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Riassunto libro: First-generation students., Dispense di Sociologia Dei Processi Culturali

Libro di M.Romito: "First-generation students. Essere i primi in famiglia a frequentare l'università". Riassunto realizzato per esame di sociologia. Riassunto del libro completo con le interviste agli attori sociali inserite.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 22/05/2023

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Scarica Riassunto libro: First-generation students. e più Dispense in PDF di Sociologia Dei Processi Culturali solo su Docsity! FIRST GENERATION STUDENTS. ESSERE I PRIMI IN FAMIGLIA A FREQUENTARE L’UNIVERSITÀ. Capitolo 1 (+1.1-1.2-1.3-1.4-1.5-1.6-1.7-1.8-1.9) In questo volume l'oggetto saranno gli studenti e le studentesse che vivono processi di transizione e inserimento nel contesto universitario, definiti qui di prima-generazione. Da ricerche di letteratura sociologia e politica nel campo dell'istruzione, soprattutto negli USA, Canada, Australia, le prime generazioni fanno riferimento all'esito di un processo di costruzione sociale delle istruzioni educative ed è divenuto criterio definitorio fatto dagli stessi studenti per riflettere sulle esperienze. Nel contesto europeo, il concetto di prime generazioni è meno presente nel dibattito pubblico, sebbene negli ultimi anni si stia iniziando a costruire un ambito di intervento per le politiche universitarie, esplorando i temi della massificazione dell'istruzione, dei processi di accesso e di abbandono universitario, utilizzando i costrutti della classe sociale o del background socioeconomico. Emerge, infatti, che non fanno degli studenti di prima generazione uno specifico focus di ricerca, ma vi si riferisce in modi impliciti. Il peso dei livelli di istruzione familiare nella trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze ha da sempre costituito un terreno di indagine per gli studi sulla stratificazione e sulla mobilità sociale. Gran parte della letteratura sulle disuguaglianze sociali condivide l'assunto che i genitori con livelli più alti di istruzione trasmettono ai figli schemi cognitivi, linguaggi, competenze, sistemi di credenze e aspirazioni che favoriscono il rapporto con le istituzioni educative formali. Questi sono genitori maggiormente coinvolti nell'istruzione dei loro figli e svolgono un ruolo cruciale trasmettendo le traiettorie educative, seppur con altissime aspettative, ma potendo rappresentare un punto di riferimento e orientamento nei momenti di difficoltà. I livelli di istruzione dei genitori, i redditi e la posizione sociale familiare sono fortemente correlati ad una pluralità dimensioni, ad esempio quelli basati sullo status sociale. (Questo è il FOCUS GENERALE) L'obiettivo di questo lavoro non è quello di evidenziare i limiti di categorie per lo studio dei processi di differenziazione e disuguaglianza in ambito universitario, ma dimostrare cosa è possibile guadagnare nel rapporto tra processi di accesso e transizione al mondo universitario e livelli di istruzione dei genitori che sono un focus specifico di attenzione. In questo volume, si vuol pensare alle prime-generazioni come una categoria analitica relativamente autonoma che si interseca alla classe sociale, all’ identità razionalizzate, al genere e alla posizione che gli studenti hanno occupato nelle scuole secondarie. La categoria di prima-generazione possiede elementi costitutivi di una complessa matrice composta da differenziazioni e disuguaglianze. Partire da una messa a fuoco delle esperienze di studenti e studentesse ai processi tipici di trasmissione del capitale culturale, in famiglia, può rappresentare un'angolatura dello sguardo capace di mettere in luce processi messi spesso in secondo piano dalla letteratura e dalle politiche sull’università. Definizione di studente di prima-generazione: si fonda su 2 attributi differenti come studente-universitario e quello di prime-generazioni. o Il concetto di studenti-universitari, nella ricerca, si focalizza su coloro che sono iscritti a corsi post- secondari con durata variabile, ma di almeno tre anni. Tuttavia, ricerche negli USA includono una definizione più ampia, includendo anche studenti iscritti a corsi si durata inferiore ai tre anni, i community colleges, oppure, a qualsiasi tipo di formazione terziaria anche di tipo non universitario. o Per quanto riguarda il concetto di prime-generazioni, invece, nella letteratura internazionale la variabile presa in considerazione è il livello di istruzione dei genitori. In alcuni casi, sono di prima generazione gli studenti i cui genitori non hanno un titolo di istruzione universitario di durata almeno triennale, oppure, altri evidenziano che le prime generazioni sono studenti i cui genitori non sono in possesso di alcun certificato di educazione post secondaria. Si costruisce così un sottoinsieme specifico in cui i primi-in-famiglia non hanno genitori laureati, ne hanno parenti stretti o fratelli che abbiano intrapreso un percorso universitario. Questo lavoro ha sottolineato che nonostante le differenze tra i gruppi di studenti di prima generazione, è possibile trovare le differenze più significative confrontando quest’ultimo gruppo di studenti con gli studenti che hanno almeno un genitore con un titolo di studio universitario. Essi, infatti, hanno più probabilità di iscriversi all'università, si dirigono verso le istituzioni più selettive, abbandonano gli studi con meno frequenza. In Italia, uno studio ha messo in luce una variabile cruciale nel condizionare la scelta dei percorsi universitari, e che l'avere genitori laureati aumenta le probabilità di indirizzarsi verso corsi di laurea Capaci di offrire vantaggi futuri in termini retributivi e occupazionali. Come già accennato, le diverse specificità dialogano con altre dimensioni che si riferiscono alle traiettorie scolastiche pregresse, alle collocazioni di classe, razziali e di genere sviluppando un quadro tutt'altro che monolitico. Tuttavia, per iniziare è utile mettere a fuoco le coordinate analitiche generali e i due macro-temi su cui questi studi si sono concentrati. Il concetto di capitale culturale costituisce la principale direttrice analitica che guida gli studi sulle prime generazioni al punto da rappresentarne il principale criterio definitorio. Il successo di questo concetto, formulato da Pierre Bourdieu, insieme a quello di capitale sociale, è legato alla sua capacità di mettere in luce le radici, non solo economiche, delle forme di dominio e della riproduzione delle strutture di privilegio: rappresenta uno strumento attraverso cui tematizzare il potere e le sue modalità di espressione e azione all'interno dell'ordine simbolico (del linguaggio, stile di vita, del gusto, dell'arte, dell'istruzione) e delle sue relazioni con l'ordine economico e sociale. Cos’è il capitale culturale? Il capitale culturale può essere definito come un insieme di risorse di tipo culturale che possono essere trasmesse da una generazione all'altra e attraverso cui si può avere accesso a privilegi di tipo sociale ed economico. Bourdieu sottolinea che può esistere in 3 forme: incorporata, oggettiva e istituzionalizzata. Quella principale è incorporata e presuppone un processo che costa di tempo ed energie, insegnamento e apprendimento. Questa è la specificità del capitale culturale rispetto a quello economico: da un lato, è una risorsa che non può essere trasmessa istantaneamente ma solo attraverso un lavoro di socializzazione familiare; dall'altro, esige un lavoro personale di acquisizione che il soggetto dove fare su sé stesso. Il capitale culturale diventa parte integrante della persona, ovvero un habitus. Oltre alla sua dimensione incorporata, ha anche una dimensione oggettivata presentata nella forma di beni materiali o mediatici (libri, quadri, riviste, strumenti musicali) anch’essi trasmissibili da una generazione all’altra. Si tratta di beni di tipo culturale che possono essere oggetto di appropriazione materiale che presuppone capitale economico o simbolico, e che presuppone, a sua volta, il possesso di quel capitale culturale incorporato necessario per farne uso conforme ai suoi scopi. Si può ereditare un libro, o una collezione di quadri, ma non possedere degli strumenti culturali per appropriarsene dal punto di vista culturale o estetico. Infine, l'ultima forma di capitale culturale è quella istituzionalizzata che consente ai suoi possessori di beneficiare di una reputazione in campo culturale. Attraverso la forma istituzionalizzata, il capitale culturale può essere convertito in capitale economico, poiché determina il valore delle qualificazioni di una persona sul mercato del lavoro e funziona come un capitale simbolico (o reputazionale), attivandosi in diversi campi della vita quotidiana. Può esprimersi ad esempio nel valore riconosciuto a coloro che hanno ottenuto una qualifica rilasciata da un'istituzione educativa prestigiosa, o della fiducia di sé che le persone con un livello di istruzione elevato possono mostrare. Il capitale culturale è un insieme di risorse e competenze di cui gli attori sociali possono appropriarsi nel contesto familiare e attraverso la loro interazione con i sistemi educativi. Nella sua analisi del sistema educativo francese, Bourdieu mostra che gli studenti di classe operaia hanno scarsi risultati scolastici perché il tipo di conoscenze e attitudini che la scuola riconosce come legittime sono quelle che si apprendono nelle famiglie di ceto più elevato attraverso la socializzazione familiare. svantaggio culturale rispetto ai loro colleghi. Non a caso in diversi lavori qualitativi ed etnografici gli studenti di prima generazione mettono in atto delle vere e proprie strategie di gestione dello stigma: nascondono la loro identità di classe, mascherano i loro gusti e stili di vita, si mostrano più sicuri nella loro capacità accademiche di ciò che sentono realmente. È assodato che un limitato capitale economico familiare può rendere il lavoro durante gli studi una dimensione cruciale dell'esperienza di vita delle prime generazioni, che ha impatti sui processi di inserimento relazionale all'università o sulle identità studentesche; ma un altro elemento di differenziazione delle prime generazioni è costituito dal genere. Il genere svolge un ruolo cruciale nelle scelte dopo il diploma, le studentesse tendono a concentrarsi nei percorsi di studio di tipo umanistico o legati alle professioni di cura, come tra gli studenti delle prime generazioni più a rischio di abbandonare un titolo di laurea sono di sesso maschile. Qui vi è un chiaro riferimento alle aspettative associate alle concezioni normative di femminilità e mascolinità. Oltre al genere studi sulle prime generazioni hanno messo in luce l'importanza delle intersezioni con le identità etniche, religiose o razionalizzate. Ciò ha evidenziato i temi dell’ipervisibilità e delle micro- aggressioni verbali e non, in virtù delle loro identità razionalizzate o religiose virgola e degli stereotipi associati. Infine, le esperienze universitarie delle prime generazioni sono legate