti di altri stereotipi impliciti ed espliciti le circostanze in cui gli stereotipi di età impliciti portano effettivamente decisioni discriminatorie sul lavoro restano poco esplorate. Inoltre, il ruolo delle caratteristiche del decisore (la personalità) nell’influenzare la discriminazione sul lavoro è un’area che merita ulteriore ricerca. 7.La ricerca futura 7.1.La discriminazione contro i lavoratori più giovani e di mezza età Studi suggeriscono che gli stereotipi negativi associati ai lavoratori più anziani siano suscettibili di cambiamento possono, o, in alcuni casi, possono esercitare un’influenza positiva. Coerentemente, i lavoratori più anziani potrebbero essere percepiti più positivamente dei lavoratori più giovani rispetto a determinate dimensioni (più coscienziosi, meno stabili motivatamente). Alcuni dibattiti suggeriscono la possibilità che nel tempo si sviluppino stereotipi negativi anche sul lavoratori più giovani. I lavoratori di mezza età vengono generalmente ignorati, probabilmente perché considerati come un gruppo relativamente poco esposta alla discriminazione legata all’età. Le norme sulla discriminazione e i relativi stereotipi legati all’età potrebbero cambiare con l’invecchiare dei baby-boomer e il loro trasformarsi in lavoratori anziani. Articoli fanno riferimento ai cosiddetti millenniars e di fatto ci sono prove che i lavoratori più giovani sembrano essere visti come più instabili emotivamente e meno coscienziosi delle loro controparti più anziane. I lavoratori di mezza età sono stati ampiamente ignorati, a volte considerati come the white males. Lla discriminazione legata all’età, tuttavia, può colpire persone di età diversa. 7.2.Categorie multiple Oltre all’età, altre caratteristiche individuali possono essere correlate alla discriminazione sul lavoro. Tuttavia, pochi studi hanno testato gli effetti combinati dell’età e di altre differenze individuali nello studio della discriminazione legata all’età. Gli stereotipi e la discriminazione di genere al lavoro sono stati oggetto di uno studio, i cui risultati hanno riportato come le donne si trovino maggiormente ad affrontare fenomeni di discriminazione sul posto di lavoro rispetto agli uomini nelle fasi di selezione, nella progressione di carriera e nella retribuzione. Inoltre, il genere e l’età possono agire insieme nel creare una situazione di “doppia compromissione”. La discriminazione razziale viene frequentemente sperimentata da immigrati e minoranze etniche. Un’altra forma di discriminazione sul lavoro è quella relativa alle disabilità mentali e fisiche. 7.3.Questioni inter-generazionali Un altro meccanismo utilizzato per spiegare la discriminazione legata all’età sul lavoro riguarda le questioni Inter-generazionali, ossia la coesistenza di differenti generazioni nel contesto lavorativo. Poiché i membri di stesse generazioni condividono esperienze storiche, e mostrano valori, e atteggiamenti più simili tra loro, in genere è più semplice per i membri delle stesse generazioni comunicare tra di loro, interpretare gli eventi allo stesso modo e percepirsi gli uni con gli altri come membri dello stesso gruppo. L’esistenza di diverse generazioni nello stesso contesto lavorativo potrebbe accentuare le differenze tra membri interni del gruppo e membri esterni del gruppo. La ricerca suggerisce che: I valori giocano un ruolo impo nell’integrazione tra individuo e organizzazione, la cui uscita dipende fortemente dal come le priorità dell’individuali e quelle collettive si combinano. 2.I valori nella dinamica organizzativa I valori rivestono un ruolo chiave nelle organizzazioni. Ad essi fanno ricorso i leader per assegnare obiettivi e per motivarli e giustificarli di fronte ai collaboratori. Esempio: un leader che incoraggia la cooperazione tra i membri di un team: il valore della collaborazione potrà essere richiamato dei componenti stessi del gruppo. Ciò avviene quando uno dei membri del gruppo tenterà di agire individualmente contrapponendosi alla volontà collettiva. Gli altri membri potranno richiamare quanto proposto dal leader sul piano valoriale, sottolineando quanto cooperare sia importante. I valori, inoltre, si palesano nel linguaggio, i riti, le cerimonie, gli ambienti e le pratiche che si sviluppano entro il contesto organizzativo. Si tratta di aspetti che rispecchiano e rendono manifeste le priorità dell’organizzazione, traducendole in termini concreti. Sul piano comportamentale, 2 sono le principali direttrici lungo cui valori si manifestano: Da un lato si palesano nelle condotte di chi lavora nell’organizzazione Dall’altro lato, i valori si esprimono nell’azione manageriale, andando ad impattare sulle scelte gestionali e al contempo incoraggiando l’attuazione di condotte allineate con le aspettative organizzative, dando vita ad una relazione di natura dinamica in cui le azioni individuali vengono modellate dei valori organizzativi. In senso più complesso, i valori concorrono a determinare la cultura organizzativa che, secondo SCHEIN, rappresenta il modo di percepire, pensare e agire condiviso entro un’organizzazione. Tale dimensione include 3 diversi livelli di analisi: All’interno di questo modello i valori rivestono un ruolo centrale, in quanto sono essi a fungere da fattore di congiunzione tra gli aspetti più profondi e quindi più superficiali. Dato il ruolo chiave esercitato dai valori, una questione importante riguarda l’origine, ed è riconducibile all’intreccio di differenti aspetti che spaziano dalla realtà individuale a quell’organizzativa e sociale. Quello PIÙ PROFONDO E INCONSAPEVOLE DEGLI ASSUNTI DI BASE (ossia le credenze che fondano i significati attribuiti al mondo agli eventi). Quello INTERMEDIO DEI VALORI (le convinzioni condivise in merito a quanto ritenuto preferibile). Quello SUPERFICIALE DEGLI ARTEFATTI (gli aspetti più osservabili come il linguaggio, l’abbigliamento, gli strumenti..). I valori organizzativ i derivano dall’influe nza esercitata dal contesto culturale nazionale. Quest’ultim o, a sua volta, può essere letto mediante la tassomania di valori nazionali proposte da SCHWARTZ che prevede 3 dimensioni bipolari ognuna delle quali è riferita a 3 temi centrali in ogni Un secondo elemento alla base dei valori organizzativi è rappresentato dal tipo di attività svolta: differenti compiti lavorativi richiedono delle modalità peculiari di gestione ed esecuzione dell’azione, sia all’interno dell’organizzazione sia in relazione al contesto esterno; le organizzazioni tendono a dare priorità proprio a quei valori che sono effettivamente atti a supportare tali modalità, e che quindi consentono loro di motivare i loro membri ad impegnarsi nelle attività fondamentali e a giustificarle agli altri referenti organizzativi. Il terzo elemento alla base dello sviluppo dei valori organizzativi è rappresentato dalla promozione da parte del fondatore e dei leader: rivestire un ruolo di leadership permette di affermare e diffondere determinati punti di vista su quali siano le condotte ritenuta ideali e auspicabili, in ragione sia dell’attenzione di cui gode quanto esplicitamente comunicato da un leader, sia degli strumenti gestionali di cui il leader può disporre e attraverso cui può rendere palesi quali siano i comp valorizzati. Il quarto elemento da cui dipende lo strutturarsi dei valori organizzativi è rappresentato dal tramandarsi e dal consolidarsi in credenze condivise di quei modelli di comp che si sono rivelati di successo, ossia che hanno saputo assicurare la sopravvivenza dell’organizzazione nel proprio contesto. L’organizzazione, durante la sua storia, vede emergere e affermarsi una serie di strategie che vanno inventate, scoperte e sviluppate dai membri di un’organizzazione per affrontare i problemi di adattamento esterno o di integrazione interna e che si sono dimostreti così funzionali da essere considerate valide e, di conseguenza, da essere indicate ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, di sentire e di pensare in relazione a quei problemi. Tra le strategie elaborate e sviluppate, quelle più efficaci Il quinto fattore fondamentale per lo strutturarsi dei valori organizzativi è dato dal contributo individuale dei membri dell’organizza zione. Già all’inizio dell’inserimento lavorativo, un individuo è attratto da quelle organizzazioni che propongono convinzioni e valori simili ai propri, ragion per cui tenderà ad entrare a farne parte. L’organizzazion e stessa tende, inoltre, a scegliere quelle persone che sembrano condividere i propri valori e ostacola quelle che appaiono caratterizzate da valori opposti 3.I valori lavorativi della persona A livello individuale, i valori costituiscono un insieme stabile di rappr delle priorità personali che permettono alle p di scegliere le proprie mete, orientare le proprie azioni e valutarne i risultati. I valori personali inerenti al lavoro stanno ad indicare quegli aspetti dell’attività lavorativa cui la p attr, nella propria gerarchia personale, una maggiore impo. Un valore lavorativo può essere definito come “un obiettivo o una condizione che la p spera di ottenere nel proprio ambiente lavorativo”. Sono state prodotti vari strumenti di misura: La prima dimensione riguarda la relazione o, al contrario, la separazione tra individuo e gruppo, e pone in contrapposizione il valore dell’appartenenza (che assegna rilievo all’inserimento delle persone nella collettività) con il valore dell’autonomia (che dà enfasi all’unicità di ciascun individuo e alla sua affermazione come entità autonoma e distinta). La seconda dimensione riguarda il modo prescelto per assicurare l’attuazione di comportament i socialmente responsabili che mantengano l’ordine sociale, e mette in contrapposizio ne il valore della gerarchia con il valore dell’uguaglian za. La terza dimensione si riferisce alla strategia di regolazione della relazione tra il genere umano e l’ambiente naturale e sociale, e vede contrappors i il valore del controll e il val re dell’armoni a Ogni contesto nazionale assume una configurazione culturale specifica, a seconda di come si colloca a livello valoriale su ciascuna delle 3 macro- dimensioni, e l’orientamento valoriale nazionale che ne risulta influenzano anche il funzionamento delle organizzazioni che di quel contesto fanno parte. Quello di ELIZUR che include 21 valori lavorativi operazionalizzati e misurabili tramite il WORK VALUES QUESTIONNAIRE. Tali dimensioni si sono rivelate distinguibili in base al tipo di “arricchimento” o outcome, che una determinata caratteristica del lavoro offre alla p che la ottiene, risultando raggruppabili in 3 GAY individua 20 tipi di outcome operazionalizzati nel MINNESOTA IMPORTANCE QUESTIONNAIRE. I valori lavorativi possono essere raggr in 6 dimensioni: Uno dei più impo a livello internazionale soggetto a modifiche nel corso del tempo è quello di SUPER noto come WORK VALUES INVENTORY che inizialmente prevedeva 