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riassunto libro edises, Schemi e mappe concettuali di TFA Sostegno

riassunto del libro per le prove per accedere al corso

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 20/03/2023

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Scarica riassunto libro edises e più Schemi e mappe concettuali in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! RIASSUNTO TFA SOSTEGNO CAPITOLO 1:LO SVILUPPO SOCIALE E LE RELAZIONI DI GRUPPO La società è formata da individui che compiono azioni sociali, ossia azioni rivolte intenzionalmente verso gli altri. L’oggetto di studio della psicologia sociale è costituito dall’attività mentale e dai comportamenti dei soggetti immersi nella vita sociale, che agiscono cioè in uno stesso spazio sociale e che, con le loro azioni, si influenzano reciprocamente. Il lavoro degli psicologi sociali consiste nel tentativo di comprendere il modo in cui il pensiero, il sentimento e il comportamento degli esseri umani, vengano condizionati dalla presenza degli altri. L’interesse si è concentrato sui rapporti competitivi e cooperativi, sulle relazioni di aiuto, sulle reazioni all’ingiustizia, con l’intento non solo di descrivere i comportamenti, ma anche di analizzare quei processi mentali che li sottendono. L’individuo e i suoi contesti: famiglia, scuola, lavoro. La famiglia, la scuola e il lavoro sono per grandi linee i tre contesti primari di cui un individuo viene a far parte nel corso della vita. L’interazione tra i tre sistemi è uno dei cardini dei nuovi presupposti socio-educativi. Sempre più spesso la famiglia sceglie la scuola, e la scuola si adatta alle esigenze della famiglia, con programmi attenti all’orario di lavoro. Una sinergia tra scuola e famiglia, tra maestri e genitori, è fondamentale per attuare una coerenza educativa e permettere al bambino una crescita e uno sviluppo armonici. La famiglia. Ogni famiglia, influenzando in maniera profonda il sé, le motivazioni, i valori, le opinioni, gli atteggiamenti dei suoi membri, è caratterizzata da una particolare atmosfera, che non dipende dai singoli, ma dalle reciproche relazioni tra essi. La nascita delle relazioni familiari. Dai 18 mesi il bambino amplia anche le relazioni all’esterno della sfera familiare propriamente detta. La relazione tra fratelli potrebbe costituire una sorta di fase preparatoria alla socialità con i coetanei, perché consentirebbe di sperimentare diversi livelli di interazione, cooperazione, conflitto, confronto. Questo è anche il periodo in cui maggiore si presenta la pressione dei genitori sui meccanismi di controllo finalizzati all’acquisizione di regole di comportamento e di condotta. Il bambino oscilla tra autocontrollo e controllo esterno, nel tentativo di padroneggiare situazioni diverse e comprendere il senso delle regole. Importanti, in questo senso, sono le routine, ovvero le attività ricorrenti, soprattutto quelle domestiche che consentono al piccolo di abituarsi alla regolarità dello schema. La routine pone al bambino sia la prevedibilità delle fasi sia l’attesa che ognuno dei passaggi che compongono l’intero schema. L’importanza della routine è riferibile non solo al contesto familiare ma anche a quello scolastico. Dai due anni, infatti, i bambini vengono inseriti nel nido ed è importante che all’interno della scuola materna vi sia una corretta organizzazione e predisposizione delle routine. La collaborazione con la famiglia. Per garantire lo sviluppo del bambino in un ambiente ricco di stimoli e di esperienze produttive, una stretta collaborazione degli asili nido e delle scuole dell’infanzia con le famiglie e le agenzie sociali costituisce un presupposto indispensabile. Qualsiasi progetto educativo proposto negli asili e nelle scuole dell’infanzia implica il coinvolgimento diretto sia delle famiglie, sia delle istituzioni sociali. In particolare, la partecipazione attiva dei genitori è un presupposto imprescindibile. La continuità educativa tra famiglie e il nido, o la scuola materna, deve essere considerata come una collaborazione attiva che ha lo scopo fondamentale di far vivere al bambino un’esperienza positiva in un ambiente accogliente e tranquillo per un normale sviluppo emotivo e intellettivo. Il processo di socializzazione. Il processo di socializzazione inizia sin dalla primissima infanzia, dopo la nascita, e progredisce durante l’infanzia e l’adolescenza attraverso i complessi processi di apprendimento che conducono l’individuo ad assumere modelli di comportamento simili a quelli degli altri soggetti che formano il suo gruppo di appartenenza. La socializzazione è dunque quel processo mediante il quale gli individui acquistano le conoscenze, le abilità, i sentimenti e i comportamenti che li mettono in grado di partecipare, più o meno attivamente, alla vita sociale. Uno dei momenti più significativi dello sviluppo sociale è quello in cui il bambino acquisisce consapevolezza di essere un individuo separato dagli altri, ovvero con la fase di oggettivazione del sé. Tuttavia è chiaro come la comprensione del sé e degli altri siano in un rapporto di interdipendenza. Più il bambino diventa consapevole di essere un individuo che pensa, sente, agisce, interviene nelle interazioni, orientando il proprio comportamento, più è in grado di riconoscere gli stati d’animo, le emozioni, i pensieri e i comportamenti degli altri. In questo modo egli acquisisce anche quel sistema di norme e di valori che gli garantisce di poter vivere nel proprio sistema sociale e poter essere riconosciuto dagli altri. I gruppi.L’individuo generalmente persegue lo scopo delle attività quotidiane stando insieme agli altri. Un gruppo, parte vitale della struttura sociale, è composto da soggetti interagenti, aventi status e ruoli interrelati, sulla base delle aspettative condivise riguardanti il rispettivo comportamento. L’identificazione con il gruppo, (il gruppo di appartenenza è detto esclusivo), se da un lato sortisce l’effetto positivo di far sorgere relazioni gratificanti tra gli individui, dall’altro lato può indurre alcuni partecipanti a respingere gli estranei. Differente dal gruppo è l’aggregato, un insieme di persone, come per esempio, quello composto dai passeggeri di un autobus, che si trova casualmente nello stesso istante in uno stesso luogo, che non interagisce in maniera significativa e che non sperimenta alcun senso di partecipazione. L’educazione interculturale.Oggi viviamo in una società multirazziale e multiculturale questo dato di fatto ha inevitabilmente avuto delle ripercussioni in ambito educativo ed ha stimolato una fervida ricerca pedagogica finalizzata a favorire l'integrazione.Per educazione interculturale si intende appunto l'individuazione all'interno di un progetto educativo, di uno specifico percorso di interazioni fra soggetti appartenenti a diverse culture e mirate a favorire il superamento del monoculturalismo.L’ educazione interculturale costituisce la risposta educativa alle esigenze delle società multiculturali odierne, realtà interagiscono atti e lingue promuove competenze trasversali.In Europa diverse istituzioni, in particolare il Consiglio d'Europa, hanno indirizzato l'attenzione sull'educazione interculturale.L’ educazione interculturale si basa su tre principi: 1. l'educazione interculturale gli spetta l'identità culturale dello studente attraverso l'offerta di un'istruzione di qualità culturalmente appropriata e reattiva per tutti; 2. l'educazione interculturale fornisce ogni discente le conoscenze, gli atteggiamenti e le capacità culturali necessarie per raggiungere una partecipazione Attiva è piena alla società; 3.L'educazione interculturale fornisce tutti gli studenti conoscenze, attitudini e abilità culturali che consentono loro di contribuire al rispetto, alla comprensione e alla solidarietà tra individui, gruppi etnici, sociali e religiosi. CAPITOLO 2:IL LINGUAGGIO E LA COMUNICAZIONE Altri modelli psicologici dello sviluppo del linguaggio. Altri teorici hanno dato il proprio contributo allo studio dell’acquisizione del linguaggio. 1. Skinner e il comportamentismo: secondo i principi del condizionamento, che rimandano alla funzione strutturante del rinforzo, l’apprendimento del linguaggio non è dissimile da altre forme di apprendimento. Non vi è una competenza linguistica innata. 2. Chomsky e la teoria innatista: lo studioso sostiene che alla base dell’acquisizione del linguaggio c’è una competenza innata, la Grammatica Universale, ovvero la conoscenza delle regole sottese all’apprendimento della grammatica propria delle diverse lingue e, il language acquisition device (LAD), dispositivo per l’acquisizione del linguaggio, che consente di acquisire gli aspetti più complessi della lingua madre. Chomsky sostiene che è il bambino è creativo e riesca a produrre espressioni mai udite prima. 3. Jerome Seymour Bruner e l’apprendimento sociale: per le teorie funzionaliste esistono i LAD, ma il contesto è ugualmente determinante. L’esempio è fornito dal Language Acquisition Support System, come il motherese, un protolinguaggio che si sostanzia nel supporto che la madre fornisce alla comprensione dei messaggi linguistici del neonato. Tale linguaggio ha specifiche caratteristiche fonologiche, sintattiche, pragmatiche e semantiche. La madre, infatti, parla in modo lento, usando frasi ben strutturate e brevi, ripetendo spesso le espressioni del bambino, con un numero di vocaboli limitato. 4. Teoria neocostruttivista di Karmiloff-Smith: tale teoria sostiene che durante lo sviluppo vi sia un processo di progressiva specializzazione delle aree emisferiche e delle funzioni da esse veicolate che tale processo è determinato dall’interazione tra vincoli biologici e esperienza. I disturbi della comunicazione. I disturbi della comunicazione possono essere: -fisici-quando comporta un impossibilità sia nel percepire al kg nel produrre segnali e segni di comunicazione - psicologici- quando comportano la difficoltà a stabilire un rapporto efficaci nella comunicazione - sociali- che disegnano una difficoltà di strutturazione dinamica di comunicazione soprattutto in un gruppo - strumentali- ti fotografo non incapacità una difficoltà sia nell'utilizzo di alcune tecniche comunicative sia nella decodificazione. Poi il rapporto comunicativo può essere ostacolato da distrazione che dipende da chi riceve il messaggio oppure per disturbi esterni, saturazione che può dipendere dall'impossibilità mia ricevente di accogliere per sopraggiunta stanchezza ulteriori messaggi. CAPITOLO 4:LA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELL’APPRENDIMENTO Temi e prospettive della psicologia dello sviluppo. Il concetto di sviluppo può essere definito come il processo evolutivo di un organismo con modificazioni di struttura, di funzione e di organizzazione. Tale processo può avvenire per tre ordini di cause: maturazione intrinseca (ovvero sviluppo di capacità innate) , influenza dell’ambiente e apprendimento. Il campo di indagine. Nell’ambito della psicologia della sviluppo, una prima distinzione da operare è quella tra psicologia dell’età evolutiva e psicologia del ciclo di vita, due branche della psicologia con precise differenze in merito all’oggetto di indagine. La psicologia dell’età evolutiva si occupa di osservare e studiare ciò che avviene nella fase dell’infanzia e dell’adolescenza. Il periodo dell’infanzia comprende la fase della vita che va dal momento della nascita al 12 anno. La fase dell’adolescenza, invece, abbraccia tutto ciò che va dal dodicesimo al diciottesimo anno. Il campo della psicologia del ciclo di vita, al quale ha dato forte impulso il lavoro di Erik Erikson, studia come le persone si adattano alle diverse tappe dell’esistenza e come gradualmente acquisiscano consapevolezza del calendario bisociale, ovvero di quell’insieme di scadenze che scandiscono i passaggi evolutivi, come il matrimonio e l’arrivo dei figli. Per Erikson l’uomo ha come scopo quello di costruire un senso di identità, per cui ogni tappa della vita rappresenta una svolta. La vita pone l’individuo nella condizione di dover affrontare dei dilemmi sempre nuovi, in cui le esigenze personali si scontrano con le componenti e i vincoli sociali. L’uomo apprende attraverso la gestione di questi dilemmi nuove competenze e consapevolezze che lo conducono a sviluppare la propria identità. A queste due impostazioni teoriche si aggiunge la prospettiva della psicologia dell’arco della vita, sviluppatasi a partire dai contributi teorici di Lev Vygotskij e della scuola russa, secondo cui per comprendere lo sviluppo psicologico dell’individuo è necessario tenere in considerazione i fattori sociali e culturali in cui la persona è inserita. Concezioni scientifiche dello sviluppo nel corso del tempo. - La visione ambientalista: John Locke riteneva che il bambino nascesse come una tabula rasa e che ogni sua caratteristica fosse poi plasmata dall’esperienza. Secondo questa prospettiva, il neonato era privo di strutture psicologiche ed estremamente influenzabile dall’ambiente circostante. In tale ottica, l’acquisizione della conoscenza avveniva esclusivamente mediante l’apprendimento esterno. -La visione naturalista: contrapposta alla visione ambientalista è la prospettiva di Jean Jacques Rousseau. Secondo il quale, i bambini sono per natura “buoni” per cui non hanno bisogno di una particolare guida morale né di imposizioni per uno sviluppo normale. I bambini crescono dunque secondo il “disegno della natura”. -La teoria evoluzionistica: fa capo a Darwin,che era un convinto assertore dell’esistenza di profonde analogie tra gli animali vertebrati e gli uomini. Le differenze