ai percorsi scolastici seguiti precedentemente, soprattutto in un contesto come l'Italia in cui le scuole secondarie sono rigidamente differenziate. Ad esempio, si è messo in luce che gli studenti di origine popolare, se inseriti all'interno di scuole considerate più elitarie possono avere accesso a un sistema di aspettative, risorse culturali e relazionali che non sono disponibili nell'ambito familiare, ma che sono in grado di orientarli nei processi di accesso e inserimento nel mondo universitario. Utilizzando un lessico bourdieusiano, si può affermare che le scuole possono pre-adattare gli habitus forgiati nel contesto familiare alla transizione universitaria. È stato, poi, sottolineato che tra gli studenti è possibile distinguere un gruppo di studenti “svantaggiati” e uno di studenti “doppiamente svantaggiati” il ragione del tipo di scuola secondaria frequentata prima dell'immatricolazione. Il tipo di scuola secondaria costituisce un fattore di mediazione tra i titoli di studio dei genitori e le probabilità di accesso e successo negli studi universitari, oltre ad avere peso anche sulla formazione delle reti relazionali dei tra gli studenti. Questo definisce un ruolo al capitale culturale acquisito nel corso dell'associazione scolastica per la formazione delle cerchie sociali nel mondo universitario. Daiane Reay, in una ricerca nel Regno unito sulle disuguaglianze e di istituzione terziaria, offre un'analisi comparata dell'esperienza universitaria di studenti di prima generazione in due contesti diversi: un'università prestigiosa, che ha accesso a risorse di potere e distinzione nel campo dell'istruzione, di cui la quota di studenti di classe operaia non supera il 10%; e un'università in cui la quota di studenti di classe operaia è di circa il 50% e a cui viene associato uno status e un prestigio non particolarmente elevati. Reay indaga sul modo in cui i diversi contesti istituzionali favoriscono o ostacolino il processo di acquisizione di un'identità di studente universitario. Tale ricerca, mette in luce che le istituzioni elitarie facilitano l'acquisizione di attitudini e disposizioni che favoriscono un maggiore distacco dall'identità di classe delle loro famiglie d'origine e rendono più probabile il successo accademico. Altri lavori, invece, hanno mostrato che gli studenti di classe operaia devono fronteggiare un significativo lavoro identitario per “sopravvivere” nei percorsi universitari più elitari. Al contrario virgola in contesti meno elitari quest'ultimi si percepiscono con una maggiore congruenza tra le proprie identificazioni sociali precedenti e la cultura, gli orientamenti, le aspettative dell'istruzione in cui si trovano. Questo genera maggior senso di simmetria con i propri colleghi, o una zona di comfort in cui le prime-generazioni possono “sentirsi a casa”. Un intervistato, in Inghilterra, ha affermato che per far fronte alle tensioni identitarie a cui gli studenti di classe operaia sono sottoposti una strategia adottare è quella di “non permettere all'università di attraversarti”. Questo è sicuramente più semplice da attuare nei contesti istituzionali che richiedono un minor grado di coinvolgimento e in cui è possibile esperire una maggiore continuità tra la propria identità di classe e quella dei colleghi. Le università che godono di una maggiore reputazione riescono a valorizzare la dimensione pedagogica nella relazione tra studenti e università, e favorirne l'acquisizione di identità apprendenti. Come visto, la letteratura sulle prime generazioni si è soffermata su specifiche forme di svantaggio, o, su quanto queste siano definiti “gruppo a rischio” perché non possono accedere alle risorse culturali e sociali che facilitano il successo negli studi. L'approccio teorico di Bourdieu propone di muovere una critica agli assetti strutturali che producono le disuguaglianze a livello universitario. Tuttavia, questo “deficit” di capitale rischia di essere tradotto, dal punto di vista delle politiche universitarie, in iniziative che si limitano a fornire forme di sostegno (di tipo economico, orientativo, didattico) agli studenti ritenuti bisognosi, lasciando in secondo piano gli assunti culturali e simbolici che definiscono il funzionamento delle istituzioni universitarie e i meccanismi di selezione, chiusura sociale, che riproducono. Vi è, poi, voi un'altra interessante prospettiva di studio che ha provato a ribaltare il discorso sulle prime generazioni proponendo una lettura strength-based. Essa si propone di mostrare come, attraverso la mobilitazione di forme non-dominanti di capitale culturale e sociale, le prime generazioni inventino modi di vivere l'esperienza di studio mettendo in discussione gli assunti culturali e simbolici attraverso cui operano normalmente le istituzioni universitarie. Tara Yosso, ha avanzato una prospettiva internazionale sulle disuguaglianze educative, per cui esse producono un ristretto numero di risorse personali su cui gli studenti possono fare affidamento, identificando così sei forme di capitale. o Capitale aspirazionale: ovvero la capacità di mantenere i sogni e le speranze per un futuro migliore anche a fronte di oggettive limitazioni e barriere per la realizzazione. Si associa a forme di socializzazione familiare in cui si coltiva una “cultura della possibilità” attraverso la creazione di storie e immaginari in cui le nuove generazioni migliorano le proprie condizioni di vita attraverso gli studi; o Capitale linguistico: include la capacità di destreggiarsi con le forme dominanti della lingua scolastica, ma anche le competenze intellettuali e sociali ottenute attraverso esperienze di comunicazione. Ad esempio, utilizzando registri linguistici differenti a seconda dei contesti, alle forme artistiche, musicali, narrative proprie delle comunità marginalizzate e alle competenze linguistiche degli studenti bilingue; o Capitale familiare: si riferisce a forma di conoscenza coltivata all'interno di contesti familiari, parentali o di vicinato. o Capitale sociale: costituita da forme di mutualismo che possono sostenere gli individui nei loro percorsi di istruzione e che possono rafforzare le comunità di provenienza attraverso un ritorno di informazioni, conoscenze e contatti sociali da parte dei soggetti che hanno intrapreso traiettorie di mobilità sociale; o Capitale navigazionale: è quell'insieme di competenze e capacità che le comunità marginalizzate hanno acquisito. I gruppi sociali razzializzati o dominati dal punto di vista culturale e simbolico sviluppano pratiche e strategie di sopravvivenza per far fronte ai processi di chiusura sociale che vengono perpetuati negli spazi istituzionali e nella vita quotidiana, utile per riconoscere l'agency di questi soggetti nei processi di attraversamento di contesti istituzionali ostili, come può essere quello universitario; o Capitale di resistenza: include le capacità, apprese nei contesti familiari e comunitari, di mettere in atto forme e comportamenti di opposizione alle diverse forme di oppressione subite e ai meccanismi che producono disuguaglianze e discriminazioni. All'interno dei contesti familiari si possono riscontrare pratiche genitoriali rivolta all'acquisizione di attitudini capaci di sfidare lo status quo e di chiedere riconoscimento a fronte delle oppressioni di genere virgola di razza e di classe. Questa autrice ha messo in luce chi è le forme di capitale individuate sono mobilitate dalle prime generazioni spesso anche al di fuori del contesto statunitense e anche quando le prime generazioni non sono parte di minoranze etniche o razziali; esse facilitano gli studiosi nel dar conto dell'agenzia delle prime generazioni e dei modi attraverso cui fronteggiano le strutture istituzionali inventando modalità inconsueto di affrontare gli studi universitari. Capitolo 2 (+2.1-2.2-2-3-2.4-2.5) I tassi di abbandono nel corso del primo anno, i fallimenti, le frequenti necessità di orientamento, testimoniano quanto la transizione all'università implichi difficoltose necessità di adattamento e aggiustamento. Adeguarsi alle esigenze poste dal nuovo livello di istruzione significa prendere nuovi codici, nuove conoscenze, nuove modalità di rapporto con il sapere. Ma vuol dire anche riconfigurare l'organizzazione del tempo quotidiano, i metodi di studio, le relazioni sociali e i modi di interagire con colleghi, docenti, la segreteria. Entrare nella vita universitaria vuol dire apprendere il mestiere di studente universitario, e si apprende attraverso il dialogo con la prospettiva etnometodologica. Se il concetto bourdieusiano di habitus consente di dar conto delle condizioni strutturali che pesano sul passaggio all'università, l'etnometodologia Ehi mette a disposizione un nucleo di concetti per esplorare come gli attori sociali sono impegnati e interpretano le loro pratiche quotidiane nell'interagire con il mondo universitario. L'etnometodologia invita a soffermarsi su attività ordinarie che compiamo in mezzo agli altri, con gli altri per gli altri e che dimostrano l'appartenenza alla società. Essa ci offre un vocabolario per dar conto del modo in cui gli studenti imparano a padroneggiare un contesto istituzionale come quello universitario e di come sviluppano competenze culturali, linguistiche e interazionali. L’etnometodologo A. Coulon individua tre tempi distinguibili che definiscono l'entrata nella vita universitaria: 1. Il tempo dell'estraneità, in cui gli studenti entrano in un universo sconosciuto le cui regole sono diverse dalle abituali. Lo studente perde le sue zone di comfort, i rifugi in cui aveva imparato a trovare protezione; l'università Apri le porte un mondo estraneo che può intimorire, traumatizzare. 2. Il tempo dell'apprendistato, è un periodo fatto di incertezze, dubbi, sfide, è un tempo in cui ci si sente “tra due mondi”: si è separati dal passato familiare, ma non ci si sente ancora parte del nuovo contesto. 