15 valori, portati poi a 20. Valori legati ad outcome di tipo strumentale: (cioè fonti di arricchimento concreto come la paga). Valori legati ad outcome di tipo affettivo (Ossia riguardanti la sfera delle relazioni sociali) Valori legati ad outcome di tipo cognitivo (ossia tali da presentare un valore psico per la p. valori legati alla riuscita valori di comfort valori legati allo status valori di altruismo valori relativi alla sicurez za valori relativi all'autono mia La versione italiana è chiamata WORK IMPORTANC E STUDY di BELLOTTO e TRENTINI e misura 21 valori. Lo strumento deputato alla misurazione dei 10 valori è un questionario self-report, denominato PVQ (PORTRAIT VALUES QUESTIONNAIRE), la cui validità è stata dimostrata a livello internazionale. ROS, SCHWARTZ e SURKISS hanno cerato di verificare se la teoria generale dei valori di SCHWARTZ fosse applicabile anche alla lettura dei valori lavorativi. Il punto di partenza è stata la messa a punto di un nuovo strumento per la misurazione dei valori lavorativi, il WORK VALUE SURVEY. Questo strumento è stato costruito assembrando 10 item selezionati dalle scale già disp per la misurazione dei valori lavorativi e riferibili ai 10 domini valoriali proposti dalla teoria generale dei valori di SCHWARTZ. L struttura è a 4 dimensioni , in cui gli item rappresentativi dei 10 valori lavorativi si raggruppavano in 4 aree riferite ai valori:  Intriseci;  Estrinseci;  Sociali;  Di prestigio. Per quanto riguarda le relazioni tra i valori lavorativi e i valori di base le analisi hanno prodotto risultati coerenti tra i 2 differenti livelli valoriali:  I valori lavorativi intrinseci si sono rivelati associati ai valori di base relativi all’apertura al cambiamento;  I valori lavorativi estrinseci si cono rivelati associati ai valori di base relativi al conservatorismo;  I valori lavorativi sociali si sono rivelati associati ai valori di base relativi all’auto-trascendenza;  I valori lavorativi di prestigio si sono rivelati associati ai valori di base relativi all’auto-affermazione. Nonostante i limiti dello strumento usato da ROS e colleghi questo ha fornito un supporto circa l’idea che lo studio dei valori lavorativi potesse essere integrabile entro un modello universale dei valori di base. A tale studio hanno seguito una serie di contributi che hanno confermato e sviluppato l’ipotesi di base, portando alla costruzione di nuovi e più articolati strumenti di misura. AVALLONE e colleghi hanno rivisitato il PVQ di SCHWARTZ, assumendo lo strumento originario quale punto di partenza e procedendo ad adattarne gli item al contesto lavorativo. Hanno, così, proposto uno strumento, il QUESTIONARIO SUI VALORI LAVORATIVI, che si è rivelato valido e che misura 6 dimensioni valoriali:  AUTO- AFFERMAZIONE;  AUTO- TRASCENDENZA;  APERTURA AL CAMBIAMENTO;  CONSERVATORISM O;  SICUREZZA;  PIACEVOLEZZA. KRUMM e colleghi cercano di integrare lo studio dei valori lavorativi con quelli di base e danno vita al MUNSTER WORK VALUE MEASURE, item in parte riconducibili a quelli di SCHWARTZ e altri riguardano dimensioni ritenute importanti dai lavoratori anziani. Sono emerse 4 dimensioni:  Valori legati al contesto;  Valori estrinseci;  Valori intrinseci;  Valori di generatività. 6 PERSNALITÀ E CONVINZIONI DI AUTOEFFICACIA 1.Introduzione Le persone non rendono allo stesso modo sul lavoro. È importante, quindi, fare riferimento alla personalità dei vari soggetti. 2.Tratti di personalità Le teorie della personalità fanno riferimento al concetto di tratto per identificare delle configurazioni relativamente stabili di comportamenti, emozioni e cognizioni. Generalmente, si assume che i tratti rappresentino delle differenze Inter-individuali stabili, radicate nel temperamento di base. I tratti sono relativamente indipendenti dall’ambiente, ma esistono delle disposizioni di base che consentono di differenziare un individuo dall’altro a prescindere dalla collocazione storico-culturale. La cultura e il contesto sarebbero in grado di elicitare oppure inibire l’espressione dei tratti, ma non di annullarla totalmente. Gli individui sono motivati a presentare l’immagine di sé che ritengono più adeguata in determinate situazioni e contesti. I tratti di personalità identificano forze causali interne all’individuo che influenzano le sue tendenze comportamentali spontanee. Nelle diverse situazioni il suo comportamento sarà, almeno in parte, determinato dalla sua personalità 3.Origine dei cinque grandi fattori Si è raggiunta attualmente una convergenza attorno al modello dei CINQUE GRANDI FATTORI (BIG FIVE). Questi fattori rappresentano dei tratti di personalità definiti in maniera ampia, ritenuti dalla maggioranza degli studiosi come le dimensioni fondamentali per lo studio delle differenze individuali nei diversi contesti sociali. I cinque grandi fattori sono: ARCINIEGA e GONZÀLES hanno messo a punto un nuovo strumento, la SCALA EVAT, comporta da 16 item riferiti a scenari SPONY ha creato il WORK- RELATED VALUE QUESTIONNAI RE, che integra i valori individuali di SCHWARTZ con quelli culturali di HOFSTEDE, adattandoli al contesto manageriale. CONSIGLIO ha creato il WVal (WORK VALUES QUESTIONNAIRE), costruito per misurare nel contesto lavorativo le macrodimensioni e i 10 valori che compongono il modello di SCHWARTZ. Il questionario consente di poter cogliere ciascuna delle 10 sfaccettature valoriali previste nel modello. Non prevede una scala Likert come altri questionari, ma richiede l’ordinamento gerarchico di affermazioni che esprimono preferenze valoriali entro 17 serie di 5 item l’una. ESTROVERSIONE o ENERGIA GRADEVOLEZ ZA o AMICALITÀ COSCIENZIOSITÀ STABILITÀ EMOTIVA APERTUTA ALL’ESPERIE NZA I big five rappresentano il punto di convergenza di 2 filoni di indagine nello studio della personalità: Nonostante alcune critiche i risultati emersi hanno favorito l’affermazione dei cinque grandi fattori quali componenti universali del lessico della personalità. Un’altra caratteristica del modello dei big five è stata la capacità di proporsi come il punto di convergenza tra diversi modelli precedentemente proposti per la misura dei tratti di personalità. 4.Validità del modello dei cinque grandi fattori Il modello dei cinque grandi fattori è stato accolto come uno sviluppo atteso e necessario. L’affermarsi di tale modello ha permesso il superamento delle critiche avanzate da GUION e GOTTIER circa l’incongruenza e l’incompatibilità dei diversi modelli di personalità. La controversia relativa a se i test di personalità possano essere utili per la previsione della prestazione lavorativa non è più rilevante. Infatti, studi hanno accertato una relazione significativa tra prestazione lavorativa e personalità, suggerendo che i big five rappresentano dei validi predittori del comportamento organizzativo. La validità dimostrata dai big five ha contribuito ad accrescere la sua popolarità. polo positivo: definito dalla socievolezz a, dal dinamismo, dalla dominanza e dalla tendenza a sperimentar e emozioni positive polo negativo: caratteriz zato da tendenza di isolarsi, introversi one. polo positivo: aspetti legati all’entusia smo, alla cooperativ ità, all’empati a, alla cortesia e alla gentilezza polo negativo: aspetti legati all’indiffer enza, alla freddezza nei confronti degli altri, all’antago nismo e all’aggres sività. polo positivo: definito dalla scrupolos ità, dalla persever anza, dell’accur atezza, la determin azione e l’affidabili tà. polo negativo: bassa accuratez za, affidabilit à, dall’incap acità di portare a termine i lavori o le attività intrapres e polo positivo: raccogli aspetti quali la calma il controllo emotivo degli impulsi polo negativo: denomin ato nevrotici Ismo, e definito dall’insic urezza, l’ansietà, l’umore depresso e la vulnerabi lità. polo positivo: definito dalla tendenza a sviluppare idee nuove, dalla creatività, dall’apertur a alla cultura e alle nuove esperienze polo negativ o: tradizio nalismo, dalla preferen za per la routine e le regole, e dal conform ismo. Il primo è caratterizzato dall’APPROCCIO PSICOLESSICALE, secondo il quale la maggior parte delle differenze individuali di rilievo sono codificate, come singole parole e aggettivi, nel linguaggio naturale (ipotesi della sedimentazione linguistica). Il secondo filone è caratterizzato dall’USO DEI QUESTIONARI DI AUTOVALUTAZIONE per lo studio della personalità. Questo ha dimostrato:  la generalizzabilità dei cinque grandi fattori attraverso l’analisi fattoriale di vari questionari di personalità;  l’ampia convergenza tra tratti misurati attraverso strumenti in auto ed etero valutazione;  la possibilità di rinvenire lo stesso numero e tipo di tratti in culture e lingue diverse;  la stabilità temporale dei tratti;  il loro ampio potere predittivo in diversi ambiti di vita (rendimento scolastico, successo lavorativo, salute mentale). La maggior parte dei dati a disp sul cambiamento dei tratti di personalità riguarda ciò che accade a livello dei B5. 2 tipi di cambiamenti hanno ricevuto particolare attenzione: Alcuni autori hanno sostenuto che intorno ai 30 anni i tratti di personalità raggiungono il loro massimo livello di stabilità, subendo solo minime variazioni nel successivo corso di vita. Questa ipotesi non sembra però del tutto confermata. Quanto emerge dagli studi più recenti sembra suggerire che la stabilità relativa dei tratti ha un andamento non lineare nel corso della vita, con picchi nella seconda età adulta, con un possibile declino verso il termine dell’esistenza. Il pattern di progressivo aumento della stabilità dei tratti di personalità nel corso della vita adulta ha portato all’introduzione del principio della continuità cumulativa, secondo cui la stabilità relativa dei tratti aumenta con il passare del tempo. A livello medio (stabilità assoluta), i tratti di personalità mostrano interessanti traiettorie evolutive: STABILITÀ ETEROTIPICA: stabilità temporale di un tratto che nel corso del tempo si esprime sotto forma di comportamenti diversi. CONTINUITÀ OMOTIPICA: alcuni tratti possono esprimersi nello stesso modo in momenti diversi dell’esistenza Il cambiamento nella graduatoria che coglie la stabilità delle differenze interindividuali, denominato STABILITÀ RELATIVA Il cambiamento a livello medio, denominato STABILITÀ ASSOLUTA, che coglie il cambiamento a livello intraindividuale. La coscienziosità aumenta dall’adolescenza fino alla seconda età adulta, e poi tende ad un progressivo declino. L’amicalità sembra aumentare per tutto il ciclo vitale. La stabilità emotiva tende ad aumentare nel corso dell’esistenza, sebbene possa mostrare una diminuzione negli ultimi anni di vita L’estroversione mostra un costante declino nel corso dell’esistenza. L’apertura all’esperienza mostra un costante declino nel corso dell’esistenza EFFETTO LA DOLCE VITA verso la fine dell’esistenza le persone diventano più felici, maggiormente in pace con se stessi ed autocentrati, più rilassati e soddisfatti di ciò che hanno e per nulla preoccupati della propria produttività. 