individuali erano frutto di un processo di adattamento dell’individuo all’ambiente. - L’approccio sociologico: l’approccio evoluzionistico viene contrastato dal filone sociologico e culturale, ovvero da coloro che, come Durkheim, sostengono il primato della società nello sviluppo individuale. Secondo questo filone di pensiero, è la società che condiziona obiettivi e bisogni, fornisce i mezzi di sussistenza e orienta le azioni individuali. La nascita della psicologia della sviluppo, come disciplina autonoma, avvenne ufficialmente nel 1882, anno in cui Preyer pubblicò La mente del fanciullo, che si basava sull’osservazione della figlia. Preyer propose una teoria interessante che rappresentava una sintesi tra il primato biologico e quello sociale. Egli dava la medesima importanza all’eredità individuale e all’esperienza. Le principali teorie dello sviluppo. Sono tre i grandi filoni teorici della moderna psicologia dello sviluppo: quello comportamentista, quello organistico e quello psicoanalitico. - Il comportamentismo: secondo i comportamentisti, il cambiamento dipende dagli stimoli proposti dall’ambiente per cui il bambino tenderà a ripetere quelle sequenze comportamentali rinforzate dall’esterno e a eliminare quelle che ottengono rinforzi negativi. L’approccio comportamentista si propone sin dalla sua origine in maniera estremamente scientifica, utilizzando come metodologia, di indagine la sperimentazione di laboratorio.Il focus di indagine è rappresentato dai processi di apprendimento. La corrente più radicale si esprime con in concetti di condizionamento classico e operante, sintetizzabili con l’espressione “apprendimento associativo”, ovvero per stimolo-risposta. -Il condizionamento classico di Pavlov Pavlov dimostrò, attraverso l’osservazione sistematica di cani sottoposti a particolari stimolazioni, il legame tra stimoli e risposte, confermando l’avvenuto apprendimento della risposta incondizionata per via associativa. -Il condizionamento operante (Skinner): Secondo Skinner, l’apprendimento avviene mediante rinforzo di una delle tante risposte presenti nel contesto. Dagli studi sul condizionamento operante deriva l’assunto secondo cui i comportamenti rinforzati positivamente tendono a ripetersi, quelli rinforzati negativamente o non rinforzati, tendono a estinguersi. Si distinguono, inoltre, i rinforzi primari, che soddisfano i bisogni fondamentali, come fame e sete, dai rinforzi secondari. Nella moderna psicologia dello sviluppo. I ricercatori hanno spostato l’attenzione dagli animali ai bambini e ci si è domandati se il condizionamento classico è applicabile ai bambini. A tale scopo sono state fatte osservazioni precise sul riflesso di suzione nel lattante. Teoria dell’apprendimento sociale. Sempre di matrice comportamentista è la teoria dell’apprendimento sociale sviluppata da Albert Bandura. L’apprendimento in quest’ottica non sarebbe più associato alla sola esperienza diretta, bensì all’imitazione di modelli mediante il processo di rinforzo vicariante. In tale contesto il bambino assume un ruolo attivo nel processo di organizzazione e elaborazione degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno. I rinforzi non derivano più dunque dall’ambiente esterno ma dall’elaborazione individuale degli stessi (rinforzi intrinseci) L’approccio organismico. Si tratta di un approccio che considera l’individuo come un organismo attivo, spontaneo e teso a realizzare le proprie potenzialità, dotato cioè di principi organizzativi intrinseci. Tra i principali esponenti di questa corrente ricordiamo Piaget, Vygotskij, e Werner. La teoria di Piaget, è nota anche come teoria stadiale. Egli ha descritto in modo estremamente preciso e dettagliato le singole fasi dello sviluppo, intendendo per sviluppo, un processo che nasce dall’interazione individuo-ambiente. Organizzazione, adattamento ed equilibrazione, che Piaget definisce invarianti funzionali, consentono all’individuo di migliorare e accrescere la propria organizzazione del pensiero. La teoria di Piaget è in contrapposizione con quella di Vygotskij, secondo il quale sin dalle prime modalità di comunicazione il bambino manifesta di possedere un’attività intellettiva fortemente condizionata dal contesto e allo stesso tempo legato allo stesso. Gli studi di Vygotskij si sono concentrati sull’acquisizione del linguaggio e sulla costruzione dei concetti. Werner propose un concetto di sviluppo cha parte da una matrice di ordine biologico. Facendo un parallelismo tra sviluppo psichico e fisico, egli descrisse lo sviluppo adottando il principio della crescente organizzazione: in particolare, lo psicologo austriaco sostenne che lo sviluppo prende le mosse da un insieme indifferenziato, partendo dal quale procede poi per tappe di differenziazione e organizzazione gerarchica. Interessante è anche la teoria di Bruner, il quale ritiene che per sviluppo si debba intendere lo sviluppo cognitivo. Tale sviluppo non avviene per stadi come la teoria di Piaget, ma è legato alle strategie messe in atto dall’individuo per affrontare e padroneggiare una determinata situazione di vita in un l’irruenza tipiche dello stadio precedente vengono sostituite da diligenza, perseveranza, costanza, che diventato qualità importanti. Si tratta della delicatissima fase in cui l’adolescente sperimenta esperienze nuove in grado di affrancarlo definitivamente dalla famiglia: lo sviluppo delle prime forti passioni, l’emergere delle attitudini innate, la possibilità di ricoprire in prima persona dei ruoli sociali sono solo alcuni esempi. Il rischio, in questa fase, è che il bisogno di trovare una propria identità si trasformi in ricerca di modelli in cui identificarsi per incapacità di definire una propria identità. - V stadio intimità/isolamento: ormai costituita una propria identità, l’individuo tende a conservare sé stesso e a stabilizzare il rapporto con gli altri componenti del suo ambiente, tipicamente il partner e i colleghi di lavoro. -VI stadio generatività/stagnazione: Per Erikson il concetto di generatività non riguarda solo il desiderio di mettere al mondo dei figli e di allevarli, ma anche quello di creare qualcosa di utile con il proprio lavoro, di insegnare agli altri la propria esperienza. - VII stadio integrità dell’Io/disperazione: si tratta dell’ultima fase dello sviluppo sociale degli individui in cui occorre “accettare tutto ciò che si è fatto, ciò che si è e ciò che si potrebbe essere ancora” diversamente chi non è riuscito a costruire un Io forte vivrà questa fase con rimpianto e grande rimorso, sfociando nella disperazione. Lo sviluppo del senso morale. Una tematica importante Dl Punto di vista sociale è lo sviluppo del senso morale negli individui. Comprendere i meccanismi della formazione della moralità e i fattori che la influenzano può infatti aiutare a comprendere meglio le interazioni tra individui e società e orientare i criteri educativi. Le tre principali teorie che hanno provato a descrivere lo sviluppo morale degli individui sono la teoria psicoanalitica, quella dell’apprendimento sociale e quella cognitiva. La teoria psicoanalitica ritiene che l’uomo sia dominato dal principio del piacere, per cui sia amorale per natura. Il super io, generato dalla interiorizzazione di norme e divieti parentali e sociali, determina il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà. Secondo la teoria dell’apprendimento sociale le norme vengono acquisite attraverso l’imitazione di modelli esterni proposti dalla famiglia e dagli agenti sociali. Per la teoria cognitiva lo sviluppo intellettivo promuove quello morale. Per quanto riguarda le teorie cognitive Piaget e Kolberg sono i due autori che principalmente si sono occupati dell’acquisizione del giudizio morale. Basandosi sull’osservazione delle regole dei giochi e su interviste riguardanti azioni come il rubare o il mentire, Piaget scoprì che anche la moralità può considerarsi un processo evolutivo. I bambini cominciano con lo sviluppo di una morale basata sul massimo rispetto delle regole, sui doveri e l’obbedienza all’autorità: questo tipo di morale è caratterizzata dalla convinzione che ad un’azione errata segue una punizione. Successivamente, attraverso l’interazione con altri bambini, essi scoprono che un comportamento troppo vincolato alle regole può essere problematico. Ecco allora che sviluppano un pensiero morale autonomo, caratterizzato dalla capacità di interpretare le regole criticamente e selettivamente, basandosi sul mutuo rispetto e sulla cooperazione. Piaget concluse così che la scuola dovrebbe enfatizzare i processi decisionali basati sulla cooperazione, la soluzione di problemi e richiedere che gli studenti lavorino su regole comuni basate sul rispetto dei ruoli. Con l’applicazione del metodo clinico e dell’osservazione diretta, Piaget arriva a delineare diverse fasi dello sviluppo morale: anomia, realismo morale e relativismo morale. Fino ai 4 anni il bambino attraversa la fase premorale (anomia) ovvero assenza totale di regole. In un periodo successivo (realismo morale), fino ai nove anni circa, egli adotta un punto di vista egocentrico. L validità della regola dipende da chi a impone – i genitori, gli insegnanti, etc..- e prevale il criterio della responsabilità oggettiva, per cui la gravità di un atto è data dalle sue conseguenze. Nell’ultima fase, quella del relativismo morale, prevale il soggettivismo morale. Solo in qesta fase la regola viene intesa come frutto di un accordo e quindi discutibile. Gli studi di Piaget vennero sviluppati successivamente da Kohlberg che, come Piaget, rietiene ritiene determinante nell’acquisizione della morale, la maturazione delle strutture cognitive e aggiunge un concetto portante, quello della convenzione. Dalle sue osservazioni emerge uno sviluppo in tre livelli: preconvenzionale, convenzionale e postconvenzionale. Convenzionale signigìfica attinente alle regole, alle aspettative delle autorità. Così la moralità si sviluppa per apprendimento sociale che varia a seconda del contesto in cui si vive: i criteri morali assorbiti nell’infanzia e durante l’adolescenza dal contesto familiare e sociale, attraverso la maturazione da uno stadio all’altro, verranno mantenuti in età adulta anche in situazioni diverse. Negli anni ’70 Elliot Turiel elaborò la teoria del dominio secondo la quale nei bambini a partire dai 39 mesi si distinguono due diversi ambiti concettuali: le convenzioni sociale e gli imperativi morali. Le azioni nel dominio della realtà hanno effetti intrinseci mentre le azioni che riguardano la sfera del sociale non ne hanno ed è per questo che trasgredire alle norme sociali è ritenuto meno grave. Turiel si oppose a Piaget e Kohlberg. La seconda maggiore critica alla teoria di Kohlberg è stata sviluppata da Carol Gilligan che ha sviluppato un concetto di moralità del prendersi cura, in alternativa alla moralità della giustizia e dei diritti. Moralità intesa non come obbligo a non trattare gli altri in modo scorretto, ma come obbligo a non sotrarsi dall’aiutare qualcuno nel momento del bisogno. L’approccio comportamentista e quello psicoanalitico. Fa riferimento ad Albert Bandura e alla teoria del social learning secondo cui le norme vengono apprese in base all’esperienza, ovvero tramite rinforzi positivi o negativi. In un primo momento i comportamenti si apprendono dall’osservazione e solo successivamente possono essere rinforzati. Bandura assume una prospettiva di integrazionismo cognitivo-sociale sottolineando nello sviluppo morale un processo interattivo globale nel quale intervengono sia fattori individuali-personali, sia ambientali-sociali. Nella prospettiva psicoanalitica rientrano sia la teorizzazione originaria di Freud che quelle successive di Klein e Jacobson. Sigmund Freud sostiene che la coscienza morale, ovvero il super io, sia il risultato del complesso edipico e del legame di dipendenza con le figure genitoriali. L’austriaca Melanie Klein diversamente da Freud sostiene che per parlare di coscienza morale non si debba attendere il superamento dell’edipo ma che il bambino manifesti una comprensione di questa dimensione fin dalla primissima infanzia. Per la Jacobson riveste una funzione primaria l’io ideale, che si formerebbe prima del super io e che concorrerebbe a guidare il bambino nella comprensione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è. CAPITOLO 5: I PRINCIPALI CONTRIBUTI PEDAGOGICI IN TEMA DI SVILUPPO E APPRENDIMENTO Il pedagogista Jean Jacques Rousseau, alla fine del XVIII sec. Ha riconosciuto, per la prima volta, che l’educazione è fondamentale per il genere umano. Il problema educativo si va gradualmente chiarendo durante l’800 fino a diventare oggetto di studio sistematico e razionale, quando nasce la pedagogia come scienza. La pedagogia o scienza dell’educazione, secondo alcuni studiosi, coincide con la pubblicazione, nel 1909 dell’opera Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale di Claparede. Nel mondo contemporaneo è un’impresa definire il significato e il contenuto dell’educazione. Le società, soggette a continue e veloci trasformazioni, non facilitano l’approccio ad una scienza dell’educazione chiara perché tali cambiamenti producono, negli individui, ansie e insicurezze. La scienza della formazione o pedagogia non dovrebbe, quindi, farsi guidare dalla prospettiva di costruire un solo modello o di avere un punto di riferimento statico per tutti i componenti di una società. Qui di seguito alcuni studiosi che hanno contribuito a rendere la pedagogia una scienza: Adolphe Ferrière: fonda nel 1899 l’Ufficio internazionale delle scuole nuove. Secondo questo studioso la scuola è impostata in modo