3. Il tempo dell’ affiliazione, è quello in cui si manifesta una padronanza del contesto e capacità di formulare delle trasgressioni alle regole che lo governano. È la fase in cui lo studente inizia il relazionarsi con l'università avendo appreso le regole del gioco, in cui hai imparato a identificare gli spazi di protezione e rifugio. In questa fase lo studente si sente padrone della propria carriera universitaria, in cui sa come gestire il proprio lavoro e le proprie relazioni per raggiungere gli obiettivi che si pone. Lo schema analitico proposto da Coulon e ripreso da ricerche che approfondiscono il tema dell'abbandono universitario, ad attenzionare le scelte, cosa le precede, ai modi in cui gli studenti incontrano il mondo universitario. L'incontro con il mondo universitario si sostanzia di transizioni al passaggio a una vita più autonoma virgola che può comportare un cambio di residenza è una rottura con le relazioni precedenti; la sperimentazione di un nuovo modello pedagogico, fino a una maggiore frammentatarietà delle relazioni con i compagni di corso. Tuttavia, una sensibilità etnometodologica consente di individuare cambiamenti con cui gli studenti devono fare i conti e che richiedono un significativo lavoro di apprendimento per essere padroneggiati, come il rapporto con il tempo, con lo spazio, con le regole e la conoscenza. Il campo è un costrutto centrale e nel passaggio epistemologico Bourdieu afferma una visione relazionale della realtà sociale. Lo sguardo relazionale implica che l'accesso a un determinato oggetto di conoscenza è possibile solo a partire dalla messa a fuoco del sistema di relazioni in cui è inserito, e l'autore sottolinea che il significato di un fatto individuale, di un'azione, di una scelta dipende dalla sua posizione nel campo in cui prende corpo. Da qui, la relazione indissolubile tra la nozione di campo e habitus inteso come un insieme di disposizioni proprietà che si riferiscono agli attori sociali. Da questo punto di vista, l'intera realtà sociale è definibile nei termini uno spazio composto da campi, ciascuno ha regolato da principi regolatori, rapporti di forza, posta in gioco e posizioni determinate dal valore che in quel campo assumono le forme di capitale di cui dispongono gli attori. Bourdieu, poi, sottolinea anche che il campo che si impone con la sua necessità agli agenti che vi operano con mezzi e fini differenziati a seconda della loro posizione nella struttura del campo di forze, contribuisce a conservarlo e trasformarne la struttura. Da un lato, dunque, l'esistenza di un campo è subordinata a un accordo tra i partecipanti circa i suoi presupposti, le poste in gioco, il sistema di regole e codici simbolici che lo rendono denso di significato. Questo è ciò che Bourdieu definisce la doxa e che rende comprensibili le prese di posizione dei partecipanti seppur nelle loro differenze. Dall'altro lato, ogni campo è caratterizzato da tensioni e conflitti tra chi vi occupa posizioni differenti e che, in modi non necessariamente espliciti, sono in competizione per il dominio simbolico del campo, ovvero per imporre una determinata visione sui presupposti fondamentali. Da ciò, ogni campo è caratterizzato da posizioni dominanti e dominate a seconda della capacità di definire le regole del gioco, i criteri di apprezzamento e giudizio ritenuti legittimi, i codici simbolici valorizzati e riconosciuti. La posizione di un agente all'interno del campo dipende dalle risorse che è in grado di mobilitare e che possono essere il frutto dei modi in cui queste sono distribuite dalle logiche specifiche del campo o dei processi di conversione di capitali acquisiti in campi differenti. La doxa, I modi attraverso cui si riproduce, i modi attraverso cui gli attori sociali vi prendono parte, costituisce l'interesse privilegiato dell'etnometodologia. Questo approccio ci offre attrezzi metodologici per dare conto di come sia possibile l'accordo sui significati che danno senso alle pratiche sociali; ci consente di mostrare in che modo se ne diventa partecipanti, o membri, legittimi. Il concetto bourdinesiano fornisce meno attrezzi per esplorare a livello micro sociale questi aspetti, ma ci offre la possibilità di storicizzare l'accordo sui significati che si verificano all'interno di un mondo sociale, di mostrarne la natura intrinsecamente conflittuale e di sottolineare che i modi in cui gli attori sociali si muovono in un campo dipendono dalle risorse di cui sono in possesso e che possono mobilitare; ci consente di attivare un delle esperienze soggettive illuminando le connessioni tra le dinamiche di un campo specifico e gli altri campi in cui sono inseriti o che hanno attraversato. Se l’habitus è Quel concetto che definisce sistemi di disposizione, gli schemi di percezione e apprezzamento che permettono di agire nel mondo sociale, Bourdieu nei sottolinea la relazione di complicità ontologica con il campo, strutturandolo come il prodotto dell'incorporazione della necessità immanente di quel campo, o più. Quando l’habitus entra in relazione con un mondo sociale di cui è il prodotto è come un pesce nell'acqua: non sente il peso dell'acqua e il mondo gli appare del tutto naturale. Fatta evidentemente di un caso limite, le pratiche e le prese di posizione di un attore sociale sono il prodotto di una relazione dialettica virgola in genere, tra un habitus in un certo senso ereditato è la situazione specifica del campo in cui l'attore si trova ad agire e che può essere anche molto diversa da quella in cui l'habitus è stato prodotto. I campi che gli individui attraversano fin dalle prime fasi della socializzazione sono colti in una molteplicità di schemi di percezione e azione (habitus) che si attivano quando entrano a contatto con i campi di cui riconoscono le logiche. Tuttavia, nei casi in cui l'attore vive esperienze di socializzazione fortemente contraddittorie emerge la percezione di un’identità divisa, di una conversazione interna tra differenti segmenti del sé. È il caso degli studenti di prima generazione che entrano in contatto con un mondo sociale i cui codici simbolici possono essere in contraddizione con quelli che caratterizzano l'universo familiare, contraddizione portatrice di conflitti interiori. Da questo punto di vista, il processo di transizione all'università risulta più complesso di quello descritto dal modello di V. Tinto. Da un lato, Bourdieu sottolinea come la doxa caratterizza i processi attraverso cui si diventa membri legittimi del campo universitario legandola ai principi di visione, apprezzamento e giudizio specifici del gruppo sociale di coloro che hanno storicamente dominato il campo universitario. Dall'altro, ci consente di mostrare che gli esiti della transizione universitaria non dipendono solo dal livello di impegno iniziale degli studenti, dalle conoscenze pregresse, dalle risorse a cui possono accedere e dalle possibilità di integrazione sociale, ma anche da elementi più profondi che riguardano la sfera emotiva, identitaria, affettiva. Il genere, le etnicità, la collocazione geografica costituiscono, nello schema di Bourdieu, dei principi “secondari” di divisione sociale, che acquisiscono una forma e valore specifico nei diversi campi sociali a seconda del volume e della composizione del capitale economico e culturale posseduto. La prospettiva dell'intersezione è ciò che ci consente di mettere in luce come la razza, l'eticità, il genere, la classe sociale, lo status migratorio, e altre dimensioni di identitarie, si combinano tra loro in forme molteplici dando forma a esperienze soggettive differenziate. Il concetto di intersezionalità risale al lavoro di B. Crenshaw e alle sue analisi dei motivi per cui l'esperienza di discriminazione subite dalle donne nere negli USA non sono affrontate dal sistema giuridico di quel paese. Egli rileva che la discriminazione può scorrere in molte direzioni: se a un incrocio si verifica un incidente, può essere stato provocato da automobili che provengono da molte direzioni diverse e da tutte queste direzioni contemporaneamente; similmente, se una donna nera viene danneggiata perché si trova nel mezzo del crocevia, le sue ferite sono il risultato delle discriminazioni sessuali e razziali. Le divisioni sociali devono essere intese come irriducibili e dialogiche, da un lato non possono essere spiegate attraverso un processo di riduzione ad altre categorie, dall'altro ciascuna linea di divisione sociale dialoga con le altre, e a volte può aprire spazi di cambiamento o resistenza. In tal senso, l'intersezione non è mai “sommativa”, ma “moltiplicativa”. Non si tratta solo di sommare una dimensione all'altra, ma di osservare in che modo si combinano. L'esperienza di vita virgola di lavoro o di studio non si configura a partire dall'essere donna e nera, uomo e musulmano, ma dalla specificità attraverso cui si esprime e viene percepita la femminilità nera e la mascolinità islamica. La letteratura ha sottolineato che la segregazione di genere è l'esito di fattori legati alle ideologie di genere e modelli dominanti, oltre che ai processi di canalizzazione di Istituzioni scolastiche. La prospettiva dell'intersezione guarda alle disuguaglianze di genere senza perdere di vista altre altre forme di discriminazione e oppressione rilevanti per l'istruzione universitaria. Si pensi al tema del gender gap nell'accesso alle lauree STEM (scienze tecnologiche ingegnere e matematiche) che ha mostrato nel marketing una scelta per le rappresentazioni della figura a uomini bianchi. Sono stati dimostrati i sottili meccanismi di aggressione simbolica attraverso cui si mettono in discussione le abilità delle donne, l'isolamento sociale che producono questi processi. Le studentesse interpellate in questo studio non sono discriminate in quanto donne, ma in quanto donne nere, donne latine, donne musulmane, ovvero in virtù del modo in cui questa identità intersezionali sono rappresentate. Tale prospettiva dell'intersezione è stata ripresa anche per esplorare le esperienze degli studenti di prima generazione, comprendendo i processi di trasformazione identitaria legati alla transizione universitaria degli studenti di sesso maschile, neri e bianchi, di prima generazione. Attraverso una ricerca qualitativa si è dimostrato che gli studenti bianchi, una volta giunti all'università, mettevano in luce strategie identitarie di mimetizzazione attraverso cui e intensivi socializzazione in comune con altri studenti di ceto più elevato facilitando i processi di transizione. Al contrario, gli studenti neri, anche quando provenivano da contesti familiari più affluenti e da scuole di migliore qualità, riscontravano una maggiore difficoltà di socializzazione, vivendo l'esperienza in modo più isolato. Questo mostra che l'ostilità razziale all'interno di contesti essenzialmente bianchi, può prendere forme anche molto sottili, in cui lo studente nero non viene marginalizzato solo perché è nero, ma anche perché non rispondono alle aspettative dei colleghi sulla mascolinità giovanile nera a causa di una stereotipia della mascolinità afroamericana contrassegnata dalla musica rap, dallo sport, dalla marijuana. Dunque, la “bianchezza” è una risorsa per mimetizzarsi e inserirsi nella vita universitaria con più facilità, ma al costo dell'invisibilità di studenti di classe operaia. La bianchezza, nel contesto universitario, è associata a un posizionamento classe media e gli studenti provenienti da contesti meno privilegiati tendono a isolarsi o a intrattenere legami deboli per paura di non rispondere alle aspettative socialmente dominanti. Questa invisibilità limita le possibilità di attivare relazioni di riconoscimento reciproco tra studenti che si trovano in una medesima condizione di difficoltà e la possibilità di sviluppare un'identità di classe a cui attingere come supporto emotivo. Così, cambiano i significati dell'invisibilità e i meccanismi attraverso cui funziona. Capitolo 3 (+3.1-3.2-3.3 e le storie) In questo capitolo, sono state realizzate interviste nei mesi successivi all'immatricolazione, cercando di esplorare il percorso che ha consentito agli studenti di prima generazione di iscriversi a un corso universitario lungo i sentieri complessi e tortuosi dei processi decisionali. Si evidenzierà l'intreccio tra classe sociale, genere, background migratorio e tipo di scuola