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Riassunto libro e commento, Schemi e mappe concettuali di Storia Della Pedagogia

Riassunto libro e commento finale

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 26/09/2023

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sofia-ripalvella-3 🇮🇹

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Scarica Riassunto libro e commento e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! Sofia Ripalvella 55EI20 EDUCARE AL GENERE: RIFLESSIONI E STRUMENTI PER ARTICOLARE LA COMPLESSITÀ -INTRODUZIONE Questo libro si propone sia il compito di fornire a chi lavora nel mondo della scuola e della formazione con gli adolescenti strumenti di analisi e di intervento per educare al genere che l'obiettivo di guardare oltre e di offrire una molteplicità di sguardi per articolare la complessità del fare educazione al genere oggi. La dimensione del genere offre l'accesso ad una costellazione complessa attraverso cui è possibile articolare la molteplicità di differenze che stratificano la diversità personale; a tal proposito, l'educazione svolge un ruolo decisivo. Ideali educativi differenziati per uomini e donne hanno contribuito nel tempo a creare un sapere minore e socialmente subordinato per le ragazze; si parla di pedagogia dell'ignoranza per indicare la scissione storicamente data fra l'educazione e l'istruzione maschili, e la pedagogia del fare domestico che indirizzava le ragazze adolescenti verso quei percorsi scolastici volti confermare il ruolo femminile di cura all'interno dell'ambito familiare. Una volta raggiunto l'obiettivo di uguaglianza, è necessario muoversi verso un'articolazione della differenza femminile che dia spessore alla presenza delle ragazze nel mondo scolastico. La pedagogia della differenza è un progetto educativo volto a dar voce all'esperienza della femminilità; questo approccio ha valorizzato la pluralità delle esistenze in aperta sfida con modelli educativi e modalità di creazione e trasmissione dei saperi travestiti da neutralità universale, ma in verità costruiti a immagine e somiglianza della maschilità. Questo fare educativo ha avuto il merito di ridare valore al sapere di cura e alla dimensione corporea. La pedagogia della differenza ha permesso di disvelare in maniera radicale qualunque pretesa di neutralità di universalità del fare educazione e ci ha messo di fronte alla necessità di pensare a qualunque intervento educativo tenendo conto del concreto posizionamento di genere dei soggetti che non sono destinatari. Articolare la complessità equivale al tentativo di dare conto di quella ricchezza culturale e interculturale, di quella diversità di corpi e orientamenti sessuali, che non sono altro che le differenze al plurale dello stare al mondo, intese come risorse e non come difetto o inferiorità. In questo senso l'educazione al genere diventa una sorta di prisma attraverso cui diversi assi interpretativi ed esperienziali si intersecano, in cui viene offerta l'occasione di non appiattire la diversità ma di ascoltarla interrogandola. -EDUCARE AL GENERE: SPUNTI PER UNA CORNICE INTERPRETATIVA Non siamo genericamente individui ma siamo un crocevia di differenze che informano la nostra prospettiva sul mondo, ma che si traducono in disuguaglianze che limitano la possibilità di una cittadinanza piena per coloro che si collocano al di fuori o ai margini delle norme. Se l’esistenza concreta dei soggetti ci parla di una pluralità di esperienze, i modelli culturali disponibili per articolarle nello spazio pubblico sono tuttora estremamente normativi. In questa totalità di differenze la dimensione del genere gioco un ruolo cruciale: da un lato la differenza di genere è una categoria fondante e fondamentale dell’identità dei soggetti che sottende trasversalmente ogni altro posizionamento sociale identitario; dall'altro, essa può essere interpretata come l'archetipo di ogni differenza e dunque configurarsi come piano di intervento privilegiato per promuovere una più ampia cultura di valorizzazione delle differenze in contrasto con quella logica della neutralità che, volendoci uguale a livello astratto, non rispetta le diversità e produce concrete disuguaglianze. Il mondo della scuola e i contesti educativi hanno una grande responsabilità in quanto possono incidere sul percorso informativo dei futuri cittadini e supportare quel processo di divenire donne e uomini; hanno inoltre l'onere di farlo evitando di riprodurre gli stereotipi dominanti e offrendo ai ragazzi quelle pluralità di modelli culturali identitari spesso assenti in altre agenzie formative. Nell'ambito familiare molto spesso i genitori trasmettono ai figli modelli tradizionali di genere appresi nella propria infanzia senza saper offrire gli strumenti critici necessari ad articolare la complessità del presente; la società, nel suo complesso, conferma e rafforza le pratiche e i convincimenti propri a tanta parte dell’educazione familiare, offrendo agli adolescenti modelli di femminilità e di maschilità fortemente stereotipati; infine, la scuola stessa, quale principale agenzia formativa, si propone in apparenza come luogo di effettiva parità fra i generi ma, in verità, dispone un rischioso impiccio: quello di non fornire gli strumenti interpretativi e di guida indispensabili per riconoscere la propria identità e di non elaborare la dimensione sessuata del soggetto come una risorsa, anziché un limite e uno svantaggio. Nel 1975 l'antropologa Rubin introdusse per prima il concetto di genere per sottolineare come le disuguaglianze esistenti tra uomini e donne non fossero la conseguenza naturale dei loro corpi, bensì il prodotto di specifiche costruzioni sociali. Il termine sesso, quindi, definisce quell’insieme di caratteristiche fisiologiche strutturali che distinguono i maschi dalle femmine mentre il termine genere corrisponde all'organizzazione sociale di questa differenza sessuale, ovvero la modalità con cui le società hanno interpretato le differenze tra il maschile e il femminile e a partire da esse hanno costruito la loro organizzazione sociale, culturale e riproduttiva. La società in cui viviamo è organizzata attorno a un ordine di genere inteso come un sistema di pratiche simboliche e materiali attraverso cui gli individui in una società costruiscono e legittimano rapporti impari di potere