9.Big Five e prestazione lavorativa Il valore predittivo dei tratti di personalità in ambito lavorativo è stato ampiamente documentato. I big five rappresentano il livello che, nella struttura gerarchica della personalità, è stato maggiormente indagato, e quello che più ha contribuito al progresso della disciplina in ambito lavorativo. 9.1.Coscienziosità Le evidenze assegnano alla coscienziosità il ruolo di miglior predittore della prestazione lavorativa. Gli individui con punteggi alti nel tratto della coscienziosità sviluppano livelli più alti di conoscenza del lavoro, probabilmente perché investono più energie e si impegnano di più nella comprensione e nello svolgimento del compito stesso. La maggiore conoscenza del lavoro determina una migliore prestazione. La coscienziosità è correlata negativamente con l’assenteismo, il turn-over volontario e involontario e altri comportamenti controproduttivi, devianti o rischiosi da parte dei dipendenti (ritardi, furti, uso di droghe alcol). 9.2.Stabilità emotiva La stabilità emotiva rappr un altro impo predittore della prestazione lavorativa. Gli individui con elevata stabilità emotiva tendono a sperimentare affettività positiva e reagire con successo alle emozioni negative, mostrando livelli più elevati di prestazione e una maggiore soddisfazione per il proprio lavoro. Studi attestano l’esistenza di una correlazione negativa tra stabilità emotiva e assenteismo, perché le persone emotivamente più equilibrate fronteggiano meglio le difficoltà, ricorrendo meno ad assenze, malattie, aspettative. 9.3.Estroversione, apertura mentale e amicalità Estroversione, apertura mentale e amicalità presentano un valore predittivo inferiore rispetto a coscienziosità e stabilità emotiva: 9.4.Le sfaccettature dei Big Five e la prestazione lavorativa Studi hanno analizzato il potere predittivo delle sfaccettature che definiscono i B5 rispetto a diversi criteri comportamentali (es. risultati accademici, comp legati al fumo o alle donazioni del sangue, abilità nel suonare strumenti). Alcuni studi hanno evidenziato come le sfaccettature abbiano una validità predittiva inferiore rispetto a quella fornita dei B5, tuttavia è impo non trascurarle. 9.5.Alpha e Beta e prestazione lavorativa Sono stati condotti studi con l’obiettivo di esaminare il peso dei big five e dei due fattori sovraordinati, Alpha e Beta, nel predire la prestazione lavorativa. L’estroversione correla alle capacità di apprendere attraverso il training, poiché quest’ultimo tende a rivelarsi più efficace quando i partecipanti mostrano coinvolgimento e riescono a svolgere un ruolo attivo nel processo. Studi testimoniano una correlazione positiva tra estroversione, avanzamenti di carriera e successo lavorativo. L’amicalità correla con la prestazione quando quest’ultima è definita a livello relazionale, nelle occupazioni che implicano il lavoro di gruppo o le relazioni interpersonali. Punteggi elevati nel tratto dell’amicalità tendono a possedere abilità interpersonali necessarie a lavorare in team, e risultano empatici, altruisti, calorosi, supportivi e affabili. Questi individui danno molto valore agli altri e sono disposti a lavorare e a cooperare per risolvere e/o evitare i conflitti. L’apertura mentale è il predittore meno efficace della prestazione lavorativa 9.6.Il GFP e la prestazione lavorativa Studi hanno riportato correlazioni tra il GFP e le misure di prestazione lavorativa. La correlazione tra GFP e prestazione lavorativa è stata spesso interpretata facendo riferimento alla TEORIA K. Questa prospettiva suggerisce come il GFP rappresenti l’espressione di una sorta di “suite” evolutiva dalla quale si originano quegli aspetti della personalità che favoriscono l’adattamento e la sopravvivenza degli individui nel loro ambiente sociale. Gli individui con punteggi più alti del GFP sarebbero portatori di tratti socialmente desiderabili, che li predispongono sia ad avere maggiori risorse personali da investire al lavoro, sia da essere valutati favorevolmente dai loro superiori. 10.Auttoefficacia Il costrutto DELL’AUTOEFFICACIA PERCEPITA coglie l’insieme delle convinzioni nelle proprie capacità di organizzare ed eseguire il corso di azioni necessario per raggiungere uno specifico risultato. Esso rappresenta il cardine dell’impalcatura della TEORIA SOCIAL-COGNITIVA (SCT) proposta da BANDURA. Punteggi elevati nel fattore Alpha predicono un ampio spettro di comportamenti organizzativi ad adattivi, che vanno dall’evitamento di droghe ed alcol, alla messa in atto di comportamenti appropriati nel servizio ai clienti, alla resistenza allo stress, al non rubare, alla tendenza ad assentarsi di meno e ad adottare una migliore prestazione lavorativa. Il valore predittivo di Beta risulta non significativo. 10.2.Autoefficacia nel contesto lavorativo Secondo BANDURA le convinzioni di autoefficacia esercitano un’influenza sul funzionamento del sistema del sé, contribuendo a fornire coerenza, unità e integrazione alle esperienze individuali. Lo sviluppo delle convinzioni di efficacia avviene attraverso l’incontro dell’individuo con il proprio ambiente. Secondo la SCT le convinzioni di efficacia personale rappresentano il predittore più prossimo del comportamento, poiché esse hanno il potere di influenzare direttamente le decisioni, i piani di azione e l’esperienza delle persone. Gli individui, infatti, prima di intraprendere qualsiasi attività difficile o sfidante, si fermano a riflettere sulle proprie capacità. Di conseguenza, quanto più una persona si sente sicura delle proprie capacità, tanto maggiore sarà la sua persistenza, anche di fronte alle difficoltà. Grazie alla sua influenza su diverse sfere del comportamento umano, il costrutto dell’autoefficacia percepita ha progressivamente conosciuto una grande popolarità nell’ambito della psicologia del lavoro. La diffusione del costrutto di autoefficacia percepita nei contesti lavorativi si deve in gran parte al suo elevato valore predittivo. Secondo BANDURA le convinzioni di efficacia personale in ambito lavorativo possono variare da individuo a individuo in base a: IL LIVELLO DI COMPLESSITÀ: indica la natura dei compiti che gli individui preferiscono svolgere: alcune persone si trovano a proprio agio con lo svolgimento di compiti non troppo difficili, altri sembrano preferire compiti più complessi e sfidanti. LA FORZA DELL’AUTOEFFICACIA: coglie la forza con cui ciascun individuo sente di potersi confrontare con determinati compiti. LA GENERALITÀ DELLE CONVINZIONI: coglie quanto le convinzioni di efficacia individuale sono limitate ad uno specifico compito, oppure si generalizzano a compiti di natura similare. Il costrutto dell’autoefficacia è stato misurato in ambito lavorativo a partire da 3 presupposti teorici diversi: Ovviamente, scale costruite con intenzioni diverse forniscono misure di autoefficacia diverse. 10.3.Autoefficacia lavorativa e prestazione lavorativa L’influenza esercitata dall’autoefficacia lavorativa appare evidente fin dalle prime fasi della vita lavorativa. +AUTOEFFICACIA PERCEPITA +MIGLIOR PRESTAZIONE LAVORATIVA -ANSIA +OTTIMISMO +SICUREZZA La più impo analisi sulla relazione tra autoefficacia lavorativa e prestazione lavorativa è stata condotta da STAJKOVIC e LUTHANS. Questi autori hanno riportato una correlazione consistente tra i due costrutti. L’autoefficacia sembra agire come un fattore di “stabilizzazione” della prestazione. 10.4.Autoefficacia e adattamento lavorativo +AUTOEFFICACIA LAVORATIVA +MIGLIOR ADATTAMENTO LAVORATIVO +SODDISFAZIONE LAVORATIVA -STRESS -DEPRESSIONE -ANSIA -BURNOUT -ASSENTEISMO -MALATTIE 11.Controversie VANCOUVER e colleghi hanno generato un dibattito su se è l’efficacia a guidare le prestazioni future o viceversa. Le critiche si fondano sui principi della TEORIA DEL CONTROLLO (POWERS) che affermano come le persone siano naturalmente motivate a ridurre la discrepanza tra condizione attuale e condizione desiderata. Di conseguenza, in tutte quelle circostanze in cui risulta difficile per l’individuo valutare senza ambiguità il livello di prestazione espresso, il ricorso al proprio senso di Un primo set di misure si basa sull’idea che le scale per la misura dell’autoefficacia debbano comprendere item dal contenuto molto specifico, che descrivono fedelmente singoli comportamenti messi in atto dall’individuo per il raggiungimento di uno specifico compito lavorativo in circostanze organizzative definita. Un altro tipo di misure è volta a cogliere il senso di autoefficacia individuale generale, che abbraccia domini lavorativi diversi, senza alcun riferimento a determinati compiti o comportamenti, o alle circostanze in cui essi devono essere realizzati. Alcune misure sono state sviluppate con l’idea di misurare l’autoefficacia come una variabile di livello intermedio, in modo che risulti associata alla prestazione lavorativa nello svolgimento di compiti simili, ovvero accomunati da una serie di caratteristiche comuni, ma non necessariamente identici. autoefficacia servirebbe per arrivare ad esprimere una valutazione della prestazione espressa, e decidere se sia necessario, oppure no, investire altre risorse per innalzare il livello di prestazione espressa. Secondo l’autore alte convinzioni di efficacia indurrebbero l’individuo a sopravvalutare il proprio operato decidendo di investire meno risorse ed incappando però nel rischio di non esprimere il livello di prestazione desiderata. Questo meccanismo spiegherebbe le correlazioni, a volte negative, trovate tra prestazione e autoefficacia. Individui caratterizzati da un alto senso di autoefficacia risulterebbero continuamente esposti al rischio dell’overconfidence, ovvero di fare eccessivo affidamento sulle proprie capacità sottovalutando contemporaneamente la difficoltà del compito stesso. Appare, tuttavia, riduttivo equiparare il costrutto dell’efficacia personale ad un semplice indicatore di overconfidence. Non tutti gli individui sono completamente capaci di valutare accuratamente le proprie competenze. D’altro canto, è possibile che i metodi comunemente usati non siano completamente adatti a cogliere accuratamente tutte le diverse componenti del senso di efficacia individuale. Inoltre, sebbene il costrutto dell’efficacia personale abbia in principio una natura puramente cognitiva, è innegabile che quando espresse dai singoli individui, le valutazioni dell’autoefficacia siano fortemente connotate emotivamente. Queste difficoltà possono di certo rappresentare una spiegazione almeno parziale degli effetti negativi dell’autoefficacia che si osservano quando si studia l’effetto che essa ha sulle prestazioni a livello del singolo individuo. Alla luce di queste considerazioni, non è del tutto sorprendente che studi diversi, condotti da ricercatori diversi, abbiano riportato un misto di effetti positivi, negativi e annulli. Malgrado il dibattito resti aperto, quello che appare necessario è l’approfondimento delle condizioni che possono alterare la relazione positiva tra autoefficacia e prestazione. Studi hanno individuato che l’individuo con più alte convinzioni di efficacia non solo ottenevano valutazioni della propria performance lavorativa più elevate, ma mostravano un decremento minore della propria prestazione, anche in quelle fasi della vita aziendale in cui la media degli individui andare incontro ad una flessione nel rendimento. 