secondaria frequentata, al fine di mettere ordine nel materiale empirico raccolto e di far conto con i fattori di mobilità: di come gli studenti che provengono da contesti sociali sfavoriti in breve una transizione educativa capace di interrompere i meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze sociali tra le generazioni. Le storie vogliono mettere luce come l'università possa emergere in modo inaspettato come uno spazio attraverso cui costruire un'immagine alternativa del sé e del proprio destino sociale. L'università non assume un valore strumentale virgola non è solo un mezzo per accedere a posizioni più qualificate auspicando a mobilità sociale. La scelta di immatricolarsi è una “seconda possibilità” per costruirsi come persone differenti da quelle che avrebbero potuto diventare seguendo l'inerzia della propria traiettoria sociale. Gli intervistati pochi mesi dopo l'immatricolazione raccontano dell'università come un'esperienza di conversione. È uno spazio in cui dare continuità virgola di nuovi modi di posizionarsi e agire nella realtà sociale, di partecipare alle dinamiche politiche, economiche e lavorative, ma è soprattutto un luogo in cui sperimentare un nuovo rapporto con se stessi e con le proprie scelte. Un rapporto definito a partire dalla coppia oppositiva passivo/attivo. L'università viene raccontata come l'occasione per instaurare un rapporto riflessivo con se stessi, per provare a organizzare il proprio futuro mediando preferenze, aspirazioni e le risorse disponibili nel contesto in cui si muovono (attività); l'universo familiare e il percorso scolastico intrapreso fino all'ora sono descritti nei termini del passività, come l'esito di processi in qualche modo subiti. INTERVISTE RIASSUNTE: -I genitori di Monica hanno la licenza media, sua madre lavora in lavanderia, suo padre e imbianchino, e ha due sorelle in quinta elementare. Monica è iscritta al terzo anno di un istituto professionale ed è il primo membro familiare ha iscriversi all'università (nessun altro parente prima di lei). Racconta di essere arrivata in università grazie a un professore che l'ha fatta appassionare di governo e politica, capendo di dover studiare per qualcosa che le piacesse, non per trovare subito lavoro. La scelta dell'istituto tecnico superiore è avvenuta a 14 anni e “a 14 anni non sai ancora cosa ti piace fare”, liceo fosse per lei, ma alla fine un istituto tecnico era una via di mezzo. Racconta che avrebbe preferito che i suoi genitori la indirizzassero. In quarta superiore ha iniziato a lavorare come cameriera e altro, e ha capito che non avrebbe voluto questo per tutta la vita, così ha pensato che una laurea fosse qualcosa a cui puntare. Si augurava un lavoro “dove si possa pensare di più, dove tu possa metterci del tuo pensiero, una tua strategia, anziché andare lì e fare sempre le solite cose -zitto, lavora e sorridi”. Riflette sul fatto che i suoi genitori non hanno mai studiato e vivono in un modo che non condivide. Pensa che studiare porti ad avere dei pensieri (attività vs passività), induca a consapevolezze e se non studi non sei consapevole neanche di quello che ti sta intorno. La sua concezione di vita è diversa, non vuole solo avere una famiglia e lavorare come un mulo, ma vuole conoscenza e terminare la sua vita affermando “ho imparato un sacco di cose, ho concezione giusta del mondo non posto una concezione superflua di come magari fanno credere in tv”. E poi dice che si dovrebbe fare un lavoro che piaccia, che faccia sentire soddisfatti, che interessi, arrivare a casa e dire che la giornata la casi, l'accesso all'università viene descritto come una scelta <forzata> compiuto in mancanza di alternative. Questi non riescono a utilizzare il capitale relazionale e culturale a disposizione dal contesto liceale, utilizzando in modo superficiale le attività di orientamento, seguendo un desiderio di abbandonare gli studi. -Dario e Bianca, stesso liceo e si sono iscritti insieme all’università. Dario ad economia, Bianca in Diritto. I genitori di Dario hanno la terza media, sua madre del Sud Italia ha interrotto gli studi per migrare con la sua famiglia. Hanno un'attività imprenditoriale di famiglia: una palestra di quartiere, che assicura un discreto benessere economico. A scuola ottiene buoni voti, e ha maturato l'idea che in futuro avrebbe frequentato l'università. Racconta che è sempre stato appassionato da quello che gli interessava, che è sempre stato bravo in matematica, ma quando alle superiori ha iniziato a prevalere l'informatica, l'elettronica, algoritmi ha capito che forse non faceva per lui, seppur non ha mai pensato di “non farcela”. Inoltre, afferma che i suoi genitori lo hanno sempre incoraggiato nello studio. Bianca: i genitori hanno la 3 media e lavorano in metalmeccanica e suo padre ha una qualifica. Bianca ha instaurato un rapporto attivo e sicuro con il sapere poiché a scuola ha sempre ottenuto buoni risultati. A differenza di Dario, però, l’università per Bianca entra in traiettoria in modo graduale. Racconta di essersi avvicinata all'università tramite il liceo che ha frequentato, l'orientamento dato da studenti che andavano in classe a far visita ai loro professori. Sostiene che i professori non sono molto indirizzati, che la scuola aveva organizzato un open day, ma le esposizioni erano in generale sulle differenze tra i corsi, rendendosi disponibili ad essere ricontattati dagli stessi. Sottolinea che per gli studenti delle superiori le domande sono volte al “come si fa?” anche solo iscriversi, le cose proprio pratiche. <Questi hanno fatto da ponte tra me e l'università.> Dario e Bianca affrontano insieme il passaggio all'università, scambiandosi opzioni, informazioni per decodificare le regole implicite delle procedure di ingresso, di ciò che voglia essere dire “universitari”. Dario è costretto a operare progressivi aggiustamenti nell'idea che aveva di sé, poiché non è più tra “i migliori della classe”. Al contrario, per gli studenti che hanno ottenuto un diploma tecnico questo tipo di esperienza si associa a ripensamenti sulle aspettative future. Per Dario, che ha frequentato un liceo, l'università è un fatto scontato, e le difficoltà non possono scalfire un'aspettativa universitaria. Il percorso liceale può essere vissuto con fatica, può ridurre la motivazione nei confronti dello studio, può contribuire a definire una rappresentazione del sé contrassegnata dal deficit o dall'incapacità di proseguire gli studi a un livello superiore. Senza dimenticare che l'università, più che un'aspirazione verso cui tendere, può anche essere percepita come un destino da cui ci si vorrebbe sottrarre, ma che, alla fine, vince sulle motivazioni e i desideri individuali. -Christine introduce due linee di differenziazione: la linea del colore e quella del genere. È nata in Congo, a seguito della migrazione in Italia, il nucleo familiare ha subito un abbassamento di status. La morte del padre ha innescato un impoverimento economico e sua madre si è inserita nel lavoro come assistente familiare, caratterizzato da precarietà e salari bassi. Il racconto di Christine metti in luce che il suo rapporto con l'educazione assume significato per la sua identità razzializzata. Il vissuto scolastico è vissuto con discriminazione o mancati riconoscimenti, contrassegnato dalla continua necessità di < dimostrare> il suo valore. Così l'istruzione, per Christine e la sua famiglia, rappresenta non solo uno spazio in cui sviluppare i propri interessi, conoscere, apprendere, ma anche uno strumento attraverso cui acquisire risorse per aggirare le disuguaglianze strutturali. Per quanto concerne il genere, l'ingresso all'università significa uscire da un lavoro dequalificato e femminilizzato. Dunque, Christine vede nell'università uno strumento di realizzazione personale capace di <alleggerire il peso> del genere della razza nella sua traiettoria di vita futura, al prezzo di autoescludersi dei percorsi nei quali ritiene che avrebbe incontrato maggiori ostacoli in quanto donna nera. Racconta di essere sempre stata indirizzata dai suoi genitori verso l'università. Sua mamma in Italia non può fare il lavoro che desidera, per cui ha studiato, perché i suoi titoli non sono riconosciuti. Lei vuole ambire ad altro. I professori le hanno sempre consigliato scuole professionali che lei non ha mai voluto fare, anche perché il suo rendimento scolastico era <normale>. Il liceo classico, per Christine, era una sfida, perché le dicevano che non ce l'avrebbe fatta, e, infatti, alla fine ha scelto il liceo linguistico. Racconta che è stato un percorso lineare: <i professori alla fine hanno capito che era una persona abbastanza seria, perché i pregiudizi dicono che una ragazza straniera non può rendere come un italiano>. Lei si sente italiana e “alla fine le persone si ricredono, ma è posta sempre nelle condizioni di dover comunque dimostrare che vale”. Questo le pesa perché ogni tanto vorrebbe essere ‘normale’ come tutti. Secondo Christine, Ehi questo è legato al colore della sua pelle. Sostiene che Ehi se avesse la pelle diversa e fosse anche straniera, ma non nera, non se ne accorgerebbero al primo impatto. Così, invece, se devi discriminare lo fai subito e a lei capita di essere discriminata nella vita quotidiana. Dunque, lo studio è l'unico mezzo per poter ambire a un lavoro che desidera, per star bene. Abbandona l'idea dell'università di giurisprudenza perché nutriva dei dubbi su quanto un avvocato nero avrebbe lavorato, e ha scelto l'università di Scienze Internazionale perché può avere comunque delle opportunità, riuscendo a vivere in modo meno negativo le sue origini. -Mario arriva all’università dopo un diploma professionale in un istituto alberghiero. Tuttavia, conosce la transizione universitaria e il suo percorso è assimilabile a quello delle prime-generazioni che provengono da un contesto liceale. Mario intende l’università come un orizzonte verso cui ha sempre nutrito aspettative concrete, anche quando ci sono state <turbolenze scolastiche>, difficoltà finanziarie. Racconta di aver avuto un percorso turbolento a partire dalle medie, a causa di difficoltà familiari e le sue difficoltà a relazionarsi ha iniziato a frequentare persone poco raccomandabili. Ha, comunque, sempre voluto fare l’università, seppur non aveva idea di ‘cosa’. Così si è iscritto ad un istituto professionale. Aveva quest’idea chiara perché sua madre è del Sud e, dai racconti sui motivi che li hanno spinti a trasferissi al Nord, nasce in lui un senso di giustizia. Suo padre è poliziotto e questo lo ha, poi, appassionato a certi temi, alla politica, la giustizia. Ha frequentato, infatti, associazioni giovanili, tipo i Giovani Comunisti, e lì ha conosciuto ragazzi che frequentavano l’università. Gli piaceva la loro conoscenza. Non che volesse sentirsi superiore ai suoi colleghi dell’alberghiero, ma gli interessavano ‘altre cose’. Sceglie scienze internazionali perché gli dà la possibilità di lavorare nell’ambito dei diritti umani, al fine di lavorare per l’ONU o il mondo delle organizzazioni internazionali. Infine, ricorda che le persone che più gli hanno dato supporto sono stati i professori, i suoi genitori, però loro non possiedono una laurea e <<un conto è dire ‘si puoi farlo perché io credo in te’, un altro è dire ‘si, puoi farlo perché io l’ho fatto e ritengo che tu abbia le capacità per farlo’. Nell’ambito dell’università mi sono sempre fidato di chi l’università l’aveva frequentata, perché l’avevano provata sulla loro pelle.