tra uomini e donne. Le asimmetrie esistenti tra uomini e donne non si radicano nel loro sesso ma sono il complesso risultato dei processi di socializzazione e di organizzazione sociale così come delle norme e delle aspettative culturali che ricadono in maniera diversa su maschi e femmine, i quali si trovano in differenti posizioni di potere e cittadinanza. Il genere non è solo la costruzione culturale del sesso ma anche una pratica relazionale che emerge dalle interazioni tra gli individui; esso si configura come qualcosa che facciamo con e per gli altri ed è qualcosa che si dà come repertorio culturale disponibile agli individui per costruire le proprie performance di genere. La transessualità, per esempio, esplora il genere come fare piuttosto che come proprietà dei soggetti. Perché i nostri comportamenti siano riconosciuti e socialmente accettati come maschili e femminili dobbiamo saper utilizzare con cura le pratiche di genere che la società ci mette a disposizione, ovvero quel repertorio culturale, sociale, discorsivo e corporeo disponibile per gli individui per fare genere. che insegnano si devono sottrarre alla tentazione di essere neutrali, presunzione per cui ogni docente ha reputato necessario cancellare il proprio genere, per proporsi come modello di un apprendimento asessuato. Questa collocazione asessuata, però, rischia di bloccare qualsiasi tentativo di comunicazione sulle difficoltà della propria formazione di genere, rigettando questo ambito fra quelli secondari rispetto al sapere, e comunque appropriate unicamente a una sfera privata dell’esistenza che non deve condizionare la sfera delle relazioni pubbliche. Questa finzione di equidistanza contribuisce a consolidare una falsa neutralità che produce disuguaglianze de facto; la pedagogia della falsa neutralità è dannosa perché qualsiasi docente è sempre vittima di atteggiamenti stereotipati relativamente al genere degli studenti e delle discipline insegnate. Se questi pregiudizi e comportamenti non sono esplicitati e sottoposti a critica, rischiano di passare come messaggi educativi distorti che rispecchiano valori obsoleti elaborati dal sapere- potere secolare dell’ordine di genere. Bisogna utilizzare un approccio che preveda che i docenti debbano imparare a ridefinire il proprio ruolo e la propria presenza; essi devono saper esplicitare il luogo d'origine del proprio discorso dando legittimità e visibilità pubblica la dimensione del genere. Se è il docente stesso a mettersi in questione, i problemi dell’identità non potranno che essere percepiti come rilevanti e quindi degni di essere affrontati e di divenire oggetto di riflessione e di confronto con gli altri. Occorre quindi disporsi ad un’attitudine trasformativa che richiede all'insegnante la disponibilità a rivedere le proprie esperienze, avendo preso confidenza con la propria biografia, le proprie emozioni e i saperi della vita. Questo tipo di attitudine educativa è volta alla valorizzazione delle identità di genere, intese come matrici sociali di relazioni fra singoli e fra gruppi, produttrici non solo di conoscenza della realtà ma anche di cambiamento sociale. La dimensione del genere offre l'accesso ad una costellazione complessa di significati ed esperienze: è guardando attraverso di essa che è possibile articolare la molteplicità di differenze che stratificano i posizionamenti individuali sociali nella contemporaneità. - INSEGNAMENTO E RICERCA: IL DISCORSO STORIOGRAFICO TRA GENERE E SOGGETTIVITÀ Il femminismo è il movimento che in forme e modi differenti pose interrogativi radicali sul soggetto, sul corpo e la sessualità, sul significato delle esistenze femminili e sulla loro rappresentazione nelle costruzioni culturali dominanti. Le protagoniste erano donne cresciute negli anni del dopoguerra e dell’espansione economica del mondo occidentale. Alla fine degli anni ‘60 negli Stati Uniti e all'inizio dei ‘70 in Europa il neofemminismo contemporaneo portò non solo cambiamenti sociali e legislativi ma anche uno spostamento del punto di vista nella lettura e nell’interpretazione delle vicende umane e delle relazioni tra i sessi. Gli anni ‘80 furono contrassegnati dall’emergere degli women's studies nelle università e dalla nascita di centri, riviste, associazioni, luoghi di ricerca e produzione culturale in cui si ritrovavano donne impegnate nella ricerca e nell’insegnamento che avvertivano l'urgenza di introdurre nuove parole e nuovi metodi. Questo movimento che poneva al centro il desiderio di articolare coscienza di sé considerando l'identità femminile un fatto culturale ereditario e un processo sociale costruttivo si confrontava con l’invisibilità dei soggetti femminili nella narrazione storiografica. Dal punto di vista del discorso storico è risultato fondamentale esplorare l'esperienza storica femminile nella sua pluralità; l'obiettivo era sia la comprensione del significato dei sessi e dei gruppi sessuati nella storia, scoprire la varietà del simbolismo dei ruoli sessuali in società ed epoche diverse per capire che significato avessero nel mantenere l'ordine sociale o promuovere il cambiamento sia spiegare perché i ruoli sessuali fossero talvolta sottoposti a rigide prescrizioni e talaltra più fluidi, talvolta marcatamente asimmetrici e talaltra più ugualitari. Per gli studi storici il percorso difficile del riconoscimento e dell'auto-riconoscimento dell'individualità femminile era un altro punto focale: per intere generazioni di ragazze diveniva difficile immaginare per sé traiettorie biografiche diversa da quelle considerate inerenti alla propria appartenenza di genere e, allo stesso modo, per le corrispondenti generazioni maschili diventava difficile immaginare relazioni con l'altro sesso capaci di porsi al di fuori di schemi consolidati. L'intenso sviluppo degli studi di storia delle donne e di storie di genere ha segnato un punto di svolta e ha creato un nuovo paesaggio in cui diversi soggetti potevano intraprendere esplorazioni all'interno della vicenda storica delle identità e delle culture di genere, confrontandosi con il proprio presente, con le singolarità di ciascuno, con ragioni e con sentimenti legati alla complessità delle relazioni tra i sessi. Dopo una prima fase legata alla scoperta della storia delle donne come soggetto oppresso è seguita una fase in cui si è posta attenzione