da permettere al bambino di sviluppare la propria personalità, tramite lo svolgimento di attività pratiche e spontanee ed esperienze attive in modo che l’apprendimento scaturisca dal fare, dall’agire e dall’interazione con l’ambiente esterno. (attivismo pedagogico). Roger Cousinet: insegnante e ispettore scolastico critica i metodi didattici tradizionali, elaborando l’ipotesi di una formazione libera di alunni divisi in gruppi, continuamente ricomponibili, per favorire l’autonomia del singolo, la collaborazione tra i gruppi e l’acquisizione delle norme che regolano la vita comunitaria. Il maestro funge da guida per l’illustrazione dei compiti da svolgere e da supporto per lo svolgimento delle attività. Lo scopo dell’educazione è di lasciare ai bambini la massima libertà possibile per la scelta e la realizzazione del lavoro da svolgere. John Dewey: cerca di fornire alla pedagogia lo status di scienza autonoma e sperimentale. Egli propone un modello di educazione progressiva, necessario per migliorare la società e per incoraggiare lo spirito democratico, evidenziando l’importanza del lavoro fin dalla scuola primaria, in particolar modo di gruppo, e dell’apprendimento tramite il fare, il learning by doing. La società industriale è colpevole di aver privato il bambino della partecipazione alle esperienze lavorative che un tempo si svolgevano in casa: è dovere della scuola supplire a questa mancanza, tramite i laboratori, al cui interno i bambini possono compiere semplici attività, come il cucire, impastare il pane, tagliare e incidere il legno o altri materiali. In questo senso si parla di educazione democratica, destinata a tutti superando il divario tra cultura classica e pratica. Al centro dell’interesse pedagogico c’è l’alunno con i propri interessi e le proprie necessità: per questo motivo si cerca di favorire la collaborazione tra famiglia, scuola e ambiente sociale. Edouard Claparède evidenzia la necessità di un atteggiamento di ricerca e sperimentazione continue da parte di insegnanti e scuole, attraverso il metodo sperimentale, volto alla misurazione e all’interpretazione dei fenomeni. Il suo approccio è improntato al funzionalismo poiché egli ritiene che gli andamenti psichici dell’individuo siano il frutto del processo d’adattamento dell’organismo all’ambiente circostante; scopo dell’educazione è favorire lo sviluppo di queste funzioni in particolare di quelle morali e intellettuali. Proprio per far emergere le inclinazioni personali, si approntano dei percorsi scolastici individualizzati cole le classi parallele in cui gli studenti partono dalle stesse condizioni; le classi mobili in cui l’allievo si sposta per ascoltare lezioni corrispondenti alle diverse materie; le sezioni parallele in cui gli studenti possono scegliere fra più percorsi e le opzioni con un programma di base comune a tutti. Il percorso educativo ha il compito di promuovere l’interesse, provocare la reazione favorendo l’apprendimento delle conoscenze. Il gioco permette al bambino di realizzare il proprio io: l’attività ludica, che non ha fini reali ma è basata sulla finzione, si trasforma, attraverso una serie di passaggi, in lavoro, che invece, persegue dei bisogni chiari e reali. formazione della propria identità personale, così che possa assumersi delle responsabilità ed essere collaborativo per il bene comune. Nella società della conoscenza la priorità da perseguire in campo educativo è quindi “apprendere ad apprendere”. L’obiettivo di ogni percorso formativo si sostanzia nel facilitare la costruzione e lo sviluppo di strutture cognitive e affettivo relazionali che permettono di poter apprendere ancora e meglio e gradualmente, proiettando l’individuo verso il futuro. Non a caso gli studi sull’apprendimento hanno condotto ad una ridefinizione di questo concetto con riferimento all’importanza delle differenza individuali; al ruolo essenziale dei contesti socio-culturali; alla centralità del soggetto, inteso come soggetto attivo e autonomo dei processi di apprendimento. Bisogna, dunque, soffermarsi sull’evoluzione di alcuni importanti termini: educazione, formazione, istruzione, accoglienza, sviluppo, integrazione, socializzazione, apprendimento. L’educazione deve rendere capace il soggetto di affrontare le sfide dell’esistenza con pensiero e azione esercitati criticamente e responsabilmente nei riguardi di se stessi e del mondo circotante. CAPITOLO 7:INTELLIGENZE MULTIPLE E INTELLIGENZA EMOTIVA Harold Gardner e il modello delle intelligenze multiple. Per Harold Gardner l’attività intellettiva non può essere stabilita e misurata in conformità ad un test e propone nel volume Formae Mentis la teorie delle intelligenze multiple. L’intelligenza non è misurabile attraverso il quoziente intellettivo (QI). Gardner sostiene che gli uomini possiedono più intelligenze: logico-matematica, linguistica, musicale, spaziale, cinestesica, interpersonale, intrapersonale, naturalista e esistenziale. L’intelligenza è abilità. L’intelligenza interpersonale riguarda l’abilità di comprendere le emozioni, le motivazioni e gli stati d’animo degli altri. Quella intrapersonale consiste nella capacità di capire le proprie emozioni e trasformarle in forme socialmente accettabili. Daniel Goleman e l’intelligenza emotiva. Goleman, in intelligenza emotiva, sostiene che la conoscenza di se stessi e l’empatia nascono dall’intelligenza umana; esse sono gli elementi che quasi certamente condizionano la vita di ogni essere umano e vanno a costituire, secondo Goleman, l’intelligenza emozionale che è un aspetto dell’intelligenza legata alla capacità di ognuno di identificare, impiegare, intendere e ragolare in maniera consapevole le proprie e le altrui emozioni. Goleman parte, per costruire il concetto di intelligenza emotiva, dalla teoria di Gardner, prendendo in considerazione l’intelligenza intrapersonale e quella interpersonale e specificando due sottocategorie, vale a dire le competenza personali (capacità di cogliere gli aspetti della propria vita emozionale) e competenze sociali ( capacità di comprendere gli altri e di rapportarsi alla realtà circostante). L’intelligenza emotiva consiste per Goleman: - Nella consapevolezza di se,ovvero nel dare un nome e un senso alle emozioni - Nell’autovalutazione obiettiva delle proprie capacità e dei propri limiti, - Nella fiducia in se stessi e nel riconoscimento delle emozioni negative, - Nell’autocontrollo e nella capacità di gestire le emozioni, -Nella capacità, quando le cose non vanno bene, di alimentare la propria motivazione, -Nella capacità di motivarsi, costitutiva infine, da una quantità proporzionata di ottimismo e di spirito di iniziativa. Per Goleman, l’intelligenza emotiva si può sviluppare con l’allenamento; questo deve essere, però, rivolto a cogliere i sentimenti e le emozioni e a guidarli in senso costruttivo. Tale tipo di intelligenza secondo lo psicologo clinico Reuven Bar-on può essere trasformata in Quoziente emotivo (QE) e misurata; essa, legata, in qualche modo, al Quoziente Intellettivo (QI)tende a rendersi stabile intorno ai 16 anni. Bisogna, in ogni modo, tener conto che, in conclusione, l’intelligenza emotiva, pur declinando lentamente con il passare del tempo, può essere arricchita durante l’intero arco di vita. L’empatia come dimensione dell’intelligenza emotiva. Ogni essere umano, acquisendo una produttiva capacità di relazione centrata sullo scambio e sull’empatia, può stabilire con gli altri rapporti sociali solidi e consolidare il processo di socializzazione. La relazione centrata sullo scambio si pone su tre modalità: verbale, non verbale e paraverbale. La prima rappresenta un patrimonio che appartiene esclusivamente all’uomo. Affinché le relazioni tra gli individui possano svilupparsi sempre correttamente, le tre modalità dovrebbero armonizzarsi in modo congruente. La voce (modalità verbale), l’intonazione (modalità non verbale) e l’espressione (modalità paraverbale) dovrebbero, per creare una relazione efficace centrata sullo scambio, sincronizzarsi. L’impiego dell’empatia inizia a intensificarsi nella fanciullezza perché il bambino è ormai uscito dalla fase egocentrica ed è pronto a affrontare i problemi degli altri e a mettersi nei loro panni. L’empatia è una dimensione dell’intelligenza emotiva. Essa consiste nel riuscire a mettersi nei panni di un altro, ovvero a immedesimarsi negli stati d’animo e nei pensieri di altri soggetti sulla base della capacità di comprendere i loro segnali emozionali, assumere la loro prospettiva soggettiva e a condividere i sentimenti. Tali capacità risultano fondamentali nelle relazioni umane perché regolano la comunicazione. La capacità empatica è un fattore di fondamentale importanza per stabilire una relazione positiva con l’altro. In tal modo, diventa, infatti, facile protendere comportamenti pro sociali ed assumere atteggiamenti di cooperazione per una possibile integrazione sociale. Tuttavia, l’empatia consiste nel “mettersi nei panni dell’altro” pur mantenendo in modo consapevole, i confini tra la propria identità e quella dell’interlocutore. La regola fondamentale per un’attiva e efficace comunicazione empatica è, poi, quella di esprimersi in modo chiaro, con frasi brevi e significative. L’empatia è dunque la capacità di capire gli altri sulla base della propria esperienza. Il rapporto empatico è perciò necessario non solo per comprendere l’esperienza l’altrui, ma soprattutto per liberarsi del proprio punto di vista e per sviluppare pienamente le strategie comunicative. La mancanza di empatia nella comunicazione e relazione sociale rappresenta il cardine di alcuni disturbi del modo di comportarsi per i quali si ricorre spesso all’aggressività verbale e fisica. Il non capire le emozioni degli altri comporta, infatti, stravolgimenti nell’interpretare i pensieri e le intenzioni, ciò dà vita, in maniera sproporzionata, a comportamenti difensivi. L’assenza di empatia caratterizza, ad esempio, anche il profilo di un bullo. Ne consegue l’impiego dell’empatia risulta fondamentale nella relazione educativa e didattica. L’empatia assume nel rapporto educativo il significato di prestare massima attenzione a ciò che l’alunno vuole comunicare e immedesimarsi nella situazione. L’esperienza emotiva. Un’ emozione corrisponde a un processo psicologico, articolato in una sequenza di cambiamenti che è promossa da un evento scatenante causato da modificazioni dell’ambiente esterno o interno. Le emozioni sono conseguenza di squilibri che si verificano nell’ appraisal, la valutazione complessiva dell’evento che scatena emozioni. Nonostante la relazione tra tipi di eventi e tipi di relazioni sembri abbastanza prevedibile, tale nesso non è così scontato. La grande variabilità esistente tra le modalità di risposta degli individui è spiegabile se si sottolinea il fatto che si reagisce emotivamente non tanto all’accadimento in sé, ma a come esso viene percepito. Esistono configurazioni tipiche o pattern fisiologici delle emozioni, riscontrabili quando affiorano determinati stati d’animo, anche se non c’è una corrispondenza sistematica tra tipi di emozione e cambiamenti che avvengono nel funzionamento dell’organismo. L’esperienza soggettiva delle emozioni subisce un’elaborazione cognitiva grazie al filtro delle conoscenze individuali. Su tutti i livelli del processo emotivo si esercita il controllo, sia per ragioni sociali, che impediscono di esprimere o addirittura di provare determinate emozioni, sia per motivi di tipo edonistico,che spingono a ricercare le emozioni piacevoli e a evitare quelle spiacevoli. L’importante fenomeno del contagio emotivo, che si verifica quando un’emozione manifestata nell’emittente ne suscita un’altra, simile o complementare, nel ricevente, consente di armonizzare le emozioni individuali a quelle collettive, coordinando i ruoli degli attori sociali. Il conforto sociale, importante pratica dell’esperienza psicologica, svolge la funzione di sostegno tra gli individui. Le teorie delle emozioni. Philipp r. Shaver ha suddiviso l’emozione in sei categorie: tre positive ( amore, gioia e sorpresa) e tre negative ( collera tristezza e paura). -Secondo la teoria darwiniana le emozioni sono innate. Secondo Darwin alla base dell’espressione delle emozioni vi sono tre principi generali: il principio delle abitudini associate utili; il principio dell’antitesi; il principio degli atti determinati dalla costituzione del sistema nervoso. Il primo si basa sull’idea che alcuni atti hanno un’utilità in certi stati d’animo poiché ad esempio danno sollievo o riducono un disagio tendendo a trasformarsi in abitudine, per cui vengono riprodotti ogni volta che si presentano determinate emozioni anche se non danno alcun vantaggio. Il secondo principio affermava che quando sopravviene uno stato d’animo che è l’esatto contrario del precedente si tende in modo involontario a eseguire movimenti di natura opposta a quelli compiuti prima. Infine, secondo il terzo principio, una forte eccitazione del sistema nervoso si trasmette ai vari sistemi del corpo producendo degli effetti che noi interpretiamo come espressivi, ad esempio un’eccessiva sudorazione, l’essere rossi in volto o pallidi. -Secondo James Lange, nella teoria periferica, le emozioni nascono dal corpo, non dalla mente. Ad esempio, si prova paura perché si sta tremando e non il contrario. - La teoria centrale di Cannon-Bard: secondo Cannon la sede delle emozioni è il talamo, una struttura del sistema nervoso centrale. Uno stimolo dal mondo esterno stimola il talamo che contemporaneamente invia impulsi al sistema nervoso centrale, il quale attiva le reazioni fisiologiche e, alla corteccia cerebrale che