>>. I ragionamenti fatti con i suoi genitori sono sempre stati relativi, basati sullo sprono ideale, ma non sono stati discorsi pratici. Dall'analisi si nota che è possibile distinguere due diverse sensibilità teoriche al tema delle scelte e dei processi decisionali. Da un lato, teorie conferiscono ruolo determinante al passato degli attori sociali, alle loro esperienze in ambito familiare, come la teoria dell’habitus o del capitale culturale che concepisce le scelte educative come l’espressione di un passato incorporato, come l’esito dei condizionamenti sociali che hanno definito gli orizzonti d’azione. Dall'altro, vi sono modelli teorici che si focalizzano sui momenti in cui si verifica un'azione o una scelta, descrivendo e analizzando il contesto, i vincoli e opportunità dei processi decisionali. Se il primo approccio mette in secondo piano il contesto in cui gli attori fanno le proprie scelte, il secondo dimentica che ogni individuo ha un passato e che questo struttura il modo di percepire, classificare, re-agire nel mondo sociale. Le storie descritte consentono un'immersione nella complessità, contraddittorietà, eterogeneità di processi decisionali concreti. Le conversazioni mettono in luce le ambivalenze e le incertezze, i limiti di ogni approccio teorico che non mette a fuoco la dialettica tra passato e presente dell’attore sociale, e che non apra lo sguardo ai molteplici passati e presenti vissuti. Ciò che emerge è la pluralità interna degli attori sociali e la pluralità delle logiche che sottostanno alle scelte compiute. Dalle interviste, non si sono inseriti soggetti in categorie, ma si è cercato di individuare le condizioni di possibilità delle loro narrazioni, dei loro diversi punti di vista sull’ ingresso all'università. Esse hanno rivelato che le tematiche messe in luce dalla letteratura internazionale sulle prime-generazioni fornivano utili ipotesi per contestualizzare i racconti degli intervistati, tuttavia, le interviste rilevano che esse non coglievano criteri principali attraverso cui gli intervistati si posizionavano in relazione al mondo universitario. Infatti, molti studenti descrivevano la decisione di iscriversi a un universitario come l'esito non problematico di una traiettoria in qualche modo già prevista: una scelta automatica, una non-decisione (come descritta dai colleghi di ceto più elevato). Gran parte degli intervistati sono consapevoli che l'università è una risorsa fondamentale per evitare di essere esclusi dai processi di riconoscimento sociale, economico e lavorativo che caratterizzano la società della conoscenza. Molti studenti di prima generazione trovano nelle difficili condizioni di vita e lavorative dei propri genitori una spinta per aspirare ad un diverso posizionamento sociale attraverso un titolo di studio. In alcuni casi, le esperienze dirette di contatto con il mondo dequalificato attivano un processo di autoriflessione che induce a interrompere traiettorie familiari e scolastiche precedenti. Gli orizzonti di possibilità e azione entro cui si situano i processi decisionali si definiscono attraverso due contesti sociali opposti. Il primo è percepito come in continuità con il mondo familiare: lavori esecutivi, sgradevoli, ripetitivi, in cui non è necessario “attivare un pensiero”, un lavoro “passivo” rispetto alle dinamiche strutturali e politiche che coinvolgono la società. Il secondo è quello che sorge a seguito di incontri più o meno casuali, di esperienze lavorative, di relazioni istaurate con docenti o altri, in cui gli individui non sono intesi come ‘passivi’ dei processi sociali e lavorativi, ma definiscono una traiettoria di vita attraverso la cultura, la voglia di apprendere, approfondire, conoscere. L’università come contesto per dare continuità, processo di conversione identitaria. Per Monica, <non arrendersi> vuol dire lottare contro l’inerzia della sua traiettoria sociale, costruirsi una biografia differente; per Adil c’è nell’università una seconda possibilità per contrastare un’occupazione a cui sembra destinato. Per alcuni genitori l’istruzione dei figli è ‘un sogno che si avvera’, un’opportunità loro mancata, ha un valore in sé. La famiglia descritta come luogo di solidarietà e incoraggiamento; altri racconti rivelano che i genitori possono rivestire processi ‘al rovescio’, come nel caso di Stefano che descrive il padre come ‘bipolare’, poiché sebbene lui sia incoraggiato all’istruzione universitaria per migliorare la propria condizione sociale, fa esperienza del desiderio paterno di preservare la continuità della tradizione e identità familiare: < ci sono volte in cui sembra spingermi a continuare gli studi, altre in cui me lo sconsiglia, a seconda del suo umore>. Inoltre, dinanzi alla transizione universitaria, la famiglia è anche luogo di mancanze, circa il fornire informazioni utili e rassicurazioni sull’esperienza. Non sono in grado di selezionare e decodificare informazioni sui diversi corsi di laurea, possono incoraggiare, sostenere i figli emotivamente, rappresentare una fonte di ‘stima’, ma non possiedono le ‘giuste’ forme di capitale culturale attraverso cui aiutarli nelle scelte. Mario: <nulla togliere loro, ma un conto è dire: sì puoi farlo perché io credo in te. Un altro è dire: sì puoi farlo perché io l’ho fatto e ritengo che tu abbia le capacità per farlo>. Quanto detto finora permette di definire le prime dimensioni attraverso cui contestualizzare le storie raccolte e individuare processi, meccanismi, elementi. Tuttavia, le prime generazioni sono una categoria tutt’altro che omogenea. La scuola rappresenta il campo principale in cui si organizzano e differenziano, aprono possibilità di incontri e relazioni con i pari e gli insegnanti che condizionano i modi in cui gli studenti arrivano a decidere di iscriversi all’università. Tuttavia, le interviste mettono in luce l’esistenza di marcate differenze di cultura orientativa che oppongono licei e istituti tecnici/professionali. Tale struttura, infatti, rappresenta un dispositivo di selezione (in ingresso) e di canalizzazione (in uscita) degli studenti che riproducono sistemi di relazione, aspettative, riferimenti tipici di ogni indirizzo. I percorsi liceali come un ponte per l'accesso all'università, in cui si dirigono gli studenti che hanno interiorizzato l'università nell'orizzonte del possibile; i percorsi tecnici ho professionali accolgono perlopiù studenti che dagli orientamenti familiari o scolastici immaginano traiettorie educative più brevi. Inoltre, è marginale la pratica di orientamento scolastico probabilmente legata alla temporalità in cui avviene il processo di scelta della scuola. Soprattutto per gli indirizzi di tipo tecnico e professionale, le attività di orientamento vengono soddisfacente. Io ho lavorato mesi e poi ho potuto pagarmi la rata dell'università>. Infine, parla di un aspetto che la rende un po’ speciale dentro il contesto universitario e cioè il fatto di essere nera: “ad esempio una volta a lezione sono andata con i miei capelli naturali e delle ragazze si sono messe a ridere. Ci sono tanti eventi di razzismo che capitano e io quel giorno mi sono sentita male, sono voluta tornare a casa. Poi, il giorno dopo sono andata lì e sono tornata a lezione, hanno riso di nuovo, però se anche io inizierò a pensare che sono buffa non riuscirò ad arrivare dove voglio arrivare”. <È una piccola cosa, sono tante piccole cose che capitano, ma se decido di eliminarle direttamente non diventeranno importanti, perché se le rendo importanti mi tolgono tutto quello che ho costruito>. In questi successivi racconti, vi sono due diversi modi di far proprio il ruolo di studente universitario. Una modalità definibile come “tradizionale” che prevede una presenza fisica nel contesto universitario, il desiderio di farsene contaminare, di esplorarlo con curiosità, di estendere la propria rete di amicizie; una modalità “non tradizionale”, in cui l'università è vista come un'occasione per acquisire credenziali educative e conoscenze attraverso lo studio autonomo, in cui gli obiettivi di apprendimento convivono con una scarsa integrazione sociale. Le diverse modalità di inserimento nella vita universitaria si definiscono tra gli universi simbolici e materiali in cui gli studenti sono immersi nei contesti familiari e sociali di provenienza e le caratteristiche del campo universitario. Gli studenti intervistati affronta la loro ingresso nella vita universitaria come l'esito di un rapporto tra struttura regole prevalenti del mondo accademico e le esperienze, lei identificazioni e i condizionamenti sociali. -Monica, al contrario di Stefano, percepisce l'università come un modo attraverso cui provare ad avere una presa sul futuro. Per Monica, l'adultità e acquisire una disposizione nei confronti della propria traiettoria di vita (< una mentalità>) attraverso cui progettare un avvenire. Infatti, l'università costituisce un processo attraverso cui approfondire e dare continuità a una trasformazione del sé, confrontando con fini simbolici che definiscono il mondo sociale in cui è immersa come un Altro da cui prendere le distanze. È l'università, per Monica, il mondo sociale in cui si riconosce e da cui vuole essere riconosciuta. Racconta la sua entrata nel mondo universitario non come spaesamento, ma la percezione di come un ritorno a casa, una casa in cui non ha mai vissuto e in cui si muove con curiosità. Così, manifesta il suo bisogno di trovare punti di riferimento e il desiderio di immergersi nella vita universitaria partecipando a incontri, convegni, associazioni. Gli impegni lavorativi e i legami ancora attivi con i vecchi amici limitano la sua partecipazione universitaria alle sole attività didattiche e allo studio in biblioteca. Tuttavia, ciò le consente un aggancio emotivo e relazionale con il mondo che sta attraversando. Racconta che l'inizio all'università le ha dato una bella sensazione come di ambiente pulito, perché anche se non hai voglia di studiare venendo solo all'università la trovi. < Qui, ti senti più adulto se ti vuoi alzare durante la lezione, se andare o non a lezione. Anche il modo di approcciarsi è più formale e distaccato punto è bello perché ti considerano persone alla pari, rispetto alle superiori in cui altri ti dicevano cosa fare>. Sostiene che la parte difficile è se non hai nessuno che ti dice cosa fare, perché devi essere tu a scegliere la cosa giusta, devi essere tu responsabile. <Se penso ai miei amici delle superiori, loro hanno un'altra mentalità vivono alla giornata, lavorano per uscire o comprarsi la macchina, e questo non mi invoglia neanche a studiare. Invece, quando vengo qui vedo tutte queste persone che studiano per il loro futuro e davvero mi piace. Penso che nessuno mi capisca, i