sulle molteplici forme della presenza femminile nei momenti storici più significativi. A metà degli anni ‘80 Scott sosteneva la necessità sul piano del discorso storiografico di uscire dalle opposizioni binarie e dicotomiche per analizzarne la dinamica nelle diverse congiunture, superando ogni accettazione di essa come evidente e naturale. Ciò comportava una critica radicale ad ogni visione rigida e sostanzialmente atemporale di una differenza immutabile e il passaggio al genere come categoria analitica capace di dare conto dei molteplici significati attribuiti alla differenza sessuale. La storica richiamava l'attenzione sulle forme e sui modi di costruzione sociale narrativa del maschile e del femminile come identità non fisse né univoche, che agiscono sia come regole sociali, sia nei processi di auto-identificazione individuale mettendo in ombra le tensioni tra queste costruzioni e le vite e le esistenze concrete. Essa inoltre individuava il genere come fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere. La configurazione di genere e le pratiche discorsive sottese la rappresentazione del maschile e del femminile assegnava agli uomini la sfera pubblica e alle donne la sfera privata in un’apparente divisione complementare simmetrica che rendeva invisibile la subordinazione femminile nel contratto matrimoniale e dunque anche nella sfera privata. Il desiderio di uscire dai confini stretti dei destini femminili portò singole e gruppi a dar vita a un movimento che sedimentò differenti costruzioni e creò la possibilità di manifestarsi alle molteplici forme della soggettività femminile. I riferimenti non mancano e ampia è ormai la mole degli strumenti a disposizione per una formazione storica in cui l'appartenenza di genere acquisti rilievo e significato. Le parole, però, si devono incarnare nei metodi. L'attenzione dei soggetti alla soggettività è stata determinante anche sul piano didattico. A partire dalla fine degli anni ‘70 insegnanti, storici, esperti di didattica, donne e uomini, hanno avviato un'altra complessa ricerca su come insegnare, su quali metodologie adottare per un’efficace comunicazione con altre generazioni. È stato così messo in questione il modello che si basava sul consolidato meccanico; la scuola di massa e lo stesso articolarsi del discorso storiografico nel corso del ‘900 rendevano questo modello obsoleto e inadeguato per la formazione. È stato messo a punto un modello laboratoriale in cui gli stessi studenti divenivano protagonisti dell'apprendimento e in cui era centrale l'analisi critica delle fonti e la decostruzione di testi storiografici. L'attuazione di un laboratorio, inoltre, implica una sorta di questionario di avvio costituito dalle domande che scaturiscono dal presente, dal contesto in cui vivono e agiscono i ragazzi. Evidente allora risulta l'importanza di questa modalità didattica per un insegnamento della storia che voglia approfondire senso e significato dell'appartenenza di genere. Il rapporto diretto con le fonti consente di misurarsi con l'esperienza storica di uomini e donne, di coglierne le differenze, di analizzare le rappresentazioni del maschile e del femminile e le loro codificazioni e di non espungere i corpi e la loro sessuazione; di costruire un ponte tra ricerca e insegnamento e creare percorsi di formazione in cui i ragazzi possano avere l'occasione di una pratica auto riflessiva nel confronto con altre storie e vicende. Malgrado gli sforzi compiuti, la manualistica risenta di una visione della storia delle donne come aggiuntiva; la cultura femminista viene spesso avvertita come lontana, appartenente all'esperienza di altre generazioni. Per arrivare al cuore del problema diviene ancor più necessario procedere attraverso un attento lavoro di riflessione e autoriflessione, alla decostruzione della rappresentazione del femminismo e delle icone che nell'immaginario collettivo hanno sedimentato la sua immagine. Diviene necessario, inoltre, intrecciare in modo sempre più significativo la storia delle relazioni tra i sessi e generi e la soggettività di donne e uomini con gli scenari mutati del nuovo millennio. Già a partire dagli anni ‘80 e ‘90 la categoria di genere e la differenza sessuale sono state criticate e messe alla prova da donne provenienti da altre storie da altre culture: la parola differenza si è coniugata e intersecata con le differenze legate alle generazioni, alle appartenenze sociali e culturali e alle preferenze sessuali. Pensare oggi ad una formazione storica attenta all'appartenenza di genere significa allora misurarsi con la molteplicità delle appartenenze, diverse prospettive di lettura dei contesti e del proprio stare nel mondo. L'esplicitazione del punto di vista in cui si è situati diviene la soglia da valicare per progettare un percorso di formazione capace di dare e significato a questa disciplina come risorsa utile a pensare peculiari intrecci nei contesti in cui ci si trova condurre la propria esistenza tra biografie personali, vicende collettive, continuità e smottamenti. Nelle differenti cornici disegnate dagli studi postcoloniali e dall’assunzione di una storia globale le categorie di genere e soggettività ereditate dalla cultura e dalle elaborazioni del femminismo contemporaneo possono acquistare nuove dimensione di senso, avviare avventure intellettuali capaci di suscitare emozioni e passioni senza le quali insegnare e apprendere può divenire un faticoso esercizio. -DALLA TRASMISSIONE ALLA RELAZIONE: LA PEDAGOGIA DELLA MASCOLINITÀ COME RIPOSIZIONAMENTO CONDIVISO NELLA PARZIALITÀ DI GENERE Nell'ultimo secolo e mezzo si è riassunto l'insieme degli di una dicotomia che li contrapponeva a una concezione socialmente condivisa di virilità. La maschilità si forma quindi attraverso l'accomunare le donne, gli ebrei e gli omosessuali al fine di escluderli. Il nazifascismo appare il punto culminante di un’evoluzione del concetto di virilità che aveva iniziato a svilupparsi già molto prima. Il nazismo combatteva quei comportamenti che non corrispondevano ad un ruolo eterosessuale attivo per gli uomini. Butler sintetizza il legame esistente tra l'oppressione delle donne e quella degli omosessuali: una persona è il proprio genere sessuale nella misura in cui non è l'altro genere, all'interno di una coppia binaria. La coerenza interna del genere richiede