7 PSICOLOGIA POSITIVA AL LAVORO: UN’ANALISI DEI PRINCIPALI APPROCCI E COSTRUTTI 1.Introduzione L’etichetta “PSICOLOGIA POSITIVA“ designa una prospettiva incentrata sullo studio del benessere personale. L’interesse della psicologia per le tematiche della psicologia positiva, quali le “potenzialità personali“, il “benessere“, il “buon adattamento“.., venne sancito da un numero monografico uscita nel gennaio del 2000, della rivista American Psychologist. Questo volume, completamente dedicato ai temi della psicologia positiva, era curato da MARTIN SELIGMAN e MIHÁLY CSIKSZENTMIHALYI. autoconsapevolezza autoregolazione emotiva automotivazione empatia competenze sociali In un lavoro successivo, l’autore, ha incluso nell’approccio un altro costrutto: quello della RESILIENZA. Essa è definita come la capacità degli individui di far fronte, con successo, a cambiamenti significativi nel loro ambiente, superando le avversità e minimizzando il rischio di disadattamento. Essere resilienti implica la capacità di organizzare il funzionamento dei propri sistemi psicologici di base, come quello dell’attaccamento, capacità che implica pertanto importanti capacità di autoregolazione. Al centro dell’approccio vi è lo studio di variabili considerate esempi di importanti risorse psicologiche individuali. Queste variabili istanziano dei principi di base dei costrutti ritenuti dall’autore di centrale rilevanza per lo studio del POB: Si basano su teorie derivanti da ricerche scientifiche Possono essere misurate con validi strumenti di misura Hanno caratteristiche di “stato” anziché di “tratto”, e dunque sono aperti al cambiamento ed allo sviluppo. Hanno un impatto positivo su esiti desiderabili, come la soddisfazione lavorativa e la prestazione. L’idea è che comprendere i loro meccanismi di influenza sul comportamento possa portare un notevole contributo alla comprensione dei processi psicologici che sottendono la promozione e al mantenimento del benessere dell’individuo e dei gruppi al lavoro. 4.I presupposti del POB ed il suo impatto nella ricerca organizzativa L’approccio del POB, ha portato numerosi cambiamenti nella ricerca e nella pratica della psicologia delle organizzazioni. L’approccio ha assegnato grande importanza allo studio di quelle caratteristiche individuali che possono risultare di grande aiuto per comprendere i processi che favoriscono l’adattamento degli individui al lavoro. Viene definito “approccio” e questo denota come il POB si limiti ad essere un paradigma molto generale e poco formalizzato, basato su alcuni assunti generali, che però ha come grande obiettivo quello di creare un cambiamento sia nella ricerca che nella pratica. Questo cambio di prospettiva era volto ad introdurre in ambito organizzativo l’interesse per lo studio delle risorse personali. Il costrutto che meglio incarna il tipo di risorse personali indagate dall’approccio è il CAPITALE PSICOLOGICO (PSYCAP). 5.Il capiale psicologico (PsyCap) Il costrutto del CAPITALE PSICOLOGICO (PsyCap) coglie uno stato psicologico di sviluppo dell’individuo caratterizzato da: Il capitale psicologico è un costrutto di secondo ordine (ovvero un costrutto che si compone di altri costrutti di livello più basso). Studi mostrano come il capitale psicologico fosse un predittore significativo della soddisfazione lavorativa, del benessere soggettivo, di comportamenti di cittadinanza organizzativa. Studi hanno analizzato gli antecedenti del capitale psicologico, i risultati hanno attestato che: 6.Altri costrutti positivi Malgrado la rilevanza che ha assunto, la psicologia positiva non si esaurisce nell’approccio del Positive Organizational Behavior. Altri ricercatori hanno individuato, sviluppato e proposta altri costrutti i positivi: Essere convinto di possedere e saper utilizzare le capacità necessarie per avere successo in compiti difficili e impegnativi (EFFICACIA) Formulare prospettive positive riguardo l’esito del compito svolto (OTTIMISMO) Essere perseveranti nell’obiettivo da raggiungere e, quando necessario, dal saper riformulare o rivedere le strategie utilizzate per raggiungere gli obiettivi prefissati, con il fine di portare al successo il compito Di fronte a problemi ed avversità mostrarsi in grado di saperle superare ridefinendo i termini del proprio adattamento all’ambiente circostante (RESILIENZA) I 4 costrutti che compongono il capitale psicologico sono raggruppati sotto l’acronimo di HERE. Le differenze individuali predicono la maggior parte della variazione del capitale psicologico. Anche se in quantità minore, un’alta porzione di varianza significativa viene spiegata da variabili lavoro-correlato. Le variabili socio- d mografiche hanno un effetto trascurabile. 7.Le core self-evaluations (CSE)(1) JUDGE, LOCKE e DURHAM hanno definito il costrutto delle CORE SELF-EVALUATION come l’insieme delle convinzioni di base, o linee valutative di fondo, che gli individui posseggono a livello subcosciente (cioè in modo non completamente consapevole) su se stessi. L’origine del costrutto risiede negli studi condotti sulle basi disposizionali della soddisfazione lavorativa. Come il capitale psicologico, le CSE colgono un costrutto di secondo ordine, composto da una serie di indicatori di livello più basso. Questi indicatori, sono stati individuati facendo riferimento ad una serie di specifici criteri: Sulla base di questi criteri, JUDGE e colleghi hanno individuato 4 variabili di personalità che riflettono il CSE: Studi hanno mostrato come i 4 tratti identificano un fattore latente di ordine superiore (il fattore di secondo ordine CSE). Inoltre, sono state accertate correlazioni significative tra CSE ed importanti costrutti organizzativi, come prestazione, impegno lavorativo e soddisfazione lavorativa. Quello delle CORE SELF-EVALUATION sviluppato da JUDGE. (1) Quello della POSITIVITÀ, individuato e sviluppato da CAPRARA. (2) VALUTATIVITÀ gli indicatori delle CSE colgono valutazioni piuttosto che descrizioni di se stessi e degli altri. L’autore sostiene che i tratti valutativi, che colgono il concetto di sé dell’individuo, fossero maggiormente legati alla soddisfazione lavorativa rispetto ai tratti meramente descrittivi. FONDAMENTALITÀ corrispondente alla fondamentaliTà dei tratti. I tratti fondamentali sono quelli più strettamente connessi, e quindi più centrati, rispetto alla definizione del proprio concetto di sè. L’ipotesi è che i tratti fondamentali possono avere un impatto maggiore sulla soddisfazione lavorativa. GLOBALITÀ: un tratto globale coglie un giudizio generale su di sé. L’AUTOSTIMA: si riferisce alle valutazioni che le persone danno di loro stesse. L’AUTOEFFICACIA GENERALIZZATA: rappresenti una stima generale delle proprie capacità di eseguire compiti diversi e gestire con successo una determinata gamma di situazioni. LA STABILITÀ EMOTIVA: è un tratto di personalità ed è definita come la tendenza ad avere un certo grado di controllo sull’oscillazioni del proprio umore e sulle emozioni negative quali ansia, depressione.. IL LOCUS OF CONTROL: è un costrutto che coglie la maniera in cui le persone interpretano generalmente le cause degli eventi (cause interne/cause esterne). Capitale psicologico, CSE e positività rappresentano 3 importanti risorse psicologiche dei lavoratori che possono essere utilizzate per rendere conto di come gli individui si adattano giornalmente alle richieste e alle sfide proposte dall’ambiente lavorativo. CAPITALE PSICOLOGICO (PsyCap) SPERANZA EFFICACIA RESILIENZA OTTIMISMO CORE SELF-EVALUATIONS (CSE) AUTOSTIMA AUTOEFFICACIA STABILITÀ LOCUS OF GENERALIZZATA EMOTIVA CONTROL POSITIVITÀ (POS) SODDISFAZIONE AUTOSTIMA OTTIMISMO DI VITA 8 I COMPORTAMENTI DI CITTADINANZA ORGANIZZATIVA 1.Introduzione Negli ultimi anni il tema dei comportamenti di cittadinanza organizzativa (OCB) ha ricevuto attenzione. Questo può essere avvenuto per vari motivi: 2.Definizione ed evoluzione del costrutto KATZ e KAHN notarono come in molte occasioni il funzionamento ottimale dell’organizzazione fosse legato a comportamenti extra-ruolo, cioè a comportamenti non richiesti dal ruolo lavorativo. Tuttavia, il tema iniziò a ricevere grande interesse quando BATEMAN e ORGAN introdussero l’espressione “comportamenti di cittadinanza organizzativa“ per indicare quei gesti o comportamenti utili all’organizzazione che non possono essere imposti sulla base dei doveri di ruolo, nè indotti dalla garanzia di una ricompensa contrattuale. Emergono due importanti caratteristiche degli OCB: Può trovare spiegazione nell’estrema competitività del mercato globale che porta le organizzazioni a richiedere ai propri lavoratori di far fronte ad uno sforzo e un impegno sempre maggiori. In questo contesto, assumono centralità la capacità di adattamento e la volontà dei lavoratori di impegnarsi in percorsi di auto- Gli OCB rappresentano una componente della prestazione lavorativa Il concetto di OCB non è più ristretto all’ambito del comportamento organizzativo, ma si è diffuso anche in altri settori. Sono comp di natura volontaria Sono una componente della performance contestuale. Il termine “performance contestuale” è stato introdotto per indicare quei comportamenti di supporto che contribuiscono all’efficacia organizzativa migliorando l’ambiente sociale e psicologico di un’organizzazione. Tali comportamenti si distinguono dalla task performance, che indica i comportamenti formalmente richiesti dal ruolo. Alcuni studi hanno evidenziato come uno stesso comportamento possa essere considerato discrezionale o meno a seconda del contesto di riferimento, della situazione e anche della persistenza della sua attuazione. Per questi motivi ORGAN propose una nuova concettualizzazione degli OCB, definendoli “comportamenti che supportano il contesto sociale psicologico durante lo svolgimento della task performance. 