produce la consapevolezza delle emozioni. -La teoria di Schachter- Singer, detta teoria dei due fattori, sostiene che l’emozione è caratterizzata da una componente fisiologica e da una cognitiva. La teoria della differenziazione emotiva. La teoria della differenziazione emotiva sostiene che l’individuo alla nascita possiede un corredato emotivo indifferenziato e che, nel corso dello sviluppo, le emozioni vanno differenziandosi. Principale esponente di questo filone è Alan Sourfe. Nei primi tre mesi di vita del bambino prevalgono il piacere e la gioia, dopo il terzo mese si sviluppa la paura, quando emergono le emozioni di sorpresa e di disappunto in risposta a determinati stimoli. A sei mesi compare la rabbia. La teoria differenziale. La teoria elaborata da Izard e colleghi, detta teoria differenziale, sostiene contrariamente alla precedente, che fin dalla nascita l’individuo possiede un corredo emotivo costituito da emozioni fondamentali come rabbia, tristezza, gioia, sorpresa, disgusto, disprezzo, ciascuna delle quali ha un valore adattivo. L’emozione, quindi, non è L’invidia.Il sentimento dell'invidia è vissuto da un soggetto che, carente di qualcosa nutrie astio nei confronti di coloro che possiedono ciò che gli manca.Esso anormalmente radici profonde nel soggetto invidioso come carenza d'affetto, senso di inferiorità, desideri frustrati e conflitti insoluti ed una profonda insicurezza. La gelosia. Il sentimento della gelosia è connaturato alla stessa natura umana.Esso si manifesta con una spinta di protezione nei confronti di un soggetto, ma rappresenta, egoisticamente parlando,per l’individuo geloso un impulso inconscio al senso del possesso e di simulazione dell' insicurezza psicologica. CAPITOLO 8: SOCIALIZZAZIONE E AGGRESSIVITÀ IN ETÀ SCOLARE L’aggressività è una pulsione sana e funzionale ai bisogni di crescita del bambino. La stessa etimologia (ad gredi, andare verso) suggerisce come si tratti di una componente normale dl processo di crescita, funzionale all’acquisizione dell’autonomia. Secondo Donald Winnicot si tratta di un impulso naturale che però deve essere incanalato nella giusta direzione perché l’aggressività, se mal gestita, può diventare energia distruttiva per sé e per gli altri. L’aggressività è quindi un impulso da educare. Eventuali conflitti all’interno della coppia (che rappresentano dei fattori di rischio), come pure le separazioni coniugali, sono correlati ad un aumento delle condotte aggressive. Alcune stili educativi causa una maggiore aggressività: - Uno stile permissivo - Assenza di regole - Clima educativo incoerente - Mancanza di empatia nei confronti del bambino - Uso eccessivo di punizioni L’aggressività è energia. Perciò se presente in eccesso e mal gestita, ha buone probabilità di assumere contorni “patologici” in età evolutiva, favorendo la strutturazione di particolari disturbi come, ad esempio, l’iperattività o i comportamenti oppositivo-provocatori. L’iperattività coinvolge un gran numero di bambini. Essa è caratterizzata dall’aumento dell’attività motori, irrequietezza e difficoltà di concentrazione. I comportamenti oppositivo-provocatori, invece, sono caratterizzati da un atteggiamento aggressivo distruttivo, nonché da disubbidienza e ostilità verso tutte le figura autoritarie. Alcuni di questi comportamenti rientrano nella normale emancipazione dei bambini e possono ritenersi normali se manifestati con moderazione entro i primi sei anni di via. La loro persistenza oltre i sei anni, invece, può far pensare ad una manifestazione patologica. Comportamenti del genere, qualora mancasse un intervento adeguato, potrebbero diventare comportamenti asociali (vandalismo, bullismo, abuso di sostanze,etc..). Per gestire l’aggressività, più che le parole, è importante ciò che il bambino vede in famiglia, ovvero come i genitori si comportano. Un elemento fondamentale per contenere l’aggressività è la capacità di accettare e gestire le frustrazioni. Per favorire lo sviluppo di questa capacità nei bambini è importante che il genitore sappia e dimostri di saper accettare la propria aggressività come impulso naturale, che si può esprimere in modo assertivo e non distruttivo. Far assistere i bambini a manifestazioni di aggressività tra genitori è molto sbagliato perché mostra l’incapacità di contenere gli impulsi. La frustrazione. Un conflitto emozionale irrisolto costituisce una fonte di frustrazione, ostacolando l’attività di un soggetto che persegue un determinato obiettivo. Il termine “frustrazione” è anche utilizzato per indicare il disagio generato dalle sconfitte. Tra i primi segni di frustrazione è possibile riconoscere un aumento della tensione, l’aggressività, che trova espressione in qualche forma di attacco diretto contro l’individuo o l’oggetto che l’ha determinata. Sebbene una risposta molto comune alla frustrazione sia l’aggressività, altre risposte sono al contrario l’apatia, l’indifferenza e il ritrarsi in sé. Quando il livello di frustrazione diventa intollerabile, la soluzione del problema può anche essere ricercata nella fantasticheria, che però comporta il rischio di far perdere all’individuo la capacità di discernere tra il mondo reale e quello immaginario. Altro effetto sortito dalla frustrazione è la stereotipia, la tendenza cioè ad assumere un comportamento fisso e ripetitivo. Il ritorno a modalità di comportamento caratteristiche di età precedenti, altra risposta alla frustrazione, si distingue in retrogressione, che consiste nella ripresa di un comportamento tenuto in precedenza e, primitivizzazione, che non corrisponde invece all’assunzione di reali condotte tenute in passato, come potrebbe accadere a un adulto che, toccato dalla frustrazione, perde il controllo e comincia a fare a pugni, pur non avendolo mai fatto da bambino. L’adattamento. Sebbene in passato nevrosi e psicosi siano state ritenute due entità nosologiche differenti dal punto di vista qualitativo, è ormai consolidata l’idea che le diversità dipenderebbero dalla gravità dei sintomi. La persona ben adattata, pur sperimentando determinati conflitti, non ne viene annientata, ma potrà dispiegare con energia le proprie potenzialità. Un soggetto disadattato, invece, tenderà a lasciarsi travolgere dagli eventi, sperimentando grande sofferenza a causa dei propri conflitti emotivi irrisolti, inibito nell’attività di produrre. Le nevrosi. Le reazioni nevrotiche esprimono una condizione di disadattamento in cui l’individuo dimostra la propria incapacità di affrontare le proprie ansie, sviluppando determinati sintomi, che però non determinano un profondo squilibrio della personalità come invece accade nelle psicosi. Se la soluzione non può essere raggiunta, il soggetto permane in uno stato d’angoscia oppure si difende, ma, riuscendo a liberarsi solo di una piccola parte del carico di ansia che lo attanaglia, comincia a non funzionare normalmente nella vita quotidiana. Il sintomo prevalente della nevrosi è l’angoscia, che spesso è chiaramente palese, ma che talvolta si nasconde. Le psicosi. La psicosi è una malattia mentale in cui il paziente presenta una grave alterazione della personalità, spesso accompagnata da processi di pensiero disturbati fino a giungere al delirio o alle allucinazioni. È possibile distinguere le psicosi in organiche, caratterizzate da sintomi riconducibili a una causa fisiologica conosciuta e funzionali, caratterizzate da disturbi di origine psicologica. Le due forme principali di psicosi funzionale sono: 1. La psicosi maniaco-depressiva, segnata da oscillazioni del tono dell’umore, che fluttua dall’intensa euforia alla profonda malinconia. 2. La schizofrenia, segnata da una disarmonia o dissociazione fra diversi aspetti del funzionamento della personalità, in particolare da una separazione dei processi del pensiero dalle emozioni. L’aggettivo “psicopatico” indica un individuo fondamentalmente asociale che, a causa di un bisogno di immediata gratificazione dei propri desideri, sviluppa una condotta deviante, incoerente e impulsiva, segnata dall’assoluta mancanza di coscienza morale e dall’incapacità di conformarsi ai costumi della collettività, di provare sensi di colpa e di instaurare relazioni significative con il prossimo. È probabile che il soggetto psicopatico da bambino non abbia ricevuto amore dai genitori e che, non riuscendo a identificarsi con questi ultimi, si riveli inabile a interiorizzare i ruoli e a riproporli in età adulta. Le psicoterapie. Le tecniche terapeutiche utilizzate per trattare i vari tipi di disturbo comportamentale, finalizzate alla trasformazione della condotta dell’individuo emotivamente disturbato, sono differenziabili in due categorie principali: - le terapie somatiche, che agiscono sul paziente con mezzi fisiologici, come i medicinali, - le psicoterapie, che cercano di intervenire sul soggetto con strumenti psicologici. Tutti i metodi psicoterapeutici, nonostante le differenze tecniche, appaiono accomunati dalla presenza di un elemento, la comunicazione tra il terapeuta, che non deve mai lasciarsi coinvolgere emotivamente, e il paziente, sollecitato a esprimere liberamente i propri desideri e le proprie paure. Le tecniche psicoterapeutiche rivelano la propria efficacia in particolare nella cura dei soggetti nevrotici, disposti a comunicare per ricevere l’ausilio necessario. I vari tipi di psicoterapia. La psicoterapia centrata sul cliente è un metodo sviluppato dallo psicologo americano Carl Rogers, il quale sostiene che la relazione assistenziale risulta efficace soprattutto grazie agli atteggiamenti assunti dal terapeuta, che deve, quindi, mostrarsi comprensivo, sicuro di sé, capace di suscitare fiducia nel paziente, di intuire i suoi sentimenti riposti e di non esprimere giudizi. Chi si rivolge allo psicologo può, in condizioni favorevoli, ritrovare da solo la strada per una più profonda comprensione dei propri problemi. Il metodo dell’ascolto attivo, fatto cioè con attenzione, si contrappone all’intervento diretto, che può assumere vari aspetti, a seconda dell’orientamento teorico e della personalità del terapeuta, e che è anche il criterio distintivo delle differenti possibilità terapeutiche. La terapia psicoanalitica è fondata sulle teorie freudiane. Un elemento fondamentale del metodo psicoanalitico è costituito dalle associazioni libere, finalizzate all’espressione verbale di pensieri e sentimenti profondamente rimossi di cui il paziente non ha consapevolezza. La tendenza del paziente a fare dell’analista l’oggetto di risposte emotive viene definito transfer: sullo psicoterapeuta vengono proiettati atteggiamenti simili a quelli di figure significative del proprio ambiente, come i genitori o i fratelli. Durante il corso di una terapia psicoanalitica si delineano tre esperienze fondamentali: l’abreazione o la catarsi, una sorta di purificazione emozionale, che si riferisce all’intenso rivivere un’esperienza affettiva, l’insight, la comprensione dell’origine della condizione conflittuale, che deriva da un progressivo perfezionamento della conoscenza di sé, anche se talvolta si verifica mediante il recupero di un ricordo rimosso, e il working through, processo rieducativo in cui, nel clima del contesto terapeutico, si riesaminano gli stessi conflitti e il paziente impara ad affrontare il mondo reale. Anche i sogni sono eventi psichici che contengono materiale emotivo rimosso, come impulsi e desideri respinti nel profondo della psiche perché vietati dalla coscienza. La terapia del comportamento, basandosi sull’affermazione che un comportamento disadattato risulta modificabile grazie ai principi dell’apprendimento, ha dischiuso più ampie prospettive per l’impiego di criteri scientifici nella pratica psicoterapeutica. La terapia di gruppo, approccio durante il quale il paziente esprime i propri problemi agli altri membri del gruppo, discutendone. Dopo una fase iniziale segnata da diffidenza, di solito si riesce a instaurare tra i partecipanti un rapporto empatico. CAPITOLO 9:LINEE DI SVILUPPO ED EDUCAZIONE IN ADOLESCENZA L’adolescente non è più un bambino ma non è ancora un adulto. Attraversa una fase delicata di transizione durante la quale è chiamato a fronteggiare una serie importante di compiti evolutivi. Tra questi i più importanti sono le trasformazioni corporee, il confronto con il gruppo dei pari e con le figure genitoriali, le fasi dell’innamoramento e delle relazioni di coppia, la costruzione dell’identità, la gestione dell’autostima. In ambito psicologico i diversi orientamenti hanno focalizzato l’attenzione sui turbamenti emotivi propri dell’adolescente. Le emozioni sono intense e spesso drammaticamente esasperate. Tra i compiti più importanti qualsiasi ambito, sia esso scientifico che artistico o di crescita personale.Il metodo PAPSA si basa su cinque fasi: - percezione: impregnazione tramite tutti i canali percettivi al fine di cogliere aspetti subliminali del problema o dell'idea non che stimolare il pensiero laterale; - analisi: esplorazione della struttura al fine di evitare i parametri di azione più efficaci; - produzione: elaborazione senza censura di idee originali anche bizzarre o irrealistiche; - selezione: scelta delle idee che meglio si adattano alla visione prospettica e all'obiettivo finale; - applicazione ricerca degli strumenti per realizzare l'idea o soluzione. Misurare la creatività.Molti studiosi hanno cercato di rendere la creatività misurabile attraverso strumenti testologici.Tra i contributi principali ricordiamo quello di Frank Williams che ha sviluppato il TDT (test della creatività e del pensiero divergente).Attraverso l'analisi di quattro fattori cognitivo divergenti del pensiero creativo e di 