un'eterosessualità stabile e oppositiva poiché il maschile è differenziato dal femminile proprio attraverso il desiderio eterosessuale. Il collegamento tra misoginia, antisemitismo e omofobia sembra costituire la genesi dell’attuale modello di maschilità. La rappresentazione ideologica del maschile consisteva in un immagine dell'uomo come una persona brutale, sempre in preda alla passione, con un costante accostamento tra aggressività e mascolinità, tra capacità militare e sessuale. La risposta del fascismo al dato di fatto che esistevano donne, omosessuali e uomini di razze inferiori consistette in un'esaltazione della maschilità. La costruzione nazionalistica, esaltata nei conflitti bellici, favorì il fiorire di questo modello. Oggi le dittature nazifasciste non ci sono più ma la virilità dominatrice non appare comunque morta. La supremazia del maschio si esprime ancora simbolicamente come effetto di una costruzione della maschilità basata sulla figura dell'eroe guerriero, un modello di virilità fissato attraverso una serie di narrazione di gesta di violente conquiste. L'adolescenza è il periodo in cui si mostrano evidenti processi di formazione e rappresenta una sorta di laboratorio di maschilità. Come la nascita della maschilità è stata condizionata dall'inquadramento negli eserciti nazionali, la definizione dell’adolescenza è stata favorita dalla creazione dei sistemi scolastici nazionali e dalla diffusione della scuola secondaria. È all'interno del contesto scolastico che l'esperienza dell'adolescenza diventa collettiva; prima di allora gli adolescenti vivevano esperienze molto varie che non necessariamente facevano sì che si componesse un gruppo sociale omogeneo e differenziato dal resto della società. La femminilità viene tutt’oggi concepita come forma di debolezza o invito all'aggressione; il femminile collega nell’ambito simbolico della passività la possibilità di essere vittimizzata al fatto di subire la pratica sessuale. Vi è una concezione gerarchica e competitiva dei rapporti tra uomini che sta ancora oggi alla base del simbolo maschile: si tratta di una concezione della mascolinità compromessa con l'oppressione delle donne. Negli adolescenti via è una concezione della maschilità come dominio e una rappresentazione della sessualità come strumento di sopraffazione, costrizione e inganno dell’altro. Questa concezione del maschile non può non contribuire a strutturare la personalità degli adolescenti, la loro concezione della sessualità e il loro comportamento sociale. Il bullismo, per esempio, riguarda prevalentemente un genere di aggressori: quello maschile. A questa predisposizione è da escludere ogni spiegazione di tipo essenzialista perché non è stato dimostrato alcun fondamento biologico al rapporto tra maschilità e comportamento aggressivo. Il maggiore coinvolgimento maschile nel fenomeno del bullismo è spiegabile con una serie di motivazione di carattere sociale e culturale; tra queste, vi è la costruzione simbolica della virilità. L'appartenenza di genere non è una semplice evidenza anatomica ma è una questione socioculturale e per questo deve essere riconosciuta dagli altri. Le dinamiche relazionali contribuiscono a costruire l'identità sessuale e si trasformano più facilmente in violenza nei maschi perché la posta in palio, la virilità, si articola nella nostra società in una gerarchia di gradi, basata su una competizione finalizzata a uno status che si ottiene sottraendolo ad altri maschi. La maschilità si sostanzia nella tensione e nello scontro permanenti, spinti a volte sino l'assurdo, che ogni uomo si vede imporre dal dovere di affermare, in qualsiasi circostanza, la sua virilità. Il genere è una condizione solo perché si basa su una performance continua: l'uso della prevaricazione ha per effetto l'affermazione della maschilità per negazione dell'altro- dal-maschile. Nella nostra società molto è cambiato rispetto alla concezione nazifascista della virilità; molto più spinti sono i fenomeni di glamourizzazione del corpo maschile, dell'uomo oggetto, da porre su un trono da venerare. Il concetto di maschilità dominatrice è tuttavia ancora persistente. La virilità si costruisce oggi in adolescenza attraverso delle performance di genere. Compito dell’educazione è rendere chiaro che vi sono tanti ambiti distinti di realtà quanto distinti ambiti esplicativi dell’esperienza tutti fondati su distinte coerenze operative, e in quanto tali l'origine di tutti è legittima, anche se il loro contenuto non è uguale e non sono ugualmente desiderabili. È importante allora fornire ai ragazzi modelli plurali di maschilità al fine di favorire uno sviluppo armonico dell’appartenenza di genere. Si tratta di valorizzare i vari modelli di maschilità esistenti ripercorrendone la genealogia storica. Appare importante mostrare che maschile significa molte cose e che la maschilità è sempre stata plurale, nonostante l'oscuramento prodotto dal patriarcato. Lavorare criticamente su questi modelli non significa tentare di sostituire l'attuale modello dominante di maschilità con un ideale più forte, non significa sostituire un dover essere con un altro, piuttosto concedere il diritto di cittadinanza culturale alla pluralità dell’esperienza virile, ma, significa cercare di evitare chiusure ego difensive e atteggiamenti aggressivi tra gli adolescenti, proponendo loro una prospettiva inclusiva e di relazionalità reciproca. La locuzione relazione educativa evoca tanto il piano dei rapporti tra docenti quanto quello delle relazioni tra studenti, oltre ovviamente al dialogo tra docenti e studenti. Se fare in modo che l'essere maschio non sia identificato col dominare le donne, odiare gli omosessuali e assumere comportamenti razzisti verso chi è considerato inferiore, pare dover far parte dell’agenda educativa della nostra scuola, ciò significa ripensare non solo a cosa insegnare ma anche come insegnare. A partire dalla consapevolezza che l'educare i nostri adolescenti a una maschilità non fobica e aggressiva significa rieducare noi adulti a prendere le distanze da abitudini percettive e comportamenti su cui non siamo stati abituati a riflettere. -PENSARE MULTIPLO: OLTRE LE DICOTOMIE DI SESSO E DI GENERE L'attività conoscitiva degli esseri umani si svolge in un ambiente complesso che non è possibile descrivere e comprendere nella sua interezza