3.Struttura e tipologie Inizialmente, gli OCB sono stati concettualizzati in modo olistico. Successivamente vennero identificate diverse componenti, tra cui altruismo, cortesia, obbedienza, lealtà.. PODSAKOFF e colleghi hanno individuato 7 macro-categorie alle quali è possibile ricondurre le diverse dimensioni:  Comportamenti di aiuto: offrire aiuto ai colleghi (es. aiutare un collega con un elevato carico di lavoro);  Sportività: disponibilità ad accettare inconvenienze mantenendo un atteggiamento positivo;  Lealtà verso l’organizzazione: promuovere l’organizzazione, proteggendola e difendendola da minacce provenienti dall’esterno;  Obbedienza all’organizzazione: internalizzazione, accettazione e rispetto di regole, norme e procedure organizzative;  Iniziativa individuale: andare oltre le richieste della task performance contribuendo al miglioramento della propria prestazione o di quella organizzativa;  Virtù civica: dedizione all’organizzazione nel suo insieme, identificandosi come parte integrante di un insieme più ampio;  Autosviluppo: impegnarsi attivamente per lo sviluppo delle proprie conoscenze e abilità. Tra le varie strutture proposte la più affidabile è quella a 2 fattori proposta da WILLIAMS e ANDERSON. Gli studiosi propongono di distinguere due forme di OCB in riferimento al destinatario dell’azione: 4.Misurare gli OCB Per misurare i comportamenti di cittadinanza organizzativa sono state messe appunto numerose scale: OCBO: Comportamenti volti a beneficiare l’intera organizzazione (es. avvisare in anticipo in caso di assenza). OCBI: Comportamenti volti a beneficiare uno o più individui in particolare (es. aiutare un collega che è stato assente). La scala proposta da BATEMAN e ORGAN è composta da 30 item che misurano diverse dimensioni degli OCB:  Condiscenden za;  Altruismo; puntualità;  Cooperazione;  Cura del luogo di lavoro. SMITH, ORGAN e NEAR hanno proposto una scala di 16 item, che misurano 2 dimensioni:  Altruismo;  Adesione generalizzata. La scala di PODSAKOFF e colleghi è composta da 24 item e mira alla rilevazione delle 5 dimensioni indicate da ORGAN WILLIAMS e ANDERSON hanno proposto una scala di 21 item per la misurazione di 3 aspetti della prestazione lavorativa:  Prestazione in-ruolo;  OCBI;  OCBO. 5.3.Caratteristiche del compito (B) Alcune caratteristiche del compito sembrano rappresentare delle determinanti impo dei comportamenti di cittadinanza organizzativa. Studi mostrano che le caratteristiche del compito maggiormente associate agli OCB Sono il feedback, la varietà, l’interdipendenza e la natura intrinsecamente soddisfacente del compito. 5.5.Comportamenti del leader (D) 6.Conseguenze degli OCB TEORIA DELL’IDENTITÀ SOCIALE: la percezione di giustizia organizzativa aiuta l’individuo a identificarsi con l’organizzazione e ad investire energie per il raggiungimento degli obiettivi ed il successo organizzativo. Di conseguenza, gli individui mett no in OCB Per supportare il benessere del gruppo con il qu le si identificano. TEORIA DELLO SCAMBIO SOCIALE: il trattamento equo da parte dell’organizzazione costituisce un beneficio per l’individuo, che a sua volta tenderà a ricambiare, in un’ottica di reciprocità, con la messa in atto di OCB. Gli individui mettono in atto OCB per ricambiare un trattamento equo ricevuto, con la convinzione che anche il loro comportamento verrà ricambiato. LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE I leader trasformazionale tendono a mettere in atto dei comportamenti che a loro volta favoriscono gli OCB, ovvero:  Comunicano una visione motivante;  Forniscono un modello appropriato;  Promuovono l’accettazione degli obiettivi del gruppo;  Hanno elevati aspettative in termini di prestazione;  Stimolano intellettualmente i loro collaboratori. SCAMBIO LEADER-MEMBRO Quando i collaboratori percepiscono in modo positivo la loro relazione con il leader, tendono a ricambiare il buon trattamento ricevuto dal leader manifestando OCB. EFFETTI SULLA VALUTAZIONE DELLA PRESTAZIONE E ASSEGNAZIONE DI INCENTIVI: studi hanno riscontrato gli effetti positivi sulla valutazione della prestazione e sulle decisioni riguardanti la distribuzione di premi e incentivi. Tale associazione può essere spiegata: TURN-OVER E ASSENTEISMO: autori hanno proposto di utilizzare la carenza di OCB come un indicatore indiretto dei comportamenti di ritiro. EFFICACIA ORGANIZZATIVA: gli OCB sono in grado di contribuire positivamente all’efficacia organizzativa. Vari studi hanno evidenziato un’associazione positiva tra OCB e indicatori di efficacia organizzativa (produttività, profitto, riduzione dei costi). SODDISFAZIONE DEI CLIENTI: autori hanno rilevato che gli OCB hanno un effetto positivo anche sui clienti. Un alto altruismo porta ad una maggiore cooperazione all’interno del gruppo di lavoro, che a sua volta può portare ad una maggiore efficienza e quindi a un più alto livello di soddisfazione dei clienti. Da un desiderio dei capi di reciprocare il buon comportame nto dei dipendenti. È possibile che i capi considerino gli OCB come un indicatore della motivazione dei loro collaboratori nel voler contribuire all’efficace e al successo dell’organizzazione . Le valutazioni positive dei capi potrebbero derivare dall’immagine positiva che hanno di quei collaboratori che manifestano maggiori OCB. 9 IL FORTE INVESTIMENTO NEL LAVORO: DAL WORK ENGAGEMENT AL WORKAHOLISM 1.Introduzione I cambiamenti economici, organizzativi e tecnologici hanno trasformato le condizioni lavorative e la natura dei ruoli e delle carriere professionali. Diviene sempre più centrale la necessità di lavoratori non solo competenti ma che siano disposti a spendersi per il lavoro, che si identifichino con esso e lo portino avanti con entusiasmo, orgoglio e determinazione. Diviene impo il bisogno di avere persone appassionate del proprio lavoro, ovvero che hanno un forte coinvolgimento verso il lavoro, lo riconoscono come impo e investono tempo ed energie in esso ENGAGEMENT, uno stato psico di connessione e coinvolgimento con il proprio lavoro, che porta a sperimentare piacevolmente ed intensamente l’attività professionale, ad investire in essa tempo di energia e a perseverare anche di fronte agli ostacoli. Tuttavia, a volte l’investimento nel lavoro può risultare eccessivo e tramutarsi in WORKAHOLISM, ossia la dipendenza dal lavoro. In questa condizione la p investe tutte le sue energie nel lavoro, perché ne è ossessionato e non riesce a smettere di lavorare e pensare al lavoro a causa di una spinta irrefrenabile. Si tratta di un investimento nel lavoro disfunzionale e controproducente. VALLERAND distingue tra 2 forme di passione per il lavoro: passione armoniaca origina da un’autonomia interiorizzante, ovvero un’interiorizzazione scevra da pressioni interne o esterne, la quale genera una motivazione intrinseca e una forte volontà di dedicarsi all’attività lavorativa. Questa è rappr dal WORK ENGAGEMENT passione ossessiva Trae origine da un internalizzazione dovuta a influenze esterne e interne, come il bisogno di riconoscimento o di approvazione sociale e produce una motivazione estrinseca introiettata e l’esperienza di una spinta incontrollabile ad impegnarsi nel lavoro. Questa è rappr dal WORKAHOLISM Si i lavoratori engaged sia i lavoratori workaholic nvestono tempo ed energie fisiche e mentali nel lavoro. La condivisione di tale aspetto comp (lavorare intens mente)ha portato gli studiosi a ritenere che la dipendenza dal lavoro possa costituire il lato oscuro dell’engagement o una sua estremizzazione, considerando i due costrutti su un continuum. Nonostante una certa ambiguità rispetto alle differenziazioni tra i due costrutti, è possibile rintracciare alcuni aspetti specifici che aiutano a discriminare il work engagement dal workaholism. 2.Il work engagement Il concetto di “ENGAGEMENT” emerge per la prima volta nel 1990 con KAHN che lo definisce come “l’essere imbrigliati nel proprio ruolo lavorativo“. Secondo lui tale condizione rappresenta la manifestazione comportamentale dello stato di presenza psicologica. L’engagement rappresenta la condizione che caratterizza le persone che si identificano nel proprio lavoro e investono in esso le proprie energie fisiche, cognitive e psicologiche. Tuttavia, qualche anno dopo, MASLACH e LEITER parlano di “JOB ENGAGEMENT” come un costrutto che nasce come polo opposto al JOB BURNOUT, che rappr una sindrome psicologica da stress cronico. Se il burnout è caratterizzato da esaurimento emotivo, cinismo e senso di inefficacia, il job engagement si esprime attraverso le 3 dimensioni opposte:  Energia;  coinvolgimento emotivo;  senso di efficacia sul lavoro. In questa prospettiva al crescere del burnout diminuisce l’engagement. La concettualizzazione più diffusa attualmente fa riferimento a quella proposta da SCHAUFELI e colleghi a partire dal 2002 che definiscono l’engagement come un costrutto autonomo e indipendente dal burnout. Questi sono: Vi è la componente motivazionale che è qualitativamente diversa: La dimensione affettiva distingue i due stati psicologici: Questi due stati psicologici sono generati da differenti variabili disposizione ali e contestuali e portano a conseguenze lavorativi e personali profondamente diverse:I lavoratori engaged sono guidati da una motivazione intrinseca, pur riconoscend o il lato strumentale del lavoro. Denota la volontà di lavorare I lavoratori workaholic Sono spinti da una motivazione estrinseca introiettata che si caratterizza come una compulsione a lavorare. Denota un senso del dovere. Nel work engagement i lavoratori, pur se affaticati dal proprio lavoro, descrivono la propria stanchezza come uno stato piacevole perché associato a risultati positivi e gratificanti. Il workaholis m si caratterizza per l’assenza di un emozionalit à positiva e piacevolezz a verso il lavoro Positive nel caso dell’engagement Negative per il work aholism 2.2.Determinanti e conseguenze del work engagement BAKKER e DEMEROUTI propongono il JOB DEMANDAS-RESOURCES MODEL (modello JD-R) [CAP 10] per spiegare le determinanti e le conseguenze del work engagement. In accordo con questo modello le RISORSE LAVORATIVE e PERSONALI generano un processo motivazionale che conduce il work engagement il quale, esercita un impatto positivo sulla prestazione. Le risorse lavorative si riferiscono a tutti quegli aspetti fisici, sociali, psicologici e organizzativi che possono:  Ridurre le richieste lavorative e la percezione associata ai costi psicologici e fisici;  Essere funzionali al raggiungimento degli obiettivi di lavoro;  Stimolare la crescita, l’apprendimento e lo sviluppo personale. Le risorse lavorative si dimostrano importanti di per sè. Infatti, tali risorse, hanno una funzione motivazionale:  Sia INTRINSECA, dato che soddisfano bisogni umani importanti come quelli di autonomia, competenza ed appartenenza;  Sia ESTRINSECA, in quanto rappresentano degli strumenti utili al raggiungimento degli obiettivi ed aumentano la probabilità di dedicare i propri sforzi ed energie ai compiti professionali. I risultati di ricerche hanno dimostrato che le risorse lavorative sono i più forti predittori del work engagement. Tra queste troviamo: Le caratteri tic he del lavoro: Obiettivi sfidanti, compiti diversific ti, opportunità di fornire un contributo importante, controllo e autonomia. Caratteristiche organizzative: Un clima organizzativo innovativo, possibilità di crescita, apprendimento e riconoscimenti stimolano i dipendenti a dedicare i propri sforzi ed energia al lavoro, sentendosi motivati e coinvolti. I leader: influenzano lo sviluppo del work engagement. Una leadership trasformativo, ispirando e stimolando interesse e passione, ha mostrato di generare coinvolgimento ed identificazione nel proprio lavoro. La percezione del supporto dell’organizzazi one da parte dei colleghi: Soddisfacendo il bisogno di appartenenza e di sicurezza dell’individuo facilitano il fronteggiamento delle richieste e agevolano la prestazione. Le risorse personali fanno riferimento a caratteristiche personali e valutazioni positive di sé. Sono collegate a esiti lavorativi positivi e alla capacità di controllare ed influenzare efficacemente il proprio ambiente. Le risorse personali che dai risultati di ricerche hanno mostrato essere associati all’engagement sono:  Autoefficacia;  Ottimismo;  Autostima;  Resilienza;  Uno stile di copying problem-focused, a differenza della messa in atto di strategie emotion-focused, ha mostrato di essere predittivo del work Engagement;  Coscienziosità;  Stabilità emotiva;  Estroversione;  Personalità proattiva: gli individui proattivi mostrano iniziativa e perseveranza, reagendo dinamicamente all’ambiente, si mostrano maggiormente inclini ad investire se stessi nel proprio lavoro. 