miei genitori condividono come non condividono… e io in questo momento vorrei punti di riferimento, persone che possono dirmi guarda ti conviene fare così>. Alla domanda della ricercatrice: “pensi di dover cambiare qualcosa del tuo modo di essere per stare bene lì in mezzo?”, risponde di no e che le piacerebbe avere più tempo per starci lì in mezzo, essere più partecipe agli incontri, ma che non riesce per via del suo lavoro in un bar. Al contrario, sostiene che se avesse fatto prima l'università e poi le superiori avrebbe dovuto cambiare tutto il suo modo di essere perché lei in realtà nell'università vede il suo mondo. -Manuel, è il primo del suo nucleo familiare ad affrontare la transazione universitaria, seppur conta sul supporto di un cugino più grande che anni prima si è laureato in storia. Sceglie di iscriversi in scienze politiche con un suo compagno di classe, scelta su motivazioni utilitaristiche. Il cugino costituisce un punto di riferimento capace di far entrare l'università nei suoi orizzonti d'azione, ma anche un esempio da cui prendere le distanze perché nonostante la fatica nello studio ora è un operaio. La frequenza alle elezioni, per Manuel, è saltuaria e questo traccia confini di un'entrata non tradizionale nel mondo universitario che lascia intravedere conflittualità tra gli obiettivi dell'istituzione e quelli individuali. Racconta di essere andato il primo giorno e che pensava di riuscire a fare conoscenza, ma in realtà è rimasto sempre con il suo amico, forse perché né lui né gli altri sentivano la grande esigenza di trovare un punto d'incontro. Sente che frequentare le lezioni è un po’ un “perdere tempo” e alla fine non è più andato, anche perché lavorava, e preferisce chiedere gli appunti al suo amico. Nonostante alcuni vedano l'università come un lavoro, Manuel lo trova pesante e noioso, abbisogna di qualcosa che lo tenga impegnato o che gli dia un'organizzazione di vita migliore, al contrario l'università la vede una cosa “troppo scialla”. Pensa che il suo amico continui ad andare a lezione perché ha più tempo libero o per provare a fare amicizia, mentre lui si trova in una fase di indecisione in quanto il suo obiettivo non è “spaccare tutto” o dedicare la sua vita allo studio, né gli interessa prendere 30. Sostiene di avere un'altra mentalità, di cercare altrove la soddisfazione: “quando faccio altre cose sono contento”. -Mario, arriva all'università incoraggiata dai suoi genitori. L'università, per Mario, è un percorso attraverso cui dare continuità alla sua passione per le discipline umanistiche e al suo impegno politico, lo vede come un modo per ritrovare sé stesso. Consapevole delle difficoltà che avrebbe avuto nel ricalibrare le proprie modalità di apprendimento declina lo studio come <il suo nuovo lavoro>. Bensì non ritiene praticabile una via non tradizionale che gli lasci spazi per coltivare attività lavorative parallele. Mario vuole lasciarsi attraversare pienamente dalla vita universitaria, vuole forgiare il suo modo di essere, di pensare, di parlare e padroneggiare pienamente il campo universitario. Tuttavia, l'entrata nella vita universitaria si rivela più difficile del previsto. Racconta che nell'istituto superiore si sentiva un pesce fuor d'acqua perché tutti avevano interessi diversi dai suoi, mentre in questo nuovo contesto universitario finalmente poteva non parlare solo di calcio, discoteca. Lì ha trovato persone con culture differenti, e sentiva il timore di non essere all'altezza rispetto a chi ha certificazioni di lingua, o ha condotto altri studi. È il timore di non farcela che lo sprona, è nota che se prima era colui che non chiedeva, adesso è quello che chiede per sapere, per superare la vergogna di sembrare ignorante. Ricorda che la professoressa il primo giorno di lezione ha chiesto gli istituti di provenienza, e lui ha alzato la mano per l'istituto professionale, dopo si rende conto di essere stato l'unico: lì ha sentito di dover farsi valere più degli altri. Per quanto riguarda le relazioni si era ripromesso di essere più aperto e adesso conosce una decina di persone, hanno tutti una condizione migliore della sua, ma non è una cosa che lo fa sentire da meno perché si rende conto che ognuno ha il suo vissuto. Spesso non condivide i loro concetti di lavoro, quando dicono che per 1.200 € al mese non andrebbero a lavorare, ma pensa non possano comprendere perché non l'hanno vissuto nella loro pelle. Lui si ricorda di quando andava a scuola in tuta o spettinato, in aula una volta è andata in tuta e si è sentito fuori luogo, perché all'università è difficile vedere gente poco curata. Anche per il linguaggio sente che qui c'è un linguaggio più pulito, quindi ha dovuto rimodellarsi, come può essere per il dialetto, “perché te ne accorgi se qualcuno ti guarda strano”. In questo capitolo ci si è soffermati su quella fase di transizione alla vita universitaria che l'etnometodologo Alain Coulon ha definito il tempo dell'estraneità. È il tempo in cui si commettono errori di importanza più o meno rilevante che possono attivare un processo di apprendimento che rafforza il legame con l'istruzione universitaria mentre in altri possono generare sconforto, frustrazione, smarrimento. Ad esempio, nel caso di Stefano è l'occasione per stringere legami con altri ‘compagni di sventura’; per Adil non aver partecipato al primo giorno accademico ha designato conseguenze negative sul piano didattico e sulle opportunità di stringere amicizie; per Gabriela scoprire di non aver richiesto la borsa di studio può avere conseguenze per difficoltà finanziarie. Tutti i racconti riguardano studenti che provengono da percorsi di tipo tecnico o professionale perché questo volume vuole sostenere l'abbandono degli studi universitari, dopo il primo anno, come legato in misura prevalente agli studenti che hanno frequentato questi indirizzi, perché istituti con minori informazioni, arrivanti dall'università, e minori contatti sociali. Tra l'università e questi indirizzi vi è una relazione di minore affinità culturale rispetto a quella possibile per percorsi liceali, nella dimensione linguistica, negli stili di abbigliamento, nella socialità tra compagni di corso. Queste storie mettono in luce tratti omogenei in cui gli studenti hanno preso la decisione di iscriversi all'università con processi di orientamento di tipo formale e informale; tuttavia, mettono anche in evidenza come sia possibile individuare diversi modi di reagire al campo, ai diversi approcci e significati attribuiti all'esperienza di transizione. L'entrata nella vita universitaria si caratterizza con un momento di importanti rotture, di sovrapporsi di tre dimensioni in cui si verificano discontinuità. La prima riguarda una dimensione che potremmo dire “disciplinare”. La transizione all'università implica affrontare nuovi contenuti disciplinari che affondano le radici su saperi e conoscenze con cui solo gli studenti provenienti dai percorsi liceali hanno avuto il privilegio di entrare in contatto. Ad esempio, Monica racconta di passaggi in aula in cui il docente afferma un “come sapete”, in riferimento a presunte conoscenze pregresse. È un momento in cui ci si rende conto che molte cose che gli altri sanno, il singolo non le sa. Francesca, diplomata in un tecnico-commerciale e iscritta ad economia, descrive processi di sottile inferiorizzazione: <siamo discriminati noi del tecnico anche dai professori! Il professore dice “i ragionieri la sapranno in un altro modo, non confrontatevi con loro perché vi mettono in mente idee sbagliate”, praticamente io valgo meno di chi ha fatto il liceo>. Una seconda rottura che si situa su un piano pedagogico è il rapporto studenti-docenti, soprattutto nei corsi obbligatori del primo anno in cui si è tantissimi in aula enormi. Coloro, infatti, che beneficerebbero di una partecipazione attiva alle lezioni hanno osservano un distacco, quasi ammirati dal sapere e dalla proprietà del linguaggio che rivelano compagni di corso che pongono domande, tanto da trattenersi da farne per evitare brutte figure. La dimensione dell'aula amplifica le insicurezze specie di chi vive con incertezza la sua adeguatezza al contesto universitario, al contrario è emerso che la classe scolastica fornisce un senso di protezione dovuti ai contatti quotidiani tra pari e insegnanti. L'aula universitaria, soprattutto per chi non ha una rete significativa di compagni, viene percepita come un ambiente ostile, una minaccia alla propria autostima, occasione per una svalutazione della propria identità sociale. La terza dimensione lungo cui si esprime una discontinuità forte riguarda il tema dell'organizzazione dei tempi della vita quotidiana e la gestione del carico di lavoro. A scuola il tempo è fortemente strutturato e organizzato da routine imposte (frequenza scolastica, spiegazioni, verifiche); l'adesione a questa routine data dal contatto quotidiano con gli insegnanti e dal gruppo genera forme di supporto reciproco, riconoscimento e controllo sociale. Infatti, le interviste illustrano difficoltà all'attribuire un significato al tempo apparentemente “libero”, come il tema della noia e dell’annoiarsi. I tempi dilatati del lavoro accademico, la distanza temporale tra l'inizio delle lezioni e gli esami, devono essere riempiti di senso, “occupati”, utilizzati. In alcuni casi, vedi Manuel e Stefano, impegnarsi in un'attività lavorativa risponde all’esigenza di attribuire una struttura, significato, ai tempi della vita quotidiana. Le difficoltà nel superare le discontinuità che si situano sulla dimensione dei tempi della vita quotidiana sono acuite dai contatti ridotti con i docenti e i compagni di corso, rendendo più difficile l'utilizzo del tempo disponibile. Manuel:< Se studi Non sai neanche quando dire basta>; o Amina e Gabriela illustrano difficoltà a gestire tempi dello studio e le incertezze circa la qualità e la quantità di tempo per acquisire delle conoscenze, tanto da rimanerne paralizzati per la partecipazione all'esame. È la partecipazione a una rete sociale fatta di compagni di corso che consente di sincronizzarsi con i tempi e le richieste del mondo universitario. Per gli studenti di prima-generazione, l'entrata nella vita universitaria comporta la necessità di fare i conti anche con una rottura sul piano sociale, perché rappresenta un percorso di mobilità sociale. Occorre, però, fare due considerazioni conclusive. In primo luogo, la vita universitaria, per la sua flessibilità, è in parte imprevedibile poiché è possibile avere occasioni per stringere delle nuove amicizie; tuttavia, i processi di costruzione delle reti sociali tendono a funzionare secondo i meccanismi dell'omofilia. Se, da un lato, queste reti possono far nascere delle relazioni di profonda solidarietà, di reciproco sostegno emotivo e psicologico, dall'altro, pongono degli ostacoli alla circolazione delle risorse simboliche informative all'interno della diritto di chiedere a un docente o a un compagno di “spiegarsi meglio”. La vergogna è la dimensione emozionale attraverso cui si esprime l'interiorizzazione delle gerarchie simboliche che strutturano un campo