e ciò li costringe a ricorrere a continue operazione di riduzione, in base alla selezione di stimoli e dati soggettivamente ritenuti come più rilevanti in ogni situazione data. La rielaborazione degli elementi selezionati in descrizioni coerenti della realtà può essere definita con il termine stereotipo. È impossibile non avere stereotipi. Il processo di costruzione e validazione della conoscenza stereotipica può essere applicato anche al caso della cosiddetta identità sessuale/di genere. Quando incontriamo qualcuno la prima automatica operazione di catalogazione che compiamo è quella relativa al suo sesso, il che conduce ad adeguare il comportamento nei suoi confronti sulla base della presupposizione di un genere connesso a quel sesso e di una preferenza sessuale connessa a entrambi. La decisione di assegnare un individuo alla dicotomia M/F dipende da una serie di fattori che devono essere ritenuti dei pregiudizi ma la cui validità dipende dal fatto che normalmente non sono messi in discussione, ossia funzionano. Tali fattori sono l'appartenenza della forma del corpo e l'insieme degli atteggiamenti corporei, il tono della voce, ecc. A ben guardare nessuno di questi elementi viene vagliato criticamente, mentre ci si accontenta semplicemente del loro essere più o meno conformi al prototipo dell’individuo M/F. l'assegnazione del sesso avviene alla nascita sulla scorta dell'appartenenza nel corpo, che si afferma presentare in natura soltanto due possibili forme anatomiche. Gli intersessuali sono tutti quegli individui dei quali alla nascita non è immediatamente possibile stabilire la collocazione come M/F. Il riferimento alla naturalità della dicotomia sessuale comporta l'adesione all'assioma secondo cui esistono soltanto due forme anatomiche ben distinte che permettono di ascrivere ogni individuo a soltanto uno di esse. In natura esistono soltanto due forme corrette e accettabili perché pienamente funzionali, quelle di M e F; talvolta, per motivi diversi, si presentano anche altre forme che devono essere considerate errori commessi da quella stessa natura. Essi devono essere giudicati come tali e, se possibile, corretti con gli strumenti scientifici a disposizione. Si tratta dell'ascesa di quella nozione di normalità che coincide con l'elaborazione e l'affermazione di dispositivi del potere applicati alla disciplina dei corpi in molti ambiti, allo scopo di istituzionalizzare la loro normalità. Il concetto di normalità è stato costruito come uno stereotipo per il quale si presuppone un riferimento nella realtà come essa è, cioè la natura, la quale si intestardisce a presentare casi che ne negano la validità, obbligando di conseguenza a imporre lo stereotipo sulla realtà, ossia a trasformarlo in un pregiudizio ed è ciò che accade nel caso dell'intersessualità, poiché essa non dovrebbe esistere se la natura si comportasse normalmente. Oggi non si è ancora pronti a superare la dicotomia sessuale ammettendo che lo stereotipo su quale si fonda è soltanto una costruzione operata dagli esseri umani per ridurre la complessità del divenire concreto. Ciò dà luogo a comportamenti discriminatori nei confronti degli individui intersessuali che vengono costretti ad adeguarsi attraverso l'intervento chirurgico e con metodi socioculturali, in quanto il neonato verrà abituato a connettere al suo sesso una delle due identità di genere. In questo modo l'individuo interessato viene sottoposto al pregiudizio sociale per ben due volte: la prima applicando coercitivamente la norma secondo cui il suo corpo deve adeguarsi alla dicotomia naturale M/F, e la seconda obbligandolo ad assumere gli atteggiamenti, i comportamenti e i ruoli connessi al polo sessuale scelto per lui. La costruzione di una corretta identità di genere entro il gruppo sociale è in grado di superare l'impasse dell’originale non adeguatezza anatomica. Tuttavia, informazione sul genere e sulla sessualità. Se le domande sull'identità di genere non vengono affrontate negli ambiti formativi, su internet si trova uno spazio sicuro dove i ragazzi si scambiano informazioni sulla sessualità e sulla varietà di forme del genere maschile e femminile, dell'omosessualità o della transessualità. I ruoli molteplici ed emergenti della tecnologia digitale non sono necessariamente liberatori o né sempre progettati a scopi educativi, ma almeno aprono uno spazio nuovo. Sarebbe necessario seguire un approccio pragmatico che permetta di concepire internet non come medium dove si ricevono passivamente informazioni, ma come una potenziale rete comunicativa, dove trasformare internet in azioni sensate e spazi adatti all'apprendimento. La performance di genere nel contesto virtuale può essere del tutto slegata dalla scelta di identificazione di genere o dalle pratiche sessuali a cui una giovane adulta possa essere interessata. Il potenziale di anonimia e informalità delle interazioni mediate dalle tecnologie può essere d'aiuto a parlare e sperimentare, senza patire le conseguenze sociali di una performance o identificazione di genere pubblica stigmatizzante. Un altro elemento utile di internet è la qualità non gerarchica delle interazioni: l'esempio più famoso è Wikipedia, l'enciclopedia creata dagli utenti in continua evoluzione. Il valore non risiede nella sua democraticità e gratuità ma nel diffondere l'idea e l'abitudine di negoziare continuamente ciò che si sa, veder cambiare i concetti che si apprendono. Questo significa anche comprendere come in tempi brevi queste idee e conoscenze vengano corrette e migliorate attraverso il lavoro collettivo di discussione, revisione e mediazione consensuale. Ci si accorge che le idee appartenenti al senso comune di uomo, donna, gay, lesbica o trans sono concetti storici, in evoluzione continua e oggetto di dibattiti e ridefinizioni; sono concetti, inoltre, che contengono molte variazioni contraddittorie. Esistono siti web che forniscono l'opportunità di apprendimento orizzontale; un esempio è Go ask Alice in cui è possibile porre domande sulla sessualità e sul genere ad Alice che risponde in tempo reale con una serie di consigli. Grazie a questo sito si vede come i modi antichi di comunicare dubbi e passare i saperi non ufficiali, tra amici e compagne, parenti o coetanei, trovino un corrispondente attuale. Il portale Teen Talk, invece, consiste in una serie di