3.Il workaholism I lavoratori engaged che conseguono elevate prestazioni attivano spirali virtuose, dato che l’impegno nel lavoro e la soddisfazione rinforzano a loro volta le risorse personali e lavorative. Questo circolo positivo è il linea con la TEORIA DELLA CONSERVAZIONE DELLE RISORSE di HOBFOLL (COR THEORY) che sostiene che le risorse sono in grado di creare altre risorse. Secondo il modello JD-R, la relazione tra risorse lavorative e work engagement è moderata dalle richieste lavorative: sempre in accordo con COR THEORY, tali risorse aumentano la propria salienza in virtù delle loro possibile perdita. Di conseguenza, il potenziale motivazionale delle risorse aumenta in corrispondenza di elevate richieste lavorative. Più recentemente è stata messa in luce la necessità di differenziare tipi diversi di richieste lavorative. Distinguiamo: È stato riconosciuto in tale circolo virtuoso il ruolo di mediazione svolto dal JOB CRAFTING, ovvero i comportamenti proattivi promossi dai lavoratori orientati a modificare gli aspetti fisici, cognitivi e relazionali del proprio lavoro, con lo scopo di di allinearlo alle proprie preferenze, obiettivi e valori. Attraverso il job crafting, i lavoratori engaged modificano i livelli di richieste e risorse presenti nel proprio lavoro, aumentando il fit con il lavoro. Il work engagement dà vita a tutta una serie di risultati positivi:  I lavoratori engaged conseguono prestazioni superiori, grazie alla disponibilità di maggiori risorse personali e lavorative.  Spendendosi di più, i lavoratori ottengono migliori risultati sia nella performance in-role, sia extra-role.  Gli individui engaged investono le proprie energie con maggiore intensità e tenacia e ciò consente loro di raggiungere risultati migliori.  Sono più propensi a mettere in atto comportamenti di cittadinanza organizzativa  L’engagement è anche associato a minori intenzioni di turn-over e un basso assenteismo, una maggiore soddisfazione è un maggior commitment organizzativo, una migliore tolleranza allo stress e all’esperienza di minore sovraccarico lavorativo.  Inoltre, i lavoratori engaged sperimentano emozioni positive che stimolano lo sviluppo delle risorse personali e lavorative e promuovere la salute psicologica e alimentano il futuro impegno. RICHIESTE PERCEPITE COME OSTACOLANTI Hanno mostrato di avere un impatto negativo riducendo l’engagement a favore del burnout. RICHIESTE PERCEPITE COME SFIDANTI . Innescando emozioni e uno stile cognitivo positivi, si associano positivamente al work engagement e promuovono la prestazione lavorativa.  Sono capaci di trasmettere il proprio engagement agli altri, attraverso un processo di contagio positivo. 3.Il workaholism Il termine WORKAHOLISM nasce dall’associazione dei vocaboli work ed alcoholism grazie a OATES, per indicare un bisogno compulsivo di lavorare eccessivamente al punto da assumere le sembianze di una dipendenza. Si sono susseguite varie definizioni, tuttavia, è possibile individuare degli elementi che accomunano le diverse concettualizzazioni. I lavoratori workaholic dedicano molto tempo alle attività lavorative al di là delle esigenze organizzative ed economiche, si mostrano riluttanti a smettere i compiti professionali e pensano in modo insistente alle attività lavorative. Il workaholic denota, quindi, una tendenza ossessiva verso il lavoro che si traduce nel dedicare un’elevata quantità di tempo alle attività lavorative. Tale costrutto prevede la compresenza delle dimensioni del: Il workaholic è una tendenza cognitiva e comportamentale abbastanza stabile. Il processo motivazionale che guida i lavoratori workaholic è un fenomeno complesso. I lavoratori workaholic sono spinti a lavorare intensamente per fuggire dalla possibilità di tradire le aspettative di elevati standard introiettati, da cui dipendono l’autostima e la valutazione che i lavoratori hanno di sè. Inoltre, impiegare i propri sforzi nel lavoro allontanata i lavoratori dalla sperimentazione di emozioni negative, quali sensi di colpa, ansia, vergogna e pensieri ricorrenti circa l’attività lavorativa stessa. 3.1.La misura del workaholism Anche per il WORKAHOLISM esistono vari strumenti di misura: LAVORARE COMPULSIVAMENTE: ovvero una componente cognitiva che si manifesta attraverso pensieri persistenti e preoccupazione incessante per le attività lavorative anche al di fuori dell’orario di lavoro LAVORARE ECCESSIVAMENTE: la componente comportamentale che si esplica nel lavorare molto duramente per lungo tempo. La prima scala di misura, ideata da ROBINSON, è il WORK ADDICTION TEST RISK (WART) e nasce nel trattamento della dipendenza dal lavoro. Il questionario è composto da 25 item con una scala di risposta a 4 punti (da 1 a 4) attr cui viene formulata la diagnosi di workaholism al raggiungimento del valore soglia di 57. Tuttavia, tale strumento non ha ricevuto adeguate verifiche. Un’altra scala è rappresentata dal WORKAHOLISM BATTERY (WORK BAT) di SPENCE e ROBBINS. Tale strumento risulta costituito da 25 item con una scala di risposta a 5 punti (da 1 a 5) ed è composto da 3 scale che riflettono le 3 dimensioni del workaholism:  coinvolgimento;  spinta interiore;  piacere nel lavorare. Attr l’analisi è possibile identificare 2 tipologie di lavoratori: Più recentemente, SCHAUFELI e TARIS hanno sviluppato il DUTCH WORKAHOLISM SCALE (DUWAS), il quale indaga il workaholism attr la combinazione delle sue componenti: il lavorare eccessivamente e il lavorare compulsivamente. La scala di risposta è una scala a 4 punti che va da 1 a 5 ed è composta da 16 item, 9 per la dimensione del lavorare eccessivamente e 7 per la dimensi ne d i lavorare comp lsivamente. Successiv amente, è stata messa a punto una versione ridotta di 10 item, 5 per ogni dimension e. Tale versione, come quella integrale, ha dimostrat o di avere buone proprietà. WORK ENGAGEMENT WORKAHOLISM VIGORE DEDIZIONE ASSORBIMENTO LAVORARE LAVORARE ECCESSIVAMENTE COMPULSIVAMENTE 5.Implicazioni pratiche È fondamentale per le organizzazioni distinguere e riconoscere i lavoratori engaged dai lavoratori workaholic, al fine di migliorare il coinvolgimento e l’impegno nel lavoro. Diversi autori hanno identificato delle strategie che le organizzazioni possono adottare per incrementare i livelli di engagement dei propri dipendenti. Migliorare le risorse personali ed organizzative sembra essere la modalità privilegiata per aumentare il livello di engagement nei dipendenti. PERRIN Individua quattro-macro aree che racchiudono le leve dell’engagement: leadership opportunità responsabilizzazione reputazione di carriera e apprendimento Per quanto riguarda il workaholism, bisogna operare una distinzione tra: 6.Limiti e sviluppi futuri La relazione e le distinzioni che ci sono tra work engagement e workaholic non sono del tutto chiari. La ricerca futura dovrebbe esplorare maggiormente il rapporto tra questi due stati psico. TRATTAMENTO: Le linee direttrici da seguire per la delineazione dei possibili programmi di assistenza riguardano l’azione circa:  Le convinzioni maladattive;  Il rinforzo dei comportamenti gratificanti ed appropriati;  Le emozioni e le condizioni associate al mantenimento del comportamento compulsivo;  L’ambiente familiare e l’ambiente lavorativo. Possono essere utili dei servizi couselling aziendali che, possono offrire un valido strumento per il riconoscimento e il trattamento della dipendenza dal lavoro. Esistono anche dei veri e propri gruppi di auto-aiuto La terapia cognitiva-comportamentale ha dimostrato essere la migliore strategia di intervento. PREVENZIONE: le organizzazioni hanno un ruolo centrale nella possibile prevenzione del workaholism. Un possibile intervento risiede nel cambiamento della cultura organizzativa, attraverso il passaggio da una cultura che incita e premia l’overwork, ad una che stabilisce dei chiari confini ed enfatizza l’importanza di un equilibrio tra lavoro e vita privata. Un modo per scoraggiare il lavoro oltre l’orario previsto potrebbe essere rappresentato dalla chiusura degli account di posta elettronica oltre un certo orario e nel weekend. 10 STRESS E FATTORI DI RISCHIO PSICOSOCIALE 1.Introduzione I rapidi e profondi mutamenti che hanno caratterizzato il mondo e l’organizzazione del lavoro negli ultimi 15-20 anni hanno richiesto sforzi di adattamento da parte dei lavoratori sempre più esposti a ritmi di vita e di lavoro estremamente intensi, a nuove forme di domande lavorative, a richieste di flessibilità, di aggiornamento e formazione permanente. Queste dinamiche sono state esasperate dalla crisi economico-finanziaria, la quale ha determinato una percezione diffusa di precarietà e di insicurezza lavorativa. Non può essere un caso, se oltre 1/4 dei lavoratori italiani riporta un livello di benessere mentale basso, con un rischio significativo di depressione. Tale prevalenza, che è comune anche in altri paesi europei, fa presupporre una diffusione del fenomeno dello stress da lavoro e getta dubbi sull’adeguatezza delle condizioni di lavoro. 