sociale. Il ricercatore, infatti, sottolinea che durante le interviste ha chiesto ai soggetti che avevano abbandonato gli studi (nel 1° anno di università) se avessero provato a parlarne con un docente, ma ha ricevuto solo risposte negative, comprensibili a partire dalla fatica che avrebbero fatto nel mettere a nudo le proprie difficoltà. Amina è fortemente motivata a perseguire gli studi, sostenuto dal nucleo familiare e dalla comunità senegalese in cui è attiva, anche se sente la responsabilità di non deludere le aspettative. Infatti, sceglie di cambiare corso di studi in Comunicazione Interculturale, non abbandonando gli studi, sostenuta dai legami di solidarietà, dalla connessione emotiva e dalle risorse informative che la comunità mobilità per lei. Racconta di aver scoperto questo nuovo corso di laurea per caso, sua sorella e un'amica ne parlavano e ad un certo punto glielo hanno consigliato. Guardando il piano informativo vede che parla di integrazione, immigrati trovando una connessione precisa con il proprio sé. Ciò mette in luce che è possibile un terreno dato dall'intreccio tra le difficoltà di tipo accademico e un inserimento marginale nei rituali di interazione che caratterizzano le forme prevalenti della socialità universitaria. L'abbandono universitario segue un percorso non incentrato solo sulle competenze e l’ impegno individuale, ma anche la dimensione emotiva. Tuttavia, il racconto di Amina mostra anche un secondo aspetto: Amina è immersa in una comunità che è in grado di mobilitare le forme non dominanti di capitale culturale e sociale necessarie per far fronte ai processi di esclusione che incontra nel campo universitario. Gli stretti legami comunitari possono favorire la circolazione di quelle informazioni calde di prima mano, affidabili. Le informazioni che Amina riesce a ottenere attraverso la sua rete sociale creano una connessione precisa. A due anni dall'inizio del nuovo percorso universitario, Amina è quasi in regola con gli esami e sembra aver trovato una strada attraverso cui tradurre risorse sociali e culturali sia la sua identità razzializzata, sia il suo essere una studentessa di prima generazione, e vede come una possibilità concreta quella di iscriversi a una laurea magistrale. -Monica, attribuisce un'importanza cruciale ai propri compagni di corso che l'hanno accompagnata durante gli anni di studio, racconta che durante il primo anno avevano conosciuto diverse persone e che hai imparato da loro ad essere costante nello studio, prendere un ritmo, fare cose che non avresti mai pensato di fare. Sostiene che le persone che conosci fuori dall'università sono diverse, mentre ‘qui’ trovi gente che studia, che fa cose che fai anche tu, e ti aprono la mente. ‘Qui’ siete persone che si capiscono e si aiutano l'una con l'altra. Un primo elemento cruciale riguarda il ruolo dei compagni di corso nei processi di apprendistato della vita studentesca. Passarsi gli appunti di una lezione che non si è potuta frequentare non significa solo condividere un'informazione, ma è una trans che può generare legami di reciprocità e rafforza la solidarietà alla vista di un obiettivo comune. Significa facilitare la preparazione degli esami, ma anche apprendere delle coordinate per orientarsi nelle discipline. Essere parte di un gruppo è modo per <darsi un ritmo>, imparare a gestire i tempi di studio, acquisire le conoscenze implicite necessarie. Tuttavia, la conversazione avuta con Monica mette in luce una seconda caratteristica delle dinamiche sociali. I processi di formazione delle reti sociali tra studenti possono allargare l'orizzonte del possibile e rendere realistici dei percorsi che prima risultavano impensabili. Tuttavia, la creazione di nicchie sociali accomunate da affinità limita la circolazione delle informazioni e dell'esperienze e rende più improbabili le interazioni tra studenti che provengono da mondi sociali distanti. Questo può avere conseguenze sulle disuguaglianze tra gli studenti. Potete su una rete di contatti universitari fa emergere solidarietà di gruppo che si fonda sulla comune difficoltà di conciliare la necessità del lavoro con la frequenza delle lezioni o di dover sostenere gli esami. Esperienze simili che generano un sentimento di solidarietà ed empatia cruciali nei momenti di difficoltà. I compagni di corso costituiscono per Monica un punto di riferimento, anche se la loro frequentazione non impegna tempi e spazi diversi da quelli universitari. Sono contatti mantenuti perlopiù via chat che hanno focus nell'esperienza universitaria. Il fatto che siano geograficamente dispersi e che ognuno abbia il proprio giro di amici fa sì che le occasioni di incontro un tempo libero siano poco frequenti. Questo è un dato emerso da diverse interviste dovuto alla specificità dello studente “in sede”. Dai racconti di Monica, si evince come l'università rappresenta per lei una sorta di mondo parallelo e in opposizione con quello vissuto dal suo gruppo di amici intimi. < Il mio vecchio gruppo di amici non l'ho mai lasciato anche se adesso con l'università sono un po’ più sicura dei miei pensieri>. Dalle reti amicali di Monica vediamo che l'esperienza universitaria accentua elementi di tensione dati per scontato nella sua cerchia amicale, rende più difficile partecipare alle ritualità sociali e di svago, perché Monica non è presente quando i suoi amici sono liberi dalle attività lavorative. L'esperienza universitaria accentua differenze profonde che riguardano i modi di pensare e di vivere, le aspirazioni, le modalità di reazione alla vita quotidiana. Monica si distingue dal mondo sociale dei suoi amici “di sempre”, opponendo la sua volontà di progettarsi un futuro migliore. L'università è motivo di tensioni e conflitti quotidiani con i suoi genitori che oppongono il lavoro vero, quello faticate, allo studio che si associa al <non far niente>. < Ad esempio, c'è mia sorella che è più piccola di me e lei già lavora. Io della famiglia ero quella che secondo loro non faceva niente tutto il giorno, perché loro vedono l'università come se non facessi niente tutto il giorno. Prima mi incazzavo, ma adesso sono abituata, che poi non avendo mai studiato non capiscono che studiare è pesante, snervante>. Racconta che i suoi genitori guardano i suoi amici con ammirazione perché lavorano tutto il giorno, sanno cosa significa lavorare (anche se la sua amica lavora in un fast food), sa che può comprarsi una macchina. Ehi lei sostiene che l'università ti aiuta a conoscere, raggiungere obiettivi, fare sacrifici, essere migliore e lei non vuole fare sacrifici “per arrancare”, mappe aprire qualcosa. Secondo Monica, l'università crea forma mentis perché ogni giorno devi sacrificarti per lo studio, adegui la tua vita a raggiungere l'obiettivo. Monica ha sempre più o meno lavorato, il primo anno in un bar, ha lavorato con il servizio civile, che le garantiva indipendenza economica, poi ha scoperto di poter richiedere una borsa di studio. I contrasti che Monica vive in famiglia mettono a fuoco il significato che i genitori attribuiscono alle sue attività e, poi, occorre considerare che l'entrata universitaria ha conseguenze rilevanti anche sui tempi attraverso cui vengono raggiunte alcune tappe tendenzialmente considerate espressione del diventare adulti. -Mario, ha iniziato a lavorare a 16 anni come cuoco, sua madre era malata ed era necessario essere economicamente indipendente e aiutare in casa. La transizione all'università rappresenta una rottura con le sue identificazioni precedenti. Consapevole dei limiti della preparazione ricevuta nell'istituto alberghiero da cui proviene è deciso a dedicarsi interamente nello studio. Mario opta per un ingresso più “tradizionale” nella vita universitaria, immergendosi nel ruolo da studente a tempo pieno. Le conversazioni avute nei tre anni successivi mettono in luce la complessità che includono radicali mutazioni delle proprie routine quotidiane, rituali di interazione a cui si è abituati, dei propri schemi cognitivi. Egli ha identificato nell'aver smesso di lavorare la causa della sua caduta in uno stato di ‘depressione’ che gli ha reso difficile il percorso universitario. Smettendo di lavorare è iniziato a sentirsi un peso in casa perché non riusciva ad essere autosufficiente. Non riusciva a vedere questo come motivazione a schiacciare l'acceleratore, bensì si è chiuso in se stesso e in casa, in quanto non andava a lezione perché l'abbonamento era una spesa che non voleva sostenere. <Perché se lavori guadagni, sei più indipendente, con l'università è un investimento a lungo termine… questo cambio di tipologia di investimento mi ha scombussolato, perché era abituato a vedere i risultati degli sforzi subito>. I compagni di corso che aveva conosciuto pian piano li ha persi e non li ho mai frequentati fuori dalle lezioni. Per quanto riguarda gli esami, in lui scattava quel meccanismo per cui se non si fosse sentito pronto non si sarebbe presentato. Voleva evitare la prova e la situazione in cui poteva sentirsi dire di non essere adeguato. L’habitus non è univoco, monolitico, omogenea e ogni individuo può vivere una pluralità di schemi dai diversi processi di socializzazione che prendono corpo nei diversi campi della vita sociale. Nel caso di Mario la dimensione plurale della sua identità ha permesso di farci comprendere la sua scelta di iscriversi, ma allo stesso tempo questa pluralità ci permette di interpretare lo stallo in cui ci racconta di essere caduto nel corso del suo primo anno. Seppur le difficoltà sono maggiori per chi proviene destituiti tecnici e professionali, Mario ha scelto di abbandonare identificazioni precedenti per avventurarsi in un processo incerto di ridefinizione delle proprie coordinate di riferimento. Un processo che richiede l'acquisizione di nuovi schemi disposizionali ehm e che implica la necessità di re-direzionare la propria energia emozionale e i criteri attraverso cui dare valore al proprio sé. Non è, poi, secondario segnalare come le peculiarità del contesto economico finanziario in cui vive fino per limitare quella dimensione della vita universitaria su cui nutriva aspettative. Così, perde progressivamente il suo aggancio con le ritualità sociali degli studenti universitari, con le reti di solidarietà, con l’energia emotiva che scaturisce il <passare insieme un esame>. La storia di Mario incrocia però due punti di svolta: grazie al servizio civile è riuscito a sbloccarsi, perchè era obbligato all'uscita casa, svolgere le mansioni assegnate e ricevere due spicci. Così ha ricominciato a studiare meglio e lì conosciuto la sua attuale ragazza ed è stata lei fonte di incoraggiamento. Lei gli ha permesso di avere un legame con qualcuno che avesse già fatto l'università, perché la sua famiglia al massimo poteva dirgli “stringi i denti”, mentre con lei poteva scambiarsi pareri, opinioni, sostegno. Racconta di come il suo approccio a un libro di 600 pagine fosse difficile, e, invece, lei gli ha insegnato l’aspetto pratico dell’organizzare lo studio, i ritmi. È stata una guida, gli ha insegnato il metodo: <con lei c’è una sorta di ripasso attivo nelle