minigiochi che mettono alla prova i giovani utenti sulla propria educazione sessuale in modo divertente e innovativo: un gioco a quiz televisivo sul sesso e uno ambientato in una fattoria sulle malattie a trasmissione sessuale. Un altro esempio analogo è Sex Fu, il gioco dedicato all'educazione sessuale: si tratta di una simulazione di un combattimento a Kung Fu tra due soggetti a suon di conoscenza sull’anatomia, sugli atti sessuali e su come praticare sesso sicuro in rapporti maschili e femminili. Da ultimo, esistono siti dedicati agli adolescenti in crisi rispetto alla propria identità sessuale, che aiutano a sviluppare una rete di sostegno reale contro il bullismo, la depressione o il conflitto familiare e l'autolesionismo. Queste reti hanno effetti positivi perché slegate dal contesto immediato di vita e permettono all'adolescente di sentirsi parte di una comunità virtuale che accetta le differenze di genere e i comportamenti sessuali desiderati minoritari. In Italia l'omofobia e il machismo sono fenomeni molto radicati e, spesso, una performance di genere non sicura e che non si situa esattamente in parametri rigidi di conformismo viene etichettata come deviante. Sapere che altrove e in ogni istante c'è un gruppo che può aiutare rispondere alle esigenze è un aiuto fondamentale. Le teorie sociali femministe propongono di pensare al genere come ad una relazione sociale, che si costruisce e rafforza attraverso le interazioni sociali quotidiane, l'educazione, le aspettative e i ruoli sessuali che ci troviamo a ripetere inconsciamente. Educare al genere diventa un progetto pedagogico volto a fornire strumenti per comprendere un ampio spettro di comportamenti, interazioni e aspetti fisici, tali da mettere a proprio agio ciascuno. Gli strumenti per educare al genere devono rendere leggibili e accettabili le variazioni esistenti del maschile e femminile. Educare al genere significa aumentare i livelli di comprensione e tolleranza delle diversità e ridurre la tensione verso la norma secondo quel meccanismo che è stato definito eteronormatività. Non si tratta di insegnare a separare l'apparenza o le performance di genere dalle pratiche sessuali attuate desiderate ma significa prendere atto di un forte cambiamento identitario dovuto alle tecnologie dell'informazione che può venire utilizzato in senso produttivo. I nuovi media digitali sono già luogo di decostruzione delle dinamiche di potere che determinano l'apprendimento unilaterale dagli adulti agli adolescenti e si prestano a una pedagogia che promuove lo scambio attivo tra generazione e tra pari. Inoltre, il web ci rende consapevoli del nostro posizionamento sociale concreto e istituito e ci permette di comprendere come il genere sia una categoria in parte imposta dall'esterno e in parte elaborata diversamente dal ciascuno. Lo spazio e le qualità delle interazioni nel web rendono questa tecnologia aperta alla sperimentazione, uno spazio dove si può trovare aiuto e soprattutto adottare identità fluide che evitano di costringere i giovani nel dualismo M/F imposto quotidianamente. Le tecnologie digitali sono uno spazio complesso, differente e liberatorio dove esprimere un desiderio perennemente aperto all'altro da sé. È responsabilità degli adulti decidere attivamente di parteciparvi e imparare a usare il potenziale dei nuovi media per comunicare tra generazioni, ricordandosi che la pedagogia del genere è quanto di più delicato e mutevole. Educare al genere significa educarsi a vicenda, tra generi e tra generazioni. -ADOLESCENTI STRANIERI E SGUARDI DI GENERE: UN APPROCCIO ANTROPOLOGICO L'aumento vertiginoso di alunni stranieri nelle scuole del paese è uno dei fattori centrali delle trasformazioni socioculturali in atto nel nostro territorio. La scuola assume un ruolo di mediazione sociale di estrema importanza, rappresentando non solo l'istituzione in cui i modelli di convivenza e i diritti di cittadinanza vengono messi in pratica e diventano concretamente esigibili, ma anche il luogo in cui i figli e le figlie di immigrati sperimentano le politiche dell'accoglienza, le retoriche dell'integrazione e il proprio grado di inserimento nella società italiana. Dal 2006 al 2008 è stata condotta un’indagine etnografica con l'obiettivo di esplorare le relazioni concrete che le adolescenti straniere sviluppano con i servizi della città di Bologna. È stato utilizzato un approccio narrativo. Essendo i narratori nel mezzo del racconto che stanno narrando, essi sono attivamente impegnati nel dare un senso alle proprie azioni e alle vicende che le hanno accompagnate. Le narrazioni sono dunque racconti profondamente culturali, in grado di svelare significati nascosti di chi racconta e in grado di proiettare le attività ed esperienze nel futuro, organizzando i desideri verso fini immaginati o forme di esperienza che la vita è intenzionata a esaudire. Nel corso della ricerca le ragazze straniere hanno scelto di orientare i propri racconti sui diversificati aspetti delle loro storie di vita. Molte difficoltà incontrate dalle ragazze sono spesso connesse alle loro condizioni materiali e sociali, alla loro esperienza migratoria e alle forme di esclusione che, come donne e come immigrate, si trovano a vivere nel contesto di approdo. Quando l'adolescenza viene vissuta senza poter realmente contare sulla protezione di un gruppo e su spazi di socializzazione con i pari extrascolastici è facile che si verifichino fenomeni di marginalizzazione; la mancanza di reti di supporto diventa quindi uno scoglio insormontabile per le adolescenti straniere che non riescono a instaurare nessun legame al di fuori di quello familiare. È inoltre paradossale come sia il cittadino straniero colui che fa più fatica a districarsi nel sistema amministrativo locale e, nel sistema di servizi, è comunque colui che è chiamato maggiormente a fare i conti con le prassi più lunghe e complesse, con gli iter burocratici più difficoltosi e tortuosi. La promessa formale implicita nel carattere universalistico del welfare viene messa in discussione da una serie di contraddizioni e ambiguità che si verificano nelle interazioni concrete tra servizi e cittadini migranti, generando sia discriminazione sul piano giuridico che discriminazione di fatto. Queste dinamiche vanno a incidere sulle fasce più vulnerabili della popolazione, come le