2.Aspetti fisiologici dello stress Le prime indagini sullo stress hanno assunto prevalentemente un approccio di tipo medico ed hanno condotto a scoprire i meccanismi fisiologici coinvolti nella risposta da stress, attivata in corrispondenza di uno stimolo ambientale che minaccia l’integrità psicofisica della persona. In tale circostanza, l’organismo adotta reazioni a catena che coinvolgono il sistema nervoso simpatico ed il sistema endocrino. SPIEGAZIONE:  Incremento dello stato di allerta generale dell’organismo al fine di realizzare un monitoraggio più stringente dell’ambiente esterno, vista la sua minacciosità;  Mobilizzazione delle risorse energetiche immagazzinate, in maniera da renderle immediatamente spendibili;  Canalizzazione di queste risorse verso le strutture utili in una situa di emergenza;  Riduzione dei processi fisiologici meno salienti la cui attività assorbirebbe preziose energie utili a fronteggiare la minaccia esterna. Queste reazioni, che costituiscono la risposta da stress, hanno valore adattivo nel breve termine in quanto preparano la persona a fronteggiare al meglio la sollecitazione ambientale. Tuttavia, se evocate con frequenza o in maniera troppo intensa, divengono disadattive e nocive per la salute, conducendo ad uno stato di esaurimento nel quale l’organismo risulta vulnerabile alla malattia. Secondo la TEORIA FISIOLOGICA DEL CARICO ALLOSTATICO (MCEWEN), l’organismo si adatta ad eventi e situazioni che lo mettono alla prova (stressor) attraverso una serie di aggiustamenti dinamici di vari sottosistemi (cardiovascolare, immunitario…). In altri termini, un equilibrio omeostatico (o stabilità temporanea) viene raggiunto attraverso il cambiamento. E questo è il processo dell’allostasi, ossia della stabilità riguadagnata attraverso il cambiamento. Sollecitazioni che richiedono un riadattamento continuo, tuttavia, mandano in crisi il sistema. 3.Aspetti psicologici dello stress Le componenti psicologiche e soggettive giocano un ruolo cruciale nel processo dello stress. Il ruolo delle componenti psicologiche è stato enfatizzato da LAZARUS, secondo il quale la mente monitorare costantemente l’ambiente esterno ed interno, in un processo non necessariamente consapevole. Gli stimoli percepiti vengono sottoposti a 2 diversi tipi di valutazione cognitiva, che avvengono in successione: 4.Lo stress da lavoro La concezione oggi condivisa dello stress da lavoro è quella di risposta psicofisica che avviene quando le richieste del lavoro superano le capacità o le risorse del lavoratore o si scontrano eccessivamente con i suoi bisogni. Lo stress è una condizione caratterizzata da insoddisfazione o da disturbi fisici, psicologici e sociali ed è la conseguenza del fatto che le persone non si sentono in grado di far fronte adeguatamente alle esigenze o alle attese nei loro confronti. La manifestazioni che può assumere lo stress sono diverse: 5.Il ruolo delle differenze individuali Le componenti soggettive giocano un ruolo significativo sulle manifestazioni dello stress. La ricerca si è frequentemente centrata su aspetti di tipo disposizione. Riguarda le proprie capacità di fronteggiamento. Se l’esito di questa è incerto o negativo, si attiva la risposta da stress. Parallelamente si attivano anche i processi di coping. Secondo l’autore possono essere distinti due tipi generali di coping: Viene valutato se essi sono rilevanti per il benessere personale alla luce dei valori individuali (credenze obiettivi, priorità). Se il risultato di questa è positivo avviene l’altra valutazione. Quello centrato sulle emozioni: è costituita da strategie cognitive il cui obiettivo è quello di modulare le emozioni sperimentate (esempio: cercando di distogliere la propria consapevolezza dalla situazione stressante). Questo coping diviene prevalente se si consolida la convinzione che la situazione stressante è fuori del proprio controllo. Quello centrato sul problema: mira ad alterare le circostanze stressanti al fine di ridimensionare la minaccia. Questo coping diviene prevalente nel caso di circostanze in cui emerge la convinzione di avere chances di riuscita. Sebbene vi siano stabili differenze individuali nella tendenza ad adottare l’uno piuttosto che l’altro tipo di strategia, lo stesso individuo può cambiare strategia nel tempo. SINTOMI FISICI  Mal di testa;  Disturbi del sonno;  Aumento/perdita di peso SINTOMI PSICOLOGICI  Ansia;  Depressione;  Rabbia. SINTOMI COMPORTAMENTALI  Assenteismo;  Eccessivo consumo di tabacco, alcool, farmaci;  Aggressitivà. 6.2.Il modello effort-reward imbalance (ERI) SIEGRIST 1996 Secondo SIEGTIST l’esperienza individuale dello stress è determinata dalla violazione dello scambio e della reciprocità sociale, principio regolatore anche delle relazioni lavorative. I contratti di lavoro, infatti, contengono le regole della reciprocità definite in termini di prestazioni lavorative e rispettiva ricompensa. La nascita dello stress sarebbe quindi da ricondurre al disequilibrio tra sforzo richiesto dal lavoro e ricompensa. La ricompensa non riguarda solo la retribuzione, ma anche la stabilità o sicurezza del posto di lavoro, le possibilità di avanzamento e carriera, la stima ricevuta dagli altri. In condizione di sforzo elevato e contemporaneamente bassa ricompensa, il rischio di stress e malattia risulta essere significativo. Secondo l’autore questa situazione di effort-reward imbalance è prevalente nel mercato del lavoro attuale caratterizzato da forte instabilità lavorativa. In alcune circostanze possono essere le persone stesse, a causa di predisposizioni personali, a contribuire alla creazione di situazioni di effort-reward imbalance. Il modello ha trovato varie conferme. 6.3.Il modello domande e risorse (JD-R) DEMEROUTI 2001 Uno degli assunti di base di tale modello è che ogni tipo di occupazione è contraddistinta da peculiari richieste lavorative e risorse lavorative le quali attivano due processi psicologici indipendenti che influenzano l’esp lavorativa della persona: Successivamente è stata proposta un’estensione introducendo il concetto di risorse personali, considerate come caratteristiche psicologiche che favoriscono la resilienza e l’abilità di influenzare positivamente il proprio ambiente di lavoro. 6.4.Il modello demand-induced strain compensation (DISC) DE JONGE e DORMANN 2003 La maggior parte dei modelli condivide l’assunto secondo il quale le domande lavorative giocano un ruolo diretto nell’insorgenza dello stress lavorativo correlato e le risorse lavorative un ruolo sia diretto che moderatore. Le richieste (domande) lavorative sono aspetti fisici e/o psicologici del lavoro che richiedono sforzi continui e sono associati a costi fisici e/o psicologici (es. carico di lavoro, percezione di equità). Queste possono attivare il “processo energetico“ che consiste nella graduale riduzione di energia ed entusiasmo nello svolgere il proprio lavoro. Le richieste lavorative, tuttavia, divengono stressor nel momento in cui il lavoratore non possiede risorse ed energie tali da poterle adeguatamente fronteggiare. (non sono sempre stessor). Le risorse lavorative sono aspetti che promuovono la crescita e lo sviluppo personali e il raggiungimento dei propri obiettivi lavorativi (es. supporto dei colleghi, feedback da parte dei superiori). Tali risorse possono rivestire un ruolo motivazionale intrinseco ed estrinseco. Le risorse lavorative promuovono una condizione che è stata chiamata work engagement, definito come uno stato mentale positivo, stabile e pervasivo di relazione con il proprio lavoro caratterizzato da vigore, dedizione e assorbimento nel proprio lavoro. Tuttavia le evidenze a testimonianza del ruolo moderatore delle risorse non sono univoche. La spiegazione può essere ricondotta non è la mancanza del processo di interazione ma ad un errore di misurazione delle dimensioni in gioco poiché le domande e le risorse lavorative vengono stimati in termini generali, tralasciando la loro natura multidimensionale. Il linea con questa spiegazione DE JONGE e DORMANN hanno proposto il DEMAND- INDUCED STRAIN COMPENSATION MODEL (DISC) che si basa su 2 assunti fondamentali: 7.Fattori di rischio emergenti 8.La valutazione del rischio stress La valutazione e la gestione del rischio di stress da lavoro è un obbligo per i datori di lavoro. La valutazione del rischio stress viene effettuata dal datore di lavoro avvalendosi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione con il coinvolgimento del medico competente e previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. La valutazione prevede due fasi: Multidimensionalità dei costrutti: secondo il quale le richieste, le risorse e gli esiti dell’esperienza lavorativa sono classificabili in 3 categorie:  Cognitivo;  Emotivo;  fisico. Principio del triplo match: secondo cui l’effetto di moderazione delle risorse sul rapporto domande- esiti è più probabile se sia le domande, sia le risorse, sia gli esiti si trovano allo stesso livello di funzionamento (cognitivo, emotivo fisico) ovvero ci sia una tripla corrispondenza. Tra i diversi rischi emergenti è riconosciuto il peso dell’intensificazi one del lavoro. La percentuale di persone che riportano un’intensificazio ne del lavoro è aumentata negli ultimi 20 anni. Un altro rischio è costituito dalla difficoltà di conciliazione tra i tempi e i ruoli del lavoro e quelli della vita extra lavorativa: conflitto lavoro-famiglia. Molti sono gli elementi chiamati in causa: -L’orario lavorativo gioca un ruolo importante; -Anche i cambiamenti tecnologici che permettono di rimanere costantemente connessi possono incidere sul bilanciamento tra lavoro e famiglia. Con l’utilizzo dei device i confini tra lavoro e famiglia diventano più confusi. Un uso intensivo di questi device aumenta la disponibilità e il tempo di esposizione alle richieste lavorative e, di conseguenza, può ampliare l’effetto di interferenza lavoro-famiglia. Un ruolo centrale è ricoperto dalla job insecurity, ovvero la credenza che il proprio lavoro sia a rischio, spesso associata alla convinzione che sarà difficile trovare un altro impiego. Ricerche hanno confermato l’ipotesi che una maggiore percezione di insicurezza può portare ad un eccessivo dispendio di energie. Un lavoratore insicuro può affrontare tale percezione lavorando più duramente per cercare di mantenere il proprio impiego, sforzo che, tuttavia, può generare una condizione di esaurim nto. Nei lavori in cui è costante la necessità di confrontarsi o interagire con gli altri un rischio prevalente è rappresentato dalle domande di tipo emotivo, ossia il doversi confrontare con situazioni emotivamente impegnative e disturbanti. Queste situazioni sono stressanti in particolare perché richiedono un lavoro di regolazione delle proprie risposte emotive nelle relazioni con gli utenti del proprio lavoro in modo da adeguarle a specifich ri hieste del proprio compito. Un ruolo centrale hanno anche i conflitti interpersonali, le molestie e le violenze sul lavoro. Una PRELIMINARE OBBLIGATORIA che indaga:  sia una serie di eventi sentinella che possono essere considerati indicatori di esito dello stress;  sia una serie di fattori di contenuto e contesto del lavoro potenzialmente responsabili della genesi dello stress. Un’APPROFONDITA EVENTUALE, che richiede un coinvolgimento più massiccio dei lavoratori al fine di indagare le loro percezioni dell’ambiente di lavoro, ed è attivata di norma