conversazioni quotidiane>. Mario sembra aver ritrovato un maggiore equilibrio grazie alla possibilità di impegnarsi in un'attività lavorativa che gli consente una maggiore serenità economica per la sua vita sociale e questo, probabilmente, gli fa ritrovare la motivazione e significato nello studio. La sua fidanzata, Veronica, svolge il ruolo da mentore e porta nella sua vita archivi di esperienze a cui non avrebbe potuto avere accesso nella sua cerchia familiare e amicale, dando una nuova fiducia in quella parte di sé che l'aveva spinto a iniziare questo viaggio. Le storie analizzate consentono di mostrare dei nessi tra forze che modellano le traiettorie degli studenti di prima generazione, e i modi in cui queste forze sono percepite, interpretate e gestite. Parte di processi attraverso cui gli studenti diventano membri del campo universitario è costituita dalla partecipazione a dei rituali di interazione che avvengono nella quotidianità studentesca, dalla frequenza delle lezioni allo scambio di appunti, dai pettegolezzi su un docente allo studio in biblioteca etc. Queste ritualità hanno il potere di rafforzare la solidarietà di gruppo, di orientare dal punto di vista morale e comportamentale i suoi membri, di canalizzare l'energia emozionale degli individui verso obiettivi che si allineano a quelli dell'istruzione universitaria. Anche il Social Integration Model proposto da Vincent Tito, individua nella possibilità di partecipare a interazioni sociali focalizzate, soprattutto in piccoli gruppi, un requisito cruciale per favorire la nascita di un senso di appartenenza all'istruzione universitaria e il successo accademico. Chi ha frequentato un liceo arriva nel contesto universitario contando su un insieme di relazioni già sedimentate e con cui può condividere il percorso intrapreso ehi, sono più inseriti dai loro colleghi con diploma tecnico o professionale. Gli studenti di prima generazione devono fare i conti con un senso di discontinuità biografica che li porta a percepirsi come degli outsiders culturali. Il racconto di Adil illustra in modo particolare una dinamica riscontrata in molti di coloro che hanno abbandonato l'università durante il primo anno. Si tratta di un dato significativo perché è proprio nel corso del primo anno che i tassi di abbandono sono elevati. La scelta di abbandonare gli studi conferma gli schemi cognitivi e simbolici attraverso cui percepisce il mondo e vi si posiziona: abbiamo il caso di uno schema di riproduzione di un habitus forgiato dalle biografie familiari e scolastiche precedenti. Tuttavia, questo processo di adeguamento tra posizione occupata nel campo universitario e prese di posizione sia in realtà l'esito di transazioni e scambi simbolici molteplici dentro e fuori il contesto accademico. Comprendere l'uscita dagli studi universitari significa dal conto delle condizioni che rendono più probabile affrontare questo percorso in solitudine, ma significa anche osservare le dinamiche di esclusione insite nei rituali di interazione sociale presenti nel contesto universitario. I racconti ci consentono di mettere in luce il successo accademico come la risultante di un processo di assimilazione e associazione e identitaria. La percezione di inadeguatezza e l'isolamento sociale raccontati da Adil non sono comprensibili riferendoli solo alla sua collocazione di classe ma presentarsi con la visione modalità di espressione, i limiti all'interno del setting dipendano dal fatto che la relazione tra ricercatore e intervistato è una relazione definita dalla struttura di un incontro e di una conversazione. Tale ricerca si muove sulla consapevolezza che ogni conoscenza è data da un processo di costruzione e la distanza sociale può essere utilizzata per sollecitare riflessioni accurate e approfondite sui mondi della vita quotidiana. Allo stesso tempo può ostacolare il racconto, censurarlo, costringerlo entro recinti del linguaggio e degli stili espressivi del ricercatore. Gli elementi che hanno definito la relazione di intervistati sono due: il primo è il fatto che il ricercatore è stato per primo uno studente di prima generazione, ciò gli ha permesso di avanzare comprensione reciproca e di legittimare il suo interesse nei confronti della loro vite, scorrendo un linguaggio fluido, la relazione intima, condividendo dubbi, ambivalenze, sofferenza; il secondo elemento riguarda le condizioni materiali di vita. Attraversare durante l'intervista l'aspetto della ristrettezza economica ha consentito di superare l'imbarazzo nell'affrontare le discussioni attorno al ruolo della classe sociale. Il fatto, poi, che Il ricercatore non fosse incardinato in modo stabile all'interno dei corsi di laurea a cui erano iscritti i soggetti interpellati, ha permesso che l'intervista si configurasse come uno spazio relativamente sicuro in cui esprimere un punto di vista critico sull'esperienza l'incontro con l'università. La scelta di utilizzare lo strumento dell'intervista discorsiva, anziché strumenti qualitativi altri, si riferisce la necessità di raccogliere informazioni accurate sui vissuti personali, sulle origini sociali, sulle relazioni e aspettative familiari, sui percorsi scolastici pregressi, sui processi di ingresso e transizione alla vita università. La seconda ragione risiede nella scelta di utilizzare una tecnica di ricerca più flessibile e adattabile a ciascuno, così da esprimersi attraverso le sue parole e i suoi modi di interpretare i mondi della vita quotidiana in cui è immerso. L'incontro con il ricercatore rompe la consuetudine e sollecita la riflessione su pratiche, azioni, scelte; dall'altro lato, l'intervista discorsiva può svolgere anche una funzione sociale di raccogliere le interpretazioni di chi ha meno voce nel dibattito pubblico e di chi è maggiormente oggetto di rappresentazione discorsi prodotti dalla ricerca e dalle istituzioni. Le interviste si sono svolte in una prima fase tra Ottobre 2017 Febbraio 2018. Sono stati individuati i tre corsi di laurea in cui era più elevata la quota di studenti di prima generazione: economia, scienze politiche, scienze internazionali. Sono stati selezionati solo i diplomati in Italia, per evitare di includere studenti internazionali le cui dinamiche di inserimento nel contesto universitario sono molto specifiche, e l'attenzione è stata posta su diplomati tra i 18 e 21 anni nel 2017. Sono stati individuati solo gli immatricolati di prima generazione, coloro i cui genitori non hanno mai fatto esperienze di studio a livello universitario o terziario, o i cui genitori hanno come titolo di studio più elevato la licenza media o la qualifica professionale. Inoltre, essendovi differenze profonde tra il tipo di esperienza universitaria vissuta dagli studenti cosiddetti “fuori sede”, si sono scelti coloro che erano residenti al momento dell'intervista nella provincia in cui si trova l'ateneo. Le interviste sono state, poi, realizzate in un luogo e orari scelti dagli intervistati, come al termine delle lezioni nel corso di “ore buche” all'interno del contesto universitario, 15 si sono svolte presso luoghi pubblici, e la terza intervista è stata condotta da remoto, a causa della pandemia. Lo scarso grado di strutturazione dell'intervista ne ha determinate di durata variabile, tra l'ora e le due ore circa, seguendo un canovaccio tematico per aiutare l'esplorare i diversi aspetti dell'esperienza. Si sollecitava la riflessione su temi come: l'arrivo all'università, l'inizio della vita universitaria, il rapporto e le relazioni familiari, la sfera amicale, aspirazioni, progetti, immagini del futuro. Per le strategie di codifica si è partiti dalla scrittura di memos, per le prime operazioni di concettualizzazione, fino a individuare delle direttive analitica. Appendice B l’università da remoto  a seguito della pandemia l'esperienza universitaria ha subito un mutamento radicale: sono state sospese tutte le attività in presenza, la didattica è stata erogata a distanza, tutte le ritualità sociali sono state sospese. È ancora troppo presto per comprendere appieno quali siano stati gli effetti di questi cambiamenti; pertanto, i dispositivi tecnologici tenevano vive le ritualità sociali con gruppi whatsapp e Facebook. L'università da remoto ha caratterizzato cambiamenti radicali nella sfera lavorativa, nelle relazioni familiari e amicali. Monica: con la didattica a distanza è andata bene, il brutto è dare gli esami, perché videochiamata non penso si crei empatia con il docente. Però il fatto che ci siano lezioni registrate è favoloso, non capisco perché non l'abbiano fatto prima, ma mancano i rapporti umani come scambiarsi opinioni, capire a che punto è una persona. Se mi fossi iscritta all'università che era già così sarebbe stato brutto, alienante, non avrei conosciuto nessuno. Amina: grazie al covid ho recuperato abbastanza perché ero in casa. Mi sono rilassata molto e non ho avuto difficoltà a superare gli esami, è stato positivo per me. Mario: con il covid mi sono perso, perché per me l'ambiente università contribuiva a gestire lo studio. In un'università mi mettevo in cortile, prendevo un caffè con i colleghi, parlavamo delle lezioni. Con le lezioni registrate ti semplificano la vita perché non hai l'obbligo di essere lì a quell'ora, però non hai più neanche tutto il contorno dell'università e ti passa un po’ la voglia anche solo di conoscere persone Appendice C quadro statistico da un’analisi dell'ISTAT nella sua indagine sui percorsi di studio e lavoro dei diplomati ha permesso informazioni sia sulle probabilità di accesso all'università, sia di identificare le probabilità di abbandono a tre anni dall'immatricolazione. Si tratta di una delle poche banche dati disponibili che consentono di avere informazioni sia sui percorsi scolastici degli studenti, sia sui livelli di istruzione sull'occupazione di entrambi i genitori. Ciò permette di apprezzare processi di categorizzazione sociale che definiscono l'esperienza universitaria delle prime generazioni in modo eterogenei. Sono il 35% i genitori con la licenza media e 81% i genitori laureati. Differenze enormi che si confermano significative alle probabilità di abbandono degli studi universitari: lasciano gli studi entro i tre anni dall'immatricolazione 8% di studenti con genitori laureati, contro il 19% di coloro che hanno genitori con licenza media. La percentuale di coloro che provengono da famiglie con un basso capitale culturale e che si iscrivono all'università sale dal 34% al 64% punto se si considerano gli studenti con un basso capitale culturale e che hanno frequentato un istituto professionale le probabilità di accesso si riducono ulteriormente. Tra coloro che hanno genitori con al massimo la licenza media, il tasso di abbandono scende al 13% per coloro che hanno un diploma liceale, sale al 30% se si considera chi ha frequentato un istituto professionale o tecnico. Similmente, per chi ha genitori laureati si riducono le probabilità di abbandono qualora si considera solo chi ha frequentato un liceo e salgono per chi ha frequentato scuole tecniche o professionali.
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