4 fattori emotivi divergenti della personalità creativa, viene stilato un profilo accurato della creatività di bambini e ragazzi.Oltre a verificare la flessibilità e l'originalità delle risposte, qui viene dato spazio anche alla disponibilità verso il rischio, la curiosità, l'immaginazione e la complessità.Un altro significativo contributo è il TTTC, Esso misura la capacità di fornire risposte diverse, originali, accurate e che combinano elementi eterogenei.Il test viene usato soprattutto per predire lo sviluppo creativo dei bambini a partire dai 5 anni di età. Concassage.Questa tecnica è finalizzata incoraggiare lo sviluppo della creatività perché permette di vedere sotto prospettive laterali e talvolta anche veramente insolite la questione in esame.Il con concassage è uno strumento che permette di frantumare, di rimescolare un'idea, un problema, una situazione al fine di trarne nuove idee di prodotto, nuove tecniche, nuove idee di organizzazione.Il problema viene infatti analizzato scuotendolo con una lista di domande sui vari elementi che lo compongono in modo da analizzarlo sotto prospettive divergenti e insolite. CAPITOLO 11:STILI DI APPRENDIMENTO,MEDIAZIONE DIDATTICA E STRATEGIE INNOVATIVE. Dalla didattica degli anni ‘50.La didattica che nasce negli anni 50 è basata su: - un'organizzazione curricolare scientifico-razionale; - una strutturazione sequenziale delle lezioni; - una valutazione oggettiva degli apprendimenti; - l'idea che l'intelligenza è unica e il suo apice è rappresentato dal pensiero logico- deduttivo. Questa didattica nasce dall'idea neopositivistica, allora largamente diffusa, che la conoscenza: - è rispecchiamento della realtà; - è formalizzabile; - può essere articolata in sotto conoscenze; - è implementabile in una macchina. Quest'idea si consolida nel tempo, grazie all'avanzamento dell'informatica e agli studi riguardanti le intelligenze artificiali.Negli anni 70, il personal computer viene visto come un possibile sostituto dell'insegnante, una sorta di tutor in grado di presentare problemi e decidere la validità delle risposte del soggetto.Nel corso degli anni 80, la didattica oggettivistica inizia però a vacillare.Ciò dipende dal fatto che gli esiti della ricerca di guardante l'intelligenza artificiale si rivelano deludenti.Il nuovo filone trova spazio in questi anni è il costruttivismo, il quale affonda le sue radici in alcune speculazioni filosofiche che hanno origine tra fine 800 inizio 900.Il costruttivismo riprende alcune idea appartenenti alla attivismo deweyano e i mette nella didattica, ma con modalità del tutto nuove, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Aspetti della didattica generale contemporanea. La didattica generale contemporanea affonda le sue radici nel costruttivismo nato negli anni 80.Le finalità educative gli obiettivi di apprendimento rimanda necessariamente alla caratterizzazione dei soggetti dell'apprendimento e agli esiti della ricerca in campo pedagogico psicopedagogico ad essi connessi. La valutazione in ambito scolastico. 1.Valutazione diagnostica-è effettuata prima di intraprendere un nuovo processo di insegnamento-apprendimento ed è finalizzata a rilevare la situazione iniziale degli allievi circa il grado di conoscenze e competenze già acquisite su cui fondare le scelte per la programmazione e/o la realizzazione dell'intervento didattico. 2.Valutazione formativa- si compie in itinere per rilevare come gli alunni dei subiscono le nuove conoscenze. 3.Valutazione sommativa- si effettua per rilevare le conoscenze le competenze alla fine delle unità di apprendimento. Un esempio di lavoro di monitoraggio dell'apprendimento, in atto in questi anni, è quello delle prove Invalsi: i paesi dell'Unione Europea hanno stabilito di attivare un processo di riforme scolastiche che investe tutti i paesi membri è finalizzato al perseguimento di certe competenze.I risultati delle prove Invalsi servono ad individuare i punti deboli e i punti di forza del sistema scolastico italiano, in funzione degli obiettivi formativi stabiliti dal livello sovranazionale. I bias valutativi.Essi sono degli errori di giudizio dovute a dinamiche psicologiche che si instaurano all'interno del contesto in cui il docente Opera.Si tratta di distorsioni della valutazione indotte da un pregiudizio del soggetto che valuta; i più frequenti sono: - il bias di conferma, è fortemente radicato in quei soggetti che hanno un forte bisogno di essere d'accordo con gli altri(valuto negativamente uno studente perché anche i miei colleghi lo hanno fatto); - il bias di genere consiste invece nella tendenza del docente ad alterare la valutazione di un alunno in base al suo sesso; - la cosiddetta fallacia di gabler, ovvero la tendenza a dare rilevanza al passato porta a condizionare il proprio giudizio nel presente; - il bias dello status quo, e invece una distorsione valutativa dovuta alla resistenza al cambiamento da parte dell'essere umano; - il bias della somiglianza è legato alla tendenza del docente con forte autostima a sopravvalutare gli allievi che hanno delle caratteristiche analoghe a lui, mentre l'errore per contrasto è un deltoide gente con bassa autostima legato alla tendenza a premiare gli allievi che presentano delle caratteristiche lui carenti o del tutto assenti. Gli obiettivi del sistema educativo.L'obiettivo a cui dovrebbe tendere il sistema educativo è la trasmissione di: - contenuti su cui puntava la didattica tradizionale che vengono chiamati oggi “ know what”; - valori in cui credere e a cui tendere anche Sicali alla didattica tradizionale, che rientrano nel “know why”; - competenze o abilità, chiamate “know how”, che consistono nel saper mettere in pratica in maniera cosciente, efficacia le conoscenze acquisite. Strategie didattiche per l'apprendimento.Per apprendimento si intende quel processo psichico che consente una modificazione durevole del comportamento per effetto dell'esperienza. Si è soliti distinguere i due tipi di apprendimento: - l'apprendimento associativo, detto anche semplice o meccanico, fondato sulla relazione stimolo risposta, che mette capo alla formazione di abitudini. - l'apprendimento cognitivo, detto anche complesso, che coinvolge funzioni psichiche superiori come la percezione, l'intelligenza in generale i processi cognitivi propri dell'uomo. Quest'ultimo tipo di apprendimento si distingue in due tipi, nel primo tipo il soggetto acquisisce dei contenuti mentali e l'esperienza non va a modificare direttamente il comportamento, il secondo tipo di apprendimento cognitivo è dato dall' insight ( intuito). Le principali metodologie didattiche in uso oggi.La didattica per concetti. La didattica per concetti e quell'orientamento della teoria dell' insegnamento apprendimento Che si fonda sul concetto di informazione organizzata, in cui si intrecciano e si fondano: - i contenuti e le loro procedure di definizione; - il senso comune il sapere scientifico; - l'apprendimento trasmissivo e la conoscenza euristica. L'idea è quella di progettare percorsi di apprendimento interdisciplinari, partendo dalla rappresentazione di un tema centrale e dei sottoargomenti ad esso connessi, a Teresa La costruzione di mappe concettuali. La didattica metacognitiva.La didattica metacognitiva parte dal presupposto dell'insufficienza dell'apprendimento di nuove conoscenze e dall'idea che l'obiettivo primario di ogni percorso formativo sia l'acquisizione delle abilità metacognitive in termini di consapevolezza dei processi cognitivi e di capacità di controllo nell'esecuzione dei compiti mentali. La didattica dell’errore.La didattica dell'errore si fonda sul riconoscimento del valore positivo e potenzialmente fecondo dell'errore, in cui l'alunno si imbatte nei suoi tentativi di ricerca e apprendimento. La didattica orientativa.La didattica orientativa è un'impostazione dell'insegnamento che mira a favorire le scelte autonome degli alunni, cioè a far maturare il loro la consapevolezza delle inclinazioni effettive, dei percorsi possibili e delle prospettive probabili.La didattica orientativa vanta uno stretto legame con la prospettiva del lifelong learning e immagine il processo di formazione come percorso in grado di favorire lo sviluppo delle capacità di iniziativa personale del soggetto nella progettazione e nell'organizzazione. La didattica speciale.La didattica speciale si fonda sul valore del bagaglio formativo di cui ciascuno dispone e sull'urgenza di rendere le proposte didattiche flessibili, varie e calibrati sui bisogni di ciascun individuo all'interno del gruppo classe.Gli interventi di sostegno che riguardano l'alunno diversamente abile devono essere progettati non nell'ottica del semplice supporto al singolo discente ma in quella della creazione di un clima relazionale di percorsi menomazione o ad una disabilità e che, in un certo soggetto, limita o impedisce l’adempimento del ruolo che sarebbe per lui “normale” in relazione all’età, al sesso e a fattori socio-culturali. La naturale conseguenza di quest’impostazione è che bisogna guardare all’handicap (o deficit) come al risultato dell’impatto tra disabilità e struttura sociale. Proprio per questa ragione l’handicap è un problema che riguarda tutta la società. È il sistema sociale e culturale a dover concepire il portatore di handicap all’interno di un insieme di rapporti sociali e a dovergli offrire l’opportunità di vivere in mezzo agli altri con gli altri, in relazione ai propri bisogni e alle proprie capacità. Se si rimuovono gli ostacoli sociali, la persona con deficit può sentirsi meno limitata. Ecco perché la scuola, il lavoro, la vita associativa rappresentano componenti importanti nell’ambito delle mediazioni necessarie per favorire l’inclusione. L’integrazione si concretizza come processo intenzionale mirato al recupero della diversità quale valore. Ciò è avvenuto soprattutto nel mondo della scuola, ma si cerca di attuarlo sempre di più nel mondo del lavoro, dello sport, della cultura e del tempo libero. La tendenza a parlare in positivo di funzioni, obiettivi, attività e diversa partecipazione piuttosto che di impedimenti, disabilità e handicap, rappresenta il segnale più evidente che è stato fatto molto e che si continua a fare tanto in questa direzione. La premessa è che non può esserci integrazione se non si focalizza l’attenzione sulle abilità oltre che sulle disabilità, sulle potenzialità oltre che sugli svantaggi, sia per quanto riguarda la persona sia il suo ambito di vita. Né può esserci integrazione senza una programmazione coordinata che coinvolga i vari settori pubblici e privati (scuola, servizi sanitari, socio-assistenziali) e il nucleo familiare del disabile, che giocano un ruolo essenziale nell’inserimento. La didattica dell’integrazione nasce per rispondere alla duplice esigenza d’individualizzazione e di socializzazione che il soggetto con disabilità presenta. Essa non pone al centro del processo d’insegnamento-apprendimento i contenuti scolastici, ma la funzione di stimolo, percepibile e utilizzabile da tutti gli alunni, che tali contenuti sono in grado di svolgere. L’obiettivo è trasformare lo spazio dell’aula da mero luogo d’istruzione per tutti in contesto d’integrazione per ciascuno, favorendo la creazione di un clima inclusivo, coerente con l’intenzione d’integrare il soggetto “diversamente abile”. La condizione imprescindibile per realizzare progetti d’integrazione è che il disabile si senta accolto in classe; prerequisito per qualsiasi attività volta all’’integrazione è dunque la creazione di un clima di accettazione reciproca nel rispetto delle differenze individuali. La creazione di un clima inclusivo viene ricondotta dagli studiosi Andrich e Miato alla presenza di 5 requisiti: 1) L’alunno disabile deve rimanere in classe il più possibile; 2) Deve fare il più possibile le stesse cose che fanno gli altri 3) Deve essere posto il più possibile nelle stesse condizioni formative degli altri studenti 4) I migliori insegnanti di sostegno sono i suoi compagni 5) Gli spazi di un’aula inclusiva devono essere ampi Una volta poste le condizioni ideali, le strategie d’intervento finalizzate all’integrazione consistono nell’adattare gli obiettivi del gruppo alle esigenze del singolo per conseguire individualmente obiettivi di apprendimento comuni al resto della classe, nel semplificare i materiali di studio, nel differenziare la mediazione didattica, perché la presenza di soggetti con disabilità è una situazione che richiede mediazioni speciali sul piano fisico, cognitivo, relazionale, comunicativo e didattico. Dal momento che gli esiti dell’azione intrapresa non sempre coincidono immediatamente con l’obiettivo individuato, il contesto educativo di inserimento dovrebbe essere caratterizzato da flessibilità organizzativa e duttilità degli obiettivi educativi e cognitivi. Il risultato conseguito va valutato rispetto alla pertinenza con l’obiettivo prefissato e alle conseguenze sull’intero sistema. Tale logica impone riflessività e costante riprogettazione in corso d’opera delle azioni, con minima standardizzazione delle procedure, prestando attenzione alle reazioni dei soggetti coinvolti e alle risorse progressivamente disponibili. Inoltre è importante che vengano valorizzati gli obiettivi intermedi raggiunti tra il punto di partenza e quello di arrivo. Nella scuola media la distanza tra gli obiettivi della classe e le effettive potenzialità del disabile tende ad essere abbastanza notevole. Ma si possono individuare obiettivi comuni: in una prima media vengono programmate attività per insegnare ai ragazzi a comunicare verbalmente in modo adeguato. È una buona occasione per lavorare anche