sono nel caso in cui gli interventi adottati in seguito alle criticità emerse nella fase preliminare non abbiano avuto effetti positivi. Il metodo di valutazione e gestione dello stress più diffuso in ambito nazionale è quello avanzato da INAIL. Il metodo INAIL prevede l’utilizzo di una checklist per la frase preliminare e un questionario per la fase approfondita. La checklist indaga 10 eventi sentinella e 10 fattori di contenuto e contesto del lavoro che rappresentano comuni cause di stress se presenti ad alti livelli. Gli eventi sentinella dell’anno precedente a quello in cui viene compiuta la valutazione (cioè gli ultimi disponibili), vengono confrontati con la media degli ultimi tre anni al fine di identificare se il loro andamento è in aumento, stabile o in diminuzione. A ciascun andamento corrisponde un determinato punteggio di rischio. Ciascun fattore di contenuto e contesto è composto da una serie di aspetti specifici da cui ne deriva un punteggio (0 o 1) che viene poi sommato ad ottenere il punteggio di rischio del fattore. Le somme dei punteggi dei fattori che afferiscono alla stessa area permettono di ottenere un punteggio di rischio di area. Sommando i punteggi degli eventi sentinella con quelli dei fattori di contenuto e contesto del lavoro si ottiene un punteggio complessivo per la valutazione preliminare, che confrontato con i punteggi massimi ottenibili viene classificato in 3 categorie:  Rischio trascurabile;  Rischio medio;  Rischio alto. È importante rendere centrale la valutazione approfondita dello stress al fine di vagliare la necessità di interventi migliorativi. Per ciò che riguarda la valutazione approfondita, lo strumento indaga alcune dimensioni:  Richieste psicol giche;  Controllo esercitato;  Sostegno del superiore e dei colleghi;  Ruolo;  Relazioni;  Modalità di gestione dei cambiamenti. L’analisi è condotta a livelli di gruppo omogenei. I valori medi ottenuti a livello di gruppo vengono confrontati con i dati normativi posseduti da Inail e l’esito è classificato in una delle quattro fasce di rischio:  Necessità di immediati interventi correttivi;  Evidente necessità di interventi correttivi;  Buon livello di prestazione;  Ottimo livello di prestazione. Ad oggi la valutazione approfondita è la sola dare le garanzie necessarie per una corretta valutazione del rischio stress. Se l’aumento della rilevanza della componente emotiva e relazionale può essere positivo e costruire una fonte di gratificazione e impegno per i lavoratori, non si può negare come tali aspetti possano costituire una fonte di stress. 2.1.Origini ed evoluzione Il concetto di “BURNOUT” è stato introdotto negli anni ’80. Sebbene il termine fosse già stato usato, la prima sistematizzazione di questa sindrome si deve a CHRISTINA MASLACH. Lei definì il Burnout come una specifica sindrome psicologica da stress cronico che si può verificare tra i lavoratori che devono instaurare relazioni intense con pazienti sul luogo di lavoro. In questa accezione il Burnout caratterizza le professioni di aiuto e di servizio (infermiere, insegnante) in cui l’obiettivo dell’attività lavorativa è la cura, l’aiuto, la riabilitazione dell’utenza. Essere disponibili, epatici, capaci di dare aiuto richiede un grande sforzo psicologico ed emotivo da parte dell’operatore che è esposto a questa sindrome che si distingue dallo stress lavorativo per la sua connotazione relazionale. Il burnout si caratterizza per 3 dimensioni legate alle interazioni emotive logoranti con altre persone: Le 3 dimensioni sono state inizialmente concettualizzata come sequenziali: prima compare l’esaurimento emotivo determinato dalle richieste relazionali lavorative, poi nel tentativo di proteggersi da questa situazione l’individuo adotta una visione cinica e distaccata, infine il lavoratore sperimenta un senso di inadeguatezza lavorativa e di ridotta realizzazione professionale. Tuttavia altre ricerche mostrano che, contrariamente all’ipotesi di uno sviluppo sequenziale, la ridotta realizzazione professionale sembra svilupparsi in modo indipendente. ESAURIMENTO EMOTIVO: si riferisce alla sensazione di aver consumato in maniera eccessiva le proprie risorse fisiche ed emozionali sul posto di lavoro. Le richieste lavorative possono risultare eccessive rispetto alle capacità della persona di far fronte ad esse, determinando così l’esaurimento del lavoratore. DEPERSONALIZZAZIONE: corrisponde al distanziarsi cognitivamente ed emotivamente nella relazione con gli utenti attraverso una percezione di questi ultimi di umanizzata e cinica al punto che i pazienti vengono trattati come oggetti piuttosto che come persona RIDOTTA REALIZZAZIONE PROFESSIONALE: si riferisce ad una valutazione negativa dei propri risultati lavorativi e della propria capacità di fronteggiare le situazioni che si possono presentare sul posto di lavoro, accompagnata da un sentimento di disillusione rispetto all’utilità del lavoro svolto. Sulla base di queste dimensioni, nacque il MASLACH BURNOUT INVENTORY (MBI), uno strumento ideato per valutare il Burnout nelle professioni di aiuto e nei servizi educativi. Con il tempo i ricercatori cominciarono a studiare il burnout anche in professioni differenti e si accorsero che il concetto e lo strumento riuscivano ad adattarsi con difficoltà. Così MASLACH e LEITER hanno proceduto a una nuova concettualizzazione del Burnout così da renderlo applicabile a tutte le professioni lavorativa. Le tre dimensioni sono state ridefinite: Queste modifiche portano alla creazione di una nuova versione dell’MBI, il MASLACH BURNOUT INVENTORY-GENERAL SURVEY. Questo strumento ha avuto il merito di permettere lo studio del burnout in tutti i contesti organizzativi. Tuttavia la nuova concettualizzazione risulta priva dell’elemento relazionale che distingueva il burnout da altre forme di stress. Il costrutto del burnout in questo modo perde la sua valenza interpersonale. Tutt’oggi l’effettiva possibilità di applicare questo costrutto a professioni differenti da quelle per cui era stato originariamente pensato è oggetto di dibattito. inoltre, a causa della debole correlazione con gli altri dimensioni del burnout, molti autori hanno messo in dubbio che la ridotta realizzazione professionale rappresenti una dimensione costitutiva del burnout. Il burnout sarebbe quindi costituito dalle due sono le dimensioni dell’esaurimento e della disaffezione. In questo contesto si colloca la proposta di BORGOGNI e colleghi, di recuperare la dimensione relazionale del burnout affiancando alle due dimensioni di esaurimento cinismo, una dimensione relazionale, INTERPERSONAL STRAIN AT WORK, ossia una reazione di disimpegno in risposta alle interazioni interpersonali impegnative e dalle pressioni sociali, attraverso cui la persona che crea una distanza emotiva e cognitiva dalle altre persone sul posto di lavoro. Gli autori sottolineano come questo costrutto sia un costrutto ben distinto da quello della depersonalizzazione: mentre la depersonalizzazione si riferisce esclusivamente alla relazione di aiuto, l’interpersonal strain at work riguarda qualsiasi relazione sul posto di lavoro (includendo clienti, colleghi e supervisori). Questo costrutto non è una dimensione limitata alle professioni di cura. È un costrutto operazionalizzato in modo meno estremo rispetto alla depersonalizzazione L’esaurimento emotivo è stato riconcettualizzato nella dimensione dell’ESAURIMENTO, in cui vi è una minore enfasi sulle emozioni e non si fa riferimento alle relazioni con gli utenti. La dimensione della depersonalizzazione è stata quella maggiormente modificata. Essa è stata sostituita dalla dimensione più generica e non sociale della DISAFFEZIONE LAVORATIVA, indicante un generico atteggiamento di indifferenza e distacco negativo verso il proprio lavoro. La dimensione della ridotta realizzazione professionale è stata denominata RIDOTTA EFFICACIA PROFESSIONALE e operazionalizzata come una diminuzione di un senso generale di efficacia. 2.2.Le conseguenze del burnout La rilevanza del burnout è legata alle ripercussioni che questa sindrome produce: 2.3.Gli antecedenti del burnout Gli antecedenti del burnout possono essere raggruppati in: L’assenza di risorse lavorative aumenta il rischio di burnout, mentre la loro presenza ha una funzione protettiva,sia proteggendo dal burnout, sia attraverso una riduzione delle richieste lavorativa. 3.Il lavoro emotivo In ogni relazione la necessità di regolare le proprie emozioni svolge un ruolo centrale. CONSEGUENZE PER LA SALUTE DELL’INDIVIDUO: il rapporto tra Burnout e salute del lavoratore è complesso poiché esso influenza le condizioni di salute e ne viene a sua volta influenzato, determinando possibili circoli viziosi. Il burnout è positivamente correlato all’insorgenza di disturbi psicosomatici quali mal di testa, fatica cronica, dolori muscolari-scheletrici, ipertensione, disturbi gastrointestinali. È associato anche all’abuso di sostanze tra cui alcol, sigarette, caffè, droghe e medicinali. È correlato a scarsa qualità del sonno, sonnolenza affaticamento, insonnia cronica. Questi Risultati sono emersi sia da studi che hanno utilizzato autovalutazioni sia da studi che hanno utilizzato misurazioni oggettive. Vi sono ricerche che hanno evidenziato le conseguenze sulla salute psicologica tra cui ansia, calo dell’attenzione, depressione CONSEGUENZE LAVORATIVE: individui con alti livelli di burnout riportano livelli più bassi di soddisfazione lavorativa. Punteggi elevati di burnout sono positivamente associati all’intenzione di turn-over. Il burnout risulta correlato all’assenteismo. Studi che hanno utilizzato autovalutazioni mostrano scarse correlazioni tra burnout e ridotta produttività lavorativa e inferiore qualità del lavoro. Studi che non hanno utilizzato autovalutazione, ma misurazioni oggettiva, risultano contraddittori. FATTORI LEGATI AL LAVORO Possono essere divisi in: CARATTERISTICHE INDIVIDUALI: varie variabili demografiche sono state indagate. L’età è risultata la variabile maggiormente correlata: i lavoratori sotto i trent’anni, con scarsa esperienza lavorativa riportano una maggiore incidenza. Rispetto al genere l’unica differenza è relativa alle diverse dimensioni del burnout: gli uomini riportano livelli più alti di depersonalizzazione rispetto alle donne, le donne hanno un esaurimento più alto. Un’altra analisi, facendo riferimento ai cinque tratti individuati dal modello dei big five, ha evidenziato che l’energia, la stabilità emotiva e la coscienziosità sono negativamente correlati al burnout. Da ricerche è emerso come le risorse personali (autostima) svolgono un impo ruolo protettivo dal burnout. Richieste lavorativa: le richieste lavorative elevate (pressione, carico di lavoro) sono correlate al burnout. Risorse lavorative: (autonomia, supporto sociale) risulta negativamente correlata al burnout.
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