ragazze straniere, che sono scarsamente tutelate. Le rappresentazioni stigmatizzate provenienti dall'esterno e le prospettive di disuguaglianza che le giovani avvertono rispetto ai coetanei italiani sono spesso causa di un disagio profondo, che può portare alcuni adolescenti a identificare nelle reti etniche un ambiente protettivo; di fronte alle discriminazioni proveniente dall'esterno, le reti etniche sembrano rappresentare un ambiente accogliente e confortevole nel quale le giovani possono muoversi liberamente e trovare accoglienza, riconoscimento e solidarietà. A differenza delle ragazze che sono arrivate in Italia nell'età scolare, le giovani che sono nate qua sembrano aver elaborato forme di riconoscimento plurali nel mondo che le circonda e mostrano di gestire la propria differenza in modo dinamico e situazionale. In questi casi, il conflitto intergenerazionale sembra emergere in maniera più accentuata: si evidenzia una preoccupazione da parte dei genitori riguardo al fatto che le figlie possono assumere i modelli e gli stili di vita propri della società ospitante, prendendo le distanze dalle tradizioni culturali della comunità di origine. Le preoccupazioni dei genitori, però, non sembrano diventare vincoli nelle vite delle ragazze. Alcune mettono in atto un articolato lavoro di quotidiana mediazione tra le proprie famiglie e la società di accoglienza, trovandosi a decodificare il linguaggio della società italiana e a vestire i panni delle interpreti dei genitori. A questo lavoro di mediazione corrisponde spesso un desiderio marcato da parte delle giovani di rompere gli essenzialismi e di smarcarsi da letture che riconducono il proprio comportamento a una pura appartenenza nazionale. Termini come autonomia, scelta personale e mentalità sono spesso utilizzati nei racconti per esprimere un desiderio di autodeterminazione, una volontà di sviluppare pensiero critico attraverso lo studio e l'esperienza di espandere, rispetto alle condizioni delle prime generazioni, le proprie opportunità di donne adolescenti; traspare un forte desiderio di rivendicare la propria riconoscitiva e trasformativa. Si tratta di un’attenzione alla trasmigrazione, un concreto andare verso l'altro da sé che richiede che questo altro sia per me realmente altro e che io sia per lui altrettanto altro. La sessualizzazione è una delle più immediate difese contro i rischi del solipsismo, cioè dell’illusione di poter fare e disfare il mondo che ci contiene, negando il principio relazionale che ci lega ad ogni alterità. Il movimento della sessualità racconta, nella sua espressività fisica, un'esperienza conoscitiva molto particolare. Il corpo dell'altro da misura all'esigenza di essere del mio; nel suo accogliermi mi permette di guardarmi prospetticamente, ma perché questa visione sia fonte di cambiamento è necessario che io torni nella mia posizione e da lì guardi la distanza che sono in grado di percorrere. Quello che si produce è un’intermittenza di posizionamenti e de posizionamenti successivi. Un andirivieni in grado di illuminare l'esistenza di un posto nostro anche nel momento in cui ne abbandoniamo, soggettivamente e oggettivamente, il luogo. Sostenuti dal piacere, accettiamo di abbandonare l'ordinaria identificazione, di sconfinare nell’inammissibile e facciamo esperienza della possibilità, corporea e mentale, di poter assumere una forma altra da quella consueta. Io pongo il mio corpo come oggetto di incontro e depongo la sua idea come soggetto di scontro. Nello stesso atto accolgo la posizione del corpo altro come soggetto che vuole incontrarmi e la deposizione del suo immaginario come oggetto di impedimento alla relazione. Nell’esperienza amorosa l'alterità si concede nella sua irriducibilità, dimensione che non possiamo costringere alla nostra misura mentale, e neppure vogliamo, tanto più le diveniamo intimi e scopriamo il nostro piacere. È un'esperienza in cui i termini del rapporto non sono arbitrariamente scissi o spiritualisticamente trascesi, ma piuttosto compresi in una complessità non confusiva e rifondati nell’integrità tutta particolare del fuori luogo. Quello che ne consegue è un mutamento sostanziale della propria percezione esistenziale: la matrice di un sentirsi essere non più fondato sull’eternità immutabile e perpetuamente uguale a sé stessa prodotta e indotta dal fallologocentrismo, ma piuttosto sulla provvisorietà. È una dimensione che fa perdere il senso della realtà, la nozione del tempo, il ritmo delle abitudini quotidiane, che implica sempre un modificarsi di forme e che cerca, nella parola, di dare continuità e trasmissione alla sensazione rivoluzionaria del suo posto in noi. Focault distingue storicamente due grandi procedure per produrre la verità del sesso: l’una non è meno verità dell'altra perché entrambe sono prodotte, ovvero entrambe sono originate da un’intenzione esplicativa. Il problema non è la verità in sé ma piuttosto che cosa si vuol fare con quella verità. Mentre nell’ars erotica la verità è estratta dal piacere considerato come esperienza cardine, nella scientia sexualis la verità si configura in una forma di potere-sapere che mira a estarniare dalla pratica. Mentre da un lato si lascia parlare l'atto accettando di porsi in ascolto, dall'altro si parla del lato subordinando l'esperienza alla sua rappresentazione. L’una fa del segreto il suo veicolo, l'altra fa del discorso la sua divulgazione. Non è la parola in sè che rivela o tradisce l'esperienza ma il processo comunicativo che essa costruisce: per mettere in contatto da un lato, per frapporsi dall’altro. La parola incarnata alla fine diventa semplicissima e il linguaggio che essa fonda non richiede la proprietà di particolari strumenti della comunicazione, ma piuttosto un'attitudine intuitiva, una disposizione a combinare e contaminare le percezioni del corpo e della mente. La sua è una comunicazione che dimostra molto di più la possibilità di affinità percettive che non l'impossibilità di comprendersi. Il problema evidentemente non è la parola ma l’atto d'amore che sussiste tra l'esperienza e la sua rappresentazione e la possibilità di farne politica, cioè simbolo e tramite di uno specifico ordine della convivenza: l'ordine che non si sostituisce al desiderio, che non censura la passione, ma che sui loro stimoli fonda la sua capacità di far incontrare e