con l’allievo disabile individuando obiettivi specifici al suo livello: dire il proprio nome in risposta ad una domanda, esprimere il proprio pensiero, accettare il punto di vista dell’altro. Nell’ambito storico, un obiettivo adatto anche ai disabili che non sanno leggere, può essere:ordinare cronologicamente fatti ed eventi, magari su una tabella per insegnare il concetto del ‘prima’ e del ‘dopo’. In ambito geografico l’obiettivo potrebbe essere quello di leggere mappe e carte. Nell’ottica di una piena integrazione e della realizzazione di una didattica inclusiva risulta molto importante l’adeguamento degli obiettivi curricolari. Tale obiettivo può essere perseguito utilizzando diverse strategie quali ad esempio: - la sostituzione: l’obiettivo curricolare non viene semplificato, ma si cerca di farlo raggiungere attraverso l’impiego di altri codici (per i non vedenti il braille, lettori vocali per DSA, le immagini per l’alunno straniero); - la facilitazione: l’obiettivo non è diversificato, ma si stimola attraverso l’uso di tecnologie motivanti (Lim, software, etc..); - la semplificazione; l’obiettivo viene semplificato, potrebbe essere necessario ridurre la complessità (misure dispensative, per es. uso di calcolatrice); - la scomposizione in nuclei fondanti, l’obiettivo viene semplificato o modificato per renderlo più accessibile; - la partecipazione: l’obiettivo è più sociale che cognitivo (si fa partecipare l’alunno a momenti significativi dell’attività della classe). Per agevolare la comprensione e l’organizzazione dei concetti Ausbel parla di organizzatori anticipati. Essi rappresentano una strategia didattica che mette in relazione le nuove conoscenze con le conoscenze che già possiede. Secondo lo studioso infatti il fattore più importante nell’influenzare l’apprendimento è ciò che l’alunno già conosce: occorre dunque verificare queste conoscenze e su queste impostare il lavoro d’insegnamento. Per essere efficaci gli organizzatori anticipati devono rispondere a due requisiti: devono essere rilevate nell’alunno le conoscenze preesistenti; deve essere realizzata una sequenza organizzata delle nuove conoscenze in modo tale che l’alunno acquisisca l’abilità di mettere in relazione le nuove conoscenze con le vecchie. Tra i più efficaci organizzatori anticipati vi sono le mappe e i diagrammi. La didattica ha il compito di predisporre le migliori condizioni per l’apprendimento: in quest’ottica il docente esercita un’attività di mediazione didattica mediante la scelta di modalità diverse di presentazione dei contenuti. Secondo Elio Damiano esistono 4 tipi di mediatori: Mediatori attivi: esperienza diretta del ragazzo ad esempio in esperimenti che si realizzano in laboratorio; Mediatori iconici: che si basano sulla rappresentazione del linguaggio grafico; Mediatori analogici: l’apprendimento su basa sul gioci e sulla simulazione di situazioni reali Mediatori simbolici: la lezione frontale. Meno efficaci dei precedenti perché rende passivo il ragazzo. Una diversa tipologia di mediazione è quella tra pari che coinvolge attivamente tutti gli studenti. Questa modalità aumenta la motivazione degli studenti e determina risultati migliori rispetto alla didattica tradizionale. I più diffusi metodi di peer education (educazione tra pari) sono: - Il cooperative learning - Il tutoring - Il teaching Integrazione è sinonimo di “programmazione individualizzata”., che deve essere capace di porre ciascun alunno nella condizione di dare il meglio di sé, interagendo con gli altri e con il contesto in cui è inserito. L’intero corpo docente è chiamato a costruire un progetto formativo coerente e unitario attraverso una vera e propria strategia di “team teaching”. All’interno di questo team, l’insegnante di sostegno si colloca a pieno titolo. La scuola dell’inclusione non è solo chiamata ad accogliere il deficit ma anche e soprattutto a valorizzare la diversa partecipazione sociale dell’alunno in situazione di deficit. L’insegnante deve diventare il promotore di una scuola che sia integrante e deve essere in grado di operare scelte. Il docente di sostegno deve caratterizzarsi come key worker, collaborando collegialmente con gli insegnanti curricolari in funzione del progetto d’integrazione. Deve aiutare i colleghi a comprendere le potenzialità dell’alunno con disabilità e rendersi interprete della relazione tra programmi nazionali e azione didattica eliminando gli elementi non funzionali al raggiungimento degli obiettivi. Deve organizzare gli spazi e i tempi della vita scolastica in funzione di ciascun alunno e, da questo punto di vista, egli è anche un docente per tutta la classe. Sapere (conoscenze teoriche), saper fare (campo praticoproduttivo) e saper essere (comportamenti socio emotivi) sono le tre aree di saperi che egli dovrà acquisire sia nella formazione iniziale che in quella in servizio. La programmazione integrata permette di trasformare l’integrazione scolastica da problema dell’insegnante di sostegno a problema dell’intera comunità scolastica e sociale. Se la programmazione personalizzata e l’insegnamento individualizzato rappresentano degli imperativi, è naturale che il PEI, una volta diventato operativo, deve essere modificato in itinere ogni volta che si riscontra la necessità di rivedere le valutazioni degli obiettivi e delle strategie. Parte integrante del PEI è il progetto di vita che riguarda la crescita personale e sociale dell’alunno con disabilità per migliorare la sua qualità della vita e prevedere dei percorsi che migliorino l’autoefficacia e la sua autostima. L’istruzione individualizzata non è un’istruzione individuale realizzata in un rapporto uno a uno. Essa consiste nell’adeguare l’insegnamento alla caratteristiche individuali degli alunni (ai loro ritmi d’apprendimento, alle loro capacità linguistiche,alle loro modalità di apprendimento e ai loro prerequisiti cognitivi) cercando di conseguire individualmente obiettivi di apprendimento comuni al resto della classe. È necessario che la didattica individualizzata non sia fine a se stessa ma propedeutica all’integrazione, diventa perciò una didattica integrata che non mette al centro i contenuti ma li considera stimolo per tutti gli alunni. L’insegnante di sostegno è a tutti gli effetti contitolare della classe. Può visionare la diagnosi funzionale dell’alunno . i colleghi di team sono tenuti a redigere e compilare con l’insegnante di sostegno alcuni documenti (PDF e PEI). Bisogna individuare le priorità dell’intervento a partire dalle caratteristiche individuali della persona, riconoscere gli aspetti più critici della sua diversità, identificarne le aree di forza e di debolezza, interpretarne i bisogni scolastici, sociali, relazionali, comunicativi. La presa in carico è educativa, psichica e psicologica e l’impegno deve essere proteso a rendere autonomo l’alunno, facendogli ritrovare una maggiore stima di sé perché l’autostima è la cosa di cui avrà più bisogno nella vita. Condizione di svantaggio, disadattamento e pedagogia della differenza. Lo svantaggio è il prodotto di un rapporto inadeguato tra l’individuo e il suo ambiente di vita. A volte si producono situazioni di svantaggio anche a scuola. Le situazioni particolari, dovuti a stati di povertà o comunque a condizioni socio economiche molto difficili o a deprivazione culturale, provocano nei bambini atteggiamenti e comportamenti di grave anomalia. La conseguenza dello svantaggio è il disadattamento, che è causato da mancate relazioni con gli altri e con i Prove di esame.È costituita una commissione d'esame ogni due classi, presieduta da un presidente esterno è composto da tre membri esterni e, per ciascuna classe, da tre membri interni.Il consiglio di classe elabora entro il un un esprime esplicita i contenuti, i metodi, i mezzi, gli spazi e i tempi del percorso formativo, i criteri, gli strumenti di valutazione adottati e gli obiettivi raggiunti.L’ esame comprende due prove a carattere nazionale un colloquio, la prima prova scritta accerta la padronanza della lingua italiana, mentre la seconda prova in forma scritta, grafica ho scritto grafica, pratica, a seconda del corso di studio accerta le conoscenze, le abilità e le competenze relative al profilo educativo culturale e professionale dello specifico indirizzo.Per quanto riguarda il colloquio invece la commissione propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, per verificare l'acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline.Il colloquio comprende la presentazione di una breve relazione e/o un elaborato multimediale e relativi all' esperienza di alternanza scuola-lavoro. Esiti dell’esame.Al termine dell'esame assegnato un punteggio finale complessivo in centesimi, risultante dalla somma dei punti attribuiti alle prove al colloquio e di quelli acquisiti per credito scolastico per un massimo di 40 punti.La commissioni dispone di un massimo di 20 punti per ciascuna delle prove e per il colloquio, può anche attribuire all'unanimità la lode motivandola a coloro che conseguono un punteggio massimo di 100 punti.Almeno due giorni prima della data dell'inizio dei colloqui e pubblicato all'albo l'esito delle prove.Nel caso di mancato superamento dell'esame di portata la sola indicazione non diplomato. Gli studenti con disabilità all'esame di Stato. Per quanto riguarda lo studente con disabilità il consiglio di classe stabilisce la tipologia delle prove d'esame e se le stesse hanno valore equipollente.Naturalmente devono essere coerenti con il PEI.La commissione poi potrà assegnare un tempo differenziato per l'effettuazione delle prove da parte del candidato con disabilità. Gli studenti con disabilità partecipano alle prove standardizzate di inglese.Il consiglio di classe può prevedere adeguate misure compensative e dispensative per lo svolgimento delle prove, ove non fossero sufficienti, predisporre specifici adattamenti alla prova. Studenti con DSA.Gli studenti con DSA sono ammessi all'esame Sulla base del piano didattico personalizzato(PDP) .Gli studenti con DSA possono utilizzare i tempi più lunghi per le prove scritte di utilizzare gli strumenti compensativi previsti dal piano didattico personalizzato.Nel diploma finale non viene fatta menzione dell'impiego degli strumenti compensativi.Per gli studenti dispensati dalle prove scritte di lingua straniera, viene svolta una prova orale sostitutiva.In casi di particolari gravità del disturbo, sì può richiedere l’esonero dell'insegnamento delle lingue straniere e segue un percorso didattico differenziato. Altri studenti con BES.Per tali studenti devono essere fornite al consiglio di classe le indicazioni utili per consentire loro di sostenere adeguatamente l'esame di stato.In ogni caso, per siffatte tipologie, non è prevista alcuna misura dispensativa in sede di esame, mentre possibile concedere strumenti compensativi, in analogia per alunni e studenti con DSA. CAPITOLO 16:LA GOVERNANCE DELL’ISTITUZIONE SCOLASTICA. La dirigenza scolastica. Il dirigente scolastico: - autonomi poteri di direzione, coordinamento e valutazione delle risorse umane; - svolge funzioni di garanzia per l'esercizio nella scuola dei diritti costituzionalmente tutelati; - può individuare autonomamente i docenti collaboratori nel limite del 10% dell'organico; - è coadiuvato dal direttore dei servizi general e amministrativi; - è titolare delle relazioni sindacali; - ha la responsabilità del datore di lavoro relativamente alla sicurezza sul lavoro; - è titolare del trattamento di dati personali. Gli organi collegiali dell'istituzione scolastica.A livello centrale opera il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, organo di garanzia dell'unitarietà del sistema Nazionale dell'istruzione.Invece a livello della singola istituzione scolastica, operano: - il consiglio di circolo o d'istituto; - il collegio dei docenti; - i consigli di intersezione, di interclasse e di classe; - il comitato per la valutazione dei docenti; - le assemblee studentesche dei genitori. Tutti gli organi derivano da elezioni scolastiche, tranne il collegio dei docenti. Il consiglio di circolo d'istituto.È un organo elettivo che esercita le funzioni di indirizzo, mentre il dirigente scolastico spetta la gestione della scuola e del personale, è composto dal dirigente scolastico e dei rappresentanti elettivi( dei genitori degli alunni, del personale docente e non docente, degli studenti nella scuola secondaria di secondo grado). Il collegio dei docenti.È presieduto dal dirigente scolastico è composto da tutti i membri del personale insegnante in servizio nel istituzione scolastica.Le materie in cui è deliberante sono: - funzionamento didattico dell'Istituto - la valutazione periodica dell'andamento complessivo dell'azione didattica - l'adozione dei libri di testo. Il comitato per la valutazione dei docenti.Ha tre funzioni: - individuare i criteri per la valorizzazione dei docenti; - esprimere il parere sull'anno di prova formazione dei neo docenti; - valutare il servizio dei docenti già di ruolo che ne facciano richiesta. Il comitato ha durata di 3 anni, è presieduto dal dirigente scolastico ed è così composto: - tre docenti - due rappresentanti dei genitori - un componente esterno. CAPITOLO 17: DALLE SCUOLE SPECIALI ALL’INSERIMENTO. La legislazione sulle istituzioni speciali.L'inserimento scolastico dei bambini disabili Strada Lungo condizionato da un pregiudizio.I primi tentativi di integrazione e riabilitazione dei soggetti disabili risalgono alla Francia dell'illuminismo, per la prima volta la normalità ho vista come una condizione umana che non pregiudica va la dignità dell'individuo.Tali valori trovare uno terreno fertile nella Rivoluzione francese, quando con la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo viene sancito il diritto dell'uguaglianza.Risale a questo periodo l'istituzione delle prime case di cura in Francia in Inghilterra per l'assistenza sanitaria disabili.In Italia bisognerà attendere fino alla fine del XIX secolo per l'apertura dei primi centri specializzati nella cura dei portatori di handicap.Nel 1898 il neuropsichiatra infantile Sante De Sanctis fondo a Roma un centro per la cura e la riabilitazione dei bambini affetti da deficit psico fisici è sempre a Roma, in quel periodo, sorse la prima scuola magistrale ortofrenica diretta da Maria Montessori che proprio con De Sanctis aveva attivamente collaborato.Furono istituite le prime scuole speciali, ma con il regime fascista si trascura in maniera assoluta La scolarizzazione dei disabili, la Riforma Gentile del 1923 estendeva l'obbligo scolastico solo ai ciechi e ai sordomuti che non presentassero altre anormalità.L'istruzione peraltro dove essere in partita in apposite classi differenziali.Con la fine del Fascismo e l'instaurazione della Repubblica, la costituzione italiana sancisce alcuni principi fondamentali che investono in modo diretto il tema dell'integrazione.La Costituzione per il garantire pari uguaglianza e dignità individua le strade da percorrere per la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale.Il 20 dicembre del 1959 l'assemblea generale delle Nazioni Unite promulgò la dichiarazione dei diritti del fanciullo, il cui Quinto principio sancito il diritto dei Fanciulli che si trovasse in situazioni di minorazione fisica, mentale sociale a ricevere il trattamento, l'educazione le cure speciali di cui avevano bisogno per il loro stato o la loro condizione; Tuttavia la logica imperante fino agli anni 60 rimase quella della medicalizzazione e, ancor più, della separazione: l'allievo minorato era un malato da affidare alle cure di un maestro medico perché era un potenziale elemento di disturbo.La L. 30 marzo 1971,n.118 inaugura la logica dell'inserimento, recando in sé una disposizione per garantire ai minori invalidi civili la frequenza scolastica nelle classi ordinarie normali, fatti salvi i casi di gravi deficienza intellettuali o menomazioni fisiche tali da impedire l'inserimento.Anche se riguarda solo i mutilati e gli invalidi civili,l’art 28 è ben presto utilizzato come giustificazione normativa per l'integrazione degli alunni portatori di qualsiasi tipo di handicap, che vedono così riconosciuto il loro diritto all'inserimento scolastico nella scuola elementare nella scuola media.La norma prescrive, altresì, che debba essere facilitata la frequenza degli invalidi e dei Mutilati civili alle scuole medie superiori e universitarie. Il Documento Falcucci. può essere considerato il primo studio sistematico sull’inserimento dei ragazzi con disabilità nelle scuole comuni dal quale trasse origine la legge n. 227 del 1975. Il punto saliente del D. Falcucci era il superamento della distinzione normale/anormale per evitare il pericolo di emarginazione. I portatori di handicap, secondo il documento, erano tutti quei “minori che in seguito a evento morboso o traumatico pre-peri-post natale presentano una menomazione delle proprie condizioni psichiche o fisiche che li mettono in difficoltà di apprendimento o relazione”. Per questo motivo la scuola avrebbe dovuto favorire i processi di socializzazione e il tempo peno venne ritenuto uno strumento utile in tal senso. La valutazione non doveva essere circoscritta la mero voto ma anche e soprattutto al livello di maturazione. Il Documento segnava la decisa presa di posizione verso l’integrazione della persona con disabilità. Veniva confermata la tendenza, già in atto, di abolire le classi differenziali per favorire il processo di inserimento nella scuola normale. Di particolare importanza si presentava la proposta di revisione dei programmi, ritenuti statici, da sostituire con la programmazione, in vista del raggiungimento di obiettivi personali e differenziati. Il Documento Falcucci sottolineava l’importanza dell’individualizzazione degli interventi didattici, di nuove attività integrative, della scoperta di nuovi linguaggi espressivi, del riconoscimento di un’intelligenza non soltanto logico – astrattiva ma anche senso-motoria e pratica. Le conseguenze operative più immediate del documento Falcucci furono l’istituzione di un ufficio speciale per i problemi degli alunni handicappati presso il Ministero e l’emanazione della circolare 227/1975 con la quale si adottava il principio della massima integrazione nelle classi normali per cui le scuole comuni dovevano essere rinnovate al massimo per accogliere tutti i discenti. Questo tentativo d’integrazione prevedeva che in ogni provincia uno o due gruppi di scuole disponessero di qualche aula in più per attività speciali, nucleo sono 47, anziché 46.L’ alterazione comporta un variabile grado di ritardo nello sviluppo mentale, linguistico e psicomotorio. -sindrome dell’X fragile (o di martin bell): sindrome dell’X fragile è provocata dall' alterazione di un gene situato nel cromosoma X.Le conseguenze della malattia sono ritardo mentale moderato o grave, ritardo nello sviluppo psicomotorio, turbe del carattere e del comportamento, difficoltà nel linguaggio. -sindrome di Duchenne: è la meglio conosciuta tra le distrofie muscolari dell'infanzia e colpisce quasi esclusivamente il sesso maschile, mentre le femmine possono essere portatrici sane o colpite in forme lievi.La sindrome è causata dall'assenza di una proteina, la distrofina, si manifesta intorno ai 3 anni, quando il bambino comincia a manifestare difficoltà a saltare, correre, salire le scale, alzarsi da terra.All’ in circa il 30% di essi presenta un deficit cognitivo stabile.In assenza di deficit possono comunque insorgere difficoltà di apprendimento e di linguaggio. -la disabilità intellettiva: è la condizione che risulta da un insieme di deficit dello sviluppo cognitivo e socio-relazionale. Disabilita sensoriali.Tra le disabilità sensoriali vanno senz'altro annoverate le disabilità visiva e quella uditiva.L’ ipovedente è la persona portatrice di una disabilità visiva di entità tale da non consentire lo svolgimento delle normali attività quotidiane.La sordità, Dal canto suo, consiste nella perdita- parziale o totale- della funzione uditiva per cause che non possono essere acquisite o congenite.Esiste peraltro una forma di sordità ereditaria, dovuta a mutazioni genetiche trasmesse da una generazione all'altra. Alunni con disturbi specifici di apprendimento. Circa il 10% della popolazione scolastica presenta problemi d’apprendimento. Le difficoltà ad apprendere possono dipendere da fattori ambientali e/o esterni, o da fattori individuali. I disturbi vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti in test psicometrici, somministrati individualmente su lettura, calcolo, o espressione scritta si collocano significativamente al di sotto degli standard previsti in base all’età, all’istruzione e al livello d’intelligenza. La psicologia li suddivide in disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e disturbi non specifici dell’apprendimento (DNSA). Il ritardo mentale, il livello cognitivo borderline, l’ADHD, l’autismo ad alto funzionamento, i disturbi d’ansia, sono alcune categorie che possono causare DNSA. I DSA: Tali disturbi sono sottesi da specifiche disfunzioni neuropsicologiche, isolate o combinate. Nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentale (DSMIV) i dsa sono inquadrati nell’Asse 1 come disturbi della lettura, dell’espressione scritta e del calcolo. Nella classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati (ICD 10) proposta dall’O.M.S. vengono collocati sull’asse 2 come disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche. Nel nostro paese al riconoscimento ufficiale della dislessia, disortografia e discalculia come DSA si è giunti soltanto nel 2010, con il varo della legge n.170. Le finalità di questa legge sono le seguenti: - Garantire il diritto all’istruzione - Favorire il successo scolastico - Ridurre i disagi relazionali ed emozionali - Adottare forme di verifica e valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti - Sensibilizzare gli insegnanti ed i genitori nei confronti delle problematiche legate ai DSA - Favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi - Incrementare la comunicazione tra scuola, famiglia e servizi sanitari - Assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale La diagnosi è di pertinenza del Servizio Sanitario Nazionale. Perciò nel caso di persistente difficoltà la scuola trasmette apposita documentazione alla famiglia alla quale spetta la decisione di rivolgersi ai servizi sanitari per ottenere un inquadramento diagnostico e comunicare l’esito all’istituzione scolastica, la quale, a fronte di una diagnosi di DSA, deve garantire l’uso di strumenti compensativi e dispensativi e di flessibilità didattica. Le linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA all’interno del decreto del 12 luglio 2011, contengono le indicazioni per realizzare degli interventi personalizzati che puntino sulla centralità delle metodologie didattiche. Si parla di percorsi di didattica individualizzata e personalizzata. La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere l’alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze anche nell’ambito delle strategie compensative e del metodo di studio. La didattica personalizzata invece, anche sulla base di quanto indicato nella L. 53/2003 e nel D. Lgs 59/2004 calibra l’offerta didattica e le modalità relazionali, sulla specificità e unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della classe, considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo; si può favorire così l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue preferenze e del suo talento. La sinergia fra didattica individualizzata e personalizzata determina per l’alunno con DSA le condizioni più favorevoli per il raggiungimento del successo nell’apprendimento. Gli strumenti compensativi sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Fra i più noti vi sono: la sintesi vocale, il registratore, i programmi di video scrittura con correttore ortografico la calcolatrice, le mappe concettuali, etc.. 59. Le misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, gli strumenti compensativi e le misure dispensative dovranno essere formalizzati dalle istituzioni scolastiche al fine di assicurare uno strumento utile alla continuità didattica e alla condivisione con la famiglia delle iniziative intraprese. A tal proposito la scuola predispone entro il primo trimestre, un documento (il Piano Didattico Personalizzato) che dovrà contenere almeno le seguenti voci, articolate per le discipline coinvolte dal disturbo: - Dati anagrafici dell’alunno - Tipologia di disturbo - Attività didattiche individualizzate - Attività didattiche personalizzate - Strumenti compensativi utilizzati - Misure dispensative adottate - Forme di verifica e valutazione personalizzate Il PDP viene redatto dal team dei docenti o dal consiglio di classe una volta acquisita la diagnosi di DSA. La redazione del documento prevede una fase preparatoria e d’incontro tra docenti, famiglia e specialisti. Il PDP deve essere verificato due o più volte l’anno. Sono previste idonee strategie per l’insegnamento delle lingue straniere (salvo l’esonero nei casi di particolare gravità risultante dal certificato diagnostico). Viene privilegiata l’espressione orale. La dislessia(disturbo della lettura). Consiste nella difficoltà nel leggere fluentemente e correttamente ad alta voce. La dislessia può essere acquisita o evolutiva. La dislessia acquisita si manifesta in soggetti che sono in grado di leggere normalmente e che, in conseguenza di lesioni derivate da eventi patologici celle aree corticali coinvolte nel procedimento di transcodifica, cominciano a commettere errori o ad incontrare difficoltà di decodifica. La dislessia evolutiva, invece, è il disturbo di lettura proprio di quei soggetti che non hanno mai imparato a leggere in maniera corretta. Molto più frequente dell’altra, è di solito diagnosticata durante gli ultimi anni della scuola materna o i primi anni dell’elementare. L’international dyslexia association (IDA) l’ha recentemente definita come disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica, caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura. La causa tipici di questa difficoltà è un deficit della componente fonologica del linguaggio. Le conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica nella lettura. Tra gli indicatori più comuni del disturbo dislessico vi è la scarsa capacità di discriminare i grafemi e nell’omettere grafemi e sillabe, saltare parole, omettere sillabe e grafemi, invertire sillabe, fare aggiunte o ripetizioni. La disortografia e disgrafia.La disortografia è la difficoltà a tradurre correttamente i suoni che compongono le parole in simboli grafici, pur possedendo un linguaggio adeguato sul piano della pronuncia lessicale e delle capacità espressive. Essa si presenta generalmente associata alla disgrafia, che invece è un disturbo grafo motorio che si manifesta come incapacità o mal destrezza nel realizzare il gesto grafico. La discalculia evolutiva.