ammette le infinite risultanti dell'incontro. È la politica della relazione fra un uomo e una donna che sostengono l'ideale del loro proprio genere in un'alleanza con l'altro genere. Genere quindi come veicolo di cambiamento, come declinazione dell'essere sessuato e sessuale nelle molteplici variabili del sentirsi essere punto i corpi lasciati parlare di sé non nascondono il loro limite dietro il discorso né potente dell’astrazione, ma si raccontano parziali e desiderose di altre parzialità. E in questo loro cercarsi evidenziano il senso profondo della politica che ha bisogno di riconoscimento di appartenenza. Di questa politica la narrazione rappresenta il valore metaforico della congiunzione possibile tra atto e memoria, cioè tra ciò che avviene tra l'io e il tu e quello che può essere costruito tra noi. Per quanto il fare l'amore non sia cosa che si può apprendere, e dunque insegnare, nel senso scolastico dei termini, non possiamo non riconoscere come testimonianze secolari abbiano trasmesso pratiche e significati. Il fare l'amore è un cercare e trovare continuo ed è esperienza condivisa da molte diverse culture; è un'esperienza che contraddice la scissione corpo-mente sulla quale il sistema fallologocentrico ha fondato la costruzione dell'io e dell'altro come medesimi di un'unica logica dell'uno. Un sentirsi essere capace di sostenere l'incognita del perdersi, ma anche di un trovarsi sempre più complesso dell'essere che si ha avuto paura o coraggio di deporre. Se consideriamo la narrazione come il fare l'amore del corpo e della parola, sostenere il suo esercizio non può che produrre le combinazioni della differenza che vanno a interrompere la linea continua delle scissioni dicotomiche prodotte e indotte dal sistema culturale fallologocentrico. Si tratta di una pratica che educa la complessità e l'integrità che siamo e che motiva il cambiamento aprendoci alla disponibilità e alla capacità di ammettere e sostenere l'estraneità. Non importa scrivere d'amore ma sperimentare l'atto d'amore di una parola che non sopravanza il corpo e di un corpo che si fida della parola. Se la nostra è una posizione educativa, nei confronti delle giovani e dei giovani di cui sopra intendiamo la formazione, questo esercizio risulta doppiamente utile perché implica una disposizione all'intimità, cioè la rottura delle regole dell'indifferenza che dietro il rispetto della privacy mascherano il terrore che l'apparizione dell'altro inneschi in noi metamorfosi dagli esiti incontrollabili perché assolutamente liberi e imprevedibili. -EPILOGO Come fare educazione al genere? Risulta indispensabile concentrare l'attenzione su una riflessione metodologica: per fare educazione al genere è necessario ripensare e ridefinire non solo il cosa ma anche il come, ovvero quali siano le modalità didattiche più adeguate a farlo, in quanto le prassi pedagogiche tradizionali non si configurano come le più adeguate per raggiungere questo obiettivo. La pre-condizione per svolgere educazione al genere è quella di porre attenzione a quale linguaggio si utilizza nella relazione in classe con i propri studenti. Dato che l'obiettivo dell'educazione al genere non è semplicemente ampliare le conoscenze di base degli studenti ma portarli alla consapevolezza della propria identità di genere e offrire loro strumenti critici di analisi e decostruzione, è importante stimolare non solo le loro capacità cognitive e razionali, ma anche quelle emotive e relazionali. Bisogna quindi saper valorizzare anche i piani del saper fare, ovvero sviluppare competenze comunicative relazionali, e il piano della saper essere, indirizzato a una maggiore conoscenza del sé, dei propri valori, dei condizionamenti culturali, dei propri vissuti e delle proprie aspettative. L’attitudine educativa deve essere capace, quindi, di integrare i piani del sapere, del saper fare e del saper essere. Risulta indispensabile facilitare una maggiore consapevolezza nei ragazzi e nelle ragazze sui propri vissuti e sugli atteggiamenti che riguardano la maschilità e la femminilità. Per fare educazione al genere è preferibile fare uso di metodologie didattiche attive, sia nell’integrare una prospettiva di genere all'interno delle materie di insegnamento, sia nel predisporre attività complementari al percorso scolastico. Quando parliamo di metodologie didattiche attive intendiamo quelle tecniche e quei giochi che facilitano la partecipazione degli studenti e delle studentesse nel processo educativo e che attivano un apprendimento che coinvolge sia il piano emotivo che quello intellettivo. Esempi di tecniche utilizzabili possono essere la narrazione, il lavoro di gruppo, l'analisi di casi, il brainstorming, il role playing, la simulazione, del problem solving, ecc. Queste tecniche vengono solitamente accolte con piacere interesse della classe. Infine è bene sottolineare che, accanto alle funzioni tradizionali dell’insegnante che svolge questo compito, deve anche svolgere un ruolo di facilitatore e conduttore delle attività didattiche proposte con un'attenzione costante alle differenze di genere. Commento: L'educazione di genere è un concetto importante e necessario per promuovere l'uguaglianza di genere e contrastare le discriminazioni basate sul sesso. Educare al genere significa insegnare ai giovani a comprendere e apprezzare le differenze tra le persone di sesso diverso, ma anche a riconoscere che queste differenze non devono creare disuguaglianze o pregiudizi. L'educazione di genere dovrebbe iniziare fin dalla prima infanzia e essere un aspetto integrante del curriculum scolastico. Gli insegnanti e i genitori dovrebbero lavorare insieme per promuovere valori di rispetto, inclusione e parità di opportunità, indipendentemente dal genere. È importante insegnare ai bambini e ai giovani a riconoscere e sfidare gli stereotipi di genere, che possono limitare le aspirazioni e le possibilità di ciascuno. Le ragazze devono essere incoraggiate a seguire le loro passioni e a interessarsi a campi che tradizionalmente sono considerati maschili, come la scienza, la tecnologia, l'ingegneria e le professioni connesse. Allo stesso modo, i ragazzi devono essere incoraggiati a sviluppare abilità e interessi tradizionalmente considerati femminili, come l'arte, la danza o la cura degli altri.
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