È un disturbo caratterizzato da una ridotta capacità di apprendimento numerico e del calcolo in rapporto alla classe frequentata; secondo l’O.M.S. si tratta di un disturbo a prognosi organica, geneticamente determinato, espressione di disfunzione cerebrale. Didattica speciale per gli alunni con DSA.Alcuni suggerimenti utili alla semplificazione dei testi per alunni dislessici potrebbero essere: - Evitare testi troppo lunghi - Per i testi lunghi, utilizzare le intestazioni di paragrafo - Usare un lessico semplice e frasi brevi - Usare, per quanto possibile, forme verbali attive e all’indicativo - Usare insieme al testo le immagini, schemi, tabelle, ma senza riempire troppo le pagine - Usare l’interlinea - Usare, per quanto possibile, il grassetto per le parole chiave I disturbi non specifici dell'apprendimento. (DNSA) Essi costituiscono una categoria clinic nella quale rientrano tutti quei disturbi che non soddisfano i criteri per alcun disturbo specifico. L’osservazione che entità diagnostiche come il ritardo mentale, il livello cognitivo borderline, l’ADHD, l’autismo ad alto funzionamento, i disturbi d’ansia siano causa di disturbi non specifici dell’apprendimento si fonda sull’evidenza. Nel profilo professionale del docente sono comprese, oltre alle competenze disciplinari, anche competenze psicopedagogiche (art.27 CCNL). Gli strumenti metodologici per interventi di carattere didattico fanno parte, infatti, dello strumentario di base che è patrimonio di conoscenza e di abilità di ciascun docente. Tuttavia, è pur vero che la competenza psicopedagogica, in tal caso, deve poter anche potenziali e residue. Perciò non è mai opportuno assegnare certe “etichette” che possono introdurre distorsioni nella relazione educativa ma occorre piuttosto che si compia uno sforzo di comprensione per poi disegnare un percorso di crescita e accompagnamento. Per poter adeguatamente lavorare in questa direzione , il docente deve avere competenze e risorse altrettanto “speciali”: deve conoscere, cioè, le condizioni che generano difficoltà e i loro effetti sui normali processi di sviluppo. L’intervento educativo individualizzato, il lavoro scolastico, la famiglia e il raccordo tra tutte le risorse territoriali extra-scolastiche rappresentano i quattro ambiti operativi per una linea d’intervento valida per tutte quelle situazioni di disagio, di difficoltà o di bisogno educativo speciale che necessitano di percorsi di presa di carico più o meno duraturi o strutturati. La risposta educativa speciale. Se il bisogno educativo speciale deriva da una difficoltà nell’apprendimento e/o nello sviluppo, connaturata ad un deficit specifico, la risposta educativa speciale deve mirare, secondo precisi protocolli, al superamento o all’aggiramento della difficoltà. Il fine è la promozione dell’individuo secondo le sue potenzialità interiori ed esteriori, per realizzarne la dignità, qualunque sia il tipo di disadattamento dal quale egli è colpito. L’intervento educativo non ha alcuna possibilità di successo se manca il dialogo tra scuola e famiglia. I programmi devono, inoltre, essere flessibili. Per guidare l’intervento, adattarlo alle eventuali sopravvivenze e verificarne i risultati, può essere utile la costruzione di mappe logico disposizioni, rappresentazioni grafiche che, partendo proprio dal riconoscimento di determinate carenze, permettono di programmare le azioni educative necessarie al raggiungimento di capacità e abilità funzionali all’interno di un contesto integrato. Classificazioni internazionali: Si passa dall’uso della parola Handicappato (I.C.I.D.H, 1980) all’uso del concetto di persona con disabilità (I.C.F. 2001). Da un modello medico si passa ad un modello sociale. Il piano educativo individualizzato (PEI) è il documento nel quale vengono descritti e integrati gli interventi predisposti per l’alunno con disabilità, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione ai sensi dell’art. 12 della L. 104/1992. Il P.E.I. è redatto ogni anno , entro il secondo mese dell’anno scolastico, congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dall’ASL e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola e, ove presente, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico, in collaborazione con i genitori. Ed è verificato con scadenza trimestrale per cui può essere modificato in caso di nuove esigenze. I soggetti chiamati a definirne i contenuti propongono, ciascuno in base alla propria esperienza pedagogica, medico-scientifica e di contatto e sulla base dei dati derivanti dalla diagnosi funzionale e dal profilo dinamico funzionale, gli interventi necessari per la piena realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione e all’integrazione scolastica dell’alunno con disabilità, in relazione al deficit specifico da cui è affetto, alle difficoltà che gli impediscono una normale partecipazione alla vita sociale e alle potenzialità residue e disponibili. Il P.E.I. è tanto più funzionale quanto più vi è definito il ruolo dell’insegnante di sostegno, nei suoi rapporti con gli altri insegnanti di classe e di scuola, nella sua funzione di ‘mediatore della comunicazione’ tra tutti coloro chiamati a lavorare con l’alunno. La legge 104 del 1992, all’articolo 15, ha previsto due strumenti indispensabili per coinvolgere nel processo d’integrazione tutte le professionalità necessarie: il gruppo di lavoro provinciale per l’integrazione scolastica, situato presso ogni ufficio scolastico provinciale, e i gruppi di lavoro e di studio a livello dei singoli istituti scolastici. Il gruppo di lavoro provinciale dura in carica tre anni ed è composto da un ispettore tecnico nominato dal provveditorato agli studi, da un esperto della scuola, da due esperti designati dagli enti locali, due esperti delle unità sanitarie locali, tre esperti designati dalle associazioni delle persone handicappate maggiormente rappresentative a livello provinciale nominate dal provveditore agli studi sulla bas dei criteri indicati con decreto ministeriale. I gruppi di lavoro e di studio d’istituto, invece, sono composti da insegnanti, operatori dei servizi, familiari e studenti. Essi sono costituiti a cura del capo d’istituto, sentiti il consiglio d’istituto e il collegio dei docenti. Al gruppo di lavoro provinciale sono attribuiti compiti di consulenza e proposta al provveditore agli studi, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le Asl per la conclusione e la verifica dell’esecuzione degli accordi di programma previsti dalla stessa legge, per l’impostazione e l’attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività inerente all’integrazione egli alunni in difficoltà d’apprendimento. Il gruppo di lavoro per l’handicap operativo costituito all’inizio dell’anno scolastico per ogni alunno svantaggiato, composto dal dirigente, da almeno un rappresentante degli insegnanti di classe, dall’insegnante specializzato sul sostegno, dall’assistente educatore eventualmente presente, dagli operatori della Asl che si occupano del caso, dai genitori o dai facenti funzione e da qualunque altra figura significativa che operi nei confronti dell’alunno, è l’organo fondamentale per la realizzazione delle attività relative all’alunno diversamente abile nella sua specificità e ha il compito di predisporre e aggiornare il profilo dinamico funzionale, di predisporre il piano educativo individualizzato . I centri territoriali di supporto (CTS) e i centri territoriali per l’inclusione (CTI). La direttiva del 27 dicembre 2012 prospetta una rete ben articolata tra tutte le istituzioni scolastiche che operano sul territorio per permettere ai docenti di interagire e per intervenire sulle problematiche che riguardano i BES. La direttiva prevede che i centri territoriali di supporto devono essere collocati presso le scuole di riferimento o polo per assicurare un’equa distribuzione territoriale. Tali centri devono, poi, essere affiancati da una rete di centri territoriali per l’inclusione (CTI). I CENTRI TERRITORIALI DI SUPPORTO sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici 10 Scaricato da Marina Sborgia (mari.sborgia01@gmail.com) lOMoARcPSD|6863150 Regionali in accordo con il MIUR mediante il Progetto “Nuove tecnologie e Disabilità” (azioni 4 e 5). I centri sono collocati presso le scuole polo e la loro sede coincide con quella dell’istituzione scolastica che li accoglie. È pertanto facoltà degli Uffici Scolastici Regionali integrare o riorganizzare la rete regionale dei CTS laddove le necessità dovessero variare. È auspicabile la presenta di un CTS uin ogni provincia della regione, nelle aree metropolitane possono essercene più di uno per l’ampia densità di popolazione. In alcune regioni i CTS, di livello provinciale, sono stati affiancati dai CTI, di livello distrettuale. L’organizzazione territoriale per l’inclusione prevede quindi: - I GLH a livello di ogni singola scuola, eventualmente affiancati da gruppi di lavoro per l’Inclusione; i GLH di rete o distrettuali - I Centri territoriali per l’inclusione (CTI) a livello di distretto sociosanitario - Almeno un CTS a livello provinciale Sono composti dal Dirigente scolastico, da almeno tre docenti curricolari e di sostegno, da un rappresentante dell’USR, da un operatore sanitario e da docenti specializzati. Compito dei CTS è realizzare una rete territoriale permanente che consenta di accumulare, conservare e diffondere le conoscenze (buone pratiche, corsi di formazione) e le risorse (hardware e software) a favore dell’integrazione didattica degli alunni attraverso le Nuove Tecnologie. Hanno lo scopo di attivare sul territorio iniziative di formazione sull’uso corretto delle tecnologie rivolte gli insegnanti e agli altri operatori scolastici, nonché ai genitori e agli stessi alunni. La rete dovrà inoltre essere in grado di sostenere concretamente le scuole nell’acquisto e nell’uso efficiente delle nuove tecnologie per l’integrazione scolastica. I CTS informano gli alunni, i genitori e i docenti delle risorse tecnologiche disponibili, sia gratuite che commerciali. Per questo motivo organizzano incontri di presentazione di nuovi ausili o li pubblicano sul loro sito. Possono anche darli in comodato d’uso alla scuola e se necessario prevedono la presenza di un esperto che spieghi agli insegnanti come utilizzale quella determinata tecnologia. Laddove l’alunno dovesse cambiare scuola (nella stessa provincia) l’ausilio di proprietà del CTS seguirà l’alunno. Periodicamente, insieme ai docenti dell’alunno, viene verificata l’utilità dell’ausilio. In ogni CTS dovrebbero essere presenti tre operatori, almeno uno specializzato in DSA. Si individueranno gli operatori tra gli insegnanti curricolari e di sostegno che possano garantire la loro presenza per almeno tre anni. I CTS possono dotarsi di un Comitato Tecnico Scientifico per definire le linee generali d’intervento e le iniziative da realizzare sul territorio a breve e lungo termine. CAPITOLO 22:IL RUOLO ISTITUZIONALE E SOCIALE DELL’INSEGNANTE DI SOSTEGNO. La formazione monovalente.Il percorso storico normativo Relativo alla formazione dei docenti di sostegno è stato lungo e complesso.La formazione dei docenti che nei decenni successivi avrebbero curato queste scuole questi corsi, strutturati in una molteplicità di specializzazioni, sarebbe servita a fare acquisire una preparazione indirizzata a specifiche patologie.I corsi erano annuali, ma sovente duravano molto meno, perché le lezioni venivano con patate in periodi più brevi.Il D.P.R. 31 ottobre 1975,n. 970, li rese biennali e ne subordino all'apertura all'autorizzazione del ministro.Il corso biennale era unitario sul piano organizzativo e didattico, pur prevedendo sezioni distinte per docenti di educatori della scuola materna, elementare e secondaria.Venivano individuate due aree privilegiate di intervento: quella formativa e quella informativa.Le lezioni e le esercitazioni dell'area informativa erano comuni. Il tirocinio si svolgeva nel grado di scuola ogni tipo di istruzione cui la sezione si riferiva.Per ogni anno di corso erano previste 300 ore di lezioni teoriche relative all'area informativa e 350 ore nell'aria formativa di cui 200 attribuiti al tirocinio guidato.L’accesso a posti di ruolo nelle sezioni e classi di scuole statali funzionanti negli istituti per non vedenti negli istituti per sordomuti aveva luogo mediante concorsi speciali. La formazione polivalente.Il titolo di specializzazione che l'allievo conseguiva al termine del corso doveva consentire al personale direttivo, docente ed educativo di poter rispondere ai bisogni molteplici e a situazioni differenziate.Ciò indipendenza del fatto che il corso era destinato a docenti ed educatori operanti nei vari ordini e gradi di scuola favore Tanto della generalità degli alunni, quanto, in particolare, dei soggetti con difficoltà fisico-psichico sensoriali e con disturbi della sfera affettivo comportamentale.Il corso prevedeva: - esperienze di gruppi di discussione, di ricerca e di formazione allo scopo di rendere attiva il responsabile la partecipazione degli allievi e di assicurare la disponibilità ai rapporti interpersonali; - seminari interdisciplinari per garantire la correlazione e l'integrazione dei vari insegnanti; - esercitazioni e tirocinio. Il tirocinio guidato verteva, nel primo anno di corso, solo osservazione operata, sono insegnamento individualizzato e sulle dinamiche relazionali nel gruppo di apprendimento e nel gruppo insegnante, e il secondo anno prevalentemente sull'osservazione degli aspetti patologici delle strutture delle dinamiche umane e dell'apprendimento. Tutto questo durò fino al 1984 quando il Ministro della Pubblica Istruzione prendendo atto di come il nostro paese andasse sempre più accentuandosi processo di integrazione dei diversamente abili, istituì una commissione di studio con il compito di elaborare proposte per il riordino dei corsi di specializzazione.
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